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Buchi neri e oggetti esotici compatti

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Academic year: 2021

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Alma Mater Studiorum · Università di Bologna

Scuola di Scienze

Dipartimento di Fisica e Astronomia Corso di Laurea in Fisica

Buchi neri e oggetti esotici compatti

Relatore:

Prof. Roberto Casadio

Presentata da:

Cosimo Agostinelli

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Abstract

Nel presente lavoro, si discutono i caratteri salienti della relatività generale, per poi esporre le principali soluzioni dell'equazione di Einstein, utili alla descrizione di un bu-co nero; inoltre, vengono trattate alcune questioni aperte relative a quest'ultimi, bu-come l'esistenza di singolarità spaziotemporali. In seguito, si discute la possibilità di modelli alternativi (genericamente indicati come ECOs), in riferimento al loro grado di somiglian-za ad un buco nero, quanticato tramite un parametro . Si studiano alcune proprietà di ECOs a simmetria sferica e stazionari, come l'esistenza di curve geodetiche circola-ri e la stabilità gravitazionale. Il proposito è quello di trovare delle carattecircola-ristiche che siano esclusive degli ECOs, così che il riscontro con i dati sperimentali ci permetta di vericare, o smentire, la validità di questi modelli alternativi ai buchi neri. Tuttavia, distinguere queste due classi di oggetti tramite lo studio dei segnali elettromagnetici si rivela non semplice. Si mostra anche come un ECO, la cui supercie sia troppo vicina a quella del corrispondente buco nero, risulti gravitazionalmente instabile e sia forzato a collassare ulteriormente. Inne, vengono proposti due criteri di classicazione degli oggetti compatti.

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Indice

Introduzione 1

1 Relatività generale e buchi neri 3

1.1 Princìpi della teoria e struttura matematica . . . 3

1.2 Soluzioni dell'equazione di campo . . . 6

1.3 Il problema dei buchi neri . . . 10

1.4 Utilità dello studio di modelli alternativi . . . 12

2 Proprietà di ECOs stazionari 14 2.1 Il parametro di somiglianza  . . . 14

2.2 Orbite circolari e sfere di fotoni . . . 15

2.3 Traiettorie di fuga ed ombra di oggetti compatti . . . 19

2.4 Cenni sull'instabilità gravitazionale . . . 24

3 Classicazione degli ECOs 27 3.1 ECOs "morbidi" e "duri" . . . 27

3.2 Classicazione tramite  . . . 28 Conclusioni e prospettive future 30

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Introduzione

Il modello dei buchi neri nasce e si sviluppa nell'ambito della relatività generale. Stando ad esso, sarebbe possibile l'esistenza di corpi (generalmente oggetti astrosici) talmente massivi e compatti da risultare appunto neri, poiché la gravità è così intensa (o meglio, lo spaziotempo ha una struttura tale) da non permettere la fuoriuscita di alcun tipo di informazione dal suo interno, nemmeno della luce. Tuttavia, l'esistenza di questi oggetti, dapprima formulata solo a livello teorico, ma in seguito supportata anche da osservazioni sperimentali, porta con sé diversi problemi e quesiti tutt'oggi insoluti. Siccome la nostra conoscenza della natura non esclude che i corpi oscuri e compatti siano qualcosa di diverso da un buco nero, la ricerca di possibili alternative merita tutta la nostra attenzione, considerate anche le ripercussioni che questi studi potrebbero avere sulla nostra visione del cosmo. Infatti, questi argomenti coinvolgono temi come la materia oscura, l'esistenza di singolarità spaziotemporali, la gravità quantistica e la conservazione dell'informazione sica.

Nel primo capitolo ripercorreremo le tappe fondamentali che hanno portato alla for-mulazione della relatività generale: i principi chiave, gli strumenti matematici, no a giungere alla famosa equazione di campo di Einstein. Esporremo in breve le principali soluzioni di quest'ultima, ottenendo così una descrizione dei corpi celesti che generano un intenso campo gravitazionale. Dopodiché, ci confronteremo con i più urgenti proble-mi sollevati dal concetto di buco nero, per poi illustrare l'utilità dello studio di modelli alternativi, indicati come ECOs. Nel capitolo 2, quanticheremo la somiglianza di un oggetto compatto ad un buco nero, tramite un parametro indicato con . Studieremo le orbite che le particelle (massive e non) compiono attorno ad un ECO, interessandoci particolarmente alle orbite circolari chiuse. Questo ci aiuterà a denire l'"ombra" di un oggetto compatto, ovvero l'immagine che possiamo vedere quando esso viene illumina-to da una sorgente esterna; inoltre studieremo le condizioni che permetillumina-tono ai segnali elettromagnetici di "fuggire" dalla supercie dell'ECO. Si analizzerà anche la stabilità gravitazionale, caratteristica fondamentale per l'esistenza di un qualunque corpo. A tal proposito, la domanda alla quale si proverà a rispondere è la seguente: quanto piccola può essere la dierenza tra il raggio di un ECO e quello di un buco nero di egual massa? Inne, nell'ultimo capitolo proporremo due diversi metodi di classicazione. Il primo basato sulla curvatura massima che un oggetto compatto può sopportare; il secondo,

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invece, prende le mosse dalle caratteristiche studiate nel capitolo 2, per poi ssare dei valori di  che distinguano tre famiglie di ECOs.

In questo lavoro prenderemo in considerazione principalmente corpi con simmetria sferica, senza approfondire il caso di oggetti rotanti, per i quali sarebbe necessaria una trattazione più estesa. Inoltre, si utilizzeranno generalmente unità di misura geometriche, tali per cui la velocità della luce nel vuoto e la costante di gravitazione universale sono pari ad uno (c = 1, GN = 1). Ogni volta che si farà riferimento ad un tensore metrico, si

sottintenderà un segnatura del tipo (−, +, +, +); inoltre verrà utilizzata la convenzione di Einstein, secondo la quale due indici identici ripetuti vanno sommati. I numeri tra parentesi quadre all'interno del testo indicano i riferimenti bibliograci.

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Capitolo 1

Relatività generale e buchi neri

1.1 Princìpi della teoria e struttura matematica

La relatività generale è una teoria in grado di descrivere i fenomeni legati all'interazio-ne gravitazionale ed è, in questo ambito, la teoria migliore di cui attualmente disponiamo. Proposta da Albert Einstein nel 1916, essa fonda le proprie basi matematiche nella geo-metria dierenziale e nel calcolo tensoriale, discipline sviluppatesi a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, grazie al fondamentale contributo di Bernhard Riemann, Gregorio Ricci Curbastro e Tullio Levi-Civita. Da un punto di vista concettuale, la teoria si basa su due semplici principi: quello di relatività generale e quello di equivalenza.

Principio di relatività generale. Le leggi della sica sono le stesse per tutti i sistemi di riferimento.

Questa aermazione toglie qualunque privilegio ai sistemi di riferimento inerziali, sui quali invece si basa il principio di relatività ristretta. Ed è proprio qui che entrano in gioco gli strumenti matematici sopra citati: la geometria dierenziale ore la possibili-tà di scrivere delle leggi siche valide per qualunque osservatore. Siccome la relativipossibili-tà ristretta, in quanto a descrizione di fenomeni non gravitativi, rimane una teoria valida, è naturale richiedere che essa sia incorporata nella nuova costruzione relativistica e ri-sulti esserne un caso particolare. Per fare ciò, è però necessario chiarire il concetto di osservatore inerziale, inizialmente denito come un sistema di riferimento sul quale non agiscono forze. Per quanto ne sappiamo, ad eccezione della gravità, le interazioni fonda-mentali della natura (interazione forte, debole ed elettromagnetica) sono governate da cariche di segno opposto, il che signica che tali interazioni possono avere un carattere sia attrattivo che repulsivo. Possiamo allora pensare di costruire un corpo che presenti tutte le cariche in questione pari a zero, e questo ci garantirà che esso non è soggetto a nessuna delle tre forze sopra citate. Però, è altrettanto vero che in nessun caso ci sarà possibile spegnere la gravità per un dato corpo, in quanto il solo fatto di esistere lo rende soggetto all'interazione gravitazionale, la quale ha un carattere unicamente attrattivo e

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mai repulsivo1. Non possediamo dunque un modo per garantire a priori l'assenza di forze

gravitazionali. Inoltre, ed è un fatto tanto intuitivo quanto importante, non è possibile distinguere il caso dell'assenza di gravità, da quello di una gravità alla quale però ci si abbandona senza altre resistenze. Un esempio comune è dato dagli astronauti all'interno delle stazioni spaziali: la percezione che si ha è quella che loro vivano in assenza di forza di gravità; in realtà essi sono legati alla terra, attorno alla quale orbitano, però si trovano in uno stato di "continua caduta libera" attorno ad essa, così come la stazione spaziale che li ospita. Queste considerazioni mostrano come la denizione di sistema inerziale sia inadeguata, in quanto risulta impossibile distinguere l'assenza di forze dalla presenza della sola forza di gravità. Un modo di risolvere la questione è quello di denire come localmente inerziale un sistema in caduta libera, ovvero soggetto alla sola interazione gravitazionale (l'aggettivo locale sottolinea l'impossibilità di determinare un sistema di riferimento che sia globale nello spazio e nel tempo). Un tale osservatore, infatti, non misurerebbe alcuna accelerazione gravitazionale in qualsivoglia esperimento. I concetti appena discussi trovano un precisa formulazione nel seguente principio, che risulta essere la causa del fenomeno di indistinguibilità esposto sopra:

Principio di equivalenza. Per ogni corpo la carica (massa) relativa all'interazione gravitazionale, è uguale alla massa inerziale2.

