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Impiego di colture cellulari nello studio di ingredienti e formulati farmaceutici

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea specialistica in Chimica e Tecnologia

Farmaceutiche

IMPIEGO DI COLTURE CELLULARI NELLO STUDIO DI

INGREDIENTI E FORMULATI FARMACEUTICI

Relatori : Candidata: Prof.ssa S. Burgalassi Sara Cinquini Dott.ssa D. Monti

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Indice

1) Colture cellulari

1.1) Storia delle colture cellulari………pag.1 1.2) Campi di applicazione delle colture in vitro………....pag.6

1.3) Perché si usano le colture cellulari…...……….pag.7

1.4) Differenze in vivo-in vitro…………...……….…….pag.9 1.4.1) Vantaggi della coltura in vitro..………. pag.9 1.4.2) Svantaggi della coltura in vitro……….pag.10 1.5) Tipologie di colture cellulari………pag.10 1.5.1) Colture cellulari primarie………..pag.10 1.5.2) Colture secondarie……….pag.11 1.5.3) Linee cellulari immortalizzate………...pag.12 1.6) Differenziazione……….pag.13

1.7) Crescita delle cellule e sviluppo della barriera………pag.14 1.8) Rischio di contaminazione delle colture cellulare..………….……pag.20 1.9) Crioconservazione e stoccaggio delle linee cellula…………..…...pag.22 1.10) Linee cellulari particolarmente utilizzate………..pag.23 1.10.1) Colture cellulari buccali ( DOK )………..pag.25

1.10.2) Cellule corneali umane ( HCE-T )………...pag.26

2) Mucoadesione

………..pag.28

2.1) Vantaggi delle formulazioni muco adesive……….pag.30 2.2) La membrana mucosa ………...…..pag.30 2.2.1) Il muco………...pag.30 2.2.2) La mucina ………..pag.32 2.3) Fattori influenzanti la mucoadesone………..…...pag.33 2.3.1) Peso molecolare ………..pag.34 2.3.2) Conformazione spaziale………pag.34 2.3.3) pH ………...pag.34 2.3.4) Concentrazione del polimero………pag.35 2.3.5) Idratazione del polimero ……….pag.35 2.3.6) Tempo di contatto ………pag.36

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2.3.7) Legami ad idrogeno ……….pag.36 2.3.8) Turnover della mucina ……….pag.36 2.3.9) Fattori ambientali ……….pag.36 2.4) Materiali mucoadesivi ……….pag.37 2.5) Metodi di valutazione della mucoadesione ……….pag.37 2.5.1) Metodi diretti………pag.38 2.5.1.1) Saggio Tensile………pag.39 2.5.2) Saggi sotto forze di taglio ………pag.39 2.5.2.1) Durata del tempo di mucoadesione ………pag.39 2.5.2.2) Saggio a flusso continuo……….pag-40 2.5.3) Atomic Force Microscope ………..pag.41 2.5.4) Studi in vivo ………...………pag.41

3) Valutazione in vitro della citotossicità

………...pag.43

3.1) Studi di citotossicità ………..pag.44

4) Parte sperimentale

………..pag.47

4.1) Introduzione e scopo della tesi……….pag.47 4.2) Valutazione della mucoadesione ……….pag.47 4.2.1) Materiali………..pag.48 4.2.2) Metodi……… …………...pag.49 4.2.2.1) Adesione su cellule………...………….….……….pag.49 4.2.2.2) Adesione su substrato mucoso……….……….pag51 4.2.2.3) Resistenza al lavaggio……….….pag.52 4.2.2.4) Metodo analitico………...………...pag.54 4.3) Studi di citotossicità……….pag.54 4.3.1) Materiali………...pag.54 4.3.2) Metodi………...pag.55 4.4) Test di migrazione e proliferazione cellulare………...pag.57 4.4.1) Materiali……….pag.57 4.4.1.1) Preparazione delle matrici………...pag.57 4.4.2) Metodi……….pag.57

5) Risultati ………...………...….

pag.59

6) Grafici e tabelle………

pag.64

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1 Colture cellulari

1.1 Storia delle colture cellulari

La storia delle colture cellulari è relativamente recente e rappresenta la storia dello sviluppo delle tecniche di coltura in vitro.

Solo agli inizi del secolo XX ebbero inizio i primi studi riguardanti l’ambiente cellulare; la prima applicazione fu in biologia sperimentale per lo studio della morfogenesi e della fisiologia di tessuti ed organi:

-1885, Wilhelm Roux condusse i primi esperimenti di espianto mantenendo il cervello di un

embrione di pollo in una soluzione salina calda per pochi giorni. Le cellule al di fuori dell’animale, potevano sopravvivere per un certo periodo di tempo.

- 1907, il biologo statunitense Ross G. Harrison compiva i primi esperimenti su colture di cellule animali di midollo spinale di anfibio. Si basava sul fatto che tessuti di animali a sangue freddo non necessitavano di un mantenimento a temperature diverse da quella ambiente. Coltivò in vitro il midollo spinale di rana su un substrato rappresentato da un coagulo di linfa dimostrando che le fibre nervose (assoni) erano prolungamenti o estensioni delle singole cellule nervose.

- 1909, Francis Peyton Rous, medico virologo statunitense, mantenne in vita in una soluzione salina cellule d’embrione di pollo e scoprì che nei polli il sarcoma poteva essere indotto non solo trapiantando cellule tumorali ma anche iniettando un filtrato di tali cellule. Questa scoperta diede origine alla teoria dell’origine virale dei tumori e nel 1966 fu assegnato a Rous, come riconoscimento tardivo, il premio Nobel per la medicina, condiviso con Charles B. Huggins.

- 1913, il chirurgo e biologo francese Alexis Carrel mantenne porzioni di tessuto di 1–2 mm di diametro, espiantate da animali, in specifici terreni di coltura (in genere contenenti plasma), in stato di asetticità e in condizioni osmotiche e termiche simili a quelle fisiologiche. Si svilupparono così le prime tecniche per la propagazione in serie di vari tipi di tessuti.

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- 1943, W. R. Earle riuscì ad ottenere le prime linee continue di cellule di mammifero che rappresentarono il passo più importante nello sviluppo di queste tecniche e nel 1948 dimostrava che le cellule in coltura potevano formare dei cloni (isolava infatti, l’NCTC

clone 929).

-1951, George Otto Gey isolava, metteva in coltura e propagava per la prima volta una coltura cellulare d’origine tumorale, realizzando la prima linea cellulare in coltura continua, proveniente da un tumore umano, nota come linea cellulare HeLa (dal nome della paziente). Questa linea cellulare è stata isolata, infatti, dal carcinoma cervicale uterino di Henrietta Lacks. Le cellule HeLa sono cellule tumorali immortalizzate altamente stabilizzate, molto utilizzate nella ricerca scientifica e sono oggi coltivate in laboratori di tutto il mondo per fini scientifici.

-1951–52, Rita Levi–Montalcini durante la sperimentazione di un trapianto di tumore di topo sul sistema nervoso dell’embrione di un pulcino, scoprì in coltura la presenza del

NGF (Nerve Growth Factor), un fattore di crescita del nervo che gioca un ruolo essenziale

nella crescita e differenziazione delle cellule nervose sensoriali e simpatiche. Questa scoperta andava contro l’ipotesi che il sistema nervoso fosse statico e rigidamente programmato dai geni e fu usata per controllare la crescita dei tumori delle cellule nervose. Questa scoperta le è valsa nel 1986 il Premio Nobel per la medicina.

-1955, Harry Eagle dimostrò che le cellule animali potevano propagarsi in maniera

indefinita attraverso l’uso di una miscela definita di piccole molecole, integrate da una piccola proporzione di proteine del siero. Più tardi, infatti, Sato (1976) dimostrava che le linee cellulari hanno bisogno di miscele di ormoni e fattori di crescita, nel caso in cui vengano fatte crescere in un mezzo privo di siero.

- 1961, Leonard Hayflick dimostò che fibroblasti umani, in coltura, smettevano di proliferare dopo circa 50 divisioni e tutte le cellule perdevano la capacita proliferativa dopo un uniforme e fissato numero di duplicazioni. Questa soglia e stata chiamata Hayflick limit e assume che ogni tipo di cellula ha un limite del potenziale replicativo che è intrinsecamente fissato.

