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Prevenzione del sieroma nel sito donatore di lembo di muscolo Gran Dorsale in 125 casi di ricostruzione mammaria: due tecniche a confronto

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Academic year: 2021

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SOMMARIO

Introduzione. Il tumore della mammella ha raggiunto proporzioni epidemiche, rappresentando la prima causa di morte per neoplasia nel sesso femminile. Nel corso del tempo sono state sviluppate numerose tecniche di ricostruzione mammaria post-mastectomia, con impianti protesici o con tessuti autologhi. L’utilizzo del lembo di muscolo Gran Dorsale è da sempre considerato una tecnica sicura e affidabile e nelle nostre pazienti ha rappresentato la prima scelta ricostruttiva, essendo caratterizzate da una storia clinica complessa e in cui abbiamo voluto limitare la possibile insorgenza di complicanze legate ad altre procedure. Tuttavia, lo sviluppo di sieroma nel sito donatore resta una possibile e fastidiosa complicanza, riscontrata nel 6-80% dei casi.

Obiettivi dello studio. L’obiettivo di questo studio è quello di mettere a confronto l’esecuzione della tecnica di Baroudi (quilting sutures) con l’utilizzo della colla di fibrina, come approccio per la chiusura del sito donatore durante la ricostruzione mammaria con lembo di muscolo Gran Dorsale (LD). Infatti sia nelle ricostruzioni immediate post-mastectomia, sia in quelle differite, l’incidenza di sieromi è piuttosto elevata (50-80% vs 34%), rappresentando la principale complicanza in questo tipo di intervento, insieme all’ematoma e alle infezioni post-operatorie. Pertanto lo scopo dello studio è quello di confrontare le tecniche cercando di rilevare quella più efficace nella prevenzione e riduzione di incidenza del sieroma nel sito donatore.

Pazienti e metodi. In un periodo tra gennaio 2011 e maggio 2016 sono stati eseguiti 125 interventi di ricostruzione mammaria su 125 pazienti con lembo di muscolo Gran Dorsale (LD), tutte di sesso femminile e con un’età media di 54.4 anni.

Tutte le procedure sono state eseguite dalla stessa équipe chirurgica dell’U.O. di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva e di Senologia dell’Azienda Ospedaliera Pisana.

92 pazienti sono state sottoposte a mastectomia, di cui 33 a mastectomia radicale modificata; 77 hanno eseguito una ricostruzione immediata con LD, mentre 48 sono state sottoposte a ricostruzione differita e in 3 casi non è stato utilizzato alcun dispositivo protesico. In 60 pazienti è stato inoltre eseguito un intervento sulla mammella controlaterale (mastopessi o riduzione mammaria).

Abbiamo suddiviso le pazienti in due gruppi: 67 sottoposte alla procedura con la tecnica di Baroudi e 58 all’applicazione di colla di fibrina, con lo scopo di ridurre lo spazio morto tra il lembo cutaneo posteriore e la parete toracica, prima di suturare la cute del dorso. Le pazienti sono state dimesse tra il 5° e il 6° giorno post-operatorio.

Risultati. Nella nostra casistica abbiamo riscontrato una bassa frequenza di complicanze tra i due gruppi di pazienti, sia per quanto riguarda la contrattura capsulare che la deiscenza della ferita posteriore e la dislocazione protesica. Per quanto riguarda la frequenza del sieroma, essa è risultata pressochè sovrapponibile nei due gruppi, essendosi sviluppato nel 3.2% del totale di pazienti. Nello specifico, nel gruppo trattato con le quilting sutures sono state interessate 2 pazienti (2.9%) e 2 pazienti anche nel gruppo

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trattato con la colla di fibrina (3.4%). La differenza nella riduzione di incidenza del sieroma tra i due gruppi non si è rivelata statisticamente significativa (P= 0.8834),

potendo concludere che entrambe le tecniche sono sovrapponibili in termini di efficacia. Per quanto riguarda l’ematoma, esso invece ha mostrato una frequenza del 2.4% sul totale delle pazienti, ma un’incidenza maggiore nel gruppo di soggetti trattati con FTA (3.4%) rispetto al gruppo quilting (1.4%). Anche in questo caso la differenza non è statisticamente significativa (P= 0.4964).

Discussione. In questo studio prospettico, l’incidenza di sieroma tra il gruppo trattato con le suture quilting e quello trattato con la colla di fibrina si è mostrata sovrapponibile, confermando una differenza di efficacia non statisticamente significativa. Entrambe le tecniche non sono in grado di prevenire lo sviluppo di sieroma, ma nella nostra casistica hanno portato a dei risultati soddisfacenti in termini di incidenza (3.2%) e permanenza media del drenaggio nel sito donatore (µ=7 giorni). Anche i casi di ematoma sono stati pochi (2.4% del totale) e sulla base di questi risultati potremmo ipotizzare che il suo sviluppo sia legato non tanto alla tecnica di chiusura del sito donatore, quanto al fatto che entrambe le pazienti sono state sottoposte a ricostruzione mammaria differita, esponendosi ad un maggiore rischio di sanguinamento dovuto alla rimozione della capsula periprotesica, che risulta essere molto vascolarizzata.

Conclusioni. Valutando i risultati ottenuti, possiamo concludere che il nostro studio non ha dimostrato una differenza significativa nell’utilizzo della colla di fibrina rispetto alle quilting sutures, in corrispondenza del sito donatore di lembo di Gran Dorsale; entrambe le tecniche si sono rivelate efficaci, portando ad una bassa percentuale di complicanze nelle nostre pazienti.

Tuttavia, per quanto riguarda la colla di fibrina, il costo del prodotto non giustifica il suo utilizzo nei pazienti sottoposti a ricostruzione mammaria, in cui preferiamo l’esecuzione della tecnica di Baroudi, in accordo con i dati presenti in letteratura.

In prospettiva futura, ci proponiamo di associare entrambe le tecniche per verificare un’eventuale riduzione di incidenza del sieroma, sfruttando il principio di aderenza tissutale determinato dalle quilting sutures, associato alle proprietà adesive della colla di fibrina, applicandole entrambe a livello del sito donatore.

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Ringrazio il Dott. Fulvio Lorenzetti per la disponibilità e l’aiuto che ha saputo darmi, il Dott. Marcello Pantaloni e tutto il personale dell’U.O. di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva

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INDICE

1. INTRODUZIONE ... 6 1.1 ANATOMIA DELLA GHIANDOLA MAMMARIA ... 8 1.1.1 Embriologia e anatomia della ghiandola mammaria ... 8 1.1.2 Vascolarizzazione della mammella ... 10 1.1.3 Innervazione della ghiandola mammaria 6 ... 17 1.1.4 Drenaggio linfatico4 ... 18 1.2 CHIRURGIA RICOSTRUTTIVA ... 20 1.2.1 Evoluzione della ricostruzione mammaria6-10 ... 20 1.2.2 Definizione di lembo e concetti anatomo-chirurgici essenziali ... 22 1.2.3 Classificazione dei lembi ... 25 2. RICOSTRUZIONE MAMMARIA ... 35 1.1 Lembo di muscolo gran dorsale (Latissimus dorsi)8, 14 ... 35 2.1.1 Anatomia regionale del muscolo gran dorsale. ... 36 2.1.2 Vascolarizzazione del lembo di m. gran dorsale e sue variazioni14 ... 37 2.1.3 Innervazione del lembo14. ... 41 2.1.4 Considerazioni e indicazioni14, 16-18 ... 42 2.1.5 Preparazione del lembo e tecnica chirurgica14, 16, 20 ... 48 1.2 ALTRE TECNICHE CHIRURGICHE RICOSTRUTTIVE ... 57 2.2.1 Lembi liberi8, 16, 23-25 ... 57

2.2.2 Lembo TRAM (transverse rectus abdominis myocutaneous flap): anatomia muscolare e considerazioni generali8, 23, 26-30 ... 58

2.2.3 Lembo TRAM peduncolato e libero ... 65

2.2.4 Complicanze e risultati ... 67

2.2.5 DIEP (deep inferior epigastric artery perforator): anatomia muscolare e considerazioni generali ... 68 2.2.6 Lembo DIEP peduncolato e libero ... 72 2.2.7 Complicanze e risultati ... 73 1.3 LEMBI MINORI ... 74 2.3.1 Lembo SIEA (superficial inferior epigastric artery flap) ... 74 2.3.1 TUG perforator flap (transverse upper gracilis flap) ... 74 2.3.1 Lembi liberi glutei ... 75

3. PRINCIPALI COMPLICANZE DELLA CHIRURGIA MAMMARIA RICOSTRUTTIVA ED ESTETICA38-40. ... 76 1.4 Il sieroma20, 41-48 ... 77 1.5 Ematoma8, 20, 50, 51 ... 81 4. RAZIONALE E OBIETTIVI DELLO STUDIO ... 83 5. PAZIENTI E METODI ... 84 1.6 Selezione dei pazienti ... 84 1.7 Colla di fibrina ... 86

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1.8 Quilting sutures49, 58-60 ... 89

1.9 Dati clinici complessivi sull’utilizzo delle quilting sutures e della colla di fibrina durante la ricostruzione mammaria con LD. ... 92

1.10 Riassunto della tecnica chirurgica (per i dettagli si rimanda al capitolo 2) ... 94 6. RISULTATI ... 96 7. DISCUSSIONE ... 99 8.CONCLUSIONI ... 102 ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI ... 104 BIBLIOGRAFIA ... 105

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1. INTRODUZIONE

Il tumore della mammella rappresenta il cancro più comune e la prima causa di morte tumore-correlata nel sesso femminile, con un’incidenza di 180.000 casi registrati negli Stati Uniti nel 2010 e 40.000 morti2.

