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Il gioco degli scacchi nella letteratura.

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DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN

LINGUA E LETTERATURA ITALIANA

TESI DI LAUREA

La scacchiera metafora del mondo.

Gioco degli Scacchi e Letteratura.

CANDIDATO

RELATORE

Giulia Croco

Prof. Sergio Zatti

(2)

2

INDICE

Introduzione……… ..4

I. Le origini del gioco degli scacchi ………...9

I.1 Brevi cenni storici sulle origini del gioco degli scacchi………...9

I.2 Il gioco degli scacchi nel periodo persiano……….... 12

I.2.1 Il Wizārišn ī čatrang ud nihišn ī nēw-ardaxšīr……….... 12

I.2.2 Lo Shậhnậmeh………...18

I.3 Il gioco degli scacchi nel periodo arabo………...25

II. Simbologia e panorama letterario dei componimenti scacchistici……… 31

I.1 Il simbolismo ciclico della scacchiera……….. 31

II.2 Dadi e scacchi………...34

II.3 Valore letterario del componimento scacchistico……….39

II.4 Trattati moraleggianti medievali………...43

II.5 Dal medioevo ai nostri giorni………44

III. Il gioco degli scacchi in Boito e Montale...55

III.1 L’Alfier Nero di Arrigo Boito. L’antitesi del bianco e del nero ……….55

II.2 Analisi della poesia <<Nuove Stanze>> di Montale ………..…..65

IV. Gli scacchi e la follia……….... 77

V.1 Beckett, Murphy e l’incredibile partita a scacchi………...77

V.2 Gli scacchi nell’opera di Zwaig ………...87

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3

Non siamo se non pezzi degli scacchi nelle mani del destino.

Quante volte una pedina dà scacco matto al re!

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4

INTRODUZIONE

Includere il gioco degli scacchi nella semplice categoria di ludus ci sembra spesso riduttivo, dal momento che esso richiede memoria, ingegno, intelligenza e ragionamento.

<<Definendo gli scacchi un gioco, non ci si rende già colpevoli di un’offensiva limitazione? Non sono anche una scienza, un’arte, un vincolo straordinario fra tutte le coppie di opposti? Antichissimo eppure eternamente nuovo, meccanico nell’impostazione ma dipendente dalla fantasia, confinato in uno spazio rigidamente geometrico e ciò nonostante sconfinato nelle sue combinazioni, in continua evoluzione eppure sterile, un pensiero che non porta a nulla, un’arte che non porta a nulla, una matematica che non calcola nulla, un’arte senza opere, un’architettura senza sostanza e nondimeno nella sua esistenza e nella sua essenza notoriamente più duraturo di tutti i libri e di tutte le opere, l’unico gioco che appartiene a tutti i popoli e a tutte le epoche, e di cui nessuno sa dire quale dio lo abbia portato sulla terra per ammazzare la noia, acuire i sensi, sollecitare la mente […]>>.1

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5 Millenario, immortale, esoterico, il “nobil gioco”, il “re dei giochi”, secondo le definizioni più ricorrenti, ha da sempre suscitato una grande curiosità nelle persone che non sanno giocare a scacchi, ma una grande passione, non solo tra gli scacchisti di professione che partecipano a dei tornei nazionali e internazionali, ma anche tra i dilettanti. Richiede una predisposizione particolare, un talento cognitivo che in alcuni casi è riservato esclusivamente a questo gioco.

Esperimenti interessanti sono stati fatti al riguardo2 e hanno confermato che i giocatori di scacchi non possiedono un intelligenza maggiore e nemmeno una memoria superiore a quella dei non giocatori. Un esempio è dato dal campione del mondo occidentale, Reshevsky, che all’età di nove anni, quando già era un bambino prodigio in questo gioco, si sottopose a diversi test psicometrici, e si scoprì che la sua intelligenza verbale era inferiore alla media e il suo sviluppo generale non raggiungeva quello di un bambino di cinque anni; ma in un solo test, quello mnemonico, egli raggiunse risultati eccellenti.

Nella storia della letteratura scacchistica questo argomento è affrontato ne La

novella degli scacchi di Zweig, dove il protagonista, campione mondiale di scacchi, è

semianalfabeta, non possiede altre qualità se non quella di sapersi destreggiare su una scacchiera.

Come afferma Zweig il gioco degli scacchi riesce a creare un vincolo tra le coppie di opposti, una sfida tra due esperti che richiede concentrazione, calcolo, pazienza, ma anche fantasia.

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6 Nella società medievale cortigiana e cavalleresca il “nobil gioco” costituiva uno

status simbol, per cui, chi non sapeva giocare, non era degno di far parte dell’élite

nobiliare. In effetti anche oggi è così, con una differenza, che non si tratta più di un élite nobiliare, ma di una ristretta cerchia di appassionati, i più bravi dei quali hanno la possibilità di partecipare a dei tornei nazionali o internazionali. Esiste infatti una graduatoria di campioni, diventati famosi a livello mondiale nella storia degli scacchi a partire dal Medioevo ad oggi.

Poiché si tratta di un passatempo intelligente che aiuta ad esercitare la mente al calcolo, alla previsione, alla concentrazione, si cerca di farlo conoscere ai ragazzi anche nelle scuole, sotto forma di attività laboratoriale.

Poco si sa riguardo alle origini e alla sua invenzione, possiamo tuttavia supporre che sia un gioco antichissimo, anche se non abbiamo documenti attestanti tale ipotesi.

Molti studiosi hanno infatti ravvisato nel gioco degli scacchi elementi propri della simbologia caratteristica delle caste indiane, sacerdotale, nobiliare e guerriera, con riferimento ai sessantaquattro quadrati del Vastu-Purusha-Mandala, come vedremo in seguito, ma anche elementi della simbologia cinese, relativamente ai sessantaquattro esagrammi del libro oracolare cinese, intitolato I King, (Il libro dei mutamenti), di epoca antichissima3.

Possediamo invece documenti scritti di due leggende persiane, risalenti al VII secolo, che attestano la presenza del gioco in India e poi esportato in Persia. Grazie ad esse possiamo dire con relativa certezza che esso fu inventato per riprodurre fedelmente una battaglia realmente combattuta, per illustrare le strategie di attacco e di difesa tra

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7 due eserciti avversari, ma allo stesso tempo per mettere alla prova l’ingegno e l’intelletto del popolo.

Nel periodo arabo il gioco degli scacchi fu fortemente condizionato dalla religione islamica, tanto che gli scrittori nei loro trattati scacchistici, come vedremo, scrivevano il proemium galeatum contenente preghiere ad Allah e dove si preoccupavano di chiarire che l’opera non era assolutamente contraria alla dottrina coranica.

Con la letteratura, al contrario di quanto si possa credere, questo nobile passatempo ha uno stretto legame che risale ai tempi più remoti. Il presente lavoro nasce proprio dal desiderio di approfondire l’ambito letterario, per capire quale ispirazione poetica suscitasse questo gioco negli intellettuali. Non v’è dubbio che la simbologia, sprigionata come per magia dalle sagome d’avorio o di ebano mosse da mani esperte su un quadrato di sessantaquattro quadrati di opposto colore, stia alla base di antiche leggende persiane, di poemi epici medievali, o di opere moderne intramontabili come la lirica Nuove stanze di Montale, il romanzo Murphy di Beckett, La novella degli scacchi

di Zweig, L’alfier nero di Boito, solo per citare quelli che analizzeremo in seguito.

Il Medioevo, in seguito all’introduzione e alla diffusione del gioco degli scacchi, vide un proliferare di opere, anche di un certo valore letterario, in tutta Europa, ma soprattutto in Francia, in cui l’amore, il sentimento che più di ogni altro ricorreva nelle canzoni di gesta, nasceva spesso durante una partita a scacchi.

Riporterò infatti qualche novella medievale francese come Floire e Blanceflor o Huon

de Bordeaux , opere tradotte in diverse lingue europee e poi anche rielaborate da autori

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8 Giacosa che nel 1872 scrisse un’opera teatrale, intitolata Una partita a scacchi, prendendo spunto dal poema francese Huon de Bordeaux.

Dedicherò un paragrafo anche alle opere medievali didattico – moraleggianti, perché in quel periodo gli scacchi si prestavano ad essere sfruttati come metafora educativa, visto che nella società feudale cortigiana e cavalleresca i vizi, la dissolutezza, la guerra, gli ozi nei castelli, le congiure, erano all’ordine del giorno. Fu il clero che avvertì il bisogno di moralizzare il popolo e lo fece anche scrivendo dei trattati che riportavano le regole del buon cristiano, semplificandole con le metafore scacchistiche.

Nelle diverse epoche la simbologia del gioco si è arricchita di altri elementi, come il destino, l’amore, la lotta tra il bene e il male, la pazzia, anche se la guerra è rimasta spesso come contesto di fondo.