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-1986, Martins ed Evans isolavano per la prima volta le cellule staminali da cellule embrionali di topo mentre nel 1988 Thompson ed Evans isolavano per la prima volta le cellule staminali umane.

1.2 Campi di applicazione delle colture in vitro

Le colture cellulari interessano campi di ricerca differenti :

-in Biologia, Biochimica Cellulare e Biologia Molecolare

Le colture cellulari vengono usate per studi di tipo funzionale, per lo studio di processi intracellulari, meccanismi di trasduzione dei segnali, meccanismi d’interazione cellulare e per studi di regolazione e funzionamento di proteine e di geni (analisi del differenziamento cellulare normale e la trasformazione neoplastica).

Possono essere utilizzate per esperimenti d’ingegneria genetica e tissutale (coltura e produzione in vitro di porzioni di tessuto, es. epidermide artificiale); infine per la produzione di cellule staminali, studi di espressione genica, di interi genomi, di promotori ed enhancers.

Nel campo della biologia molecolare le cellule possono essere usate per l’estrazione di acidi nucleici (RNA e DNA), per la purificazione di proteine, per studi di espressione genica ed analisi dell’effetto delle mutazioni genetiche. Sono inoltre fonte di studio di anomalie genetiche (analisi del cariotipo).

Per le loro caratteristiche, le colture in vitro rappresentano un materiale utile per l’analisi dei meccanismi di replicazione e di riparazione del DNA, dei meccanismi di trascrizione, della sintesi proteica e della loro regolazione negli Eucarioti e per lo studio delle interazioni cellula–cellula e delle interazioni cellula–virus. L’analisi biochimica dei componenti cellulari nelle cellule in coltura è basata sui legami altamente specifici degli anticorpi (immuno affinità), legati a marcatori enzimatici (immunoistochimica), legati a marcatori fluorescenti (immunofluorescenza) o sonde ad anticorpi in supporti solidi (Western Blot, ELISA, ecc.).

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7 -in Microbiologia e Virologia

La replicazione dei virus è stata una delle prime applicazioni delle colture cellulari animali da utilizzare nella produzione di vaccini invece dell’utilizzo di animali da laboratorio. Su substrati cellulari in vitro, infatti, vengono allestiti alcuni dei vaccini virali più importanti (polio, rabbia, rosolia, morbillo).

La virologia ha trovato nelle cellule coltivate in vitro un substrato adatto alla crescita dei virus animali e un sistema semplice per la titolazione del loro effetto citopatogeno, identificazione e quantificazione delle infezioni virali. Ricercatori, tra i quali Dulbecco ed altri virologi, hanno posto le basi per lo studio delle caratteristiche della trasformazione virale.

-in Farmacologia

Le cellule vengono usate per lo studio degli effetti sia farmacologici che tossici (studi di citotossicità) di composti farmaceutici.

Sono usate per lo studio del meccanismo di azione dei farmaci; tramite l’utilizzo delle colture cellulari primarie ottenute da campioni di agoaspirati, viene testata l’efficacia farmacologica con scopo terapeutico di sostanze in ciascun paziente, evitando somministrazioni di sostanze non efficaci e potenzialmente dannose ed al contempo scongiurando procedure chirurgiche non necessarie per la cura della patologia.

1.3 Perché si usano le colture cellulari

La conoscenza delle barriere permeabili umane, delle vie e dei meccanismi di trasporto di un farmaco sono essenziali sia per lo sviluppo e ottimizzazione di drug delivery system che per individuare un’opportuna via di rilascio. Vari fattori hanno stimolato la ricerca di modelli in vitro per lo studio del trasporto dei farmaci:

- rapida individuazione strutturale dei farmaci, del loro ruolo fisiologico e dei loro meccanismi di trasporto;

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- progresso della biotecnologia che ha permesso di introdurre in terapia nuovi tipi di farmaci (peptidi, proteine, acidi nucleici), rendendoli più disponibili sia qualitativamente che quantitativamente.

- rappresentano una soluzione alle problematiche etiche riguardanti l’uso di cavie e tessuti umani.

Le colture cellulari vengono usate per simulare una varietà di membrane biologiche nello studio del trasporto e del metabolismo dei farmaci: barriere epiteliali originate dalla mucosa gastrointestinale, buccale, nasale, così come dal’epidermide, barriere endoteliali di cellule dei microvasi del cervello e delle cellule corneali (Audus et al. 1990).

Le colture cellulari permettono di acquisire rapidamente informazioni su permeabilità, trasporto, trasformazione e tossicità di farmaci in via di sperimentazione, direttamente su tessuti umani. La conseguenza diretta è una massiccia riduzione della sperimentazione clinica sull’uomo e sugli animali.

Possono inoltre essere conservate a lungo mediante opportune tecniche di congelamento e utilizzate per ulteriori studi.

Gli esperimenti condotti su colture cellulari mostrano un’alta riproducibilità, in quanto è possibile il controllo dell’ambiente fisico-chimico, i cui parametri (pH, temperatura, pressione osmotica, O2, CO2) possono essere regolati in modo preciso, e il controllo delle

condizioni fisiologiche, che possono essere mantenute relativamente costanti.

I tessuti in coltura, possono essere direttamente esposti a concentrazioni basse e ben definite del composto da saggiare e consentono un facile accesso sia al compartimento donatore che a quello ricevente. E’ richiesta, quindi, una minore quantità di composto rispetto ad un test in vivo, dove una parte della dose viene persa a causa dell’escrezione e della distribuzione ad altri tessuti diversi da quello bersaglio.

Per quanto riguarda gli svantaggi bisogna ricordare che con le colture cellulari si deve lavorare in condizioni di asepsi, perché le cellule animali crescono più lentamente dei normali contaminanti, quali batteri, muffe e funghi. Al contrario dei microorganismi inoltre le cellule di organismi multicellulari non vivono in isolamento e di conseguenza non sono in grado di condurre un’esistenza indipendente senza un ambiente completo che simuli il plasma o il fluido interstiziale .

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Il problema principale è comunque costituito dall’instabilità che deriva dal loro corredo cromosomico aneuploide. Anche in colture a breve termine l’eterogenicità della popolazione cellulare può produrre variabilità da un passaggio all’altro.

1.4 Differenze in vivo-in vitro

Molte delle differenze nel comportamento cellulare tra cellula in coltura e tessuto nativo sono conseguenza del fatto che le cellule derivano da un tessuto a geometria tridimensionale mentre in coltura si propagano su un substrato bidimensionale. Sono sistemi semplificati rispetto ad un organismo integrato e specifiche interazioni cellulari caratteristiche dell’istologia del tessuto vengono perse. Quando si forma una linea cellulare, essa può rappresentare una o due tipi cellulari e così vengono perse molte interazioni eterotipiche. Il mezzo di coltura manca anche di diversi componenti sistemici coinvolti nella regolamentazione omeostatica in vivo, principalmente quelli del sistema nervoso e di quello endocrino.

Senza questo tipo di controllo il metabolismo cellulare può risultare più costante in vitro che in vivo, ma il tessuto derivante potrebbe non rappresentare fedelmente il tessuto progenitore .

Per ovviare a questi inconvenienti vengono generalmente inclusi nel mezzo di coltura diversi ormoni.

In conclusione benché ci siano delle differenze con il tessuto nativo, i tessuti in coltura esprimono funzioni specializzate. In ogni caso, è innegabile che le colture cellulari sono forse il modello biologico più promettente, a dispetto di caratteristiche e limiti intrinseci che vanno ben calibrati nella pianificazione di esperimenti e nell’interpretazione dei risultati.

L’estrema semplificazione del sistema sperimentale rappresenta il limite più rilevante.

1.4.1 Vantaggi della coltura in vitro

Sistemi semplificati: analisi dei meccanismi cellulari e molecolari della tossicità;

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• Riconoscimento di effetti reversibili;

• Tecniche relativamente semplici;

• Costi contenuti e risposte rapide rispetto alla sperimentazione animale.

1.4.2 Svantaggi della coltura in vitro

Sistemi semplificati rispetto ad un organismo pluricellulare;

Condizioni di esposizione diverse da quelle in vivo;

• Possibile interferenza tra sostanza da testare e mezzo di coltura;

• Non permettono di studiare effetti citotossici complessi;

• Analisi di citotossicità acuta più che cronica;

Difficoltà di correlare le concentrazioni in vitro con quelle in vivo.

