• Non ci sono risultati.

Maffeo Vegio, Elegiae, Rusticanalia, Disticha ed Epigrammata: edizione critica e commento

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Maffeo Vegio, Elegiae, Rusticanalia, Disticha ed Epigrammata: edizione critica e commento"

Copied!
1082
0
0

Testo completo

(1)

DOTTORATO DI RICERCA IN

CIVILTÀ DELL’UMANESIMO E DEL RINASCIMENTO CICLO XXV

COORDINATORE Prof. Donatella Coppini

Maffeo Vegio, Elegiae, Rusticanalia, Disticha ed Epigrammata: edizione critica e commento volume I

Settore Scientifico Disciplinare: L-FIL-LET/13

Dottoranda Tutore

Dott. Nicolle Lopomo Prof. Donatella Coppini

Anni 2010/2012

(2)

U

NIVERSITÀ DEGLI

S

TUDI DI

F

IRENZE

D

OTTORATO INTERNAZIONALE IN

C

IVILTÀ DELL

’U

MANESIMO E DEL

R

INASCIMENTO

C

URRICULUM FILOLOGICO

-

LETTERARIO XXV CICLO

N

ICOLLE

L

OPOMO

,

Maffeo Vegio, Elegiae, Rusticanalia, Disticha ed

Epigrammata: edizione critica e commento

Nicolle Lopomo presenta una tesi molto impegnativa, consistente

nell’edizione critica commentata di ben quattro raccolte poetiche

dell’umanista lodigiano Maffeo Vegio (1407-1458): Elegiae, Rusticanalia,

Epigrammata, Disticha. La mole particolarmente ampia del lavoro è

giustificata dalla individuazione di un processo redazionale che porta alla

costituzione delle distinte sillogi a partire da una prima redazione degli

Elegiarum libri, attestata dal codice 1393 della Biblioteca Civica di Verona,

databile a non oltre la metà del 1431, all’interno della quale troviamo carmi

di varia natura (elegie, epigrammi, epitafi e perfino un inno religioso alla

Vergine Maria), alcuni dei quali transiteranno poi, rielaborati, nelle distinte

raccolte di Disticha e di Epigrammata, e inoltre una prima forma dei carmi In

rusticos che successivamente, anch’essi rielaborati, andranno a costituire i

Rusticanalia. È apparso dunque non solo interessante, ma anche necessario

affrontare, da un punto di vista propriamente filologico-ecdotico, lo studio

congiunto e sistematico delle quattro raccolte che si diramano da questo

insieme originario.

L’individuazione e la ricostruzione di questo interessante processo è

frutto di un duro e generoso lavoro di prima mano, basato sull’escussione

di tutti i manoscritti che contengono le opere poetiche del Vegio:

censimento, collazione, esame delle lezioni, ipotesi di ricostruzione

stemmatica portano alla costituzione di testi sicuri, seppure sia stata assai

(3)

ardua la formulazione di precise ipotesi relativamente a una tradizione in

continuo movimento per interventi autoriali succedutisi nel tempo, che

hanno investito la struttura delle opere e la loro lezione.

La prima redazione delle Elegiae pare dunque espressione di una non

ancor raggiunta consapevolezza nel Vegio delle differenze esistenti tra i

generi poetici, coerentemente con la commistione di elementi

epigrammatici ed elegiaci nelle raccolte poetiche coeve (l’Angelinetum del

Marrasio e l’Hermaphroditus del Panormita in primis). Il tormentato processo

redazionale delle Elegiae si concluderà intorno al 1438, con la

specializzazione in senso elegiaco dei contenuti della raccolta: un vistoso

processo rielaborativo intermedio, che struttura l’opera in tre libri, è

attestato da tre codici della tradizione: il Laudense, l’Escorialense e il

Lucchese. Si può così concludere che alla fine degli anni Trenta del

Quattrocento il Vegio avesse preso coscienza della distinzione dei generi

poetici, comprovata dalla pubblicazione delle sillogi ben definite degli

Epigrammata, indirizzati a Leonardo Bruni, e dei Disticha, dedicati a Carlo

Marsuppini.

Tutta la vasta e molteplice produzione poetica del Vegio, di cui si

fornisce una disamina nel capitolo introduttivo, La vita e le opere di Maffeo

Vegio, era finora priva di una edizione moderna, e affidata alla sola

tradizione manoscritta, o, in alcuni casi, a stampe antiche, in altri a vecchie e

insoddisfacenti edizioni. Il corpus delle Elegiae è conservato per intero

soltanto da manoscritti; i Rusticanalia (questo – e non Rusticalia - il titolo

della raccolta, come accertato dalla Lopomo) sono tramandati da un buon

numero di codici e da due stampe, l’una cinquecentesca e l’altra secentesca,

la cui lezione risulta notevolmente modificata da questo lavoro. Le raccolte

dei Disticha e degli Epigrammata hanno trovato una collocazione editoriale

inadeguata e provvisoria, non scevra di errori, nel 1909, quando Luigi

Raffaele offrì, oltre a una ricognizione generale delle opere vegiane,

l’edizione delle due raccolte epigrammatiche basata sull’esame di soli due

manoscritti, il codice Laurenziano Plut. 34.53 e il codice Vat. lat. 1669.

L’edizione critica di queste raccolte, importanti anche per il fatto di

collocarsi fra i primi esempi di sillogi poetiche umanistiche, si configura

come imprescindibile strumento per perfezionare la conoscenza delle

dinamiche relative allo sviluppo e alla diffusione dell’elegia e dell’epigramma

(4)

nel primo Quattrocento. Un contributo in proposito è offerto dai capitoli

introduttivi alle singole sillogi, in cui si svolgono anche considerazioni

generali relative alle ‘fonti’ della produzione poetica dell’umanista.

Significativa emerge anche la differenziazione delle raccolte, non solo dal

punto di vista tematico, ma anche in relazione al pubblico atteso e al

contesto sociale in cui esse si producono. Le Elegiae – nate per la maggior

parte durante il periodo pavese del Vegio – non presentano, come ci si

potrebbe attendere, poesia d’amore, e in esse è ravvisabile sia l’intento

autopromozionale dell’autore nei confronti di Filippo Maria Visconti e dei

suoi funzionari, sia la concezione del testo poetico come munus offerto ad

amici e auspicati mecenati. Negli Epigrammata e nei Disticha i carmi, che si

susseguono secondo ‘cicli’ più o meno compatti (in tendenza contrastante

con la caratteristica struttura ‘variegata’ del genere, classica ma anche

umanistica, mirante a non ingenerare noia nel lettore) i temi sono

sostanzialmente quelli dell’epigramma marzialiano, miranti a stigmatizzare i

vari vizi umani (avarizia, lussuria, ingordigia), attribuiti a personaggi indicati

con pseudonimi generalizzanti, ma spesso individuabili grazie ai nomi reali

precisati nelle redazioni originarie dei carmi; non mancano però interessanti

deviazioni: epigrammi in onore degli auctores classici, carmi dedicati ad

amici, epitafi per animali, che pongono sul tappeto la questione di una

possibile precoce conoscenza da parte degli umanisti dell’Anthologia graeca;

un particolare interesse mostrano inoltre gli epigrammi In febrem (Epigr. II 2

- II 9), anche per il loro influsso, finora ignoto, sul celebre epicedio per

Albiera degli Albizi del Poliziano.

La folta tradizione manoscritta attesta l’ampia fortuna dei Rusticanalia.

L’opera è rilevante anche come testimonianza storica: l’astio del Vegio nei

confronti dei contadini ha radici autobiografiche e sociali; dal punto di vista

letterario, essa si iscrive all’interno del genere medievale della satira contro

il villano, un filone che si contrappone clamorosamente alla idealizzante

concezione classica del mondo agreste. Tuttavia, è significativo che il

rovesciamento del topos classico del pius agricola sia operato mediante il

ricorso a un lessico non solo ovidiano, ma anche virgiliano. Questi e altri

aspetti della raccolta sono messi in luce dal capitolo che la introduce e dai

singoli commenti ai ventisei carmi In rusticos. In appendice (App. IV) è

pubblicata una missiva vegiana indirizzata al vescovo di Novara Bartolomeo

(5)

Visconti, che accompagnava l’invio dell’opera al presule e che è tramandata

da due testimoni (l’epistola era stata edita nel 1745 sulla base di un solo

manoscritto).

