• Non ci sono risultati.

La collaborazione tra autore e grafico nella progettazione del libro

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La collaborazione tra autore e grafico nella progettazione del libro"

Copied!
160
0
0

Testo completo

(1)La collaborazione tra autore e grafico nella progettazione del libro Francesca Depalma. 1.

(2) 2.

(3) Politecnico di Milano Scuola del Design Corso di Laurea Magistrale in Design della Comunicazione a.a. 2011/2012. La collaborazione tra autore e grafico nella progettazione del libro Relatore: Salvatore Zingale Studente: Francesca Depalma matricola 736216. 3.

(4) 4. composto in PT Serif, Sans Paratype, 2009-2011 stampato il.

(5) Abstract. Questa tesi affronta il rapporto dell’autore con il supporto della sua scrittura, indagando quanto effettivamente egli abbia voce in capitolo sulle decisioni riguardo l’aspetto del libro che accoglierà la sua opera, il cui progetto è affidato al grafico editoriale. Interrogandosi sulle relazioni che intercorrono tra queste due figure, riflettendo su come queste relazioni siano, nell’ambito dell’editoria industriale, mediate dall’editore e dai suoi collaboratori, ci si è domandati cosa cambierebbe se il progetto grafico del libro fosse copartecipato dall’autore, se l’autore potesse direttamente collaborare con il grafico all’impaginazione e all’aspetto materiale della pubblicazione. Ripercorrendo dunque il percorso di riappropriazione da parte dell’autore della progettazione editoriale, e, viceversa, analizzando le domande che un grafico dovrebbe porsi progettando di un libro, di fronte alla responsabilità di rappresentare e interpretare visivamente l’opera di qualcun altro, si è giunti a ipotizzare un semplice modello di interazione tra autore e grafico per la progettazione editoriale, permettendo a queste due figure di collaborare direttamente, portando alla produzione di un risultato finale che non sia schiavo delle leggi del mercato e della produzione industriale, ma sia frutto della viva collaborazione e scambio tra autore e grafico.. 5.

(6) 6.

(7) Indice 1. L’autore e la sua opera. Il rapporto dell’autore con la pubblicazione delle sue opere 7. 17 18. 1.1 L’autore e la produzione del suo testo 1.1.1 L’autore e il rapporto con il supporto della scrittura. 18. 1.1.1.1 Dalla “pubblicazione” orale alla lettura privata del libro. 21. 1.1.1.2 Il Medioevo: l’autore e il manoscritto. 24. 1.1.1.3 L’autore e la stampa. 28. 1.1.2 L’autore e la figura dell’editore. 31. 1.1.3 L’enunciazione editoriale, tra autore ed editore. 32. 1.1.3.1. Primo livello di intervento editoriale: la lettura dell’editore. 34. 1.1.3.2. Secondo livello di intervento: la revisione redazionale. 36. 1.1.3.3. Terzo livello di intervento: l’impaginazione. 41. 1.1.3.4. Quarto livello di intervento: la scelta del titolo. 42. 1.1.3.5. Quinto livello di intervento: la copertina. 45 46. 1.1 L’autore e l’autoproduzione del suo testo 1.2.1 La consapevolezza dei nuovi mezzi di produzione: l’Antilibro. 47. 1.2.1.1 La presentazione del manifesto dell’Antilibro. 48. 1.2.1.2 Francesco Pirella e il fondamento teorico dell’Antilibro. 50. 1.2.2.3 Il Manuale dell’Antilibro.

(8) 52. 1.2.2.4 Gli Antilibri progettati da Pirella e le Fabbriche dell’Antilibro. 56. 1.2.2.5 L’Antilibro e la libertà dell’autore. 8. 2. Grafica editoriale e testo. Il grafico editoriale e le riflessioni sull’interpretazione. 61. 2.1 Il rapporto tra grafica ed editoria. 61. 2.1.1 L’entrata del book designer nel processo di produzione e progettazione del libro. 64. 2.1.2 La grafica editoriale in Italia. 65. 2.1.2.1 Albe Steiner. 67. 2.1.2.2. L’art director e le collane editoriali. 69. 2.2 Grafica editoriale e interpretazione. 3. L’incontro in un progetto editoriale reale. Autori e grafici a contatto nel progetto di una collana di poesie. 75. 3.1. Osservazioni preliminari e riferimenti progettuali. 76. 3.1.1. Fanette Méllier e la grafica al servizio del racconto. 79. 3.1.2. Visual Editions e la narrativa visuale, tra scrittura e grafica. 81. 3.2. La casa editrice Caratteri Mobili e il suo progetto editoriale e grafico.

(9) 82. 3.2.1. L’aspetto grafico delle edizioni Caratteri Mobili. 87. 3.2.2. I grafici: Zabar e il suo percorso di ricerca. 91. 3.2.3. Il progetto di una nuova collana di poesie: Toblack 9. 93. 94. 3.3. Il progetto di una raccolta di poesie partecipativa. 3.2.4. La prima raccolta: Paesaggio013. 94. 3.3.1. Prima presentazione del progetto ai poeti: reazioni e osservazioni. 95. 3.3.2. Prima fase del progetto: lettura approfondita e analisi visuale e grafica delle poesie, osservazioni preliminari. 96. 3.3.2.1. Gabriele Belletti: prime impressioni. 98. 3.3.2.2. Ivan Schiavone: prime impressioni. 100. 3.3.2.3. Sara Davidovics: prime impressioni. 102. 3.3.2.4. Alessandra Carnaroli: prime impressioni. 104. 3.3.2.5. Elisa Alicudi: prime impressioni. 107. 3.3.2.6. Adriano Padua: prime impressioni. 110. 3.3.2.7. Jonida Prifti: prime impressioni. 112. 3.3.3. Seconda fase: discussione diretta con i poeti, osservazioni. 113. 3.3.3.1. Gabriele Belletti: l’intervista. 115. 3.3.3.2. Ivan Schiavone: l’intervista. 117. 3.3.3.3. Sara Davidovics: l’intervista. 119. 3.3.3.4. Alessandra Carnaroli: l’intervista. 120. 3.3.3.5. Elisa Alicudi: l’intervista.

(10) 10. 122. 3.3.3.6. Adriano Padua: l’intervista. 124. 3.3.3.7. Jonida Prifti: l’intervista. 125. 3.2.4. Terza fase: i primi prototipi. 127. 3.2.4.1. Gabriele Belletti: la sovrastampa. 128. 3.2.4.2.Ivan Schiavone: il rotolo. 130. 3.2.4.3. Sara Davidovics: la performance. 133. 3.2.4.4. Alessandra Carnaroli: la violenza. 136. 3.2.4.5. Elisa Alicudi: la visione. 139. 3.2.4.6. Adriano Padua: evidenziare le differenze. 145. 3.2.4.7. Jonida Prifti: recuperare l’ispirazione iniziale. 148. 3.4. Conclusioni sulla prima fase progettuale. 4. Conclusione 151. Conclusione. Bibliografia 155. Riferimenti bibliografici. 157. Testi consultati. 157. Sitografia.

(11) Introduzione. Il libro è un prodotto industriale di estrema complessità, in ogni sua forma, cartacea e digitale. Il libro è portatore di un testo, di un contenuto, che è raggiungibile solo dopo aver superato i vari strati superficiali posti da colui che si prende la responsabilità di ricavare un guadagno dalla vendita di questo testo: l’editore. L’editore, accettando l’opera di un autore, e apponendogli la sua marca, inserendola in una specifica collana, donandogli una specifica veste grafica, si prende la responsabilità di diffondere il testo e ricavarne un guadagno economico per entrambi. L’editore ha dunque un grande controllo sul lavoro dell’autore. La sempre maggiore presenza e presa di posizione degli editori all’interno del processo di produzione del libro ha tuttavia allontanato l’autore dall’oggetto finale del suo lavoro: il libro e le pagine che accolgono e trasmettono il suo testo. Spesso l’autore a malapena viene interpellato nella valutazione della copertina che accompagnerà e presenterà ai potenziali lettori il suo lavoro, copertina che è frutto dell’interpretazione di un grafico che, spesso, ha solo poco tempo per progettarla, facendosi ispirare da frammenti di testo scelti o da ispirazioni guida del reparto marketing della casa editrice. Intervenire, da parte dell’autore, anche nelle questioni che riguardano l’impaginazione del suo testo e in altre questioni grafico e tipografiche, è estremamente raro. Spesso, anche il grafico viene raramente coinvolto nella progettazione interna del libro, che rimane rigida e impostata sempre secondo le regole tipografiche della casa editrice, di cui collabora a rappresentare l’immagine e le scelte. E se il libro ritornasse ad essere, come auspicavano gli scrittori che han sottoscritto il Manifesto dell’Antilibro, un prodotto diretto di un autore, di un suo diretto interesse a far sì che l’insieme della sua opera comunichi le sue intenzioni? Cosa succederebbe se grafico e autore lavorassero insieme a diretto contatto, mescolando le proprie professionalità e le proprie idee nei rispettivi campi d’azione, arricchendo le possibilità d’espressione dell’artefatto finale? L’intento di questa tesi è di analizzare il ruolo di autore e grafico nel processo di produzione del libro, in modo da poter ipotizzare metodi di collaborazione e scambio tra autore e grafico, per provare, insieme, a creare un libro diverso, un libro che esalti tutte le caratteristiche del supporto in modo significante, e non meramente decorativo.. 11.