Finora, non è stata fornita alcuna indicazione pratica su come ottenere le leggi siche, la quali dovrebbero rimanere identiche a se stesse per ogni sistema di riferimento. Una tale prescrizione è fornita dal principio di covarianza generale:

Principio di covarianza generale. Per ottenere le leggi siche valide per un siste-ma di riferimento generico, è necessario sostituire le quantità tensoriali della relatività ristretta con quelle della varietà spaziotemporale, concepita nell'ambito della geometria dierenziale.

Per esempio, la derivata parziale ∂µ, che compare nelle equazioni della relatività

spe-ciale, andrà sostituita con una derivata covariante, la quale, applicata ad un generico quadrivettore vα si esprime come [1]:

∇µvα =: ∂µvα+ Γαµνv

ν (1.1)

dove Γα

µν indica i simboli di Christoel (anche detti connessione ane o connessione

metrica) i quali sono legati al tensore metrico gµν secondo la relazione:

Γαµν = 1 2g

αβ

(∂µgνβ+ ∂νgµβ− ∂βgµν) . (1.2)

1Ciò vale anche per delle particelle senza massa, come ad esempio i fotoni. Infatti essi hanno una

propria energia, che corrisponde ad una massa secondo la nota relazione E = mc2 della relatività

ristretta.

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Inoltre, la metrica di Minkowski ηµν andrà sostituita con una generica gµν, la quale, pur

essendo sempre diagonalizzabile "un punto alla volta" tramite un cambio di coordinate, non è detto che lo sia in una intera regione dello spaziotempo. Grazie a questo principio, siamo ora in grado di includere la relatività speciale in quella generale. Il passo successivo è la formulazione di una teoria della gravitazione coerente con i principi sopra esposti.

Abbiamo già stabilito che un corpo in caduta libera non risente di alcuna accelerazione gravitazionale. Nel sistema di riferimento (localmente inerziale) di tale corpo, la metrica sarà dunque quella di Minkowski gµν = ηµν = diag(−1, +1, +1, +1) mentre il suo moto

sarà rettilineo uniforme. Ciò signica che la sua quadriaccelerazione è nulla, e così i simboli di Christoel Γα

µν, i quali sono proporzionali alle derivate parziali della metrica

secondo la relazione (1.2). Nel sistema solidale con il corpo in caduta libera, essendo la metrica costante, vale la seguente catena di uguaglianze:

0 = d 2xα dτ2 = d2xα dτ2 + Γ α µν dxµ dτ dxν dτ = u µ µuα (1.3)

dove τ è il tempo proprio dell'oggetto e uµ indica la sua quadrivelocità. Nella (1.3)

riconosciamo l'equazione delle geodetiche e questo risultato è indipendente dalla scelta del sistema di riferimento. Ciò conduce a due importanti considerazioni: per prima cosa, un corpo soggetto alla sola forza gravitazionale si muove lungo curve geodetiche, denite dalla metrica dello spaziotempo. Inoltre, se eettuiamo un generico cambio di sistema di riferimento, la quadriaccelerazione non sarà più nulla, e così anche i simboli di Christoel; ciò suggerisce che quest'ultimi descrivano l'eetto gravitazionale. Inoltre, poiché essi dipendono dalle derivate prime del tensore metrico, siamo portati a considerare la metrica come una sorta di potenziale dell'interazione gravitazionale.

Rimangono ancora due passi da compiere per implementare la teoria: denire una quantità che descriva la sorgente gravitazionale a livello matematico; inne trovare un set di equazioni che leghino tale quantità alla metrica dello spaziotempo. Non c'è un modo rigoroso di ricavare queste equazioni di campo, ma si possono dedurre seguendo un'analogia con la formulazione covariante dell'elettromagnetismo, fornita dalla relatività ristretta. Le equazioni di Maxwell in presenza di sorgenti hanno la seguente forma:

∂µFµν = −Jν (1.4)

dove Jν è la quadricorrente e Fµν indica il tensore elettromagnetico. Siccome

quest'ul-timo dipende dalle derivate prime del quadripotenziale Aµν, secondo la formula:

Fµν = ∂µAν− ∂νAµ (1.5)

in totale le equazioni di Maxwell dipendono dalle derivate seconde di Aµ. Analogamente,

ci aspettiamo che anche le equazioni della relatività generale contengano derivate della metrica al massimo del secondo ordine. Il migliore candidato a svolgere questo ruolo è

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indubbiamente il tensore di Riemann, il quale, in una varietà metrica, si può esprimere come segue: Rabcd = ∂cΓabd− ∂dΓabc+ Γ e bdΓ a ce− Γ e bcΓ a de. (1.6)

In particolare, si rivelano utili i seguenti tensori ottenuti come sue contrazioni: il tensore di Ricci Rab = Rcacb, il tensore di Einstein Gab = Rab − 12Rgab e lo scalare di curvatura

R = Raa. Essendo i primi due simmetrici e di tipo (0, 2), è naturale richiedere che anche la controparte di Jµ si simmetrica rispetto allo scambio degli indici e dello stesso rango.

Se consideriamo la sorgente gravitazionale come un uido, di densità e pressione (proprie) ρ e p rispettivamente, possiamo supporre che il seguente tensore energia-impulso sia la quantità che cerchiamo:

Tµν = (ρ + p)uµuν+ pgµν (1.7) dove uµ denota il campo di (quadri)velocità del uido. Senza entrare nel dettaglio di

questo tensore e delle sue proprietà, è però necessario notare che la seguente equazione di continuità è valida:

∇µTµν = 0. (1.8)

Essa garantisce la compatibilità con il tensore di Einstein Gµν, per il quale vale una

relazione analoga (nota come identità di Bianchi):

∇µGµν = 0. (1.9)

La necessità di ricondursi ad una descrizione newtoniana, nel limite di un campo gra-vitazionale debole, ssa un'ultima condizione su eventuali costanti moltiplicative. Ora abbiamo tutti gli ingredienti per formulare un set di equazioni in grado di descrivere l'in-terazione gravitazionale. Il risultato nale che abbiamo raggiunto è la seguente equazione di campo di Einstein:

Gµν = 8πGNTµν. (1.10)

GN è la costante di gravitazione universale già introdotta da Newton. Anche se in seguito

utilizzeremo unità di misura tali per cui GN = 1, qui è stata volutamente resa esplicita

per sottolinearne la presenza anche in una formulazione relativistica della gravità.

1.2 Soluzioni dell'equazione di campo

Una volta specicato il tensore energia-impulso, il quale varia a seconda della situazio-ne considerata, risolvere l'equaziosituazio-ne di Einstein signica trovare una metrica che soddis la (1.10) e delimitare il suo dominio di denizione. Siamo interessati alle soluzioni del-l'equazione di campo che permettano di descrivere oggetti compatti, come ad esempio i buchi neri. Per questo motivo, nel presente paragrafo ricaveremo sinteticamente alcune soluzioni della (1.10) omettendo però una loro analisi completa, per la quale si rimanda a dei testi più specici.

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Consideriamo inizialmente un corpo di massa totale M, con simmetria sferica e sta-tico nel tempo. Utilizziamo delle coordinate polari standard {r, θ, φ} per descrivere le ipersuperci spaziali a t costante. Usiamo quest'ultima come quarta coordinata e po-niamo l'origine del sistema di riferimento al centro del corpo. L'esistenza di particolari simmetrie, come quelle che abbiamo richiesto, agevola enormemente la ricerca di una metrica che soddis la (1.10). Infatti, dalla simmetria sferica e dalla staticità, possiamo dedurre l'esistenza di quattro vettori di Killing, che deniscono curve lungo le quali il tensore metrico rimane invariato. Tre di essi sono di tipo spazio e corrispondono alle rotazioni attorno ai tre assi cartesiani; l'altro è di tipo tempo e rispecchia la staticità3.

Se assumiamo che quest'ultimo sia ortogonale alle rotazioni, possiamo allora scrivere la metrica in forma diagonale come segue:

ds2 = −A (r) dt2+ B (r) dr2+ r2 dθ2+ sin2θ dφ2 (1.11) sapendo già che i coecienti A e B potranno dipendere solo da r a causa delle sim-metrie. All'esterno dell'oggetto, nello spazio vuoto, non si hanno sorgenti di gravità, quindi il tensore energia-impulso sarà nullo in tutte le sue componenti. Ciò signica che l'equazione di Einstein si riduce a:

Rµν−

1

2Rgµν = 0. (1.12) Moltiplicando la (1.12) per gµν si ottiene:

µ−1 2Rg µ µ= R − 4 2R = −R = 0 (1.13) per cui l'equazione da risolvere (1.12) si riduce ulteriormente a:

Rµν = 0. (1.14)

Se ora sostituiamo la (1.11) nella (1.14) ricaviamo delle condizioni per le funzioni A e B; inne, il limite di campo debole, nel quale presupponiamo di ritrovare una descrizione newtoniana, ssa un'ulteriore restrizione, grazie alla quale è possibile scrivere la ben nota metrica di Schwarzschild [1]: ds2 = −  1 − 2M r  dt2+  1 −2M r −1 dr2+ r2 dθ2+ sin2θ dφ2 . (1.15) Senza soermarci sull'analisi della (1.15), entriamo subito in un secondo scenario per il quale è possibile ricavare una soluzione della (1.10): quello di un oggetto compatto

3Ricordiamo che un quadrivettore vµ si dice di tipo spazio o di tipo tempo a seconda che vµv µ sia

rispettivamente maggiore o minore di zero. Si dice invece di tipo luce se vµv µ= 0.