Esso ha delle conseguenze devastanti sulla paziente, sia dal punto di vista fisico che psicologico.

L’evoluzione delle tecniche ricostruttive a seguito della mastectomia ha contribuito notevolmente al miglioramento dello stato di benessere della paziente e al mantenimento della propria femminilità.

Nel corso del tempo infatti sono state ideate numerose modalità di ricostruzione mammaria, ma l’utilizzo di tessuti autologhi, cioè propri della paziente e la ricostruzione immediata o differita, hanno conferito al chirurgo plastico la possibilità di restituire la consueta forma al seno e di migliorare i risultati estetici3.

La procedura ottimale per la ricostruzione mammaria dovrebbe essere sicura,

affidabile, accessibile ad ogni paziente e inoltre dovrebbe esporre il soggetto ad

una minima o nulla morbidità a livello del sito donatore.

Sono stati effettuati dei confronti tra i vari impianti protesici, ma si è dimostrata la superiorità dei tessuti autologhi, in quanto essi permettono di creare delle mammelle simmetriche, soffici e con un fisiologico grado di ptosi4.

Le tecniche sono numerose e si sono evolute nel corso del tempo dunque la scelta è ampia ed è sempre opportuna una stretta collaborazione tra gli elementi del team multidisciplinare, in particolar modo il chirurgo oncologico e il chirurgo plastico, per selezionare in maniera accurata le pazienti e garantire un counseling ottimale. Devono essere prese in considerazione le possibili complicanze, sia durante sia dopo l’intervento chirurgico, quali la necrosi del lembo, lo sviluppo di ernia nel sito donatore, le infezioni, lo sviluppo di ematomi e sieromi e infine l’estrusione di espansori/protesi5. Inoltre la chirurgia in questo ambito può essere compromessa dallo sviluppo di fibrosi RT-correlata e di endoarterite; in questo

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caso l’utilizzo di impianti non è favorito in quanto la cute non riesce ad espandersi in maniera ottimale, con tendenza alla rottura e all’esposizione dell’impianto stesso.

La ricostruzione mediante lembo di muscolo gran dorsale (Latissimus dorsi flap) è da sempre considerata sicura e affidabile ed è la tecnica di prima scelta nelle pazienti del nostro studio, in quanto caratterizzate da una storia clinica complessa, generalmente sottoposte a numerosi cicli di CT/RT e in cui abbiamo cercato di limitare ulteriori possibili complicanze legate ad altri tipi di procedura ricostruttiva.

Tuttavia, lo sviluppo di sieroma nel sito donatore rimane una potenziale e fastidiosa complicanza, riscontrata in un’alta percentuale di pazienti.

L’eziologia del sieroma non è chiara. È stata ipotizzata un’origine multifattoriale, tra cui la distruzione di reti linfatiche e vascolari, la recisione dello spazio tra il sottocute e il muscolo sottostante, la formazione di spazi morti e l’azione di mediatori chimici dell’infiammazione.

Non ci sono però evidenze su quale sia il fattore predominante.

Sono state tentate varie strategie per la prevenzione di questa complicanza e tutte hanno portato a dei risultati controversi.

Le “quilting sutures” sono una delle modalità preventive più utilizzate e si sono mostrate capaci di ridurre il volume di siero totale drenato dal sito donatore e l’incidenza di sieroma; recentemente la colla di fibrina (FTA: fibrin tissue adhesive) ha acquistato popolarità in vari ambiti chirurgici, tra cui la chirurgia plastica e ricostruttiva, in quanto si ipotizza essere in grado, tra le varie funzioni, di ridurre lo spazio morto associato allo sviluppo del sieroma.

Tra gennaio 2011 e maggio 2016, nell’U.O. di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva e nell’U.O. di Senologia dell’Azienda Ospedaliera Pisana, 125 pazienti sono state sottoposte a ricostruzione mammaria con lembo di gran dorsale a seguito della diagnosi di carcinoma della mammella; l’obiettivo del nostro studio è quello di

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confrontare l’utilizzo della tecnica “quilting” con quello della colla di fibrina (Artiss®; Baxter Healthcare) in termini di complicanze post-operatorie, in particolar modo lo sviluppo di sieromi a livello del sito donatore e di ematomi. Nei capitoli seguenti illustrerò brevemente i principali concetti anatomo-fisiologici per comprendere la chirurgia dei lembi e le tecniche ricostruttive con tessuti autologhi più utilizzate nella pratica clinica. Inoltre parlerò del sieroma, che è la complicanza più frequente a seguito di ricostruzione con lembo di LD, dell’ematoma e delle tecniche che si sono rivelate più efficaci nel ridurne l’incidenza, mostrando i risultati ottenuti nella nostra esperienza.

1.1 ANATOMIA DELLA GHIANDOLA MAMMARIA 1.1.1 Embriologia e anatomia della ghiandola mammaria

La mammella è un organo di origine ectodermica che deriva da un ispessimento dello strato germinativo, lateralmente alla linea mediana, al quinto mese di gestazione.

Si trova tra la III e la VII costa lungo la linea del latte e in larghezza tra la linea parasternale e l’ascellare media. È rivestita da cute sottile e nella porzione centrale è situata l’areola, una zona iperpigmentata, al centro della quale è posto il capezzolo o papilla mammaria.

È una ghiandola sudoripara apocrina modificata che poggia al di sopra della fascia del muscolo gran pettorale e lateralmente al di sopra della fascia del muscolo dentato anteriore, da cui è separata mediante l’interposizione di tessuto adiposo. È un organo sessuale secondario, ormono-dipendente, con un certo grado di asimmetria nel volume che tuttavia non è correlato con le capacità secretorie. A partire dalla pubertà le mammelle si accrescono per proliferazione di tutte le componenti, ovvero lo stroma periduttale e il connettivo interstiziale, mentre durante la menopausa si assite a un’involuzione della componente ghiandolare e a un rilassamento delle strutture connettivali6.

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La figura 1 mostra l’anatomia della ghiandola mammaria.

Figura 17. Struttura della ghiandola mammaria

Struttura

La cute della mammella non presenta particolari caratteristiche rispetto al tessuto adiacente. Nella porzione centrale riconosciamo l’areola, al cui centro si innalza il capezzolo che mostra un’altezza media di 10 mm ed un diametro di 10-12 mm. La cute dell’areola è ricca in melanina, mentre nel derma prevale tessuto elastico da cui dipartono retinacoli che attraversando l’ipoderma, penetrano nel tessuto ghiandolare suddividendolo in lobi e lobuli.

A livello dell’areola sono presenti delle ghiandole sudoripare eccrine ed apocrine e 10-15 ghiandole areolari definite tubercoli di Montgomery, le quali hanno una struttura non definita; inoltre è presente il cosiddetto muscolo areolare, costituito da fasci muscolari circolari e radiali che permettono la spremitura dei dotti ghiandolari.

Sulla superficie del capezzolo sboccano i dotti escretori dei lobi della ghiandola (dotti galattofori), che sono 10-12 e costituiscono l’area cribrosa del capezzolo. I dotti originano dai dotti intraparenchimali, che sono la continuazione dei tubuli secondari che provengono dai lobuli mammari.

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Questi rappresentano l’unità funzionale della ghiandola, uniti in strutture lobari formate da acini connessi da tessuto fibro-adiposo.