Il lavoro, che prende in esame ordinatamente il materiale e le

questioni a cui si è fatto riferimento, è articolato secondo questo schema:

dopo una introduzione generale sulla vita e le opere del Vegio, sono

accuratamente descritti i codici e le stampe che ne tramandano le sillogi

poetiche. Seguono grandi capitoli, dedicati alle singole raccolte, e introdotti

da un paragrafo di carattere critico-letterario. Il successivo esame della

tradizione manoscritta e a stampa di ciascuna silloge, dei rapporti fra i

testimoni e degli interventi autoriali, porta alla costituzione di stemmata

codicum da leggere sia ‘in verticale’ (per quanto attiene alle corruzioni testuali

subite dai testi ad opera dei copisti), sia ‘in orizzontale’ (relativamente alle

successive fasi redazionali volute dall’autore). Stabiliti i criteri ecdotici, si

presenta l’edizione critica dei singoli testi, la cui interpretazione è garantita

dall’introduzione di una punteggiatura conforme all’uso moderno e da un

commento introduttivo a ciascun testo, volto anche a chiarire questioni

storiche, letterarie, linguistiche. Di ciascun testo sono indicati in calce i

testimoni che lo presentano. Questa indicazione è seguita da quattro fasce

di apparato: nella prima si indicano le varianti d’autore, nella seconda si

annotano – ove presenti - le varianti dubbiosamente

d’autore, nella terza le

varianti di tradizione, nella quarta le ‘fonti e i loci paralleli. Tre appendici

sono dedicate ai carmi che emergono nella tradizione manoscritta, ma che

non sono stati accolti nelle redazioni definitive delle sillogi; in una quarta

appendice è pubblicata la lettera di dedica dei Rusticanalia a Bartolomeo

Visconti.

Il Collegio Docenti del Dottorato, anche tenuto conto del lavoro costante

svolto dalla dott.ssa Lopomo negli anni della scuola e della progressiva

maturazione della sua preparazione secondo la linea storico-filologica,

valuta la tesi prodotto rigoroso e di eccellente livello e ritiene che la dott.

ssa Lopomo abbia assolto lodevolmente agli impegni scientifici richiesti.

(6)
(7)
(8)
(9)
(10)

VOLUME I

Premessa 1

Introduzione letteraria e filologica 3

I. La vita e le opere di Maffeo Vegio 3

II. Descrizione dei codici e delle stampe 18

Gli Elegiarum libri 65

I. L’ambiente culturale pavese nella prima metà del Quattrocento: il contesto degli Elegiarum libri 67

II. La tradizione manoscritta e a stampa degli Elegiarum libri 88

II.1 I testimoni che tramandano l’opera completa 88

II.1.1 La prima redazione: il codice V 88

II.1.2 Il terzo libro degli Elegiarum libri 103

II.1.3 Il codice Lu e il codice E 108

II.1.4 Il codice L 118

II.1.5 Il codice A 124

II.1.6 Il codice F e la sua famiglia 125

II.2 La tradizione extravagante dei carmi degli Elegiarum libri 132

II.3 Costituzione dello stemma 144

III. Criteri di edizione 151

IV. Conspectus siglorum 152

Elegiarum libri 153

I Rusticanalia 305

I. La satira dei Rusticanalia tra letteratura e realtà 307

II. La tradizione manoscritta e a stampa dei Rusticanalia 316

II.1 Le varianti d’autore 316

II.2 I codici V T 320

II.3 I codici Mi Mi2 L Ost 321

II.4 I codici U Ve2

325

II.5 I codici E Mal Tr Ve 326

II.6 Il codice A, il codice F e la sua famiglia 329

(11)

II.10 L’edizione Fiorentina Carm 336

II.11 La tradizione extravagante dei carmi dei Rusticanalia 337

II.12 Costituzione dello stemma 339

III. Criteri di edizione 341

IV. Conspectus siglorum 342

Rusticanalia 344

VOLUME II

I Distichorum libri 403

I. All’ombra degli auctores: i Distichorum libri e la difesa di una poetica ‘minore’ 405

II. La tradizione manoscritta e a stampa dei Distichorum libri 414

II.1 I testimoni che tramandano l’opera completa 414

II.1.1 Le varianti d’autore 414

II.1.2 Il codice T 416

II.1.3 Il codice F e la sua famiglia 418

II.1.4 I codici Lu Ox2

420

II.1.5 I codici Ric O F4 P A 422

II.1.6 L’edizione di Luigi Raffaele del 1909 424

II.2 La tradizione extravagante dei carmi dei Distichorum libri 426

II.3 Costituzione dello stemma 431

III. Criteri di edizione 434

IV. Conspectus siglorum 435

Distichorum libri 437

VOLUME III

Gli Epigrammatum libri 715

I. Gli Epigrammatum libri tra levitas e pondus 717

II. La tradizione manoscritta e a stampa degli Epigrammatum libri 729

II.1 I testimoni che tramandano l’opera completa 729

II.1.1 Le varianti d’autore, il codice T e gli errori d’archetipo 729

II.1.2 Il codice F e la sua famiglia 734

II.1.3 I codici Lu O A2

736

II.1.4 La famiglia β 738

(12)

III. Criteri di edizione 759

IV. Conspectus siglorum 760

Epigrammatum libri 763

Appendice I. I carmi ‘abbandonati’ della prima redazione delle Elegiae 999

Appendice II. I carmi ‘abbandonati’ delle redazioni intermedie delle Elegiae 1008

Appendice III. Distici ed Epigrammi del codice T 1021

Appendice IV. La lettera di dedica dei Rusticanalia a Bartolomeo Visconti 1030

(13)

Il poligrafo umanista lodigiano Maffeo Vegio, attivo negli anni centrali del Quattrocento, si dedicò lungamente alla poesia, sia producendo una nutrita serie di carmina varia dalla tradizione indipendente, sia organizzando diverse sillogi.

Solo due di queste raccolte (Disticha ed Epigrammata) sono state edite dal Raffaele in un’edizione moderna agli inizi del secolo scorso1; tuttavia, l’imperizia con cui fu allestito il testo e

la ristrettezza della tradizione manoscritta esaminata dal curatore dell’edizione, limitata a due soli testimoni, rende urgente tracciare da capo lo status quaestionis relativo a queste due raccolte. Le

Elegiae, invece, non hanno mai trovato una moderna collocazione editoriale, mentre i Rusticanalia

sono editi in due stampe antiche, l’una del 1521, l’altra del 16132.

Ho orientato questa ricerca verso il complesso delle raccolte poetiche vegiane in distici elegiaci (Elegiae, Rusticanalia, Disticha, Epigrammata) non solo per ovviare alle gravi carenze scientifiche ed editoriali relative a esse, ma anche per approfondire criticamente le molte suggestioni emerse durante il mio studio degli Elegiarum libri affrontato qualche anno fa, per l’allestimento della mia tesi di laurea specialistica.

L’esame congiunto di queste quattro sillogi si è infatti rivelato necessario sulla base dei risultati da me raggiunti esaminando la tradizione manoscritta degli Elegiarum libri, il cui intricato processo redazionale può costituire un caratteristico exemplum delle modalità di lavoro messe in atto dal Vegio poeta. Di questa raccolta sopravvive la prima redazione, conservata dal manoscritto Verona, Biblioteca Civica, 1393 (siglato V nella nostra edizione): in questa prima redazione, in due libri, risalente, secondo la mia ricostruzione, a non oltre il giugno del 1431, tra i testi più propriamente elegiaci sono inclusi anche veri e propri epigrammi, che confluiranno, talvolta con varianti d’autore, nelle raccolte più tarde degli Epigrammata e dei Disticha, la cui pubblicazione è ascrivibile al periodo fiorentino del Vegio (1439-1443). A questa prima redazione delle Elegiae appaiono legati anche i componimenti In rusticos - inseriti nel secondo libro elegiaco - che alla fine del 1431 costituiranno la ben definita raccolta antivillanesca dei Rusticanalia.

