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Parole in viaggio: baccalà

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Academic year: 2021

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(1)

di

Fiorenzo Toso

Abstract

This article reconstructs the history of the term “baccalà” [salted cod], which is present mainly

in Italian, Portuguese and Spanish, formulating a new hypothesis as to its origin, connected with

the trade of the product in the Mediterranean area. On the basis of the documentation

pro-posed, the relationship with the corresponding Dutch term is discussed and excluded. On the

other hand, semantic reasons emerge that would suggest its probable origin lies in a Romance

form, the use of which for the name of the salted fish appears at an early stage in Liguria.

Il rilievo che la datazione delle voci riveste nella fase istruttoria che precede la

formu-lazione di una proposta etimologica, e quello dell’importanza della collocazione

ge-ografica delle prime attestazioni (che fornisce spesso informazioni cruciali, anche di

carattere extralinguistico, nella ricostruzione della storia di una parola) sono i due temi

che soggiacciono alle note che seguono: come vedremo infatti, il caso di

baccalà si può

considerare tipico delle modifiche di prospettiva indotte dal rinvenimento di

un’atte-stazione precoce, che comporta la ridiscussione di ipotesi destinate a rivelarsi, a un

at-tento vaglio critico, fondate più su una consolidata «tradizione» interpretativa che su

validi elementi di riflessione; al tempo stesso, è proprio la provenienza dell’attestazione

a suggerire esigenze di approfondimento dalle quali emergono conferme importanti

alla «costruzione» di un percorso interpretativo: a maggior ragione nel caso di parole

destinate alla larga circolazione che è tipica del lessico in vario modo legato a vicende

storiche, economiche e culturali che si associano all’ambiente marittimo.

Abitualmente, nei lessici italiani,

baccalà “merluzzo salato ed essiccato all’aria” viene

datato a partire dal 1650, quando compare in una satira di Salvator Rosa (1615-1673):

Le metafore il sole han consumato,

e convertito in baccalà Nettuno

fu nomato da un certo

il Dio salato

1

.

In realtà, anche ammettendo che la voce si sia popolarizzata soltanto nel secolo

successi-vo, il termine si trova variamente trascritto nel corso del secolo xvi in traduzioni di testi

(2)

spagnoli e portoghesi

2

, o in relazioni di viaggio relative all’America settentrionale e alle

regioni artiche

3

: tale circostanza può aver avuto qualche peso nella costante conferma di

una derivazione spagnola della voce italiana, ribadita, a partire dallo stesso Tramater, in

tutta la lessicografia successiva

4

.

L’etimo della voce iberoromanza – ammettendo per ora questa primogenitura – è a

sua volta alquanto discusso, e dei dilemmi relativi alla sua origine vi è eco nei vocabolari

etimologici italiani. Il primo a riassumere la questione fu il dei, che sosteneva la

deri-vazione dello spagnolo

bacalao e del portoghese bacalhau dal fiammingo bakkeliauw,

variante metatetica dell’olandese

kabeljauw (attestato già nel 1163 in latino medievale,

cabellauwus)

5

, passata in francese e in provenzale nel corso del secolo xvi, dove

sareb-bero documentate le forme

bacala e bacayau accanto a cabéliau, cabillaud di più antica

(secolo xiii) e diretta derivazione

6

; il gdli attribuiva a sua volta alla voce olandese un

etimo romanzo, a partire dal guascone

cap “capo, testa” e dal suo diminutivo cabilh,

ca-belh, da cui cabilhau, passato anzitutto al francese cabillaud: in tal caso il francese stesso

sarebbe stato il tramite dell’assunzione della voce in neerlandese, e non dell’irradiazione

in area romanza di una forma originariamente germanica. Il rientro di questa

denomi-nazione in ambito neolatino avrebbe visto poi l’affermazione della variante metatetica

bacalao, e la completa opacizzazione delle motivazioni originarie del battesimo, legate

al fatto che il merluzzo si caratterizza per la grossa testa: una circostanza quest’ultima

che sarebbe comprovata anche da forme italiane come

caputo, testuto, cabiglio, presenti

nell’edizione del 1598 del dizionario italiano-inglese di G. Florio.

Più di recente, il deli si è limitato a riferire l’ipotesi della derivazione della voce

spagnola dall’olandese, senza ulteriori approfondimenti, mentre nell’

Etimologico, A.

Nocentini riprende l’ipotesi della primogenitura del guascone

cabilhau, passato nel

lati-no medievale delle Fiandre e da qui all’olandese da un lato, e dall’altro al basco

bakailao,

forma metatetica dalla quale deriverebbe finalmente lo spagnolo

bacalao.

Quest’ultima interpretazione trova riscontro nella sintesi dei temi e dei problemi

relativi alla voce condotta, a partire da un’ampia disamina della bibliografia relativa,

da J. Corominas nel 1980

7

, che aggiornando i dati presentati nel suo

Diccionario crítico

etimológico de la lengua castellana (1955), principale fonte degli altri commentatori

ita-liani, ammette per lo spagnolo

bacalao, documentato dal 1519 (ma Pietro Martire

d’An-ghiera aveva usato

bacallao già nel 1516 in latino)

8

e per il portoghese

bacalhau («muy

frecuente en todo este siglo»)

9

, la derivazione in ultima analisi dal guascone

cabilhau (<

capitulum, diminutivo di caput), passato al francese nella forma

cabillaud (“baccalà

fresco”, documentata dal 1278)

10

e di qui, da un lato, all’olandese e ad altre lingue

germa-niche

11

, dall’altro al basco nella forma metatetica

bakailao

12

; da quest’ultima

deriverebbe-ro la voce portoghese e quella castigliana antica

bacallao (il moderno bacalao è attestato

dal 1599), che sarebbero a loro volta all’origine del catalano

bacallá (documentato dal

1640)

13

; da qui, a loro volta, discenderebbero le forme italiane antiche, moderne e

dia-lettali,

baccalano, baccalà e baccalare.

Questa ricostruzione alquanto complessa, che prevede il passaggio dal guascone al

francese e di qui al basco, che fa poi da tramite per il rientro della voce in area

(3)

neolati-na, prima iberoromanza e infine italoromanza, attribuisce quindi un ruolo centrale al

francese anche per quanto riguarda l’irradiazione del termine in area germanica: essa

offre il vantaggio di conciliare una proposta etimologica ragionevole dal punto di vista

semantico (il richiamo alla grossa testa del merluzzo) con l’individuazione di un

rappor-to di parentela tra voci che, appartenenti a lingue estremamente diverse tra loro, sono

certamente affini a livello di significato, ma sulla cui vicinanza a livello di significante

mi sentirei di esprimere qualche perplessità. Infatti, se nulla osta a che il latino

medieva-le fiammingo

cabellauwus e il neerlandese kabeljauw possano discendere dal guascone

cabilhau attraverso il francese (circostanza in certo qual modo necessaria se è vero, come

chiosa Corominas, che «el grupo

-lj-, que dificilmente se explicaría en voz germanica

genuina, sugiere procedencia romance»), il rapporto con le forme ibero- e

italoroman-ze in

bac- non mi pare poi così scontato

14

.

Ai dubbi di questo tipo, che sono anche di natura geolinguistica (per la

distinzio-ne molto distinzio-netta tra l’area dei riconoscibili succedadistinzio-nei di capitulum, fondamentalmente

estesa dalla Francia verso nord-est e i bacini settentrionali dell’Atlantico, e quella delle

for-me in

bac- decisamente orientata verso l’area iberica e mediterranea), si deve ora

aggiunge-re una constatazione di caratteaggiunge-re cronologico, legata all’emergeaggiunge-re di una fonte non nota o

quanto meno sfuggita a quanti si sono fin qui occupati della voce in questione.

Abbiamo visto che le prime attestazioni di

bacal(l)ao e bacalhau in spagnolo e

por-toghese risalgono al secondo decennio del secolo xvi (anche nelle forme latinizzate), e

che in italiano il termine è ancora recepito più o meno nello stesso periodo come un

fore-stierismo non integrato, destinato ad affermarsi stabilmente solo a partire dalla metà del

secolo xvii; più o meno a tale epoca risale anche la prima attestazione in catalano, lingua

che secondo alcuni sarebbe il tramite per il passaggio dallo spagnolo all’area italoromanza.

Eppure, la nostra voce è già documentata in volgare ligure nel 1495, quando il

savo-nese Michele da Cuneo (1448-1503) la inserisce nella sua lettera-relazione sul secondo

viaggio di Cristoforo Colombo, redatta tra il 15 e il 28 ottobre di quell’anno e indirizzata

al conterraneo Gerolamo Aimari.