Lo stroma della mammella è caratterizzato da uno strato superficiale e uno profondo. Lo strato superficiale si spinge fino ai margini dell’areola, è ricco di tessuto adiposo ed è suddiviso in logge e lobuli dai retinacoli. Lo strato profondo è caratterizzato dalla presenza di tessuto connettivo lasso e, pur essendo presente poco tessuto adiposo, permette alla fascia profonda della cute (fascia pettorale o

retromammaria) di scorrere su quella superficiale del muscolo gran pettorale. La

fascia superficiale può aumentare di consistenza, soprattutto dopo la gravidanza e formare, a livello della regione sottoclaveare, il legamento sospensore di Cooper. La porzione ghiandolare è formata da 15-20 lobi circondati da tessuto adiposo e costituiti a loro volta da lobuli che contengono le unità funzionali della ghiandola, gli alveoli.

Ogni lobo fa capo a un dotto escretore (dotto galattoforo) che si divide in maniera dicotomica all’interno del lobo, generando i dotti lobulari.

Tali dotti si continuano poi nei dotti alveolari, che si immettono in gruppi di alveoli terminali. In superficie invece i dotti galattofori convergono verso il capezzolo, dilatandosi dapprima nei seni galattofori che rappresentano un serbatoio di riserva per il latte.

1.1.2 Vascolarizzazione della mammella

La mammella ha una duplice vascolarizzazione: di superficie destinata alla cute e profonda destinata al tessuto ghiandolare.

Sistema arterioso. La vascolarizzazione arteriosa deriva dall’arteria ascellare e

dall’arteria toracica laterale (o mammaria esterna), che irrorano la porzione laterale della mammella, in particolar modo a livello superficiale. La ghiandola invece è perfusa quasi totalmente dall’arteria mammaria interna.

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Le arterie intercostali formano invece una ricca rete vascolare che si distribuisce in superficie e nei setti di tessuto connettivo che dividono la ghiandola.

Arteria toracica interna (o arteria mammaria interna)6. Questo vaso origina

dalla prima porzione dell’arteria succlavia, 2 cm al di sopra e dietro all’estremità sternale della clavicola, alle vene giugulare interna e brachiocefalica. Discende dunque dietro all’estremità sternale delle prime sei cartilagini costali e ai muscoli intercostali interni, per terminare a livello del VI spazio intercostale. Posteriormente è in rapporto con la pleura ed è accompagnata da una catena di linfonodi e da due vene satelliti.

Rami collaterali. I rami collaterali dell’arteria toracica interna sono:

- Arteria pericardiofrenica. Decorre con il nervo frenico, al davanti dell’ilo polmonare, tra pleura e pericardio, giungendo fino al diaframma. Fornisce rami per il pericardio, la pleura e la parte anteriore del diaframma.

- Arterie mediastiniche anteriori. Hanno un calibro ridotto e vascolarizzano, nel mediastino anteriore, il tessuto areolare, i linfonodi, i residui timici e il pericardio.

- Rami sternali. Si distribuiscono al muscolo trasverso del torace e alla faccia posteriore dello sterno.

- Rami intercostali anteriori. Si distribuiscono in numero di due per ciascuno dei primi sei spazi intercostali; decorrono lungo il margine superiore della costa sottostante e l’altro lungo il margine inferiore della costa soprastante. Si anastomizzano con le arterie intercostali posteriori. Irrorano i muscoli pettorali e intercostali, la mammella e la cute.

- Rami perforanti. Con i corrispondenti rami cutanei anteriori dei nervi intercostali attraversano insieme i primi 5-6 spazi intercostali. Irrorano la cute ed il muscolo gran pettorale. I rami perforanti del II, III e IV spazio danno origine ai rami mammari, che irrorano la mammella.

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Rami terminali. I rami terminali dell’arteria toracica interna sono:

- Arteria muscolofrenica. Decorre inferiormente ed esternamente, posizionandosi a livello delle inserzioni costali del diaframma, internamente alle cartilagini della VII -X costa. Per ogni spazio fornisce rami simili a quelli che originano dall’arteria toracica interna. Inoltre perfonde il diaframma e i muscoli addominali. Si anastomizza con l’arteria frenica inferiore, con le due arterie intercostali posteriori più distali e con il ramo ascendente dell’arteria iliaca circonflessa profonda.

- Arteria epigastrica superiore. Decorre inferiormente tra le inserzioni sternali e costali del diaframma e successivamente nella guaina del muscolo retto dell’addome. A livello dell’ombelico si anastomizza con i rami dell’arteria epigastrica inferiore, ramo dell’arteria iliaca esterna. In questo modo si crea una connessione tra il sistema dell’arteria succlavia e quello della iliaca esterna.

Le figure 2 e 3 mostrano le principali strutture muscolari e vascolari del torace.

Figure 2 e 37. Parete toracica e principali assi vascolari

Tronco tireocervicale6. Origina dalla prima porzione dell’arteria succlavia, in

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che si ramifica nelle arterie tiroidea inferiore, trasversa della scapola e cervicale superficiale.

Tronco costocervicale.6 Nell’emicorpo destro origina dalla seconda porzione dell’arteria succlavia, mentre nell’emicorpo sinistro dal suo primo tratto. Si dirige in alto e in dietro, formando un arco sopra la cupola pleurica; arriva così fino al collo della prima costa dove si divide nelle arterie intercostale suprema e cervicale profonda.

Arteria trasversa del collo (o arteria scapolare posteriore)6. Nasce dalla terza

porzione dell’arteria succlavia e si dirige in alto e in dietro, fino all’angolo superiore della scapola dove si divide in un ramo ascendente, che risale nella nuca e perfonde i muscoli posteriori del collo, e in un ramo discendente che decorre lungo il margine mediale della scapola fino al suo angolo inferiore, distribuendosi ai muscoli della spalla e del dorso. Il ramo discendente è accompagnato dal nervo scapolare dorsale.

Arteria ascellare6. È la continuazione dell’arteria succlavia ed è il principale

tronco arterioso dell’arto superiore. Si estende dal margine laterale della I costa al margine inferiore del tendine del muscolo gran pettorale dove termina continuando come arteria brachiale. Anteriormente è in rapporto con il muscolo gran pettorale, con la fascia clavicoracopettorale e con il muscolo piccolo pettorale, che formano la parete anteriore del cavo ascellare. Il muscolo piccolo pettorale incrocia il vaso e lo divide schematicamente in tre tratti:

- tratto prossimale, lungo circa 2,5 cm, si estende dal margine posteriore della clavicola al margine mediale del muscolo piccolo pettorale. Decorre a livello del I spazio intercostale, coperto anteriormente dal muscolo succlavio e dalla fascia clavicoracopettorale. Si rapporta anteriormente con la vena cefalica, posteriormente e lateralmente con i tronchi secondari del

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plesso brachiale, medialmente con la vena ascellare.

- Tratto intermedio, decorre tra il muscolo piccolo pettorale e il muscolo sottoscapolare. Medialmente si rapporta anche con la vena ascellare, lateralmente con il muscolo coracobrachiale.

- Tratto distale, situato lateralmente al muscolo piccolo pettorale ed è lungo circa 7,5 cm. È più superficiale, in avanti è coperto prossimalmente dalla parte inferiore del muscolo grande pettorale, distalmente solo dalla fascia ascellare. Decorre anteriormente al muscolo sottoscapolare e ai tendini del muscolo grande rotondo e gran dorsale, lateralmente si trova il muscolo coracobrachiale, medialmente la vena ascellare.

Rami collaterali6. I rami collaterali dell’arteria ascellare sono:

- Arteria toracica suprema. Nasce dalla prima porzione dell’arteria ascellare, a livello del margine inferiore del muscolo succlavio e decorre sulla parete toracica, seguendo il margine mediale del muscolo piccolo pettorale, per distribuirsi al muscolo dentato anteriore. Inoltre, dopo aver perforato la fascia coracoclavicolare, termina nei muscoli pettorali e nella cute della regione mammaria. Si anastomizza con le arterie toracica interna e intercostali superiori.

- Arteria toracoacromiale. Origina dalla seconda porzione dell’arteria ascellare, attraversa la fascia clavicoracopettorale e, sotto al muscolo grande pettorale, si divide nei rami pettorale, acromiale, clavicolare e deltoideo.

- Arteria toracica laterale. Origina dalla parte interna dell’arteria ascellare e si porta fino al VII spazio intercostale. Irrora i linfonodi ascellari, il muscolo dentato anteriore e i muscoli intercostali. Nella donna ha calibro notevole ed emette rami mammari esterni che circondano il margine laterale del gran pettorale e raggiungono la mammella e la cute.