1.5 Tipologie di colture cellulari

Il primo passo nello sviluppo di un modello di colture cellulari per la simulazione di una specifica barriera riguarda la selezione del tipo di coltura cellulare, cioè se usare una primaria o una linea cellulare continua.

I passi successivi riguardano l’ottimizzazione dei fattori che influiscono sulla crescita, sullo sviluppo e sull’integrità della barriera e la definizione delle condizioni sotto le quali gli studi di permeazione devono essere condotti.

1.5.1 Colture cellulari primarie

Una coltura cellulare primaria può derivare sia dalla crescita di cellule migranti da un frammento di tessuto, sia dalla dispersione enzimatica o meccanica del tessuto progenitore. Per quanto riguarda il metodo impiegato, questo è il primo di una serie di processi selettivi che, alla fine, possono dar luogo ad una linea cellulare relativamente uniforme.

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Nell’espianto primario, avviene una selezione a causa della capacità delle cellule di migrare dall’espianto, mentre con la dispersione delle cellule solo quelle che sopravvivono alla tecnica di disgregazione e che aderiscono al substrato o sopravvivono in sospensione formeranno le basi della coltura primaria.

Se la coltura primaria viene mantenuta per più di qualche ora, avviene un’ulteriore selezione. Le cellule in grado di proliferare aumentano di numero, altre sopravvivono ma non aumentano, mentre altre ancora non sono in grado di sopravvivere nelle particolari condizioni usate. In questo modo, cambia la distribuzione dei tipi cellulari e questo cambiamento procede fino a che, nel caso di colture di monostrati, tutto il substrato disponibile viene occupato.

Dopo che è stata raggiunta la confluenza, la proporzione di cellule densità-limitate diminuisce mentre aumenta quella delle cellule che non sono sensibili alla limitazione della crescita determinata dalla densità.

La crescita eccessiva di cellule indesiderate può rappresentare un problema: nelle colture epiteliali, per esempio, i fibroblasti tendono a predominare sugli altri tipi cellulari e per evitare questo può essere utile inibirne la crescita mediante trattamento con particolari enzimi (tripsina e collagenasi ) o mantenere bassa la densità cellulare, effettuando frequenti passaggi.

Alcuni aspetti delle funzioni specializzate vengono espresse in modo più ampio nelle colture primarie, particolarmente quando le colture diventano confluenti. A questo stadio le colture mostrano la più stretta somiglianza morfologica con il tessuto progenitore.

1.5.2 Colture secondarie

Le cellule discendono da colture primarie trasformate o indotte mediante agenti chimici, fisici o biologici e discendono direttamente dal tessuto di origine; una volta consumato il terreno di coltura si deve provvedere ad una subcoltura in nuovo recipiente con terreno fresco.

Sono fedeli al cariotipo ed in più presentano più cicli cellulari rispetto alle colture primarie però possono differenziarsi in altri tipi cellulari.

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1.5.3 Linee cellulari immortalizzate

Una linea cellulare è una coltura di cellule con durata di vita indefinita; è considerata immortale e si distingue dal ceppo cellulare, che non è perenne. Generalmente, nelle colture cellulari primarie, si ha un arresto della proliferazione dopo 1 o 2 passaggi e questo tipo di colture possono crescere solo per 7 o 8 generazioni, anche con l’uso di mezzi specificamente designati (Torishima et al. 1992). La morte avviene per effetto dell’accorciamento dei telomeri, strutture che terminano i cromosomi proteggendoli dalla degradazione progressiva che avviene dopo ogni divisione cellulare. Dopo vari cicli di divisione i telomeri di una cellula normale si consumano fino ad impedire la replicazione del DNA e così la cellula diviene senescente e perde la capacità di dividersi. Tutto questo porta alla raccolta di poche cellule, ad una popolazione cellulare omogenea ed alla necessità di colture primarie nuove per ciascun esperimento. Le alterazioni genetiche che consentono alle cellule della linea cellulare di crescere indefinitamente, sono definite nel complesso come trasformazione oncogena. Per ottenere una linea cellulare capace di proliferare illimitatamente si ricorre a vari metodi, per esempio:

-introduzione del gene esogeno che codifica per la subunità catalitica della telomerasi; -utilizzo di oncogeni derivati da virus tumorali (antigene T di SV40), che innescano meccanismi di trasformazione simili a quelli che determinano la proliferazione tumorale. Le cellule delle linee cellulari sono spesso aneuploidi e cioè hanno subito variazione del numero di cromosomi rispetto a quello che caratterizza le cellule della stessa specie. Queste capacità di ‘immortalizzazione’ e di crescita indefinita dipendono dalle specie da cui derivano; le cellule di pollo normali vengono raramente trasformate e muoiono dopo poche replicazioni. La prima linea cellulare umana è stata la linea delle cellule HeLa, ottenuta nel 1952 da un carcinoma della cervice uterina.

Nella maggioranza dei casi, le linee cellulari sono indifferenziate anche se alcune possono svolgere funzioni tipiche delle normali cellule differenziate da cui derivano. Un esempio è fornito da alcune linee cellulari di epatoma (HepG2, Hep3B) che sintetizzano molte delle proteine sieriche prodotte dagli epatociti normali (il tipo cellulare principale del fegato). Queste cellule di epatoma altamente differenziate vengono studiate come modelli di epatociti normali.

Nelle linee cellulari avviene un’alterazione della citomorfologia; si ottengono infatti cellule più piccole, meno aderenti, più rotonde, e con la proporzione nucleo-citoplasma alterata.

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I vantaggi di una linea cellulare rispetto ad una coltura primaria sono la propagazione e l’alta resa cellulare, in quanto hanno un tempo di raddoppiamento più breve; la caratterizzazione di campioni replicati ed una popolazione cellulare omogenea, mentre gli svantaggi sono rappresentati principalmente dal rischio di selezione di una sottopopolazione, dalla perdita di alcune caratteristiche che hanno in vivo, dovuta alla mancata espressione di certi geni, dall’instabilità genetica e dall’adattamento all’ambiente della coltura come risposta dell’alterato fenotipo e/o genotipo.

1.6 Differenziazione

La differenziazione cellulare in vitro è fondamentale perché una coltura cellulare mostri delle proprietà di barriera compatibili a quelle in vivo.

L’ambiente delle colture può indurre differenziazione cellulare; una coltura cellulare forma cellule mature mediante induzione, cellule staminali o mediante cellule capaci di differenziazione.

Cellule derivanti da un tessuto capace di rinnovarsi, come quello epiteliale, possono sopravvivere all’infinito, grazie al loro contenuto di cellule staminali. Il processo di differenziazione può essere riconosciuto mediante marcatori di discendenza o di maturazione: i primi esprimono e mantengono una caratteristica attraverso successivi stadi di maturazione, mentre gli altri sono, generalmente, specifici prodotti cellulari.

Ci sono vari approcci per promuovere la differenziazione: - alta densità cellulare (>1 X 10 cellule/cm)

- alta concentrazione del Ca++ (300-1500 mM)

- presenza dei fattori di differenziazione come ormoni (idrocortisone), oppure fattori paracrini (IL-6, NGF, retinoidi), oppure composti planari (DMSO).

- l’uso di un appropriato supporto che favorisca la proliferazione e mimi le condizioni in vivo, per esempio un supporto rivestito con collagene, fibronectina, lamina, cioè costituenti della lamina basale mucosale (lamina propria)

- co-colture con un tipo di cellule seminate su un filtro e un altro più in basso, per produrre fattori di crescita necessari per la proliferazione e la differenziazione di una o entrambe le popolazioni cellulari;

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-colture cellulari in cui lo strato cellulare è mantenuto a contatto con l’aria nella faccia superiore (air medium).