Sulla base di un particolare sistema di varianti, di determinate situazioni macrostrutturali e della presenza di un terzo libro di elegie, ho individuato altre tre fasi redazionali intermedie degli

Elegiarum libri, la prima, databile non oltre il febbraio del 1437, attestata dal codice Madrid, Real

Biblioteca de San Lorenzo de el Escorial, f. II. 12 (siglato E nella nostra edizione); la seconda, risalente a non oltre l’agosto dello stesso anno, e attestata dal codice Lucca, Biblioteca Statale, 362 (siglato Lu-LuEl nella nostra edizione); la terza, risalente al 1438 secondo la mia ricostruzione,

attestata dal codice Lodi, Biblioteca Comunale, XXVIII A 11 (siglato L nella nostra edizione). Esse, nella loro fluidità, sembrano testimoniare un continuo rimaneggiamento, non ancora definitivo, della raccolta: tant’è che vi compaiono altri testi spiccatamente epigrammatici, molti dei quali andranno poi a confluire o nei Disticha o negli Epigrammata.

Dimostrerò infatti che prima del soggiorno fiorentino, il Vegio non aveva ancora ben chiara la distinzione di genere tra epigramma ed elegia: all’interno delle sue Elegiae, passate da due a tre libri, egli aveva di volta in volta inserito componimenti contraddistinti da un elevato tasso di epigrammaticità; e proprio il terzo libro di elegie pare un contenitore provvisoriamente allestito dall’umanista per inserirvi le sue ultime composizioni (in prevalenza epitafi, ma non solo), ma poi smembrato una volta concepita l’idea di creare le due distinte raccolte di Disticha e una di

1 Cfr. RAFFAELE, Maffeo Vegio.

2 Alcune elegie sono edite in BOTTARI, Carmina, I, pp. 483-488 e X, pp. 296-306. Le due stampe antiche che

contengono i Rusticanalia sono, nell’ordine: Quae in hoc opere continentur: MAPHEI VEGII LAUDENSIS Pompeana,

Epygrammata in rusticos, Convivium Deorum; Barth. Ponterolli iureconsulti Laudensis Albula; Bartho. Philippinei

Gaphuriani nominis assertoris in Io. Vaginarium Bononiensem Apologia ad praestantiss. virum Ant. De Fantis theologum ac philosophum Tarvisinum; impressum Mediolani per Ioannem de Castiliono impensis Andree Calvi anno Domini

MDXXI die XI octobris. Registrum omnes sunt duernum;MAPHAEI VEGII LAUDENSIS Opera, quae hactenus haberi

potuerunt; in duas partes distincta, quarum prior De educatione liberorum lib. VI aliaque soluta oratione conscripta, posterior Poemata et Epigrammata complectitur, ex Typographia Paulli Bertoeti, Laudae 1613.

(14)

pressoché contemporaneamente ai Disticha e agli Epigrammata - torna a essere costituita da due libri, con componimenti di fatto ‘elegiaci’.

Le considerazioni appena esposte vogliono essere sia un primo strumento utile al lettore per comprendere le motivazioni sottese alla mia scelta ambiziosa di studiare assieme queste quattro sillogi poetiche, sia un’anticipazione generale di una questione critica complessa e sfaccettata di cui si renderà puntualmente conto nelle introduzioni filologiche premesse alle singole raccolte.

(15)

I

NTRODUZIONE LETTERARIA E FILOLOGICA

I

L

A VITA E LE OPERE DI

M

AFFEO

V

EGIO

Volendo effettuare una panoramica degli studi recenti sugli umanisti della prima metà del Quattrocento che gravitarono attorno all’ambiente culturale milanese dei Visconti, non ne emergerebbe alcuno che scandagli dettagliatamente la biografia di Maffeo Vegio, per la quale è possibile leggere oggi solo una rara monografia di fine Ottocento stesa da Mario Minoia3, che

seppur abbastanza approfondita, richiederebbe un aggiornamento alquanto diffuso, alla luce anche di quanto è stato pubblicato in seguito4.

Sul cadere dell’Ottocento si risvegliò l’interesse degli studiosi per questa figura dell’Umanesimo, che nei secoli precedenti era ricordata soprattutto per il Supplementum all’Eneide, apprezzato da tutti e pubblicato più volte5, nonché per due trattati, l’uno sull’educazione dei

fanciulli e l’altro sul significato dei termini giuridici6. A pochi anni di distanza dalla ricognizione

biografica effettuata dal Minoia, Maffeo Vegio fu riconsiderato anche da Luigi Raffaele, che ne dette alla luce scritti dimenticati: i Distichorum libri duo, dedicati a Carlo Marsuppini, e gli

Epigrammatum libri duo, indirizzati a Leonardo Bruni7.

Nonostante l’impresa editoriale affrontata dal Raffaele, apprezzabile perché ha proposto all’attenzione della comunità degli studiosi un aspetto della produzione poetica vegiana del tutto trascurato fino ad allora, la fortuna del Vegio è rimasta per lo più legata al suo Supplementum eneadico, come dimostrano, appunto, le molte edizioni moderne e la folta serie di studi recenti incentrati sull’aggiunta.

Ma l’umanista lodigiano, nonostante sia spesso annoverato tra le figure di secondo piano della cultura quattrocentesca8, fu tuttavia un autore prolifico e versatile, che si cimentò nei più

svariati generi letterari, fornendo una buona prova della propria capacità scrittoria nella sua produzione esclusivamente in lingua latina, e un ottimo esempio del tipico e multiforme fervore umanistico che animava i letterati del primo Quattrocento.

3 MINOIA, La vita. FLAMINI, p. 123, riconobbe le pecche della monografia del Minoia. Prima della monografia

pubblicata dal Minoia, nel 1745 SASSI, Historia, coll. CCCXXIX- aveva tracciato un profilo biografrico del Vegio.

4 Cfr. CONSONNI, Intorno alla vita, p. 377-388; CONSONNI, Un umanista; CORBELLINI, Note, pp. 253-282. Altre notizie

biografiche sono disseminate nei vari studi sulle singole opere vegiane, che citeremo a tempo debito. Un aggiornamento ben condotto delle opere vegiane e della loro cronologia è opera di DELLA SCHIAVA, Umanesimo e

archeologia, pp. 63-149, che si dovrà fin da ora ringraziare per aver messo a disposizione di questa ricerca tale

aggiornamento, di cui si seguono le linee portanti.

5 Cfr. SCHNEIDER, Das Aeneissupplement; VEGIO, Supplementum; VEGIO, Short epics. Nelle edizioni antiche dell’Eneide

troviamo spesso pubblicato, a seguito del poema virgiliano, il tredicesimo libro di Vegio. Per un approfondimento in merito si rimanda alla nota 18 di questo capitolo.

6 Si tratta del De liberorum educatione et eorum claris moribus libri sex, edito a Washington nel 1933 a c. di M. Walburg

Fanning, e del De verborum significatione, un lessico dei termini giuridici del Digesto, studiato in SPERONI, Il primo

vocabolario, pp. 7-43.

7 RAFFAELE, Maffeo Vegio. L’edizione delle due raccolte poetiche è insoddisfacente dal punto di vista filologico: il

Raffaele infatti si avvale principalmente di un solo manoscritto, il Vaticano latino 1669, ricorrendo, quando la lezione del Vaticano risultasse bisognosa di emendazione, al Laurenziano pluteo XXXIV 53.

8 FOIS, Il pensiero, p. 77, afferma che «il Vegio è un umanista che vuol essere poeta, come non pochi del suo tempo,

benchè non si sollevi dalla mediocrità, come gli altri che pretesero il nome, se non pure la corona, di poeta». Ancor prima aveva espresso un giudizio non proprio positivo sulla produzione letteraria del Vegio CORBELLINI,Note, p.

(16)

Nato nel 1407 a Lodi, come ci informa il Minoia dopo aver dimostrato l’inconsistenza dell’altra datazione canonicamente proposta fino ad allora, vale a dire il 14069, Maffeo Vegio

ricevette una prima educazione a Milano, dove nel 1417 poté ascoltare con rapimento e ammirazione le vibranti parole di S. Bernardino da Siena10, per poi trasferirsi a Pavia, in un

ambiente ricco di suggestioni culturali e gravitante attorno a personalità eminenti, dove a malincuore cominciò a studiare diritto11, ben presto abbandonato per l’insorgere di un grande

amore per la poesia e per il mondo classico.

