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Edilizia residenziale pubblica e morosità. L’espansione della vulnerabilità tra gli inquiline di alloggi sociali in Lombardia

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POLISπóλις, XXXII, 1, aprile 2018, pp. 77-104

EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA E MOROSITÀ. L’ESPANSIONE DELLA VULNERABILITÀ TRA

GLI INQUILINI DI ALLOGGI SOCIALI IN LOMBARDIA

Social Housing and Rent Arrears. The Expansion of Vulnerability among Social Dwellers in Lombardy

A serious increase in rent arrears among social dwellers has been registered in Lombardy since the beginning of 2000, further worsened by the 2008 financial crisis. The public social housing provider is coping with the difficulty of con-taining and recovering the debt, which results in a considerable lack of financial resources. Through quantitative data and interviews, this contribution analyzes the characteristics of the rent arrears phenomenon, using it as a proxy for hous-ing hardship and focushous-ing its attention on the public houshous-ing provider. What emerges is a very complex picture in which households in social housing seem to become progressively more vulnerable while the public housing providers appears stuck in a management structure unsuitable to face these issues. The article finally supports the need for a change of perspective, able to address the affordability issue in the social housing sector, within a framework of coordina-tion and cooperacoordina-tion between diverse policy sectors.

Keywords: Social Housing; Affordability; Rent Arrears; Housing Hardship; Social Dwellers.

1. Introduzione

Il presente contributo affronta il tema della sostenibilità economi-ca degli alloggi di edilizia residenziale pubblieconomi-ca (Erp) con particola-re riferimento alla Lombardia. Per sostenibilità si intende la capacità economica delle famiglie di far fronte ai costi per l’abitazione, dati i vincoli imposti dal reddito e dalle altre spese ritenute indispensabili per il nucleo (Stone 2006). Si tratta di un tema che, negli ultimi anni, è diventato di centrale importanza per le policy regionali. Ciò è avvenuto in seguito al diffondersi, tra gli assegnatari di alloggi sociali pubblici, del fenomeno della morosità. Se si escludono alcuni casi – pur presenti – nei quali gli assegnatari scelgono di non pagare il dovuto pur potendo, la morosità è indice di disagio abitativo: segnala che la spesa per l’abi-tazione non è sostenibile per il nucleo assegnatario. Registrare problemi di sostenibilità delle spese per la casa all’interno di questo settore può

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apparire una contraddizione se si pensa che l’obiettivo dell’edilizia so-ciale è proprio quello di garantire alle fasce deboli della popolazione l’accesso ad un’abitazione idonea, con un affitto sostenibile.

Nel contesto lombardo, il problema si è manifestato inizialmente in termini gestionali, come mancati introiti che portavano a uno squilibrio di bilancio per gli enti proprietari o gestori. Progressivamente l’atten-zione si è spostata sulle cause generatrici e il fenomeno della morosità ha iniziato a essere trattato anche come un problema sociale. A questo proposito gli studi realizzati in collaborazione con gli enti proprietari e gestori (Éupolis Lombardia 2014, 2016a; Osservatorio regionale sulla condizione abitativa 2015), hanno rilevato la presenza di cause endoge-ne al sistema, legate a una gestioendoge-ne di tipo prettamente immobiliare e poco sociale, che si ripercuote sui costi complessivamente sostenuti per l’abitazione. Questi ultimi includono, oltre al canone di affitto, anche le spese condominiali che – a differenza del canone – rispecchiano i costi oggettivi e non tengono conto delle condizioni economiche degli assegnatari. Altre cause sono attribuibili a fattori esogeni e macroeco-nomici, quali la crisi che negli ultimi dieci anni ha ulteriormente colpito le fasce già deboli della popolazione e una mancanza strutturale di po-litiche abitative a livello nazionale (Minelli 2004).

Nel prossimo paragrafo si propone un inquadramento del tema della sostenibilità economica dell’abitazione. Nel terzo paragrafo si presenta in modo più articolato il problema di ricerca. Il quarto paragrafo descri-ve sinteticamente il contesto europeo, italiano e regionale dell’abitare sociale. Nel quinto e nel sesto paragrafo si riportano le modalità di fun-zionamento del sistema abitativo regionale e il modello gestionale. Dal settimo al nono paragrafo sono presentati e discussi i dati raccolti, e infine si formulano alcune osservazioni conclusive.

2. La sostenibilità economica della casa

Come anticipato nell’introduzione, la sostenibilità dell’abitazione (affordability nella letteratura internazionale) indica la capacità del nucleo familiare di far fronte alle spese abitative e allo stesso tempo di poter provvedere agli altri bisogni (Beer, Kearins e Pieters 2007; Hulchanski 2007; Kutty 2005; Stone 2006). La letteratura sembra di-vidersi in due filoni nel trattare il tema. Un cospicuo numero di stu-di si è destu-dicato alla definizione stu-di criteri per misurare la sostenibilità, dando adito a una serie di approcci diversi per tentare di

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operativiz-zare il concetto mettendo in relazione le spese per l’abitazione con il reddito (Ben-Shahar e Warszawski 2016; Fahey, Maître e Nolan 2004; Schwartz e Wilson 2007; Stone 2006). Un’attività, quella della misu-razione dell’affordability, che risulta utile a diversi fini: per valutare l’efficacia e l’impatto dei programmi abitativi pubblici (Kroll e Wyant 2009); per analizzare le condizioni abitative nei diversi contesti territo-riali (rilevazione Eu-Silc sul reddito e le condizioni di vita); per definire amministrativamente le soglie di sopportabilità dei canoni di locazione nell’edilizia sociale; infine, per valutare il rischio di insolvenza da parte di chi chiede un mutuo o un prestito per comprare casa (Schwartz e Wilson 2007). Tali tentativi di misurazione, pur soffrendo di limitazioni a livello metodologico, hanno il merito di aver messo in luce come la sostenibilità (o sopportabilità) non sia semplicemente una caratteristica dell’abitazione, ma piuttosto una relazione tra la casa e il nucleo fami-liare, con tutte le sue caratteristiche. Da questa complessità deriva la difficoltà nell’individuare indicatori standardizzabili.

Un altro filone di studi si è concentrato maggiormente sul nesso tra condizioni abitative e inclusione sociale, considerando la mancata sostenibilità delle spese per l’abitazione un fattore di rischio. Tali con-tributi hanno evidenziato come la precarietà abitativa, definita sovente come il mancato o ridotto controllo sulle proprie condizioni e percorsi abitativi, abbia una forte influenza sulle condizioni economiche, la par-tecipazione alla vita sociale (Hulse 2006, Hulse et al. 2011), la salute (Kirkpatrick e Tarasuk 2011). In particolare, tale letteratura identifica due modi in cui abitazione e inclusione sociale sono interconnessi: l’e-sclusione dall’abitazione (from housing) e l’el’e-sclusione attraverso l’a-bitazione (through housing). La prima modalità si riferisce soprattutto al fenomeno dei senza dimora, ma anche a coloro che sono a rischio di perdere o di non trovare un’abitazione, di conseguenza include le pratiche discriminatorie verso certi gruppi di popolazione oppure al-cuni processi del mercato privato che ne escludono altri o li espongo-no a un rischio elevato di perdita dell’abitazione (Short et al. 2008). L’inclusione sociale è invece ostacolata attraverso percorsi abitativi (through housing) quando un nucleo vive in condizioni abitative non adeguate, in quartieri considerati poco sicuri, privi di servizi e di op-portunità lavorative.

L’ingresso e la permanenza nell’edilizia sociale, per esempio, sem-brano avere un effetto negativo sulle condizioni occupazionali a causa di effetti comportamentali derivati da network sociali e occupazionali limitati, bassi livelli di capitale sociale e di coesione. A ciò si

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aggiun-gono, spesso a causa delle aree nelle quali gli alloggi sociali sono loca-lizzati, scarso accesso ai servizi di trasporto o di cura, che rendono ul-teriormente difficile l’inserimento nel mercato del lavoro (Hulse 2006). L’insicurezza abitativa, in questo caso, deriva soprattutto dall’incapaci-tà di avere il controllo sulle proprie condizioni abitative e contribuisce alla precarietà di tali condizioni. È fuorviante pensare quindi di clas-sificare l’inclusione abitativa, e di conseguenza sociale, in base a una distinzione dicotomica tra chi ha una casa e chi non ce l’ha. Piuttosto i processi abitativi risultano da un continuum di esperienze che contribu-iscono all’inclusione o all’esclusione sociale (Hulse et al. 2011).