1.7 Crescita delle cellule e sviluppo della barriera

Vari fattori ambientali possono interferire con le proprietà della barriera cellulare in vitro: 1. temperatura di incubazione ;

2. mezzo di crescita o di coltura (composizione, PH, osmolarità, scambio gassoso); 3. densità di semina;

4. substrato di crescita (materiale, forma, densità dei pori dei filtri, materiale di rivestimento)

5. colture cellulari submerged o air- medium 6. regime alimentare

La moltiplicazione cellulare aumenta con l’aumentare della temperatura fino ad un limite che può variare da cellula a cellula. Oltre tale limite la crescita è inibita fino alla morte cellulare. L’ambiente fisico necessario alla crescita in vitro viene fornito dagli incubatori, (Figura 1) strumenti capaci di mantenere temperatura e atmosfera controllate. Le cellule coltivate in vitro richiedono un controllo di temperatura rigoroso almeno quanto quello dell’organismo vivente; cellule di mammifero vengono comunemente coltivate a 37°C, mentre per altri tipi cellulari, come ad esempio cellule di drosophila, l’incubatore deve poter essere regolato a temperature diverse come 30 o 34 °C. Per le cellule di animali a sangue freddo, la temperatura ottimale è quella al limite più alto della temperatura corporea. La funzione dell’incubatore è quella di mantenere costante la temperatura e di limitare l’evaporazione dei mezzi di coltura, poichè le capsule e i dischi non sono chiusi ermeticamente. L’umidità all’interno dell’incubatore è mantenuta a un valore prossimo alla saturazione, grazie alla presenza sul fondo di un contenitore con acqua. Elementi che disturbano la tensione di vapore all’interno dell’incubatore sono: l’apertura della porta dell’incubatore, che porta aria secca e fredda e la presenza di punti freddi al suo interno. Tali evenienze conducono alla formazione di condensa che previene il raggiungimento della tensione di vapore ideale. La condensa si evita con incubatori a camicia d’acqua o ventilati. E’ necessario considerare che l’apertura delle porte dell’incubatore, oltre a ridurre

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la tensione di vapore all’interno dello stesso, riduce la percentuale di CO2 e la temperatura.

Tale evenienza viene superata da incubatori forniti di sistemi di ripresa dei parametri, definiti rapidi, nei quali i parametri impostati vengono ripristinati nel più breve tempo possibile alla chiusura delle porte.

Figura 1: incubatore a C

Il mezzo di coltura deve fornire i requisiti nutrizionali di base per la sopravvivenza delle cellule, l’adesione e la differenziazione e deve mantenere gli appropriati valori di pH e osmolarità.

Generalmente ai terreni commerciali (figura 2) contenenti sali inorganici, aminoacidi essenziali e non essenziali, vitamine, carboidrati, lipidi, purine e pirimidine vengono aggiunti un sistema tampone, siero(5-20%), fattori di crescita addizionali, antibiotici e antifungini.

Il mezzo è necessario per mimare le condizioni di crescita in vivo ed un suo cambiamento può portare alla selezione di una sottopopolazione con caratteristiche specifiche. Naturalmente, i componenti del mezzo non devono interferire con i successivi studi sperimentali.

I terreni usati per le colture cellulari differiscono tra loro per il contenuto in amminoacidi e sali e per la concentrazione di glucosio. La composizione esatta dei singoli terreni ed il tipo di terreno adatto per una data linea cellulare viene di solito specificato dalla banca fornitrice.

Per la crescita, le cellule richiedono un valore di pH del mezzo compreso tra 7.2 e 7.4. Per mantenere costante il valore di pH si ricorre per lo più ad incubatori con una fase gassosa contenente il 5% di CO2 e terreni contenenti NaHCO3. In soluzione acquosa il

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partenza mentre la CO2 presente nell’incubatore tende a controbilanciare questo aumento,

mantenendo così il giusto pH del terreno. Per avere un indicazione visiva del pH spesso i terreni vengono addizionati di rosso fenolo, un indicatore che ha un colore rosso-arancio a pH 7,3, vira al giallo-arancio a pH acido e al rosso viola a pH alcalino.

Con il proliferare della crescita cellulare, in incubatore al 5% di CO2, il terreno tenderà al

giallo a causa dell’acidificazione prodotta dal metabolismo cellulare. Se le piastre tenute in incubatore, invece, virano al violaceo, significa che la regolazione della CO2

dell’apparecchio è errata oppure che le cellule stanno morendo (non sono metabolicamente attive).

I terreni liquidi commerciali normalmente non contengono antibiotici, siero e L-glutamina, perché instabili; questi componenti vanno perciò aggiunti prima dell’uso. Il siero è una miscela complessa di proteine plasmatiche, fattori di crescita e minerali, quello di uso più comune nelle colture cellulari è il siero fetale bovino o di vitello (FBS o FCS); questo contiene fattori di crescita e fattori adesivi. L’uso del siero è controverso e presenta dei pro e dei contro:

• Protegge le membrane grazie al corretto grado di viscosità;

• Introduce fattori di crescita ed ormoni;

• Veicola lipidi, ferro e molecole organiche;

• Favorisce interazione fra cellule e substrato;

• Contiene inibitori della tripsina;

• Possibile tossicità degli anticorpi;

• Variabilità da lotto a lotto;

• Inibitori metabolici;

• Fattori di crescita che favoriscono i fibroblasti rispetto ad altri tipi cellulari;

I terreni più usati sono:

-MEM (Minimum Essential Medium), -DMEM (Dulbecco’s Modified MEM), -RPMI (Roswell Park Memorial Institute).

Per linee cellulari più esigenti esistono terreni più ricchi di metaboliti e vitamine: -ISCOVE (con transferrina, lecitina e albumina)

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Figura 2 : mezzo di crescita cellulare

Generalmente le cellule, al di sotto di una certa densità non crescono in modo efficiente; come regola generale si considera una densità > 104 cellule/cm².

I substrati utilizzati per la crescita cellulare sono il vetro, polistirene trattato per rendere bagnabile la superficie, in questo modo il polistirene diviene capace di legare i fattori di adesione cellulare (figura 3).

I substrati possono essere rivestiti con fibronectina, collagene, laminina, gelatina, poli-L-lisina oppure in Matrigel, una matrice composta isolata da cellule coltivate di sarcoma Engelbreth Holm Swarm di topo. La superficie dei contenitori di crescita può anche essere siliconata per evitare l’adesione delle cellule. La scelta del tipo di supporto dipende dal tipo cellulare e dalla quantità di cellule. Per colture di cellule adese o in sospensione si usano fiasche o piastre di vetro o plastica o piastre con pozzetti o beute; le colture si distinguono a seconda che le cellule siano in sospensione o aderenti.

Le cellule di origine emopoietica, che normalmente crescono in mezzo fluido, crescono in sospensione e si moltiplicano in vitro senza aderire. Le cellule che, invece, fanno parte di tessuti solidi crescono in vitro aderendo alla superficie delle piastre da coltura . Tutti i supporti devono essere sterili perciò viene usato o vetro autoclavato a 150°C o plastica monouso; devono inoltre permettere lo scambio gassoso con l’ambiente. Fiasche con il tappo permettono il trasporto al di fuori dell’ambiente sterile. I laboratori di colture cellulari devono fare costantemente i conti con il problema della contaminazione. La contaminazione più temuta è quella da micoplasmi, perché hanno piccole dimensioni ed i filtri delle fiasche in commercio non sono sempre efficaci, perché sottili (a membrana) e provvisti di pori con un unico diametro (a seconda del produttore di 0,2 o 0,45 µm). I filtri delle nuove fiasche sono filtri a spessore con pori di diverso diametro; in questo modo l’efficienza di filtrazione nei confronti di piccoli contaminanti è maggiore.

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Figura 3 : supporti per le colture cellulari

Colture cellulari submerged o air-medium sono colture sostenute meccanicamente (figura 4). Nelle colture cellulari submerged, le cellule si stratificano su un supporto permeabile, alloggiato in una cella in cui viene aggiunto il mezzo di crescita sia nel compartimento basolaterale che in quello apicale; le colture cellulari air-medium sono stratificate su un supporto permeabile in contatto con il mezzo di crescita solo nel compartimento basolaterale.

La crescita di colture cellulari submerged o air-medium può interferire con la stratificazione e la differenziazione dei cheratinociti (Prunieras et al., 1983). Cellule, parti di organo o interi organi vengono coltivati su un inserto che è immerso in mezzo o mantenuto in una interfaccia aria-liquido. I tessuti epiteliali, istologicamente realistici, possono essere costruiti in fase, con associazione iniziale di cheratinociti in uno strato di cellule epiteliali su un inserto di coltura sommerso, seguito dall'esposizione di queste cellule ad un'interfaccia aria-liquido per indurre la formazione di epidermide stratificata. Cellule stromali possono essere co-coltivate con cellule epiteliali o aggiunte ad uno scomparto separato all'interno del supporto di coltura per studiare effetti paracrini senza un contatto fisico diretto tra i tipi di cellule. Porzioni di grandi organi, come il cervello, possono essere coltivati su questi inserti.