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originante a livello del margine inferiore del muscolo sottoscapolare. Termina sul margine ascellare della scapola, dove si divide in arteria

circonflessa della scapola e toracodorsale.

- L’arteria circonflessa della scapola ruota intorno al margine laterale della scapola, passando tra il capo lungo del tricipite brachiale, il muscolo piccolo rotondo e il grande rotondo, per giungere nella fossa sopraspinata dove si anastomizza con l’arteria trasversa del collo e con l’arteria trasversa della scapola.

- L’arteria toracodorsale discende lungo il margine ascellare della scapola fra i muscoli gran dorsale e dentato anteriore, parallelamente e al di dietro dell’arteria toracica laterale, fornendo i rami a questi muscoli.

- Arteria circonflessa posteriore dell’omero. Circonda il collo chirurgico dell’omero e termina con un ramo discendente che si anastomizza con l’arteria profonda del braccio.

- Arteria circonflessa anteriore dell’omero. Origina a livello del margine inferiore del muscolo sottoscapolare, per portarsi dietro al muscolo coracobrachiale e al capo lungo del bicipite e raggiungere il solco bicipitale, dove emette un ramo per la testa dell’omero.

Sistema venoso

Le vene si associano alle rispettive arterie portandosi ai principali tronchi venosi (ascellare, succlavia, azygos).

Vena azygos6. È una vena impari che drena il sangue refluo dalle pareti del torace,

dal midollo spinale e da alcune strutture del mediastino posteriore. Origina sotto al diaframma come prosecuzione diretta della vena lombare ascendente destra, che la mette in comunicazione con la vena iliaca comune. Entra nella cavità toracica passando tra i pilastri mediale destro e intermedio del diaframma. Nel

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mediastino posteriore decorre cranialmente a destra dei corpi vertebrali, davanti alle arterie intercostali destre, a destra dell’aorta e del dotto toracico e dietro l’esofago. A livello della IV vertebra toracica si dirige in avanti e descrive un arco, scavalcando il bronco principale destro per raggiungere la parete posteriore della vena cava superiore, al limite tra la porzione intra ed extra pericardica. I rami affluenti della vena azygos sono distinti in rami parietali e rami viscerali.

Rami parietali. Sono le vene intercostali, la vena intercostale suprema destra, la

vena emiazygos, la vena emiazygos accessoria.

Rami viscerali. Sono le vene bronchiali posteriori, le vene esofagee, le vene

mediastiniche e le vene freniche superiori.

Ci soffermeremo ora sui rami più importanti per la nostra trattazione.

Vene intercostali. Sono 12 per lato; a destra le prime due o tre confluiscono nella

vena intercostale suprema e le ultime nove o dieci sboccano separatamente nella vena azygos, mentre a sinistra si gettano nella vena emiazygos o nella emiazygos accessoria. Originano dalla confluenza del ramo intercostale propriamente detto e del ramo dorso spinale, che raccoglie sangue dalla cute e dai muscoli del dorso, dalle vertebre, dalle meningi e dal midollo spinale. Anteriormente il ramo intercostale propriamente detto comunica con la vena toracica interna. Nei primi 6-7 spazi sono presenti vene anastomotiche, dette vene costoascellari, che mettono in comunicazione le vene intercostali con la vena ascellare.

Vena intercostale suprema destra. Delle vene intercostali destre, le prime 2-3

confluiscono in un tronco comune, la vena intercostale suprema destra, tributaria della vena azygos.

Vena toracica (o vena mammaria interna)6. È una vena pari che origina dalla

confluenza delle vene epigastriche superiori e delle vene muscolofreniche. Rami affluenti sono le radici delle prime 9-10 vene intercostali anteriori, rami sternali, perforanti ed alcune mediastiniche. Tramite connessioni tra le vene epigastriche

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superiori e le vene epigastriche inferiori costituisce una via di comunicazione tra i sistemi della vena cava superiore e della vena cava inferiore.

Vena ascellare6. Si forma in corrispondenza del margine inferiore del muscolo

gran pettorale per la confluenza delle due vene brachiali e termina a livello della I costa dove diviene vena succlavia. Decorre nel cavo ascellare, prima medialmente all’arteria, con l’interposizione del nervo mediano e del nervo ulnare, poi ventralmente ad essa. Connessioni con la fascia coracoclavicolare la mantengono beante. Riceve tutto il sangue refluo dall’arto superiore ed è da considerare la vena distrettuale di raccolta del circolo venoso dell’arto superiore. A livello ascellare drena parte della regione della spalla e del torace (articolazione scapolo-omerale, muscoli della spalla e toracoappendicolari, linfonodi ascellari, cute della regione pettorale, mammella). I rami affluenti sono le vene satelliti dei rami collaterali dell’arteria ascellare e la vena cefalica.

Vena succlavia6. Drena sangue dalle regioni superiori del torace, dall’arto

superiore e da alcune strutture della testa e del collo. Inizia come prolungamento della vena ascellare. Si estende dal punto medio della clavicola all’articolazione sternoclavicolare, dove si unisce con la vena giugulare interna per formare il tronco venoso brachiocefalico del proprio lato.

1.1.3 Innervazione della ghiandola mammaria 8

L’innervazione è assicurata dai nervi intercostali, dal nervo toracico e da rami del plesso cervicale e brachiale.

Nervo toracico lungo. Innerva il muscolo dentato anteriore, decorre vicino alla

parete toracica, sul lato mediale dell’ascella. Il muscolo dentato anteriore fissa la scapola alla parete toracica durante l’adduzione della spalla e l’estensione del braccio. Durante la dissezione ascellare è importante preservare il nervo toracico lungo per prevenire la deformità della scapola alata.

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dirige nello spazio sotto la vena ascellare giungendo fino alla superficie mediale del muscolo grande dorsale. È generalmente preservato durante l’asportazione dei linfonodi ascellari.

I nervi sensoriali brachiali intercostali (o nervi brachiali cutanei) forniscono

sensibilità alla superficie del braccio superiore e alla cute della parete toracica, lungo il margine posteriore dell’ascella.

1.1.4 Drenaggio linfatico6

Il drenaggio linfatico della mammella ha un’importante rilevanza clinica per la diffusione metastatica del carcinoma mammario. I linfonodi ascellari ricevono il 75% della linfa proveniente dalla mammella. I vasi originano all’interno dell’organo da una rete perilobulare e dalla parete dei dotti galattofori, che comunica con la rete subareolare cutanea intorno al capezzolo. Nel decorso verso l’ascella i vasi linfatici ne circondano il margine anteriore, perforano la fascia ascellare e terminano in maggior numero nei linfonodi superiori del gruppo anteriore (pettorale o toracico). I linfatici profondi che provengono dai lobuli della ghiandola, sia nella parte mediale che laterale, passano attraverso i muscoli pettorale e intercostali, accompagnando i rami perforanti dell’arteria mammaria interna per penetrare in cavità toracica e terminare nei linfonodi sternali, satelliti dell’arteria toracica interna. Nel decorso attraverso gli spazi intercostali, questi linfatici si anastomizzano con i plessi linfatici provenienti dal fegato e dal diaframma. Possono essere presenti delle stazioni intermedie nel parenchima mammario o al di dietro, nella regione pettorale (linfonodi retropettorali o interpettorali). In caso di blocco delle normali vie di drenaggio, si può avere drenaggio per via superficiale all’ascella controlaterale, così come drenaggio retrogrado verso il fegato attraverso la catena linfonodale toracica interna.

Linfonodi ascellari6. Al linfocentro ascellare giungono i collettori linfatici

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della parete addominale dello stesso lato. Nel cavo ascellare distinguiamo cinque raggruppamenti linfonodali disposti in gruppi e catene situati lungo le pareti e convergenti verso l’apice della piramide ascellare; il gruppo apicale rappresenta il gruppo terminale e da esso originano i tronchi linfatici succlavi.

Figura 4 e 57. Illustrazione dei vasi linfatici e linfonodi della regione mammaria

- Gruppo laterale o brachiale: è in rapporto con la faccia mediale e posteriore della vena ascellare. Drenano la quasi totalità dei collettori linfatici superficiali e profondi dell’arto superiore. Le efferenze sono rappresentate dai linfonodi ascellari dei gruppi centrale ed apicale.