(12) 12. Il progetto finale di questa ricerca è l’occasione di quest’incontro: grazie alla possibilità offerta dalla casa editrice pugliese Caratteri Mobili, aperta alla sperimentazione, è stato possibile progettare una collana editoriale di poesia, che abbia come principio fondante l’idea che i grafici, in questo caso il collettivo di graphic designer Zabar, possa collaborare di volta in volta direttamente con i poeti che saranno coinvolti nelle raccolte pubblicate all’interno di questa collana. Ogni raccolta avrà un aspetto grafico differente, che dipenderà dai poeti che in essa saranno pubblicati. Non un libro canonico, dunque: ogni poeta avrà un libro a sé, progettato ad hoc, e derivato dalle conversazioni e dalla condivisione di idee tra grafico e autore. L’obiettivo del grafico sarà duplice: da un lato, trovare i modi più efficaci e rispettosi della scrittura dell’autore per progettare ad hoc ogni libretto, condividendo le scelte e le decisioni grafiche direttamente con l’autore; dall’altro, ogni raccolta, cioè ogni raccolta di questi singoli piccoli libri, dovrà essere producibile on demand, unendo tecniche di progettazione e produzione digitali e artigianali, e dunque vi saranno limiti economici e produttivi da tenere a mente, durante il progetto. Questo esperimento di progettazione partecipata con l’autore, e di pubblicazione print-on-demand, possono essere visti come una proposta di rinnovamento dell’editoria tradizionale, in modo da far risaltare e rendere significante il rapporto del testo con il suo contenitore. Il libro cartaceo non è affatto destinato a morire, se si dà ad esso un reale motivo per esistere, un ulteriore significato oltre a quello di mero supporto della parola.. 12.

(13) 1. L’autore e la sua opera Il rapporto dell’autore con la pubblicazione delle sue opere. 13.

(14) 14. Nella vecchia arte lo scrittore scrive testi. Nella nuova arte lo scrittore fa libri. Ulisses Carriòn The new art of making books 1975.

(15) Ogni testo necessita di un supporto per essere fruito dai lettori. Anche la voce, primo canale di diffusione delle storie, è un mezzo necessario e indispensabile alla trasmissione. Dai primi autori, che dettavano la loro opera a degli scriba professionisti, che sotto la loro supervisione, la trascrivessero in modo che rispettasse le loro intenzioni, con il cambiare delle forme di trasmissione della parola scritta, e degli scopi che ognuno di questi supporti assolveva, si crea sempre un maggiore distacco degli autori con la forma finale del loro testo. Dagli studiosi medievali, che compilavano i loro manoscritti di studio potendo scegliere direttamente l’impaginazione più corretta e utile allo scopo dello studio, allo scrittore contemporaneo, che affida la propria opera a un editore, insieme curatore del testo e uomo esperto del commercio librario, che da una parte cerca di trasmettere il testo dell’autore nel modo più coerente possibile con le sue intenzioni, dall’altro tende a modificarlo in base alle proprie intenzioni, e soprattutto cercando di accontentare la maggior parte del pubblico a cui si rivolge. Ripercorrere il rapporto dell’autore con il suo testo, con la produzione materiale delle sue parole, comprendendo come quello che viene definito “libro” non sia uno strumento neutro, un semplice e trasparente contenitore di testo, ma sia in realtà frutto di vari interventi di mediazione dell’originale testo di un autore, ci permette di capire come nell’editoria il ruolo dell’autore e il suo rapporto con il supporto libro sia ancora stato poco esplorato e stimolato. Riportare l’autore a riprendere coscienza degli strumenti che ha a disposizione per rappresentare da sé il proprio testo è lo scopo dell’Antilibro, progetto di ecologia culturale portato avanti da Francesco Pirella dal 1995, preannunciatore dell’attuale selfpublishing, che presenta l’autoproduzione come maniera più sincera di produzione e diffusione di un testo, saltando tutti i livelli di intermediazione editoriale e reimpossessandosi del libro come supporto a completamento della propria espressione autoriale.. 15.

(16) 16.

(17) 1.1. L’autore e la produzione del suo testo. 1 Chartier, R. e Cavallo, G. (a cura di), Storia della lettura nel mondo occidentale, Laterza, Bari, 2009, p. IX. «Contro la rappresentazione, elaborata dalla letteratura stessa e ripresa dalla più quantitativa delle storie del libro, secondo la quale il testo esiste di per sé, svincolato da ogni materialità, bisogna ricordare che non vi è testo senza il supporto che lo offre alla lettura (o all’ascolto), senza la circostanza in cui esso viene letto (o ascoltato). Gli autori non scrivono libri: essi scrivono testi che diventano oggetti scritti – manoscritti, incisi, stampati e, oggi, informatizzati – maneggiati in maniere diverse da lettori in carne ed ossa le cui modalità di lettura variano secondo i tempi, i luoghi, i contesti.»1 Entrare in una libreria, vedere un libro, essere incuriositi dalla sua copertina. Leggere il titolo, il testo posto in quarta per saperne un po’ di più. Guardare rapidamente le informazioni poste sulle bandelle, che ci descrivono in poche righe chi è l’autore, o altre informazioni sulla casa editrice. Leggere l’introduzione, o la prefazione, se sono presenti. Iniziare, finalmente, a leggere il testo vero e proprio. Tutta questa serie di gesti, ormai spontanei, conducono il potenziale lettore verso il testo dell’autore: dopo aver superato vari strati, il lettore può entrare in diretto contatto con ciò che stava cercando. Ma è davvero un contatto diretto, quello che il lettore sviluppa con il testo contenuto in un libro? Quel testo, stampato con un certo carattere, su una certa carta, rilegato in un certo modo, con una certa immagine in copertina, e introdotto da testi specifici, si può ritenere sia ancora e solamente il testo che l’autore aveva inizialmente concepito? Il contenuto che il libro veicola non è limitato al testo, ma include altresì sulla sua superficie quali scelte abbia compiuto l’editore nella pubblicazione, collocandolo in una collana specifica, apponendo una grafica specifica. Sono tutte scelte che influenzano il lettore, portandolo a farsi un’opinione dell’autore non del tutto autonoma, ma, appunto, mediata. È per questo che le scelte editoriali legate alle edizioni dei testi vanno tenute in grande considerazione nello studio della storia di un testo, della sua ricezione, oltre che nello studio del lavoro di un autore, del suo rapporto con l’edizione del proprio testo, del suo rapporto con il supporto-libro.. 17.

(18) 1.1.1 L’autore e il rapporto con il supporto della scrittura Prima dell’industria editoriale, prima della stampa a caratteri mobili, la diffusione del testo, di tipo narrativo, o saggistico, o religioso, o giuridico, era affidata ad altri tipi di produzione e distribuzione.. 1.1.1.1 Dalla “pubblicazione” orale alla lettura privata del libro. 18. 2 Cfr. Hadas, Moses, Ancillas to Classical Learning, Columbia University Press, New York, 1954, p. 50, in McLuhan, Marshall, La Galassia Gutenberg, Armando Editore, Roma, 2004, p. 125. 3. Nell’Antica Grecia l’accezione del «pubblicare» un’opera era legata alla modalità effettiva di presentazione del testo: esso veniva, infatti, letto dall’autore a voce alta di fronte a un pubblico di ascoltatori. L’autore sarà successivamente sostituito da un attore, che reciterà il testo apponendogli la propria personale interpretazione, e condizionando così anche la ricezione del pubblico. Il testo si presentava dunque al lettore privo di un qualsiasi supporto materiale, era solo la voce di chi leggeva a trasmettere quegli elementi necessari alla sua comprensione: gli ascoltatori potevano affidarsi dunque unicamente al tono della voce dell’autore, o dell’attore, per comprenderne le intenzioni.2 La trasmissione del testo ha sempre posseduto un livello di mediazione, di interpretazione, non sempre direttamente gestibile dall’autore stesso, che in questo caso vede il proprio testo interpretato da un altro, l’attore, il quale può applicarvi la propria visione dell’opera, indirizzando così la considerazione del pubblico. «Potremmo dire che tutta la letteratura classica è stata concepita come un dialogo, o un discorso, rivolto al pubblico. (…) La poesia in particolare mostra che in tutte le sue varie forme essa era intesa per essere declamata oralmente. Perfino gli epigrammi rappresentano un messaggio parlato rivolto al viandante (…). L’epica omerica, naturalmente, era intesa per una lettura pubblica, e anche molto tempo dopo che la lettura privata divenne comune, i rapsodi continuarono a guadagnarsi da vivere recitando i poemi epici. (…) La prosa, non meno della poesia, veniva presentata oralmente, come sappiamo da notizie concernenti Erodoto e altri, e la pratica della lettura pubblica influenzava la natura della prosa quanto quella della poesia.»3. Ibidem.. Nel passaggio da una diffusione della cultura e della conoscenza prettamente orale, a un ampliamento della popolazione alfabetizzata e capace di leggere, intorno al IV secolo a.C., prima in Grecia e successivamente anche nell’Impero Romano, si inizia a diffondere anche l’uso della lettura privata, in casa, e dunque anche la sempre maggiore diffusione, soprattutto come dono degli autori agli amici o ai.