In età ancora molto giovanile il Vegio si cimentò nella stesura di un breve epigramma in occasione della scoperta, nell’archivio della cattedrale di Lodi, di un importante codice contenente le opere retoriche di Cicerone; tale scoperta fu effettuata nella seconda metà del 1421 dal vescovo della medesima città, Gerardo Landriani12. Il manoscritto, che conservava il Brutus, opera allora

sconosciuta, il De oratore e l’Orator, parzialmente noti, fu immediatamente inviato dal vescovo, per mezzo del giureconsulto Giovanni Omodei, a Milano presso Gasparino Barzizza, il quale a sua volta incaricò Cosma Raimondi da Cremona13 di decifrarne la difficile scrittura e di redigerne una

copia da donare al Landriani. Il rinvenimento dell’autorevole codice fu così entusiasticamente salutato dal giovane Vegio - siamo probabilmente intorno agli inizi del 1422 - con la stesura di un carme in distici elegiaci che ebbe fortuna autonoma e che in alcuni manoscritti vegiani, come vedremo, risulterà incluso negli Elegiarum libri14. In questo carme epigrammatico, in cui l’autore

finge che a parlare sia lo stesso libro rinvenuto dopo secoli di squallida dimenticanza, si esalta il vescovo Landriani quale alacre scopritore di codici antichi, e si augura a Lodi, la città che egli presiede, di continuare a godere di fortune tali.

Secondo il Minoia, Vegio doveva trovarsi a Pavia già nel 1422, ma l’anno successivo dovette abbandonare la città per il sopraggiungere di un’epidemia di peste, che lo costrinse a riparare nei pressi di Villa Pompeiana15, dove si trovavano i proavorum rura meorum, come ci

informa in I 1, 11 degli Elegiarum libri (ma l’elegia in questione è cronologicamente più vicina alla successiva epidemia di peste che interessò la Lombardia, nel 1431). Il soggiorno fuori città dovette essere alquanto gravoso per il Vegio, che in questa elegia non perde occasione di lamentarsi della vita inoperosa e priva di interessi che era costretto a trascorrervi, lontano dai cari amici con i quali, in città, aveva invece intrattenuto rapporti stimolanti e piacevoli. In questa apatica atmosfera campestre, nell’attesa di un ritorno in città, il Vegio si misurò anche nella stesura di un poemetto in esametri edito prima nell’edizione milanese del 1521 e poi nell’edizione degli Opera vegiani del 161316, i Pompeiana, sulla stessa linea lamentosa dell’elegia sopra citata,

aggiungendo però il motivo, ricorrente in altre sue opere, del rudis agricola, del contadino con cui il

9 MINOIA, La vita, p. 4.

10 Cfr. MINOIA, La vita, p. 6; COGNASSO, Il ducato visconteo, p. 565; ROSSI, Il Quattrocento, p. 443. È lo stesso Vegio che

ci fornisce un ritratto significativo del francescano in VEGII de vita et obitu atque officio B. Bernardini, p. 297.

11 É documentato il suo periodo di studio di giurisprudenza in MAIOCCHI, p. 234.

12 La scoperta del codice è giustamente ricordata in vari studi recenti: COGNASSO, Il ducato visconteo, p. 575; GARIN, La letteratura, p. 323; SCARCIA PIACENTINI, La tradizione, pp. 123-146; SABBADINI, Storia, pp.84-86. PASQUALI, Storia,

p. 61, riferendosi alla scoperta dell’esemplare nell’ambito del discorso sui recensiores non deteriores, sottolineava come siano importanti le collazioni umanistiche derivate da questo codice, che solo sette anni dopo la sua scoperta sparì nel nulla, a causa della sua illeggibilità e quindi impraticità: «la copia di Cosma era dunque destinata a sostituire l’originale, troppo difficile a leggersi».

13 Su Cosma (o Cosimo) Raimondi da Cremona, a cui Vegio indirizza una delle sue elegie (I 19 di questa edizione),

cfr. SABBADINI, Storia, p. 86. Sabbadini documenta che il Raimondi si trovava a Milano nel 1422 e che nei primi mesi

di quell’anno aveva copiato il codice laudense. L’anno successivo lascerà quella città per recarsi ad Avignone a insegnare diritto, facendo ritorno a Milano con una breve sosta tra il 1427 e il 1428. Cfr. inoltre KRISTELLER, Il

pensiero, p. 40; GARIN, La Defensio, pp. 100-101: la Defensio, che risale circa al 1430, testimonia di come il Raimondi

leggesse con spirito aperto e tipicamente umanistico i classici e i testi medievali: egli si pone alla difesa dell’unità dell’uomo, intesa come spirito e carnalità - due lati della natura umana, di cui il primo non dovrebbe mai frustrare e nascondere il secondo.

14 Su questo componimento giovanile cfr. CARETTA, L’epigramma, pp. 7-12.

15 Forse l’origine di questo nome è da ricollegare alla presenza di una villa e forse anche di un porto fluviale di

proprietà di Gneo Pompeo Strabone, che probabilmente dette il via alla loro costruzione intorno al 120 a. C. Anche il Vegio, nell’elegia I 1, 7-10, mostra di credere all’origine romana del nome, legato a quello del celebre patrizio.

(17)

Vegio, imbevuto di una raffinata cultura e abituato a frequentare eleganti personalità cittadine, è costretto a confrontarsi, denominandosi di volta in volta profugus ed exul, e rivolgendosi con parole aspre e piene di risentimento ai rozzi agrestes17.

In seguito, quando il Vegio si trovò costretto a sottrarsi di nuovo al caro ambiente cittadino per il ripresentarsi del pericolo della peste, ovvero nel 1431, riprese le ostilità contro gli

agricolae in modo più sagace e pungente, con la pubblicazione della raccolta epigrammatica dei Rusticanalia, i cui componimenti In rusticos, alcuni dei quali nati, forse, in anni precedenti, erano

stati originariamente inclusi nel secondo libro della prima redazione delle Elegiae vegiane18.

Antecedentemente a questo esperimento poetico antivillanesco, quando il Vegio poteva ancora godere dello stimolante ambiente culturale pavese, la prova letteraria in cui si cimentò fu quella grazie alla quale acquistò immediata rinomanza e fama, nonostante qualche polemica19: il

Supplementum Aeneidos, pubblicato dall’umanista lodigiano nel 1428. Sebbene fosse appena

ventunenne, in questa impresa letteraria il Vegio dimostra già una notevole padronanza espressiva e una profonda conoscenza dell’esametro virgiliano, ma anche ovidiano e lucaneo, come hanno ben messo in luce recenti studi in merito20.

Solamente due anni dopo, il giovane Vegio dedicherà al condottiero Niccolò Piccinino un poemetto intitolato Convivium deorum, a cui nel manoscritto L segue una sottoscrizione topico-cronologica da accettare: Papie, kal. Februarii 143021. Durante il biennio 1430-1431 la produttività

poetica del Vegio si incrementò: in questo arco di tempo, egli infatti compose varie opere, sempre di carattere poetico, molto interessanti ma non ancora onorate da un’edizione moderna (né antica), eccetto l’Astyanax, opera esametrica che, se non godette di risonanza pari a quella acquisita dal Supplementum, tuttavia poté beneficiare di una vasta circolazione manoscritta e a

17 Per la tematica letteraria concernente il mondo rustico e villanesco cfr. MERLINI, Saggio, che pubblica, alle pp.

46-49, anche alcuni dei componimenti inclusi nei Rusticanalia; FEO, Dal pius agricola, pp. 89-136, 206-23, rivede

criticamente alcune delle tesi pionieristicamente proposte dal Merlini a fine Ottocento, rilevando come effettivamente il risentimento espresso da Vegio (e anche da altri autori coevi) nei confronti dei villani non va collocato solo in un contesto meramente letterario, ma è spia anche di una realtà effettiva di scontri sociali che interessavano le campagne tardomedievali.

18 Gli epigrammi di questa raccolta antivillanesca (tranne uno) si leggono in VEGII Opera, II, pp. 58-67, mentre solo

alcuni sono stati editi in BOTTARI, Carmina, X, pp. 315-322, che abbiamo considerato anche ai fini di questa edizione

e che abbiamo siglato Carm. Cfr. inoltre MERLINI, Saggio, pp. 46-49; PICCI, Maffeo, p. 20; CARRARA, La poesia, p. 225.