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Figura 4

Il regime alimentare delle l

terreno, gli eventuali additivi e la natura e quantità di siero dell’acquisto.

Per il mantenimento di una coltura cellulare si deve provvedere

o terreno di crescita. Una coltura cellulare, sia essa primaria o una linea cellulare, necessita di periodiche sostituzioni del mezzo di crescita. La frequenza dei cambi di terreno dipende dalle caratteristiche di crescita e di att

Sono parametri fondamentali per decidere i cambi di terre

-Il pH del terreno; ogni tipo cellulare in crescita determina, per effetto della propria attività metabolica, un abbassamento del pH rilevabile come tendenza del

colore (da rosso-arancio a giallo) per effetto della presenza di un indicatore di pH (in genere il rosso fenolo) che viene normalmente aggiunto al terreno.

-La concentrazione cellulare; o

monostrato. La maggior parte delle colture primarie o linee cellulari

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4 : colture cellulari submerged e air-medium

limentare delle linee cellulari ottenute da banche pubbliche terreno, gli eventuali additivi e la natura e quantità di siero, viene specificat

Per il mantenimento di una coltura cellulare si deve provvedere al cambiamento del mezzo Una coltura cellulare, sia essa primaria o una linea cellulare, necessita di periodiche sostituzioni del mezzo di crescita. La frequenza dei cambi di terreno dipende dalle caratteristiche di crescita e di attività metabolica delle cellule.

arametri fondamentali per decidere i cambi di terreno:

tipo cellulare in crescita determina, per effetto della propria attività metabolica, un abbassamento del pH rilevabile come tendenza del terreno a cambiare arancio a giallo) per effetto della presenza di un indicatore di pH (in genere il rosso fenolo) che viene normalmente aggiunto al terreno.

La concentrazione cellulare; occorre distinguere tra colture in sospensione e i a maggior parte delle colture primarie o linee cellulari in sospensione

, e quindi il tipo di specificato al momento

ambiamento del mezzo Una coltura cellulare, sia essa primaria o una linea cellulare, necessita di periodiche sostituzioni del mezzo di crescita. La frequenza dei cambi di terreno dipende

tipo cellulare in crescita determina, per effetto della propria attività terreno a cambiare arancio a giallo) per effetto della presenza di un indicatore di pH (in

ccorre distinguere tra colture in sospensione e in in sospensione nella

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fase di crescita logaritmica non possono crescere a concentrazioni superiori a 1x10 cellule/ml. Nel caso di colture in monostrato, la crescita cellulare viene ostacolata dopo il raggiungimento della confluenza.

-L’arresto della crescita per cellule normali o deterioramento per cellule trasformate. -La presenza di granuli in prossimità del nucleo o di vacuoli nel citoplasma.

1.8 Rischio di contaminazione delle colture cellulari

La sterilità è un requisito fondamentale in tutte le fasi della coltura di cellule. Infatti, i terreni di coltura, particolarmente nutrienti, possono costituire un eccellente substrato per la crescita di numerosi microrganismi contaminanti, i quali potrebbero compromettere in modo definitivo ed inevitabile la vitalità della coltura stessa. Gli agenti contaminanti che possono infestare una coltura cellulare sono generalmente: virus, batteri, miceti (lieviti e muffe) e micoplasmi, oltre che cellule di tipo diverso (contaminazioni crociate). I virus possono causare lisi massiva della coltura producendo in questo caso effetti macroscopici come foci di trasformazione; in altri casi i virus possono integrarsi nel genoma della cellula ospite, senza dare segno di sé, e si trasmettono nelle cellule figlie. In ogni caso, le infezioni virali sono piuttosto rare e non costituiscono il primo motivo di allarme nell'ambito delle contaminazioni. Per le colture cellulari, però, le contaminazioni batteriche sono di gran lunga le più frequenti. L'unica cosa da fare, appena ci si rende conto dell'inquinamento batterico è disfarsi della coltura, possibilmente dopo avere trattato con ipoclorito di sodio il terreno e la coltura inquinata e sterilizzando tutte le cose che possono essere venute a contatto con il materiale inquinato e ricominciare da capo, usando tutte le precauzioni del caso e cercando, soprattutto, di identificare il vettore di contaminazione, che può essere direttamente l'operatore, oppure i materiali e/o le soluzioni da lui utilizzate. A scopo preventivo, si può aggiunge ai terreni di coltura una miscela di penicillina e streptomicina. I micoplasmi, invece, essendo i più piccoli organismi dotati di vita autonoma, non sono visibili al microscopio ottico e non modificano la morfologia delle cellule contaminate, tuttavia ne alterano la crescita (riduzione della mitosi, induzione di apoptosi e diminuzione dell'aderenza cellulare) e le caratteristiche sia biochimiche (riduzione del pH, frammentazioni cromosomiche, traslocazioni e riduzione del numero dei cromosomi) che antigeniche. È possibile osservare la presenza dei micoplasmi utilizzando il microscopio a

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fluorescenza, dopo aver evidenziato il DNA con coloranti specifici. I miceti, invece, possono essere unicellulari (lieviti) o pluricellulari (muffe filamentose provviste di micelo aereo). I lieviti appaiono al microscopio ottico come cellule isolate e rotondeggianti, mentre, l'inquinamento da muffe è riconoscibile all'osservazione al microscopio per la presenza di inconfondibili formazioni filamentose che ricoprono il monostrato cellulare. Per minimizzare il rischio di contaminazione il laboratorio di colture cellulari dovrebbe essere allestito in modo adeguato; idealmente, il lavoro dovrebbe essere condotto in una singola struttura che, se possibile, dovrebbe essere suddivisa in un’area riservata per il trattamento del materiale appena ricevuto (area di quarantena) e un’area per il materiale riconosciuto libero da possibili contaminanti, il vero e proprio laboratorio di colture cellulari. Le superfici di lavoro vanno pulite e deterse nel corso delle diverse attività. Lavorare con le colture cellulari in un laboratorio condiviso richiede una precisa programmazione ed è essenziale che le buone pratiche di laboratorio siano applicate al fine di ridurre al minimo il rischio di contaminazione.

L’attrezzatura minima presente in un laboratorio di colture cellulari è la seguente:

• Cappe sterili a flusso laminare, a flusso verticale, tipo biohazard

• Incubatori a temperatura, umidità e atmosfera controllati

• Centrifughe refrigerate e non

• Microscopi (diretto e invertito a contrasto di fase).

• Bagno termostatico ad acqua

• Frigoriferi a 4°C (per la conservazione dei terreni)

• Congelatori a -80°C (per la conservazione dei sieri e degli altri reagenti deperibili)

• Contenitori criogenici a -196°C per la conservazione delle colture cellulari

• Sistema di pipettamento automatico per il trasferimento di liquidi

• Materiale plastico sterile monouso per colture cellulari

• Vetreria autoclavabile

• Disponibilità di gas metano, linee o pompe a vuoto, sistema di filtrazione e sterilizzazione dell’aria ambiente

La cappa biologica a flusso laminare rappresenta un’importante attrezzatura in un laboratorio di colture cellulari al fine di operare correttamente. Questa infatti fornisce una

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superficie idonea per il lavoro e nello stesso tempo protegge l’operatore dagli aerosol. Ci sono due tipi di cappa a flusso laminare: verticale e orizzontale. La cappa a flusso verticale, chiamata anche cappa biologica, è la migliore per lavorare con microrganismi o sostanze pericolose, poiché gli aerosol che si possono generare nella cappa vengono filtrati prima di essere rilasciati nell’ambiente. Le cappe orizzontali sono allestite in modo tale che l’aria fluisce direttamente all’operatore, dunque non sono le migliori per il lavoro con gli organismi pericolosi ma sono la migliore protezione per le colture. Entrambi i tipi di cappa hanno un continuo flusso di aria, che passa attraverso i filtri HEPA (high efficiency particle), che rimuovono il particolato dall’aria. In una cappa verticale, l’aria filtrata fluisce dalla parte superiore della cappa, in una cappa orizzontale l’aria filtrata fluisce dalla parete in fondo alla cappa verso l’operatore. Il livello di contenimento fornito varia in relazione alla classe di cappa utilizzata. Le cappe sono equipaggiate con lampade UV (onda corta), che possono essere accese per alcuni minuti prima del lavoro, al fine di sterilizzare la superficie della cappa. Tutte le superfici vanno pulite con un disinfettante, etanolo a 70° o isopropanolo, prima e dopo l’uso. La cappa va mantenuta libera da ingombri, perché questo può interferire con il flusso di aria laminare.

