anton von maron e
angelica kauffmann
ritrattisti europei per i genovesi alla moda
a cura di Gianluca Zanelli testi di Clario Di Fabio Luca Leoncini Daniele Sanguineti Gianluca Zanelli scalpendi editore
In copertina
Anton von Maron, Ritratto di Maria Francesca (Cicchetta) Durazzo, partico-lare, 1792, Genova, Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola. Anton von Maron e Angelica Kauffmann. Ritrattisti europei per i genovesi alla moda © 2018, Scalpendi editore, Milano ISBN: 9788899473907 Progetto grafico
© Solchi graphic design, Milano Montaggio Roberta Russo Caporedattore Simone Amerigo Redazione Manuela Beretta
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccani-co o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. Tutti i diritti riservati. L’editore è a disposizione per eventuali diritti non riconosciuti. Prima edizione: dicembre 2018 Scalpendi Editore S.r.l. Sede legale:
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Flavia Rocca, Emanuela Travo Attività di promozione e comunicazione Anna Manzitti
Attività didattica e percorsi di approfon-dimento
a cura di Matteo Moretti e Paola Cuneo I saggi contenuti nel volume sono stati sottoposti a doppia revisione anonima (Double-Blind Peer Review).
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© Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts © Genova, Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola e Galleria Nazionale di Palazzo Spinola
© Genova, Museo di Palazzo Reale © Genova, Musei di Strada Nuova © Genova, Palazzo Ducale (Giampaolo Cavalieri)
© Madrid, Museo Nacional del Prado © Milano, Il Ponte Casa d’Aste © Torino, Galleria Giamblanco © Torino, Musei Reali, Galleria Sabauda Le fotografie relative ai ritratti di pertinen-za delle collezioni della Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola e della Galle-ria Nazionale di Palazzo Spinola sono state realizzate da Daria Vinco (Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Genova e le province di Imperia, La Spezia e Savona). Ringraziamenti
La pubblicazione di questo volume è sta-ta sostenusta-ta da Arthemisia Arte e Cultura srl nell’ambito della collaborazione in-staurata in occasione dell’esposizione del Ritratto di Giovan Carlo Doria di Pieter Paul Rubens nella sede della mostra Van
Dyck, pittore di corte (Torino, Galleria Sabauda-Sale Palatine, 16 novembre-17 marzo 2019). Si ringraziano a riguardo: Iole Siena, Alessandra Caldarelli, Enrica Pagella, Anna Maria Bava.
Un sentito ringraziamento a quanti, nell’ambito del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, hanno seguito la pratica relativa all’acquisto coattivo all’esportazione del dipinto di Anton von Maron sino alla felice conclusione e in particolare il Comitato Tecnico Scientifico per le Belle Arti (Michela Di Macco, Annamaria Visser, Rosanna Cioffi, Maria Vittoria Marini Clarelli), il Servizio IV-Circolazione (Caterina Bon Valsassina, Maria Vittoria Marini Clarelli, Rosa Borrelli, Vilma Vitale), la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Genova e le province di Imperia, La Spezia e Savona (Vincenzo Tinè, Massimo Bartoletti, Franco Boggero, Nadia Campana, Paola Traversone). Si ringrazia la Direzione Generale Musei del Ministero per i Beni e le Attività Cul-turali, in particolare Antonio Lampis e An-tonio Tarasco, e il Comitato Scientifico di Palazzo Reale di Genova (Clario Di Fabio, Maria Clelia Galassi, Lauro Magnani e Antonio Pinelli).
Si desidera ringraziare inoltre il perso-nale della Galleria Nazioperso-nale di Palazzo Spinola.
Un sentito ringraziamento a: Raffaella Besta, Piero Boccardo, Marco Casamura-ta, Marcello e Sandra Cattaneo Adorno, Laura Cattoni, Lodovico Caumont Cai-mi, Giampaolo Cavalieri, Francesca De Cupis, Gerolamo e Roberta Etro, Simone Frangioni, Salvatore Giamblanco, Roberta Guidi, Deborah Lentini, Sara Lombardo, Alessandro Morandotti, Rossella Novarini, Luigi Pesce, Margherita Priarone, Marie Luce Repetto, Giovanna Sainaghi, Giulio Sommariva, Carla Stella, Aldo Zerbone, Clemente Zerbone.