- Gruppo anteriore (o pettorale o toracico): si trovano nella parete mediale dell’ascella, dal II al VI spazio intercostale, addossato al muscolo dentato anteriore lungo il decorso dell’arteria toracica laterale. Raccolgono la maggior parte dei collettori linfatici provenienti dai tegumenti e dai muscoli della parete anterolaterale del torace, dalle regioni centrale e laterale della mammella, dalla cute e dai muscoli della regione sopraombelicale della parete addominale. Le efferenze sono i linfonodi ascellari dei gruppi centrale e apicale.

(20)

dell’ascella lungo il decorso dell’arteria sottoscapolare. Riceve i collettori linfatici che drenano la linfa dalla cute e dai muscoli superficiali della parete posteriore del torace, dalla regione scapolare e dalla parete posteroinferiore del collo. Le efferenze si portano ai linfonodi ascellari dei gruppi centrale ed apicale

- Gruppo centrale: si trova nel tessuto adiposo alla base dell’ascella e riceve collettori efferenti degli altri gruppi linfonodali. Le efferenze sono rappresentate dai linfonodi ascellari del gruppo apicale.

- Gruppo apicale o sottoclavicolare: si collocano nella parte superiore dell’ascella, dietro la porzione superiore del muscolo piccolo pettorale, medialmente alla vena ascellare. Drenano la linfa raccolta da altri gruppi linfonodali ascellari. Dal plesso costituito dai collettori efferenti di questo gruppo nasce il tronco linfatico succlavio, che si porta al confluente venoso giugulosucclavio.

1.2 CHIRURGIA RICOSTRUTTIVA

1.2.1 Evoluzione della ricostruzione mammaria8-12

"Our objective is not merely to stamp out disease but it is also to buoy the spirit of the afflicted." (G.Tagliacozzi)

Per lungo tempo la ricostruzione mammaria non è stata eseguita a seguito degli interventi oncologici a causa delle numerose difficoltà tecniche riguardanti l’abbondante trasferimento di tessuto cutaneo e sottocutaneo. Il primo tentativo si ebbe nel 1895 da parte di Vincent Czerny, che trasferì il tessuto derivante da un lipoma localizzato a livello di un fianco all’area della mastectomia.

Nel 1906 Iginio Tansini descrisse il lembo di muscolo gran dorsale (Latissimus

dorsi) per la ricostruzione mammaria, che fu dimenticato per diversi anni, per poi

essere rivalutato negli anni ’70 del secolo scorso.

(21)

espansori cutanei, di lembi compositi - sia peduncolati sia microchirurgici - e di protesi mammarie.

Più dell’80% delle pazienti sottoposte a mastectomia viene trattato con ricostruzione mammaria, la quale ha permesso di migliorare l’aspetto psicologico legato alla mutilazione subita, che ha un impatto drammatico sulla qualità di vita. Grazie alla diagnosi precoce spesso vengono eseguiti interventi di quadrantectomia, che rendono possibile, per la non estesa demolizione effettuata, ricostruzioni immediate basate sull’impiego di lembi scolpiti nel contesto del parenchima mammario residuo; tali lembi, opportunamente ruotati e rispettando la relativa vascolarizzazione ed innervazione, consentono di confezionare una neo-mammella, che ha il pregio di essere costituita da tessuti locali.

Generalmente le pazienti che non ricevono RT adiuvante vengono ricostruite con impianti protesici, mentre coloro che ricevono RT adiuvante sono candidate ad un intervento mediante tessuti autologhi.

Durante la procedura di ricostruzione della mammella devono essere affrontati

quattro aspetti:

- il ripristino dei tessuti cutanei e sottocutanei toracici; - la creazione del rilievo mammario;

- la ricostruzione del complesso areola-capezzolo (CAC);

- la simmetrizzazione della mammella ricostruita con la controlaterale. Le opzioni chirurgiche sono distinte in due gruppi principali: quelle che utilizzano

tessuti autologhi e quelle che richiedono materiale alloplastico.

I principali vantaggi dei tessuti autologhi risiedono nell’utilizzo di tessuti propri della paziente, nell’aspetto e nella sensazione naturale, nella migliore conservazione nel tempo, in una maggiore tolleranza alle radiazioni e nel fatto che sono permanenti. Lo svantaggio risiede nella maggiore complessità

(22)

dell’intervento, nei tempi operatori e di ricovero più lunghi. La ricostruzione con

materiali protesici è quella preferita dalle pazienti, essendo più rapida e semplice

e con una degenza breve; l’aspetto finale però appare meno naturale e inoltre è possibile lo sviluppo di complicanze tra cui la contrattura capsulare e la rottura, che richiedono il riposizionamento del dispositivo; inoltre l’impianto non tollera in maniera ottimale l’esposizione a radiazioni e non è permanente (l’età media è di circa 10 anni).

La selezione dipende da vari fattori tra cui le condizioni della cute e dei muscoli della parete toracica, l’età, l’habitus corporeo, la forma e le dimensioni della mammella controlaterale, la disponibilità di un sito donatore del lembo, una lunga storia di fumo, obesità, diabete, precedente RT sulla parete toracica oltre ai desideri della paziente e dall’esperienza dell’operatore. Ogni tipo di tecnica è associata a delle complicanze come la necrosi parziale o totale del lembo, la deiscenza della ferita chirurgica e l’infezione, in cui la problematica più importante è il ritardo dell’inizio della terapia adiuvante; per questo motivo ogni tecnica dovrebbe essere personalizzata sulla base delle caratteristiche della singola paziente.

1.2.2 Definizione di lembo e concetti anatomo-chirurgici essenziali I lembi possono essere peduncolati o liberi (microchirurgici).

Si definisce lembo un tessuto, un insieme di tessuti o una loro porzione trasferito o trapiantato da una sede “donatrice” ad una “ricevente”, il quale mantiene la propria vascolarizzazione all’interno del cosiddetto peduncolo vascolare.

Il “peduncolo” è quella porzione in cui sono presenti i vasi necessari al trofismo del tessuto.

Grazie alle tecniche microchirurgiche il peduncolo può essere interrotto, creando un’anastomosi tra i vasi dello stesso e quelli del sito ricevente, ottenendo un trapianto di tessuto. Si parla in questo caso di lembo libero.

(23)

A livello mammario l’anastomosi solitamente è creata tra l’arteria e la vena del peduncolo con i vasi mammari interni o toracodorsali.

Per comprendere meglio la funzionalità dei lembi è opportuno considerare alcune strutture anatomiche che ne fanno parte.

Il plesso fasciale è una struttura importante per la vitalità di alcuni lembi e dal punto di vista anatomico può essere distinto in fascia superficiale e fascia profonda.

La fascia superficiale è una struttura lassa costituita da tessuto connettivo, che unisce il derma con lo strato esterno della fascia profonda e contiene tessuto adiposo sottocutaneo, la mammella e muscoli come il platisma, il palmare breve della mano e il dartos.

La fascia profonda invece è una struttura più rigida di tessuto connettivo, caratterizzata da uno strato esterno e uno interno. Riveste la superficie corporea e i muscoli, dando origine ai setti intermuscolari ed intramuscolari che si continuano con lo scheletro a livello del periostio. Sono strutture di notevole rilevanza in quanto offrono un sostegno importante per i principali tronchi vascolari.

Una delle basi fondamentali per la creazione di lembi neuro-cutanei con un peduncolo neuro-vascolare è la presenza di una stretta relazione tra le strutture vascolari e nervose.

Vasi cutanei. La vascolarizzazione cutanea è fondamentale per comprendere le

basi dei lembi cutanei. Nella prima classificazione (Spalteholz 189313) erano distinti vasi dominanti, principali responsabili dell’irrorazione di una specifica area e vasi supplementari, con un ruolo meno importante.

Successivamente tale classificazione venne modificata sulla base della scoperta dei lembi perforanti.

Si definisce arteria perforante un vaso che vascolarizza i tessuti cutanei dopo aver vascolarizzato la fascia profonda. Esistono delle perforanti dirette e indirette.

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Le arterie perforanti dirette sono molto sviluppate negli arti inferiori e sono responsabili dell’irrorazione primaria della cute. Sono vasi di grosse dimensioni che decorrono nel contesto delle strutture connettivali profonde e perforanti la fascia profonda.

Le arterie perforanti indirette invece prima di perforare la fascia profonda, penetrano nei tessuti profondi; possono in parte essere responsabili del trofismo primario di alcune aree, come nel caso delle perforanti miocutanee delle arterie toracica interna, intercostali, epigastrica inferiore profonda oppure possono essere vasi di minore importanza.