La letteratura indica, quindi, forti legami tra i processi abitativi e le disuguaglianze economiche, la partecipazione alla vita sociale e l’appartenenza a una comunità (Hulse et al. 2011, Yates et al. 2008, Mallette 2004). Le evidenze emerse da questo filone di studi risulta-no particolarmente utili per inquadrare il problema della sostenibilità nell’housing sociale. Sebbene il rischio di perdere la casa, una volta ottenuto l’accesso, sia ridotto rispetto al mercato privato, la semplice assegnazione di una casa non risolve tutte le dimensioni problemati-che del nucleo familiare e, spesso, come argomenteremo nei paragrafi a seguire, le porta a cronicizzarsi attraverso appunto un processo di esclusione sociale, che avviene through housing.

Come evidenziano alcuni studiosi (Poggio e Boreiko 2017) e come emerge anche dalla ricerca condotta, parte del problema dell’insoste-nibilità dei costi dell’abitazione deriva dalla crisi economica che negli ultimi dieci anni ha avuto un forte impatto sulle famiglie, a causa del-le continue contrazioni e della precarietà del mercato del lavoro, che hanno portato a un aumento della disoccupazione, soprattutto nei paesi della fascia mediterranea, e a una consistente diminuzione nei salari. Il problema della sostenibilità economica dell’abitazione è quindi di-ventato sempre più pressante non solo per i gruppi di popolazione che tradizionalmente percepiscono redditi molto bassi, ma anche per coloro che sono caduti nella disoccupazione o hanno visto il loro reddito con-trarsi o hanno subito cambiamenti peggiorativi a livello contrattuale a causa della crisi, in parallelo a una diminuzione delle misure di welfare. Questo tipo di impoverimento e di vulnerabilità – in realtà diffusi an-che prima della crisi – ha colpito soprattutto giovani adulti, famiglie mono-parentali e anziani (ibidem). Poiché, nel caso delle famiglie a basso reddito, la casa assorbe una considerevole fetta delle spese della famiglia, questi nuclei sono costretti a dei compromessi per soddisfare i propri bisogni abitativi, sacrificando altri tipi di necessità (Sliogeris et

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al. 2008), per esempio rispetto alla salute, all’alimentazione o

all’edu-cazione dei figli (Burke et al. 2007).

La crisi non ha colpito solo le famiglie, ma ha anche comportato una contrazione della spesa pubblica per le politiche sociali, riducen-do fortemente gli ammortizzatori sociali e le misure di sostegno alle famiglie più svantaggiate. Inoltre, i cambiamenti demografici che han-no investito le strutture familiari, indebolendole, hanhan-no aumentato la vulnerabilità di nuclei già in difficoltà o l’hanno estesa ad altre fasce di popolazione. I cambiamenti nel mercato del lavoro e nei redditi sono andati ad aggiungersi in Italia, come in molti paesi dell’area mediter-ranea, all’indebolimento delle strutture familiari, che ha segnato una vera e propria crisi in un sistema di welfare in cui anche le emergenze abitative sono state spesso tamponate da reti informali (Minelli 2004; Tosi 1987, 1994).

La letteratura in questo campo sembra quindi suggerire la neces-sità sia di adottare uno sguardo sulla sostenibilità economica dell’abi-tazione, sulle sue cause e sulle sue conseguenze che va oltre la casa, includendo le molteplici dimensioni sociali e ambientali a cui è legata l’esperienza abitativa, sia di ripensare l’attuale sistema di risposta alle nuove e vecchie domande sociali.

3. L’insostenibilità economica nell’Erp

Il presente contributo si concentra sui problemi di sostenibilità all’interno dell’edilizia residenziale pubblica. L’unità di analisi utiliz-zata è rappresentata dalle aziende territoriali lombarde (Aler)1 che ge-stiscono questa offerta abitativa e che soffrono ormai dai primi anni duemila di un serio problema di morosità che ha assunto un carattere di tipo strutturale e si è diffuso tra l’inquilinato, registrando un par-ticolare inasprimento con l’avvento della crisi economica globale del 2008. Le analisi presentate traggono spunto da una ricerca svolta per l’Osservatorio regionale sulla condizione abitativa volta ad analizzare il fenomeno della morosità tra gli inquilini di alloggi Erp, studiare le mo-dalità di gestione del fenomeno e individuare le soluzioni per gestirlo e

1 Le aziende territoriali per l’edilizia residenziale pubblica nascono in

Ita-lia a seguito della chiusura degli Istituti autonomi case popolari nella seconda metà degli anni novanta. In Lombardia hanno assunto la denominazione di Aler (Aziende lombarde per l’edilizia residenziale).

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contenerlo2. La morosità è stata qui assunta come indicatore proxy per problemi di insostenibilità economica delle spese per la casa. Lo studio è stato realizzato analizzando i dati forniti da tutte le cinque aziende territoriali sulla morosità registrata nei bilanci consuntivi al 2015 e at-traverso tredici interviste in profondità ai responsabili di tutte le tredici unità organizzative gestionali (Uog) distribuite sul territorio lombardo e che si occupano di morosità.

L’articolo nasce dall’ipotesi che il crescente indebitamento degli in-quilini Aler, ovvero la loro incapacità di far fronte al pagamento delle spese per la casa, oltre a essere conseguenza di dinamiche demografi-che, sociali ed economiche più ampie, sia anche effetto di un modello sviluppato nel corso degli anni duemila con l’istituzione delle Aler. Un modello basato su un sistema di finanziamento che vorrebbe gli enti gestori in grado di autosostenersi con risorse proprie (per esempio pro-venienti da canoni sociali e di mercato, piani di vendita del patrimonio, nuovi progetti immobiliari non solo sociali) e ispirato a una gestione del patrimonio di tipo immobiliare. Tale modello, come illustrato nel para-grafo 9, ha mostrato alcune criticità rispetto alla sua sostenibilità eco-nomica, alle attività di prevenzione e monitoraggio ma, in particolare, all’accompagnamento dei nuclei famigliari multiproblematici, in modo da rimetterli in condizioni di solvibilità e permettere alle aziende di re-cuperare il credito. Criticità che sono state oggetto di attenzione anche della recente normativa regionale sui sistemi abitativi pubblici e sociali, che ha tentato di apportare dei correttivi importanti di cui si accennerà nel testo. Le riflessioni proposte all’interno del contributo, vista la fase di transizione normativa che vedrà nei prossimi mesi la definizione dei regolamenti attuativi, si baserà soprattutto sulla normativa previgente che è quella sulla quale si è formato il modello gestionale e il sistema che ha prodotto gli effetti esaminati.

Il presente studio di caso si propone di contribuire al dibattito sul di-sagio abitativo in Italia. In particolare vuole sottolineare la necessità di un cambio di paradigma a livello di politiche rivolte all’edilizia sociale sottolineando l’importanza di un approccio sociale, e non meramente gestionale, in questo settore.

2 La ricerca è stata commissionata dalla Direzione generale casa della

regio-ne Lombardia a Éupolis Lombardia ed è stata realizzata in collaborazioregio-ne con il Laboratorio di politiche sociali del Politecnico di Milano. Parte dei risultati sono stati pubblicati nel rapporto annuale dell’Osservatorio regionale sulla con-dizione abitativa (2017).

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4. Uno sguardo sull’Erp e sulla sostenibilità economica dell’abitazione

in Europa, in Italia e in Lombardia

In relazione agli altri paesi europei, l’Italia, insieme al Portogallo e alla Spagna, ha una delle offerte più basse di edilizia sociale, circa il 5,5% (Pittini 2012). Nei Paesi Bassi questo settore rappresenta il 33% dello stock di abitazioni, in Austria il 20%, in Gran Bretagna il 18% e in Francia il 17%. L’abitazione è comunemente la voce di spesa più con-sistente per la maggior parte delle famiglie e spesso rappresenta metà delle uscite per le famiglie a basso reddito (Ben-Shahar e Warszawski 2016; Quigley e Raphael 2004). Secondo stime dalla rilevazione Eu-Silc su reddito e condizioni di vita (Eurostat, Housing statistics 2018), nel 2015, l’11,3% della popolazione (UE-28) ha speso il 40% o più del reddito disponibile per l’abitazione (al netto di eventuali sussidi per la casa). Quella del 40% è indicata da Eurostat come una soglia critica il cui raggiungimento e superamento segnala problemi di non sostenibili-tà economica. Le spese per l’abitazione includono manutenzioni e ripa-razioni e il costo delle utenze (acqua, elettricità, gas e riscaldamento). Con riferimento ai titoli di godimento dell’alloggio, la popolazione in affitto risulta essere quella maggiormente in difficoltà nel sostenere i costi per l’abitazione: presentava problemi di affordability – secondo il criterio sopra considerato – il 27% della popolazione in affitto sul libero mercato e il 12,4% di quella in affitto in alloggi con canone ridotto.