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a simmetria sferica, statico ma elettricamente carico [2]. La carica elettrica totale Q può essere pensata, per semplicità, come puntiforme e posta nell'origine del sistema di riferimento. Essa produrrà quindi un campo elettrostatico in direzione radiale. Abbiamo a disposizione gli stessi quattro vettori di Killing del caso precedente, per cui la metrica sarà sempre nella forma (1.11). La dierenza sta nel fatto che ora il tensore energia-impulso non è più nullo, in quanto abbiamo una densità di energia data dal campo elettromagnetico Fµν. Si può dimostrare che, per regioni in cui non sono presenti sorgenti

(elettromagnetiche), vale la relazione: Tab = 1 4π  gcdFacFbd− 1 4gabF cdF cd  . (1.16) Questo tensore energia-impulso ha inoltre traccia nulla, come si può mostrare moltipli-cando la (1.16) per gba: Taa= 1 4π  gabFbdFad− 1 4g a aF cd Fcd  = 1 4π F ad Fad− FcdFcd = 0. (1.17)

Ciò signica che resta valida la condizione (1.13) per cui l'equazione di campo da risolvere assume la seguente forma:

Rµν = 8πTµν. (1.18)

Riprendiamo ora l'equazione di Maxwell (1.4). Per un generico sistema di riferimento e in assenza di sorgenti essa assumerà la forma:

∇µFµν = 0. (1.19)

Per risolvere la (1.19) dovremo far uso della metrica non ancora specicata, del tipo (1.11) ed anche dell'espressione del campo elettromagnetico. Quest'ultimo può essere scritto come segue, utilizzando le coordinate polari e sfruttando la simmetria sferica:

Fµν =

   

0 −Ex −Ey −Ez

Ex 0 Bz −By Ey −Bz 0 Bx Ez By −Bx 0     = E(r)     0 −1 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0     (1.20) Sostituendo la (1.11) e la (1.20) nella (1.19) è possibile ottenere la seguente condizione:

d dr h (AB)−12 r2E i = 0 (1.21)

integrando la quale si ottiene:

E(r) =√AB Q

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Q è una costante di integrazione ma, per la piattezza asintotica, si deve avere A, B → 1 per r → ∞, ovvero E ∼ Q/r2. Questo ci porta ad identicare Q proprio con la carica

elettrica del buco nero. Ora che abbiamo un'espressione esplicita del campo elettroma-gnetico ed una implicita del tensore metrico, possiamo sostituirle nella (1.17) per ottenere il tensore energia-impulso in funzione di A(r) e B(r). Inserendo il Tµν così ricavato nella

(1.18) si giunge alle seguenti condizioni:

A(r) = B(r)−1, A(r) = 1 + K r +

Q2

r2 . (1.23)

Volendo recuperare la metrica di Schwarzschild nel caso in cui Q = 0, è ragionevole porre la costante di integrazione K = −2M. Si ottiene così l'espressione della metrica di Reissner-Nordstrøm, che descrive lo spaziotempo all'esterno di un oggetto statico, a simmetria sferica ed elettricamente carico:

ds2 = −  1 − 2M r + Q2 r2  dt2+  1 −2M r + Q2 r2 −1 dr2+ r2 dθ2+ sin2θ dφ2 . (1.24) Senza entrare nel merito del discorso, riportiamo una terza soluzione dell'equazione di Einstein: la metrica di Kerr. Essa descrive un oggetto compatto rotante attorno ad un asse sso, passante per il suo centro. In questo caso non si ha più simmetria sferica, ma simmetria assiale e quindi si fa riferimento ad uno scenario sicamente più realistico (si pensi per esempio a dei corpi astrosici, che generalmente possiedono una rotazione intrinseca). Ci sono diversi modi di scrivere questa metrica; qui riportiamo la cosiddetta forma di Boyer-Linquist, con riferimento al set di coordinate già utilizzato [3]:

ds2 = −  1 −2M r ρ2  dt2− 4M ra sin 2θ ρ2 dtdφ + ρ2 ∆dr 2+ ρ22 +  r2+ a2+ 2M ra 2sin2θ ρ2  sin2θdφ2 (1.25) dove a = J/M è il momento angolare per unità di massa, inoltre:

ρ2 = r2+ a2cos2θ, ∆ = r2− 2M r + a2. (1.26)

Per nire, è naturale domandarsi se sia possibile combinare la metrica di Reissner-Nordstrøm con quella di Kerr, così da ottenere una soluzione per un buco nero rotante e dotato di carica elettrica. In eetti ciò è possibile e conduce alla metrica di Kerr-Newman. Essa è formalmente uguale alla (1.25) con la dierenza che ∆ è denito nella seguente maniera:

∆ = r2− 2M r + a2+ Q2 (1.27)

mentre l'espressione per ρ2 rimane invariata. Questo risultato rispecchia il caso più

generale possibile, in quanto, partendo dalla metrica di Kerr-Newman, con Q = 0 si riottiene quella di Kerr; ponendo J = 0 si ritorna al caso di Reissner-Nordstrøm; inne, se Q = J = 0, si ritrova la geometria di Schwarzschild.

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1.3 Il problema dei buchi neri

Finora si è parlato in maniera abbastanza generica di "oggetti compatti", come di corpi (tipicamente di carattere astrosico) che possono essere ben descritti dalle soluzioni della (1.10). La teoria relativistica, però, ammette l'esistenza di particolari oggetti, i buchi neri, che presentano alcune notevoli peculiarità. Accontentiamoci, almeno per il momento, della seguente denizione (non rigorosa): un buco nero è un corpo talmente compatto che la sua attrazione gravitazionale non permette, entro una certa distanza, la fuoriuscita di alcuna informazione dal suo interno, nemmeno della luce (da cui il nome "buco nero"). Ciò detto, vogliamo discutere due delle principali questioni aperte relative a questi corpi, senza la pretesa di esaurire l'argomento, né di esporre i diversi approcci che si possono seguire per tentare di risolvere tali problemi.

La prima dicoltà sollevata dal modello dei buchi neri è senza dubbio l'esistenza di singolarità spaziotemporali. Consideriamo uno di questi corpi, ed assumiamo che sia statico nel tempo e dotato di simmetria sferica. Detta M la sua massa totale, utilizziamo delle coordinate polari standard {t, r, θ, φ} ponendo l'origine del sistema di riferimento al centro del corpo in questione. Sappiamo allora che la geometria dello spaziotempo all'esterno di esso sarà descritta dalla metrica di Schwarzschild (1.15). Per un valore della coordinata radiale pari a r = RH =: 2M (detto raggio di Schwarzschild) si ha la

formazione di una supercie di tipo luce, comunemente nota come orizzonte degli eventi: essa può essere intuitivamente pensata come il "bordo" del buco nero, dall'interno del quale nessuna informazione può uscire. In eetti, basta guardare la (1.15) per capire che r = RH è una supercie particolare: nel sistema di coordinate utilizzato, la componente

temporale della metrica si annulla, mentre quella radiale diverge. Inoltre, studiando le equazioni del moto di un ipotetico osservatore in caduta radiale libera, dall'innito spa-ziale verso il buco nero, è facile mostrare che la quantità4 dt/dτ diverge mano a mano

che ci si avvicina verso tale orizzonte. Tuttavia ciò non è particolarmente signicativo; infatti, a priori, t è una semplice coordinata geometrica, introdotta per descrivere lo spaziotempo come varietà quadridimensionale. Essa rappresenta eettivamente la mi-sura di un intervallo temporale solo per un osservatore posto a distanza r >> RH, per

il quale, grazie alla proprietà di piattezza asintotica del tensore metrico, la geometria è approssimabile con quella di Minkowski. L'osservatore in caduta radiale libera in-fatti, non rivelerebbe alcuna anomalia nella misura del tempo proprio τ e supererebbe l'orizzonte degli eventi senza problemi. Per questo motivo la supercie r = RH è

co-munemente chiamata singolarità rimovibile o apparente, in quanto può essere eliminata tramite la scelta di un diverso sistema di coordinate (come, ad esempio, le coordinate di Eddington-Finkelstein). Un secondo indicatore del fatto che l'orizzonte non rappresenta una singolarità reale è lo scalare di Kretschmann, una grandezza che si ottiene come

4Si noti che t è la coordinata geometrica di tipo tempo, mentre τ rappresenta il tempo proprio

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contrazione del tensore di Riemann. Esso misura la deviazione geodetica, cioè quantica la curvatura in un dato punto dello spaziotempo ed essendo uno scalare, per denizione assume lo stesso valore in tutti i sistemi di riferimento. Nel caso a simmetria sferica che stiamo studiando, esso risulta essere: [4]

K =: RabcdRabcd =

48M2

r6 (1.28)

da cui appare chiaro che per r = RH = 2M non si hanno problemi. L'unica singolarità

reale, non rimovibile tramite un cambio di coordinate, si ha invece per r = 0, ovvero nel centro del buco nero. Solo per questo valore della coordinata radiale si ha la divergenza della quantità dr/dτ. In tale punto infatti anche lo scalare di Kretschmann diverge e, almeno secondo la teoria relativistica, si dovrebbe avere una densità di energia innita. Quest'ultima aermazione è tutt'oggi molto dibattuta, in quanto non è accettabile da un punto di vista quantistico.