Nella maggior parte dei casi si tratta di arterie perforanti indirette miocutanee, le quali sono alla base dei lembi perforanti miocutanei (lembo cutaneo scolpito su una perforante muscolocutanea e non un lembo costituito da cute e muscolo). È possibile identificare mediante l’ausilio dell’Eco color doppler tale perforante prima di allestire tali lembi.

Esistono anche arterie perforanti indirette non muscolari, che attraversano tessuti non muscolari prima di perforare la fascia profonda (ad esempio i lembi

neuro-cutanei).

La figura 613. Illustra schematicamente un vaso perforante diretto sottocutaneo(B) e vari

vasi perforanti indiretti (C) che perforano precocemente(A) o tardivamente (D) il muscolo

Infine, poiché i vasi diretti alla cute sono fortemente interconnessi tra di loro, la stessa area di cute e sottocute può essere scolpita come lembo cutaneo, lembo

(25)

fascio-cutaneo, lembo setto-cutaneo, lembo miocutaneo o perforante, differenti

per dimensioni, zona di ingresso delle arterie perforanti e tecnica di dissezione. 1.2.3 Classificazione dei lembi

Nel corso del tempo si sono susseguite numerose classificazioni riguardo i lembi.

Classificazione sulla base del tessuto utilizzato13. Teoricamente ogni tessuto può

essere utilizzato, mantenendo un’opportuna vascolarizzazione e rispettando i confini definiti dagli angiosomi superficiali e profondi.

Possiamo dunque distinguere vari tipi di lembi: - lembi cutanei

- lembi muscolari - lembi fasciali

- lembi ossei e cartilaginei - lembi adipo-fasciali

- lembi osteo-muscolari, lembi mio-cutanei, lembi osteo-mio-cutanei - lembi fascio-cutanei

Classificazione in base alla localizzazione o alla sede di origine.

- lembi locali - lembi regionali - lembi a distanza - lembi liberi

Classificazione in base all’apporto vascolare10.

- lembi “random”: sono lembi perfusi da piccoli ed anonimi vasi. La loro sopravvivenza è limitata dal rapporto tra lunghezza e larghezza, motivo per cui non possono essere presi in considerazione per la riparazione di difetti estesi, ma solo in caso di piccoli difetti corporei. Sono definiti “random” in quanto il chirurgo non può sapere con certezza se è presente un numero

(26)

sufficiente di vasi, orientati longitudinalmente, che garantiscano la sopravvivenza del lembo. Hanno solitamente un rapporto base/lunghezza di 1:2; questi parametri piuttosto rigidi sono rispettati a livello del volto dove l’elevata pressione di perfusione consente di raggiungere rapporti di 1:5, mentre risultano più scarsi a livello degli arti.

- lembi assiali: sono lembi con un pattern vascolare definito, esteso longitudinalmente lungo il lembo ed esteso oltre la sua base. Il primo lembo assiale (lembo delto-pettorale) è stato descritto decine di anni fa e grazie all’evoluzione delle conoscenze anatomo-vascolari e alla loro ottima affidabilità, questi sono quelli di prima scelta per la copertura di difetti di moderate ed estese dimensioni.

Le dimensioni del lembo sono legate all’estensione dell’asse vascolare perciò è possibile abolire o ridurre le dimensioni della base cutanea del lembo mantenendo integro il peduncolo. In questo modo si aumenta la possibilità di rotazione del lembo stesso.

I lembi assiali possono essere:

- lembi assiali a flusso anterogrado. Sono i lembi in cui il flusso arterioso è in senso prossimo-distale rispetto alla pompa cardiaca.

- lembi assiali a flusso retrogrado o reverse. Sono i lembi in cui il flusso arterioso è in senso disto-prossimale rispetto alla pompa cardiaca. Un esempio è rappresentato dal lembo radiale invertito, in cui l’asse vascolare è dato dall’arteria radiale, sezionata prossimalmente rispetto al gomito; essa viene perfusa in senso retrogrado grazie alle anastomosi a livello palmare con l’arteria ulnare.

(27)

Figura 713. Classificazione dei lembi in base alla vascolarizzazione

Classificazione in base alla mobilizzazione13.

- lembi di avanzamento. Sono lembi mobilitati direttamente verso l’area del difetto senza rotazioni o movimenti laterali. Nel caso dei lembi cutanei riconosciamo due tipi di lembi di avanzamento:

• lembo a peduncolo singolo, costituito da cute e sottocute, di forma quadrata o rettangolare, che è stirato in avanti grazie all’elasticità cutanea o all’escissione dei triangoli di Burow. Tali triangoli consentono di massimizzare l’estensione del lembo tra i suoi lati ed i margini della ferita.

• Lembi di avanzamento V-Y. Sono applicabili in numerose situazioni procedendo mediante l’esecuzione di un’incisione a V sulla cute, dopodichè la cute di ogni lato è avanzata e suturata a Y.

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I lembi di rotazione, trasposizione e interpolazione sono accomunati dalla presenza di un punto di pivot e di un arco di rotazione attorno a cui il lembo è ruotato13. Il raggio dell’arco rappresenta la linea di massima tensione del lembo.

- lembo di rotazione. È un lembo semicircolare che viene ruotato attorno a un pivot verso il difetto da riparare.

- lembo di trasposizione. È un lembo rettangolare o quadrato che è ruotato attorno a un pivot e trasposto verso un difetto adiacente.

- lembo di interpolazione. È simile al lembo di trasposizione, ma la base del lembo non è adiacente al sito ricevente.

Figura 913. Lembo di trasposizione utilizzato per riparare un difetto della regione

anteriore della guancia. (A) un singolo difetto può essere riparato mediante un singolo lembo, seguendole linee cutanee. (B) difetti più ampi possono essere trattati

utilizzando doppi lembi di trasposizione, mediante un lembo retro-auricolare che serve per riparare il difetto lasciato dal lembosulla guancia

Classificazione in base alla forma13. È poco utile dal punto di vista clinico; i

lembi possono essere piani o tubulati. I piani possono essere triangolari, romboidali, rettangolari etc. , mentre i tubulati sono lembi a distanza bi-peduncolati.

Classificazione in base al peduncolo. Riconosciamo lembi a peduncolo temporaneo e lembi a peduncolo permanente, se questo viene reciso o meno

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vascolare e inoltre possiamo distinguere lembi mono o bi-peduncolati e lembi

liberi microvascolari. Lembi fascio-cutanei14

Esistono vari sistemi di classificazione.

Classificazione di Cormack & Lamberty: si basa sull’origine dei vasi che

perfondono il plesso fasciale e distingue 3 tipi principali:

Type A: multiple feeders Type B: solitary Type C: segmental

Figura 1013. Classificazione di Cormack & Lamberty

- Tipo A: lembo che ha molti “rifornitori” fasciali o perforanti, i quali non richiedono una specifica identificazione, come nel caso del lembo “random”;

- Tipo B: lembo che contiene un grande e unico perforante setto-cutaneo; - Tipo C: la perfusione di questo lembo è dovuta a multipli vasi perforanti

setto-cutanei, di dimensioni decrescenti, originanti da un vaso madre che deve essere incluso durante l’elevazione del lembo.

Classificazione di Mathes & Nahai15. È simile alla precedente e distingue i lembi

sulla base del tipo di perforanti.

Classificazione di Nakajima15. Suddivide i lembi fascio-cutanei in 6 tipi, ognuno

(30)

- tipo I: lembi cutanei diretti;

- tipo II: lembi diretti setto-cutanei, analoghi al tipo B della classificazione di Cormak & Lamberty;

- tipo V: lembi perforanti setto-cutanei, analoghi al tipo C della Cormak & Lamberty;

- tipo VI: lembi simili ai classici lembi mio-cutanei.

Nakajima et al. hanno descritto i due restanti tipi di lembi ovvero il tipo III ed il

tipo IV, rispettivamente come lembo basato “su un ramo cutaneo perforante di un vaso muscolare” e lembo basato “su una branca cutanea diretta di un vaso muscolare”.

Lembi muscolari13, 15

In molte situazioni i lembi muscolari hanno soppiantato l’utilizzo dei lembi fascio-cutanei per la riparazione dei difetti dei tessuti molli. Teoricamente ogni muscolo, in toto o parzialmente, può essere utilizzato come lembo. La circolazione muscolare è basata sulla presenza di specifici peduncoli che penetrano nel muscolo tra la sua origine e la sua inserzione. Tali peduncoli sono costituiti da un’arteria e da una o due vene associate. La posizione, il numero e la dimensione del peduncolo vascolare influenzano sia la probabilità di sopravvivenza del lembo sia la sua conformazione.