La relazione di Michele, sulla cui autenticità non sussiste oggi alcun dubbio

15

, fu a

lungo «dimenticata», forse anche a causa di alcuni suoi contenuti ritenuti poco

confor-mi all’immagine ufficiale che di Colombo e delle sue imprese si era andata divulgando

nel corso del secolo xvi. Nondimeno, essa costituisce uno dei primi testi redatti in un

volgare di area italiana relativi all’America, circostanza che ne fa una fonte importante

anche per la storia di alcuni esotismi.

Descrivendo in particolare le risorse ittiche presenti in prossimità delle Antille,

Mi-chele si esprime in questi termini:

Resta ora dire de li pesci, de li quali sono dicte isole abondantissime. Sonovi polpi, aragoste, vituli

marini, muzari, lovaci, gambari, toni, bacarali e delfini, e alcuni altri a nui inusitati, porcini alcuni,

altri longhi, grossi e grossissimi, da libre 23 fin in 50, in ogni bontà e quasi di natura de sturione.

Ancora altri pesci de strane nature, bonissimi. Evi d’una natura pesce proprio como uno ricio. item,

pescicani infiniti, li quali sono optimi a mangiare. item, tartarughe infinitissime, grosissime, de

(4)

peso de cantara 2 fino in 15, optime al mangiare. item, li è ancora de un’altra fazione pesce, proprie

como uno bagio, il qual a noi non par bono al gusto, ma li Indiani lo mangiano

16

.

Considerando che per la fonetica ligure dell’epoca lo scambio tra -

r- (in realtà la [ ɹ ]

palatale tipica dell’area dialettale ligure) e -

l- è fenomeno del tutto comune

17

, non

sem-bra esservi dubbio sul fatto che il termine

bacarali qui impiegato corrisponda a un tipo

bacalar(e); e per quanto esso non sia necessariamente chiamato a indicare, in questa

sede, il tipo di merluzzo che una volta essiccato viene oggi comunemente definito

bacca-là, si tratta in ogni caso di un battesimo ligure, che riflette il tentativo dell’autore di

iden-tificare le specie ittiche esotiche con altre già note al suo interlocutore, come avviene in

questo brano anche nel caso di

muzari e lovaci

18

: di qualunque pesce intendesse parlare

Michele, insomma, egli utilizza un nome che nella Liguria di fine secolo xv doveva

essere ben noto, con qualche decennio di anticipo rispetto alle attestazioni successive, e

senza evidenti legami con le forme galloromanze e neerlandesi.

Diventa a questo punto utile verificare, effettivamente, cosa si potesse intendere

nella Genova quattrocentesca col nome di

bacalar: se una qualche specie ittica presente

nel Mar Ligure o, piuttosto, già il merluzzo essiccato, la cui presenza nei porti liguri, in

seguito all’importazione dal Nord Europa, data proprio a quell’epoca, in relativo

anti-cipo rispetto ad altre aree dell’Italia e del Mediterraneo

19

. Considerando però che non

esistono oggi pesci che abbiano mantenuto tale nome lungo le due Riviere

20

, mi pare

probabile che il

bacalar menzionato da Michele da Cuneo sia già da identificare proprio

col merluzzo in quanto prodotto d’importazione.

Una conferma per certi aspetti curiosa, ma abbastanza precisa in tal senso, sembra

provenire dalle fonti storiche relative all’esplorazione del mari dell’America

Settentrio-nale. Pietro Martire ci informa infatti, come si è visto, che all’atto della scoperta del

Canada occidentale e del Labrador (1508-09), Sebastiano Caboto (1484-1557) chiamò

quelle coste col nome di

Terra de Bacalaos:

Bacallaos Cabottus ipse illas terras appellavit: eo quod eorum pelago tantam repererit

magno-rum quorundam piscium, tynnos emulantium sic vocatomagno-rum ab indigenis multitudinem, ut

etiam illi navigia interdum detardarent

21

.

Tale circostanza è ampiamente confermata anche dalla documentazione letteraria e

cartografica coeva e immediatamente successiva

22

: e se si esclude la possibilità riferita

da Pietro Martire – che non è mai stata presa in seria considerazione da chi si è

occu-pato della storia del termine – che

Bacalaos sia in realtà un nome indigeno

23

, occorre

concluderne che il navigatore abbia designato i nuovi territori con riferimento alla

risorsa ittica che colà abbondava (il merluzzo appunto), riprendendo un nome di tale

specie a lui personalmente già noto.

Ma da quale idioma? Il padre di Sebastiano, Giovanni Caboto (1450-1498), era

divenuto cittadino veneziano soltanto nel 1476, e viene in realtà definito «genovés

como Colón» nel 1498 dal legato spagnolo a Londra Pedro de Ayala, una

circostan-za che pare difficile smentire alla luce della pur scarsa documentazione

24

. Ora, se è

(5)

evidente che in quell’occasione Sebastiano scelse di non adottare il nome inglese del

pesce (

cod), è altrettanto sicuro che non adoperò un nome veneziano, visto che ancora

nel 1562 il nome

baccalai risultava sconosciuto a Venezia, dove i pesci affini ai

merluz-zi venivano designati come

temoli:

la sera havevamo piene le barche di pesce, qual è chiamato da quelli del paese (isola chiamata Terra

nuova) Baccalai ma io li ho per pesci temoli, perché sono di quella sorte, che sono li temoli nelle

nostre bande benché quelli di Venetia siano più piccoli, non hanno schiame di sorte veruna

25

.

Rifacendosi alle proprie tradizioni familiari, pare più che probabile dunque che

Seba-stiano Caboto abbia adottato il nome ligure riferito al pesce essiccato, estendendolo a

quello fresco di cui aveva appena individuato una delle zone di massima concentrazione.

Un’altra considerazione, questa volta di natura fonetica e morfologica, rende

plau-sibile che la Liguria sia stata il centro di irradiazione del termine: è vero che Michele

da Cuneo scrive

bacarali (per bacalari), ma tale forma è il risultato del rivestimento in

senso toscaneggiante della sua lingua che, conformemente all’uso diplomatico e

ammi-nistrativo genovese di fine Quattrocento, tende all’espunzione dei tratti liguri più

mar-catamente idiomatici

26

. La forma genovese originale era certamente

bacalar al singolare

(con pronuncia ormai evanescente della -

r finale)

27

, che è l’unica in grado di spiegare

l’aspetto assunto in via definitiva dalla voce in italiano (

baccalà) e in catalano (bacallá)

anche in rapporto all’insolita terminazione dello spagnolo

bacal(l)ao e del portoghese

bacalhau che, come, si è visto aveva non a caso suscitato le perplessità di Corominas:

essa trova una possibile spiegazione, infatti, nell’adeguamento alla morfologia

iberoro-manza del plurale

bacalai del genovese antico, in virtù del quale si ebbero bacal(l)aos e

bacalhaos, su cui vennero poi rifatte le forme singolari

28

.

Al di là della stessa priorità cronologica, quindi, alcuni elementi di carattere

storico-culturale, semantico, fonetico e morfologico inducono a riconsiderare la storia di

bac-calà e delle corrispondenti forme italo- e iberoromanze, postulando in Genova e nella

Liguria un possibile centro di irradiazione della voce: d’altronde essa poté attecchire

molto precocemente in area iberica a partire dalla divulgatissima determinazione

ge-ografica coniata da Caboto, grazie al notevole interesse economico, commerciale e

ali-mentare che la pesca del baccalà cominciò ad assumere ben presto in Portogallo e sulla

costa atlantica spagnola; ciò spiega anche come il basco abbia facilmente assunto a sua

volta il prestito, senza ricorrere invece alla forma d’origine guascone, e come passando

dallo spagnolo al catalano la voce si sia diffusa in provenzale da un lato, e dall’altro in

paesi sottoposti alla corona spagnola come la Sicilia e la Sardegna

29

.

Se è plausibile questa ricostruzione storica, viene evidentemente meno la stretta

ne-cessità di un rapporto diretto tra le forme «settentrionali» di probabile derivazione

guascone e quelle italiane e iberiche in

bac-, per le quali è del resto possibile proporre

un’etimologia alternativa rispetto a caput: un’interessante ipotesi in tal senso era stata

formulata già nel 1876 da C. Michaëlis in uno studio

30

che né Corominas né i suoi

(6)

La studiosa risaliva infatti al mediolatino

baccalaris e alla sua reinterpretazione

dotta

baccalaureus nel significato di “chierico”, sottolineando come l’utilizzo di un

nome professionale relativo alla sfera religiosa sia un caso tutt’altro che isolato in

am-bito ittionimico, dove lo stesso pesce è anzi noto in castigliano come

(a)badejo (da

abad) o curadillo (da cura)

31

, e dove esiste in portoghese, tra gli altri, un

peixe-frade

32

:

per la Michaëlis, dunque, l’associazione tra il colore e la foggia della livrea del pesce e

quello dell’abito del chierico giustificherebbe ampiamente l’attribuzione del nome al

merluzzo

33

.