Particolari casi di pazzia dovuti al gioco degli scacchi sono presenti in diversi romanzi moderni, come per esempio in Murphy, dove il protagonista, affetto da schizofrenia autolesionista, anziché cercare di vincere la partita, fa di tutto per perderla.

Un altro esempio è quello narrato ne La novella degli scacchi, dove un detenuto in un carcere nazista gioca a scacchi contro se stesso. Ma la simbologia è molto varia e non finisce di stupire. In Nuove stanze, Montale riesce a creare un’atmosfera magica dentro una stanza durante una partita a scacchi tra se stesso e la sua donna, in un contesto di guerra, quello del secondo conflitto mondiale.

Il razzismo e la lotta per la difesa dei diritti degli ex schiavi americani sono invece gli elementi utilizzati da Arrigo Boito ne L’Alfier nero come situazione interna alla vicenda sviluppatasi durante una memorabile partita a scacchi tra un bianco e un nero, conclusasi con un omicidio. Insomma, una varietà di simbologie che ha consentito al “nobil gioco” di entrare a pieno titolo nella letteratura, simbologia e retorica.

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CAPITOLO I

LE ORIGINI DEL GIOCO DEGLI SCACCHI

I.1 BREVI CENNI STORICI SULLE ORIGINI DEL GIOCO DEGLI SCACCHI Importanti ritrovamenti archeologici nelle tombe4 delle aristocrazie orientali, risalenti a circa 4000 anni fa, attestano la presenza di giochi da tavoliere associati spesso all’uso dei dadi5, facendoci ritenere che il ludus come

intrattenimento legato alla sorte o alle scommesse fosse molto diffuso tra le classi aristocratiche.

I dadi e i tavolieri, così come in seguito avverrà per gli scacchi, subirono nel tempo diverse modifiche e rielaborazioni nel momento in cui venivano conosciuti da altri popoli nel mondo classico. I greci per esempio, usarono la πϵττϵια, giocata con un tavoliere di 36 quadrati su cui si muovevano delle pedine

4 La presenza di giochi da tavoliere presso le aristocrazie antiche orientali è accertata da ritrovamenti

presso le tombe e le camere funerarie. Sono rinvenute nel cimitero di Ur (antica città della bassa Mesopotamia situata sul golfo Persico) ben cinque differenti tavole da gioco, denominate “scacchiere” di Ur; nel Sīstān (regione di confine situata nell’Iran e nell’Afgahnistan), la tavola da gioco si trovava all’interno di una camera funeraria vicino la testa del morto; e infine nell’Antico Egitto.

5 Il ritrovamento di dadi e tavolieri come unico reperto archeologico, non ci autorizza a pensare che il

gioco degli scacchi discenda direttamente dai tavolieri, poiché il gioco dei dadi presuppone l’intervento della fortuna, mentre gli scacchi sono un gioco prevalentemente razionale, anche se nell’XII secolo il re Alfonso X volle creare una variante che mettesse insieme i dadi con gli scacchi nello stesso gioco (argomento che sarà approfondito nel Capitolo II di questo lavoro).

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10 ovali; presso i romani fu molto in voga il ludus latrunculorum o semplicemente

latruncoli

<<giocato con pezzi di foggia e valore differente (calculi, latrones, mandrae), il cui principio era quello di catturare o bloccare i pezzi avversari (per incitas redigere) ; un pezzo poteva essere catturato quando era circondato su una linea o su una fila da due nemici e quindi si soleva difenderlo con un altro pezzo adiacente; si giocava con una tavola, spesso (ma non sempre), di 8x8 case; infatti tavolieri di 64 caselle risalenti all’epoca romana sono stati trovati in molti scavi, soprattutto lungo il vallo di Adriano o nella basilica Julia a Roma>>6.

Non è il caso di addentrarci sull’ipotesi dell’origine latina del gioco degli scacchi avanzata da più parti, perché esami scientifici con l’uso del metodo della radiazione radiocarbonica effettuata a Napoli e a Sidney tra il 1993 e il 1994 sul collagene di un frammento osseo appartenente ad un pezzo dei latrunculi, scoperto nella tomba di Venafro in Campania, hanno dimostrato che i pezzi di Venafro vanno collocati intorno al 950 d. C.7

Altri studi vorrebbero far risalire l’origine del gioco degli scacchi alla Cina nel periodo compreso tra il II e il VI secolo d.C. In questo caso l’antenato del gioco sarebbe il Siang-Ki, in cui i pezzi simboleggiavano il Sole e la Luna e quindi la Luce e le Tenebre, il Bene e il Male, tuttavia anche questa ipotesi8 sembra essere erronea.

6 A. PANAINO (a cura di), La novella degli scacchi e della tavola reale. Un’antica fonte orientale sui due

giochi da tavola più diffusi nel mondo eurasiatico tra Tardoantico e Medioevo e sulla loro simbologia militare e astrologica. Ed. Mimesis, Milano, 1999. p. 139.

7 Ibid.

8J.NEEDHAM, Science and Civilation in China. Vol. 4. Physics and Physical Technology.

Cambridge, 1962.

Needham avanzò l’ipotesi che il caturanga (che come vedremo in seguito, sembra essere la soluzione che indica in modo definitivo l’origine del gioco degli scacchi) derivi dal gioco cinese

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11 Il gioco degli scacchi, così come lo conosciamo oggi, sembra dunque comparire successivamente rispetto ai tavolieri e, secondo il parere dei maggiori studiosi, esso è considerato il diretto discendente dell’antico caturanga indiano che, passando da un paese all’altro ha cambiato nome: dal persiano catrang, all’arabo shatanji, allo spagnolo ajedrex al francese échecs, all’italiano scacchi.

<<Secondo la più alta autorità in materia, il prof. Murray9, gli scacchi sarebbero stati

inventati da qualche Indù verso il 570 d.C. L’inventore – o gli inventori - dovettero avere sott’occhio, come tavola da gioco, l’ashtapāda, e su quella idearono il

Caturanga>>.10

Il termine caturanga, si può tradurre con l’espressione “composto da quattro elementi” con evidente riferimento ai quattro pezzi che costituivano il gioco originario, elefanti, cavalli, carri da guerra, e fanteria,11 che era la qualifica data in India ad un esercito in assetto da combattimento nella sua normale composizione.

studi, che l’invenzione del caturanga sia più recente rispetto a quella individuata dall’ ipotesi cinese, sia perché Neddham enfatizza come primitiva la simbologia astrologica assunta da alcune varianti del gioco quando tale componente appare posteriore e di più rara attestazione, sebbene fosse presente.

Anche Bidev sostenne la tesi che il caturanga derivi dagli scacchi oracolari cinesi, basandosi sulla similitudine tra alcuni pezzi e le rispettive mosse tra lo Siang-Ki e il caturanga.

Vedi P.BIDEV Schweizerische Schachzeitung, Die Geburtdes astrologischen Orakel- UrschachsimJahre 569 n. Chr. In China.

Cfr., A.PANAINO in op.cit. p. 142.

9 L’opera di Murray è da considerare la capostipite sugli studi della storia del gioco degli scacchi:

H.J.R.MURRAY, A History of Chess, Oxford, 1913;

10 Cfr., CHICCO-ROSINO, Storia degli scacchi in Italia, dalle origini ai giorni nostri. Marsilio Editori,

Venezia, 1990. p. 4.

11A.PAGLIARO, Sulla più antica storia del gioco degli scacchi, Estratto dalla <<Rivista degli Studi

Orientali>>, Vol. XVIII, pp. 328-340. Pagliaro analizza qui la nomenclatura originaria del gioco e considera le differenze che si sono determinate nel periodo che intercorre tra il testo pahlavico Wizārišn

ī čatrang e lo Šāhnāme del poeta persiano Firdusi, quindi dal VII al X secolo. In particolare si concentra

sui pezzi a cui noi oggi diamo il nome di “regina” e di “torre”, per gli altri pezzi rimane invariata la continuità dei nomi.

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12 Purtroppo non possediamo documenti indiani che attestano l’invenzione e la pratica di questo gioco, ma ne siamo venuti a conoscenza grazie alla mediazione persiana che ci ha tramandato due poemetti epici che ci danno importanti informazioni al riguardo.

Il primo è in lingua pahlavica risalente al VII sec d.C., il Wizārišn ī čatrang ud

nihišn ī nēw-ardaxšīr il secondo è lo Šāhnāme, un poema epico allegorico, del

poeta persiano Firdusi. Entrambe le opere saranno argomento dei paragrafi successivi.