All'inizio del XX secolo, la teoria classica dell'elettromagnetismo prevedeva che un elettrone in rotazione attorno ad un nucleo dovesse in breve tempo collassare su di esso, il che renderebbe impossibile l'esistenza dell'universo come lo conosciamo. Fu necessaria la meccanica quantistica, per ottenere una descrizione soddisfacente dei fenomeni che avvengono su scale spaziali così piccole. Allo stesso modo, ci si aspetterebbe che degli eetti quantistici impediscano il collasso gravitazionale oltre un certo limite, prevenendo la formazione di singolarità reali; tuttavia, almeno per il momento, non possediamo una teoria quantistica della gravità, capace di descrivere la sica che si cela all'interno di un buco nero. Inoltre, sembrerebbe che le singolarità spaziotemporali siano sempre racchiuse all'interno di un orizzonte, e dunque inaccessibili ad un osservatore esterno. Questa impossibilità di osservare singolarità nude (cioè non protette da un orizzonte) è l'essenza della cosiddetta ipotesi di censura cosmica debole, formulata per la prima volta da Roger Penrose nel 1969. Al livello di conoscenza attuale, dunque, il problema delle singolarità e degli orizzonti rimane uno dei misteri più rilevanti della sica contemporanea.

Una seconda dicoltà che scaturisce dal modello classico dei buchi neri è rappresen-tata dalla conservazione dell'informazione sica. Nel corso degli anni, è stato dimostrato un teorema, denominato no hair, il quale aerma che un buco nero può essere descritto in maniera completa da tre soli parametri: la massa, il momento angolare (intrinseco) e la carica elettrica5. Ciò signica che un buco nero descritto dalla metrica di Kerr-Newman

rappresenta il caso più generale possibile. Supponiamo ora di conoscere, ad un certo istante di tempo, tutte le informazioni possibili riguardanti un certo oggetto, diciamo una stella. Saranno dunque noti la sua massa, la composizione chimica, il momento an-golare, l'età, l'interazione tra le sue componenti, ecc. Supponiamo inoltre che tale stella sia sucientemente massiva da dover arontare un collasso gravitazionale che la porti

5La validità di questo teorema è dibattuta. Esistono numerosi studi di buchi neri con ulteriori

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allo stadio di buco nero. In tal caso, tutte le informazioni riguardanti la stella andrebbero irreversibilmente perdute in seguito al collasso, ad eccezione dei tre parametri citati.

Almeno in linea di principio e da un punto di vista classico, le leggi che utilizziamo per descrivere i fenomeni dovrebbero permetterci di risalire ad uno stato precedente di un corpo, a patto di conoscere con suciente precisione il suo stato attuale. Se invece ci trovassimo di fronte ad un buco nero di cui conoscessimo massa, carica elettrica e mo-mento angolare, non potremmo in nessun modo risalire alla stella che l'ha originato, in quanto l'informazione sica su di essa non viene conservata nel buco nero, ma va irrime-diabilmente persa. Un ragionamento analogo si può fare nel caso in cui immaginassimo di gettare un oggetto all'interno del buco nero: esso sprofonderebbe sino a raggiungere l'ipotetica singolarità spaziotemporale, e l'universo non conserverebbe alcun "ricordo" di ciò che era stato l'oggetto precedentemente.

Così come per il problema delle singolarità, anche riguardo alla presente questione il dibattito è tutt'oggi aperto, e una buona parte della comunità scientica ritiene che l'informazione sica non possa andare persa e che dunque è la nostra descrizione dei buchi neri che vada modicata.

1.4 Utilità dello studio di modelli alternativi

Le osservazioni astronomiche non forniscono prove determinanti del fatto che corpi estremamente massivi, che non emettono radiazione elettromagnetica, siano precisamen-te buchi neri, così come li descrive la relatività generale. Per quanto ne sappiamo, potrebbe anche trattarsi di oggetti che all'apparenza si comportano proprio come tali, ma la cui descrizione eettiva si discosta (in misura minore o maggiore) dalla teoria che utilizziamo. Abbiamo dunque un certo margine per speculare su cosa eettivamente siano questi corpi celesti che non emettono radiazione, ma dei quali misuriamo i prodi-giosi eetti gravitazionali. Sarà poi l'osservazione sperimentale delle loro caratteristiche a confermare, oppure smentire, la validità di modelli alternativi; questa procedura è estremamente utile poiché, anche nel caso in cui il paradigma dei buchi neri venisse ulte-riormente confermato, a discapito di approcci diversi, otterremmo comunque una misura della precisione descrittiva della teoria attuale. In altre parole, potremmo quanticare i limiti di eventuali deviazioni dalla relatività generale.

Quanto detto nora, in aggiunta ai problemi arontati nel paragrafo 1.3, sarebbe già di per sé suciente a motivare lo studio di modelli alternativi di oggetti oscuri e compatti; tuttavia, c'è almeno un altro mistero della sica contemporanea che potrebbe trarre giovamento da questo tipo di ricerche: la materia oscura. Essa non interagisce con il campo elettromagnetico ed è osservabile solo indirettamente, per mezzo dei sui eetti gravitazionali. Inoltre, secondo i modelli cosmologici attuali, costituirebbe circa il 25% della densità di energia e materia presente nell'universo. Da cosa sia composta tale

(21)

materia (ammesso che esista6) è un altro degli interrogativi fondamentali della scienza

moderna, per risolvere il quale non è suciente la sica del modello standard. Delle ipotesi avanzate in questa direzione sono strettamente collegate alla descrizione di corpi celesti oscuri e compatti. Infatti, è possibile che la materia oscura sia formata da par-ticelle esotiche, diverse da quelle nora trovate sperimentalmente, e che tali parpar-ticelle si aggreghino a causa della reciproca attrazione gravitazionale. In questo modo andrebbero a formare corpi celesti che appaiono neri, proprio come quelli che ci proponiamo di ana-lizzare in questo lavoro. È dunque ragionevole pensare che lo studio teorico di oggetti esotici compatti (ECOs7) possa fornire informazioni utili per risolvere l'enigma legato

alla materia oscura (si veda ad esempio [5]).

Nel seguente capitolo verranno studiate alcune proprietà generali degli ECOs a sim-metria sferica, basandosi sul loro "grado di somiglianza" ad un buco nero e senza indagare la natura della materia che li compone.

6Sono stati elaborati modelli che propongono una spiegazione degli eetti gravitazionali osservati

senza l'utilizzo della materia oscura; l'idea alla loro base è lo sviluppo di una teoria alternativa della gravitazione. Il tentativo più valido in questo senso è probabilmente la cosiddetta Modied Newtonian Dynamics (MOND).

(22)

Capitolo 2

Proprietà di ECOs stazionari

2.1 Il parametro di somiglianza 

In questa sezione, ci proponiamo di quanticare matematicamente la somiglianza tra un ECO e un buco nero. Però, prima di fare ciò, è bene chiarire alcune caratteristiche degli oggetti che ci accingiamo a studiare. Ogni volta che si parlerà di ECOs, si intende-ranno corpi massivi, oscuri e compatti, che non emettono radiazione elettromagnetica, ma che non presentano alcun orizzonte, a dierenza dei buchi neri. Non specicheremo da cosa siano composti, né indagheremo quali siano i meccanismi che regolano l'equilibrio gravitazionale, evitando così un ulteriore collasso. Potremo dunque utilizzare il concetto di supercie di un ECO, pur con le dovute precauzioni, dettate dalla nostra ignoranza riguardo alla composizione interna di questi oggetti8.

Vogliamo ora introdurre un parametro di somiglianza , tale per cui, nel limite in cui  → 0, ci riduciamo al caso di un buco nero di Schwarzschild. La scelta su come denire questa grandezza non è univoca ed anche in letteratura sono presenti diversi approcci; tuttavia, i risultati nali che si ottengono non dipendono dal particolare modo in cui si sceglie questo parametro. Nel presente studio, utilizzeremo la seguente denizione, suggerita da V. Cardoso e P. Pani per i corpi a simmetria sferica (si veda [6]):

r0 = 2M (1 + ) . (2.1)

Ci occuperemo perciò di oggetti che presentano una supercie sferica ad r = r0. È

immediato vedere che per  → 0 si ha r0 = 2M = RH, dunque si ritrova un buco nero

di Schwarzschild, come richiesto. La compattezza di un ECO, denita come il rapporto

8Infatti, esistono anche modelli nei quali la densità di materia cala con continuità, mentre ci si

allontana dal centro del corpo, il che non permette di parlare di supercie in senso stretto. È comunque possibile denire una supercie ecace come, ad esempio, la sfera che contiene il 90% della massa totale. Un esempio molto studiato di corpi che mostrano questa caratteristica è dato dalle cosiddette boson stars.