Focalizzando l’attenzione sul contesto italiano, il 5,5% di abitazioni Erp in Italia è composto da alloggi costruiti con fondi pubblici e di proprietà di diversi enti (in particolare aziende territoriali pubbliche, comuni, regioni, province e Stato). I principali proprietari di questo pa-trimonio sono le aziende territoriali che gestiscono quasi il totale degli alloggi sociali presenti sul territorio nazionale, circa 770.000 (Federcasa 2016). L’offerta abitativa sociale, oltre a essere molto contenuta rispet-to agli altri paesi, risulta insufficiente nel rispondere alla domanda di alloggi sociali. Nel 2015, 650.000 famiglie erano in lista di attesa per un alloggio popolare (ibidem). La carenza di edilizia pubblica e sociale risulta ancora più evidente, poiché la domanda, a causa delle dinamiche già accennate nei paragrafi precedenti, si è significativamente ampliata. Secondo vari rapporti, in Italia si può oggi parlare di emergenza abita-tiva (Ostanel e Cancellieri 2015). L’impatto della crisi è stato partico-larmente forte sulle famiglie a basso reddito, nel cronicizzare situazioni già di forte disagio. Poggio e Boreiko (2017) sottolineano come, tra le famiglie a basso reddito – ultimo quintile di reddito individuale

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equi-valente – in affitto nel settore privato, la quota di quelle che pagano un affitto considerato non sostenibile (vale a dire, secondo gli autori, che pesa oltre il 20% sul reddito familiare) dall’inizio del millennio è passata dal 49% al 74%, coinvolgendo quindi tre quarti dei nuclei in questa fascia di reddito e di mercato. Tra le famiglie di questa fascia di reddito in affitto nel settore sociale tale quota, seppure sia più contenu-ta, è passata dal 13,6% del 2000 al 20% del 2014 (ibidem).

Oltre quindi a soddisfare in maniera estremamente marginale la do-manda di affitti sociale, l’edilizia pubblica vede allargarsi la platea di coloro, che, all’interno dell’inquilinato Erp, fa fatica a sostenere le spe-se per l’abitazione. Un altro indicatore dell’accresciuta insostenibilità degli affitti è rappresentato dall’incremento delle richieste di rilascio alloggio (richieste di sfratto) registratosi in particolare negli anni della crisi. Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno (2017) tra il 2008 e il 2014 la crescita è stata abbastanza costante passando da 52.291 ri-chieste a 77.526. Solo a partire dal 2015 il numero è iniziato a scendere passando a 65.344 richieste. Si tratta in ogni caso di un dato importante che riguarda uno sfratto ogni 399 famiglie. La principale causa per cui viene disposto il rilascio è la presenza di una condizione di morosità. Rispetto all’Erp, a livello nazionale, non si hanno dati relativi agli sfrat-ti tra gli inquilini di alloggi sociali, ma solo sulla morosità. In questo caso, i dati di Federcasa pubblicati da Frontera (2013) mostrano come la morosità – a partire dal duemila – abbia iniziato a crescere, passando dal 12,4% degli inquilini al 20,6% nel 2012. Tale dato si differenzia a livello territoriale: nelle regioni del sud i morosi nell’Erp rappresentano circa il 40% degli inquilini, nel centro il 15,6% e nel nord il 13,8% (ibidem).

Con riferimento al territorio lombardo, secondo i dati dell’ultimo censimento (Istat 2011), il settore dell’affitto sociale rappresenta il 4% del patrimonio abitativo residenziale. Più precisamente, il 2,3% è di proprietà delle Aler e il resto è diviso tra differenti enti pubblici (co-muni, province, Stato per un totale pari al 1,1%) e cooperative abita-tive (0,6 %). In valori assoluti, prendendo in esame uno degli ultimi censimenti realizzati dall’Osservatorio regionale sulla condizione abi-tativa (2017), il numero di alloggi Erp è pari a 164.458, di cui il 60% è di proprietà delle Aler e il restante 40% dei comuni lombardi. Per quanto riguarda la distribuzione degli alloggi pubblici a livello territo-riale, nella città di Milano è concentrato il 39% dell’intero patrimonio abitativo pubblico lombardo, considerando anche i comuni che appar-tengono alla città metropolitana di Milano, la percentuale sale al 56%

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degli alloggi Erp (ibidem). Le domande in attesa di assegnazione di un alloggio Erp a livello regionale sono pari a 63.387 (ibidem). Dal punto di vista dell’articolazione territoriale, nei ventitré comuni considerati a più alto fabbisogno abitativo3, si concentra il 60% delle domande e il comune di Milano, da solo, ne raccoglie il 40% del totale regionale (ibidem). Come nel resto di Italia, anche in Lombardia buona parte del-le domande rimane inevasa. Le assegnazioni effettuate nell’anno 2016 risultano infatti pari a 3.329. Di queste è interessante osservare come il 15% abbiano riguardato nuclei sfrattati (ibidem). Con riferimento alle richieste di rilascio alloggio, anche in Lombardia si è registrato un forte incremento tra il 2008 (7.063) e il 2015 (12.308), mentre l’inversione di tendenza precedentemente discussa per il dato nazionale, inizia qui a partire dal 2012 (invece che nel 2014), anno nel quale si registra il più alto numero di richieste di sfratto, 15.387 (Ministero dell’Interno 2017).

5. Il funzionamento dell’Erp in Lombardia e il ruolo delle Aler

Le regioni sono responsabili della definizione dei requisiti per l’accesso agli alloggi Erp e dei canoni da applicarsi, mentre le asse-gnazioni vengono disposte dai comuni. Per poter essere considerati ai fini dell’assegnazione di un alloggio a canone sociale, in Lombardia i richiedenti devono soddisfare alcuni requisiti di eleggibilità, che si riferiscono a reddito, residenza e cittadinanza del nucleo familiare. Le regole per l’allocazione degli alloggi prevedono poi il ricorso a una graduatoria stilata sulla base di criteri di priorità che considerano, oltre all’anzianità di residenza e alle condizioni economiche, la presenza di vari tipi di problematicità. Questi possono riferirsi a condizioni abita-tive: ad esempio, se il richiedente è sottoposto a sfratto; o vive in abi-tazione impropria, o sovraffollata, o in coabiabi-tazione; o se sono presenti barriere architettoniche in relazione a caratteristiche dei componenti il nucleo familiare; oppure se le condizioni dell’alloggio occupato sono scadenti, o se l’affitto è particolarmente oneroso.

3 L’elenco dei comuni a più alto fabbisogno abitativo secondo la

classifica-zione individuata nel Programma regionale per l’edilizia residenziale pubblica (Prerp 2014-2016) è composto dai dodici comuni capoluogo di provincia e dai comuni della prima cintura di Milano, ossia da: Milano, Brescia, Como, Man-tova, Bergamo, Pavia, Monza, Cremona, Lodi, Lecco, Sondrio, Varese, Bresso, Sesto San Giovanni, Cesano Boscone, Corsico, Cinisello Balsamo, Rozzano, Cologno Monzese, Nova Milanese, Baranzate, Cusano Milanino, Assago.

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Altri criteri si riferiscono a caratteristiche dei componenti del nu-cleo familiare: si considera, ad esempio, se sono presenti anziani, di-soccupati, disabili; se si tratta di famiglie di nuova formazione, o di famiglie monoparentali. A eccezione delle assegnazioni non ordinarie – che riguardano sostanzialmente i nuclei sfrattati sul mercato abitati-vo privato – nelle assegnazioni viene data priorità ai nuclei più fragili e vulnerabili, spesso portatori di vari tipi di svantaggio e che hanno, come emerge dalle interviste, più necessità di essere seguite e accom-pagnate nella gestione e nel mantenimento dell’alloggio. Soprattutto a partire dalla crisi, il settore ha sperimentato un generale fenomeno di accresciuta residualità (Caruso 2017), vale a dire un intervento delle politiche limitato ad alcune misure di supporto per il libero funziona-mento del mercato e a un’azione diretta di sostegno solo per quelle parti di popolazione ai cui bisogni il mercato non può provvedere (Hoekstra 2017; Poggio 2005).