Tra i secoli IX e il X la Persia, come sappiamo, fu invasa dagli Arabi, i quali, non appena vennero a conoscenza del gioco, lo fecero proprio, lo regolamentarono secondo la loro religione, cambiarono il nome persiano

catrang in shatranji, per i motivi che vedremo in seguito, lo diffusero nelle loro

regioni, per poi introdurlo, grazie alle loro conquiste, in Europa, attraverso due linee direttrici: la prima mediante l’Oriente bizantino, verso la Russia e la Scandinavia, la seconda mediante la Spagna araba e la Sicilia, in tutto l’Occidente europeo, dove si consolidarono definitivamente le regole del gioco degli scacchi.

I.2 GLI SCACCHI NEL PERIODO PERSIANO

I.2.1 IL WIZĀRIŠN Ī ČATRANG UD NIHIŠN Ī NĒW-ARDAXŠĪR

Gli studi di Panaino e di Pagliaro12 ci forniscono preziose informazioni sul

Wizārišn ī čatrang ud nihišn ī nēw-ardaxšīr dove si narra in forma romanzata

12A. PAGLIARO, Il Testo Pahlavico sul Giuoco degli Scacchi, in Miscellanea G. Galbiati. Vol. III. Fontes

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13 l’invenzione del gioco degli scacchi e il suo passaggio in Persia; inoltre vi è riportata l’invenzione di un secondo gioco, molto in voga anche allora nei paesi orientali, quello della tavola reale (nēw-ardaxšīr) che è strettamente collegato al primo.

Sull’origine indiana del gioco gli studiosi sono quasi tutti d’accordo perché il nome čatrang, come sappiamo, deriva sicuramente dall’indiano caturanga. Anche sulla datazione del racconto non si hanno dubbi, si tratta del periodo sasanide, prova ne sia una notizia che estrapoliamo da un altro testo persiano, intitolato Kȃrnȃmak i Artaxŝêr, dal quale desumiamo che il gioco degli scacchi faceva parte realmente dell’educazione cavalleresca alla corte dei Sȃsȃnidi, infatti, dove si parla del successo conseguito dal giovane Ardashîir alla corte di Ardavȃn, si aggiunge:

<<Con l’aiuto di Dio nel gioco del polo, nell’equitazione, negli scacchi, nel nard e

nell’altra istruzione si dimostrò fra essi tutti valente e capace>>13.

Esistono parecchi manoscritti14 del testo pahlavico, con traduzioni in diverse lingue; quello che ci riguarda, poiché è stato tramandato in forma assai scorretta a causa della corruzione della tradizione manoscritta, è stato rivisto e corretto dallo stesso Panaino che pubblica15 il testo pahlavico con la traduzione e alcune note lessicali a scopo esegetico.

13 Ibid., p. 98.

14 Ricordiamo in A.Panaino, op. cit. p. 98: Ganjeshȃyagȃn del dastûr Peshotan Sanjana, Bomday 1885 e

pubblicato in trascrizione e corredato da una traduzione da C. Salemanin “Mèlanges Asiatiques” IX (1887). Un’altra edizione con trascrizione in caratteri avestici e traduzione in persiano moderno ne pubblicò il dastûr Sahaharyȃr Iranu, The Pahlavi Texts… Bombay 1899, p. 28.

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14 Nel racconto si narra che un sovrano indiano, Dewisarm16, per saggiare l’intelligenza e la sapienza dei regnicoli persiani e per mirare a proprio vantaggio, inviò al Re persiano Xusraw I17 dall’anima immortale,

sopranominato “il Re dei Re” per la sua grandezza, un čatrang, composto di 15 prezzi fatti di smeraldo e 15 pezzi di rosso rubino.

Insieme con il čatrang inviò 1200 cammelli carichi d’oro, d’argento, gemme, perle, stoffe e 90 elefanti. Il messaggero di nome Tātarītos, tra i più saggi del mondo indiano, al seguito della carovana, recava con sé una lettera indirizzata al Re persiano dove era scritto che essendo considerato il re dei re doveva far decifrare a uno dei suoi uomini più sapienti il senso del gioco, in caso contrario egli pretendeva un pesante tributo.

Il Re Xusraw, incuriosito, decise di convocare i suoi saggi per cercare di svelare il mistero, concedendo loro tre giorni di tempo, ma nessuno sembrava essere in grado di chiarire il meccanismo del gioco.

Allo scadere del terzo giorno il saggio Wazurgmihr si dichiarò pronto a decifrarlo, chiarendo di non averlo svelato prima, per poter essere riconosciuto da tutti gli abitanti dell’Ērānšahr18, come l’uomo più sapiente.

Dopo aver sfidato e vinto per ben tre volte l’indiano Tataritos, spiegò il meccanismo del cătrang come segue:

“Dēwišarm fece questo cătrang scientemente come un campo di battaglia.

16 Il nome del re indiano è dubbio, spesso compare “Yosōdharm” perché in seguito a diversi studi

glottologici si è arrivati alla conclusione che si tratti di un personaggio inventato e non corrispondente a nessun re indiano realmente esistito.

17La storicità di Xusraw I, detto Anushirwan «anima immortale», non è neppure oggetto di discussione

tra i critici. Si tratta del Re persiano Cosroe I (501-579) della dinastia sasanide.

18 Si tratta del “regno degli ērān” (iranici) che assume piena connotazione politico-ideologica in età

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15 Ed egli fece i re come i due comandanti in capo, i ministri come il fianco destro e sinistro, il comandante come il capo dei guerrieri, gli elefanti (lett.”l’elefante”)come il capo delle guardie del corpo (reali), i cavalli (lett.”il cavallo”) come il capo della cavalleria, i pedoni (lett. “il pedone”) come quegli stessi fanti di fronte (al campo di) battaglia.“19.

Per la prima volta compaiono i sei diversi tipi di pezzi che compongono l’ordinamento scacchistico in ordine decrescente (in corsivo il termine pahlavico): il re šāh; il ministro mādayār, ovvero la futura torre, rox; il guardiano, frazēn, che secoli dopo diverrà la regina; l’elefante pil che più tardi diventerà alfiere; il cavallo asp; e il pedone payādag, quindi supponiamo un esercito militare con il re come comandante in capo, i ministri come le ali dell’esercito, la guardia del corpo come il capo dei guerrieri, l’elefante come il capo delle guardie del corpo, il cavallo come capo della cavalleria e infine i pedoni come la fanteria.

Decifrato il misterioso gioco del cătrang, Wazurgmihr, in risposta alla sfida ricevuta, ne inventò un altro, sicuro del fatto che nessuno avrebbe potuto essere in grado di comprenderlo e spiegarlo, il nēw-ardaxšīr, (letteralm: Nobile è Ardaxšir) dal nome del saggio Ardaxšir, che come già accennato sopra, era ritenuto il più attivo e saggio tra i Principi di quel millennio20:

Farò la tavola del nēw-ardaxšir come <<Spandarmad>>21

E farò trenta pezzi come trenta giorni e notti, quindici (li) farò bianchi come il giorno e quindici (li) farò neri come la notte.

Farò un dado -da solo- come la rotazione delle stelle e la rivoluzione del firmamento.

19A.PANAINO, op cit., p. 68. 20 Ibidem, p. 72.

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16 L’”uno” su un dado lo farò così come Ohrmazd è uno, (ed) egli creò ogni bene.

Quindi farò “il due” come il mēnōg [“(la dimensione) spirituale”] ed il gētīg [“la (dimensione) corporea, vitale”].

Farò “il tre” così come il Buon Pensiero, la Buona Parola ed il Buon Operare, e come il pensare, il parlare, l’agire.

Farò “il quattro” così come i quattro elementi dai quali si compose l’uomo ed inoltre come le quattro direzioni del mondo: est, ovest, sud e nord.

Farò “il cinque” così come le cinque luci, ovvero il sole, la luna, le stelle, il fuoco e lo splendore che vien dal cielo.

Farò “il sei” così come il compimento della creazione nei sei gāh (periodi) dei Gāhānbār (divisioni dell’anno).

Farò la disposizione del nēw-ardaxšīr sulla tavola così come (quella del) signore Ohrmazd, quando dispose la creazione nel (lo stato) gētīg.

Il girare ed il ruotare (in posizione opposte?) dei pezzi secondo un (getto di) dado, (lo farò) così come gli uomini (che vivono) nel mondo gētīg sono legati da un laccio a (quello) mēnōg e girano, si muovono tutti secondo i sette (pianeti) ed i dodici (segni dello Zodiaco) e, quando [avviene] (i pezzi), battono e si rimuovono l’un l’altro, (ciò avviene) così come gli uomini nel gētīg (si) colpiscono l’un l’altro.