Tuttavia, questa proposta tutt’altro che peregrina della Michaëlis si scontra

anzi-tutto, oggi, con la priorità cronologica dell’attestazione ligure, che sembra allontanare

dal Portogallo l’origine dell’uso metaforico; inoltre, le motivazioni di natura semantica

addotte dalla studiosa nel proporre il rapporto di

bacalhau con baccalaris fanno

riferi-mento all’aspetto del pesce

fresco, mentre abbiamo preliminarmente osservato come già

in origine la denominazione genovese

bachalar dovesse riferirsi al pesce essiccato, ossia

al prodotto commerciale che dalla fine del secolo xv cominciò a essere importato nel

Mediterraneo dai paesi affacciati sull’Atlantico settentrionale.

Sarà utile a questo punto ricostruire brevemente l’etimologia e la storia della voce

evocata dalla Michaëlis. A proposito di essa, il LEI

34

ipotizza con Hubschmid una

base celtica *

bakk- “giovane”, all’origine delle forme mediolatine di area galloromanza

baccalaris “servo, vassallo” (1050) e baccalarius “servo adulto” (813, Marsiglia), da cui

l’occitano

bacallar (1180ca.) e il corrispondente francese bachelier; successivamente si

ebbe il passaggio da “servo, vassallo” a “giovane nobile”

35

e poi a “grado accademico

corrispondente a un primo livello di studi superiori”, con l’ulteriore sviluppo nel senso

di “studente” (in francese dal 1252, tlf), prima di teologia (da cui il valore di

“chieri-co”) e poi anche di altre discipline

36

, non senza l’elaborazione di forme dotte (latino

medievale

baccalureus) per influsso di laureare

37

.

Oltre a questa trafila, una serie di connotazioni negative accompagnò ben presto la

voce, da un lato a partire dal significato originario di “servo” (e quindi la si usò per

“vil-lano”, “persona vile”), dall’altro, attraverso i richiami al grado accademico inferiore, per

quella ironica di “sapientone”, “uomo saccente che non cessa di parlare”, “persona che si

dà delle arie”, e quindi “presuntuoso”, “sciocco”

38

.

Anche in area ligure, durante il medioevo, l’utilizzo del termine non si discosta da

quello documentato per altre aree. In realtà, per quanto riguarda le fonti mediolatine,

l’attestazione più antica (Savona, 1181) sembra corrispondere piuttosto a una forma

co-gnominale

39

, ma di poco successivo è appunto l’uso del termine come insulto:

et tunc ipsi dixerunt: bacalarie mendice, quid queris hic tali hora? nescis quod nos habemus

reguardum?; dixit: Guilelme bacalar mendice, ad quid pergis omne sero contra me?

40

;

et turpiter dixit mihi orride bachalar; et ipsa dixit mihi orride bachalar lixa proditor mentimini

per gulam; dixit mihi fel bachalare senex latro; et bene audivi Lanfranchinum dicentem: oyme

percussit me bachalarius

41

.

(7)

Quanto al valore accademico del titolo, associato in particolare all’ambito religioso, esso

compa-re tra la fine del secolo xiv e la metà del xv:

frater Benedictus de Bozolo de Janua ordinis fratrum minorum bachalarius ianuensis

42

;

frater Benedictus Baxadone, prior ecclesie et conventus Sancte Tecle de Janua, ordinis

heremita-rum sancti Augustini, necnon infrascripti fratres, videlicet baccalarii et lectores, ceterique fratres

dicte ecclesie et conventus

43

;

frater Rainerius de Florentia, in sacra teologia bacalarius

44

.

In volgare si ha invece l’attestazione forse più interessante, che risale agli ultimi anni

del secolo xiii e alla raccolta di rime dell’Anonimo Genovese. Nella poesia cxlvi,

De

Carnisprivio et die Veneris, che, sulla scorta di una consistente tradizione romanza,

costi-tuisce una sorta di tenzone tra

frai Venardí e Carlevar, compare la simpaticissima

invet-tiva di quest’ultimo personaggio, che si lamenta delle difficoltà che egli incontra nello

svolgimento del proprio ruolo «istituzionale», perché continuamente tartassato dal

Mercoledì Santo che lo subissa di rampogne e buoni consigli:

senpre duraxe esto me’ iorno,

e devese pagar lo scoto

un bachalar chi m’è d’entornu,

zo è Marcordì Scuroto,

con soa testa zennerenta

e con greve conpagnia

che sì de lonzi me spaventa,

tuti me’ faiti desvia:

che uncha ben no me adivina,

fazando incomenzaiga dura

de lemi, fave e tonnina:

tuto me mena a basura;

che tuto par ch’elo m’abise,

lo cor strenze, secha e spreme;

piaxese a De ch’elo vegnise

se no de li dexe angni seme,

o quando e’ lo requerea,

ch’e me lo trovo sì contrario

che mai no se troverea

in alcun me’ carendario

45

.

(8)

In questo caso appare del tutto evidente come il poeta abbia fatto ricorso al termine

bachalar nel suo valore di “sapientone”, “giovane saccente, presuntuoso”, che discende

direttamente dal significato di “grado inferiore della carriera accademica” e che trova

riscontro in altri volgari antichi

46

e soprattutto in toscano, dove anche l’uso

apparen-temente più neutro, col valore di “uomo dotato di autorità intellettuale”, appare il più

delle volte inserito in un contesto ironico:

mostrava di dover essere un gran bacalare, con una barba nera e folta al volto

47

;

vostri argumenti e vostri sillogismi

tanti maestri, tanti bacalari,

non faranno con loïca o sofismi

ch’alfin sien dolci i miei lupini amari;

e non si cercherà de’ barbarismi,

ch’io troverò ben testi che sien chiari:

per carità per sempre vi sia detto

e non si dirà più poi del sonetto

48

;

era cotestui molto grande e grosso che pareva un gran baccalare, e credo che per copertoio

da letto avria benissimo servito

49

;

dall’atto meretricio son nati di gran baccalari

50

;

vedendolo ben vestito e onorato da molti, e’ si pensò che fusse qualche gran bacalare

51

.

Forse più di tutte le altre citazioni, in ogni caso, è proprio la suggestiva personificazione

di

Marcordí Scuroto

52

attraverso l’impettita intransigenza di un presuntuoso

bachalar a

suggerire le motivazioni di un possibile accostamento col merluzzo salato ed essiccato:

la rigidità fisica e morale incarnata dal

bachalar ben si presta infatti a essere attribuita a

un prodotto come il baccalà, che oltre tutto, non a caso, è anche il cibo per eccellenza

del periodo quaresimale

53

e l’oggetto, a sua volta, di riferimenti metaforici all’idea di

secchezza, grettezza e così via

54

; e non mi pare illecito pensare che anche una metafora

oscena adottata dal Bandello (1485-1561), con la quale il

baccalare diventa il pene di un

uomo particolarmente dotato, tenga conto, nello scrittore di Castelnuovo Scrivia, del

valore che questo termine aveva ormai assunto nella vicina Genova, complice il ben

noto accostamento tra l’organo sessuale maschile e la figura del pesce:

Mirate, mirate che bravo tincone è quello che fra le coscie gli pende. Al corpo che non vo’ dire,

egli è meglio fornito che uomo del paese. Io penso che sia venuto a divisione con gli asini, ma che

fosse il primo a pigliar su. Io so che ha un gran baccalare

55

.

L’affinità se non l’omofonia tra il nome del

baccalà e quello del baccalare in diversi

dia-letti italiani

56

pare testimoniare a sua volta l’efficacia di quest’accostamento scherzoso, la

(9)

dell’at-testazione, ma anche, come si è visto, per la fortuna della forma fonetica e morfologica

genovese sia verso l’italiano e il catalano a partire dal singolare, sia verso lo spagnolo e il

portoghese a partire dal plurale

57

: né va dimenticato dal punto di vista storico-culturale

che Genova fu a lungo uno dei principali centri di importazione e soprattutto di

ridistri-buzione del pesce nordico essiccato, verso l’Italia

58

e nel bacino del Mediterraneo.

Va ancora sottolineato, d’altronde, che l’accostamento scherzoso tra la figura

impet-tita del pedante e quella del pesce essiccato non è isolato nella Liguria tardomedievale,

dove un analogo uso metaforico è riferito a un altro oggetto dall’aspetto rigido e

allun-gato; da Genova proviene infatti anche la prima attestazione della voce

baccalare nel

si-gnificato di “mensola sporgente dallo scafo per sostenere i travi su cui erano disposti gli

scalmi” in uso sulle antiche galee

59

: se è vero che essa compare in italiano nel 1602

60

, e se

il gdli richiama in proposito soltanto il veneziano

bacalai “legni calettati e inchiodati

sulla coperta della poppa”, va sottolineato invece che

li bachalari de rovere o de olivo o de pino o de fo

si trovano menzionati in volgare genovese già nel 1512

61

: dal genovese o più

probabil-mente dal veneziano il termine sarà poi passato in alcuni dialetti settentrionali a

indica-re il “sostegno per la lucerna”

62

.