Possiamo distinguere peduncoli dominanti, fondamentali per la sopravvivenza del lembo, peduncoli non dominanti, la cui sezione non mette a rischio la vitalità del lembo ed infine peduncoli secondari, caratterizzati da multipli e piccoli vasi segmentari che garantiscono il trofismo del lembo a seguito della sezione del vaso principale.

Sono descritti 5 pattern di vascolarizzazione secondo la classificazione di Mathes

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• Tipo I: peduncolo vascolare singolo. Il lembo può essere elevato su un singolo peduncolo come nel caso dei muscoli abduttori minimi delle dita, abduttore breve del pollice, gastrocnemio, genioglosso, tensore della fascia lata.

• Tipo II: peduncolo/i vascolari dominanti e peduncolo/i vascolari minori. È questo il caso degli abduttori minimi delle dita dei piedi, brachioradiale, coracobrachioradiale, gracile e bicipite femorale, che sono caratterizzati da un peduncolo dominante e da peduncoli secondari.

• Tipo III: sono lembi costituiti da due peduncoli dominanti come il muscolo piccolo pettorale, il retto dell’addome, il serrato e il temporale. • Tipo IV: sono lembi caratterizzati da peduncoli vascolari segmentali,

generalemente di uguale dimensione, che entrano nel muscolo lungo il suo decorso. È possibile la divisione di due o più peduncoli per la trasposizione di una parte del muscolo come lembo. Esempi sono rappresentati dal muscolo obliquo esterno, sartorio e tibiale anteriore. • Tipo V: peduncolo vascolare dominante e peduncoli vascolari secondari

segmentali. In questo caso il peduncolo dominante provvede alla perfusione muscolare in maniera pressochè completa, ma al contempo sono presenti peduncoli secondari che entrano nel muscolo dal lato opposto al dominante. Questi possono supportare il lembo in caso di divisione del lembo dominante. Per questo motivo il lembo può sfruttare entrambi i tipi di circolazione. Muscoli con questo pattern sono il muscolo gran dorsale (Latissimus dorsi), l’obliquo interno e il gran pettorale.

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Type I Type II Type III Type IV Type V

Figura 1114. Classificazione secondo Mathes & Nahai. Tipo I m. gastrocnemio;

Tipo II m. trapezio; Tipo III m. serrato anteriore; Tipo IV m. tibiale anteriore; Tipo V m. obliquo interno

Classificazione di Taylor. Questa classificazione distingue i lembi muscolari sulla

base della loro innervazione, come possiamo evincere dalla figura sottostante.

1.LDF 2.Vasto laterale 3. Sartorio 4. Retto dell’addome Figura 1215. 1. Un unico nervo ramificato penetra nel muscolo. 2. Singolo nervo che si

ramifica prima di entrare nel muscolo. 3. Multiple branche derivanti dallo stesso tronco nervoso. 4. Branche multiple derivanti da più tronchi nervosi

Arco di rotazione13

Tutti i lembi mio-cutanei e muscolari sono caratterizzati dalla presenza di un rigido arco di rotazione quando devono essere trasferiti sottoforma di lembi

(33)

peduncolati. La distanza dal punto in cui il peduncolo entra nel lembo e la porzione distale del lembo stesso definisce la sua capacità. Generalmente il lembo è elevato o dalla sua origine o dalla sua inserzione ed è mobilizzato sul peduncolo dominante. L’arco di rotazione può essere aumentato mobilitando in maniera progressiva il peduncolo o sezionando il punto di inserzione del muscolo a livello dell’entrata del peduncolo.

Lembi liberi13. I lembi liberi rappresentano la naturale estensione dei lembi assiali

miocutanei o muscolari. Come già esposto in precedenza, i lembi peduncolati sono limitati dall’arco di rotazione, mentre l’utilizzo con tecniche miscrovascolari di tessuto libero amplia notevolmente le possibili applicazioni chirurgiche. I motivi per cui è spesso preferibile utilizzare lembi liberi sono essenzialmente quattro:

- Superare limitate opzioni “regionali” come nei difetti a livello della tibia distale o nella regione pedidia.

- L’estensione del difetto è maggiore di un piccolo difetto regionale.

- Quando l’utilizzo di un muscolo altera la funzione di un determinato distretto è possibile utilizzare un muscolo distante per non compromettere l’outcome.

- In caso di infezioni o copertura di protesi, se la ri-elevazione del lembo è semplice.

La preparazione del lembo è analoga alla procedura standard di trasposizione regionale.

Lembi perforanti13. I lembi perforanti, pur essendo molto complessi da allestire,

limitano la perdita funzionale e la morbidità al sito donatore associate ai lembi miocutanei. I vasi assiali muscolari spesso originano delle perforanti dirette alla cute e ai tessuti sottocutanei. Tali vasi possono essere accuratamente dissecati dal

(34)

muscolo circostante per produrre un lembo perforante cutaneo diretto. Questi lembi perforanti sono lembi cutanei basati su vasi come i toracodorsali, l’arteria epigastrica inferiore profonda e i vasi glutei superiori; sono ampiamente utilizzati per la ricostruzione mammaria, ma possono essere presi in considerazione per trattare tutte le regioni corporee.

Figura 1310. Lembo perforante TRAM

(lembo trasverso Miocutaneo di muscolo retto

dell’addome) anastomizzatocon i vasi mammari interni

Lembi combinati13. I lembi combinati vengono utilizzati quando sono necessari

una grande quantità di tessuto o più tessuti da porre in una particolare posizione o con un determinato orientamento. Invece di utilizzare più lembi peduncolati o lembi liberi per ottenere una determinata ricostruzione, è preferibile impiegare

lembi combinati (o chimerici).

I lembi congiunti sono lembi individuali con il proprio territorio vascolare che sono uniti ad un “ponte” di tessuto molle che ne permette l’allargamento e l’inclusione di numerosi territori vascolari. Un esempio di questo è il “bridging” tra un lembo esteso di latissimus dorsi con un lembo epigastrico inferiore superficiale, descritto per la prima volta da Harii et al. nel 1981. Questi lembi possono essere ruotati su entrambi i peduncoli, con uno dei due che viene anastomizzato microchirurgicamente per aumentare l’apporto ematico.

I lembi chimerici invece sono lembi che vengono totalmente separati l’uno dall’altro ma che restano connessi da un unico vaso comune. L’esempio classico è dato dal sistema sottoscapolare e dal sistema circonflesso femorale laterale.

(35)

Tabella 114. Classificazione completa dei lembi

2. RICOSTRUZIONE MAMMARIA

1.1 Lembo di muscolo gran dorsale (Latissimus dorsi)10, 16

Il lembo di muscolo gran dorsale è stato introdotto da Iginio Tansini nel 1906 per la riparazione di difetti conseguenti a procedure di mastectomia. Inizialmente non accolto da grande successo, fu nuovamente descritto da Olivari17 nel 1976 per la riparazione di ulcere da radiazioni ionizzanti sulla parete del torace. Boswick, nel 1978, seguendo l’idea di Olivari pensò all’utilizzo di questo lembo per la ricostruzione mammaria.

Parallelamente al miglioramento delle procedure microchirurgiche si ebbe un ulteriore sviluppo di questa tecnica, giungendo al suo utilizzo come lembo libero miocutaneo.

Tale lembo, sia libero sia peduncolato, rappresenta uno dei più impiegati nella chirurgia ricostruttiva, caratterizzato da vasi di grosso calibro e da un lungo e affidabile peduncolo vascolare.

Può essere elevato come lembo muscolare, lembo miocutaneo o lembo osteomiocutaneo per la riparazione di difetti in numerose aree corporee.

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Il lembo scolpito può avere una larghezza di 20x35 cm, ma sono possibili numerose combinazioni con altri lembi, derivanti dal sistema sottoscapolare, che permettono di riparare simultaneamente più difetti mediante l’utilizzo di più lembi basati su un singolo peduncolo. Nella maggior parte dei casi la procedura prevede l’associazione di un espansore, per raggiungere cosí un adeguato volume del seno.

2.1.1 Anatomia regionale del muscolo gran dorsale

Figura 1418. Vascolarizzazione del lembo Axillary a. 2.Subscapular a. 3. Thoracodorsal a. 4.Circumflex scapular a. 5.Lateral branch of thoracodorsal a.

Il muscolo gran dorsale rappresenta l’immagine speculare del muscolo gran pettorale presente sulla parete anteriore del torace.