Al fine di mantenere un ambiente di lavoro pulito, le superfici del laboratorio, compresi i banconi, le pareti e i pavimenti dovrebbero essere lisci e facili da pulire. Essi dovrebbero essere resistenti all’acqua e ad una varietà di prodotti chimici (come acidi, alcali, solventi e disinfettanti); la cura e la pulizia sono i principali elementi da considerare, tutte le attenzioni dovrebbero essere prese. Le pulizie di routine dovrebbero comprendere tutte le superfici di lavoro (compresi interno/esterno della cappa), i pavimenti e tutti gli strumenti presenti. Gli incubatori rappresentano una potenziale area di sviluppo di batteri e funghi, un potenziale rischio che potrà essere ridotto con la regolare pulizia dell’incubatore. Le cappe biologiche dovrebbero essere controllate ogni 6 mesi per garantire la loro efficienza e sicurezza sia per i prodotti che per gli operatori. I test che vengono effettuati valutano i flussi dell’aria e il corretto funzionamento dei filtri HEPA. La temperatura degli incubatori dovrebbe essere regolarmente controllata con un campione NAMAS (National Accreditation of Measurement and Sampling, UK), o con un termometro calibrato. Anche i livelli di CO2 e O2 dovrebbero essere controllati periodicamente.

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1.9 Crioconservazione e stoccaggio delle linee cellulari

Lo scopo principale della crio-conservazione delle colture cellulari è quello di garantire quantitativi sufficienti di cellule stoccate, al fine di evitare di mantenere le stesse linee cellulari in coltura tutto il tempo. Questo è estremamente prezioso quando si tratta di cellule con una vita limitata nel tempo. Gli altri principali vantaggi di questo procedimento sono: riduzione dei rischi di contaminazione microbica; riduzione di rischi di cross contaminazione con le altre linee cellulari; riduzione dei rischi di drift genetici e cambiamenti morfologici; il lavoro può essere condotto utilizzando cellule ad un passaggio costante; riduzione dei costi (di materiale consumabile e di personale).

Sono stati messi a punto diversi protocolli per garantire validi processi di crioconservazione e di ripresa di un’ampia varietà di linee cellulari, di diversi tipi cellulari. Lo stoccaggio in azoto liquido permette di raggiungere temperature più basse per la conservazione; viene utilizzato per preservare le colture tissutali, sia in fase liquida (-196°C) che in fase gassosa (-156°C). Il congelamento può essere letale per le cellule in relazione agli effetti dannosi causati dai cristalli di ghiaccio, dalle alterazione nelle concentrazioni degli elettroliti, dalla disidratazione e dai cambiamenti di pH. Per minimizzare questi effetti, si possono prendere diverse precauzioni. Primo, utilizzare un agente crioprotettivo in grado di abbassare il punto di congelamento, come il glicerolo o il DMSO. Il mezzo di congelamento, che usualmente viene utilizzato è costituito da 80-90% siero, 10% DMSO. Inoltre, è meglio usare cellule in salute che stanno crescendo durante la fase logaritmica e sostituire il medium 24 ore prima del congelamento. Inoltre, le cellule sono portate lentamente da temperatura ambiente a -80°C, al fine di permettere all’acqua di uscire dalle cellule prima del congelamento e quindi poste in azoto liquido. Il tasso ottimale di raffreddamento è 1-3°C per minuto.

1.10 Linee cellulari particolarmente utilizzate

Le linee cellulari utilizzate in qualsiasi campo applicativo devono essere stabili, ovvero mantenere le proprie caratteristiche originarie o acquisite nel tempo, in condizioni di coltivazione definite. A tale scopo, una volta sviluppata una linea cellulare con le caratteristiche desiderate, essa viene propagata per singolo clone per costituire la Master

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Cell Bank (MCB), dalla quale, a sua volta, viene ottenuta la Working Cell Bank (WCB), che è utilizzata da un punto di vista operativo.

Alcune istituzioni scientifiche scelgono di gestire una banca cellule interna, nella quale confluiscono linee cellulari provenienti da isolamenti eseguiti nell’ambito di specifici progetti di ricerca. I campioni dai quali vengono ottenute le linee cellulari sono scrupolosamente controllati e monitorati e devono rispettare elevati standard di qualità. Tutti gli istituti, devono ottemperare alle normative europee 2004/23/CE, 2006/17/CE, 2006/86/CE e ai relativi decreti legislativi che recepiscono tali normative (D.Lgs. 191/2007 e D.Lgs. 16/2010) volti ad “assicurare un elevato livello di protezione sulla salute umana”. In particolare viene richiesto che l’istituto dei tessuti istituisca e aggiorni un sistema di qualità, basato sul rispetto di requisiti sia di natura organizzativa e gestionale, sia di natura tecnico-procedurale che verranno verificati da parte delle autorità competenti. In ottemperanza all’ art.17 D.Lgs. 191/2007, ogni istituto dei tessuti deve designare una persona responsabile con adeguata formazione ed esperienza la quale deve garantire che il trattamento delle cellule sia conforme a quanto stabilito dalle norme in atto.

Di seguito sono riportate le principali banche cellulari:

– European Collection of Authenticated Cell Culture www.phe-culturecollections.org.uk – American Tissue Culture Centre (USA) www.atcc.org

– National Cell Culture Center (USA) www.nccc.com

– German Collection of Microorganism and Cell Culture www.dsmz.de – IZS Centro Substrati Cellulari www.bs.izs.it

– IST Servizio Biotecnologie www.biotech.ist.unige.it

Le linee cellulari più comunemente usate sono:

• CACO-2 (adenocarcinoma del colon umano caucasico)

• 3T3 fibroblasti (topo)

• HeLa cellule epiteliali di tumore della cervice uterina (umana)

• CHO ovario (criceto cinese)

• DOK (cheratinociti orali displastici)

• HCE (epitelio corneale umano)

• RCE (epitelio corneale di coniglio)

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• BHK21 fibroblasti (criceto Syrian)

• MDCK cellule epiteliali (cane)

• PtK1 cellule epiteliali (ratto kangaroo)

• L6 mioblasti (ratto)

• PC12 cellule cromaffini (feocromocitoma di ratto)

• COS fibroblasti (scimmia)

• HEK-293 trasformazione di cellule renali embrioniche (umane)

In particolare per il mio lavoro sono state utilizzate cellule appartenenti alla linea cellulare HCE e DOK.

1.10.1 Colture cellulari buccali DOK (dysplastic oral keratinocyte)

I sistemi di coltura di tessuti buccali possono essere ottenuti da tessuti selezionati che vengono fatti crescere in colture primarie e poi sotto coltivate (Aternholt-Bindslev et al., 1987), oppure da cellule che vengono dissociate enzimaticamente e cresciute in coltura primaria (Polverini e Solit, 1986; Tavakoli-Saberi e Audus, 1989). Tavakoli-Saberi e Audus isolarono l’epitelio buccale della guancia di criceto e lo fecero crescere in coltura primaria su dischi di policarbonato (diametro pori di 3µm), rivestiti con collagene e fibronectina di coda di ratto. Le caratteristiche di permeabilità delle cellule in coltura furono determinate posizionando le cellule cresciute sui filtri in acqua triziata, fluoresceina e destrani (PM da 3800 a 150000 Da). Le cellule risultarono poco permeabili a sostanze con PM superiore a 18000.

Questi risultati confermarono che le colture primarie dell’epitelio della guancia del criceto sono simili a quelle dell’epitelio orale stratificato non cheratinizzato della mucosa buccale umana, di coniglio e di altre specie.