Secondo la legge regionale (L.R. 27/2009), il cosiddetto canone so-ciale (o canone sopportabile) che si applica agli assegnatari viene defi-nito sia sulla base delle caratteristiche dell’unità abitativa (percentuale sul valore locativo) sia facendo riferimento alla condizione economica del nucleo familiare (incidenza sul reddito). Tale canone concorre alla copertura degli oneri di realizzazione, recupero o acquisizione e dei costi di gestione. Esso si distingue dal cosiddetto canone di base che, invece, copre interamente i vari oneri e costi di gestione e considera

in toto il valore locativo dell’immobile, escludendo eventuali riduzioni

in relazione a bassi redditi degli assegnatari. La gestione e lo sviluppo del parco alloggi in questo settore compete alle aziende territoriali o ai comuni, che svolgono queste funzioni sotto la direzione del governo regionale e in accordo con i comuni.

In Lombardia le Aler sono cinque e coprono tutto il territorio re-gionale grazie a una articolazione in tredici Unità organizzative gestio-nali (Uog). Fino al 2014 le Uog hanno lavorato come aziende sepa-rate. Esse avevano ereditato l’articolazione provinciale degli Iacp, ad eccezione del comune di Busto Arsizio. Dal 2014 le aziende sono state poi raggruppate in Aler che operano su più province, a esclusione di quella relativa alla città metropolitana di Milano che corrisponde alla preesistente provincia. Le aziende differiscono per numero di inquilini, distribuzione e caratteristiche degli stessi ma anche rispetto alle tradi-zioni gestionali che si sono consolidate nel corso del tempo. Questa è la ragione per cui il processo di fusione non si è ancora pienamente compiuto (Éupolis Lombardia 2016a). Gli inquilini con canone sociale

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sono divisi in quattro aree, definite in base alla capacità economica, uti-lizzando l’indicatore Isee-Erp (Indicatore della situazione economica equivalente per l’Erp). Quest’ultimo è un Isee nazionale a cui sono state apportate modifiche volte al miglioramento della capacità di descrizio-ne delle condizioni socioeconomiche dei nuclei familiari interessati ad accedere ad un alloggio pubblico (regolamento regionale n. 1, 2004). L’Isee-Erp varia in funzione della numerosità del nucleo familiare, del-la presenza nello stesso di minori o disabili, del reddito – al netto delle tasse e delle spese sanitarie – e del patrimonio mobiliare e immobiliare posseduto. Alle quattro aree corrisponde uno specifico canone di affitto: l’area alla quale appartengono gli inquilini con l’Isee-Erp più basso è quella della protezione, seguita – in ordine di capacità economica cre-scente – dall’area dell’accesso e da quella della permanenza. L’ultima area, quella della decadenza, identifica gli inquilini che hanno perso i requisiti per rimanere nell’Erp e che dovrebbero essere accompagnati in un alloggio sul mercato privato.

A ogni area corrisponde un canone sociale definito sopportabile sul-la base di livelli di incidenza massima sul reddito. Per il calcolo delsul-la sopportabilità, il valore di riferimento è dato dall’Isee-Erp composto solo dalla situazione reddituale e patrimoniale. Nell’area della protezio-ne la sua incidenza sull’Isee-Erp è inferiore al 16% e il canoprotezio-ne minimo da corrispondere è di 20 euro, in quella dell’accesso è del 20% e il canone minimo è di 70 euro e, infine, in quella della permanenza l’in-cidenza è compresa tra il 22 e il 24% e il canone minimo è di 120 euro. Per i nuclei familiari composti da un solo componente l’ammontare del canone sociale viene ridotto per la parte che riguarda la percentuale sul valore locativo. L’area della decadenza non tiene conto del principio della sopportabilità, di conseguenza il canone viene fissato partendo da quello dell’area della permanenza e maggiorato di una percentuale fissata dall’ente proprietario in relazione ai valori di mercato. Le spese condominiali medie nelle Aler, che si possono stimare in circa 160 euro al mese (Éupolis Lombardia 2016b), possono cambiare in base ai servi-zi offerti, ai prezservi-zi di mercato applicati nei singoli territori, alle condi-zioni climatiche, alla tipologia e alle caratteristiche dell’alloggio (vetu-stà, efficienza energetica, manutenzione, dimensioni…). Esse sono un elemento importante, come si vedrà, nel determinare l’insostenibilità dei costi dell’abitazione e nella genesi della morosità. Infatti, mentre il canone è calcolato seguendo un principio di sopportabilità, le spese condominiali sono semplicemente ripartite tra gli assegnatari, come av-viene nel settore privato.

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6. La morosità nel sistema Erp e nelle Aler. Crisi di un modello? La presenza del fenomeno della morosità nell’Erp è stata rilevata all’interno delle Aler fin dalla loro nascita (Éupolis Lombardia 2016a). In parte si tratta di un debito ereditato dagli Iacp, ma negli anni del-la crisi e a seguito di essa, i nuclei familiari in sofferenza rispetto al pagamento delle spese per l’abitazione sociale, se inizialmente era-no presenti in quote cosiddette fisiologiche (vale a dire tollerabili dal punto di vista gestionale per le aziende), sono cresciuti, come rilevato dai dati (vedi paragrafo 8) e dai testimoni privilegiati intervistati (vedi paragrafo 9). Nel contesto lombardo, esistevano due strumenti definiti all’interno della legge regionale in vigore fino al 2016, finalizzati alla gestione della morosità: il contributo di solidarietà (L.R. 27/2009), vale a dire un fondo composto da risorse delle Aler e del comune a copertura totale o parziale del debito maturato in base alla gravità dei casi, e la ri-definizione del canone. Entrambi gli strumenti potevano essere attivati (tramite una richiesta da parte dell’assegnatario o su proposta dell’en-te gestore che indell’en-tercettava l’inquilino in difficoltà) in tutti quei casi in cui si presentavano cambiamenti nelle condizioni del nucleo famigliare che potevano compromettere la possibilità di far fronte alle spese per l’abitazione. Questo modello nel corso degli anni e, in particolare, du-rante la crisi ha mostrato importanti problemi di funzionamento legati a scelte di carattere strutturale che hanno investito le politiche abitative in Italia, soprattutto a partire dagli anni ottanta e a eventi di carattere contingente.

Un primo aspetto è il processo di aziendalizzazione che ha coin-volto diverse strutture pubbliche e che, nel caso del sistema abitativo regionale, ha portato alla trasformazione degli Iacp nelle attuali aziende territoriali. Tale trasformazione è corrisposta alla definizione di nuo-vi obiettinuo-vi e nuove finalità, non solo di natura sociale (che sono state mantenute) ma anche di natura economica. I nuovi obiettivi di efficacia ed efficienza gestionale, sono stati accompagnati da un’ulteriore ridu-zione dei trasferimenti economici da parte delle regioni (oltre che dallo Stato). Per compensare i tagli è stato chiesto alle aziende di diventare promotori e costruttori immobiliari ed è stata concessa la possibilità di alienare il patrimonio residenziale pubblico (Boreiko e Poggio 2017; Federcasa 2016), come già avvenuto in passato. Gli interventi sul mer-cato immobiliare e le vendite tuttavia non sono stati sufficienti per com-pensare i mancati introiti legati all’applicazione di canoni sociali, in un contesto di aumento degli assegnatari con redditi sempre più bassi e

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quindi a maggior rischio di morosità. Per le aziende e i loro obiettivi di pareggio di bilancio è pesato dunque, tra le altre spese, anche il soste-nimento della quota rappresentata dalla differenza tra il canone sociale e il canone di base. A livello normativo non è definito chiaramente chi deve sostenere tale quota: se è in carico all’azienda che deve ricavare risorse da un’attività economica immobiliare, oppure se deve farsene carico l’istituzione pubblica (la regione) con risorse provenienti dal bi-lancio regionale.