E quando per una sola rivoluzione di un dado (i giocatori) rimuovono (i pezzi) di continuo, (ciò sarà) a somiglianza degli esseri umani che trapassano tutti dal gētīg; e (li) ricollocano, (ciò sarà) a somiglianza degli esseri umani, che alla resurrezione dei morti ritorneranno tutti in vita.”22

Le similitudini presenti nel testo sono evidenti: il getto dei dadi corrisponderebbe al moto delle costellazioni e alla rivoluzione del cielo, i trenta pezzi rievocherebbero i trenta giorni del mese, e il loro colore bianco e nero, il giorno e la notte. <<Questa sorta di professione di fatalismo astrologico, in cui il ruotare delle pedine sulla tavola del backgammon viene paragonato all’errare degli uomini nel mondo, legati da un vincolo al mēnōg e costretti a “ruotare e declinare” secondo l’influssi dei sette pianeti e delle dodici costellazioni, riflette più che la

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17 competente arte di un astrologo di professione, un particolare habitus mentale, in cui fede tradizionale e fatalismo astrologico cercano invano una coesistenza possibile>>23.

Il saggio Wazurgmihr incarna l’esempio più alto di superiorità intellettuale e di sapienza positiva, d’altronde è figura conosciuta sia nella letteratura pahlavi sia in quella arabo-islamica, si tratta della figura “sapienziale” per eccellenza, su cui sono state scritte tante leggende.

Wazurgmihr partì quindi con una lussuosa carovana alla volta dell’India, dove sfidò il regolo locale a risolvere l’enigma del nēw-ardaxšīr, ma ciò si rivelò impossibile per i saggi indiani.

Avendo ottenuto la sua seconda vittoria, ritornò in Iran trionfante, carico di tributi e gloria, quindi rivolse l’attenzione nuovamente sul gioco del cătrang pronunciando queste parole:

“L’interpretazione (ed) il senso per (la denominazione) del cătrang è questa:

‘Vittoria attraverso l’arti(ficio)’ poiché i saggi hanno detto:Il vincitore vince per mezzo della ragione, poiché egli è senza armi. [La battaglia deve essere intesa essenzialmente così].

Giocare il cătrang (richiede) questo, cioè, osservazione e ingegno nel tenere sotto controllo le proprie forze (e) di più ancora nell’ingegnarsi su come poter catturare le forze all’altro e, nella speranza di poter catturare le forze all’avversario, non giocare una mossa sbagliata, (e) tener sempre un pezzo impegnato e tenere in difesa gli altri e osservare con assoluta concentrazione (tutte) le altre (regole) così come è stato scritto nel ‘Libro dei costumi’.”24

Il gioco degli scacchi, similitudine bellica, e la tavola reale, metafora del destino dell’uomo, conferiscono al poemetto valore letterario in quanto

23 Ibidem, p. 55.

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18 coinvolgono l’intelligenza e la capacità di prevenire e anticipare le mosse del nemico.

Panaino nota giustamente come la sfida tra Wazurgmihr e Tataritos assuma un significato metaforico più ampio che rimanda all’opposizione tra il dio supremo Ohrmazd, caratterizzato dalla conoscenza a priori e da superiorità intellettuale, (tra l’altro citato nel testo proprio da Wazurgmihr), e Ahreman, che rappresenta invece, nell’ideologia sasanide, il maligno, la conoscenza a posteriori, l’idea dell’ignoranza e della stupidità.

L’occasione dell’invio del cătrang da parte del sovrano dell’India al re persiano diede chiaramente origine ad una contesa intellettuale tra sapienza indiana e iranica, il gioco diventò “tenzone”, per cui la posta non fu solo rappresentata dal tributo che lo sconfitto avrebbe dovuto pagare, ma dalla stessa supremazia sapienziale tra le due civiltà vicine.

I.2.2 LO ŠĀHNĀME

Lo Šāhnāme, ovvero il Libro dei Re,25 è una delle opere più importanti

della poesia orientale. Si tratta di un componimento epico composta da 120.000 versi e diviso in otto volumi. Il poeta Firdusi (Ferdowsῑ), vissuto in Persia presumibilmente tra il 935 e il 1020 d.C., definito “l’Omero e l’Ariosto della Persia”, narra, in uno spazio di tempo di duemila anni, tutta la storia leggendaria

25 FERDOWSĪ, Il Libro dei Re. Poema epico recato dal Persiano in versi italiani a cura di Italo Pizzi, Vol.

VII, Bona, Torino, 1887.

Si ricorda anche la traduzione di F. GABRIELI, Firdusi, Il libro dei re. Torino, Utet, 1969, e quella più recente di G. SCIASCIA, Bianco e nero, Mille anni di mito, favola e poesia. Roma. s.d., ma, 1978.

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19 della Persia e dei re persiani distinguendo quattro dinastie: i Pîshdậdî, i Kayậnî, gli Ashkậnîe i Sậsậni.

L’opera si apre con un’ampia lode a Dio e alla sua intelligenza, per passare poi a descrivere la personalità e le caratteristiche dei re persiani e le loro successioni al trono26.

Nel VII volume durante il periodo della dinastia Sasanide, troviamo i paragrafi27, il gioco degli scacchi; il gioco del nardiludio o trictrac; invenzione

del gioco degli scacchi, e risulta chiaro fin da subito, che la storia narrata nei

primi due paragrafi è molto simile a quella del Wizārišn ī čatrang ud nihišn ī

nēw-ardaxšīr in cui però il poeta persiano apporta svariate modifiche.

Ne Il gioco degli scacchi la leggenda viene innanzitutto narrata da un sacerdote, il quale racconta che il re Kisra28 (in VČNXusraw I) trovandosi nel suo lussuoso palazzo, fu informato dell’arrivo di un messaggero, inviato dal sovrano dell’India, di cui non si esplicita il nome.

L’emissario indiano, dopo aver reso omaggio al re con preziosi doni, prese un foglio di bianca seta e lesse queste parole:

“Fin che il ciel sarà, deh! Tu qui resta Incolume o Signor! Quelli de’ tuoi

Che in sapienza maggior studio han posto, Comanda tu che pongasi dinanzi

Questo scacchiere e d’ogni cosa sua Dican sentenza, chiaro interpretando Il nobil gioco e l’aprodando. Sappiano

26 G.LUPI, Firdusi, La Scuola, Editrice Brescia, 1947.

27 FERDOWSĪ, op cit., paragrafo XXXVI, p. 222; XXXVII p. 228; XXXIX p.237. 28 Si tratta dello stesso Re persiano Cosroe I (501-579) della dinastia sasanide.

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20 D’ogni suo scacco il vero nome, e in quale

Guisa dénno esser mossi e quale d’ognuno Adeguata è casella. Anche i pedoni E gli eleganti sappian quelli e tutta La schiera armata e le torri e i cavalli L’andar del re, della regina. Questo Nobil gioco se trarranno fuora, Fra’ sapienti a nobile grandezza Arriveranno, ed io, d’India signore, Con studio e con amor quali imponea D’Irania il sire e balzelli e tributi, Invierò. Ma se d’Irania gente Gl’incliti saggi si parran da meno In sapienza per cotesto gioco, Quand’elli non avran forza e potere Per sapienza in contro a noi, tributi Ed offerte non più si chiederanno Da questa terra mia. Vuolsi che ancora Tributo mio s’accolli altrui, che tutte l’inclite cose sapienza avanza.”29

Volendo fare un confronto fra le due lettere dei due testi, il VČN e lo

Šāhnāme, notiamo che la prima ha uno stile molto scarno ed essenziale, infatti

si legge: <<Giacché Voi (il nome) nella vostra dignità imperiale siete il Re dei re su di noi tutti, bisogna, che i vostri sapienti siano più sapienti dei nostri. Se spiegate il senso di questo cătrang (ciò sarà vero), altrimenti pagherete un pesante tributo>>30, mentre

la seconda appare più articolata e di più alto livello stilistico e letterario.

Inoltre mentre nel VČN Tātarītos lasciò ai persiani il compito di decifrare il significato e il funzionamento di quella scacchiera, nello Šāhnāme invece il re

29FERDOWSĪ, op cit., pp.223-224.

(21)

21 Kisra ne chiese il significato al messaggero il quale lo spiegò subito senza alcuna suspense, stabilendo una connessione tra il gioco e la simulazione della guerra sulla scacchiera.

Tornando al proseguo della vicenda dello Šāhnāme, al re vennero concessi sette giorni di tempo per spiegare il gioco, contro i tre del VČN, ma al saggio Buzurjmihr ne bastò uno soltanto:

“Buzuc’mihr sapiente ordinò tosto:

L’ampio scacchiere qual di pugna è un campo, E fe’ il loco del re nel medio punto,

Da sinistra e da destra ivi ordinate Le sue falangi, posti innanzi a tutti, Avidi di battaglia, i fantaccini. Era il ministro nobile ed accorto Del re al fianco e parea della battaglia Dimostrargli la via. Da questa parte, Da quella ancora, i cavalieri pugnaci, Che da sinistra e da manca i palafreni Avidi sospingean di flero assalto. Più in là, cavalli bellicosi in piedi, Che per essi tutta si compisse

L’intenzion del gran contrasto, e ancora D’ambe le parti v’eran elefanti

Bellingeri, ver l’orrida tenzone Rivolti insieme con desio feroce”31.