© Museo Palazzo Reale Genova – Galle-ria Nazionale di Palazzo Spinola (coper-tina e testi)
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI PALAZZO REALE - GENOVA
Presentazione
Serena Bertolucci 5
Prima della tempesta.
Anton von Maron, i ritratti Cambiaso e le altre opere genovesi
Clario Di Fabio 15
Ritratti, politiche dinastiche e passioni culturali
degli ultimi Durazzo di Palazzo Reale
Luca Leoncini 45
«A Sua Eccellenza la Signora Cicchetta Durazzo Durazzo»:
Anton von Maron e l’omaggio di un ritratto
Daniele Sanguineti 65
Roma 1793. Angelica Kauffmann e Paolo Francesco Spinola
Gianluca Zanelli 81
Bibliografia
101
ria Francesca (1752-1812), che, per essere
andata in sposa al cugino Giuseppe
Ma-ria Durazzo (1743-1816), figlio di
Mar-cello II di Gabiano (MarMar-cellone), aveva
acquisito il ridondante cognome Durazzo
Durazzo, ingentilito dal diminutivo
ono-mastico di Cicchetta
4. Un matrimonio
endogamico che per un po’ servì a
raffor-zare il patrimonio e che si rivelò, a lunga
distanza, non poco utile, poiché Girolamo
Luigi – che a sua volta fu doge nel 1802
per volere di Bonaparte –, morì senza
ere-di
5. Ma la possibilità di dar corso a
un’u-nica linea dinastica sotto l’egida del ramo
di Gabiano e a beneficio del figlio della
coppia (ancora un Marcello), assicurò
solo per pochi anni l’unitarietà del
pa-trimonio – il grandioso palazzo di strada
Balbi (civico 10), le collezioni e la villa di
Albissola – dato che le sorgenti
economi-che andavano esaurendosi e la magnifica
quadreria progressivamente sguarnendosi
fino alla ben nota vendita dell’intero
pa-lazzo, nel 1824, ai Savoia
6.
[...] Cicchetta, quella mattina di giugno,
avvertì un inaspettato buon umore,
no-nostante i suoi risvegli dovessero
anco-ra confrontarsi con l’indomabile
ricor-do della notte in cui l’anziano padre – a
palazzo «contra S. Carlo» poco prima
Durante il soggiorno genovese, svolto tra
febbraio 1792 e maggio dell’anno
succes-sivo, Anton von Maron poté godere di
una rete di frequentazioni tessuta, più o
meno consapevolmente, da
Michelange-lo Cambiaso
1. Il doge in carica, attratto
dalle arti per il suo finissimo intelletto, fu
infatti l’artefice di uno specifico invito che
il pittore, considerate le difficoltà per i
ri-verberi in tutta Europa degli accadimenti
francesi e la penuria a Roma del
consue-to flusso di nobili avvenconsue-tori, accettò con
entusiasmo. L’ambiente genovese,
total-mente allineato – grazie a Carlo Giuseppe
Ratti e alle relazioni con Anton Raphael
Mengs (che di Maron era cognato) – al
classicismo di impronta accademica, era
certo al corrente del «grido delle [sue]
opere» che ne anticiparono la venuta
2.
Tra i più diretti sostenitori del doge si
annoveravano i Durazzo: Girolamo Luigi
(1739-1809), figlio di Marcello Giuseppe
(Marcellino), si era occupato, «per senno
proprio o per iscelta di buoni artisti», di
finanziare e dirigere l’allestimento di uno
dei trionfi per il banchetto
dell’incorona-zione nel salone del Maggior Consiglio,
mescolando «in leggiadro componimento
di imagini i meriti della famiglia ducale
agli onorevoli esempj di Roma antica»
3.
Girolamo Luigi aveva, tra le sorelle,
Ma-«
a sua eccellenza la signora cicchetta durazzo durazzo
»
:
anton von maron e l
’
omaggio di un ritratto
1. Anton von Maron, Maria Francesca (Cicchetta) Durazzo, particolare, 1792, Genova, Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola.
vità in campo artistico, delle teorizzazioni
formulate da Mengs e di quanto fosse un
privilegio potersi confrontare con i rutilanti
risultati raggiunti da Pompeo Batoni.