Tutte queste considerazioni di natura etimologica, fonetica, morfologica e

storico-culturale inducono a questo punto a riconsiderare criticamente il rapporto delle forme

italo- e iberoromanze in

bac- con quelle verosimilmente derivate dal guascone cabilhau,

a partire dal francese

cabillaud fino al neerlandese kabeljauw.

In linea di principio, l’ipotesi che l’avvicinamento tra

bachalar “saccente” e il

nome di un prodotto che perveniva in parte a Genova anche dalle Fiandre, per via

terra attraverso la Francia

63

, possa essere stato facilitato per paraetimologia

dall’as-sonanza con la variante fiamminga

bakeljauw, non mi pare del tutto da scartare, a

condizione che di tale forma sia in effetti ricostruibile un repertorio di attestazioni

antiche e una sequenza di datazioni: tuttavia, Corominas afferma senza mezzi termini

che

bakeljauw non compare prima del secolo xvi, al punto da attribuire tale forma a

influsso di una forma basca su quella neerlandese

64

.

In linea di massima, pare quindi più economico, nel momento in cui si voglia

rico-noscere il giusto rilievo all’attestazione ligure, e si ammetta la possibilità di una diversa

origine delle forme italo- e iberoromanze rispetto a quelle di derivazione guascone,

ipotiz-zare per le due voci una storia sostanzialmente priva di significative interrelazioni. D’altro

canto, la possibilità di un rapporto tra

baccalà e baccalare, secondo la trafila semantica che

è stata illustrata, mi pare non meno plausibile della complessa ricostruzione di un’origine

monogenetica delle varie forme francesi, fiamminghe, basche, spagnole, portoghesi,

italia-ne ecc. In ogni caso, essa è destinata a manteitalia-nere la propria validità anche qualora ulteriori

retrodatazioni o considerazioni di ordine linguistico e storico-culturale dovessero

sposta-re il centro di irradiazione della voce per “merluzzo salato ed essiccato”, dalla Liguria ad

altre aree del mondo romanzo in cui poteva aver senso accostare a tale prodotto la figura

(10)

allampanata e segaligna del pedante di professione. Sotto quest’ultimo aspetto, non è

im-possibile che futuri ritrovamenti siano destinati a fornire conferme, o significative

smen-tite, alla ricostruzione che in base alle conoscenze attuali è stata proposta in queste note.

Note

1. La poesia, vv. 262-264, in Satire di Salvator Rosa con le note di Anton Maria Salvini e di altri, Tomaso Masi, Londra (Livorno) 1781, p. 99. La segnalazione è già nel Vocabolario universale italiano compilato a cura della società tipografica Tramater e C.i, Tramater, Napoli 1821, vol. i, p. 549. Tra i repertori recenti, solo quello di A. Nocentini, L’etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze 2010, posticipa la datazione al secolo xviii, senza ulteriori precisazioni.

2. Il deli (Dizionario etimologico della lingua italiana, a cura di M. Cortelazzo e P. Zolli, Zanichelli, Bologna 1999) ricorda in particolare le forme baccalaos, baccalani, bavaliaos ecc. menzionate negli spogli di E. Zaccaria, Raccolta di voci affatto sconosciute o mal note ai lessicografi e ai filologi, Ravagli, Marradi 1919, pp. 9, 95, 158, e Id., L’elemento iberico nella lingua italiana, Cappelli, Bologna 1927, pp. 39, 429.

3. Sempre il deli ricorda attestazioni del 1562 e del 1563 («d’intorno alla detta isola [Islanda] vi è grandis-sima pescagione di pesci, e in grandisgrandis-sima quantità vi sono baccaglaos e stochfis, e vi vanno e pescatori d’Inghil-terra et di Normandia. Et caricano le nave di detti pesci secchi, da’ quali ne ho mangiati et son molto dolci et buoni», B. Baroncelli, Cosmografia Universale).

4. Cfr. dei (C. Battisti, G. Alessio, a cura di, Dizionario etimologico italiano, Barbera, Firenze 1950-57): «spagn[olo] bacalao, bacallao (port[oghese] bacalhau)»; gdli (Grande dizionario della lingua italiana, a cura di S. Battaglia e G. Bàrberi Squarotti, utet, Torino 1961-2004): «spagn[olo] bacalao»; deli: «sp[agnolo] bacalao»; gradit (Grande dizionario italiano dell’uso, a cura di T. De Mauro, utet, Torino 1999): «dallo sp[agnolo] bacalao», e così Palazzi-Folena (F. Palazzi, G. Folena, Dizionario della lingua italiana, Loescher, Torino 1992), disc (F. Sabatini, V. Coletti, disc: Dizionario italiano Sabatini Coletti, Giunti, Firenze 1997), Zingarelli (lo Zingarelli. Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Torino 2016) ecc.; solo per Nocentini «dal cat[alano] bacallá, dallo sp[agnolo] bacalao».

5.Tale forma che compare in un documento emesso dal conte Filippo di Fiandra presso la Camera di Commercio di Lille, corrisponde al medio neerlandese cab(b)eliau che continua appunto nel moderno ka-beljauw (Trésor de la Langue Française, d’ora in avanti citato come tlf e consultato nella sua versione informa-tica, http://atilf.atilf.fr/).

6. Cfr. anche G. Devoto, Avviamento alla etimologia italiana, Mondadori, Milano 1979, e, tra gli studi di carattere non strettamente linguistico, L. Messedaglia, Da una novella di Franco Sacchetti e dal Viaggio di Pietro Querini alla vera storia del baccalà in Italia, in “Atti dell’Istituto veneto di scienze lettere ed arti”, 111, 1952-53, pp. 1-27, ora in C. Barberis, U. Bernardi (a cura di), La gloria del mais e altri scritti sull’alimentazione veneta, Colla, Vicenza 2008, pp. 311-28, e Id., Alcune voci del glossario latino italiano di P. Sella, in Miscellanea in onore di Roberto Cessi, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1958, vol. iii, pp. 387-403, a pp. 401-2; L. De Anna, «Stoccafisso», Un settentrionalismo di origine quattrocentesca, in “Settentrione”, 2, 1990, pp. 77-131, a pp. 102-4; U. Bernardi, Del viaggiare. Turismi, culture, cucine, musei open air, Franco Angeli, Milano 1997, pp. 128-30.

7. J. Corominas, Diccionario crítico etimológico castellano e hispánico, Gredos, Madrid 1980, vol. i, p. 445, d’ora in avanti citato come dcech.

8. Riporto il passo, sul quale dovremo ritornare, nella traduzione pubblicata dal Ramusio nel 1550, che è anche tra le più antiche attestazioni della voce in italiano: «Ma a questa ultima opinione è contraria la naviga-zione che fece il molto prudente e pratico dell’arte del navicare Sebastian Gabotto viniziano. Costui essendo piccolo fu menato da suo padre in Inghilterra, dapoi la morte del quale trovandosi ricchissimo e di grande ani-mo, deliberò, sì come avea fatto Cristoforo Colombo, voler ancor lui scoprire qualche nuova parte del mondo. E a sue spese armò duoi navili, e del mese di luglio si misse a navigar tra il vento di maestro e tramontana, e tanto andò avanti che col quadrante vedeva che la Tramontana gli era levata gradi 55, dove trovò il mare pieno di pezzi grandissimi di ghiaccio quali andavan in qua e in là, e li navili andavano a gran pericolo se urtavano in quelli. In quel luogo allora non si vedeva la notte simile alle nostre, perché quel spazio che è dal tramontar del sole al levare era chiaro come da noi si vede la state alle 24 ore. E per cagione di detto ghiaccio gli fu forza tornarsene adietro, e torre il camino per la costa, la qual scorre prima per un spazio verso mezodì, poi si drizza verso po-nente, e perché in detta parte trovò una moltitudine di pesci grandissimi che andavan insieme appresso li liti,