19 La notevole diffusione manoscritta del Supplementum all’Eneide è affiancata da una sua altrettanto straordinaria

presenza all’interno di più edizioni virgiliane cinquecentesche e seicentesche: la prima impressione tipografica di quest’opera fu avviata nel 1471 a Venezia, quando Adam von Ambergau imprimeva quella che è considerata l’editio

princeps degli Opera di Virgilio (a tal proposito vedi VENIER, Per una storia, passim). Essa fu più volte ristampata, fino

all’edizione lionese del 1677 (per una ricognizione delle stampe del Supplementum si veda anche MAMBELLI, Gli annali).

Le polemiche a cui si è accennato furono sollevate da Pier Candido Decembrio, anche lui autore di una continuazione del poema virgiliano stesa nei suoi anni giovanili, e comunque prima del tentativo epico del Vegio. Il Decembrio accusava il Vegio di aver plagiato la sua opera; a tal riguardo si veda BORSA, Pier Candido Decembrio, pp.

29- 30. Per notizie varie sull’aggiunta vegiana all’Eneide cfr. DUCKWORTH, Maphaeus, pp. 1-6; MAGUINNES, Maffeo,

pp. 478-85; BERGER, Präliminarien, pp. 83-92; CHATILLON, pp. 213-17; SCHMIDT, Neulateinische, pp. 517-55;

KALLENDORF, Maffeo, pp. 47-56; DESSÌ FULGHERI, Eloquenza, pp. 111-124; KALLENDORF, The Aeneid, pp. 100-128.

20 Cfr. SOLANA PUJALTE, El hexametro, pp. 1-383; SCHNEIDER, Das Aeneissuplement, pp. 21-22.

21 Anche questo poemetto, come i Pompeiana, è edito in VEGII Opera, II, pp. 44-48. Molto verisimilmente è a questo

poemetto encomiastico che fa cenno il Panormita in una lettera inviata a Cambio Zambeccari, purtroppo non precisamente datata, di cui ci informa RESTA, Un antico, pp. 7-67, in partic. p. 19, nota 1: l’epistola, tramandata dal

codice Torino, Archivio di Stato, J b IX 9, c. 24rv, fa esplicito riferimento alla pubblicazione di un libellus vegiano dedicato al Piccinino e in cui sono celebrati il duca Filippo Maria Visconti, il ‘Mecenate’ Francesco Barbavara e lo stesso Zambeccari. Si riportano gli stralci della lettera offerti dal Resta: inc. «Antonius Panormita Cambio salutem plurimam dicit. Picininus hic noster qui, ut verbis tuis utar, in me uno colendo deperire quodammodo videtur, donabitur, paucos post dies, egregio quodam munere a Mapheo poeta nostro, hoc est libello quodam, in quo principis, Mecenatis ac tue laudes heroyco carmine perstringuntur. Libellus Picinino magno dedicatur; in presentia vero recorrigitur libellus; statim ad nos recognitus admittetur. Ego quidem habeo Mapheo gratias, qui, dum ipse per occupationes non valeo, amicos et benefactores exnornet meos …| in leges fodere pergam opus est. Vale tu, ego quidem valere opto. Iacobus item bene valeat clarissimus adolescens. Ex Papia, die Mercurii, in noctu, quam raptim, et intra taurum Phalaridis». Il Resta rimane vago nel supporre che «probabilmente il libellus doveva contenere una raccolta provvisoria dei carmi che l’umanista lodigiano andava componendo per Filippo Maria e per i personaggi della sua corte».

(18)

stampa ben indagata recentemente22. Questo è il periodo di maggior fervore umanistico nella

Pavia universitaria dei Visconti, dove, fino a circa il 1435, confluirono e si incontrarono alcuni dei maggiori dotti e letterati del tempo, tra cui Lorenzo Valla e Antonio Panormita, che instaurarono presto rapporti di cordiale amicizia con il Vegio, scelto dal Valla come uno degli interlocutori della rielaborazione del dialogo De voluptate, poi intitolato De vero bono23.

A quest’altezza cronologica Gianvito Resta, nell’edizione dei carmi del Marrasio, fa risalire anche due epistole elegiache che il Vegio scrisse a Pavia nell’ambito di un’amicizia, forse solamente letteraria, con Giovanni Marrasio, autore della già famosa silloge elegiaca Angelinetum. Le due epistole vegiane sono pubblicate dal Resta, che ne propone, anche una datazione, facendole risalire entrambe tra la fine del 1429 e l’inizio del 143024. A prima del giugno 1431,

come ho accennato sopra, risale, secondo la mia ricostruzione di cui renderò conto in seguito, anche la prima redazione degli Elegiarum libri25.

La vena elegiaca è sempre affiancata in Vegio da una parallela volontà celebrativa: sempre durante questo periodo, infatti, egli si cimentò nella stesura di una Congratulatio victoriae pugnae

lucensis ad Nicolaum Piceninum, in occasione della vittoriosa battaglia del Serchio che il Piccinino

combatté, al soldo di Filippo Maria Visconti, contro i Fiorentini e avvenuta il 2 dicembre del

22 L’Astyanax vegiano, che prende presumibilmente spunto dai vv. 304-305 del libro III dell’Eneide, ebbe un grande

successo editoriale, testimoniato dalle sue numerose edizioni che, a partire dall’editio princeps del 1613, si sono susseguite nell’arco di più secoli (a questo proposito si veda FOJAS; VIGNATI, Maffeo Vegio, p. 14 e CARETTA, Gaffurio,

pp.155-183, in cui si afferma che la Disceptatio terrae, solis et auri, il Dialogus Philalitis et Veritatis, il De felicitate et miseria, l’Astyanax e l’Excusatio furono editi, per i tipi di Guillaume le Signerre a cura del Gaffurio agli inizi del Cinquecento). Il contemporaneo Antonio Baratella, nel proemium alterum della sua Polydoreis, rivolgendosi a Guarino Veronese, dice di aver goduto della piacevole lettura di questo poemetto vegiano: «Posthac illustris legi Astianata poete, / tot Vegii figmenta probans: in saecula nomen / carmine conspicuo (taceat sicophanta) meretur» (vv. 20-21). Interessante risulta poi una corrispondenza poetica con Basinio Basini da Parma che testimonia dell’avvenuta lettura dell’Astyanax da parte del poeta parmense e della sua volontà di affidare all’esame critico del Vegio il poemetto Meleagris. Il carme che ci informa di questo scambio di letture squisitamente umanistico è edito in Le poesie liriche di Basinio, p. 107 e si intitola Basinii poetae ad Veggium virum clarissimum epigramma di Basinio da Parma; credo sia interessante riportarlo per intero: «Astianata tuum vidi, doctissime Veggi, / dulcius in toto quo nihil orbe fuit. / Ille mihi gemitusque graves lacrymasque tepentis / pectore, dum legimus, luminibusque quatit, / pronus ut e turri miserabile corpus in auras / miserit indignas respueritque manus; / mater ut infelix captam clamoribus urbem / implerit flavas dilacerata comas. / Quaeque prius fratres carumque animosa parentem / flebat et extinctam sola relicta domum, / quae prius Hectoreos tantum curabat amores, / dum ferus Argolicas praecipitabat opes, / cui “mihi” dicebat “coniunx carissime, certe / tu genitor, tu vir, tu mihi frater eris”, / nunc fleat elapsi solum miserabile nati / funus et in duro corpora fracta solo. / Hectoridae pueri cecinisti funera, vates, / nec minus Esonidem Graiugenasque duces. / Ast ego poene puer cecini, qui matris ob iram / venit ad infernas igne perustus aquas. / Nunc ego Priamidae pueri crudele sepulchrum / et refero crudi barbara facta ducis. / Oenidemque tibi, primis quem lusimus annis, / mittimus, emenda quae pia dona, rogo». Sulla Meleagris di Basinio cfr. D’AMICO, La caccia, pp. 35-51 e l’edizione curata da

BERGER, Die “Meleagris”. La stima e l’ammirazione per il Vegio poeta è espressa da Basinio anche nella Egloga in

laudem Nicolai Quinti summi pontificis, in Le poesie liriche di Basinio, in cui i vv. 96-104, conclusivi dell’ecloga, recitano:

«Vegius, Argeo qui proximus unus Homero. / Ille Linum et fratrem cithara superare canora / atque alios vates, quos aurea protulit aetas, / audet et egregias heroum dicere laudes, / iudicio cuius rauca haec ego carmina mitto, / corticibus falcis morsu signata salignis; / cuius amor tantum vacuas se attollit in auras quippe mihi, quantum consurgit ad aethera pinus / tonsa comam et virides complexa cacumine ramos». Potrebbe confermare la vicinanza personale e culturare dei due umanisti un confronto del Convivium deorum vegiano con il Diosymposeos liber di Basinio, per il quale cfr. COPPINI, Un epillio, pp. 301-336.