La stima si andava trasformando in
amicizia e l’amicizia in ammirazione per
un lavoro frenetico che, di commessa in
commessa, lo teneva costantemente
impe-gnato nella realizzazione di svariati
ritrat-ti. Maron, come un nuovo Van Dyck, stava
lanciando, in un periodo di forte crisi del
patriziato, l’immagine dei genovesi su una
ribalta internazionale. Per questo lei gli era
profondamente grata nonostante
dubitas-se che potesdubitas-se bastare per scongiurare la
fine di un’epoca. Il ritratto del doge
Cam-biaso, così moderno ma nel contempo
do-minato da un allure di regalità, era stato
il protagonista, attraverso le derivazioni a
mezzo busto
8, di una fitta divulgazione e
delle chiacchere salottiere. Ancor più
quel-lo, da lasciar senza fiato, della moglie Lilla
e della figlia Caterina, allacciate in un
ab-braccio sui sedili del giardino
9.
Proprio pochi anni prima Cicchetta, tra
le dame che accompagnarono alcuni
sele-zionati genovesi a Parma per
complimen-tarsi con i reali arciduchi di Milano, in
transito verso Antibes, aveva potuto
scam-biare opinioni con il futuro doge, anch’egli
presente, sulle sorti delle arti e in
partico-lare della ritrattistica, così importante sia
sul versante pubblico che privato, ma così
stagnante a Genova dopo i celebri modelli
francesi della prima metà del secolo
10.
Ri-cordava i racconti saporiti della zia Clelia
su quanto fosse difficile, già negli anni
qua-ranta, trovare a Parigi una valida
alternati-va a Hycinthe Rigaud e sul consiglio
elar-dell’ultimo Natale – spirò dopo
un’ago-nia infinita. Considerando il piacevole
tepore della giornata, aveva indicato alla
cameriera personale di preparare l’abito
leggero di lucente seta blu, quello con il
grande fiocco di raso a righe d’argento
da indossare con il fisciù di garza e pizzo,
incrociato à la Marie Antoinette, appena
giunto da Parigi. In fondo era stupita di
compiacersi per l’effetto di quel colore sul
suo incarnato, dato che da tempo era
con-sapevole della totale scomparsa del roseo
turgore che risiede solo sulle guance delle
giovinette. Ma la cipria, per ora, riusciva
a compensare, insieme alla gradazione dei
colori del cappello, attentamente scelto
per le ricadute cromatiche sul suo volto
maturo: quello selezionato sull’ultimo
numero del “Journal de la Mode et du
Goût” era magnifico, con la calotta
coni-ca di gusto inglese decorata da due lucenti
coccarde di nastro color melanzana,
per-fetto per la sua alta acconciatura (fig. 1).
Ma la solita cura riservata
all’abbiglia-mento era accentuata, quel giorno, per
l’attesa di un ospite, annunciato dalla sera
precedente: «A Sua Eccellenza la Signora
Cicchetta Durazzo Durazzo». La missiva,
che stava rileggendo, rispondeva, con i toni
più garbati e con la più amabile professione
di stima, a un invito da tempo formulato, e
fissava al primo pomeriggio, finalmente, la
visita di un amico di vecchia data.
Si trattava del cavalier Anton von Maron,
conteso dai salotti della città, con il quale,
negli ultimi mesi, aveva potuto intrattenere
brillanti conversazioni. Il pittore
vienne-se, che già l’aveva ritratta in gioventù
7, le
no-2. Anton von Maron, Maria Francesca (Cicchetta) Durazzo, particolare, 1792, Genova, Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola.
3. Anton von Maron, Maria Francesca (Cicchetta) Durazzo, 1792, Genova, Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola.
4. Giovanni David, Ritratto di dama (Maria Francesca Durazzo di Marcello Giuseppe?), da un dipinto di Anton van Maron (?), album di Casa Durazzo, foto 43, f. 63.
5. Anton Raphael Mengs, Maria Luisa di Borbone, granduchessa di Toscana, 1770, Madrid, Museo Nacional del Prado.
Quando il maggiordomo annunciò che
l’ospite aveva varcato la soglia della
grandiosa dimora «contra S. Carlo»
13,
Cicchetta si trovava nel suo salotto
pre-diletto, dove era solita ricamare, leggere o
scrivere, accanto ai fiori di stagione, come
consuetudine. Aveva fatto predisporre un
vassoio di frutta fresca: succose
albicoc-che, ciliegie e amarene, provenienti dai
frutteti di Albissola (fig. 2).