(19) 4 Cfr. Saenger, Paul, Leggere nel tardo Medioevo, in Chartier, R. e Cavallo, G. (a cura di), Storia della lettura nel mondo occidentale, op. cit., p. 123. 5 Cfr. Chartier, R. e Cavallo, G. (a cura di), Storia della lettura nel mondo occidentale, op. cit.. 6 Cavallo, Guglielmo, Tra «volumen» e «codex». La lettura nel mondo romano, in Chartier, R. e Cavallo, G. (a cura di), Storia della lettura nel mondo occidentale, op. cit., p. 42. mecenati, dei volumen, i rotoli di papiro. I rotoli erano trascritti a volte personalmente dagli autori, mentre, in altri casi, questi si avvalevano della collaborazione di scribi professionisti, che, padroni della scriptio continua (scrittura che prevede tutte le parole compilate di seguito, senza spazi o altri segni di interpunzione, che divenne il primario tipo di scrittura dal II secolo d.C. soprattutto a Roma, sostituendo il tipo di scrittura precedente, in cui le parole erano separate da punti, scrittura che era ancora in qualche modo gestibile dall’autore personalmente)4, trascrivevano in “bella copia” gli appunti incisi su tavolette di cera, tavolette redatte o dall’autore o dal proprio segretario, che prendevano appunti con la stenografia prima di trascrivere il tutto su rotolo. I rotoli erano così prodotti e distribuiti su richiesta, e spesso direttamente gestiti dall’autore, se ancora in vita, oppure venivano ricopiati da rotoli originali che venivano diffusi nelle città greche tra chi ne faceva richiesta, soprattutto amici e estimatori, o studiosi.5 In quest’epoca, in cui l’autore ha ancora uno scarso contatto con il supporto delle sue parole, l’attenzione verso quest’ultimo è semplicemente legata alla sua funzionalità per la lettura e la diffusione, nonché conservazione: i volumina dovevano essere, infatti, prima di tutto atti a conservare per lungo tempo, a proteggere, il testo in essi contenuto, e le neonate biblioteche pubbliche, prima che luoghi atti alla lettura, erano luoghi dedicati alla custodia, conservazione e ordine dei rotoli. Il libro giunge a Roma dopo i primi contatti con la cultura ellenica: primariamente un bottino di guerra, i rotoli vengono successivamente presi a modello, sia per contenuto che per forma, per la letteratura latina, che tra il III e il I secolo a.C. Vede un forte sviluppo. Oltre alla cura per la redazione dei testi, i volumina diffusi intorno al primo secolo a.C. presentavano una notevole cura nei materiali e nell'impaginazione, essendo contenitori di letteratura e poesia “alta” e destinati a lettori colti e facoltosi: «papiro di prima qualità e di primo impiego, studiata impaginazione dello scritto, forme grafiche accurate e talora eleganti, testo corretto, uso di iniziali distintive e di scritture particolari per il nome dell’autore e il titolo dell’opera al termine di ciascuna unità libraria, asticelle per l’avvolgimento del volumen»6. Altre accortezze nella presentazione dei testi riguardavano la distribuzione del testo sulla pagina, suddiviso in colonne piuttosto che in un unico blocco di testo, formato da righe orizzontali parallele al lato lungo del foglio di papiro o pergamena, in modo da agevolare la lettura durante lo svolgimento del rotolo. Inoltre si iniziò a concepire l’identità. 19.

(20) 20. del libro come contenitore di un unico testo, abbandonando l’abitudine di inserire, in uno stesso rotolo, testi diversi, o parti diverse di uno stesso testo (nel caso di testi suddivisi dall’autore in ‘libri’, ogni parte del testo corrispondente a un ‘libro’ era contenuta fisicamente in un rotolo, per facilitare al lettore il compito di rintracciarlo e consultarlo). Questi elementi mostrano come gli autori iniziassero a considerare con sempre maggiore importanza il supporto del loro testo, facendo in modo che fosse sempre più agevole per la lettura, oltre che piacevole per lo sguardo: funzionalità e decorazione convivevano sulla stessa superficie. Con l’avvento del codex, intorno al II secolo, si ha un ulteriore passo nella comodità di lettura e di produzione del testo: utilizzato inizialmente dai cristiani, derivava la sua forma dalle tavolette cerate, che erano unite in dittici da delle cordicelle. Il materiale fu inizialmente lo stesso dei volumina, dunque la pergamena; questo tipo di supporto è quello che, con alcune piccole modifiche, è poi diventato quello che noi definiamo “libro”..

(21) 1.1.1.2 Il Medioevo: l’autore e il manoscritto. Il sistema di trascrizione dei testi sotto dettatura e per mano di intermediari perdurò anche Medioevo, finché predominò la scriptio continua, e dunque finché anche nella fase di redazione di un testo fu necessaria la presenza di altre figure che coadiuvassero l’autore nella trascrizione della sua opera. La produzione scrittoria di cui si hanno maggiori informazioni riguardo a quest’epoca è quella dei monasteri, di cui ci sono rimaste varie testimonianze. Fra queste, quella di San Bonaventura (1217/1221 – 1274) ci indica quattro tipi di figure che si potevano riscontrare nella produzione testuale dell’epoca: lo scriptor, il compilator, il commentator, e, infine, l’autor:. 7 Bonaventura, Proemio al Commentarium in libris sententiarum, in Opera Omnia, Claras Aquas, 1882-1902, I, pp.14-15, in Illich, Ivan, Nella vigna del testo. Per una ecologia della lettura, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1994, p.108. 8 Ivi, p. 90. 9 Cfr. ivi, pp. 88-89. 10 Ivi, p. 91. «Ci sono quattro modi di fare un libro. Alcuni scrivono parole altrui, senza aggiungere o cambiare alcunché, e chi fa questo è uno scriba (scriptor). Altri scrivono parole altrui e aggiungono qualcosa, però non di proprio. Chi fa questo è un compilatore (compilator). Poi ci sono quelli che scrivono sia cose altrui sia proprie, ma il materiale altrui predomina e quello proprio è aggiunto come un allegato a scopo di chiarimento. Chi fa questo si definisce commentatore (commentator), non autore. Chi invece scrive sia cose che vengono da lui stesso sia cose d’altri, riportando il materiale altrui allo scopo di confermare il proprio, questi è da chiamare autore (auctor)».7 La squadra che collaborava con l’autore per la trascrizione della sua opera era estremamente complessa: l’autore dettava prima di tutto a degli amanuensis, scrivani che, padroni della stenografia, trascrivevano le parole del dictator, ripetendole tra sé e sé a bassissima voce, “borbottando”, per mantenerle nella memoria durante la scrittura. Questo primo scriba era chiamato anche “aratore”, in quanto il suo incidere le righe sulle tavolette di cera, «a chi guarda, (...) ricorda l’exarare, l’aratura (…) e le righe sono viste come solchi da cui fiorirà il seme delle parole»8. Queste trascrizioni, dopo la revisione del dictator, erano poi passate a un’intermediario che si occupava di redigerle in forma estesa, pronte per essere infine redatte nella versione finale da cui sarebbe stata poi tratta la copia per i lettori da una squadra di calligrafe, che compilavano in bella grafia i fogli che sarebbero poi stati rilegati in forma codex.9 La redazione del dettato compiuta dall’amanuensis, con la penna sulla pergamena, dava la testo una forma non del tutto definitiva: spesso diversi amanuensi mettevano in bella copia il dettato dell’autore, il quale « dava per scontato che quanto da lui dettato sarebbe cambiato ogni volta che si copiava»10: in ogni copia ci sarebbero state delle differenze formali, o spesso anche errori, dovuti al processo di trascrizione. L’autore non poteva, quindi, avere il controllo totale della forma della sua opera, e ne era consapevole.. 21.

(22) L’evolversi delle forme di scrittura, dalla scriptio continua all’utilizzo delle parole separate, per poter gestire meglio testi in lingua latina, che nell’uso comune si andava perdendo, sostituita dai volgari, portò gli autori, intorno al XII secolo, a redarre personalmente i propri testi sotto forma di manoscritti. Questo superamento degli intermediari portò anche ad affrontare la scrittura in maniera differente, più intima, portando a fermare con la penna su pergamena pensieri che non era possibile dettare ad alta voce al proprio segretario. Un esempio di questo tipo di consapevolezza e uso privato della scrittura ci viene offerto da Paul Saenger.. 22. 11 Saenger, Paul, Leggere nel tardo Medioevo, in Chartier, R. e Cavallo, G. (a cura di), Storia della lettura nel mondo occidentale, op. cit., p. 131. 12 Cfr. ivi, p. 124. «Le nuove agevolazioni offerte dalla scrittura accrebbero nello scrittore il senso di intimità e di riservatezza del proprio lavoro. In solitudine, egli era personalmente in grado di manipolare appunti presi su fogli e fascicoli separati. Poteva vedere il proprio manoscritto come un tutto e, servendosi di riferimenti incrociati, sviluppare relazioni interne ed eliminare le ridondanze comuni nella letteratura dettata del XII secolo. Poteva anche aggiungere a proprio piacimento supplementi e revisioni al proprio testo, in qualunque momento prima di inviarlo ad uno scriptorium perché fosse pubblicato.»11 Guiberto di Nogent, monaco vissuto nel XII secolo, impadronitosi della libertà di scrivere personalmente su pergamena, senza dover necessariamente dettare i propri pensieri a un segretario, iniziò a compilare testi non consoni al suo stato: poemi erotici, riprendendo i modelli dei poemi antichi; dettagli dei suoi sogni; e un commentario della Genesi che nascose persino al proprio abate.12 Della vicenda di Guiberto ci interessa sottolineare come si modifichi la percezione della scrittura, e soprattutto di cosa sia possibile scrivere, quando gli strumenti sono direttamente gestiti dall’autore, senza la necessità di intermediari, almeno nel momento della stesura, eventualità che fino al momento in cui la scrittura era nelle mani unicamente dei segretari non era contemplata dagli autori, che raramente fissavano direttamente i loro pensieri sul foglio. Questi scritti di Guiberto naturalmente erano scritti per sé stesso, non furono mai pubblicati o affidati a degli amanuensi perché li copiassero; però va sottolineato il nuovo approccio alla scrittura, più intimo e personale, portato dalle nuove tecniche scrittorie. I manoscritti d’autore dell’epoca sono chiaramente riconoscibili per raschiature, cancellature, o interventi interlineari e nei margini, effettuati durante la rilettura e correzione. Se il momento della redazione del testo era divenuto intimo, la stesura finale per la diffusione del testo era ancora legata alla presenza degli amanuensi: spesso l’autore collaborava con altri scribi, più abili di lui nell’utilizzo di grafie.