23 Cfr. VALLA, De vero.

24 Cfr. MARRASII Angelinetum,l p. 134, dove è edita l’elegia con incipit «Musa, age, sopitas in carmina concipe», e pp.

135-140, dove è pubblicata l’elegia con incipit «Quid quaereris? Quid te tanto maerore fatigas?». Quest’ultimo componimento presenta una situazione testuale varia, che induce a identificare una certa attività variantistica, se non due ben definite redazioni, da parte dell’autore. Il Resta pubblica inoltre anche la risposta poetica del Marrasio alla lunga elegia del Vegio (pp. 141-144), a lui giunta tramite il Panormita prima del 13 marzo 1430, data della missiva che il Marrasio inviò al Panormita per chiedergli di correggere il testo da offrire al Vegio (pp. 253-255).

25 Nel giugno del 1431 morì Cambio Zambeccari, amico del Vegio, in memoria del quale l’umanista compose un

epitafio incluso nel primo libro delle Elegiae di V, il codice veronese contenente la prima redazione della raccolta elegiaca. In questa prima redazione è contenuto un solo altro epitafio, quello commemorativo di Zanino Ricci, morto nel 1427. Il giugno del 1431 deve essere dunque considerato come il terminus ante quem dell’opera.

(19)

143026. Abbiamo già trovatò l’influente Niccolò Piccinino27 quale dedicatario-destinatario del

Convivium deorum, e potremo individuare vari accenni alle sue vittoriose imprese militari nel carme

I 21 degli Elegiarum libri.

Contemporaneamente, a quel che risulta da una sottoscrizione presente nel manoscritto lat. 3341 della Bibliothèque Nationale di Parigi28, il Vegio riprende la fortunata strada del poema

epico con la stesura dei Velleris aurei libri quattuor. La diffusione manoscritta di quest’opera non ha certamente avuto le grandi fortune toccate in sorte al Supplementum eneadico; ne è disponibile un’edizione critica molto recente29, preceduta dalle edizioni del De la Bigne e del Bottari30. Il

dibattito circa la genesi di quest’opera è ancora oggi aperto, sulla scia di quanto affermò il pionieristico Sabbadini in proposito31: sembra verisimile che il Vegio conoscesse il greco, per cui

è probabile che egli traesse spunto dalla lettura diretta delle Argonautiche di Apollonio Rodio, scoperte dall’Aurispa che le inviò a Firenze nel 1423; ma secondo l’editore dell’opera Reinhold Glei, la fonte principale d’ispirazione fu il settimo libro delle Metamorfosi ovidiane, mentre ininfluenti sarebbero le Argonautiche di Valerio Flacco, scoperte troppo tardi da Poggio Bracciolini. Della Schiava invece propone che la molla ispiratrice del Vegio possa essere stata proprio la recente ed entusiasmante scoperta di Valerio Flacco da parte di Poggio32.

All’ottobre del 1431 risalgono i Rusticanalia, come attestano le sottoscrizioni di alcuni testimoni manoscritti; secondo queste note il luogo di composizione fu Villa Pompeiana, dove, lo ricordiamo, la famiglia del Vegio possedeva da tempo alcuni appezzamenti terrieri33. Il motivo

dell’abbandono della città è da ricercarsi nella necessità di fuggire il pericolo della pestilenza che si era diffusa in Lombardia34 e che aveva fortemente colpito l’amata Pavia. Costretto a lasciare i

raffinati ambienti cittadini, Vegio si scaglia contro i contadini che abitano i campi e che lo circondano in ogni momento della giornata. La verve satirica che il poeta dimostra in questa sferzante raccolta, antologizzata in parte dal Bottari e dal Raffaele35, si colloca facilmente

all’interno di una linea letteraria che fiorisce nella letteratura medievale e che continuerà in epoca umanistica, a partire dal Boccaccio, che in alcune novelle del Decameron presenta la figura del villano grossolano e rozzo, sebbene all’interno dello stesso Decameron non manchino rappresentazioni positive del contadino36.

26 A tal proposito si può vedere ancora DELLA SCHIAVA, Umanesimo e archeologia, pp. 83-84. Qui si aggiunge un

appunto di CINQUINI –VALENTINI, Poesie latine, pp. 40-41: presentando un epitafio panormitano composto in

occasione della morte del Piccinino (deceduto a Milano il 16 ottobre 1444) e constatando la grande riverenza che molti umanisti, tra cui anche il Vegio, provarono per il condottiero, i due studiosi traggono da SABBADINI, Guarino, p.

29, un’epistola del 1430 in cui il Panormita si rivolge a Cambio Zambeccari informandolo delle prossime prove poetiche vegiane in onore di Niccolò Piccinino («Effertur laudibus, quod cupis, Piccininus noster»). Ancora SABBADINI, Guarino, p. 14, pubblicò una lettera del figlio di Niccolò, Francesco, al Panormita, in cui fa sapere al

poeta che i versi del Vegio (a detta di CINQUINI –VALENTINI, la Congratulatio victoriae pugnae lucensis) piacquero molto

a Filippo Maria Visconti.

27 La biografia di Niccolò Piccinino è delineata da PIERI, Niccolò Piccinino, p. 154.

28 La sottoscrizione che si legge in questo codice alla fine del poema è molto precisa: «Papie Kal. Septembris

MCCCCXXXI». Cfr. anche RAFFAELE, Maffeo Vegio, p. 102.

29 VEGII Vellus Aureum. Sull’esperimento epico vegiano ha scritto anche RESTA, Vegio, pp. 639-699. 30 Cfr. DE LA BIGNE, Maxima Bibliotheca V, p. 766; cfr. inoltre BOTTARI, Carmina, X, pp. 262-287. 31 Cfr. SABBADINI, Le scoperte, p. 46.

32 Cfr. DELLA SCHIAVA, Umanesimo e archeologia, p. 85.

33 Il manoscritto Vat. lat. 5133 e il codice II D I 8 della Biblioteca Comunale Augusta di Viterbo riportano, al termine

della raccolta, la seguente nota, con un’indicazione cronologica e topografica completa: «Ex Villa Pompeiana Kal. Oct. MCCCCXXXI». Un altro esemplare della Vaticana (Vat. lat. 1669), come il codice M 26 sup. della Biblioteca Ambrosiana di Milano, presenta solamente l’indicazione del luogo e dell’anno.

34 L’imperversare del morbo durante quell’anno indusse le autorità viscontee a chiudere per qualche tempo lo Studium

pavese, presso cui teneva cattedra di eloquenza il Valla, intimo amico del Vegio; cfr. MANCINI, Vita, p. 24.

35 Cfr. BOTTARI, Carmina, pp. 315-322; RAFFAELE, Maffeo Vegio, pp. 57-62. I Rusticanalia furono anche inclusi in

VEGII Opera, II, pp. 58-68.