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e intese per cenni dagli abitatori che gli chiamano baccalai, chiamò questa la terra delli Baccalai. Con li quali abitatori avuto un poco di commercio, gli trovò esser di buono intelletto, e che andavan coperti tutto il corpo di pelli di diversi animali. In questo luogo, e poi nel resto della navigazion che fece dietro a questa costa verso ponente, disse che sempre trovava l’acque correr verso ponente, alla volta del golfo che abbiam detto che fa detta terra ferma. Né voglio che lasciamo adietro un giuoco, qual referì detto Sebastian Gabotto aver veduto insieme con tutti li compagni con lor gran piacere, che molti orsi che si trovano in quel paese venivan a far la caccia di questi pesci baccalai in questo modo. Appresso li liti sono molti arbori grandi, le foglie de’ quali cascano in mare, e li baccalai a schiere le vanno a mangiare. Gli orsi, che non si pascon d’altro che di questi pesci, stanno in agguato sopra li liti, e come veggono appressarsi le schiere di detti pesci, quali sono grandissimi e hanno la forma di tonni, si lanciano in mare abbracciandosi con un di loro, e appiccandogli l’unghie sotto le squamme non gli lascian partire, e si sforzan di tirargli su ’l lito. Ma li baccalai, ch’hanno gran forza, gli girono intorno e tuffano in mare, di maniera che essendo questi duoi animalacci insieme è grandissimo appiacere vedere ora un sotto il mare, ora l’altro di sopra, sbuffando l’acqua in aere. Pur alla fine l’orso tira il baccalao al lito, dove se lo mangia. Per questa causa si pensa che tale moltitudine d’orsi non faccino dispiacere agli uomini del paese», Sommario dell’Historia dell’Indie Occidentali cavato dalli libri scritti dal Sig. Don Pietro Martire Milanese…, capitolo 47, in Terzo volume della navigationi et viaggi raccolto già da m. Gio. Battista Ramusio…, Stamperia de’ Giunti, Venezia 1565, p. 36r. Tra le altre attestazioni precoci in spagnolo ricordo, su gentile segnalazione di Pär Larson, quella della Relación escrita por Maximiliano Transilvano de cómo y por quién y en qué tiempo fueron descubiertas las islas Molucas… del 1522: «e que ansi mismo se habian hallado y descubierto otras dos tierras hácia el septentrion la una llamada la tierra de los bacallaos, de cierto género de peces que se dicen bacallaos que alli hay, y la otra la tierra Florida», in Colección de los viages y descubrimientos que hicieron por mar los españoles desde fines del siglo xv… coordinada è ilustrada por d. Martín Fernández de Navarrete…, Imprenta Nacional, Madrid 1835, t. iv, p. 255.

9. Il portoghese bacalhaos si legge nel 1519 nell’edizione amburghese di Gil Vicente.

10. Il tlf cita in effetti cabellau già nel 1250 in documenti commerciali provenienti da Lille, mentre al 1278 risale la forma cabillau, che si fissa nella grafia moderna cabillaud a partire dal 1762.

11. «Como el centro del área de difusión del vocablo es Francia, y en vista de la característica terminación -au, -ao, me inclino a creer que hay que buscar el origen ultimo allá, donde el fr[ancés] cabillaud “bacalao fresco” ya aparece en 1278, un siglo después del primer y aislado testimonio germánico de nuestra voz; en vista de las voces caputo, testuto, mazzo, que cita Florio como nombres italianos de este pescado, evidentemente alusivas a su gran cabeza, comparada con una maza, es posible que tenga razón Barbier Rev. de Phil. Fr. xx, 112-3, al derivar ca-billaud del gascón cap “cabeza” o más bien de sus diminutivos cabilh, cabelh < capitulum (comp[arar] cabilat, nombre de un pez de cabeza grande, en Palay, compuesto de cap y lat[ino] latus)».

12. Corominas esclude invece con buoni argomenti che il basco possa essere all’origine delle diverse forme romanze e germaniche (come aveva suggerito invece A. Carnoy, Basque bacalao, néerlandais kabeljauw, in “Re-vue Internationale d’Onomastique”, 7, 1955, pp. 260-2, e come dubitativamente propone ancora A. Houaiss, Di-cionário Houaiss da Lingua Portuguesa, Instituto A. Houaiss, Rio de Janeiro 2001): «se ha supuesto con mayor fundamento que el origen esté en vasco (bakailao, bakailo, makailao, makailo, en los varios dialectos), atendien-do a que ya en 1609 […] y aun antes, se atribuye la paternidad a los vascos, o que naciera en el castellano de la costa cantábrica, y que aquí proceda del lat[ino] baculum “baston”, denominación análoga al ingl[és] stockfish, neerl[andés] stockwisch, alem[án] stockfisch, y explicable por la costumbre de poner a secar el bacalao sobre per-chas. Fonéticamente sería inadmisible este origen en castellano; no tanto en vasco, comp[arar] bacillum > makila. De hecho otra denominación del bacalao se extendió por Europa desde el País Vasco: fr[ancés] laberdan, ingl[és] haberdine, alem[án] laberdan, ruso labardan “bacalao seco”, procedentes de labordano, nombre del país de Bayona; y la forma oc[citana] macaiau y gall[ega] macallau […] muestra en su m- huellas de un origen vasco. Sin embargo, con la hipótesis de una evolución vasca de baculum no explicamos todavía la segunda vocal a ni la terminación -ao; y sobre todo la supuesta procedencia vasca tropieza con lo tardío de la documentación del vocablo en la Península Ibérica, y con la dificultad de que los germanos tuvieran debido tomarlo del vasco ya en el s[iglo] xii, fecha en que no sabemos que los vascos pescaran en los mares del Norte». Del resto l’ipotesi basca, sostenuta a suo tempo da D. R. Bluteau, Vocabulário Portuguez e Latino, Collegio das Artes da Companhia de Jesu, Coimbra 1712, e ripresa tra gli altri da Diez e Littré, era già stata confutata da A. R. Gonçálvez Viana, Apos-tilas aos dicionários portugueses, Livraria Clássica Editora, Lisboa 1906, vol. i, p. 113.

13. A. M. Alcover, F. de B. Moll, Diccionari català – valencià – balear, Moll, Palma de Mallorca 1926-69 (d’ora in avanti citato come dcvb). Il plurale bacallans è rifatto sulle voci catalane che presentano al singolare la regolare caduta di -n finale da -anus (català / catalans, valencià / valencians ecc.), e da qui in particolare ha

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avuto origine la rara forma italiana baccalano. Dal catalano o dallo spagnolo antico (bacallao) la voce è passata al sardo, come denuncia la pronuncia palatale di -l- nei dialetti logudoresi e campidanesi (M. L. Wagner, Dizio-nario etimologico sardo, Winter, Heidelberg 1957).

14. Questo, anche a invocare il tramite del basco in quanto lingua caratterizzata da una spiccata propen-sione alla metatesi: «finalmente, hacia el Sur, cabillau(d) se convertiría en el vasco bakailao, con metátesis de tipo frecuente en este idioma (nabala “navaja” > labana, gaparra > garraba)» ma francamente quest’ultimo argomento, addotto da Corominas a sostegno della sua tesi, mi pare un po’ debole.

15. Sulla relazione di Michele da Cuneo, sulla sua storia e sulle vicende legate alla sua ricezione come fonte autentica delle scoperte colombiane, rimando in particolare allo studio di A. Núñez Jiménez, Michele da Cuneo nel nuovo mondo, a cura di G. Rebora, Dan.Er., Savona 1994, che contiene (pp. 145-56) la trascrizione dell’unica copia del documento, operata sull’originale conservato presso la Biblioteca Universitaria di Bologna.

16. In Núñez Jiménez, Michele da Cuneo, cit., p. 150.

17.Sulla debolezza di -r- intervocalica e sulla sua pronuncia palatale in area ligure esiste un’ampia biblio-grafia. Per la discussione del fenomeno che prelude alla definitiva caduta di -r- etimologico e di -r- < -l- in ge-novese, rimando a quanto discusso in F. Toso, Il tabarchino. Strutture, evoluzione storica, aspetti sociolinguistici, in A. Carli (a cura di), Il bilinguismo tra conservazione e minaccia, Franco Angeli, Milano 2004, pp. 23-232, a pp. 182-6. D’altro canto, forme metatetiche di questo tipo si segnalano anche nel portoghese, che per “baccelliere” ha ad esempio bacharel contro il castigliano bachiller, e che ha ripristinato solo in tempi relativamente recenti chanceler rispetto al più antico chançarel (Gonçálvez Viana, Apostilas, cit., vol. i, p. 114).

18. Mùzaro è la forma antica del genovese moderno muzao [΄my:zow] “muggine”, documentato dalla fine del secolo xiii nella forma muzalo nella stessa fonte che contiene anche la prima attestazione di lovazo “bran-zino”, oggi loasso [΄lwasu]: «lezha umbrina ni lovazo / ni pexo groso de marrazo / ni gram muzalo peragar / no me fan za stomagar» (Anonimo Genovese, rima xxxvi, vv. 75-78). Si noterà anche in questo caso l’alternanza -l- / -r-.

19. Sul commercio del pesce salato a Genova e da Genova rimando in particolare all’attento studio di N. Calleri, L’arte dei formaggiai a Genova tra Quattro e Cinquecento, Quaderni di Storia Economica, Genova 1996. 20. Cfr. in proposito Vocabolario delle parlate liguri. Lessici speciali 2-1. I pesci e altri animali marini, reda-zione a c. di M. Cortelazzo, Consulta Ligure, Genova 1995 (d’ora in avanti citato come vpl Pesci).

21. P. Martire d’Anghiera, Opera, Akademische Druck u. Verlagsanstalt, Graz 1966, p. 125 (contiene l’edi-zione anastatica della Legatio Babylonica edita ad Alcalá nel 1516).