(23) 13. formali, atte alla pubblicazione dei testi, e che richiedevano una cura, un’attenzione, un ritmo molto lento, il che portava ad allungare di molto i tempi della redazione finale del testo, rispetto ai tempi della effettiva composizione personale.13. Cfr. ivi, p. 125. 14 Illich, Ivan, Nella vigna del testo. Per una ecologia della lettura, op. cit., p. 102. L’inserimento degli spazi tra le parole, l’uso della divisione in paragrafi, in capitoli, e delle lettere miniate, che guidavano il lettore nell’orientamento all’interno del codex, furono tutti strumenti fondamentali per gli autori, e gli amanuensi che applicavano tali accorgimenti sotto la loro direzione: grazie a questi interventi, il testo diventava sempre più la mappa di un ragionamento, che si offriva al lettore chiara, facile da percorrere, per la vista, ma anche per la mente. «La pagina visibile non è più la registrazione della parola ma la rappresentazione visiva di un’argomentazione elaborata col pensiero.»14. 23.

(24) 1.1.1.3 L’autore e la stampa. 24. 15 Petrucci, Armando, Introduzione. Per una nuova storia del libro, in Febvre, L. e Martin, H.-J., La nascita del libro, Laterza, Bari, 2011, p. XLV. «Tre fattori, fra loro concatenati strettamente, sembrano in verità caratterizzanti della produzione del libro a stampa rispetto a quella del libro medievale manoscritto che ne costituisce l’immediato antecedente (...): e cioè innanzitutto la ricerca del profitto imposta alla produzione come fine prevalente e determinante e collegata alla presenza della o delle persone che investono il capitale nell’impresa, le quali solo ad un certo punto daranno vita alla figura specifica dell’editore; quindi la dislocazione del processo di produzione del libro fuori dell’ambiente ove il testo viene elaborato e composto, che sfocia nell’instaurazione di un rapporto di estraneità o comunque di alterità fra autore e produttori del libro; e infine la progressiva affermazione di un processo di sfruttamento del personale operaio impegnato nella produzione stessa, che comportava precisi meccanismi di orari, di norme, di costrizione fisica e, dall’altra parte, una reazione precocissima di proteste, tentativi di organizzazione dei lavoranti, astensioni dal lavoro, ecc.»15 Le modalità di riproduzione del testo introdotte dalla stampa a caratteri mobili intorno alla metà del XV secolo, modificano ulteriormente il rapporto degli autori con la presentazione del proprio testo. Se ai tempi del manoscritto un autore poteva, avendone le potenzialità, dare una forma definitiva ai propri scritti attraverso la sua propria scrittura, e gestendo personalmente, per moltiplicare le copie del proprio scritto, una squadra di amanuensi, nel momento in cui la rappresentazione del testo su carta diventa il frutto di un lavoro più tecnico, nelle mani di operatori specializzati, e soprattutto guidato dai limiti imposti dai macchinari propri della stampa, l’autore perde sempre più il controllo sull’aspetto finale del suo testo, e raramente può intervenire con richieste specifiche riguardo l’impaginazione. La scomposizione in singole unità, singoli caratteri, delle parole, la loro ricomposizione in righe, contenute all’interno di una forma preimpostata, non dava all’autore grandi libertà di scelta: «L’autore dell’era tipografica non controlla più né la forma dei segni né la loro disposizione: i segni sono determinati da altri (gli incisori di punzoni o gli odierni ‘type designers’) e vengono disposti da altri ancora (compositori e impaginatori), secondo modalità che vivono e si sviluppano per proprie vie e che costituiscono inevitabilmente il modello di riferimento che determina la forma di un testo, e quindi il modo di concepirlo. La tipografia, in definitiva, struttura ulteriormente il pensiero. Da una parte è stata la tipografia, con la sua specifica qualità di giustapporre in modo preciso caratteri sempre uguali, ad accelerare il progresso scientifico, fornendo segni univoci, norme ortografiche, consolidamento della simbologia matematica, tavole numeriche ordinate,.

(25) 16 Lussu, Giovanni, La lettera uccide. Storie di grafica, Stampa Alternativa & Graffiti, Roma, 2003, p. 25. 17 Cfr. Febvre, L. e Martin, H.-J., La nascita del libro, op. cit., pp. 140 e seguenti. 18 McLuhan, Marshall, La galassia Gutenberg: nascita dell’uomo tipografico, op. cit., p. 175. disposizioni tabellari e correzione delle bozze. D’altra parte, la tipografia ha alienato la scrittura, ha aperto una frattura tra l’autore e il testo.»16 Come nello scriptorium medievale, dove le parole dettate dall’autore subivano passaggi attraverso vari intermediari prima di approdare sulla pergamena in forma definitiva, anche nelle stamperie erano numerosi i professionisti a cui ogni fase della stampa era affidata. Per iniziare una qualsiasi impresa editoriale, lo stampatore necessitava di un finanziatore, di qualcuno che coprisse le spese per l’acquisto dei materiali (soprattutto la carta, in quanto i macchinari, che erano frutto di un investimento iniziale dello stampatore, non necessitavano grandi investimenti), e il pagamento dei lavoranti. Spesso il finanziatore (“antenato” della figura dell’editore che si affermerà nei secoli successivi) sceglieva personalmente le opere da pubblicare, portando allo stampatore anche le proprie decorazioni, i propri caratteri, con i quali desiderava che fossero stampate le proprie edizioni.17 C’è dunque un’anticipazione del ruolo di mediatore dell’editore: non solo egli sceglie cosa pubblicare, ma impone anche la forma che questi testi dovranno avere, forma che deve seguire il suo gusto, e comunicare l’appartenenza di quello scritto proprio a quello specifico finanziatore, non ad altri. Infatti, alcuni di questi finanziatori acquistavano l’esclusiva su alcuni caratteri e xilografie, in modo da poterli utilizzare solo nei propri libri. Con la nascita delle stamperie, e delle librerie, spesso gestite o direttamente dai tipografi, o dai loro finanziatori, il libro e il suo contenuto, (e, in certi casi, principalmente il suo contenitore), adattano sempre più le proprie caratteristiche al loro ruolo di «merce»: produrre un libro deve costare poco, e rendere abbastanza per ripagare i finanziatori, lo stampatore, e i suoi lavoranti, che devono subire ritmi di lavoro sfiancanti per star dietro ai tempi frenetici imposti della produzione. «Come la stampa fu il primo esempio di produzione di massa, essa fu anche la prima merce uniforme e ripetibile. La catena di montaggio dei caratteri mobili rese possibile un manufatto che aveva le caratteristiche di ripetibilità e di uniformità proprie di un esperimento scientifico. Caratteristiche di cui la scrittura a mano è priva.»18 Il proprietario della stamperia, il maestro stampatore, si occupa di gestire il lavoro di tutti i suoi dipendenti; egli è spesso un uomo istruito, e si occupa personalmente di correggere le bozze dei testi in produzione. Un alto livello d’istruzione e conoscenza di grammatica e scrittura. 25.