(23)

tra la sua massa ed il raggio, è quindi esprimibile come segue: C =: M r0 = 1 2(1 + ) ' 1 2(1 − ) (2.2) dove l'ultimo passaggio è valido solo se  << 1.

A seconda del contesto, può essere utile considerare diversi valori di questo parametro. Infatti, nel caso in cui si vogliano approfondire teorie quantistiche della gravità, buchi neri, oppure proprietà degli orizzonti, sarà utile studiare il caso in cui  << 1. Invece, per oggetti composti da materia oscura ad esempio,  assume valori dell'ordine dell'unità9.

Lo studio di questa quantità, oltre ad implementare l'analisi di oggetti alternativi ai buchi neri, potrebbe aiutarci a comprendere meglio le proprietà dei buchi neri stessi, tramite lo studio del limite  → 0. Inne, se ci si volesse confrontare con un contesto dinamico,  potrebbe dipendere dal tempo, senza essere ssato a priori. Tuttavia, nei prossimi paragra ci limiteremo al caso di ECOs in uno stato di equilibrio, ovvero stazionari.

2.2 Orbite circolari e sfere di fotoni

Consideriamo dunque un ECO di massa M, a simmetria sferica. Assumiamo inoltre che almeno la regione all'esterno dell'ECO sia ben descritta dalla relatività generale. Vale allora la seguente proposizione [7]:

Teorema di Birkho. Una soluzione delle equazioni di campo nel vuoto, se è a sim-metria sferica, dev'essere necessariamente statica all'esterno della sorgente.

Questo ci assicura l'esistenza dei quattro vettori di Killing già visti, corrispondenti alle rotazioni ed alla staticità. Possiamo allora aermare che la geometria, all'esterno dell'E-CO, è descritta dalla metrica di Schwarzschild (1.15), proprio come nel caso di un buco nero che presenti le stesse simmetrie del tensore metrico.

Vogliamo allora ricavare le equazioni del moto geodetico di una particella di prova, soggetta al solo campo gravitazionale prodotto dall'ECO. A tal scopo, si consideri la seguente azione, parametrizzata tramite il tempo proprio della particella τ [1]:

S (xµ(τ )) = m Z τ 0 q −gµνx˙µx˙νdτ0 ≡ m Z τ 0 √ 2Ldτ0. (2.3) gµν è il tensore metrico, m è la massa della particella10 ed il punto indica la derivazione

rispetto a τ. Per la metrica (1.15) si ha: 2L =  1 − 2M r  ˙t2  1 −2M r −1 ˙r2− r2 ˙θ2+ sin2θ ˙φ2= − ˙xµ˙x µ = 1. (2.4)

9Anche le già citate boson stars, nonché le stelle di neutroni, presentano questo stesso ordine di

grandezza di .

10Se si volesse considerare una particella non massiva (ad esempio un fotone) non sarebbe possibile

(24)

Utilizzando il principio di minima azione (imponendo cioè δS = 0) si ottengono le ben note equazioni di Eulero-Lagrange:

d dτ  ∂L ∂ ˙xµ  = ∂L ∂xµ. (2.5)

Notando che L non dipende né da t né da φ, il teorema di Noether ci garantisce l'esistenza dei seguenti integrali del moto:

E = m ∂L ∂ ˙t  = m  1 − 2M r  ˙t (2.6) J = −m ∂L ∂ ˙φ  = mr2sin2θ ˙φ. (2.7) E, nel limite asintotico di campo debole (r >> 2M, ˙t → 1) si riduce alla massa della particella di prova; inoltre, se poniamo11 θ = π/2, J rappresenta la proiezione del

mo-mento angolare sull'asse z, il quale denisce l'angolo φ. Invertendo la (2.6) e la (2.7) si ottengono delle espressioni per ˙t e ˙φ le quali, inserite nella (2.4), conducono alla seguente equazione per ˙r (avendo posto θ = π/2, si ha che ˙θ = 0):

˙r2 = E 2 m2 −  1 −2M r   J2 m2r2 + 1  ≡ E 2 m2 − Vef f (r) (2.8)

dove è stato introdotto il potenziale ecace Vef f(r).

Grazie a questo risultato, possiamo ora studiare l'esistenza e la stabilità di orbite chiuse, in particolare di orbite circolari [8]. Derivando la (2.8) rispetto a τ e dividendo per ˙r si ottiene: 2¨r = d dr  E2 m2 − Vef f(r)  . (2.9)

Le condizioni per l'esistenza di orbite circolari sono: ˙r = 0, che implica r = rc= const,

e ¨r = 0. Quindi dalla (2.9) segue (ricordiamo che E è costante): dVef f(r) dr = 0 =⇒ r 2 c− J2 M m2rc+ 3J2 m2 = 0. (2.10)

La soluzione di questa equazione di secondo grado in rc risulta essere:

rc± = J2 2M m2 1 ± r 1 −12M 2m2 J2 ! . (2.11)

11È sempre possibile eettuare tale scelta, in quanto la simmetria sferica permette di orientare gli assi

(25)

Nella (2.11) il segno + corrisponde ad un minimo del potenziale (quindi le relative orbite circolari sono stabili); invece rc− è un punto di massimo di Vef f, per cui le

corrispon-denti orbite circolari sono instabili. Inoltre, il momento angolare J funge da parametro, variando il quale si ottiene una famiglia di orbite stabili o instabili, a seconda dei casi. Vogliamo ora conoscere il minimo valore di r per cui si ha ancora un'orbita circolare stabile (essa viene solitamente indicata con l'acronimo ISCO, dall'inglese Innermost Sta-ble Circular Orbit). È chiaro che rc ha valori reali solo per J/m ≥ 2

3M, e si può mostrare che la ISCO corrisponde al valore di J che satura questo limite. Quindi l'orbita circolare stabile più vicina all'ECO si ha per JISCO = 2

3M m, cioè per un valore della coordinata radiale pari a rISCO = 6M. La presenza di questa orbita limite gioca un ruolo

importante nello studio dei dischi di accrescimento che possono circondare un ECO, e tali processi di assorbimento sono attualmente molto studiati, in quanto possono mostrare caratteristiche diverse a seconda dell'oggetto compatto in questione. L'osservazione spe-rimentale dei dischi di accrescimento, quindi, potrebbe fornire informazioni sulla natura della sorgente gravitazionale e fungere da discriminante per i vari modelli teorici.

Un'altra proprietà interessante degli oggetti compatti è l'esistenza di curve geodetiche chiuse di tipo luce. Vogliamo dunque studiare l'esistenza e stabilità di orbite circolari per delle particelle non massive (tipicamente fotoni). Per fare ciò, possiamo ripercorrere il ragionamento già visto per le geodetiche di tipo tempo, applicando le opportune mo-diche. La curva non può più essere parametrizzata tramite un tempo proprio, il quale non è denito, quindi utilizzeremo il parametro ane λ, che denisce la curva; inoltre nell'espressione dell'azione (2.3) non comparirà la massa m. La (2.4) assume quindi la seguente forma: 2L(l) =  1 −2M r   dt dλ 2 −  1 − 2M r −1 dr dλ 2 − r2 "  dθ dλ 2 + sin2θ dφ dλ 2# = 0 (2.12) dove il pedice (l) indica che stiamo trattando curve di tipo luce. Le espressioni per E e J diventano rispettivamente: E(l)=  1 − 2M r  dt dλ (2.13) J(l) = r2sin2θ  dφ dλ  . (2.14)

La (2.8) rimane invece formalmente identica, con la dierenza che il potenziale ecace è denito in maniera leggermente diversa:

 dr dλ 2 = E(l)2 − Vef f (l)(r) = E(l)2 −  1 − 2M r J2 (l) r2 . (2.15)

(26)

Con un ragionamento analogo a quello già esposto sopra, si ottiene la seguente condizione per le orbite circolari di tipo luce:

dVef f (l)(r)

dr = 0 =⇒ rP S = 3M. (2.16) Questo valore della coordinata radiale denisce una supercie detta sfera di fotoni12,

oppure, se si considera una sezione equatoriale, anello di luce. rP S è però un punto di

massimo del potenziale ecace, quindi le orbite situate su questa supercie sono instabili. Infatti: d2V ef f (l)(r) dr2 r=3M = −2J 2 (l) 81M4 < 0. (2.17)

Inoltre, è possibile dimostrare la seguente aermazione: se la traiettoria di un fotone si discosta di una piccola quantità δ dall'anello di luce, ad esempio a causa di una pertur-bazione esterna, allora tale spostamento cresce esponenzialmente nel tempo (coordinato) con il seguente andamento [9]:

δ (t) ∼ δ0eλt, λ =

1

3√3M. (2.18) A questo punto, è bene notare che i risultati ottenuti nora si basano su una sola ipo-tesi: che la geometria dello spaziotempo sia descritta dalla metrica di Schwarzschild. Ciò signica che i ragionamenti n qui fatti hanno una valenza generale, e prescindono dalla natura della sorgente gravitazionale, per la quale richiediamo unicamente la simmetria sferica13.