36 Esemplare è l’ottava novella della terza giornata, che vede come protagonista il villano Ferondo, molto ricco ma

«uomo materiale e grosso senza modo», più volte tacciato di «stoltizia» e gabbato per questo dall’abate lussurioso e dalla moglie fedifraga (ma è da notare come una qualifica simile («grossolano e tonto») sia attribuita anche a un mercante, il Rinaldo d’Asti di II, 2, 7). Diversa è la fisionomia di un altro personaggio delineato dal Boccaccio: si tratta di Masetto da Lamporecchio (III, 1), «giovane lavoratore forte e robusto e secondo uomo di villa con bella

(20)

Pur lontano dal binario satirico Leon Battista Alberti, che nel III dei Libri della famiglia espone alcune considerazioni di carattere economico sulla vita rurale del tempo, non si esime dal formulare un giudizio critico nei confronti della natura del villano, del quale uno dei maggiori difetti è proprio la malizia: «cosa da nolla credere, quanto in questi aratori cresciuti tra le zolle sia malvagità. Ogni lor studio sta per ingannarti; mai a sé in ragione alcuna lasciano venire inganno; mai errano se non a suo utile; sempre cercano in qualunque via avere ed ottenere del tuo» (III, p. 310). Sta di fatto che il solco letterario intrapreso dal Vegio prima con i Pompeiana, poi con l’esperimento più maturo dei Rusticanalia, era stato già ben tracciato; la carica ironica e aggressiva contro i contadini dimostrata in queste due opere è frutto di un sostrato culturale ormai delineato, e insieme di una personale acrimonia che non deve essere sottovalutata e che è spia di una tendenza diffusa allo scontro sociale tra contadini e popolazione urbana37.

Con ogni probabilità risale al medesimo arco cronologico la composizione dell’Heroicorum

liber, titolo che si legge nella rubrica titolatoria della carta 53r del manoscritto 1393 della

Biblioteca Civica di Verona (siglato V nella nostra edizione), e che comprende alcuni poemetti esametrici dedicati a personaggi influenti della corte viscontea: l’alta probabilità che l’unitarietà di questa raccolta sia attribuibile ad una volontà del Vegio è suffragata dal fatto che anche nel codice

L parte di questi componimenti sono sovratitolati con la rubrica Heroica. Nel codice veronese

queste poesie, che si leggono immediatamente prima del primo libro degli Elegiarum libri – dei quali il manoscritto attesta la prima redazione - sono dedicate a Francesco Barbavara, ad Antonio Pisano, a Niccolò Piccinino, a Filippo Maria Visconti, a Cesare Sigismondo, a Francesco Sforza, mentre nell’esemplare laudense il carme dedicato all’imperatore Sigismondo porta un titolo diverso ed è collocato, sembra, all’interno di un altro corpus di poesie indirizzate a personalità importanti e accomunate dall’espressione Congratulatio presente nei loro titoli: la Congratulatio de

adventu Caesaris Sigismondi imperatoris in Italiam è infatti l’ultima di questa serie di componimenti; le

altre due, in ordine, sono la Congratulatio victoriae pugnae lucensis e la Congratulatio victoriae pugnae

navalis et pugnae terrestris vallis Tellinae. La Congratulatio victoriae pugnae lucensis di L corrisponde al

carme che in V è dedicato a Niccolò Piccinino, mentre la Congratulatio victoriae pugnae navalis et

pugnae terrestris vallis Tellinae, ancora indirizzata al Piccinino, e che si legge in L, è assente in V. La

natura similare di questi componimenti, oltre che il buon indizio della titolazione unitaria che abbiamo visto presente in entrambi i manoscritti, fanno propendere per l’ipotesi di un intento di raccolta organica voluto dall’autore.

Anche nel codice M 26 sup. della Biblioteca Ambrosiana di Milano le poesie Ad

Maecenatem (è risaputo che tale appellativo classico era stato attribuito a Francesco Barbavara dalla

cerchia di letterati che gravitava attorno a lui, in primis da Antonio Panormita, seguito in questo

persona» (par. 7) che sfrutta con furbizia la lussuria incontenibile delle monache di un intero convento. Anche la novella più conosciuta e studiata del Decameron, vale a dire la novella di Griselda (X, 10), presenta una situazione di riscatto sociale e morale che si offre alla protagonista di origini contadine, la quale, alla fine di una lunga serie di prove crudeli a cui viene sottoposta dal marito Gualtieri, «marchese di Sanluzzo», riesce a guadagnarsene la stima e l’affetto, divenendo a tutti gli effetti la «marchesana», stimata e onorata.

37 Si veda in primo luogo FEO, Dal pius agricola, pp. 89-136, 206-23. Cfr. inoltre DELLA SCHIAVA, Umanesimo e archeologia, pp. 87-88, che esprime il medesimo concetto, appoggiandosi alle parole di VIGNATI, Maffeo Vegio, p. 16,

che in qualche modo ribatte all’eccessivo estremismo di RAFFAELE, Maffeo Vegio, p. 14, sostenendo appunto che non

(21)

dal Vegio), Ad Philippum Mariam Anglum Ducem Mediolanensium38, Ad comitem Franciscum Sfortiam, Ad Nicolaum Picininum si susseguono, in questo ordine, sormontate dalla macrotitolazione Heroica39.

Gli indizi interni presenti in alcune di queste poesie contribuiscono ad orientare verso una loro datazione abbastanza sicura: il carme dedicato a Sigismondo di Lussemburgo è ascrivibile con relativa certezza (anche grazie alle titolazioni del carme nei vari manoscritti che lo contengono, simili a quella presente nel manoscritto di Lodi sopra citati) all’evento della sua discesa in Italia, con un’importante sosta proprio a Milano, in occasione della quale fu solennemente insignito dall’arcivescovo di Milano Bartolomeo Capra della dignità imperiale in Sant’Ambrogio il 25 novembre del 143140: certezza relativa, come ho detto, perché non è sicuro

se il Vegio abbia composto questo carme prima della discesa o durante la permanenza dell’imperatore a Milano, di durata abbastanza breve (egli lasciò la città lombarda il 17 dicembre dello stesso anno). È indubbio tuttavia che il componimento, nel caso fosse stato redatto successivamente alla venuta in Italia di Sigismondo, non può essere postdatato a più di qualche settimana dal suo arrivo41.

Anche altri carmi dei presunti Heroica sono facilmente databili: si tratta delle due poesie dedicate al condottiero Niccolò Piccinino, entrambe significative fin dai titoli, che suggeriscono fatti ormai noti alla storiografia contemporanea. La pugna lucensis a cui si fa riferimento nella rubrica di uno dei carmi contenuti nel codice di Lodi è senza dubbio quella battaglia vittoriosa che il Piccinino intraprese per salvaguardare la libertà di Lucca (e gli interessi del Visconti alle cui dipendenze si trovava) attaccata dai mercenari assoldati da Firenze42. L’altro componimento

indirizzato al potente condottiero si colloca ad un’altezza cronologica di poco più tarda, ma anch’essa piuttosto sicura: la pugna navalis e la pugna terrestris vallis Tellinae ricordate fin dal titolo del carme che, aggiungiamo, sembra tramandato solo dal codice di Lodi, permette di agganciare tale poesia ad un ben definito avvenimento storico: si tratta di un’altra impresa bellica sostenuta dal Piccinino, ovvero la nota battaglia di Delebio in Valtellina contro l’espansionismo veneziano, che si consumò a danno di questi ultimi nel giro di due giorni, il 18 e il 19 novembre del 1432.

La continua sperimentazione del ritmo esametrico procede di pari passo con un parallelo interesse per le molteplici potenzialità insite nella soluzione elegiaca, interesse che finalmente si concretizza appieno nella raccolta unitaria degli Elegiarum libri. La datazione a livello macrotestuale di questa raccolta proposta con scarsi argomenti dal Raffaele43 la collocherebbe al

1431 circa, ma Della Schiava ha ragionevolmente postdatato la raccolta di almeno un anno, in base a un indizio interno a una delle elegie ivi contenute, vale a dire il Regissol, statua papiensis, in

38 L’origine dell’appellativo feudale Anglus riferito ai Visconti è ben spiegato da DECEMBRIO, Vita. La biografia si

apre così: «Vicecomitum originem antiquam sane et praeclaram extitisse multi prodidere, nomen autem sumpsisse putatur ab Anglerie Comitibus, quibus a Federico expulsis, Vicecomites eorum loco dicti sunt». In nota il curatore dice: «Il Decembrio accoglie, con la cautela di un putatur, la nota leggenda, cresciuta insieme col predominio della casa viscontea, che collegava il nome di questa col nome di Angleria ( o Inglexio o Strazona o Angera) e con quello di Milano, attribuendo loro origini dall’ere noetica e troiana, e mescolandovi pure le leggende cavalleresche venute di Francia e quelle fiorite da’ ricordi della distruzione di Milano per il Barbarossa: i Visconti sarebbero stati continuatori d’una casa di conti d’Angleria discesi da Anglo figlio d’Ascanio e nipote di Enea Troiano, già re d’Italia, contando nella loro linea genealogica anche più re longobardi, poi conti (con ramificazione nella casa romana de’Colonna), in fine Visconti». La nota continua ed è estremamente esauriente circa ogni ulteriore domanda di chiarimento in merito.