I canoni rimangono la principale fonte di sostentamento delle azien-de, mentre le vendite sono una voce marginale. Inoltre il parco alloggi Erp soffre di gravi carenze, data la vetustà degli immobili, che com-portano ingenti costi di manutenzione, per i quali non sono predispo-sti fondi adeguati. Come sottolineano Poggio e Boreiko (2017, 116) il modello così come è stato pensato non è sostenibile senza un costante flusso di risorse in grado di coprire sia gli investimenti sia i sussidi in-diretti forniti agli inquilini assegnatari applicando loro un canone al di sotto di quello che coprirebbe i costi. Tale flusso di risorse può essere inteso sia come sussidio agli enti proprietari sia come un mix tra un tale sussidio e un contributo per l’affitto elargito all’inquilino. Nella prima ipotesi, il decreto ministeriale del 2008, in attuazione di una direttiva della Commissione europea4, con la definizione di alloggio sociale ha teoricamente stabilito che i soggetti che gestiscono servizi d’interesse economico generale (quali gli enti di edilizia popolare) possono essere destinatari, da parte dello Stato, di sostegni finanziari destinati a coprire interamente o in parte i costi specifici relativi agli obblighi di servizio pubblico (Federcasa 2016).

Un secondo aspetto riguarda la sostenibilità delle spese per l’abita-zione, nel loro complesso, comprendendo anche le spese condominiali. Il fatto che le spese condominiali, a differenza del canone, non siano rapportate al reddito, come si vedrà, è alla base dell’insostenibilità e dell’insorgere della morosità5. Il miglioramento dell’efficienza energe-tica degli immobili e degli alloggi potrebbe essere una strada per abbas-sare parte di tali spese. Un tale obiettivo risulta ovviamente persegui-bile solo a fronte di ingenti finanziamenti, considerata l’ampiezza e la vetustà del patrimonio abitativo in questione.

4 Decisione 2005/842/Ce relativo all’applicazione dell’art. 86, paragrafo 2,

del Trattato Ce agli aiuti di stato.

5 Non a caso, un’importante novità introdotta dalla L.R. 16/2016 della

Lom-bardia, è la volontà di estendere il principio di sopportabilità dal canone alle spese condominiali.

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In terzo luogo, l’accresciuta insostenibilità delle spese per la casa nel settore Erp è paradossalmente il risultato del miglior targeting e dell’accresciuta residualizzazione del settore: la crisi – e la limitata of-ferta di alloggi sociali rispetto alla domanda – ha aumentato la quota di famiglie a basso reddito, e generalmente con altri tratti di vulnerabilità, nel settore Erp. Ma quanto più l’inquilinato di questo settore sarà com-posto da famiglie a basso reddito – e, in questo, quanto più aderirà alla sua missione istituzionale, in senso stretto – tanto maggiori saranno le difficoltà sopra evidenziate: le difficoltà degli assegnatari a pagare i pur modesti affitti, e soprattutto le spese condominiali. Questo con il risul-tato di generare morosità e mettere a rischio la sostenibilità economica dell’intera gestione Erp.

Infine, una parte di responsabilità è attribuibile ad alcune leggi re-gionali che hanno introdotto nello scorso decennio sia correttivi al rial-zo degli affitti proprio durante il manifestarsi della crisi, sia regole che miravano a penalizzare coloro che non adempivano ad alcuni obblighi regolamentari (Éupolis Lombardia 2014). Il riferimento è ad esempio al censimento degli inquilini e del patrimonio, che era stato introdotto con cadenza biennale, anche al fine di rimodulare (in eccesso o in difetto) il canone in funzione delle nuove esigenze del nucleo familiare. A coloro che non rispondevano al censimento veniva applicato come sanzione il canone più elevato, vicino ai prezzi di mercato (ibidem).

Gli elementi messi sotto osservazione in questo capitolo mostrano come la lettura del fenomeno della morosità, per le complesse implica-zioni che ha sia sul fronte della sostenibilità finanziaria del sistema Erp sia sul fronte della protezione sociale degli assegnatari, non possa pre-scindere dall’adozione di una prospettiva che consideri simultaneamen-te e in modo insimultaneamen-tegrato questa complessità. Su questo punto torneremo nel capitolo conclusivo.

7. La ricerca: dati e metodologia

La ricerca si basa su una metodologia mista che include una par-te quantitativa e una qualitativa. Le Aler hanno messo a diposizione, tramite la regione, parte dei loro dati contabili che dal 2015, a seguito della fusione, sono stati organizzati in un unico database. I dati presi in considerazione si riferiscono ai bilanci contabili aggiornati al marzo 2016 e quindi riferiti all’anno 2015. Il database reso disponibile dalle Aler comprendeva, oltre all’ammontare del debito, l’area di

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apparte-nenza degli inquilini. L’unità di analisi considerata sono i contratti, che, a parte rare eccezioni, corrispondono a un nucleo abitativo. Il numero di casi analizzati complessivamente corrisponde al totale dei contratti intestati a inquilini morosi nella regione Lombardia, circa 13.000 per la morosità consolidata e 15.000 per quella corrente, escludendo il capo-luogo. Per Milano i dati disponibili sono relativi unicamente alla moro-sità corrente (21.000 casi). L’analisi quantitativa presentata di seguito serve a dare un’immagine della dimensione e della diffusione a livello macro del fenomeno morosità – assunta come indicatore proxy per l’in-sostenibilità delle spese per la casa – nell’Erp in Lombardia.

Quanto emerge da questi dati quantitativi è stato integrato da in-formazioni qualitative raccolte durante le interviste, rivolte ai respon-sabili o agli operatori dell’Ufficio recupero crediti di tutte le tredici Uog, vale a dire coloro che sono quotidianamente a contatto con gli inquilini morosi o in difficoltà rispetto ai pagamenti. Per ogni Uog è stato intervistato un esperto, individuato dalle aziende stesse. Alle in-terviste sono seguiti poi ulteriori contatti, sia di persona che telefonici, in modo da chiarire alcuni punti o aggiungere delucidazione durante il proseguimento della ricerca, anche in relazione all’emergere di nuove tematiche di interesse. Per le Uog più grandi (Milano, Brescia, Varese) è stato individuato come esperto il responsabile dell’Ufficio recupero crediti, mentre per le unità di dimensioni più piccole, come per esempio Mantova e Sondrio, spesso la figura di responsabile combaciava con quella dell’operatore incaricato del ricevimento degli inquilini morosi e dell’evasione delle loro pratiche. Si tratta di figure dalle formazioni più eterogenee, ma accomunate da un’esperienza di lunga data (dai cinque ai dieci anni) in Aler e, nella maggioranza dei casi, da una conoscenza diretta dell’inquilinato e del lavoro di gestione del credito. Le interviste semi-strutturate hanno cercato di tracciare una panoramica del fenome-no della morosità nei suoi aspetti qualitativi, con la finalità primaria di tracciare un profilo dei morosi e di comprendere la natura del disagio che contraddistingue questi nuclei familiari. Un secondo focus delle interviste ha riguardato le pratiche gestionali delle aziende nel fronteg-giare il fenomeno dell’indebitamento, sottolineando i punti di forza e le criticità di tali prassi.

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8. Uno sguardo quantitativo al fenomeno della morosità nelle Aler A livello regionale, il debito complessivo dato dalla morosità cor-rente (debito contratto sugli importi dovuti nel 2015 e non ancora sal-dati nel marzo 2016) ammonta a più di 93 milioni di euro. Quasi il 45% di tale cifra si riferisce alla sola Aler Milano. Le tredici Uog presentano notevoli diversità rispetto al fenomeno analizzato, soprattutto in termini di dimensione dell’inquilinato, ammontare del debito e tasso di moro-sità. Le differenze sono dovute sia alle diverse pratiche gestionali delle Uog che alle caratteristiche sociodemografiche dei singoli territori di riferimento.

La tabella 1 mostra quanti nuclei familiari le Uog devono gestire. Le dimensioni dell’azienda incidono direttamente sulle modalità di pre-venzione e di gestione della morosità, come emergerà dalle interviste. A parte il caso di Milano, i cui numeri sono unici come città capoluo-go, anche le altre città mostrano considerevoli differenze. Brescia, per esempio, si distingue dalle altre Uog con oltre 20.000 contratti, mentre Sondrio risulta essere la più piccola unità con 785 nuclei.

La figura 1 mostra le Uog rispetto ad ammontare medio del debito e all’incidenza della morosità tra l’inquilinato. I casi di Milano e Monza Brianza si distinguono dagli altri soprattutto per l’alto tasso di morosità: quest’ultima incide per quasi metà dell’inquilinato nel primo caso e per quasi l’80% nel secondo. La maggior parte delle altre Aler si attesta-no invece su un valore viciattesta-no al 20%, o inferiore nei casi di Bergamo (14,1%), Sondrio e Lecco (11,8% entrambe le Uog). Anche il debito medio varia considerevolmente, passando dai 237 euro di Mantova ai 1.987 di Milano. Il debito medio non sembra inoltre risentire delle di-mensioni delle Uog: per esempio, Brescia, che conta un inquilinato di più di 20.000 unità ha un debito medio molto vicino Varese, che conta meno di 10.000 contratti e Pavia, con circa 4.500 nuclei.