22. Si veda in merito, tra gli altri, P. Bakker, Language Contact and Pidginization in Davis Strait, Hudson Strait, and the Gulf of Saint Lawrence (Northeast Canada), in E. Håkon Jahr, Ingvild Broch (eds.), Language Contact in the Arctic. Northern Pidgins and Contact Languages, Mouton de Gruyter, Berlin 1996, pp. 261-95, a p. 267. È destituita di fondamento l’ipotesi che la Terra Nova do Bacalhau, come viene citata in alcune carte dei primi decenni del secolo xvi, sia stata toccata dal navigatore portoghese João Vaz Corte-Real prima dei Caboto e della stessa scoperta di Colombo, e che a lui si debba tale battesimo: essa si basa esclusivamente su testimonianze tardive e imprecise riportate nelle sue Saudades da terra (1586-90) dal sacerdote portoghese Gaspar Frutuoso (1522-1591).

23. Solo A. R. Gonçálvez Viana commenta in tal senso il passo di Pietro Martire ma per sottolineare

ragio-nevolmente come «o vocábulo, com esta ou outra forma parecida, nem em groenlandês ou ésquimo, nem em qualquer dos idiomas dos índios bravos daquelas rejiões americanas se encontra» (Gonçálvez Viana, Apostilas, cit., vol. i, p. 114). Tale circostanza è confermata da Bakker, Language Contact and Pidginization, cit., p. 295, nota 1: «The word for “codfish” in the relevant Native languages of the area bears no similarity to bacalaos. In (West Groenlandic) Eskimo there is saarullik “cod” and uuaq “tommy cod”, in Southern Labrador Eskimo pipsi is “dried cod”. In Montagnais “cod” is u:nu:šu in the eastern dialects and wanu:šwi in the western dialect. In Micmac “cod” is peju (seventeenth century apegé […]) and “tommy cod” is plámuj. In Maliseet it is nuhkomeq. In Beothuk it is bobboosoret and in Saint Lawrence Iroquoian gadogourseré. The latter two words show a strik-ing similarity; the Iroquoian word could be a barrowstrik-ing from Beothuk; labials become uvulars in loanwords in Iroquoian languages. There is no original word for “cod” in Mohawk». Bakker ipotizza peraltro l’esistenza di un precoce pidgin a base lessicale portoghese, dal quale gli indigeni americani avrebbero tratto il termine ba-calao a essi attribuito da Pietro Martire, circostanza sulla quale mi pare però lecito formulare più di un dubbio. 24. Nel vol. xv del Dizionario Biografico degli Italiani, alla voce che concerne il navigatore, U. Tucci sostie-ne la possibilità che egli fosse originario di Gaeta, dove una famiglia Caboto è attestata dal secolo xiii. Questo argomento è tuttavia poco rilevante non solo alla luce della testimonianza dell’Ayala, ma anche dell’antica e solida presenza dei Caboto in Liguria: membri di tale famiglia (Caboto, Cabotto, Cabuto, Cabutto) figurano

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infatti in documenti genovesi e savonesi del 1135, 1146, 1157, 1168, 1175, 1178, 1179, 1182 ecc. (F. Grillo, Origine storica delle località e antichi cognomi della Repubblica di Genova, Calasanzio, Genova 19644, pp. 20, 29, 38, 46,

54; S. Aprosio, Vocabolario ligure storico bibliografico, Società Savonese di Storia Patria, Savona 2001-02, d’ora in avanti citato come vlsb). Quanto a Sebastiano, nacque forse a Venezia, ma egli stesso affermava di essere nato a Bristol, dov’era presente una fiorente colonia genovese, e di essersi trasferito a Venezia solo all’età di quattro anni. Sui viaggi dei Caboto cfr. tra gli altri F. Surdich, Gli Italiani nelle Indie occidentali e orientali nel xvi secolo, in M. Azzari, L. Rombai (a cura di), Amerigo Vespucci e i mercanti viaggiatori fiorentini del Cinquecento, Firenze University Press, Firenze 2013, pp. 15-39.

25. Cfr. M. L. De Nicolò, Il Mediterraneo nel Cinquecento tra antiche e nuove maniere di pescare, Museo della Marineria W. Patrignani, Pesaro 2011, p. 52. La citazione (riferita anche dal deli) è da B. Baldigara, Ragio-namento di maraviglie non mai dato in luce: opera nova nella qual si tratta de pesci maravigliosi, che si trovano in diverse peschiere d’acque dolci et salse, et delle guerre, et armate da mare, et degli arsenali de principi et di molte cose stupende, che si trovano in diversi lochi, con il lamento d’i poveri Schiavi ch’è ne le galere sforzate, V. de Vian et B. F.lli, Venezia s.d. [1562]. La voce temolo viene ricordata ancora in G. Boerio, Dizionario del dialetto di Venezia, Santini, Venezia 1829, p. 668.

26. Sulle caratteristiche della scripta ligure tardo-quattrocentesca rimando a F. Toso, Storia linguistica della Liguria, vol. i, Dalle origini al 1528, Le Mani, Recco 19972, pp. 89-104 e 171-96 (con un commento della lingua

di M. da Cuneo a pp. 186-8).

27. Da qui il genovese moderno ha regolarmente baccalà [baka´la], forma documentata poi, significati-vamente, con qualche decennio di anticipo rispetto alla prima attestazione «ufficiale» in italiano (quella in S. Rosa): «me n’andava criando in sà e in là / chi accatta baccalà?» («me ne andavo gridando qua e là / chi compra il baccalà?»), in Le poexie di Giuliano Rossi e d’altri diversi autori in lingua genovese, ms. ii.1.8 della Biblioteca Civica Berio di Genova, c. 71v. Il Rossi fu attivo tra il 1612 e il 1654. A sua volta la serie storica dei dizionari genovesi ottocenteschi riporta sistematicamente la voce, a partire da G. Olivieri, Dizionario domestico genovese-italiano, Ponthenier, Genova 1841, p. 15: «Baccalà. Merluzzo, Baccalà, specie di pesce bianchiccio. Si pesca nell’Oceano settentrionale, donde ci si reca seccato al vento o salato».

28. Credo che sia opportuno, a questo riguardo, constatare la frequenza con la quale il singolare di pre-stiti dall’italiano e dal genovese allo spagnolo popolare in ambito alimentare risulti rifatto sul plurale: non mi riferisco soltanto al genovesismo el cavañéti “dolce pasquale con uova” dello yanito gibilterrano (F. Toso, Linguistica di aree laterali ed estreme. Contatto, interferenza, colonie linguistiche e «isole» culturali nel Mediter-raneo occidentale, Le Mani e Centro Internazionale sul Plurilinguismo, Recco e Udine 2008, p. 298), ma anche e soprattutto agli italianismi gastronomici presenti in spagnolo popolare rioplatense, dove il fenomeno appare pressoché generalizzato: el amareti, añoloti, brócoli, espagueti, salami ecc. (G. Meo Zilio, Italianismos generales en el español rioplatense, in “Thesaurus. Boletín del Instituto Caro y Cuervo”, 20, 1965, pp. 68-119).

29.Il provenzale bacaiau, bacalhau, macaiau (F. Mistral, Lou tresor dóu felibrige ou dictionnaire proven-çal-français, Veuve Remondet-Aubin, Aix-en-Provence 1879-86) sembra dipendere in particolare dallo spagno-lo antico bacallao. Per le forme sarde e siciliane si veda quanto discusso alle note 13 e 56.

30. C. Michaëlis, Studien zur romanischen Wortschöpfung, F. A. Brockhaus, Leipzig 1876, p. 169. Io stesso debbo peraltro riconoscere di aver preso conoscenza di questo lavoro solo dopo la prima, concisa formulazione della mia ipotesi in F. Toso, Dizionario etimologico storico tabarchino, vol. i, a-cüzò, Le Mani e Centro Interna-zionale sul Plurilinguismo, Recco e Udine 2004, d’ora in avanti citato come dest.

31. Quest’ultima interpretazione viene tuttavia contestata da Gonçálvez Viana, Apostilas, cit., p. 112, secon-do il quale «curadillo não è mais que o deminutivo de curado, particípio passivo de curar “conservar por meio de fumo, sal, exposição ao sol etc.”».

32. D’altronde le forme ittionimiche legate a un’affinità di colore o di aspetto con l’abito o il portamento dei religiosi sono comunissime in tutte le tradizioni linguistiche romanze. Per l’area ligure posso limitarmi a citare, da vpl Pesci, il pésciu frate “pesce imperatore” a Portovenere, il fratìn “sarago maggiore” a Monterosso e il pésciu prêve comune a tutta l’area, e noto anche in italiano come “pesce prete”. Altre denominazioni riferibili alla sfera religiosa sono pésciu àngeru “pesce squadro”, pésciu diàu “diavolo di mare”, pésciu san Péru “pesce san Pietro”, pésciu sant’Antòniu “chimera” o “sarago comune”, sant’Andrìa “sarago comune” e così via.