(26) dev’essere proprio anche del compositore: è nelle sue mani la buona riuscita della messa in pagina del testo. In piedi, davanti al compositoio, prepara, mettendo in fila un carattere dopo l’altro, le forme per la stampa, che saranno poi affidate ai torcolieri, che permetteranno di imprimere su carta il testo. Il proto tipografo controlla e verifica il lavoro degli altri operai: quasi al livello del maestro, è anch’egli istruito e dedito alla correzione dei testi e delle bozze di stampa.. 26. Gli autori, coloro che sperano di veder pubblicato il proprio manoscritto, dedicano le proprie opere a dei mecenati, sperando in una loro protezione o remunerazione, in quanto il loro lavoro non era ancora tutelato né ben pagato, e solo in un momento successivo essi riescono a far valere i propri diritti sulle loro opere. Dopo aver venduto il loro manoscritto a uno stampatore, ne perdevano ogni diritto, non potevano controllarne né la riproduzione né la diffusione. Spesso ricevevano in cambio solo alcune copie che l’autore poteva donare o diffondere a suo piacimento, o qualche altro tipo di dono. Molti scrittori, già in età umanistica, decisero di aprirsi una propria stamperia o libreria, per riavvicinarsi alle decisioni legate alla forma, soprattutto all’estetica, delle proprie opere, o delle opere di cui avevano a cuore la diffusione.. 19 Febvre, L. e Martin, H.-J., La nascita del libro, op. cit., p. 175. 20 Lussu, Giovanni, La lettera uccide. Storie di grafica, op. cit., p. 23. 21 Ivi, p. 25. «Stampare le proprie opere con i propri torchi, sorvegliare l’esattezza e l’eleganza dell’edizione, organizzare soprattutto la diffusione esercitando così un’azione diretta sul pubblico: questa era e rimarrà sempre l’ambizione di molti uomini di lettere e di scienza, soprattutto nei periodi in cui i conflitti di idee e le crisi di coscienza determinano il sorgere di una letteratura impegnata.»19 La strutturazione del lavoro tipografico porta a una scissione forte tra l’autore e la forma finale della sua opera. Mentre nel lavoro manoscritto vi era ancora una certa somiglianza, sia processuale che formale, tra la redazione scritta fatta dall’autore di suo pugno, e la forma manoscritta calligrafica degli amanuensi che davano un aspetto unitario e funzionale allo scritto autoriale, si passa alla scissione tra i due livelli di articolazione della notazione scritta: «da una parte la variabilità della forma dei segni (prima articolazione), dall’altra le loro disposizioni (seconda articolazione)»20. «La tipografia, per la sua propria natura di essere una scrittura con “tipi”, con forme prefissate prima dell’atto di scrittura, moltiplica l’aspetto analitico dell’alfabeto e annulla quasi la possibilità da parte dell’autore di intervenire sulla prima articolazione; allo stesso tempo riduce il margine di intervento sulla seconda.»21.

(27) Con il progressivo crescere e ampliarsi dell’industria libraria, il rapporto dell’autore con le due articolazioni della sua scrittura, diventa sempre meno diretto: la forma, i materiali, i processi che portano alla produzione del libro si modificano, i tempi della produzione diventano sempre più frenetici, la produzione arriva a tirature sempre più alte, sempre alla ricerca del maggior profitto possibile, tendendo a una maggiore standardizzazione. Tutti i settori della produzione del libro subiscono una progressiva meccanizzazione e accelerazione, e la figura del finanziatore, poi denominato “editore”, diventerà quella con maggiore potere decisionale sulla produzione, diffusione, promozione della cultura, e sul destino degli autori, decidendone o meno la pubblicabilità.. 27.

(28) 1.1.2. L’autore e la figura dell’editore Perché un autore possa vedere diffuso il proprio testo, necessita di chi lo trasformi in un “libro”, cioè di qualcuno che gli dia un degno supporto, e lo renda accessibile al pubblico. Questa figura è l’editore, il cui scopo primario è quello di porsi tra autore e lettore, di metterli in contatto. 28. 22 Cfr. Cadioli, Alberto, Le diverse pagine, Il Saggiatore, Milano, 2012, p. 16. 23 Cfr. ivi, p. 20. 24 Cfr. Escarpit, Robert, Sociologie de la littérature,Presses Universitaires de France, Paris, 1958; in Cadioli, Alberto, Le diverse pagine, op. cit., pp. 26 e sgg.. Il termine «editore» si affianca inizialmente alle definizioni di tipografo o libraio, nel caso in cui questi non si limitassero a stampare o commerciare i libri su commissione esterna, ma scegliessero anche i testi di cui curare la pubblicazione o vendita.22 Nel tempo, la definizione di «editore» ha assunto anche altre sfumature: non solo è indicato come un professionista della cultura, che si dedica alla selezione di opere per guidare la crescita intellettuale dei suoi potenziali lettori, ma è anche un esperto “commerciante”, che si dedica alla pubblicazione di libri a scopo di lucro. Quest’accezione si riscontra in particolare a partire dal Settecento, quando, di fronte a un mercato sempre più in espansione, grazie alla diffusione dei quotidiani, e soprattutto del romanzo, lettura molto diffusa in tutte le fasce della società, appaiono sulla scena libraria i primi imprenditori, i primi editori, capaci di pianificare le pubblicazioni in base alle richieste del mercato, non possedendo in prima persona torchi o librerie, ma gestendo il processo di scelta dei titoli e la loro diffusione.23 L’editore cura l’edizione dei testi dall’inizio alla fine: sceglie gli autori, contemporanei o del passato, in base a quello che percepisce sia l’interesse del pubblico; ne cura la correzione lessicale, ne decide l’aspetto tipografico, il formato, la legatura; ne guida infine la distribuzione nelle librerie. L’editore ha dunque sempre posseduto un grande potere sul successo di un’opera presso il pubblico, ponendosi come intermediario tra l’autore, che gli affida il suo testo, e il lettore, che lo riceve tramite la mediazione, appunto, dell’editore. L’importanza dell’intervento dell’editore nella redazione, produzione e diffusione di un testo è stato affrontato, negli ultimi anni, da diversi studi, valutando come sia proprio la mediazione dell’editore a indirizzare o a modificare la percezione di un testo di un autore presso il pubblico. Ogni diversa edizione di un testo che resta apparentemente sempre uguale a sé stesso porta con sé informazioni e dati dell’epoca in cui viene pubblicato, delle motivazioni che hanno portato l’editore a scegliere proprio quel testo, proprio all’interno di una certa collana e linea editoriale. Fra i primi studiosi a intuire l’importanza del ruolo dell’editore per l’esistenza pubblica di un testo, Robert Escarpit, nel 1958, indicava con tre verbi le attività legate all’azione editoriale: «scegliere», «produrre», «distribuire».24 Infatti, la prima manifestazione dell’intervento.

(29) dell’editore sta nello scegliere il testo di un autore, valutarne la coerenza, il suo essere adatto o meno alla propria linea editoriale. Successivamente, vengono proposte e apportate al testo le modifiche necessarie a renderlo pronto per la pubblicazione, per la “produzione”. Infine, l’apparato di pubblicità, la distribuzione nelle librerie e in altri punti vendita del libro, accompagnati dalle recensioni sui maggiori quotidiani, oltre ai testi che accompagnano direttamente il libro presenti sulla superficie della copertina, permettono al lettore e acquirente potenziale di entrare in contatto con il testo. Studi approfonditi su quest’argomento sono in atto anche in Italia, portati avanti da Vittorio Spinazzola, che in molti suoi scritti affronta il ruolo dell’editore come intermediario.. 25 Cfr. Spinazzola, Vittorio, Letteratura moderna e imprenditoria libraria, 1999, in La modernità letteraria, il Saggiatore, Milano; in Cadioli, Alberto, Le diverse pagine, op. cit., 2012. «Il punto di complessità della mediazione sta nel fatto che l’editoria è un’industria davvero singolarissima; si appropria non di una materia prima o di un semilavorato, ma di un prodotto finito, il testo letterario, che predetermina già in sé stesso la sua utenza: e lo serializza per offrirlo a un mercato che sino a quel momento ha un’esistenza solo potenziale, dovendo essere di volta in volta suscitato a realtà.»25 Spinazzola dunque pone un ulteriore punto di vista sulla questione della mediazione: il compito dell’editore, oltre a diffondere il testo di un autore, è quello di venderlo, di renderlo una merce che permetta ad autore ed editore di trarne profitto. Il lavoro dell’editore ha dunque una doppia valenza: culturale, in quanto sceglie cosa potranno leggere i potenziali lettori che lo seguono; e imprenditoriale, cioè ha come obiettivo la vendita del libro, rendendolo un prodotto industriale a tutti gli effetti. Spunti più recenti sul dibattito nato intorno alla figura dell’editore come mediatore giungono ancora dalla Francia, in particolare da alcuni studiosi intervenuti nel dibattito Figures de l’éditeur, tenutosi all’Universitè de Paris il 13 maggio 2005. In quest’occasione è intervenuta Brigitte Ouvry-Vial, docente e ricercatrice di Letteratura francese presso l’Università di Parigi. Nel suo saggio L’acte éditorial: vers une théorie du gest, la Ouvry-Vial affronta da vari punti di vista l’approccio dell’editore con il testo, sottolineando come il paratesto, cioè l’apparato che l’editore sceglie per un testo, fatto dalla carta, dalla copertina, da tutto ciò che rende il testo “libro”, merce comunicante, lasci trasparire il risultato di una serie di operazioni editoriali, come la scelta del pubblico a cui proporre il libro (implicita nella scelta della copertina o negli scritti che accompagnano il testo dell’autore, o anche nel formato e nel tipo di collana in cui l’opera è inserita), o il tempo e il. 29.

