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2ª Commissione del Senato della Repubblica - Audizione informale in Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi nell'ambito dell'esame del disegno di legge n. 1662 ( Delega processo civile)

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Academic year: 2021

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Le riflessioni private e pubbliche condotte in questi giorni sulla giustizia civile convergono verso l’insopportabile obsolescenza della soluzione del blocco a oltranza della macchina giudiziaria, e anche dal punto di vista prospettico non manca la consapevolezza dell’insufficienza dell’orizzonte dato per le misure da assumere. E’ tempo di pensare a discipline nuove, di cominciare a strutturare il processo secondo criteri che distinguano le controversie non più in base agli schemi fin qui in uso, neppure quelli più recenti come il grado di complessità che ciascuna abbia rivelato, magari selezionando in ragione di attitudini circa il modo della loro trattazione.

Personalmente, è molto tempo che ritengo la struttura per udienze inefficiente per la maggior parte delle liti, e ragione di allungamento dei tempi oltre che di sprechi: l’udienza è – nel tempo – l’equivalente aritmetico del minimo comune tra le disponibilità di parti e giudice (imponendosi l’agenda del soggetto che ne ha di meno), e – nello spazio – il massimo comune del costo (imponendosi il trasferimento di ognuno degli interessati). In pratica, un fattore di sicuro allungamento della durata e altrettanto sicuro di inefficienza. Oralità, immediatezza e concentrazione quali riflessi asseritamente positivi del processo imperniato sull’udienza sono per lo più slogan ormai vuoti, e molti sarebbero disposti a sacrificare l’oralità in favore della scrittura, ad accettare che l’immediatezza sia solo eventuale ma non necessaria in ogni modo e, infine, a subire la conseguente de-concentrazione delle attività, che non sarebbe comunque maggiore di quella attuale. I processi suscettibili di trattazione interamente scritta e con moduli standard, per intero conducibili a distanza dunque, senza previsione di udienza che non sia meramente eventuale sono del resto una realtà normativa ancorché poco nota: è il caso del Regolamento UE per le controversie di modesta entità. Ora, introdurre per controversie tipiche una disciplina del genere affrancherebbe settori del contezioso, date le tecnologie correnti, anche dal rischio di subire blocchi sine die, sempre più ingiustificati. Del resto, la giustizia amministrativa, come facilmente può accadere lì dove minori sono le tradizioni, rivela un’agilità e una disponibilità al cambiamento in tal senso maggiori della giustizia civile.

Non è soltanto la struttura del processo ciò su cui interrogarsi: ferma l’opportunità di nuovi schemi processuali, che intanto potrebbero essere saggiati con discipline opzionali per i privati titolari dell’iniziativa e invece obbligatorie per i soggetti pubblici, anche l’ordinamento giudiziario andrebbe ripensato, indirizzando per legge i flussi dei procedimenti verso uffici altrimenti “innaturali”. Infatti, potrebbe essere intanto rimeditata l’esigenza di avere un «giudice naturale precostituito per legge», come vuole la Costituzione, quale esigenza che in ogni caso sia frammentato sul territorio (col rischio immanente che l’asimmetria funzionale, indotta o meno da Covid-19, generi essa stessa disparità di trattamento). A mio parere, specialmente laddove l’introduzione di schemi processuali alternativi giungesse ad ampliare l’impiego della scrittura ed escludere regolarmente la celebrazione di udienze in presenza, la distribuzione orizzontale dell’offerta giudiziaria (cioè, ovunque accessibile per tutti gli affari) potrebbe essere ripensata senza neppure rinunciare alle pretese garanzie costituzionali che derivano dalla pluralità delle sedi di giustizia. La concentrazione in (al limite) un’unica organizzazione degli affari di un dato tipo (un’evoluzione allo stadio germinale già avviata con la creazione dell’Unified Patent Court in materia di brevetti), con una sorta di ufficio unico nazionale – indifferentemente collocato – in dipendenza di una data tipologia di affari, non dovrebbe più respingersi come scolastica ipotesi da messa al bando costituzionale a fronte di un processo prevalentemente scritto. Peraltro, ben potrebbe il sistema dell’impugnazione (a quel punto, contro decisioni assistite da massima specializzazione del magistrato e, dunque, più resistenti) restituire esso quella garanzia (ove

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davvero irrinunciabile) della diffusione locale delle sedi di giustizia, insomma della pluralità di giudici più naturale.

Sono consapevole di incontrare diffidenze e, magari, accuse di eresia: per quel poco che ho imparato leggendo sopra le origini dei modelli culturali che ancora pratichiamo, avverto la sensazione che sbaglieremmo di grosso insistendo ancora con le risposte di un tempo in cui le domande erano assai di meno, e soprattutto altre. Oggi, che finanche la Costituzione è un’altra, e nessuna risorsa dello «Stato» (art. 81) può dirsi o – peggio – fingersi inesauribile.

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