33. L’interpretazione proposta dalla Michaëlis fu ripresa e approfondita trent’anni dopo da Gonçálvez Viana, Apostilas, cit., pp. 112-3, e ha goduto di un certo credito in ambiente portoghese, dove è stata accolta tra gli altri da A. Nascentes, Dicionário Etimológico da Língua Portuguesa, Ed. Jornal do Comércio, Rio de Janeiro 1955 e L. Freire, Novissimo Dicionário da Língua Portuguesa, J. Olympio ed., Rio de Janeiro 1957. L’origine

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olan-dese della voce è sostenuta invece in J. P. Machado, Dicionário Etimológico da Língua Portuguesa, Confluéncia, Lisboa 1956.

34.M. Pfister, W. Schweickard (a cura di), lei. Lessico etimologico italiano, Reichert, Wiesbaden 1979-... Voce *baccalaris/*baccalarius, in lei, vol. iv, pp. 125-31. A questo articolo, firmato da M. Pfister, rimando in ge-nerale per la bibliografia pregressa e per le considerazioni sulla storia del termine nei significati ivi commentati. 35. Per questo sviluppo, il few (W. von Wartburg, Französisches Etymologisches Wörterbuch, [città ed edi-tori vari], 1922 ss.) e il dei supponevano un latino medievale baccalarius col valore di “aspirante cavaliere prima di essere investito”, «tesi non sostenibile perché in quasi la metà dei casi l’a[ntico] fr[ancese] bacheler vale già cavaliere» (lei, cit., p. 125); “giovane nobile” è attestato in fiorentino antico nel 1272, in latino medievale cam-pano già nel 1063 (lei).

36.Lo sviluppo semantico della voce in quest’ambito viene così riassunto dal dei, p. 394: «in origine cavaliere d’armatura leggera che era compensato colla concessione d’una terra detta “baccalaria”; poi passò a indicare il clero minore: il baccalaureus biblicus era chi poteva fare delle esposizioni sulla Bibbia, il baccalaureus formatus chi conosceva i primi libri di Pietro Lombardo. Il baccellierato passò in seguito alle facoltà giuridiche e divenne un grado inferiore alla laurea e alla licenza; in questo significato è in Dante, Dino Compagni e Gio-vanni Villani».

37.Che almeno in genovese si tratti in ultima analisi di un prestito, lo si deduce non solo dalla storia pre-valentemente galloromanza del termine, ma anche dalla conservazione di -l- intervocalica senza passaggio a -r-, a meno di non ipotizzare una variante originaria in -ll-, come proposto dal lei per il latino medievale catalano bacallaria (secolo ix), per il provenzale antico bacallar (1180) ecc.

38. Un esempio precoce in volgare dell’uso del termine come insulto si desume dalle carte pistoiesi esami-nate in P. Larson, Ingiurie e villanie dagli Atti podestarili pistoiesi del 1295, in “Bollettino dell’Opera del Voca-bolario Italiano”, 9, 2004, pp. 347-52, a p. 352: «Nutus Bonacolti de Lamporecchio quoniam constat nobis […] dixisse villaniam gravem iniuriam continentem de Nello seu Daniello Michi de eodem loco, dicendo eidem Soçço mal bacalare che tu sè».

39. Mainfredus Bacalarius in Il cartulario di Arnaldo Cumano e Giovanni di Donato (Savona 1178-1188), a

c. di L. Balletto, G. Cencetti, G. Orlandelli, L. Pisoni, B. M. Agnoli, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Roma 1978, p. 422; l’uso cognominale è confermato una quarantina d’anni dopo nella vicina Vado, dove nel 1241 compaiono un Anselmus Bacalarius e, con maggiore aderenza alla morfologia volgare, un Enrigetus Bachalar, in Liber Jurium Reipublicae Genuensis, Historiae Patriae Monumenta, Torino 1854, vol. i, p. 738; analoga, ancora a Savona nel 1263, l’attestazione toponimica in Fornellata Bacalaris in M. Nocera, F. Perasso, D. Puncuh, A. Ro-vere, I Registri della Catena del Comune di Savona. Registro ii. Parte i, in “Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria”, 22, 1987, p. 144. Desumo qui e di seguito le attestazioni in latino medievale ligure dal vlsb.

40. Genova, 1218, in L. T. Belgrano, Il secondo registro della Curia Arcivescovile di Genova trascritto da Luigi Beretta, in “Atti della Società Ligure di Storia Patria”, 18, 1888, pp. 1-699, a pp. 327 e 329. Cfr. il latino medievale veneziano falsse bacalar (1290) ricordato dal lei, cit., nota 2.

41. Savona, 1250, in V. Pongiglione, Il libro del Podestà di Savona nell’anno 1250, in “Atti della Società Savo-nese di Storia Patria”, 28, 1956, pp. 57-233, a pp. 68, 94, 100, 154.

42. Savona 1398, in V. Pongiglione, Le carte dell’Archivio Capitolare di Savona, Tip. Ricci, Savona 1913, p. 192.

43. Genova 1442, in V. Vitale, Documenti sul castello di Bonifacio nel secolo xiii, in “Atti della Società Ligu-re di Storia Patria”, 65, 1936, pp. 1-493, a p. 26.

44. Genova 1466, in G. Costamagna, Gli Statuti della Compagnia dei Caravana del porto di Genova (1340-1600), in “Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino”, Serie 4, 8, 1965, p. 57.

45.Poesia cxlvi, vv. 101-120, cfr. Anonimo Genovese, Rime e ritmi latini, edizione critica a cura di J. Nicolas, Commissione per i Testi di Lingua, Bologna 1994, p. 465: «durasse per sempre questo mio giorno [il Martedì Grasso] / e dovesse pagarne lo scotto / un certo saccente che mi sta sempre tra i piedi, / ossia il Mercoledì Santo! / Con la sua testa sudicia di cenere / e la sua greve compagnia / mi spaventa fin da lontano / e sconvolge le mie attività. / Non mi lascia presagire alcun bene / facendo un gran uso / di legumi, fave e tonnina: / in tal modo mi umilia. / E sembra che mi voglia mandare alla rovina, / mi stringe il cuore, me lo secca, me lo spreme; / piacesse a Dio che non venisse / se non una volta ogni dieci anni, / o quando io dovessi richiederlo. / Ma mi è così contrario, / che se dipendesse da me / non lo si troverebbe mai nel calendario».

46. Il lei, cit., sotto 3.b. segnala oltre alla forma genovese, il cremonese antico bachalero “uomo saccente che non cessa di parlare”, il milanese antico bacaler “sapientone, persona che si dà delle arie” ecc. Per il toscano,

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il plurale bacalari con questo significato è in aretino antico intorno al 1330 (Cenne della Chitarra), e in italiano quest’accezione compare dal 1348 in Francesco da Barberino.

47. G. Boccaccio (1313-1375), Decameron, giornata ii, novella 5. Questa e le citazioni seguenti sono riprese dal gdli.

48. L. Pulci (1432-1484), Morgante, canto xviii, ottava 39. 49.M. Bandello (1484-1561), Novelle, parte i, novella 34.

50. P. Aretino (1492-1556), Le carte parlanti, a c. di E. Allodoli, Carabba, Lanciano 1914, p. 103. 51. A. Firenzuola (1493-1543), Ragionamenti, Giornata i, novella 2.

52. Tale forma, ancora viva in genovese moderno (macordì scuöto [makur΄di sky΄o:tu]), va interpretata come “mercoledì pulito”, riferito al Mercoledì delle Ceneri (da scuâ “pulire”, perché in tale giorno si “ripulisco-no” le tracce del Carnevale).

53.Mi limito a rimandare a tale proposito alle osservazioni di F. Braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo, vol. i, Le strutture del quotidiano, Einaudi, Torino 1982, p. 189 (edizione originale Civilisation ma-terielle, économie et capitalisme (xve-xviiie siècle), Colin, Paris 1979), che ricorda come il pesce «è tanto più

importante, in quanto le prescrizioni religiose moltiplicano i giorni di digiuno (166 giorni all’anno) […] di qui l’enorme bisogno di pesce, salato o affumicato». In merito al rapporto con la Quaresima, basti pensare che in Catalogna «el bacallà és el símbol de l’abstinència i del temps quaresmal; per això en les representacions gràfiques de la Quaresma la pinten amb un bacallà en una mà; a Barcelona se representava amb set bacallans (la dona dels set bacallans), i cada diumenge de Quaresma li llevaven un bacallà, així com a altres comarques la representen amb set peus i els hi arranquen d’un en un cada setmana» (dcvb).