(30) clima culturale che hanno influenzato queste scelte. Queste operazioni possono sia «illuminare, rendere chiaro il testo», sia creare un «senso terzo», senso che influenza il lettore nella considerazione dell’opera, ed è specchio dell’intenzione editoriale. Gli interventi dell’interpretazione editoriale sono dunque sia sulla superficie esterna del testo, sia nel testo stesso, nascosti fra i segni d’interpunzione o altri elementi che possono apparire come una volontà autoriale, mentre rappresentano soprattutto un’applicazione delle regole redazionali decise internamente alla casa editrice. 30. 26 Ouvry-Vial, Brigitte, L’acte éditorial: vers une théorie du geste, in “Communications & langages”, n. 154, décembre 2007, pp.72-73 - traduzione dell’autore. «Se si considera il libro come il risultato di un lavoro sul testo e l’immagine nel quale il supporto formale del libro stampato, come il testo stesso, costituiscono una stessa sequenza spazio-temporale, editare consiste in effetti nel proporre una lettura di un’opera scritta o visuale attraverso un arrangiamento concettuale e formale (carta, formato, caratteri, messa in pagina ma anche la preparazione del testo la sua presentazione, la traduzione...) che condiziona il senso e l’interpretazione dello scritto. Più in generale, le tecniche materiali e intellettuali della trasmissione testimoniano o sottendono una politica editoriale data e decisa.»26.

(31) 1.1.3 L’enunciazione editoriale, tra autore ed editore Emmanuel Souchier, docente e ricercatore nel campo della scrittura e soprattutto nel legame di quest’ultima con la forma-libro presso l’École Nationale Supérieure des Telecommunications dell’Université de Paris, formula il concetto di «enunciazione editoriale», comprendendo in quest’espressione sia le attività legate all’editing di un testo, sia proprio tutto ciò riguarda la produzione materiale di quest’ultimo:. 27 Souchier, Emmanuel, L’image du texte. Pour une théorie de l’énonciation éditoriale, in “Cahier de médiologie”, n. 6, II semestre 1998, p.145 traduzione dell’autore. 28 Ivi, p.141 - traduzione dell’autore. «Una delle funzioni primarie dell’enunciazione editoriale è di dare il testo da leggere come attività di lettura (è la sua dimensione funzionale, pragmatica; si parlerà dunque di leggibilità). (...) L’enunciato di questa «enunciazione» non è dunque il testo (il discorso dell’autore), ma la forma del testo, la sua immagine; è il testo considerato come oggetto concreto, che è stato configurato attraverso quest’attività plurale che è l’enunciazione editoriale.»27 Attività definita «plurale» in quanto non solo l’editore in sé prende decisioni sulla forma finale di un testo: egli è circondato da un gran numero di professionisti, ognuno responsabile di un aspetto della produzione del libro: «Se bisognasse apporre il marchio di ogni attore che intervenga nella concezione, realizzazione o produzione del libro, la copertina non sarebbe sufficiente e prenderebbe rapidamente la forma dei titoli di coda di un film. Se si considerassero soltanto: l’autore, l’editor, il direttore della collana, la segretaria d’edizione, il correttore, l’illustratore, chi si occupa dei mock up, il grafico, il tipografo, il compositore, lo stampatore, partner ufficiali o mecenati...ai quali bisognerebbe aggiungere il fabbricante della carta, gli operai, il rilegatore, per non parlare del libraio o del distributore che interviene a volte durante la catena di produzione. Ognuno di questi collaboratori lascia una traccia del suo intervento; la quale è debitamente normata, contrattualizzata o risponde più semplicemente a delle pratiche o a delle consuetudini. In diverso grado, queste tracce o «marchi d’enunciazione editoriale» costruiscono e costituiscono l’identità di un testo. Determinano, dunque, le condizioni della sua ricezione.»28 Tutti coloro che collaborano alla produzione di un’edizione, contribuiscono a formarne il suo «texte second», “testo secondo”, in quanto appunto producono gli strumenti per l’esistenza e la fruizione di quel che viene definito «texte premier», “testo primo”, il testo dell’autore come è stato da lui stesso concepito. L’unione di questi due testi, di questi due livelli di significazione che si incontrano, crea il libro propriamente detto, che sarà tanto più interessante e completo nel momento in cui l’autore cerchi di essere partecipe anche del “testo. 31.

(32) 29 Ivi, p.140 - traduzione dell’autore. 32. secondo”, decidendo dunque di «farne uno degli elementi costitutivi della sua opera»29. Questo aspetto dell’intervento autoriale anche nella forma esterna della sua opera, per scopi espressivo-narrativi, è un aspetto molto importante per la nostra indagine sul rapporto tra autore e forma-libro. Scelte sbagliate riguardanti il “testo secondo”, possono inficiarne la fruizione e “rompere” il processo comunicativo tra l’autore e il lettore, che non può esperire in maniera completa dell’esperienza concepita dall’autore. Dalle relazioni tra editore ed autore, dal loro intervenire o meno nei vari momenti della produzione del testo, è possibile comprendere quanto l’autore sia stato reso partecipe nell’edizione, quale sia stato il suo interesse per il “texte second” che accoglie e trasmette la propria opera, a volte diventandone reale completamento. Alberto Cadioli, nel suo testo Le diverse pagine, affronta i vari livelli dell’enunciazione editoriale, ponendo per ognuno di essi esempi atti a comprendere come l’autore sia o meno intervenuto nelle scelte dell’editore; riprenderemo qui il suo percorso, descrivendo, per ogni elemento caratteristico del libro, come esso sia o meno espressione anche di una volontà autoriale. Il percorso parte idealmente dal testo dell’autore, dunque dall’interno del libro, per arrivare sempre più verso l’esterno, verso il “vestito” dell’opera.. 1.1.3.1. Primo livello di intervento editoriale: la lettura dell’editore. 30 Ouvry-Vial, Brigitte, Le savoir lire de l’editeur? Présupposés et modalités, in Figures de l’éditeur, Legendre B. e Robin C. (a cura di), Nouveau Monde édition, 2005; da Cadioli, Alberto, Le diverse pagine, op. cit., p.57. Il primo passo perché il testo di un autore diventi “libro” è la lettura da parte dell’editore, o di suoi collaboratori dediti alla lettura dei manoscritti che giungono nella casa editrice. Questa prima lettura prevede almeno tre passaggi: un primo passaggio in cui l’editore verifica se il testo ha un suo tono, un suo linguaggio; una seconda lettura per provare a comprendere in maniera più approfondita quale sia «il progetto dell’autore che l’edizione deve attualizzare»30. Da questa seconda lettura l’editore decide se il libro è dunque pubblicabile, iniziando a prefigurarsi il tipo di progetto editoriale da portare avanti con quel testo. L’ultima lettura, che è quella che accompagna il testo verso la pubblicazione, è quella che interviene sul testo, modificandolo e adattandolo in base alla visione scaturita dalla seconda lettura. Da questa lettura dell’editore, dunque, possono nascere alcuni suggerimenti e modifiche, per migliorare il testo e renderlo più adatto alla visione che l’editore ha di quel testo. L’autore può decidere di accettare queste modifiche, che spesso riguardano la struttura stessa.

(33) del testo, il linguaggio utilizzato, il tono, etc., o di evitarle, magari proponendo a un altro editore il suo scritto. Spesso queste modifiche portano a una riscrittura totale del testo di un autore:. 31 Cadioli, Alberto, Le diverse pagine, op. cit., p.108. 32. «In nome di quello che l’autore avrebbe voluto, e non ha saputo, fare, l’editore, con l’editing, vuole collaborare al conseguimento di un risultato testuale a suo dire migliore, a offrire, ai lettori cui vuole rivolgersi, un testo diverso da quanto l’autore aveva scritto inizialmente, ma comunque a lui attribuito.»31 La lettura e riscrittura editoriale, dunque, può portare alla creazione di un testo nuovo, non più immagine del volere autoriale, ma espressione dell’idea che l’editore ha di quel testo, che sarà quella che giungerà al lettore, il quale la attribuirà, non del tutto correttamente, all’autore. L’intervento editoriale sul testo di un autore è dunque importante da rintracciare laddove si desideri conoscere le intenzioni originarie dell’autore: in alcuni casi, riportare il testo alla sua identità originaria può essere utile per conoscere davvero un autore e il suo reale modo di scrivere, la sua spontaneità, privata della patina data dalla riscrittura dell’editore, che è condotta più secondo criteri che «(…) guardano contemporaneamente alla riuscita del testo, secondo i modelli del lettore editoriale che si fa revisore, e alle caratteristiche del destinatario (che, in molti casi, è considerato solo in quanto acquirente)»32.. Ibidem.. Gli editori e i loro collaboratori redigono, per ogni manoscritto che gli viene sottoposto in lettura, delle schede di lettura, in cui, oltre a una riassuntiva biografia dell’autore, e alla trama, appongono due tipi di giudizi: uno legato al valore intrinseco dell’opera, l’altro legato alla sua «pubblicabilità». La pubblicabilità è in parte vincolata dalla linea editoriale: un testo può essere considerato non adatto alla pubblicazione in una casa editrice perché non inseribile in nessuna delle collane che essa porta avanti, e dunque non in linea con le scelte editoriali compiute fino a quel momento, o che si è pianificato di mantenere. Il pubblico che segue un determinato editore ne conosce e apprezza le scelte, e dunque non può essere «tradito» da una scelta sbagliata, o troppo azzardata. L’idea che l’editore si fa dei propri lettori, spesso, lo porta a fare scelte poco rischiose, ad accettare scritti “agevoli” e solo in pochi casi realmente innovativi. Nel momento in cui un editore accetta di pubblicare lo scritto di un autore, ha inizio il lavoro vero e proprio in seno alla casa editrice.. 33.