Quando la dama – dopo aver posato
il lino da ricamo e afferrato i guanti – si
alzò per accogliere il pittore, fece cadere a
terra la lettera di annuncio. Indirizzò uno
sguardo sincero verso di lui, invitandolo a
raggiungerla. Ignorava ancora la sorpresa
riservata dal cavaliere, il quale già aveva in
animo di annunciare all’amica, nel corso
del pomeriggio, l’omaggio di un ritratto.
Ma solo mentre avanzava verso di lei
Maron, che aveva portato con sé il
taccui-no per tracciare il volto della dama
duran-te la conversazione, capì che la
spontanei-tà di quel momento poteva suggerire
l’i-dea per un grande ritratto a figura intera,
il solo adeguato a ricambiare un’amicizia
antica e genuina come la frutta di
stagio-ne [...] (fig. 3).
Non sappiamo se le cose andarono
davve-ro così, ma gli elementi della
composizio-ne, tutti rivolti a esaltare l’ospitalità della
dama e il suo contesto domestico –
proiet-tato sullo sfondo repertoriale della
Lanter-na – farebbero pensare che il destiLanter-natario
fuori campo di quel gesto d’accoglienza
fosse stato proprio il pittore e che
dun-que la tela con l’effigie di Maria
France-sca Durazzo Durazzo
14, caratterizzata da
gito ad Agostino Lomellini, suo cicisbeo,
di sperimentare l’accademico Jean Louis
Tocqué
11. Certo Carlo Giuseppe Ratti
ave-va dimostrato ottime doti
12, ma di fatto era
chiaro che il suo interesse lo conduceva
al-trove, tra gli impegni in Accademia e quelli
di scrittura. Ora Maron, per quella stessa
élite di cui lei faceva parte, stava
compo-nendo ritratti magnifici, colmi di brani
squisiti che arricchivano l’insieme di una
rassicurante nota feriale.
Cicchetta, che da tempo non pensava alla
commissione di un ritratto – a suo giudizio
adatto a un pubblico femminile inferiore ai
trent’anni –, era oltremodo interessata alle
conversazioni sulle arti: di ciò si sarebbe
sostanziato il pomeriggio in compagnia del
pittore con l’addizione di una sorpresa che
lui aveva anticipato nella missiva.
6. Anton von Maron, Fanciulla di casa Rospigliosi, 1791, Roma, collezione privata.
una complessità assente negli altri ritratti
femminili dipinti in città durante quella
permanenza, potesse celare, a sua volta, la
natura di omaggio rivolto da Maron alla
dama, per altro dichiarato allusivamente
dall’intestazione della missiva
15. Inoltre è
possibile ritenere che i due già si
conosces-sero e che non fosse la prima volta che il
viennese la effigiasse. Un nucleo di ritratti
a sovrapporta, taciuto da Ratti nella guida
del 1780 per essere stato allestito
successi-vamente, fu descritto dall’autore della
De-scription del 1788 nella sala di Rubens del
Palazzo Durazzo «contra S. Carlo», dove la
dama, con ogni probabilità, già abitava
16:
oltre al ritratto dogale di Marcellino, padre
di Cicchetta, dipinto da Francesco Narici
17– che Ratti vide nella sala degli Arazzi –,
furono segnalati, in quella stessa
circostan-za, «deux portraits» del «Chevalier
Antoi-ne Maron», ossia due dipinti raffiguranti
«Mad. Françoise Durazzo, & de ses
en-fants, Marcellin, & Cleliete»
18. Si trattava
verosimilmente di due dipinti distinti e dal
formato adatto a sormontare un varco: se
così fosse, sarebbe lecito individuare
l’im-magine del ritratto di lei in uno dei fogli che
costituiscono l’album di Casa Durazzo
19,
in particolare in quello che presenta una
dama seduta, di tre quarti, su una
poltro-na à la reine con un cagnolino in grembo
20(fig. 4). L’abbigliamento e la capigliatura
rinviano senza dubbio agli anni settanta
del Settecento, mentre la composizione
pre-scelta dichiara un rutilante modello di
rife-rimento, ossia il ritratto che Mengs realizzò
a Maria Luisa di Borbone, granduchessa
di Toscana, nel 1770
21(fig. 5), ben noto a
Maron per averne cavato una copia
22. Del
ritratto effigiante i figli non si ha invece
nes-suna memoria grafica: tuttavia le ricerche
effettuate da Luca Leoncini in questa
oc-casione favoriscono l’ipotesi che davvero
sussistesse, poiché da Cicchetta nacque non
solo Marcello, nel 1777, ma anche Clelia
(finora sfuggita alle genealogia), nel 1782
23.