È un muscolo triangolare e piatto con un’ampia origine aponevrotica (lamina posteriore della fascia toracolombare), che si estende dai processi spinosi di T7-T12, L1-L5 e delle vertebre sacrali alla cresta sacrale media e al labbro esterno del terzo posteriore della cresta iliaca. I suoi fasci si portano in alto e lateralmente, passando dorsalmente alle ultime quattro coste e si inseriscono sulla cresta del tubercolo minore dell’omero e, passando sul solco intertubercolare, dopo aver ruotato di 180 gradi attorno al muscolo grande rotondo (teres major), a livello ascellare. La sua lunghezza è di 38 cm, la larghezza 20 cm e lo spessore è 0,8 cm. La porzione supero-mediale del muscolo è coperta dal muscolo trapezio, mentre nelle parti restanti si fa più superficiale. Esso copre in parte il muscolo paraspinale e la maggior parte del serrato anteriore.

(37)

Nella porzione centrale si inserisce sulla X, XI e XII costa e sulle fibre che si interdigitano con le fibre del muscolo serrato anteriore.

Funzioni. Il muscolo gran dorsale svolge numerose funzioni quale estensore, adduttore e rotatore interno dell’omero. Spinge l’angolo inferiore della scapola contro la parete toracica e stabilizza ed eleva la pelvi quando gli arti inferiori sono portati in avanti. Si attiva durante l’atto della tosse e inoltre permette di portare l’arto posteriormente.

2.1.2 Vascolarizzazione del lembo di m. gran dorsale e sue variazioni16

Il muscolo gran dorsale è caratterizzato da un peduncolo dominante (arterie e vena toracodorsali) e da una vascolarizzazione secondaria, che deriva dai vasi perforanti intercostali posteriori.

L’arteria toracodorsale origina dall’arteria sottoscapolare, dopo 2-3 cm dalla sua origine, nella terza porzione dell’arteria ascellare, insieme alle arterie circonflesse scapolari. Nel 30% dei casi l’arteria sottoscapolare può originare dall’arteria ascellare come tronco comune con l’arteria circonflessa posteriore dell’omero, mentre nel 3% origina direttamente dall’ascellare.

L’arteria toracodorsale prima di entrare nel muscolo gran dorsale può staccare fino a 3 rami per il muscolo serrato anteriore, come si verifica nel 75% dei casi. Questi vasi divengono importanti nel caso in cui una parte del muscolo serrato venga utilizzato come parte di un lembo chimerico o per fornire trofismo al muscolo gran dorsale quando l’arteria toracodorsale viene sezionata, durante la dissezione ascellare, in corso di mastectomia. Un’altra possibile risorsa per il LD è rappresentata dai vasi circonflessi della scapola e dai vasi scapolari dorsali.

(38)

I vasi perforanti miocutanei, che penetrano nel muscolo gran dorsale, originano quasi interamente dalla branca laterale dell’arteria toracodorsale e da 2 a 5 cm posteriormente al margine laterale del muscolo.

Possono essere in numero variabile da 1 a 5 e hanno un calibro decrescente. La prima perforante, che è quella di dimensioni maggiori, origina circa 3 cm sotto l’origine dei vasi toracodorsali ed è presente nel 95% dei casi. La seconda origina 3 cm al di sotto della precedente ed è presente nell’80% dei casi. La terza origina più distalmente ed è presente nel 55% dei casi.

Variazioni nelle branche del fascio neurovascolare toracodorsale18

Seguendo l’immagine sottostante (fig. 16) possiamo osservare due tipi di pattern: - tipo A: pattern classico (85% dei casi)

- tipo B: branca mediale non identificabile, ma la branca laterale stacca numerosi piccoli vasi che decorrono in senso latero-mediale (14% dei casi).

Figura 1518. Variazioni delle branche del fascio neurovascolare

e anatomia delle perforanti muscolocutanee

Variazioni dell’arteria e della vena sottoscapolare18. La figura 17 illustra la variabilità anatomica del circolo sottoscapolare.

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- A: pattern classico: (85%);

- B: l’arteria circonflessa della scapola (7) origina direttamente dall’arteria ascellare (4% dei casi);

- C: la vena circonflessa della scapola (8) origina direttamente dalla vena ascellare (12% dei casi);

- D: due vene (8) circonflesse (14% dei casi); - E: due arterie (7) circonflesse (8% dei casi);

Figura 1618. Variations of the subscapular artery and vein. 1. Axillary a. 2. Axillary v. 3. Subscapular a. 4. Subscapular v. 5. Thoracodorsal a. 6. Thoracodorsal v. 7. Circumflex scapular a. 8. Circumflex scapular v.

Anatomia dell’arteria angolare e sue variazioni18

L’arteria angolare origina dall’a. toracodorsale nel 50% dei casi, mentre nel restante 50% origina dalla branca per il muscolo serrato. Il lembo di muscolo gran dorsale può essere combinato con una porzione della scapola e con l’arteria angolare per generare un lembo composito.

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Figura 1718 anatomia e variazioni dell’arteria angolare

1.Thoracodorsal a. 2. Angular a. 3. Serratus branch

Anatomia venosa regionale16, 18

Vena toracodorsale. Generalmente origina dalla vena sottoscapolare. Sono presenti variazioni anatomiche nel 3-5% dei casi.

La vena sottoscapolare ha un calibro di 9 mm e una lunghezza di circa 2 cm. Decorre con l’arteria sottoscapolare, ma talvolta l’arteria origina prima della vena e si trova nell’ascella, parallelamente e inferiormente al margine del muscolo gran dorsale, mentre la vena circonflessa della scapola generalmente si continua in essa.

A livello del margine inferiore del muscolo sono presenti numerose arcate venose connesse al muscolo serrato anteriore, che devono essere dissecate quando il lembo viene elevato.

La parte infero-mediale del muscolo è drenata dal sistema venoso intercostale e lombare. Inoltre anche la vena circonflessa della scapola può provvedere a un drenaggio secondario del lembo.

La problematica però risiede nel fatto che, mentre a livello arterioso l’inversione del flusso è semplice da ottenere e vengono perfuse anche le porzioni più periferiche del muscolo, a livello venoso è complesso ottenere un buon drenaggio della regione inferiore nel sistema toracodorsale.

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Il risultato è che tali lembi muscolari mostrano sofferenza venosa nella parte distale, che può esitare nella perdita del lembo. Questo non si verifica invece nel caso di lembi miocutanei, in cui il deficit venoso è vicariato dalla presenza di una rete venosa sottocutanea efficiente.

Figura 1816. Circolazione arteriosa del muscolo LD

2.1.3 Innervazione del lembo16

- Il nervo toracodorsale origina dal tronco posteriore del plesso brachiale e accompagna il peduncolo vascolare latero-inferiormente, dividendosi in una branca mediale e in una laterale.

- Il nervo toracico lungo è strettamente connesso alla fascia del muscolo serrato nella porzione inferiore, mentre la parte superiore è connessa in modo blando solo nel punto di passaggio a livello della regione ascellare.

- I rami cutanei dei nervi intercostali e i rami laterali delle radici posteriori invece provvedono alla sensibilità della parte laterale del tronco. Nella figura sottostante (fig.19) possiamo osservare la distribuzione dell’innervazione sensitiva del lembo di LD18.

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Fig. 1910. Innervazione del dorso

2.1.4 Considerazioni e indicazioni16, 18-20

Il lembo di LD rappresenta un’ottima scelta per la ricostruzione mammaria, sia essa immediata o differita, essendo ben vascolarizzato, stabile e semplice da allestire. È inoltre ampiamente utilizzato per le ricostruzioni microchirurgiche e può essere scolpito come lembo muscolare, miocutaneo, osteomiocutaneo o perforato (TDAP).

È ottimale nelle pazienti che hanno: - esiti di radioterapia;

- gravi esiti cicatriziali o distrofia, discromia cutanea o distrofia grave del sottocute;

- assenza/incompletezza del piano (assenza di uno o entrambi i muscoli pettorali per una precedente mastectomia, mancanza del pilastro ascellare, malformazioni)

- insuccesso di una precedente ricostruzione o in coloro che non possono essere sottoposti a una ricostruzione con lembo DIEP o TRAM per controindicazioni specifiche (età avanzata, obesità, precedente intervento ricostruttivo con lembo TRAM o esiti di addominoplastica e cicatrici a livello addominale).

I criteri selettivi sono:

- condizioni generali e locali; - costituzione magra;

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