54. Per l’italiano bastino le accezioni riferite dal gdli, di “persona lunga e magra” (deli “persona ma-gra e asciutta”), “stupido, malaccorto”, ma anche “miscredente” detto soprattutto dei protestanti, per il vestito austero dei loro pastori” (quest’ultima riferita anche dal dei), o dipendente «da locuzioni come si crede un gran baccalare, baccalar di Salamanca, di chi affetta grande scienza e su essa appoggia la sua incredulità» (B. Migliorini, Che cos’è un vocabolario, Le Monnier, Firenze 19613, p. 52; cfr. anche, ad esempio, il tabarchino séccu,

sciütu cumme ’n bacalà “secco, asciutto, magro come un baccalà” (dest), il siciliano bbaccalaratu “rinsecchito” e “disadorno, sciatto”, “goffo” (G. Piccitto, Vocabolario siciliano, Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, Catania-Palermo 1977-2004, d’ora in avanti citato come VS); cfr. anche in catalano “persona molt magra i seca” e “peça de roba que està acartonada per haver estat massa temps estesa al sol”, e la locuzione “esser sec com un bacallà: esser molt sec o magre” (dcvb).

55. M. Bandello, Novelle, parte iii, novella 46. Bandello utilizza qui un più generico significato secondario di baccalare, quello ironico di “animale o cosa strana che ispira scherzosa ammirazione”, già presente nel Sac-chetti (1332-1400) e nel Firenzuola, probabilmente come evoluzione semantica da “uomo presuntuoso, che si dichiara ‘mostruosamente’ sapiente”: «avvolse la lampreda attorno al cappone, e arrostigli insieme, ponendogli nome “il baccalare cinghiato”» (F. Sacchetti, Il Trecentonovelle, novella 209; secondo il lei si tratta di un uso ironico della locuzione baccalare cinghiato “il dottore laureato, ornato di cinghia, o cintura, che in questo caso era costituita dalla lampreda che cinghiava il cappone”); «veggendo il re tanta umanità e sì cortesi parole in un bacalare così sterminato [un cammello], non solo volentieri lo prese al suo servigio, ma l’assicurò che non gli sarebbe fatto oltraggio alcuno» (A. Firenzuola, La prima veste dei discorsi degli animali e altre prose pubblicate per cura di P. Bonini, Paravia, Torino 1876, p. 59); ma, anche per l’accostamento al tincone “grossa tinca”, non pare improbabile un doppio senso nell’uso eufemistico di baccalare per “pene”, con precoce richiamo a un altro “pesce” qual è appunto il baccalà. Questa interpretazione è suggerita anche da V. Boggione, G. Casalegno, Di-zionario letterario del lessico amoroso. Metafore, eufemismi, trivialismi, utet, Torino 2000, p. 33.

56. Cfr. nel dei e nel gdli le forme toscane per “baccalà”, baccalaro, baccalare, e baccalare, bacalare, bac-calaro “sapientone” ecc., e il calabrese baccalaru (dei). In siciliano si ha omofonia tra bbaccagghiaru “baccalà” (con i sensi figurati di “fannullone”, “maldestro” ecc.) e bbaccagghiaru “astuto”, “permaloso” e “blaterone” (VS), significati che dipendono evidentemente da quello di “dottore” attraverso “sapientone” e non, come propone il lei, da “villano” attraverso uno sviluppo catalano in “uomo viziato”: in ogni caso, per la fonetica, bbaccagghiaru “astuto” è un prestito dal catalano (A. Varvaro, Prima ricognizione dei catalanismi nel dialetto siciliano, in “Me-dioevo romanzo”, 1, 1974, pp. 86-110, a p. 103; A. Michel, Vocabolario critico degli ispanismi siciliani, Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, Palermo 1996, p. 251), ed è assai probabile che il siciliano abbia assunto dalla stessa lingua, come del resto il sardo (cfr. nota 13), anche il valore di “pesce salato ed essiccato”, per quanto esista anche la variante bbaccalaru, che vale a sua volta in senso figurato “grullo” e “persona tarda nel lavorare”. D’altro canto, la somiglianza tra le due voci non ha mancato di generare equivoci, e la citazione del Sacchetti riportata qui sopra fu non a caso scambiata in passato per una prima attestazione del significato “pesce salato ed

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essiccato” (deli). Anche in catalano, a livello dialettale, le due voci talvolta si confondono: nella zona di Alcoy e Alicante rispetto al regolare bacallà si ha bacallar, dovuto secondo il dcech a «confusión con la palabra au-toctona bacallar “bellaco” (con r muda)», che continua uno dei significati negativi di baccalaris. È interessante osservare che l’omofonia tra le due voci perdurò a lungo anche nell’italiano scritto in Liguria: a Genova nel 1821 si parla infatti di cento balle di «baccalari Bertagnino di Francia qui gionte colla tartana francese del capitan Biaggio Roux» e di «balle cento [di] baccalaro» (Calleri, L’arte dei formaggiai, cit., p. 74). Bertagnino sta per il genovese bertagnin [berta΄ñiŋ], ossia “brettone”, “importato dalla Bretagna”.

57. A proposito di tale fortuna vale ancora la pena di ricordare anche le occasionali forme francesi bacayau e bacala ricordate dal dei, che potrebbero essere di mediazione catalano-spagnola la prima, più aderente all’o-riginale genovese e all’italiano la seconda.

58.Genova infatti «funzionerà presto anche come centro di riesportazione del baccalà, in particolare verso Piemonte, Lombardia e Veneto» (Calleri, L’arte dei formaggiai, cit., p. 72, n. 60).

59. La definizione è del gradit. Il termine è così descritto come segue in A. Jal, Archéologie navale, Ar-thur Bertrand, Paris 1840: «courbes clouées sur le pont de la galère et sortant du corps du navire pour porter l’apostis». Il genovese moderno ha preferito la forma collettiva baccalàia [baka΄laja] «baccalari, sono legni conficcati sopra la coperta della galea che sporgono all’infuori sopra il mare. Sopra i zambecchi, questi baccalari o bracciuoli hanno un ramo inchiodato sul ponte e l’altro contro il porto: ve n’è uno per ogni intervallo tra i portelli» (G. Olivieri, Dizionario genovese-italiano, Ferrando, Genova 1851, p. 38). Va comunque rilevato che secondo il dei, che non cita però la sua fonte, la voce sarebbe attestata in italiano già a partire dal secolo xv; interessante in ogni caso è la notazione dello stesso repertorio, secondo la quale in questo significato sarebbe registrata anche la variante baccalà, circostanza che pare confermare l’identità del termine. Cfr. in proposito anche il catalano bacallà «peça de fusta gruixada, de forma corba, que va clavada o emmossada per un extrem a l’orla de la barca de bou, quedant en posició obliqua; cada barca du cinc, sis o més bacallans per banda, i servei-xen per consolidar l’orla contra els cops de mar» (dcvb).

60. B. Crescenzio, Nautica mediterranea, B. Bonfadino, Roma 1602.

61.E. Pandiani, Il primo comando in mare di Andrea d’Oria. Appendice: Studio sulle galee genovesi, in “Atti della Società Ligure di Storia Patria”, 64, 1935, pp. 359-89, a p. 382 (segnalato in vlsb); la voce viene chiosata dal curatore «baccalari, mensole di legno che partono dalla coperta, passano sopra la tappiera e sporgono dal fianco della galea sino a raggiungere il posticcio»; fo è la forma genovese per “faggio”.

62. Il gdli fornisce questa voce come tecnicismo caduto in disuso in italiano, citando il mantovano ba-calàr “sostegno per appendervi i lumi a olio”, oggi bacalär “portalucerne nelle stalle” e il romagnolo bacalèr “lucerniere».

63. È lo stesso Braudel (Civiltà materiale, cit., p. 190) a ricordare come dal Mare del Nord queste derrate venissero importate «verso l’Europa occidentale e meridionale per via di mare, lungo i fiumi, con carri o con bestie da soma», per quanto i collegamenti marittimi appaiano più frequenti (Calleri, L’arte dei formaggiai, cit., p. 32), e cfr. D. Gioffrè, Il commercio d’importazione genovese alla luce dei registri del dazio (1498-1537), in Studi in onore di Amintore Fanfani, Giuffrè, Milano 1962, vol. v, pp. 113-242.

64.«Consta que en los s[iglos] xvi-xvii los vascos se dedicaron intensamente a la pesca del bacalao en estos mares y en los de Groenlandia, y de ellos aprendieron los holandeses el nombre bakeljauw, que aparece en esta época, pero la forma kabeljauw es ya frecuente en neerlandés desde la Edad Media, y formas análogas a esta última se hallan extendidas desde el s[iglo] xiv por todas las lenguas germánicas continentales ribereñas del Mar del Norte». L’antichità di kabeljauw è dunque indiscutibile, e sotto questo punto di vista non è nep-pure sostenibile l’ipotesi della Michaëlis (Studien, cit.) di una sua derivazione per metatesi dallo spagnolo o dal portoghese.

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