Dunque la tela con i bimbi, che ci
immagi-niamo non distante dallo schema
compo-sitivo impiegato più tardi dal pittore per il
Ritratto di fanciulla di casa Rospigliosi
24(fig. 6), potrebbe aver visto la luce in un
momento successivo al ritratto di lei
sedu-ta, probabilmente negli anni 1785-1788
circa. Quindi è necessario considerare
l’e-sistenza di altri interessanti episodi di
com-mittenza al pittore viennese antecedenti al
soggiorno del 1792-1793, che andrebbero
però distribuiti in momenti diversi. Infatti
l’immagine che evoca il ritratto perduto di
Cicchetta, giovane, seduta e con il tipico
simbolo di fedeltà (il cane), si presterebbe a
essere ricondotta in prossimità delle nozze
con Giuseppe Maria, celebrate nel 1770
25.
In tal modo non si potrebbe escludere che
Maron avesse scortato Mengs nella
brevis-sima sosta genovese avvenuta proprio in
quell’anno (ma neppure un soggiorno della
coppia di sposi a Roma)
26.
Tutto ciò avvalla ancor più l’ipotesi che
nel 1792 Maron volle omaggiare, dopo
anni di conoscenza, l’amica genovese,
or-mai matura.
Le qualità luministiche della grande tela
permettono di comprendere l’indice di
gra-dimento, espresso dai genovesi, verso
mo-dalità rappresentative di livello
internazio-nale, nel segno dell’ideale promulgato da
Mengs e dalla classica lezione batoniana.
7. Anton von Maron, Maria Francesca (Cicchetta) Durazzo, particolare, 1792, Genova, Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola.
so la Santa Sede
29(fig. 8). E di repertorio è
anche il riferimento alla Lanterna, simbolo
della città, tracciata nell’apertura marina di
destra in analogia, per atmosfera
cromati-ca e inquadratura, con lo stesso brano già
introdotto nel ritratto dogale riservato al
Cambiaso e in quelli effigianti Francesco
Maria Berio e Giorgio Gustavo Wrangler
30.
La lastronatura marmorea del pavimento,
con le screziature digradanti e la
luminosi-tà diffusa, offre un risalto al calpestio della
dama, dato che dalla parte inferiore della
veste, con le marezzature annegate
nell’om-bra, emerge, in piena luce, la punta di una
scarpetta color avorio, tocco finale di una
mise impostata sui toni freddi, dove i chiari
– dai bordi plissettati della cuffia alla garza
del fisciù – sono posti in risalto da una
pa-sta cromatica lucente come l’argento.
Della tela, taciuta dalla letteratura
pe-riegetica, non conosciamo i passaggi
ere-ditari. Si persero ben presto le tracce, fino
a quando comparve presso Matthiesen a
Londra (1987)
31. Prima di allora si
trova-va, come documenta la fotografia
d’am-biente scattata per un volume stampato
nel 1969 sulle case e le ville genovesi (fig.
9), in una camera della villa Saluzzo
Mon-giardino a Genova Albaro
32.
Il dipinto è stato acquisito dal
Ministe-ro per i Beni e le Attività Culturali tramite
l’esercizio dell’acquisto coattivo
all’espor-tazione nel 2018 e destinato alle
collezio-ni della Galleria Nazionale della Liguria a
Palazzo Spinola
33.
Ma senza dimenticare la tradizione. La
vi-sione diretta e approfondita dei capolavori
d’età barocca servirono al pittore, in quei
mesi trascorsi freneticamente tra
commis-sioni e visite alle quadrerie
27, per cogliere
spunti da offrire ai genovesi in chiave
evo-cativa: nei ritratti realizzati nel corso del
1792 si nota, non a caso, l’accentuazione
dell’eleganza e la saturazione della
tavo-lozza, mentre in quelli di grande formato
la scena è enfatizzata da colonne, loggiati
e rubensiani drappi scostati
28. Se il campo
visivo risponde a un’ambientazione aulica,
l’oggettistica sparsa sul tavolo in studiato
disordine evoca la dimensione domestica e
feriale della dama (fig. 3). Una pennellata
magistrale, che raggiunge esiti di un
reali-smo otticamente incisivo nella restituzione
della veste serica indossata da Cicchetta,
analizza tattilmente tutti i punti in cui la
luce, derivante da sinistra, riflette sulle
su-perfici o viene da esse assorbita, come nel
contrasto tra la doratura riflettente della
poltrona e le sfumature che suggeriscono
la compatta campitura di velluto in
pros-simità della seduta e dello schienale (fig. 7).