La spiegazione dettagliata del campo di battaglia con l’esercito ben schierato lasciò tutti sbalorditi, soprattutto il messaggero indiano. Il re allora,

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22 felice per la bella figura fatta nei confronti dei rappresentanti indiani, per festeggiare l’avvenimento ordinò di regalare a Buzurjmihr una veste sfarzosa, un cavallo e un forziere d’oro e di riempire una coppa di gioielli.

Nel terzo paragrafo Invenzione del gioco degli scacchi, troviamo una terza leggenda, ambientata questa volta in India.

Viene qui descritta l’invenzione del gioco degli scacchi, inventata da saggi indiani, segue la descrizione di una battaglia tra due eserciti rappresentata sulla scacchiera.

La leggenda di Firdusi racconta di un monarca indiano, molto amato dai suoi sudditi, che, morto improvvisamente, lasciò la moglie con un bimbo di nome Gav. Poiché il figlio era molto piccolo, la successione al trono spettò al fratello del monarca che avrebbe dovuto regnare sino al raggiungimento della maggiore età di Gav. Il reggente, subito dopo la proclamazione, sposò la vedova del monarca, cioè sua cognata; dal loro matrimonio nacque un figlio a cui diedero il nome Talhénd. Sfortunatamente il monarca morì prematuramente, quando i due fratellastri avevano rispettivamente sette e due anni. La madre allora venne acclamata regina a furor di popolo. Avendo il compito di regnare, decise di affidare i due bimbi alle cure di due precettori, questi però non svolsero bene il loro compito, poiché alimentarono costantemente la rivalità e l’odio tra i due fratelli. Arrivati all’età matura, entrambi aspirarono al trono, e sebbene la madre auspicasse una riappacificazione tra i due, ben presto arrivarono allo scontro armato. Su consiglio di un ministro di Gav, i due eserciti si affrontarono in uno spazio delimitato da un fossato colmo d’acqua. Dopo una cruenta battaglia, Talhénd e il suo esercito subirono una lenta ma inevitabile sconfitta,

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23 ed egli stesso fu immobilizzato sopra il suo elefante, dove morì per la fame, prostrato dal vento e dal caldo.

Venuta a conoscenza dell’evento, la madre-regina si disperò, convinta che fosse stato compiuto un fratricidio e, stando a quanto prevedono gli usi e i costumi della cultura indiana, ordinò di preparare un rogo per se stessa.

Volendo placare l’ira e la disperazione della madre, che non credeva al modo in cui era morto il figlio Talhend, Gav decise di inscenare una rappresentazione visiva, avvalendosi di tutti i superstiti dello scontro. Pertanto, fece preparare una tavola quadrata, suddivisa in 64 caselle e su di essa vennero posti dei pezzi intagliati in legno che costituivano i due eserciti avversari:

“Con que’ legni formar quadrato desco, desco al loco simil de la battaglia e delle fosse, ove di contro stavano le due falangi. Su quel desco ei fecero caselle cento ivi dipinte, e andavano fieramente per quello ambe le squadre e il re con esse. In legno ed in avorio ambe tagliate le falangi avverse, e v’erano due re d’altera fronte, con maestà, con diadema. Ancora con cavalieri v’eran fanti, e assalto fean di battaglia le due avverse file. Ma gli elefanti ed i cavalli e quello regal ministro ed il guerrier che incita contro all’oste nemica il palafreno, immagini codeste erano sculte in costume guerrier”32.

(24)

24 Con quella scacchiera formata da 10 x 10 case e 40 pezzi fu riprodotto lo schieramento dei due eserciti sul campo, simulando gli assalti con i movimenti nelle caselle della scacchiera, compreso il tentativo di evitare l’attacco diretto al re:

“Ma quando alcuno

di fronte il re vedea nella battaglia, “Guardati, o re!” dicea con alte voci, e il re più in alto risalìa veloce di una casella, sì che angusto il loco attorno gli si fea, che tosto il varco chiudeano a lui di tutte parti intorno e il guerriero e il cavallo ed il ministro con l’elefante e l’altra schiera”33.

Sebbene fosse accerchiato da tutte le parti, Talhénd non volle arrendersi al fratello e preferì rimanere sul suo elefante, finché la morte non lo raggiunse, come detto, per la fame e per la fatica. Non fu quindi un fratricidio, ma una morte causata dall’orgoglio e dalla testardaggine.

Gav, costernato anch’egli per la morte del fratellastro, decise di regalare quella scacchiera alla madre, nel tentativo di alleviarle il dolore per la morte del figlio. Fu per lei un dono gradito, infatti:

“Ella sedea la notte,

ella il giorno sedea piena di doglia e di corruccio, degli scacchi al gioco

(25)

25 ambo gli occhi rivolti. Ogni sua brama,

ogni consiglio omai su la scacchiera, e quell’anima sua d’affanno colma perTalhèn si vedea. Sempre dagli occhi ella versava lagrime sanguigna,

e la scacchiera a quell’angoscia grave era conforto. Così visse ancora senza cibo toccar la dolorosa,

fin che de’ giorni suoi termine giunse. Intanto, il fine suo qui per me tocca questa leggenda, quale udii narrarmi conforme ai detti d’un’età vetusta”34.

La regina, osservando giorno e notte la scacchiera che ricostruiva la battaglia, traeva conforto alla grave angoscia, ma il dolore continuava ad essere talmente forte che la povera donna non toccò più cibo fino alla fine dei suoi giorni.

Pur considerando lo Šāhnāme un’importante fonte a cui poter fare riferimento circa l’origine del gioco non fornisce però informazioni esaurienti su alcune regole, come per esempio i movimenti dei pezzi sulla scacchiera che troviamo più facilmente invece nei manoscritti arabi.

(26)

26 I.3 IL PERIODO ARABO

Dai manoscritti arabi35 a noi pervenuti sul gioco degli scacchi, riceviamo una serie di informazioni che ci consentono di fare un passo in avanti, rispetto alle leggende e ai documenti persiani, di cui ci siamo occupati nei primi due paragrafi di questo capitolo. Un primo dato che ci sembra interessante e che ci conferma l’attendibilità dell’origine indiana del gioco riguarda il nome. Poiché gli Arabi non riconoscevano nella loro lingua le consonanti occlusive velari ‘c’ sorda e ‘g’ sonora, modificarono il termine persiano catrang, (a sua volta naturale continuità dell’indiano caturanga) in shatranji, sostituendo le occlusive velari con le fricative “s” e “j”. Ciò dimostra che è avvenuto effettivamente un passaggio del gioco dalla Persia al mondo arabo e che si tratta proprio del gioco che stiamo analizzando.

Un altro elemento, che tra l’altro ci conferma quanto fosse influente la religione nel mondo islamico, è l’incipit di quasi tutti i manoscritti arabi che, a vario titolo, trattano del gioco degli scacchi. Poiché il Corano in un versetto proibisce il vino ed il gioco, non solo negli ambienti pubblici, ma anche in quelli privati, gli autori dei testi scacchistici prima di cominciare il vero e proprio trattato, scrivevano il proemium galeatum dove si preoccupavano di chiarire che l’opera non era assolutamente contraria alla dottrina coranica. Per dimostrare la liceità del gioco elencavano una serie di accorgimenti che gli scacchisti

35Tra i manoscritti che si occuparono di alcuni aspetti del gioco degli scacchi citati da S.M. PEREJA, La

fase araba del gioco degli scacchi, in << Oriente Moderno>>, 1953. p. 411 ne ricordiamo alcuni:

Kitabas-satrang, Istambul, Bibl. Es’ad Efendi, n. 2866

Rasalad al- Laĝlaĝ fi baianla’bas-satranĝ, Istambul, Bibl. Es’ad Efendi, n. 1858 Kitabas-satrang, British Museum, Araba Add. 1515 (Rich)

Kitabastrang, di Ahmad b. Muhammad as- Sarahi m. 899/287 Bibl. Reale di Berlino n. 14 (cat,

(27)

27 mettevano in atto per salvaguardare la loro incolumità e quella dei lettori: le pedine non raffiguravano esseri animati, ma avevano linee astratte, oggi conosciute come “linee islamiche”, il gioco non prevedeva scommesse e non avrebbe tolto tempo alle preghiere giornaliere. Inoltre riportavano esempi di fatti e detti di personaggi riconosciuti per la loro religiosità, a cui veniva concessa una tolleranza o addirittura la consuetudine del gioco. Tale premessa nei trattati e le promesse fatte in genere dagli scacchisti riuscirono evidentemente a convincere le autorità religiose, politiche e giudiziarie a tollerare che nei Paesi arabi fosse consentito giocare a scacchi. Pereja nel suo saggio scrive:

<<Questo criterio di tolleranza fu quello che prevalse non soltanto nella pratica, ma anche nelle teorie di alcuni giuristi. Questo stato di cose trova la sua riepilogazione in un detto di Sahlb Abi Sahl che, quando la sostanza si trova al sicuro da perdite e quando l’orazione si trova al sicuro da omissioni, gli scacchi sono un onesto trattenimento tra amici.>>36

Un altro gioco diffuso in Oriente fin dai tempi più remoti fu il nard (il gioco dei dadi), ovvero la tavola reale. Entrambi sono giochi sedentari che si svolgono per mezzo di una scacchiera o tavola, ma mentre il nard è un gioco basato sulla fortuna, quello degli scacchi, invece, è basato sulla razionalità. Questa distinzione veniva portata come esempio soprattutto dalle autorità religiose islamiche nel dibattito filosofico-dogmatico riguardante la contrapposizione tra la volontà e il destino, o, se vogliamo, tra libero arbitrio e predestinazione, la più antica controversia che l’umanità abbia conosciuto. Esse sostenevano che il gioco degli scacchi, se fatto con le regole a cui abbiamo accennato

(28)

28 precedentemente, poteva essere ammesso, mentre il nard no. Per i Musulmani tale antitesi assumeva un particolare significato perché si riferiva all’influsso che l’Onnipotenza divina esercitava sugli uomini e sulle loro attività.

<<Così l’inventore del nard adattò le regole del gioco all’opinione che negli atti

umani e nelle loro conseguenze felici o avverse vede l’effetto di una causa superiore alla volontà umana, affinché si vedesse chiaramente come in questo gioco anche il più inetto, se aiutato dalla fortuna, può riportare il trionfo sul più abile che sia abbandonato da quella causa esterna>>.37

L’inventore del gioco degli scacchi seguì invece la scuola del libero arbitrio, sostenendo che il successo è raggiunto da chi sa meglio sfruttare le facoltà dategli da Dio.

La differenza tra gli scacchi e il nard era dunque molto sentita allora come ora, solo che i giuristi islamici furono tutti d’accordo nel condannare il gioco della tavola reale perché non prevedeva l’impegno e la razionalità umana, elementi indispensabili della dottrina islamica per salvarsi l’anima. Anche i poeti i islamici fecero sentire la loro voce e la loro opinione schierandosi per lo più a favore degli scacchi e condannando il nard. Il poeta Abu Nuwâs, ad esempio, scrisse questi versi riferendosi al gioco de dadi:

“Si comanda loro una cosa e ne fanno un’altra,

e in ciò non seguono strada diritta né torta. Quando li getto, non mi compiacciono

Io invece sono ad essi sottoposto e divento lo schiavo”38

37 Ibidem, p. 412.

38ABU NUWÂS m. ca. 810/194, (cfr, AL-MAS’ŪDĪ ed. Barbier de Meinard VIII, p. 319) in

(29)

29 Un altro poeta arabo scrisse questi versi a favore degli scacchi:

è un campo quadrato, rosso, di cuoio, posto fra due amici generosi,

i quali, ricordando la guerra, hanno scelto qualcosa di simile ad essa, con la differenza però che non vi peccano versando il sangue.

Osserva i sottili stratagemmi escogitati nella loro mente Fra due eserciti senza tamburo e bandiera.

L’uno corre incontro all’altro e prende il sopravvento,

l’altro passa al contrattacco, e l’occhio della guerra non dorme”39

A parte la diatriba tra i due tipi di gioco riguardante la liceità ottenuta grazie al simbolismo religioso che gli Arabi attribuivano al gioco, i manoscritti contengono molte altre informazioni, tra cui l’elenco dei maestri, le classifiche dei giocatori più bravi, consigli tattici, aperture, problemi, partite, esercizi, argomenti che riguardano solo marginalmente il nostro lavoro.

Per quanto riguarda il passaggio del gioco dal mondo arabo a quello occidentale, la via attraverso la quale si diffuse in tutta Europa, fu la Spagna, dove il termine shatranji venne mutato in ajedrex e in portoghese xadres.

Per conoscere invece l’ulteriore trasformazione subita dal termine per arrivare al nostro scacco, M. S. Pereja spiega:

<<L’ambito di questa diffusione (del termine ajedrex) non va oltre il bacino

dell’Ebro, poiché già in Catalano, a indicare una diversa via di trasmissione, il gioco si chiama escacs, similmente all’italiano scacchi, francese èchecs, inglese chess, tedesco

schach, e via dicendo. Queste voci derivano da sâh, il re, il persiano, attraverso una

(30)

30 forma latinizzata formatasi, secondo i romanisti, verso il X secolo. Dal nome sâh derivano in portoghese e in spagnolo le voci xaque e jaque, scacco fatto al re>>.40

(31)

31

CAPITOLO

II

SIMBOLOGIA

E

PANORAMA

LETTERARIO

DEI

COMPONIMENTI

SCACCHISTICI

II.1 IL SIMBOLISMO CICLICO DELLA SCACCHIERA

Una breve descrizione della scacchiera, dei pezzi e dei loro movimenti, cioè delle regole del gioco, ci consente di introdurre il tema della simbologia degli scacchi.

La scacchiera è una tavola composta da 32 quadrati chiari e 32 scuri; i pezzi vi si dispongono come due eserciti contrapposti formati da un Re, una Regine, due Torri, due Alfieri, due Cavalli, e otto pedoni, i quali si possono muovere nel seguente modo: il pedone in avanti verticalmente di una casa; la Torre lungo colonne e traverse in numero facoltativo; l’Alfiere diagonalmente per un massimo di otto case; il Cavallo a elle; la Regina, il pezzo più importante, come la Torre e l’Alfiere; il Re, in ogni direzione, ma di una sola casa. Dare scacco matto al Re, ossia minacciarlo di cattura senza dargli possibilità di fuga, è l’obiettivo finale di ogni partita.

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32 Dal numero sessantaquattro dei quadrati della scacchiera è necessario partire per capire l’originaria simbologia del gioco. Tale numero è presente nella cultura orientale cinese e indiana, infatti sessantaquattro sono gli esagrammi del libro oracolare cinese I King (Libro dei mutamenti)41, e sessantaquattro sono i diagrammi del Vastu-Purusha-Mandala che è un quadrato sul cui schema si costruivano in primo luogo i templi e quindi anche le città indiane.

Burckhardt (1908 – 1984), saggista e sufista, particolarmente attento ai problemi iconologici insiti nelle forme d’arte delle grandi fedi (cristianesimo, buddhismo, induismo, taoismo e islamismo), nel suo saggio42 afferma che

<<La forma della scacchiera corrisponde al tipo “classico” del Vastu-mandala43, simbolo dell’esistenza, concepita come un “campo d’azione” delle potenze divine. Il combattimento rappresentato dal gioco degli scacchi è dunque figura, nel suo significato più universale, del combattimento dei devas con gli asuras, degli “dei” con i “titani”, o degli “angeli” coi “demoni”: tutti gli altri significati del gioco derivano da questo.>>44

La partita combattuta sulla scacchiera ha un semplice significato simbolico: lo scontro universale tra le forze contrapposte del Bene contro il Male. Tale affermazione sarebbe riduttiva, se non andassimo alla ricerca della motivazione originale che ha ispirato l’invenzione del gioco.

41Nel libro dei mutamenti, I King, vengono commentati 64 segni che sono disposti in maniera tale che

corrispondono alle otto regioni dello spazio, quindi alla divisione quaternaria e ottonaria dello spazio che riassume tutti gli aspetti dell’universo.

42 T. BURCKHARDT, Il simbolismo del gioco degli scacchi in Simboli. Edizioni all’insegna del Veltro,

Genova, 1983.

43Mandala: Diagramma simbolico, caratteristico del tantrismo induista e buddista, in cui circoli e quadrati

concentrici (spesso variamente decorati e integrati con altre simbolizzazioni) rappresentano l’universo e l’origine del cosmo nonché le connessioni tra le forze cosmiche e le divinità: considerato atto a favorire la meditazione, può [..]costituire la pianta stessa del tempio. Da Enciclopedia Treccani

(33)

33 La più antica descrizione del gioco degli scacchi dal punto di vista simbolico si trova in un’opera araba, intitolata Praterie d’oro e miniere di

gemme, scritta da al-Mas’ûdî45 nel IX sec. L’autore attribuisce ad un re indiano,

di nome Balhit, la scrittura di un testo sugli scacchi, in cui viene spiegato il simbolismo originario del gioco. L’importanza del testo bramanico (il Re Balhit apparteneva alla casta del Barahman) sta nel fatto che l’autore fa una sorta di allegoria dei corpi celesti, come i pianeti e i dodici segni zodiacali, e dedica ogni pedina ad un astro, per cui stabilisce un rapporto tra i corpi celesti, che rappresentano la causa prima che domina tutte le sfere, cioè i Devaso Divinità, a cui tutto fa capo, e la somma del quadrato delle caselle della scacchiera46.