Analizzando più in dettaglio come si distribuisce la morosità si os-serva che sui più di 29.000 inquilini morosi in Lombardia, circa la metà si concentra nell’area della protezione (49,4%), ovvero nella fascia di assegnatari con Isee-Erp più basso. Quanto si osserva nelle singole Aler rispecchia tendenzialmente il dato aggregato a livello regionale sopra discusso. Le Aler BG-LC-SO e BS-CR-MN hanno però più della metà dei morosi in quest’area, mentre il dato corrispondente per le altre aziende è intorno al 40%. La seconda area dove, per ordine di importan-za, si concentrano gli inquilini morosi è quella dell’accesso. Tale fascia include, tra gli altri, come effetto della normativa (L.R. 27/2009), tutti

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coloro che dichiarano di essere lavoratori autonomi o precari, vale a dire i nuclei che riescono a sopravvivere grazie a lavori saltuari, spesso al di fuori del mercato formale del lavoro (Éupolis Lombardia 2014, 2016a). Tali nuclei, come confermato dalle interviste, risultano parti-colarmente a rischio vista la precarietà delle loro condizioni lavorative: questo loro stato occupazionale potrebbe essere la ragione della pre-senza di morosi anche in quest’area. Solo l’Aler PV-LO e Aler Milano registrano un tasso di morosità al di sopra del 10% nell’area della de-cadenza, mentre per le altre Uog in tale area la percentuale di morosi è del tutto contenuta. Mentre l’indebitamento nell’area della protezione è un fenomeno facilmente riconducibile all’acuirsi o al cronicizzarsi Aler Uog Numero di nuclei familiari Ammontare morosità consolidata totale

per Uog (euro)

Ammontare morosità corrente totale per Uog (euro)

MI Milano 48.530 41.495.169 BG-LC-SO Bergamo 10.293 5.721.363 1.831.098 Lecco 3.454 408.082 370.339 Sondrio 785 99.617 96.579 BS-CR-MN Brescia 20.675 11.152.758 2.979.177 Cremona 7.083 2.628.451 1.090.245 Mantova 7.290 167.787 247.522 PV-LO Pavia 4.608 2.697.275 1.491.541 Lodi 5.928 5.241.753 1.354.334 VA-BuA-MB-CO Varese 9.975 3.183.782 2.107.164 Busto Arsizio 2.986 978.255 96.579 Monza Brianza 5.795 9.159.351 5.933.987 Como 5.228 1.073.107 721.257

Fonte: elaborazioni su dati di regione Lombardia, 2015.

Nota: Per morosità consolidata si intende il debito derivante dai bollettini emes-si fino al 31/12/2014 e non ancora incassati al 16/03/2016, mentre per moroemes-sità corrente si intende l’emesso nel 2015 e non ancora saldato al 16/03/2016, data di chiusura dell’anno contabile per Aler.

Tab. 1. Numero di nuclei familiari assegnatari per unità organizzativa e gestio-nale, e ammontare della morosità complessiva consolidata e corrente aggior-nate all’anno 2015

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del disagio socioeconomico, quando il medesimo fenomeno si presenta nell’area della decadenza, risulta più complesso da indagare. Una parte di questo debito può essere dovuto a un malfunzionamento del mecca-nismo di registrazione, che si traduce soprattutto nel mancato aggiorna-mento dell’anagrafe dell’utenza.

Se prendiamo in considerazione l’ammontare del debito corrente dei singoli inquilini, quasi il 90% dei morosi ha un debito inferiore ai 5.000 euro. Inoltre, in più del 40% dei casi il debito non supera i 1.000 euro. Per comprendere il significato di questi numeri, è necessario ri-cordare, per esempio, che nell’area della protezione il canone minimo applicato è di venti euro. In questo caso, un debito di 1.500 euro, con-siderate anche le spese, potrebbe essere riferito a un ritardo di un anno nel pagamento di affitto e spese. In questi termini, quindi, si tratta di un’impossibilità a far fronte alle spese abitative che rispecchia un disa-gio serio e prolungato. Di conseguenza un debito di 5.000 euro risulta Fig. 1. Tasso di morosità e ammontare medio del debito per Uog (morosità

corrente), anno 2015.

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difficilmente recuperabile per chi appartiene all’area della protezione ed è, di conseguenza, segno di un grave disagio abitativo.

9. Le interviste: gestire la morosità

I testimoni privilegiati hanno fornito una serie di preziose infor-mazioni che hanno contribuito a dare forma a un’immagine piuttosto complessa dei cambiamenti che hanno coinvolto l’inquilinato delle Aler negli ultimi anni, con evidenti ripercussioni sulle caratteristiche e sulle modalità di gestione del fenomeno della morosità. L’aggravarsi dell’indebitamento e gli effetti della crisi sull’inquilinato Erp sono temi che emergono ripetutamente nelle narrazioni raccolte. Gli intervistati di tutte le aziende riportano, insieme all’aumento del numero di famiglie in condizioni di forte svantaggio, anche un cambiamento nella natura di tale svantaggio che si fa esteso a molteplici dimensioni della vita socia-le e personasocia-le degli individui, includendo anche strati sociali che prima risultavano non problematici.

Le interviste rilevano, infatti, un graduale cambiamento nel pro-filo dei morosi. Prima degli anni duemila gli inquilini tipicamente in difficoltà erano rappresentati soprattutto da nuclei famigliari numerosi che subivano un cambiamento repentino nelle condizioni economiche a causa di avvenimenti esterni (perdita del lavoro, mutate condizioni di salute…), a oggi a questa categoria si aggiungono gli anziani soli e i giovani, da soli o in coppia, con o senza figli a carico, spesso provenien-ti da famiglie mulprovenien-tiproblemaprovenien-tiche e mai entraprovenien-ti stabilmente nel mercato del lavoro. L’accumulo di disagi – tra questi la precarietà occupazionale è una delle voci importanti – è la principale caratteristica dei nuovi morosi. Gli intervistati sono unanimi nel rilevare l’accresciuta vulnera-bilità del loro inquilinato:

La crisi sugli inquilini Aler si è manifestata con un paio di anni di ritardo, nel 2010. È entrata in crisi soprattutto la famiglia monoreddito con figli a carico (niente più straordinari, cassa integrazione, perdita del lavoro). Si tratta di fa-miglie non preparate a chiedere aiuto, che non si erano mai rivolte né ad Aler né ai servizi sociali. Vengono agganciati con difficoltà. Si tratta di una fascia che vive di lavoretti e di espedienti, che vivono di poco o di nulla. In generale, comunque, gli abitanti delle case Aler sono diventati più poveri. Il numero di domande di variazione di canone è aumentato. Nell’arco di tre anni abbiamo avuto quasi 1.000 domande (Uog Lecco).

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L’utenza è diventata sempre più fragile, prima era assorbita dalle case comuna-li. C’era meno povertà di adesso. E c’erano anche delle strutture familiari che contenevano, aiutavano. Queste strutture sono saltate (Uog Cremona). Difficilmente vediamo solo la persona che ha perso il lavoro, in difficoltà mo-mentanea. Vediamo soprattutto situazioni croniche, incancrenite, in cui non c’è un episodio scatenante. Mancano quindi gli elementi su cui lavorare (Aler Milano).

Oltre a situazioni di forte indigenza, per cui è difficile rilevare un’u-nica causa o evento scatenante, le interviste hanno evidenziato anche un’altra tendenza emersa negli ultimi anni: è sempre più frequente l’in-sorgere della morosità nel periodo immediatamente successivo all’asse-gnazione. L’indebitamento precoce è sicuramente legato alle condizioni di indigenza sempre più diffuse tra i nuovi assegnatari:

La morosità spesso parte appena dopo l’assegnazione. Quando il comune asse-gna l’alloggio a un inquilino multiproblematico ci sarà una morosità di almeno 1.500 euro (Uog Bergamo).

Fino a che si dà la possibilità di accedere senza un reddito, la morosità è fisio-logica (Uog Varese).