Una peculiarità degli ECOs, assente nei buchi neri, è la presenza di una seconda sfera di fotoni. Al contrario della precedente, questa è stabile e tipicamente si trova all'interno dell'oggetto compatto [10]. In tale regione, il tensore energia-impulso non è nullo, quindi non possiamo più utilizzare la soluzione di Schwarzschild, che è una soluzione di vuoto. Tuttavia continuano a valere le simmetrie già discusse in precedenza, dunque la metrica assumerà la forma più generale (1.11). Per un corpo regolare (cioè che non presenti singolarità né orizzonti) le funzioni A(r) e B(r) sono positive e non cambiano mai segno; inoltre assumono un valore nito nell'origine. Si può mostrare che in queste condizioni il potenziale ecace, per curve di tipo luce, è dato da:

Vef f (l)(r) = J(l)2

A (r)

r2 . (2.19)

Siccome esso diverge ed è positivo in r = 0, ma presenta anche un massimo locale in r = rP S = 3M, deve esistere necessariamente un minimo locale, e quindi un secondo

anello di luce, più interno del precedente e stabile.

12Da cui il pedice P S, che sta per Photon Sphere.

(27)

La sfera di fotoni ha una notevole utilità nella descrizione di come gli oggetti compatti (ed i buchi neri non fanno eccezione) ci appaiono, quando vengono illuminati da dischi di accrescimento o da sorgenti di luce. Questa caratteristica ci aiuta quindi a denire l'ombra di un ECO o di un buco nero, come vedremo nel prossimo paragrafo. Le proprietà degli oggetti esotici compatti n qui discusse sono illustrate in gura 2.1.

Figura 2.1: Sezione equatoriale di un ECO, con orbite geodetiche circolari. Il punto nero in alto a sinistra rappresenta un satellite, che può percorrere orbite stabili in tutta la regione grigia, no alla ISCO, situata ad r = 6M. Sono anche ragurati l'anello di luce instabile, posto a r = 3m, e quello più interno, stabile. Quest'ultimo è tipico di oggetti compatti privi di orizzonte (fonte: [6]).

2.3 Traiettorie di fuga ed ombra di oggetti compatti

Vogliamo ora approfondire due ulteriori caratteristiche degli oggetti compatti, che hanno attinenza con le sfere di fotoni analizzate nel paragrafo 2.2. Per prima cosa, ci chiediamo quali siano le condizioni in cui un fotone può fuggire dall'ECO. In secondo luogo, vogliamo determinare l'ombra di un oggetto compatto. L'osservazione di un ECO (o di un buco nero) può avvenire solo per contrasto: una sorgente che illumini l'oggetto

(28)

"da dietro" (rispetto alla posizione dell'osservatore) permette di vedere i contorni del corpo, i quali deniscono appunto la sua ombra.

Cominciamo con l'introduzione di una nuova quantità, detta parametro d'impatto, denita come il rapporto tra i due integrali del moto di una geodetica di tipo luce [3]:

b =: J(l) E(l)

. (2.20)

La linea di mondo di una particella non massiva non dipende da J(l) e da E(l) in

ma-niera separata, ma solo dal loro rapporto b; da ciò deriva l'utilità di questa grandezza. Consideriamo ora l'equazione (2.15) e dividiamola per J2

(l). Riparametrizzando la curva

tramite una nuova quantità µ =: λJ(l) si ottiene:

 dr dµ 2 = 1 b2 −  1 − 2M r  1 r2. (2.21)

Sappiamo che la sfera di fotoni instabile si ha per rP S = 3M, dove il potenziale ecace ha

un massimo locale. Possiamo allora ricavare il corrispondente valore critico del parametro d'impatto, ponendo dr/dµ = 0 e r = 3M, che conduce a:

bcrit= 3

3M. (2.22)

Intuitivamente, il parametro d'impatto indica quanto un fotone passi vicino alla sorgente gravitazionale. Se b > bcrit, la direzione di propagazione del raggio di luce viene deviata,

ma l'orbita è aperta e il fotone prosegue verso l'innito spaziale (è il cosiddetto eetto di lente gravitazionale). Se b = bcrit, allora il fotone viene catturato dall'ECO, ed inizia

ad orbitare esattamente lungo la prima sfera di fotoni instabile. Inne, se b < bcrit, la

luce verosimilmente traccerà una spirale attorno all'ECO per poi venirne assorbita. Si noti che il caso limite b = 0 corrisponde ad un valore nullo del momento angolare J(l);

ciò signica che, come ci si aspetta, il fotone segue una geodetica radiale e punta dritto verso il centro del corpo. La casistica appena elencata è riportata nelle gure 2.2 e 2.3.

Vogliamo ora approfondire le caratteristiche dell'ombra di un ECO. Esse sono di notevole utilità, in quanto forniscono delle previsioni teoriche, da poter confrontare con le osservazioni sperimentali. Ciò permette di confutare, o al contrario, di raorzare, modelli e paradigmi, come quello dei buchi neri. Consideriamo una sorgente elettromagnetica statica, cioè tale per cui tutte e quattro le sue coordinate rimangono costanti, posta all'esterno dell'oggetto compatto, a r = rem. Inoltre, denotiamo con α l'angolo tra la

direzione radiale (uscente) e la direzione di propagazione del raggio di luce. Il fotone emesso avrà |~v| = 1 e le componenti della sua velocità saranno date da:

(29)

Figura 2.2: Prolo del potenziale ecace (normalizzato per J2

(l)) per una geodetica di tipo

luce. Esso presenta un massimo in r = 3M (prima sfera di fotoni). Se b > bcrit = 3

√ 3M, un fotone proveniente da r = +∞ ritorna ad r = +∞. Se b < bcrit il fotone prosegue

no ad r = 0 e viene inghiottito dall'ECO (fonte: [3]).

(ricordiamo che siamo liberi di orientare gli assi in modo tale da avere vθ = 0). In

particolare si ha [3]: vφ = b rem  1 −2M rem 1/2 . (2.24)

Se sostituiamo b = bcritnella (2.24), otteniamo l'angolo massimo per cui è ancora possibile

la fuga del raggio di luce:

sin αcrit = 3√3M rem  1 −2M rem 1/2 . (2.25) Questo valore, in funzione di rem, funge da separatore tra due casi: se α < αcrit, l'impulso

luminoso raggiungerà l'innito spaziale; se α > αcritesso verrà assorbito dall'ECO; inne

se α = αcrit il raggio di luce rimarrà vincolato alla sfera di fotoni. Il seguente esempio

è abbastanza intuitivo: per un fotone emesso da r = rP S = 3M, si ha αcrit = π/2. Ciò

signica che un impulso elettromagnetico che parta dalla sfera di fotoni, con velocità iniziale tangente ad essa, rimarrà vincolato sulla sfera. Altrimenti, se la componente radiale della velocità è positiva, esso riuscirà a fuggire; se invece vr è negativa, nirà con

(30)

Figura 2.3: Una sorgente emette raggi luminosi che interagiscono con il campo gravita-zionale di un oggetto compatto e oscuro. I fotoni con un elevato parametro d'impatto (linea nera tratteggiata) giungono all'osservatore dopo essere stati deessi (eetto di len-te gravitazionale). Quelli con b = bcrit (linea rossa) rimangono intrappolati sulla sfera di

fotoni e compiono orbite circolari. Inne, quelli con un basso parametro d'impatto (linea blu tratteggiata) cadono dentro all'ECO (fonte: [6]).

Se ora consideriamo della luce emessa a partire dalla supercie di un ECO, possiamo esprimere l'angolo critico in funzione del parametro di somiglianza . Basta sostituire la (2.1) nella (2.25) e si ottiene: sin αcrit= 3√3 2 (1 + )  1 − 1 1 +  1/2 . (2.26) Volendo studiare il limite  → 0, utilizziamo la seguente espansione in serie di Taylor: (1 + )−1 = 1 −  + O(2). Inoltre, siccome  → 0 implica sen α

crit → 0, possiamo

utilizzare l'approssimazione sen αcrit ' αcrit. Sostituendo nella (2.26) si ottiene:

αcrit'

3√3

2 (1 − ) √

  → 0+ . (2.27) Alcune traiettorie critiche di fuga sono rappresentate gracamente in gura 2.4.