Gli stessi autori in un lavoro successivo (1989) valutarono, mediante spettroscopia fluorescente, la dipendenza del flusso trans epiteliale dal tempo, dalla temperatura e dal pH di alcuni agonisti selettivi β-adrenergici (propranololo, alprenololo, metoprololo, pindololo, atenololo). I risultati ottenuti indicarono che la permeazione attraverso la coltura primaria dell’epitelio buccale della guancia del criceto dipende ed è maggiormente

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facilitata da un più alto coefficiente di distribuzione apparente ottanolo/tampone del farmaco. Aumentando il valore del pH della soluzione tampone si osserva una permeazione maggiore attraverso il tessuto per quanto riguarda il propranololo e l’atenololo. Una diminuzione del pH comunque non influenzava sostanzialmente la permeazione di sostanze non ionizzabili, come il saccarosio.

Sidney e Chang, nel 1992, hanno isolato una linea cellulare da una displasia della mucosa orale “pre maligna” a partire dal tessuto di un uomo di 57 anni fumatore abituale fino alla comparsa di macchie bianche sulla lingua. Undici anni dopo un carcinoma a cellule squamose si sviluppò nel sito e fu eliminato. Successivamente la rimanente displasia è stata rimossa, e da un pezzo di questa sono state isolate le DOK. La linea DOK è stata clonata ed è risultata immortale. Si sviluppa in assenza di cellule promotrici 3T3, la sua crescita è ancoraggio-dipendente e non cancerogena nei topi. La cheratina delle cellule presenta una sorprendente somiglianza con quella della displasia della lingua originale. Il cariotipo di DOK è anuploide e complesso. L'immunoistochimica non ha mostrato alcuna espressione elevata della proteina oncosoppressore p53. A causa della sua origine e del fenotipo parzialmente trasformato, le DOK presentarono un'opportunità per valutare se gli agenti cancerogeni specifici associati al tabacco e alla noce di areca possono causare la trasformazione maligna dei cheratinociti orali in vitro.

1.10.2 Cellule corneali epiteliali umane HCE (Human Corneal

Epithelial )

Araki-Sasaki e colleghi hanno ottenuto una coltura immortalizzata di cellule epiteliali corneali umane che viene distribuita gratuitamente da una banca delle cellule giapponese a tutti i ricercatori coinvolti in studi che ne richiedano l’uso. di. La cornea, proveniente da un uomo di 49 anni con un carcinoma maxillo-sinusale, è stata recisa in condizioni asettiche e l’endotelio è stato raschiato con delle forbici; il pezzo è stato suddiviso in parti da 2x5 mm e piastrato in fiasche di plastica da 75 . Nelle fiasche è stato aggiunto mezzo di crescita SHEM. La coltura è stata mantenuta in atmosfera umidificata (95% aria e 5% ) a 37°C. Il mezzo è stato cambiato ogni 3 giorni, il pezzo di cornea ottenuta dal campione iniziale è stato rimosso dopo quattro giorni dall’avvio della coltura primaria per evitare la contaminazione di fibroblasti. A confluenza, la coltura di cellule epiteliali è stata

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infettata mantenendola a contatto per un’ora con un vettore SV-40 adenovirus ricombinante e clonata tre volte con la tecnica della carta da filtro. Le cellule ottenute continuavano a crescere e risultavano avere le stesse caratteristiche morfologiche, citologiche e biochimiche della coltura cellulare iniziale. La linea cellulare ha continuato a crescere per più di 400 generazioni esibendo aspetti caratteristici delle cellule epiteliali corneali umane normali quali la presenza di desmosomi e lo sviluppo di microvilli; esprimevano i cheratociti 64-kD cornea-specifici. Le cellule risultavano in possesso di 8.71 UI/mg di proteine dell’attività dell’aldeidedeidrogenasi. Quando queste cellule sono state fatte crescere ad un’interfaccia aria liquido in un gel di collagene, si sono differenziate in multistrato. Il tempo di raddoppiamento è 24 ore e 15 minuti.

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2 La mucoadesione

Con il termine bioadesione si intende l'instaurarsi di un contatto stretto tra un polimero ed un substrato biologico tramite la formazione di legami chimici e fisici fra le due superfici. La conseguenza di questo contatto si traduce in una diminuzione dell'energia superficiale del sistema (Peppas e Buri, 1985).

La mucoadesione, invece, è dovuta ad un'interazione bioadesiva tra una forma farmaceutica ed il muco ed il fenomeno avviene praticamente sempre in presenza di acqua. Il polimero aderisce allo strato di mucina che riveste le membrane mucose mediante forze interfacciali; le conseguenze del contatto sono una diminuzione dell'energia superficiale del sistema unita ad una permanenza più prolungata del farmaco nel sito di applicazione. Il meccanismo mucoadesivo si esplica, essenzialmente, in due stadi (Jimenez e

Castellanos, 1993):

• contatto stretto tra il substrato biologico (membrana mucosa) e la sostanza mucoadesiva (forma farmaceutica)

• penetrazione della formulazione nella superficie della membrana mucosa con formazione di legami che consolidano l'adesione.

Partecipano, quindi, a questo fenomeno, la superficie del polimero bioadesivo, il primo strato epiteliale del tessuto e, infine, lo strato interfacciale che si trova tra quest'ultimo e la formulazione. Quando il polimero adesivo è in contatto con un tessuto molle, lo strato interfacciale è rappresentato dal muco (Feijen et al., 1979; Hench ed Ethridge, 1982;

Huntsberger, 1981).

I legami che si formano sono di diverso tipo: • fisici o meccanici;

• chimici primari; • chimici secondari.

I legami fisici o meccanici interessano la compenetrazione delle catene polimeriche della formulazione fra le catene glicoproteiche della membrana mucosa. Più chiaramente,

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dunque, dipendono da processi di deposizione ed inclusione della sostanza bioadesiva negli interstizi del tessuto. Per avere questo tipo di legami, è molto importante la rugosità della superficie del tessuto, la quale è data dal rapporto fra la massima profondità (d) e la massima ampiezza (h). Quando d/h è minore di 1/20, la rugosità del tessuto non è significativa, per cui, i legami fisici sono meno importanti di quelli chimici nel meccanismo mucoadesivo (Kinloch, 1980).

I legami chimici primari (ionici o covalenti), invece, riguardano la formazione di reazioni tra i gruppi funzionali del polimero adesivo ed il substrato biologico (Kinloch, 1980). Non sono molto desiderati in caso di formulazioni a rilascio controllato applicabili a tessuti molli perché rimarrebbero in situ per un tempo troppo prolungato, anziché per al massimo due ore. Per legami chimici secondari si intendono interazioni di Van der Waals, idrofobiche, ad idrogeno ed elettrostatiche.

La mucoadesione è sfruttata per produrre forme di dosaggio polimeriche per il direzionamento dei farmaci. Rientrano nella categoria delle formulazioni mucoadesive: compresse, inserti solidi, gel, soluzioni viscose, sospensioni micro- e nano-particolate, ovuli, film, losanghe, spray e sistemi gelificanti in situ.

Molto spesso, questo tipo di prodotti, presentano fra gli eccipienti sostanze polimeriche che rivestono, appunto, il ruolo mucoadesivo.

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2.1 Vantaggi delle formulazioni mucoadesive

La mucoadesione comporta un grande numero di vantaggi:

• incremento del tempo di permanenza del farmaco nel sito di azione, dovuto alle forze di interazione fra il polimero e la mucina;

• il farmaco può essere localizzato nel sito di azione e, di conseguenza, viene migliorata e promossa la sua biodisponibilità;

• agendo in una specifica zona si ha la riduzione di effetti collaterali e di fenomeni antigenici;

• riduzione della frequenza di somministrazione.

2.2 La membrana mucosa

La membrana mucosa è un tessuto di tipo connettivale che ricopre la parete delle cavità corporee (occhi, tratto respiratorio, gastrointestinale e riproduttivo, cavità nasali e buccali). Il suo strato epiteliale è ricoperto da una sostanza viscosa, il muco. A seconda della cavità corporea essa è pluristratificata (ad esempio: tratto vaginale, cornea ed esofago) o monostratificata (ad esempio: intestino).

La membrana mucosa ricopre varie funzioni, quali:

• protezione degli strati di cellule epiteliali da danni chimici e meccanici; • lubrificazione e bagnabilità degli epiteli superficiali;

• impedimento della penetrazione di microorganismi ed altre sostanze estranee. Tutte queste funzioni sono consentite dalla presenza del muco.