Si tratta spesso di nuclei che riescono a pagare il deposito e le spe-se di contratto, ma non riescono a far fronte al primo bollettino com-prensivo di canone e spese. Per le aziende questo significa dover in-tervenire, sin da subito, con un inquilino di nuova acquisizione, con un procedimento amministrativo. In termini di rapporto fiduciario tra il gestore e il locatario, un tale inizio risulta altamente controproducen-te, poiché segnato negativamente dalla circostanza di indebitamento. Il cronicizzarsi delle condizioni di svantaggio e la loro natura sempre più strutturale rendono la sola gestione amministrativa, tramite piani di rientro (rateizzazioni del debito) e procedimenti legali (dalla diffida allo sfratto), una sorta di palliativo che non porta a una soluzione definitiva della condizione di indebitamento. La morosità tende a ripresentarsi e ad acuirsi, perché le situazioni di impoverimento sono spesso estreme. Nonostante l’eterogeneità dei profili, che spesso viene sottolineata, la percezione di coloro che si occupano quotidianamente della morosità è di una crescente e diffusa povertà:

Abbiamo una situazione di povera, povera gente. Abbiamo qualche colpevole, perché c’è qualche furbo, qualcuno che ci prova o qualcuno in area di perma-nenza che devi stare dietro per farti capire. La percezione è che c’è qualche furbetto ma c’è tanta povera gente. La morosità si concentra soprattutto

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nell’ac-cesso, nella B1: ci sono quelli che fanno lavoretti così, quelli che lavorano in nero, potrebbero tranquillamente dire che non lavorano, ma magari hanno famiglia, i bambini vanno scuola, qualche cosa fanno. Però la mia sensazione è che c’è veramente tanta miseria (Aler Milano).

I profili dei morosi sono abbastanza eterogenei. Ci sono gli anziani, che pur di pagare tendono a non mangiare. Poi abbiamo famiglie numerose che consi-derano la casa popolare come un diritto assoluto, tanto da lì non li butta fuori nessuno. Quindi, quando si tratta di pagare, viene prima tutto il resto e poi la casa. Adesso è un’utenza prevalentemente di disagio, una volta c’erano anche i dipendenti pubblici e le forze dell’ordine. Io direi che ci sono due tipologie di morosi: quelli che vivono al di sopra delle proprie possibilità e quelli che effet-tivamente accusano un forte disagio, che di solito significa la perdita del lavoro, ma non solo (Uog Varese).

Dal 2008 le caratteristiche dei nuclei che accedevano all’Erp non garantivano più la sostenibilità delle locazioni. Il meccanismo dell’Isee-Erp portava ad as-segnare gli alloggi ai più sfortunati in graduatoria (Uog Lodi).

Una parte consistente delle interviste è stata dedicata alla ne del fenomeno da parte delle singole unità. Le procedure di gestio-ne della morosità sono abbastanza diversificate e non fanno di solito riferimento a un protocollo, né condiviso dalle Uog né specifico per le singole unità. Aler Milano, per esempio, avendo una struttura più complessa e dovendo distribuire le funzioni tra diversi uffici, a causa dell’ampiezza del suo patrimonio immobiliare, risulta avere delle pro-cedure maggiormente formalizzate, ma la mancanza di risorse che la caratterizza crea ritardi e ostacoli nell’implementare efficacemente le misure di prevenzione e gestione della morosità. Tuttavia, è possibile riconoscere una struttura e una serie di principi generali condivisi ai quali le diverse pratiche si ispirano.

In tutte le aziende l’intero processo di gestione della morosità può essere comunque suddiviso in tre fasi: una fase di monitoraggio, la fase extragiudiziale e una fase legale. È proprio nelle pratiche di gestione del fenomeno che si riscontra l’effetto delle differenze territoriali e la difficoltà dell’agire quotidiano. Innanzitutto la soglia di debito oltre la quale l’inquilino viene contattato varia considerevolmente tra le Uog, spaziando dai 200 ai 2.000 euro. Una delle evidenze maggiormente condivise tra gli intervistati è l’efficacia nell’aggredire il debito quan-do è al suo insorgere, vale a dire quanquan-do si attesta su cifre contenute. La possibilità di un intervento tempestivo è però indubbiamente legata alle risorse a disposizione rispetto all’ampiezza del problema: per Aler Milano per esempio, risulta di fatto impossibile effettuare un sollecito per più di una volta all’ anno. Alcune famiglie vengono quindi

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con-tattate quando il loro debito ha già raggiunto i 2.000 euro, cifra che rappresenta diverse mensilità di ritardo per chi si colloca nell’area di protezione. Al primo sollecito ne seguono altri: vi sono Uog che seguo-no un numero fisso di solleciti, altre che invece adattaseguo-no la numerosità dei contatti ai singoli casi. Non esiste, quindi, un numero standard di solleciti prima di passare la pratica all’ufficio legale, in quanto le traiet-torie delle singole famiglie possono prendere direzioni molto diverse e spesso non sono lineari.

Quando la pratica passa alla fase legale, Aler addotta le procedu-re pprocedu-reviste dal Codice civile e, in molti casi, appalta l’attività legale nei confronti dei morosi ad avvocati esterni. L’assenza di una struttura molto definita a livello di pratiche permette, soprattutto alle Uog che lavorano sui territori di piccole dimensioni, di avere un approccio forte-mente personalizzato, che consente di delineare un intervento a misura per ogni inquilino in condizioni di morosità. Poiché l’impossibilità di far fronte alle spese per la casa spesso deriva da situazioni multipro-blematiche, anche molto diversificate tra di loro, è una considerazione unanime di tutte le Uog di come un trattamento ad hoc, per quanto possibile, paghi in termini di recupero crediti:

Abbiamo cercato di soggettivizzare il più possibile. Là dove si creavano dei parametri rigidi non si andava da nessuna parte (Uog Varese).

Prima si facevano anche i sopralluoghi domiciliari, quando c’era il sospetto di un forte disagio sociale o che l’alloggio non fosse utilizzato. Erano sopral-luoghi mirati, in caso di morosità. Questo è il tipo di attività che dà i maggiori risultati: contatto diretto, percezione effettiva della situazione, che non viene dall’anagrafe utenza, né dalle relazioni dei servizi sociali (che non vanno nelle case) (Uog Bergamo).

Ovviamente le dimensioni dell’inquilinato moroso incidono sulla possibilità o meno di applicare trattamenti personalizzati e sul loro gra-do di successo:

Abbiamo una gestione molto diretta coi nostri inquilini, quindi forse è un po’ diversa da quella di Brescia, forse siamo molto più vicine come realtà, Mantova e Cremona, ma proprio per la tipologia delle persone con cui abbiamo a che fare. Insomma è molto più diretto il confronto con gli inquilini, con l’utenza rispetto a quello che mi sembra di capire possa avere Brescia (Uog Mantova). Noi abbiamo fatto anche dei contatti telefonici a un certo punto, ma è diffici-lissimo. Il contatto telefonico è stato traumatico per le ragazze. L’approccio è comunque personalizzato perché è una procedura abbastanza lunga, cioè l’u-tente lo incontri la prima volta e gli fai l’analisi del debito, c’è chi sa già, c’è

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chi vuole l’analisi del debito puntuale, gli fai una proposta di rientro, gli fai una simulazione del piano cambiario e gli fissi un ulteriore appuntamento. Ogni utente sono minimo due appuntamenti (Aler Milano).

L’individuazione delle cause dell’indebitamento permette di attiva-re, oltre alle procedure amministrative, anche l’intervento dei servizi sociali o territoriali predisposti ad affrontare specifiche problematiche. Le Aler si trovano spesso a collaborare o ad auspicare una collaborazio-ne con i servizi sociali, proprio perché entrando in contatto diretto con i nuclei, gli operatori agli sportelli rilevano spesso la multidimensionalità del disagio, che non è quindi aggredibile o arginabile solo tramite un intervento amministrativo di recupero crediti. Tale intenzione spesso si scontra con le difficoltà di collaborazione che emergono con gli altri attori sul territorio, in particolare col comune. Le Uog riportano però narrazioni molto diverse in questo senso. I rapporti costruiti coi servizi sul territorio variano moltissimo tra le diverse realtà e sembrano dipen-dere da ragioni storiche e politiche che sono emerse solo in maniera marginale dalle interviste:

Noi a volte chiediamo ai servizi sociali delle relazioni, ma non arrivano mai per tempo. È più facile che sia l’utente che ce la porta, però magari è vecchia. Allora chiediamo l’aggiornamento. Abbiamo provato, abbiamo fatto l’accordo morosità per la commissione, abbiamo provato attraverso l’ufficio socialità che è spesso in comune… Ecco non c’è stata molta collaborazione. Con la provin-cia invece sì, va meglio (Aler Milano).