Dai ragionamenti n qui esposti si possono trarre le seguenti conclusioni: per un ECO con parametro di somiglianza abbastanza piccolo, parte della luce che giunge da

(31)

Figura 2.4: Alcune traiettorie di fuga di raggi luminosi. Il cerchio nero centrale corri-sponde ad r = 2M, cioè alla "zona di buco nero", mentre l'area grigia delimita la sfera di fotoni ad r = 3M. Quello che in legenda è indicato come ψesc corrisponde a 2αcrit. Per

ogni valore di r0, i raggi luminosi emessi all'interno dell'area colorata "a goccia" vengono

assorbiti dall'ECO (fonte: [6]).

dietro viene assorbita, o intrappolata nella sfera di fotoni, cosicché un osservatore vede un vero e proprio "buco" nel cielo, di raggio r0 = 3

3M (che corrisponde al valore critico del parametro d'impatto). Ciò signica che l'ombra di un ECO può essere molto simile a quella di un buco nero. Inoltre, la radiazione emessa nelle vicinanze della supercie (causata per esempio da un disco di accrescimento) può raggiungere l'innito spaziale solo se emessa ad un angolo minore di αcrit il quale, nel limite in cui  → 0, va a zero

come αcrit ∼

. Quindi, almeno tramite l'osservazione dei dischi di accrescimento, è molto dicile distinguere un ECO estremamente compatto ( << 1) da un buco nero.

Per concludere, è bene ricordare che gli studi sull'ombra di oggetti compatti sono di grande attualità: recentemente sono state ottenute le prime immagini dell'ombra di un presunto buco nero supermassiccio, noto con il nome di M87. Queste immagini (ttizie, in quanto l'osservazione è avvenuta in banda radio) sono state ottenute dalla Event Horizon Telescope Collaboration; una di esse è riportata in gura 2.5.

(32)

Figura 2.5: Una delle prime immagini dell'ombra di un presunto buco nero supermassic-cio, denominato M87 (immagine ottenuta tramite l'osservazione in banda radio). L'emis-sione elettromagnetica è dovuta al disco di accrescimento che circonda l'oggetto (fonte: [11]).

2.4 Cenni sull'instabilità gravitazionale

Il modello degli ECOs di cui stiamo trattando si basa attualmente su delle supposi-zioni teoriche, piuttosto che su osservasupposi-zioni astronomiche. Tuttavia, per dare delle basi di plausibilità a queste supposizioni, è necessario richiedere almeno una fondamentale ca-ratteristica per questi corpi: la stabilità gravitazionale. Per arontare questo argomento, è necessario esporre due aermazioni che solitamente vengono assunte come valide, nel-l'ambito della relatività generale. La prima di esse è nota in letteratura come "null energy condition"; essa richiede che in ogni punto dello spaziotempo valga la seguente disuguaglianza [12]:

Tµνvµvν ≥ 0 (2.28)

per ogni quadrivettore di tipo luce vµ. Intuitivamente, ciò equivale a chiedere la

positi-vità (locale) della densità di energia. L'importanza della (2.28) risiede, oltre che nella sua ragionevolezza, nel ruolo che svolge in alcuni importanti teoremi della relatività, ri-guardanti i buchi neri e la cosmologia. La seconda proposizione che ci interessa è detta "congettura del cerchio" (in inglese hoop conjecture). Essa aerma che: un orizzonte si forma se e solo se una massa M viene racchiusa all'interno di una regione la cui circon-ferenza C, in ogni direzione, soddisfa C ≤ 4πM [13]. Formulata inizialmente da K.

(33)

Thorne, essa è stata vericata in numerosi contesti sici, in particolare nel caso di corpi statici e a simmetria sferica. Per questi ultimi, la precedente disuguaglianza è saturata dal raggio di Schwarzschild, infatti: C = 2πr ⇒ r ≤ 2M = RH.

In questo paragrafo vogliamo accennare al seguente fatto: gli ECOs la cui supercie dista dall'orizzonte di una quantità innitesima, dell'ordine della lunghezza di Planck14,

risultano instabili e sono forzati a collassare in un buco nero in seguito all'assorbimento di materia; in alternativa, essi devono essere esenti dalla congettura del cerchio, il che implica una violazione della null energy condition [14]. Questa aermazione è valida da un punto di vista "classico", il che signica che potrebbe essere smentita all'interno di una ipotetica teoria quantistica della gravità, tuttavia ancora sconosciuta.

Consideriamo allora un ECO di massa iniziale M0, immerso in un mezzo il quale,

venendo continuamente assorbito, va ad aumentare la sua massa. Supponiamo inoltre che il raggio del corpo rimanga approssimativamente costante durante il processo di assorbimento15 ( ˙r

0 ' 0). Se il tasso di accrescimento ˙M è costante e abbastanza piccolo

(il che verrà vericato a posteriori), allora la massa acquistata durante un intervallo di tempo T sarà circa δM = M − M0 = ˙M T. Se questa quantità supera una certa soglia,

allora l'oggetto sarà forzato a collassare in un buco nero, a causa della congettura del cerchio. Anché ciò non accada, deve valere la seguente condizione:

r0 = RH(M0) + δR > RH(M0+ δM ) (2.29)

dove RH(X) = 2X è il raggio di Schwarzschild calcolato per un buco nero di massa X e

δRè la distanza della supercie dell'ECO da esso. Notiamo che δr è legato al parametro di somiglianza dalla relazione δr = 2M0, per cui si può usare indierentemente l'uno o

l'altro. Dalla (2.29) si ottiene la seguente condizione:

2M0+ δR > 2(M0+ δM ) =⇒ δR > 2 δM. (2.30)

Quindi, volendo ottenere un limite inferiore per δr, dovremo prima ricavare il tasso di accrescimento ˙M e poi formulare un stima ragionevole di T . Senza dimostrarlo, riportiamo un utile risultato che fornisce un espressione per ˙M. La seguente formula, ricavata da H. Bondi, F. Hoyle e R. Lyttleton, è valida per un corpo statico, a simmetria sferica e completamente immerso in un mezzo, diciamo una nube di gas:

˙ M = 4πG 2 NM02ρ (c2 s+ v2∞) 3/2. (2.31)

GN è la costante gravitazionale di Newton, ρ è la densità del mezzo (assunta costante),

cs è la velocità del suono nel mezzo e v∞ rappresenta la velocità relativa tra l'oggetto e

14Ricordiamo che la lunghezza di Planck è denita come: `P =p

~GN/c3' 1.6 × 10−35 m.

15Ciò trova riscontro con diverse tipologie di ECOs, le quali presentano una supercie rigida, come

(34)

il materiale asintoticamente distante da esso. Se ad esempio consideriamo un ECO di massa iniziale M0 = 106M (M denota la massa solare), utilizzando i valori relativi ad

un gas interstellare (si veda [14]) si ottiene: ˙

M ∼ 10−10M

yr . (2.32)

Per utilizzare una scala temporale sensata, è bene pensare in funzione della nostra ca-pacità di eettuare misure riguardanti questi oggetti. T può essere pensato come il tempo che intercorre tra la formazione dell'ECO ed il momento in cui possiamo ottene-re informazioni su esso, tipicamente tramite l'emissione di onde gravitazionali da parte dell'oggetto (dovuta per esempio alla formazione di un sistema binario). Una stima gros-solana potrebbe essere T ∼ (109− 1010) yr, da cui si ottiene: δM = ˙M T ∼ (0.1 − 1) M

.

Inne, ricordando la condizione (2.30), si ottiene:

δR & (0.1 − 1) km (2.33) che risulta maggiore della lunghezza di Planck di molti ordini di grandezza (`P ∼

10−38 km).

La (2.33) fa riferimento ad un ECO di M0 = 106M , ma se invece vogliamo ottenere

un risultato più generico, valido per un qualunque valore di M0, allora è più utile riferirsi

ad  piuttosto che a δR. Lasciando M0 in forma implicita nella (2.31), si ottiene, al posto

della (2.32): ˙ M ∼ 10−22 M 2 0 M yr . (2.34)

Sostituendo il valore di T discusso sopra, si ottiene: δM ∼ (10−13− 10−12) M2 0/M ;

siccome 2M0 = δR > 2δM, si ottiene il seguente limite inferiore sul parametro di

somiglianza:

 & 10−13− 10−12 M0

M

. (2.35)

I risultati ottenuti pongono un limite sulla compattezza che un ECO può raggiunge-re senza collassaraggiunge-re in un buco nero. Se ammettiamo che la (2.35) possa esseraggiunge-re violata, dobbiamo supporre che la congettura del cerchio non si applichi a questa classe di og-getti, ma ciò aprirebbe un'altra questione: si dovrebbe giusticare l'esistenza di materia esotica che violi la null energy condition e descriverne il comportamento. La validità dei ragionamenti eettuati rientra tuttavia in un contesto non quantistico della relatività generale, dunque è possibile che una futura teoria quantistico-gravitazionale ci obblighi a dover ritrattare le precedenti aermazioni sotto un nuovo punto di vista. Inne, a titolo puramente informativo, riportiamo che numerosi studi dimostrano il seguente fatto. Il collasso degli ECOs in buchi neri può essere provocato anche dall'assorbimento di onde gravitazionali, oltre che dall'accrescimento di materia.

(35)

Capitolo 3

Classicazione degli ECOs

3.1 ECOs "morbidi" e "duri"

La distinzione dei diversi tipi di ECOs può essere utile in numerosi contesti, ad esempio, laddove si vogliano svolgere studi più mirati, focalizzati su particolari aspetti di questi corpi. Vogliamo allora proporre un primo criterio di classicazione degli oggetti compatti, basato sullo scalare di Kretschmann già incontrato nel primo capitolo [15].