Una poltrona rispondente a una foggia in
vigore nella prima metà del Settecento e,
probabilmente, di repertorio dato che si
ritrova identica, anche nella tipologia dei
decori, a quella che compare nel grande
Ri-tratto del duca Paolo Gerolamo Grimaldi,
che Maron realizzò a Roma, tra il 1777 e
il 1779, quando il genovese svolgeva
l’inca-rico di ambasciatore del re di Spagna
pres-1 Cfr. il saggio di Clario Di Fabio in questo volume. Per il pittore: Petrucci 2010, I, pp. 279-282 (con bi-bliografia precedente); Schmittmann 2013; Cesareo 2014. Per una sintesi dell’attività genovese: Ciliberto 2000, p. 435; Sanguineti 2013, pp. 145-150; Di Fa-bio 2016, pp. 113-119.
2 Alizeri 1865, pp. 114-115. Per la cultura figurati-va genovese nell’ultimo quarto del secolo cfr. Sborgi 1990, pp. 25-58; Baccheschi 2000, pp. 349-360. 3 Alizeri 1865, p. 199. Al trionfo Durazzo per il doge, composto dalla struttura architettonica di Lorenzo Fontana e da sculture di Nicolò Traverso, Francesco Ravaschio e Andrea Casaregi, ne vennero accostati altri (cfr. i saggi di Clario Di Fabio e Gian-luca Zanelli in questo volume).
4 Puncuh 1995, p. 15; Valenti Durazzo 2004, p. 208. Cfr. inoltre Leoncini 1997, pp. 55, 64 nota 45; Leon-cini 2012, p. 15.
5 Puncuh 1995, p. 15. Cfr. il saggio di Luca Leon-cini in questo volume. Per Girolamo Luigi Durazzo cfr. Assereto 1993, pp. 163-168; Assereto 2004, pp. 35-39.
6 Cfr. Leoncini 2004, pp. 65-67. 7 Vedi oltre nel testo.
8 Cfr. il saggio di Clario Di Fabio in questo volume. 9 Il ritratto dogale è conservato presso i Musei di Strada Nuova, Palazzo Tursi (inv. PB 2912): C. Di Fabio, in El Siglo 1997, p. 241, n. VI.69; Schmitt-mann 2013, pp. 114-117, n. 12; Cesareo 2014, pp. 86-87. Non è nota l’ubicazione del doppio ritrat-to femminile di Maria Geronima (Lilla) Pellegrina Cambiaso con la figlia Caterina: Torriti 1982, p. 36; C. Di Fabio, in El Siglo 1999, p. 241; Cesareo 2009, p. 72; Sanguineti 2013, p. 152 nota 33.
10 Per la notizia degli “omaggi” parmensi: “Gaz-zetta” 1783, pp. 183-184. I patrizi e le dame della delegazione genovese «deputati a complimentarsi e a servire» l’arciduca Ferdinando d’Asburgo e Ma-ria Beatrice Ricciarda d’Este erano Giacomo Filippo Durazzo, Carlo Lomellino, Michelangelo Cambiaso, Vincenzo Spinola, Matteo Franzone, Carlo Federigo Doria, Maria Saoli Spinola, Marina Cattaneo Ve-nerosa, Cicchetta Durazzo Durazzo, Orietta Doria Marana, Clelia Durazzo Grimaldi.
11 Si trattava di Clelia Durazzo, sorella del con-te Giacomo. Cfr. Leoncini 2012, p. 15; Sanguineti 2013, p. 117.
12 Si può ricordare, ad esempio, il Ritratto di
Gior-gio Spinola, di collezione privata, firmato e
data-to 1775 (A. Orlando, in El Siglo 1999, p. 434, n. XV.22).
13 Cfr. il saggio di Luca Leoncini in questo volu-me per la docuvolu-mentazione che attesta la presenza di Maria Francesca e di Giuseppe Maria nell’ap-partamento nobile al primo piano di Levante (dal 1796): non è escluso che il trasferimento dal civico 1 di strada Balbi (palazzo degli avi di lui) al civico 10 fosse avvenuto da tempo, anche sulla base di una
delineazione dell’assetto ereditario che venne pro-gressivamente a configurarsi.