Noi siamo soddisfatti del nostro rapporto col comune. Nonostante la carenza di risorse e le difficoltà da entrambi le parti, c’è un rapporto di reciproca collabo-razione… So che in altri territori non è così, quindi non mi lamento. È comun-que frutto di anni di lavoro, diciamo che l’abbiamo ereditato da chi c’era prima di noi. E di sicuro c’è dietro anche un discorso politico, ma ecco, insomma, da noi è una collaborazione direi avviata, solida! (Uog Brescia).

Ciò che è però emerso con chiarezza è che tutte le Uog, a fianco di una gestione prettamente amministrativa, si sono attrezzate in maniera autonoma a fornire anche un’assistenza più ampia. Alcune realtà, come Pavia e Milano, hanno aperto dei veri e propri uffici dedicati agli aspetti sociali, che oltre ad occuparsi soprattutto di problematiche legate alla convivenza degli inquilini, nella loro azione intercettano anche questio-ni legate alla morosità. Laddove non sono stati istituiti appositi uffici, vi sono pratiche quotidiane di questo tipo messe in atto direttamente dagli operatori. Di sicuro, il bisogno di una risposta sociale, non solo amministrativa, al problema della morosità è un’evidenza quotidiana e strutturale tra gli inquilini Aler, che si scontra però con una carenza di

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risorse (basti pensare che Aler Milano conta sedici operatori e le altre Uog ne contano al massimo due) e di formazione. In generale le aziende denunciano un sentimento di impotenza e di isolamento, di fronte alle problematiche complesse di cui soffre il loro inquilinato, con ripercus-sioni dirette sulla gestione e sul funzionamento delle aziende stesse. Si sentono spesso, loro malgrado, investite di una missione sociale, che non è però supportata né dalla loro natura aziendale né dalle istituzioni: Facciamo assistenza a tutti gli invalidi del mondo… In questi termini, per esem-pio: ci sono dei genitori con figlio. I genitori rinunciano all’alloggio perché van-no da un’altra parte, ritornavan-no al paese, e lasciavan-no dentro il figlio disoccupato, magari pure invalido. Noi ce lo teniamo nella nostra casa e non pagherà mai più. Ne abbiamo tantissimi. Il genitore rinuncia in favore del figlio, il regola-mento lo permette, però introdurre un minimo di… Cioè faccio la variazione di intestazione ma qualcuno mi garantisca il pagamento. Questa cosa non c’è e noi ne abbiamo riscontrati parecchi di casi di questo genere (Aler Milano). I comuni dovrebbero assumersi la responsabilità di scindere i nuclei con patolo-gie dai nuclei disorganizzati. A un’amministrazione comunale conviene molto di più mettere un patologico psichiatrico dentro l’alloggio dell’Aler piuttosto che ricoverarli in una struttura. Non possono essere trattati alla stregua di un ludopatico o di un alcolizzato (disorganizzati). Lo psichiatrico patologico crea problemi a tutti intorno. Le case Aler spesso vengono utilizzati come parcheg-gio. I comuni spesso nelle graduatorie si tengono sempre i meno problematici, le più grosse le parcheggiano in Aler (Uog Pavia).

I dati e le informazioni raccolte sulla morosità nelle Aler mostrano un settore nel mezzo di una crisi strutturale a causa della mancanza di risorse finanziarie, spesso utilizzate in una logica emergenziale o vin-colate a dei mandati esterni (regionali), e di una struttura gestionale che risulta inadeguata nel fronteggiare il problema della morosità nelle sue caratteristiche attuali. Sebbene la regione abbia promosso varie inizia-tive formainizia-tive e sperimentali volte al superamento di queste criticità e alla promozione di una gestione sociale (Éupolis Lombardia, 2014, 2016a), i risultati hanno riguardato misure non strutturali e che sono state in grado di intercettare una fetta limitata della popolazione: La realtà è che la natura giuridica dell’ente, la sua impostazione, sconta una sorta di contraddizione. La prevenzione è un aspetto positivo nel momento in cui esistono strumenti di accompagnamento. Noi oggi ci troviamo a contrastare una morosità che se non viene contrastata con i metodi forti, è una morosità che mette in ginocchio le aziende (Uog Pavia).

Aler non ha né le risorse per affrontare un tale disagio socioecono-mico e può far fronte a tali problemi solo attraverso un’integrazione del

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suo operato con altri servizi sul territorio. A questo proposito, è stata riscontrata spesso una sorta di reticenza, quasi storica, a collaborare con Aler da parte di altri organismi, quali i servizi sociali, per esempio, in quanto gli inquilini di Aler vengono già considerati beneficiari di un «trattamento sociale» poiché già titolari di un canone sociale. Secondo i testimoni privilegiati, un’integrazione dei servizi sul territorio che fun-zioni in maniera efficace può essere raggiunta solo attraverso un cam-bio di orientamento a livello di politiche: il disagio abitativo non può essere considerato un fenomeno isolato, ma piuttosto come una parte di una situazione di svantaggio più complessa che coinvolge diverse sfere della vita di un individuo o di un nucleo familiare. Sebbene questo concetto sia molto diffuso e apparentemente condiviso sia in Aler che a livello regionale, un cambio di paradigma fatica ancora a prendere piede e a produrre effettivi cambiamenti nella struttura delle aziende. 10. Conclusioni: Erp e protezione sociale?

Letta attraverso i risultati della ricerca sul fenomeno della morosità in Lombardia, la questione della sostenibilità, incrocia due prospettive di analisi e operative che sembrano inscindibili. Da una parte vi è la prospettiva della sostenibilità del sistema Erp chiamata in causa da un modello diviso tra una missione forzatamente sociale e una forma or-ganizzativa pensata tendenzialmente per autosostenersi. Sembra che le due nature abbiano fatto fatica a convivere e che soprattutto non abbia-no consentito di risolvere le problematiche insorte o aggravatesi negli ultimi anni nell’Erp, la morosità tra queste. Il modello così come è stato pensato ha messo in una posizione di stallo sia gli inquilini, non solo morosi, che le aziende stesse. I primi sono rimasti in una condizione di svantaggio, senza che l’Erp riuscisse a promuovere un’emersione dal disagio sollevandoli da spese per la casa troppo onerose6. Le aziende non sono riuscite a garantire dei servizi adeguati non disponendo né delle risorse necessarie, né delle figure professionali formate per in-terfacciarsi con temi di politica sociale, visto il cambiamento che ha investito l’utenza.

Dall’altra parte, il progressivo impoverimento che ha colpito i nu-clei familiari assegnatari di alloggi Erp chiama in causa le politiche di

6 La revisione, che è in corso, dello strumento regionale del contributo di

solidarietà dovrebbe andare nella direzione auspicata e basarsi su risorse pub-bliche regionali.

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welfare, mettendo al centro la questione del confine tra politiche abi-tative e politiche sociali. Si tratta di un argomento che ha interessa-to diversi studiosi (Bernardi, Fazzini e Nava 2015; Poggio 2005). Se si definisce una spesa per l’abitazione sopportabile come una sorta di sussidio indiretto volto a garantire l’accesso a un’abitazione adeguata, l’intervento di politica abitativa rimane circoscritto in un dato momento della storia del nucleo familiare ed è volto a garantirgli una protezione rispetto al problema abitativo che può essere determinato da: difficoltà ad accedere ad una abitazione adeguata (nel caso di un primo accesso all’Erp) oppure difficoltà a mantenerla (sia nel caso in cui l’inquili-no si trovi in un’abitazione privata, in proprietà o in affitto, sia che si trovi all’interno dell’Erp). Allo stesso tempo, per funzionare, questo intervento di welfare abitativo dovrebbe integrarsi con altri interventi di politica sociale che propongono forme di sostegno al reddito e di protezione sulle cause (del lavoro, sanitarie) che espongono l’individuo al rischio di insostenibilità delle spese per l’abitazione.

Anche a fronte delle evidenze emerse sembra dunque auspicabile l’adozione di una duplice prospettiva che sappia affrontare congiunta-mente e in modo integrato sia il tema della sostenibilità del sistema abi-tativo pubblico, sia la componente sociale della domanda abitativa in un’ottica di coordinamento e collegamento tra diversi settori di policy.

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alice boni

PoliS-Lombardia Istituto regionale per il supporto alle politiche della Lombardia Via Taramelli, 12/G – Milano alice.boni@polis.lombardia.it MarTa cordini

Politecnico di Milano Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Via Bonardi, 3 – Milano E-mail: marta.cordini@polimi.it

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