<<Al-Mas’ûdî afferma dunque con ragione che gli Indiani spiegano con dei calcoli basati sulla scacchiera il cammino del tempo ed i cicli, le influenze superiori che agiscono su questo mondo ed i legami che le collegano con l’anima umana>>47.

Un simbolismo quindi molto profondo che ha le sue origini proprio nel

Vastu-Purusha-Mandala, il cui significato letterale è: esistenza (Vastu), Spirito

universale (Purusha), riflesso inverso della sintesi principale dello spazio e del tempo (Mandala). Esso tuttavia non è sempre “materia prima, vergine e generosa”, perché esiste un mito secondo cui il Vastu-Mandala rappresenterebbe un’asûra, personificazione dell’esistenza bruta: <<I devas hanno sconfitto questo demone, stabilendo le loro ‘dimore’ sul corpo disteso della loro vittima; essi gli imprimono così la loro ‘forma’, ma è lui che li manifesta>>48.

45Al-Mas’ûdî fu uno scrittore arabo musulmano (Baghdad inizio X sec.- Il Cairo 965 d.C.), autore

specialmente di opere storico-geografiche.

46 T. BURCKHARDT, op.cit. p.25.

47 Ibid., p.26.

(34)

34 Da qui lo scontro tra i devas e gli asûras, che vede impegnata in prima fila la casta dei principi e dei nobili, chiamata Kshatriyas. È facile intuire come nel gioco degli scacchi, la scacchiera rappresenti il campo di battaglia dove i pezzi, cioè i guerrieri, con il loro capo, il Re, e il resto dell’esercito, Regina, Fanti, Pedoni, Cavalli, Elefanti si muovono e combattono.

Il simbolismo guerriero è quindi un altro aspetto di questo gioco e si esplicita nell’alternanza tra il bianco e il nero dei 64 quadrati che rappresentano l’armata bianca, quella della Luce e l’armata nera quella delle tenebre, il Re simboleggia lo spirito; la Regina l’anima; gli Alfieri la deduzione; i Cavalli l’intuizione e tutte le funzioni che procedono a salti; le Torri la volontà e tutte le funzioni che procedono noncuranti di bene e male ( del bianco e del nero della scacchiera); i Pedoni i primi moti che precedono le diverse facoltà dell’anima49.

II.2 DADI E SCACCHI

I dadi e gli scacchi sono sempre stati messi in relazione fin dai tempi più remoti poiché simboleggiano la contrapposizione tra destino e volontà, valori che affascinavano non poco la casta indiana dei guerrieri.

<<Lo Kshatriya che si dedicava agli scacchi non vi trovava solo un passatempo, un modo di sublimare la passione guerriera e la sua sete di avventura, ma anche – in proporzione alla capacità intellettuale – un supporto speculativo, una via che dall’azione porta verso la contemplazione.>>50

49 BARRACANO M., in GDE, op cit., p. 206. 50BURCKHARDT, op. cit. p. 30.

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35 Il giocatore di scacchi sa che le sorti della partita non possono essere affidate al caso, ma alla sua intelligenza e ogni scelta da lui fatta nel movimento dei pezzi non può prescindere dalle regole del gioco. La sua libertà è quindi condizionata dalle leggi rigorose del gioco per cui essa va di pari passo con la conoscenza, che riguarda tutte le possibilità delle varie mosse.

Il gioco dei dadi, invece è l’immagine della fatalità in quanto l’esito non dipende dalla razionalità ma esclusivamente dal caso.

Esso, al pari degli scacchi, è stato uno dei giochi più diffusi in Oriente e in Occidente fin dall’antichità, come mostrano i numerosi ritrovamenti archeologici, i riferimenti letterari e le leggi di interdizione emanate dalle istituzioni laiche e religiose di ogni tempo.

La Chiesa considerava diabolico questo gioco e lo vietava ai clerici perché ritenuto ricettacolo di vizi e di degradazione morale, vedeva in esso un pericoloso fattore di stravolgimento sociale: il giocatore di dadi poteva creare la figura del “professionista” del malaffare, essere considerato al pari di un usuraio e di un parassita, dannoso per la società. Niente a che vedere dunque con il gioco degli scacchi che invece era molto apprezzato e praticato nelle corti dei re e fra i nobili.

Il Libros de los juegos51di Alfonso X El Sabio affronta in modo esaustivo il tema ludico e rivaluta per così dire il gioco dei dadi, affiancandolo come

optional a quello degli scacchi. Al contrario dei testi coevi sugli scacchi, che si

51Il Libros de los juegos è il più importante e autorevole trattato di giochi scritto in una lingua europea; fu

composto sotto la direzione di Alfonso X “el Sabio” re di Castiglia e di Leon, visse dal 1221al 1284 e regnò dal 1252 al 1284. Questo libro offre una rassegna completa di tutti i giochi da tavolo praticati in quel tempo. Oggi il libro è conservato nella Biblioteca Reale Escorial di Madrid.

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36 connotavano come moraleggianti nel periodo medievale, questo si presenta invece come testo “umanistico”, laico, ludico-allegorico, scritto in volgare, contrapposto alla morale della Chiesa.

Il manoscritto52, studiato da Grandese, è costituito da 98 carte pergamenacee divise in cinque sezioni, in cui il re castigliano dedica molto spazio ai tre giochi, scacchi, dadi e tavola reale; ciò è confermato dal fatto che originariamente il titolo dell’opera doveva essere “Libros de acedrex, dados e

tablas”53.

Nel momento in cui il gioco degli scacchi fu introdotto dagli Arabi, prima in Spagna e poi nel resto d’Europa, si avvertì la necessità di cambiare alcune regole dello shatranji arabo, poiché i pezzi non godevano di un raggio d’azione abbastanza ampio e la partita risultava molto lunga e poco brillante. Era necessario dunque apportare alcune modifiche che rendessero il gioco più dinamico e veloce. Il processo evolutivo iniziò a partire proprio dal XIII secolo grazie anche al contributo della pubblicazione del Libros de los jeugos, in cui Alfonso X, per spiegare meglio il suo progetto, inserì un aneddoto riferito alla simbologia scacchistica araba basata sulla contrapposizione tra l'intelligenza e destino: un re indiano aveva proposto a tre sapienti di riflettere su cosa vale di più tra fortuna e intelligenza. Un saggio si schierò dalla parte dell’intelligenza, un altro da quella della fortuna, e il terzo sostenne invece l’importanza di entrambe. Il re chiese quindi a ciascuno di esemplificare il loro pensiero in modo tangibile, e così il sostenitore

52Il manoscritto originale del Libros de los juegos è catalogato con la segnatura j.T.6.

53P. GRANDESE, Sulla composizione del libro dei giochi di Alfonso X El Sabio, in <<Annali di Cà

Foscari>>. Rivista di Lingue e Letterature straniere dell’Università di Venezia, XXVII, 1988, pp. 171-181.

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37 dell’intelligenza portò come prova gli scacchi, quello della fortuna portò i dadi e infine quello che aveva scelto il compromesso fra i due, le tavole54.

Con ciò, il Sovrano lasciava intendere che era sua convinzione e intenzione creare un compromesso fra i tre giochi, attribuendo loro nello stesso tempo un’importanza inusuale, (oggi diremmo uno “sdoganamento”) richiesto d’altronde da una società nobiliare medievale che dedicava gran parte del suo tempo ai giochi da tavolo e dal popolo che praticava diffusamente il gioco d’azzardo.

La novità riguardo ai dadi consisteva nel fatto che questi, lanciati nella scacchiera, attribuivano dei punti ai pezzi, per cui in una partita di scacchi bisognava muovere il pezzo corrispondente al punto assegnato dal dado, ciò conferiva al dado un’importanza maggiore:

<<Il dado si presenta non solo come imprescindibile motore delle pedine della tavola reale, ma anche come optional nel gioco degli scacchi al quale può conferire una certa brillantezza e imprevedibilità. All’interno della struttura dell’opera il dado viene così ad assumere la funzione di tramite, di nesso logico che consente al re Alfonso di collegare i libri dei due giochi più nobili (scacchi e tavola reale) attraverso un “libros

de los dados”; a loro volta infatti i due o tre dadi costituiscono un gioco a se stante, per

quanto di minor nobiltà e degno piuttosto delle osterie che delle aule regie.>>55

Non impiegati nella scacchiera, ma utilizzati come gioco a sé stante, i dadi ritornavano ad essere il gioco di sempre, non degno delle corti regie, ma delle osterie e della strada.