14 Olio su tela, cm 200,6 x 147,3. Iscrizioni: sul foglio accanto al vaso: «Antonius De Maron / fa-ciebat Genua 1792»; sulla busta della missiva col-locata a terra: «A Sua Eccellenza / la Sig.a Cicchetta Durazzo / Durazzo / Genova». Per l’opera: Doria 1969, p. 88; The Settecento 1987, pp. 120-122, n. 127; González-Palacios 1996, pp. 225, 232; Leon-cini 1997, p. 54, fig. 20; Sanguineti 2000, pp. 330, 412 nota 42; D. Sanguineti, in Da Tintoretto a
Ru-bens 2004, pp. 356-357, n. 81; Cesareo 2009, p.
72; Sanguineti 2011, p. 146; Schmittmann 2013, pp. 261-263, n. 13; Cesareo 2014, pp. 86, 112; Di Fabio 2016, p. 114.
15 Come ha suggerito per primo Clario di Fabio (2016, p. 114).
16 Cfr. nota 13.
17 Sanguineti 2001, p. 163.
18 Description 1788, p. 159. Cfr. inoltre Sanguineti 2004, p. 88. Si era ipotizzato, ingannati dalla sintesi adottata dall’anonimo autore della Description nel riferire il soggetto, che potesse trattarsi di un’uni-ca tela, reun’uni-cante un triplo ritratto (Sanguineti 2011, p. 150). Infatti, tra i fogli del cosiddetto album di Casa Durazzo – costituito dai disegni delle tele di quel palazzo tracciati da Giovanni David (Leonci-ni 2009, pp. 55-63, 233-251) –, è compresa l’effigie di una dama seduta e scortata da una fanciulla e da un bimbo che si pensava potesse riferirsi a quel dipinto. Tuttavia si deve ora ritenere che lo schizzo citato fosse relativo a un ritratto di un’altra dama Durazzo, risalente a una generazione precedente, come del resto certifica anche l’abbigliamento e lo schema (elaborato da Domenico Parodi o dal Mu-linaretto): in particolare potrebbe trattarsi di Maria Francesca Durazzo (di Cesare), sposa di Gerolamo Ignazio, con i suoi figli (cfr. il saggio di Luca Leonci-ni in questo stesso volume).
19 Sull’album cfr. nota precedente. Com’è noto la conoscenza dell’album non è diretta ma è mediata da una serie di fotografie, tra le quali risulta man-cante l’immagine dell’ipotetico ritratto con i due figli di Cicchetta.
20 Leoncini 2009, p. 246, foto 43, f. 63 (ipotetica-mente identificato con Maria Durazzo ritratta da Giovanni Bernardo Carbone).
21 Madrid, Museo Nacional del Prado, inv. P002199: Roettgen 1999, p. 246, n. 174.
22 Collezione Manfredi della Gherardesca: Schmitt-mann 2013, pp. 389-390, n. 131.
23 Cfr. il saggio di Luca Leoncini in questo volume. 24 Petrucci 2010, I, p. 283 (datato e firmato 1791). 25 Cfr. il saggio di Luca Leoncini in questo volume. 26 Cfr. da ultimo Di Fabio 2017, pp. 55-67. Per Mengs: Roettgen 1999; Petrucci 2010, I, pp. 298-301 (con bibliografia precedente). Durante questa sosta, pur brevissima, Mengs ritrasse Tommasina
31 The Settecento 1987, pp. 120-122, n. 127. 32 Doria 1969, p. 88. Si trascrive di seguito la didascalia: «La camera da letto della padrona di casa è anch’essa decorata a stucchi, qui su fondo azzurro. Azzurri anche l’abito della marchesa Cic-chetta Durazzo nel quadro alla destra del letto, di scuola francese, e i tessuti che ricoprono i mobili […]».
33 Inventariato con GNL 104/2018. Balbi Cambiaso (Di Fabio 2017, oltre al saggio dello
stesso autore in questo volume).
27 Di Fabio 2016, p. 117 (e nel saggio in questo stesso volume).
28 Cesareo 2014, p. 86.
29 Per la tela, di collezione privata, cfr. M. Cataldi Gallo, in Il Palazzo 1995, pp. 205-207, n. 89; Sch-mittmann 2013, pp. 149-154, n. 28.
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