Consideriamo un buco nero di Schwarzschild: tutte le informazioni che possiamo ottenere riguardo alla curvatura indotta da esso provengono necessariamente dall'esterno dell'orizzonte. Perciò limitiamoci a considerare lo spaziotempo al suo esterno. In tal caso, il valore di K è massimo all'orizzonte e, sostituendo r = RH = 2M nella (1.28), risulta

essere:

K = 3

4M4. (3.1)

In relazione al caso dei buchi neri, possiamo distinguere due classi di oggetti: ECOs mor-bidi e duri. Per i primi, la curvatura massima è comparabile con quella dell'orizzonte di un corrispondente buco nero che abbia la stessa massa. In questo caso, la geometria spaziotemporale vicino alla supercie si avvicina con continuità a quella dell'orizzonte di un buco nero, nel limite in cui il parametro di somiglianza tende a zero. Gli ECOs duri, invece, possono sopportare sulla loro supercie una curvatura massima molto maggiore del caso precedente, senza tuttavia collassare. Questo presuppone un meccanismo na-scosto altamente energetico, che si opponga alla contrazione gravitazionale e modichi in maniera signicativa la geometria della regione vicina alla supercie.

Un altro aspetto interessante, è la dipendenza della curvatura massima (intesa co-me massimo valore di K) da . Un ECO che abbia la supercie molto vicina ad RH

( → 0) potrebbe sempre richiedere un elevato sforzo interno, che si opponga al collasso gravitazionale, cosicché K assume valori molto grandi all'interno, anche se all'esterno la geometria è descritta esattamente dalla metrica di Schwarzschild, anche nei pressi della supercie situata ad r0 = 2M (1 + ). In pratica, si potrebbe dire che un

(36)

ogget-to compatogget-to può essere duro all'interno e morbido all'esterno. Quindi, secondo quesogget-to ragionamento, tutti gli ECOs per i quali  → 0 potrebbero risultare duri.

3.2 Classicazione tramite 

Un secondo criterio di classicazione è fornito dal parametro di somiglianza, in rela-zione al fenomeno della sfera di fotoni (instabile) posta ad r = 3M e discussa nel capitolo 2. Abbiamo già sottolineato quanto sia dicile distinguere, almeno tramite l'osservazio-ne dei moti geodetici della luce, un buco l'osservazio-nero da un ECO molto compatto (per il quale  << 1); vogliamo dunque ssare, tramite dei ragionamenti qualitativi, dei valori di  che permettano di suddividere gli oggetti compatti in categorie più speciche [6].

Facendo riferimento all'equazione (2.18) possiamo dire che, dopo una scala temporale di t ∼ 15M, il numero di fotoni che rimane ad r = 3M è indicativamente il 5% del valore iniziale, per cui è lecito assumere che la sfera di fotoni sia sostanzialmente scomparsa. In altre parole, a causa della sua instabilità, essa si "svuota" e, dopo una certa quantità di tempo coordinato, la sua intensità si riduce drasticamente, no a svanire del tutto. Questo processo potrebbe però dipendere da  per la seguente motivazione: la luce che lascia la sfera di fotoni per raggiungere la supercie dell'ECO potrebbe "rimbalzare" ad r0 e tornare a ripopolare l'anello di luce. Se ciò accadesse in un intervallo

suciente-mente breve di tempo coordinato, allora si avrebbe una quantità di fotoni sensibilsuciente-mente maggiore del 5% che orbita nella sfera. Se invece questo rimbalzo richiedesse un tempo coordinato maggiore (il che accade se l'oggetto è estremamente compatto) la dispersione della sfera di fotoni risulterebbe identica a quella di un buco nero, con conseguente impos-sibilità di distinguere quest'ultimo da un ECO. Questo ragionamento, lungi dall'essere rigoroso, ci porta però a quanticare un valore di , che permette una seconda classi-cazione degli oggetti esotici compatti. Richiedere che un fotone impieghi una quantità di tempo coordinato minore di 15M, per andare da r = 3M alla supercie e poi tornare indietro, è equivalente a imporre la seguente condizione sul parametro di somiglianza:

 & crit ∼ 0.019. (3.2)

Grazie a questo risultato, possiamo identicare tre classi di ECOs, facendo riferimento alle strutture della sfera di fotoni e della ISCO.

 Oggetti con sfera di fotoni vuota (ClePhOs): sono corpi estremamente compatti, per i quali  . 0.019, che corrisponde a r0 . 2.038M . Per essi la sfera di fotoni

instabile, situata ad r = 3M, risulta praticamente vuota. Essi sono dei perfetti "imitatori" di buchi neri, data la dicoltà di distinzione tra le due classi di oggetti.

(37)

 Oggetti ultra-compatti (UCOs16): per questi corpi è ancora presente la sfera di

fotoni (la quale potrebbe essere popolata) quindi r0 < 3M. Ciò signica che 

assume valori nell'intervallo 0.019 .  < 0.5.

 Oggetti compatti: sono troppo estesi per possedere una sfera di fotoni, ma presen-tano comunque una ISCO ad r = 6M, il che si traduce in 0.5 <  < 2.

Questa classicazione può risultare grossolana, tuttavia, oltre ad essere utilizzata in let-teratura, può tornare utile per un primo approccio agli oggetti esotici compatti. Inoltre, accenniamo solamente che nella categoria dei ClePhOs rientrano diversi modelli di ECOs, come i wormholes, le gravastars e stelle anisotrope [5].

Sorge spontaneo domandarsi se la restrizione su  che caratterizza i ClePhOs possa andare in contrasto con la condizione (2.35), ricavata nel paragrafo 2.4. Per risolvere la questione, calcoliamo quale dev'essere il limite superiore di M0 anché la classicazione

sia consistente con quanto detto in precedenza. Dopodiché dovremo vericare se possano esistere o meno corpi che oltrepassano tale limite. Per un ClePhO stabile, il parametro di somiglianza dev'essere compreso nel seguente intervallo:

(10−13− 10−12)M0

M .  . 10 −2

. (3.3)

Da ciò otteniamo la seguente condizione su M0:

M0 . (1010− 1011)M . (3.4)

Fino ad oggi, il corpo celeste più massivo di cui abbiamo notizia sembra essere il già citato M87 (vedi gura 2.5), per il quale è stimata una massa di circa (6 − 7) × 109M

.

Quindi, per quanto i nostri calcoli siano approssimativi, risultano quantomeno coerenti: tutti gli oggetti astrosici nora osservati possono rientrare in una delle categorie di ECOs esposte sopra, senza tuttavia dover fronteggiare instabilità gravitazionali.

(38)

Conclusioni e prospettive future

Abbiamo ripercorso i tratti principali della relatività generale, arontando i problemi legati ai buchi neri e prendendo in considerazione l'ipotesi di modelli alternativi, gli ECOs. Abbiamo anche studiato le principali caratteristiche di quest'ultimi: il grado di somiglianza ad un buco nero; le orbite circolari stabili ed instabili (sia per particelle massive che per segnali elettromagnetici); l'ombra proiettata da questi corpi e la loro stabilità gravitazionale. Inne abbiamo proposto due metodi dierenti di classicazione degli oggetti esotici compatti.

Dagli studi eettuati, possiamo trarre le seguenti conclusioni. Tramite l'analisi dei segnali elettromagnetici, risulta dicile distinguere un ECO da un buco nero, soprattutto se  << 1. Ciò è dovuto alle orbite relative ai due corpi, le quali mostrano proprietà molto simili tra loro. Infatti, sia i buchi neri che gli ECOs presentano una ISCO ad r = 6M ed una sfera di fotoni instabile ad r = 3M. Una seconda sfera di fotoni, questa volta stabile, è propria dei soli ECOs, ma solitamente risulta essere connata al loro interno. Inoltre, un fotone che voglia fuggire dalla supercie di un ECO, deve formare un angolo con la direzione radiale minore di un certo αcrit, il quale cala come αcrit ∼

√  nel limite in cui  → 0. Abbiamo anche mostrato che entrambi i corpi, quando illuminati da dietro rispetto alla posizione dell'osservatore, si presentano come un buco circolare nel cielo, di raggio pari a r = 3√3M, che corrisponde al valore critico del parametro d'impatto. Quantomeno, gli ECOs risultano gravitazionalmente stabili, a patto che la loro supercie si trovi ad una distanza dall'orizzonte molto maggiore della lunghezza di Planck. Ciò si traduce in un limite inferiore per il parametro di somiglianza, espresso in funzione della massa M del corpo:  & (10−13− 10−12)M/M

.

Questo lavoro ha esposto l'analisi di un generico ECO, un punto di partenza da cui poter sviluppare modelli più precisi, con caratteristiche interne ben denite. In questo senso, abbiamo occasionalmente citato alcuni esempi (come le boson stars, i wormholes e le gravastars) che sono attualmente oggetto di ricerca in ambito teorico. La speran-za è che si possano individuare delle loro caratteristiche, la cui avvenuta o mancata osservazione ci guidi nel confermare o scartare il modello considerato.

Gli oggetti compatti potrebbero essere la chiave per comprendere alcuni dei grandi misteri della sica moderna. Tra questi rientrano la composizione della materia oscura, l'esistenza di singolarità spaziotemporali e la conservazione dell'informazione sica. La

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