54P. CANETTIERI, Il gioco delle forme nella lirica dei trovatori, Bagatto libri, Roma, 1996. 55GRANDESE P., art cit., p. 176.

(38)

38 Nel sistema del Libros de los juegos i dadi diventavano invece l’antitesi perfetta degli scacchi, escludendo completamente l’intervento del caso e quindi rappresentavano una sorta di mediazione tra intelligenza e fortuna. In questo senso lo schema alfonsino risolveva il dilemma che caratterizzava le religioni islamiche riguardante il libero arbitrio e la predestinazione che si era materializzata nel contrasto tra lo shatranji e il nard; l’opposizione tra scacchi e dadi venne quindi risolta e mediata dalle tavole.

Il significato allegorico della soluzione dei tre giochi apportata dal Sovrano sembra essere la seguente:

<<l’uomo trova nella sapienza la forma più alta di influenza sul destino, ma non può

non tener conto della Fortuna, del Fato e del Caso. Proprio nella mediazione rappresentata dalle tavole si riflette con maggiore rilievo l’ideologia del Re: la posizione centrale attribuita alle tavole nel trattato, il fatto che lo stesso Alfonso X sia l’inventore di un gioco di tavole, la chiusura del Libro de los juegos con un gioco di tavole sono tutti elementi che supportano tale interpretazione. Nel Libro de los juegos si tenta quindi di legare i giochi al destino dell’uomo, di mettere in relazione con i tavolieri di scacchi o di tablas gli eserciti, gli animali, le quattro stagioni dell’anno, i quattro umori, i quattro elementi, le stelle e i loro influssi sull’uomo>>.56

In vari testi persiani e arabi era esplicito il rapporto simbolico tra gioco e universo. Omar Khayyam57 in uno dei suoi Rubaiyat, strofa LXIX, scrive:

“Ed i pezzi impotenti egli spinge a piacere Dei giorni e delle notti sopra il vario scacchiere Manovrando per chiuderli, per vincerli

56CANETTIERI P., op. cit.

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39 E porli, uno dopo l’altro, nel cassetto, a giacere.”58

Così commenta il curatore del testo:

<<Noi siamo dei Pezzi incapaci di volontà, come quelli degli Scacchi; Egli ci muove qua

e là sopra lo Scacchiere dei Giorni e delle Notti, per rinchiuderci, per vincerci, e per riporci uno dopo l’altro dentro lo Stipo […] La comparazione è presa da un altro dei passatempi dei Persiani. Però non si creda che la comparazione sia esclusivamente orientale. Bella immagine! Dice Sancio Pancia a Don Chisciotte, che aveva paragonato il mondo ad un teatro; ma non è nuova, come non è nuova quella del gioco degli scacchi, nel quale, durante il suo svolgersi, ogni pezzo ha il suo compito speciale, ma, quando il gioco è finito, ogni pezzo si mescola con gli altri, e, tutti insieme, in combutta, finiscono in un sacchetto, dove si trovan proprio come gli uomini nel sepolcreto! >>.59

Nell’opera alfonsina la simbologia non è altrettanto esplicita, il sistema dei giochi si sviluppa a livello numerologico e l’approccio al destino è simboleggiato nel gioco astrologico. Le stelle hanno un’influenza sull’uomo e sulla natura e tutte le cose dell’universo sono interrelate; il progetto di Alfonso X è in definitiva quello di porre in relazione il cosmo con i differenti tavolieri di scacchi e di tavole.

II.3 VALORE LETTERARIO DEI COMPONIMENTI SCACCHISTICI

La letteratura scacchistica, nata, come abbiamo avuto modo di vedere, nel lontano periodo persiano del X secolo, è costituita essenzialmente da due filoni, quello tecnico e quello letterario. Non ci interessa in questo lavoro analizzare il primo, ma approfondiremo il secondo poiché il gioco degli scacchi, in quanto carico di simbolismi,

58Rubâiyat di OMAR KHAYYĀM, secondo la Lezione di Edoardo Fitzgerald, Carabba Editore,

Lanciano,1919, p. 64.

(40)

40 ha avuto sempre un ruolo non secondario in opere di illustri poeti e scrittori, sia italiani che europei. Alcuni di loro vi hanno fatto ricorso solo parzialmente, altri, invece, lo hanno utilizzato come tema principale dei loro scritti.

Dante, ad esempio, nel XXVIII canto del Paradiso, ricorre alla simbologia degli scacchi in una terzina di altissimo valore poetico, per spiegare che le scintille, cioè gli angeli, erano talmente tante da superare quello della duplicazione progressiva degli scacchi (con riferimento alla leggenda di Sissa)60:

“L’incendio suo seguiva ogni scintilla; ed eran tante, che ‘l numero loro

più che ‘l doppiar de li scacchi s’inmilla”61

Boccaccio, nel Decameron, si serve degli scacchi, sia per raccontare l’inizio di un’avventura, quella di Anichino con madonna Beatrice62, sia, allegoricamente, come

antidoto alla morte, in una cornice particolare, quella della peste che infuriava a Firenze nel 1348. I dieci giovani che, come sappiamo, si ritrovano a Fiesole, dopo aver perso tutti i loro cari, cercano di allontanare la paura della morte trascorrendo le giornate, non solo cantando, danzando e raccontando novelle, ma anche giocando a scacchi.

60La leggenda di Sissa è una storiella di origine orientale secondo la quale l’inventore del gioco degli

scacchi avrebbe chiesto, come ricompensa, al re di Persia, tanti chicchi di grano quanti ne risultassero, ponendo un chicco nella prima casa della scacchiera, due nella seconda, tre nella terza e così via raddoppiando per ognuna delle 64 caselle, e raggiungendo un numero elevatissimo composto da venti cifre per cui il grano del re risultava insufficiente.

61 D.ALIGHIERI, La Divina Commedia, (a cura di) Giuseppe Antonio Camerino, Liguori Editore, Napoli,

2013.Canto XXVIII Paradiso (91-93) p. 504.

62 G. BOCCACCIO, Decameron, (a cura di) Natalino Spegno, I Classici Italiani TEA, Torino,

1989.Settima giornata, VII novella (“Avvenne un giorno che, essendo andato Egano ad uccellare ed Anichino rimaso a casa, madonna Beatrice, […] con lui si mise a giucare a scacchi; e Anichino, che di piacerle desiderava, assai acconciamente faccendolo, si lasciava vincere, di che la donna faceva meravigliosa festa“) pp.652.

(41)

41 Questi due esempi valgono a dimostrare come anche i più grandi autori non abbiano resistito al fascino degli scacchi e al loro simbolismo, pur ricorrendovi in modo fugace e sporadico. Ciò non deve tuttavia trarci in inganno, poiché esiste una vastissima letteratura scacchistica, le cui origini risalgono proprio all’epoca in cui furono inventati gli scacchi. I primi scritti attestanti la nascita degli scacchi, come il Wizārišn ī čatrang, o il Libro dei Re di Firdusi, i poemi epici e le canzoni di gesta francesi, come Floire

e Blanceflor, o Les Echecs amoureux, i trattati moraleggianti medievali, come il Liber de moribus … di Jacopo da Cessole, e, per finire, tutti gli autori, da Girolamo Vida ad

Arrigo Boito e a Montale (solo per citarne alcuni) che, scacchisti o no, si sono ispirati al gioco degli scacchi, dimostrano come la letteratura italiana ed europea si sia arricchita di opere di indiscutibile valore artistico e culturale.

Il problema, semmai, è di stabilire se queste opere debbano rientrare nella letteratura cosiddetta “maggiore”, o “minore”. Tale distinzione non è casuale, perché da tanto tempo si è dibattuto su questo argomento. E. Giudici ritiene che il gioco degli scacchi si debba inserire nel quadro della letteratura “minore”, da considerare in parallelo con le cosiddette Arti minori:

<<C’è in queste ultime (ma non sempre; e valga a provarlo l’enorme tempo e fatica che

richiedono, per esempio, certi arazzi) il gusto del ‘piccolo’, del ‘minuto’, del gioiello cesellato: un po’ come l’arte del giardiniere nel creare e coltivare certe piante nane [….] e ciò in due sensi: per la brevità delle composizioni e per la ‘piccolezza’ dell’argomento: in quest’ultimo senso la scacchiera stessa, la lotta lillipuziana che si svolge su di essa rispondono magnificamente a quest’aspetto della categoria del ‘minore’>>63.

63 E. GIUDICI, Il “Minore” nella storiografia letteraria, Convegno internazionale, Roma, 10-12 marzo

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