(34) 1.1.3.2. Secondo livello di intervento: la revisione redazionale. 34. 33 Cfr. Cadioli, Alberto, Le diverse pagine, op. cit., p.117. 34 Kinross, Robin, Tipografia moderna. Saggio di storia critica, Stampa Alternativa & Graffiti, Roma, 2005, p. 94. Oltre agli interventi più evidenti sul testo di un autore, cioè quelli che riguardano la struttura della sua opera, la trama del suo racconto, un altro livello importante di lavoro sul testo che viene compiuto prima della pubblicazione è la revisione del redattore, che deve verificare che l’utilizzo degli elementi tipografici, come virgolette, accenti, parentesi, etc. sia corrispondente alle norme imposte dalla casa editrice, e deve, inoltre controllare la correttezza grammaticale e lessicale del testo. Questi interventi, dunque, accompagnano il testo dall’impostazione autoriale verso quella editoriale, fanno diventare quel testo dell’editore, rispondente alle sue indicazioni, a ciò che egli ritiene sia la forma consona alle opere che acconsente a pubblicare. La necessità di una figura che rendesse il testo uniforme sia nella forma tipografica che linguistica era già sentita agli inizi della stampa, dov’era il proto ad apportare queste correzioni, quando ancora la revisione era effettuata all’interno della tipografia. Successivamente, con la nascita delle case editrici, che non sono necessariamente vincolate a una tipografia, il lavoro redazionale si allontana dal momento della stampa, diventando un passaggio guidato e normato dall’editore.33 Vi sono però alcuni casi in cui l’utilizzo delle virgole e di altri elementi paragrafematici siano parte della modalità espressiva di un autore, ed è cura del redattore conoscere questo uso e rispettarlo in fase di redazione, cercando una mediazione tra le norme editoriali e l’espressione personale dello scrittore. Un esempio interessante di un autore che prende totale possesso della forma visiva della sua scrittura, imponendo anche una forma specifica per i segni d’interpunzione e grafici, è l’esperienza di Stefan George. George, poeta tedesco vissuto agli inizi del Novecento, in pieno Jugendstil, dopo aver collaborato con l’artista Melchior Lechter per l’aspetto delle riviste e nei primi libri da lui editi, molto legati allo stile del tempo, fece progettare appositamente, per le edizioni a maggiore tiratura delle sue poesie, un carattere tipografico ispirato alla sua ortografia, che prevedeva « un sistema semplificato di punteggiatura, l’uso di alcune lettere onciali e lettere maiuscole solo in inizio di frase o di verso»34. Questo carattere prese il nome di “Stefan-George-Schrift”, un precursore dei caratteri senza grazie, ed era espressione dell’interesse del poeta per l’attenzione alla trasposizione della lingua e delle sue specificità in forma tipografica. Il carattere fu prodotto dalla fonderia di Otto von Holten, ed era presente anche nel suo catalogo di specimen. I libri di George erano pubblicati dall’editore berlinese Georg Bondi..

(35) Figura 1.1. Pagina dall’opera Der Stern Des Bundes di Stefan George (1922), Georg Bondi Verlag. fonte immagine: www.archive.org. 35.

(36) 1.1.3.3. Terzo livello di intervento: l’impaginazione Gli interventi redazionali sono delicati anche nel momento in cui il testo va collocato in pagina. Anche in questo caso l’autore può essere interpellato e può dire la sua, sull’utilizzo degli spazi tra i paragrafi ad esempio, o l’interlinea, il tipo di carattere, il ritmo di lettura che desidera dare alla propria opera. Non sempre l’autore viene coinvolto, o al contrario, non sempre se ne interessa, e lascia che il suo testo venga posizionato dai compositori nella gabbia predisposta dal grafico della casa editrice senza ulteriori osservazioni o indicazioni. Il formato della pagina e la successione del testo nelle pagine sono perlopiù vincolati da ragioni di produzione: ogni casa editrice sceglie un suo formato d’elezione (il più comune è il tascabile), ritenendolo più confortevole per la lettura e maneggevole, e a quel formato vengono adattati tutti i testi pubblicati. Le scelte a priori riguardo la griglia di impaginazione e il formato rendono tutti i libri pubblicati da uno stesso editore omogenei tra loro, nonostante i loro contenuti siano estremamente differenti.. 36. 35 Souchier, Emmanuel, L’image du texte. pour une théorie de l’énonciation éditoriale, op. cit., p.140. Molti autori hanno tentato di proporre soluzioni innovative di utilizzo del formato della pagina, purtroppo non sempre coadiuvati dalla giusta tecnologia di stampa o di legatura. È possibile ad esempio confrontare il successo della prima edizione di Cent Mille Miliards de Poème di Raymond Queneau, rispetto alle edizioni successive. Nel modello concepito dal grafico francese Robert Massin, pubblicato da Gallimard nel 1961, il tipo di carta e legatura erano perfettamente consoni al tipo di fruizione del testo: le pagine, tagliate in sottili strisce di carta, potevano essere girate senza il timore che si strappassero, che la legatura non reggesse. In un’edizione successiva, per la collana Bibliothèque de la Pleiade sempre di Gallimard, la carta utilizzata, eccessivamente sottile (carta Bibbia), non permette di tagliare i versi e impedisce ogni tipo di combinazione, tradendo il progetto originale di Massin, concepito per un formato molto grande e con fogli di cartoncino di peso medio.35 La trasposizione dunque, dal formato originalmente pensato dall’autore, al formato scelto dall’editore per l’edizione delle Œuvres Complètes del 1989, fa perdere totalmente il senso della possibilità combinatoria delle poesie di Queneau, limitandole a un’unica lettura..

(37) Figura 1.2. Prima pagina da l’edizione 1961 di Cent Mille Milliards de Poème (1961), Gallimard. fonte immagine: flickr.com/photos/ migueloks. 37.

(38) La disposizione del testo in pagina è in alcuni casi parte dell’espressione poetica di un autore. Nel momento in cui questa specifica scelta non viene rispettata, si perde il senso che l’autore voleva dare all’aspetto visivo delle sue parole. Il mancato rispetto può essere dovuto sia alla mancanza del controllo dell’autore (edizioni o riedizioni contemporanee di autori del passato), sia alla poca cura o poco tempo del tipografo nel dedicarsi a riprodurre configurazioni tipografiche complesse.. 38. 36 Cfr. Lussu, Giovanni, Teatri di poesia semantica. Themerson e la giustificazione interna verticale, in “Progetto Grafico”, n.4/5, febbraio 2005, p. 32; e Themerson, Stefan, Idéogrammes lyriques, in “Typographica”, n.14, 1966 e riprodotto in Spencer, Herbert (a cura di), The Liberated Page, Bedford Press, San Francisco, 1987, p.69-90. Un esempio di questi problemi è la conformazione variabile del calligramma di Apollinaire Il pleut nelle sue varie edizioni. Il calligramma fu pubblicato per la prima volta sul numero 12 della rivista d’avanguardia “Sic”, nel dicembre 1916. La rivista era diretta dal poeta parigino PierreAlbert Birot, e stampata nella tipografia di Monsieur Levé. La rivista ospitava vari esempi di poesia all’avanguardia, all’epoca, e ogni poeta consegnava, insieme ai suoi bozzetti, istruzioni precise riguardo alla messa in pagina e alla scelta dei caratteri. Apollinaire non era fra questi: probabilmente, confidava nella sensibilità del tipografo a cui affidava un semplice foglio trascritto a mano, con stilografica e inchiostro di china. Davanti al testo di Apollinaire, Levé, nonostante non componesse più personalmente le pagine della rivista edita nella sua tipografia, decise di impostare lui stesso quella poesia, impiegando una notte intera. Il risultato del lavoro di Levé è ancora oggi visibile nelle riedizioni più curate dei versi di Apollinaire: una composizione che, nonostante sia realizzata con caratteri tipografici, e non abbia lo stesso aspetto della versione calligrafica dell’autore, ne restituisce perfettamente l’andamento, la delicatezza, difficili da ritrovare in altre edizioni, che ingabbiano i versi in rigide costruzioni verticali, probabilmente per rendere più facile la lettura dei versi, ma eliminando totalmente l’aspetto spaziale della poetica di Apollinaire.36.

(39) Figura 1.3. Versione originale, composta a mano dall’autore, de Il pleut (1916) fonte immagine: Spencer, Herbert, The Liberated Page, 1987. 39. Figura 1.4. Versione de Il pleut composta da M. Levé, pubblicata per la prima volta sulle pagine della rivista “Sic”, dicembre 1916. fonte immagine: The International Data Archive online, University of Iowa.

(40) Figura 1.5.. 40. Versione de Il pleut come appare nella raccolta Œuvres Complètes, edita nella collana Bibliotéque de la Pleiade, Gallimard, 1965. fonte immagine: Spencer, Herbert, The Liberated Page, 1987.