39 Ho esaminato autopticamente il codice Ambrosiano (da me siglato Mi), contenente i Rusticanalia. Per una sua

descrizione cfr. il capitolo Descrizione dei codici e delle stampe, infra.

40 Per questo periodo storico è utile la consultazione di COGNASSO,Il ducato visconteo, pp. 279-283. 41 Di questo parere è DELLA SCHIAVA, Umanesimo e archeologia, p. 92.

42 La battaglia, avvenuta sulle rive del fiume Serchio e culminata il 2 dicembre del 1430 con la schiacciante vittoria del

Piccinino, innescò l’ammirazione entusiastica da parte dei Lucchesi nei confronti del condottiero liberatore che, anche se era allora ufficialmente alle dipendenze di Genova, ricevette comunque l’ordine congiunto del governatore genovese e del Visconti di intervenire militarmente a Lucca. Per questa felice vicenda bellica cfr. COGNASSO, Il ducato

visconteo, pp.264-265; DELLA SCHIAVA, Umanesimo e archeologia, p. 83-84.

43 Cfr. RAFFAELE, Maffeo Vegio, p. 83. Gli Elegiarum libri sono opera nel complesso inedita. Alcuni carmi sono però

editi in BOTTARI, Carmina, edizione settecentesca utilizzata ai fini della nostra edizione, e in RAFFAELE, Maffeo, che

pubblica Eleg. I 1 a pp. 5-8; I 2 a p. 8; I 19 a p. 17; I 21 a pp. 17-18; I 3 a p. 18; II 2 a pp. 60-62, traendole principalmente dalla stessa stampa appena menzionata, e da due codici esaminati ai fini della nostra edizione (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 34.55 e Lodi, Biblioteca Comunale, XXVIII.A.11).

(22)

magistros theologos (cfr. II 7 di questa edizione), in cui il poeta, per bocca della statua equestre, fa

esplicito riferimento al concilio di Basilea, che sappiamo essere stato indetto per il 15 dicembre del 143144. Tuttavia, se tale terminus post quem è indubbiamente valido per la singola elegia Regissol,

per individuare una collocazione cronologica del macrotesto è più fruttuoso ricorrere all’analisi di altri elementi.

Il processo redazionale della raccolta elegiaca si disloca lungo un arco cronologico piuttosto ampio, investendo gli anni ’20 e ’30 del secolo. Come già detto, la prima redazione in due libri delle Elegiae, attestata dal solo codice V, sembra verisimilmente risalire a non oltre il giugno del 1431, data di morte di Cambio Zambeccari, a cui il Vegio dedica un epitafio incluso, appunto, nelle Elegiae. Questa datazione appare confermata dall’inclusione di testi, tra cui quelli In

rusticos, chiaramente ispirati al soggiorno rurale del Vegio a Villa Pompeiana a causa della peste. I

riferimenti espliciti a questa località, dove il Vegio possedeva terreni ereditati dagli avi, emergono, ad esempio, in II 2, 48 Ad Antonium Cremonam e in II 3, 7-12 della prima redazione degli Elegiarum

libri attestata dal codice V (corrispondente a I 1 della redazione definitiva)45; nell’ultimo

componimento indicato, oltre ad accennare metaforicamente alla peste, il Vegio ci fornisce anche un’etimologia del toponimo. Inoltre, questa prima redazione appare chiaramente legata al periodo pavese del Vegio – che si conclude nel 1435 – per un altro motivo: i destinatari dei testi, tutti storicamente individuabili, erano gravitanti attorno all’ambiente visconteo a cui il Vegio era molto vicino.

Altri due codici, E e Lu46, attestano in modo fluido una seconda fase redazionale in tre

libri verisimilmente organizzata a Bologna, che non supera l’inizio del 1437, come attestano le precise sottoscrizioni del codice E, vergato da Giovanni Ventimiglia, e quella, più vaga ma sempre significativa, che segue gli Elegiarum libri di Lu (Bononiae VI Kal. Sextiles). Dopo il 3 aprile del 143647, infatti, il Vegio lasciò Pavia per recarsi alle dipendenze del pontefice Eugenio IV nel

ruolo di abbreviatore, seguendo il papa nelle sue peregrinazioni, la prima delle quali lo condusse a Bologna.

Un altro elemento a favore di questa ipotesi riguarda la macrostruttura della raccolta elegiaca attestata dai codici E Lu. Bisogna premettere che il Vegio si era recato, sempre al seguito di Eugenio IV, a Ferrara nel 1438, dove teneva scuola Guarino Veronese: uno dei suoi seguaci più affezionati era quel Niccolò Strozzi a cui è dedicata l’elegia I 25 della nostra edizione, seguita da un altro componimento (I 26 della nostra edizione) il cui destinatario è il giovane Gian Lucido Gonzaga, figlio del marchese di Mantova Gianfrancesco, probabilmente conosciuto dal Vegio in questo frangente cronologico. Queste due elegie sono assenti dal codice escorialense e da quello lucchese, mentre compaiono solamente in L, altro testimone che esibisce tre libri di elegie, e nei manoscritti contenenti la redazione definitiva della silloge in due libri: l’assenza di queste due poesie dai codici E Lu (ma anche da V, portatore della prima redazione degli Elegiarum libri) può essere considerata un’ulteriore prova dell’anteriorità dell’allestimento della redazione elegiaca di E

Lu, quando evidentemente il Vegio ancora non conosceva i due personaggi, rispetto a quella

attestata dai manoscritti contenenti l’opera nella sua redazione definitiva e da L. Quest’ultimo codice, contenendo tre libri di elegie, ma anche i due carmi rispettivamente allo Strozzi e al Gonzaga, sembrerebbe attestare un’ulteriore evoluzione redazionale degli Elegiarum libri, verisimilmente databile al 1438. Se ne deduce quindi che l’ultima redazione delle Elegiae sia ascrivibile al periodo fiorentino del Vegio.

Non è qui il luogo adatto per inoltrarsi ulteriormente nell’intricato processo redazionale riguardante le Elegiae, che sarà esaminato a fondo nell’introduzione filologica premessa alla

44 Cfr. DELLA SCHIAVA, Umanesimo e archeologia, pp. 90-91.

45 Per il carme al Cremona si veda la Appendice I nel vol. III della nostra edizione, carme VI, pp. 1003-1004.

46 Si è siglato E il manoscritto El Escorial, Real Biblioteca de San Lorenzo, f. II. 12, e Lu il manoscritto 362 della

Biblioteca Statale di Lucca.

47 La precisione della terminus post quem della partenza definitiva del Vegio dalla città ticinense proviene da una

sottoscrizione posta in calce a Epigr. II 33 nel manoscritto Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottob. lat. 1223 (siglato O2 nella nostra edizione), verisimilmente risalente all’originale vegiano: «Ticini IIIo non. aprilis

Riferimenti

Documenti correlati

Il sintomo principale nelle patologie del rachide cervicale è il dolore molto intenso e insopportabile, se è causato dalla compressione della radice spinale si avverte a livello

Versprachlichung von Welt – Il mondo in parole Festschrift zum 60.. Geburtstag von

In this example, X does contain a quasi-geodesic and it is further a space of locally 2-bounded geometry with linear volume growth at large scale.. The space Y is a 2-Loewner space

Fish generalized Jin’s theorem showing that if two subsets A and B of a countable amenable group have positive Banach density, then their product set AB is piecewise syndetic, and

- a Positive Control: 5 mL of a 0.05% aqueous solution of Tween 20 contaminated with 10 L of a Control Standard Endotoxin solution with a theoretical concentration of 25 IU/mL

Equation (4) was then solved by the finite-difference method using a program made using Java code. The input parameters of the programme are: steel composition, casting temperature

During the experimental interval, soil inorganic N recovery increased, on average, from 78.3 to 92.6% of total N applied with liquid fractions of manure, confirming the high

Per quanto riguarda il calcolo dell’angolo di incidenza, le tecniche classiche di identificazione hanno, invece, fornito risultati migliori di quelli ottenuti con le reti