2.2.1 Il muco

Il muco, come già detto, è una sostanza viscosa, con comportamento viscoelastico, che riveste gli strati epiteliali di molte superfici delle cavità corporee. Il suo spessore ed il suo valore di pH cambiano a seconda della localizzazione nel corpo. Ad esempio il pH della cavità boccale si trova intorno a 6.8 e lo spessore del muco è di 1 µm, mentre il pH dello

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stomaco è di 1-2 e lo spessore dello strato mucoso di circa 800 µm (Bassi da Silva et al.,

2016).

Il muco è composto da una miscela di: • acqua (95%);

• glicoproteine (5%), che prendono il nome di mucina; • sali inorganici (1%) sospesi in acqua;

• mucopolisaccaridi; • lipidi;

• proteine.

La sua composizione, però, varia in base alla specie animale, alla collocazione anatomica ed alle condizioni, patologiche o normali, dell'organismo.

Lo strato di muco è il principale responsabile della funzione di barriera diffusiva nei confronti di vari nutrienti, sostanze tossiche per l'organismo (ad esempio: fumo, acidi gastrici) e parassiti, riducendo, quindi, i danni che possono provocare. Un ruolo particolare è quello di legare i batteri rallentando, come conseguenza, l'invasione da parte di patogeni. Oltre ad essere il maggiore componente delle membrane mucose, il muco rientra nella composizione della saliva e del fluido lacrimale, determinando, in questo modo, la loro caratteristica proprietà lubrificante.

Lo strato mucoso è secreto dalle cellule mucipare caliciformi (Figura 5), le quali si trovano intercalate negli epiteli di rivestimento (più preponderanti nelle vie respiratorie e nel tratto digerente).

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Sono cellule di forma cilindrica con la parte apicale slargata che si restringe in prossimità del lume, chiamata corpo o teca: il plasmalemma apicale presenta molti microvilli, che hanno lo scopo di aumentare la superficie secretoria, al di sotto, nel corpo, si concentrano i granuli secretori. Il nucleo e la maggior parte degli organuli citoplasmatici si trovano nella zona basale della cellula, chiamata stelo, che si restringe incuneandosi nel tessuto epiteliale circostante.

La produzione di muco è dovuta principalmente all'azione di agenti irritanti. La sua secrezione avviene per esocitosi di granuli secretori. Il muco nei granuli delle cellule caliciformi è condensato, ma, in seguito alla secrezione, si espande di volume. Questo avviene perché le mucine hanno carica negativa, sono polianioniche, la quale viene neutralizzata dalla carica positiva degli ioni calcio (Ca2+), che si trovano all'interno della cellula. Quando avviene la secrezione, i pori situati sulla membrana si aprono verso l'esterno e lasciano uscire questi ioni. A questo punto, si verifica una variazione di fase, la quale è dovuta alla repulsione delle cariche anioniche della mucina e all'idratazione. Tutto ciò porta all'espansione del gel di mucina.

Il muco è un sistema dinamico, ovvero è continuamente rimosso dagli strati epiteliali e questo suo turnover può ridurre il tempo di permanenza nel sito di somministrazione di un farmaco.

2.2.2 La mucina

La mucina è il maggior componente, insieme all'acqua, del muco. È una sostanza appartenente alla famiglia delle glicoproteine (proteine altamente glicosilate) con alto peso molecolare (0.5-40 MDa). Presenta delle subunità (Figura 6) di circa 500 kDa che sono legate insieme da legami peptidici e ponti disolfuro intramolecolari (Khutoryanskiy, 2010). Ogni subunità è caratterizzata da una struttura proteica alla quale sono legate catene oligosaccaridiche di acetilgalattosamina, acetilglucosammina, fucosio, acido N-acetilneuramico (acido sialico) e galattosio. Al termine di alcune catene zuccherine si trovano gruppi carbossilici ed esterei carichi negativamente.

Essendo, dunque, una glicoproteina a carica negativa è responsabile dell'azione batteriostatica propria della membrana mucosa.

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La mucina si può distinguere in due forme: secreta solubile o legata alla membrana. La prima è il fattore responsabile, a causa del suo alto peso molecolare, della formazione del gel mucoso viscoelastico e della capacità di formare complessi grazie ai ponti disolfuro intramolecolari ed alle interazioni idrofobiche.

Figura 6 : Illustrazione della membrana mucosa e della struttura di una molecola di

mucina.

Le mucine assumono nomi diversi a seconda del luogo del corpo in cui sono allocate: • MUC 1: proteina trans-membrana che si trova nel tratto riproduttivo;

• MUC 2: secreta dalle cellule caliciformi del colon e dell'intestino tenue; • MUC 7: mucina più abbondante nella saliva;

• MUC 6: caratteristica della membrana mucosa dello stomaco.

2.3 Fattori influenzanti la mucoadesione

La durata e la forza del fenomeno mucoadesivo sono influenzate da diversi fattori: • peso molecolare della formulazione;

• conformazione spaziale; • pH;

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• idratazione del polimero; • tempo di contatto;

• presenza di legami ad idrogeno; • turnover della mucina;

• fattori ambientali.

2.3.1 Peso molecolare

Polimeri mucoadesivi con basso peso molecolare penetrano bene nello strato mucoso, ma non riescono a stabilire una buona interazione fra le catene polimeriche ed il muco. Polimeri con alto peso molecolare, al contrario, pur formando interazioni più forti, sfavoriscono l'interpenetrazione delle catene. Il peso molecolare ideale per avere una buona mucoadesione si trova nel range compreso tra 10 e 4 10 Da (Gurny et al., 1984).

2.3.2 Conformazione spaziale

Polimeri con conformazioni particolari, ad esempio a forma di elica, hanno scarse interazioni con il muco perché molti dei loro gruppi attivi sono schermati, invece formulazioni adesive costituite da polimeri con strutture lineari sono più facilitate nella mucoadesione. In questo modo, si capisce come la flessibilità della molecola influisca molto su questo fenomeno, in quanto rende più esposti i siti attivi di adesione (Park e

Robinson, 1985; Chen e Cyr, 1970; Gurny et al., 1984).

2.3.3 pH

Il pH della formulazione influenza la carica superficiale della mucina e delle catene polimeriche, se si tratta di un polielettrolita debole (Park e Robinson, 1985). Polimeri policarbossilici idrofili sono più mucoadesivi quando i gruppi carbossilici sono indissociati, questo perché si può avere la formazione di legami ad idrogeno. A differenza

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polimeri con gruppi amminici sono più mucoadesivi quando sono in forma protonata perché viene favorita l'interazione elettrostatica.

Di fondamentale importanza è anche il pH dell'ambiente fisiologico (stomaco, bocca...), il quale porta alla dissociazione dei gruppi funzionali del polimero mucoadesivo.

2.3.4 Concentrazione del polimero

Esiste una concentrazione ottimale, per ogni materiale mucoadesivo, affinché si ottenga la massima forza di adesione. Per sistemi liquidi o semisolidi molto concentrati, però, una volta superata la concentrazione ottimale, la forza adesiva diminuirà gradualmente. Questo accade perché si verifica la formazione di legami intermolecolari fra le catene del polimero che comportano una creazione di strutture a spirale, le quali diminuiscono, a loro volta, la possibilità di interpenetrazione delle catene.

Una bassa concentrazione del polimero, invece, produce deboli legami mucoadesivi perché non è sufficiente per creare un numero di legami tali da produrre una forte interazione. Allo stesso tempo, si ha un'eccessiva idratazione che dà origine ad una mucillagine che fa scivolare il materiale adesivo sulla membrana mucosa.

Per formulazioni solide, invece, tanto più è elevata la concentrazione del polimero, tanto più forte sarà il legame mucoadesivo (Duchene et al., 1988).

2.3.5 Idratazione del polimero

L'idratazione favorisce l'interpenetrazione perché consente una maggiore mobilità delle catene polimeriche. Lunghe catene idratate formano sia legami adesivi con il substrato biologico con cui sono in contatto, sia legami coesivi con altre molecole del polimero. La massima forza di adesione si avrà quando si otterrà un perfetto accoppiamento fra i siti di adesione, favorito da una giusta quantità di acqua.

Per i materiali mucoadesivi, però, esiste un livello di idratazione critico, superato il quale, si forma una mucillagine che, come già detto, non ha capacità mucoadesive (Chen e Cyr,

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