(41) 1.1.3.4. Quarto livello di intervento: la scelta del titolo. 37 Cadioli, Alberto, Le diverse pagine, op. cit., p. 208. Il titolo, primo elemento testuale che il lettore incontra sulla sua strada di avvicinamento verso l’opera dell’autore, è anch’esso frutto di un accurato progetto, e di accese dispute, tra autore ed editore. Un autore naturalmente propone il titolo da lui concepito per il suo testo, indice della sua interpretazione, e dell’interpretazione che vorrebbe avessero i suoi potenziali lettori: ma molto spesso l’ultima scelta è nelle mani dell’editore, il quale sceglierà il titolo «in rapporto al modo con cui ha letto l’opera, manifestando la propria interpretazione o quella che ritiene valida per i suoi potenziali lettori»37, considerati soprattutto come potenziali acquirenti. Il titolo dunque può sfuggire dalle mani dell’autore: alla pari della copertina, ha come scopo principale quello di catturare l’occhio del lettore e il suo interesse, e portarlo all’acquisto, creando delle aspettative, invogliandolo a saperne di più. Nello spazio ristretto della copertina, il titolo deve assolvere a tutti questi compiti, e in questo può essere aiutato dal trattamento tipografico compiuto da chi si occupa della copertina.. 41.

(42) 1.1.3.5. Quinto livello di intervento: la copertina. 42. 38 Cfr. Febvre, L. e Martin, H.-J., La nascita del libro, op. cit., p. 124. 39 Petrucci, Armando, Spazi del libro e invenzione grafica, in A. Colonetti, A. Rauch, G. Tortorelli, S. Vezzali, Disegnare il libro. Grafica editoriale in Italia dal 1945 ad oggi, Libri Scheiwiller, Milano, 1988, p.15. 40 Vedi capitolo II. La copertina è la prima superficie con cui il lettore entra in contatto di fronte ad un libro. Sfruttata come mezzo pubblicitario solo negli ultimi due secoli, inizialmente era concepita solo come protezione delle pagine interne, ed era scelta e apposta successivamente all’acquisto delle pagine sciolte dall’acquirente stesso, che aveva dunque libertà di scelta della finitura e dell’aspetto del “suo” libro.38 Già in questa forma apparentemente solo funzionale, però, la copertina può dare un’immagine al contenuto del libro: a seconda se essa sia in pelle, se sia o meno decorata a caldo da un abile artigiano, o sia semplicemente in cartoncino, essa rivela il valore che il lettore stesso ha dato al testo, scegliendo dunque una copertina elegante e durevole, oppure una copertina provvisoria, adatta a un libro da usare quotidianamente, di cui poco importa l’aspetto esteriore. Solo dal XIX secolo in poi si instaura l’utilizzo della copertina stampata su cartoncino, sulla quale campeggia il nome dell’autore, il marchio dell’editore, il nome della collana di cui l’opera fa parte, il titolo e spesso un’immagine che riassuma visivamente, o si ispiri lontanamente, al contenuto del libro. La superficie della copertina è uno spazio esposto, «di competenza dell’istanza che esercita il più totale dominio sul libro in quanto oggetto, e merce, e cioè di chi lo produce: l’editore, appunto; mentre l’autore del testo, anche se vivente e collaborante all’edizione, non ci entra (di regola) per nulla; e spesso ignora addirittura quale sarà l’aspetto esterno del libro di cui pure ha materialmente prodotto la parte essenziale; una parte (il testo, ripetiamolo per chiarezza) che però non è aperta, esposta e sottoposta alla vista di tutti, ma chiusa e riservata, e fruibile soltanto dopo aver aperto l’oggetto e attraverso un lungo e lento processo di assunzione e di comprensione.»39 L’autore e il suo testo dunque restano nascosti dietro la copertina, luogo di visibilità primaria per l’editore e per la sua visione del libro, finché il potenziale lettore non sceglierà di superare questo strato, affrontando la lettura del testo. La progettazione della copertina, inizialmente affidata ad artisti figurativi, diventa oggetto del lavoro del graphic designer nel momento in cui, a partire dal secondo dopoguerra, le principali case editrici sentirono la necessità di affidare il progetto della propria immagine a dei professionisti della visione.40.

(43) 41 Calasso, Roberto, E in copertina metteremo un Beardsley, “Repubblica”, 28 dicembre 2006, p. 54. 42 Bandinelli A., Lussu G., Iacobelli R., Farsi un libro, Stampa Alternativa, Roma, 1990, p.22. «L’immagine che deve essere l’analogon del libro va scelta non in sé, ma anche e soprattutto in rapporto a un’entità indefinita e minacciosa che agirà da giudice: il pubblico. Non basta che l’immagine sia giusta. Dovrà anche essere percepita come giusta da molteplici occhi estranei, che generalmente nulla sanno ancora di ciò che leggeranno nel libro del quale la copertina tenta di offrire un analogon.»41 L’intervento dell’autore sulla copertina della sua opera è molto raro, anche se nel contratto stipulato con l’editore v’è sempre la possibilità di inserire una clausola che permette all’autore di avere potere decisionale finale su quale sarà la copertina scelta, rifiutandola se la reputa troppo distante dal proprio testo. La copertina è il primo luogo dove artisti e autori, e grafici e autori, hanno fatto incontrare, e scontrare, le loro intenzioni, le loro aspettative, le loro rispettive conoscenze. Al giorno d’oggi, spesso, il rapporto tra queste due figure è inesistente: il grafico riceve, tramite l’ufficio marketing della casa editrice, il minimo indispensabile delle informazioni per la progettazione della copertina, non entrando quasi mai in contatto con l’autore se non nel momento del suo nullaosta finale, a progetto grafico ormai concluso. Il rapporto dunque del’autore con il “vestito” della sua opera, il primo aspetto che tutti i potenziali lettori scorgeranno, la prima caratteristica che colpirà la loro attenzione, è anch’essa frutto del progetto di qualcuno che non è l’autore, ma che può essere considerato un ulteriore mediatore del messaggio autoriale. La copertina, la sua grafica, l’utilizzo di un’eventuale illustrazione, tentano una sintesi dell’opera dell’autore, secondo la visione del grafico, che è a sua volta mediata dall’intenzione editoriale: l’unico elemento, forse, puramente funzionale e “sincero”, è forse il dorso del libro, che «mantiene una sua ascetica castità, asciutta e sobria, quasi sempre credibile»42. Vi sono autori che riescono ad imporre la propria idea dell’aspetto esteriore della propria opera, facendo sì che questa volontà venga rispettata anche dopo la loro dipartita. Un esempio paradigmatico è quello di J. D. Salinger e del suo libro Il giovane Holden (The Catcher in the Rye, 1951). La prima edizione italiana fu pubblicata nel 1952 dalla casa editrice romana Gherardo Casini, che aveva scelto per la sovraccoperta un ritratto di Van Gogh. Questa prima edizione italiana venne pubblicata in circa 1000 esemplari, senza riscuotere un grande successo, come riuscì invece ad ottenere la seconda edizione, del 1961, edita da Einaudi, con in copertina un disegno di Ben Shahn, con un bambino con un enorme cono gelato colorato in mano, su un fondo azzurro. «Ma in realtà tra i due non c’è alcun rapporto, e il superciliato bambino col gelato non ha nulla,. 43.

(44) 43 Lussu, Giovanni, Miele dalla rupe: considerazioni di un grafico indolente, “Progetto Grafico”, 21, luglio 2012, p.20. 44. Figura 1.6. Successione delle copertine Einaudi de Il giovane Holden di Salinger. Da sinistra verso destra: edizione 1961 nella collana Supercoralli, le due edizioni del 1970 nella collana Gli Struzzi e edizione 2001, di nuovo nella collana Supercoralli.. ma proprio nulla, a che vedere con il diciassettenne Holden Caulfield, il protagonista del romanzo»43. Infatti l’autore, vedendo il proprio romanzo rappresentato in maniera mistificatoria, minacciò di ricorrere alle vie legali. La casa editrice dunque optò per mantenere della prima copertina illustrata solo il colore del fondo, posizionando in copertina un quadrato azzurro. Ma neanche questa scelta sembrava appropriata a Salinger. Infine, la casa editrice decise di porre in copertina un semplice quadrato con contorno nero, quadrato che è sparito nelle attuali edizioni del testo, che si presenta ora con una copertina totalmente bianca, con le sole indicazioni del titolo e dell’autore, la cui posizione varia a seconda della collana in cui il testo viene ripubblicato. Per evitare, dunque, un accostamento sgradito all’autore, l’editore si affida all’aniconicità della copertina, lasciandola priva di interpretazioni sovraimposte a quella autoriale..

Riferimenti

Documenti correlati

Questa forte presenza femminile nella cucina germanica deriva dalla posizione della donna che nella famiglia borghese aveva il compito della gestione della casa

In sum, market value – the pillar of the market-oriented compensation practices which drive labor income inequality (Cobb, 2016) – is considered by compensation managers

Non è un caso, del resto, che la citazione con cui apro il libro sia di Hannah Arendt, la quale ricordava, proprio nell’imme- diato dopo guerra, come l’interesse per la politica

completa il viso delle ranocchie in base alle diverse emozioni. per aiutarti puoi guardare le emoji che trovi in fondo

Incollate le facciate senza disegni tra loro (ad eccezione della copertina). Inserite le pagine ripiegate all’interno

QUESTO LIBRO E’ DI.. QUESTO LIBRO E’ DI QUESTO LIBRO E’ DI QUESTO LIBRO

QUESTO LIBRO E’ DI QUESTO LIBRO E’ DI QUESTO LIBRO E’ DI.. QUESTO LIBRO E’ DI QUESTO LIBRO E’ DI QUESTO LIBRO

La collana da lui creata, Storia delle fabbriche e degli stabilimenti, aveva come scopo quello di narrare fatti reali, il ché vale a dire scrivere la storia recente