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Turtas, Raimondo (1992) Rapporti tra Africa e Sardegna nell'epistolario di Gregorio Magno (590-604). In: L'Africa
romana: atti del 9. Convegno di studio, 13-15 dicembre 1991, Nuoro (Italia). Sassari, Edizioni Gallizzi. V. 2, p. 691-710.
(Pubblicazioni del Dipartimento di Storia dell'Università di Sassari, 20). http://eprints.uniss.it/3376/
L'Africa
romana
Atti del IX convegno di studio
Nuoro, 13-15 dicembre 1991
a cura di Attilio Mastino
* *
EDIZIONI
Raimondo Turtas
Rapporti tra Africa e Sardegna nell'epistolario di Gregorio Magno (590-604)
Benché questa comunicazione sia rigorosamente limitata al tema e-spresso dal titolo, mi sembra necessario fare due premesse a proposito dei rapporti - in campo ecclesiastico, politico e militare - intervenuti tra Africa e Sardegna nei decenni precedenti il pontificato di Gregorio Magno. Tra i 466 vescovi cattolici, provenienti da tutti i territori del regno vandali co e convocati per ordine del re Unnerico a Cartagine nel feb-braio 484 per partecipare ad un dibattito teologico con i vescovi ariani protetti dal sovrano, se ne contavano cinque che erano titolari di diocesi sarde: Lucifero di Cagliari, Vitale di Sulci, Martiniano di Forum Traia-ni, Bonifacio di Senafer e Felice di Torresl
• Questa prima notizia sulla chiesa sarda in periodo vandalico è importante, oltre che per la precisio-ne sui nomi delle sedi e dei rispettivi presuli, anche perché è la prima vol-ta che veniamo a sapere con sicurezza della molteplicità di sedi episcopa-li nell'isola2
• Com'è risaputo, il dibattito non ebbe l'esito voluto da
Un-nerico; l'ortodossia nicena fu anzi confermata con un'articolata profes-sione di fede preparata dal vescovo di Cartagine Eugenio «cum consensu omnium Africae, Mauritaniae et Sardiniae atque Corsicae episcoporum et confessorum qui in catholica permanserunt fide»3. Per ritorsione, il
re vandalo cacciò numerosi vescovi africani in esilio in Corsica4 • Non abbiamo invece notizia di particolari violenze inflitte ai presuli sardi che, c'è da supporre, poterono tornare pacificamente nell'isola. Non va tut-tavia dimenticato che negli anni precedenti la Sardegna era stata già scelta, alla pari con la Sicilia, come luogo d'esilio per un «ingens numerus» di
persone che gravitavano attorno alla corte di Unnerico o che occupava-no importanti cariche pubbliche nelle province africane5
•
I Notitia provinciarum et civitatum Africae, in appendice a VlcroRIS EpISCOPI VITEN-SIS, Historia persecutionis Africanae provinciae (CSEL, VII), Vindobonae 1881, pp. 111-134.
2 Vedi nota 20.
3 VICTORIS EPISCOPI VITENSIS, Historia, pp. 46-71.
4 Ibidem, p. 81. 5 Ibidem, p. 32.
Questa politica di tolleranza nei confronti della chiesa sarda - tan-to più sorprendente soprattuttan-to se la si paragona con quella rigorosa-mente e talvolta ferocerigorosa-mente filoariana seguita dai sovrani vandali verso la chiesa cattolica d'Africa - è confermata dalla grande libertà di azio-ne che venazio-ne lasciata persino ai numerosi vescovi africani che comincia-rono ad essere esiliati anche nell'isola, sicuramente fin dal primo decen-nio del nuovo secol06
• La chiesa sarda non poté non avvantaggiarsi da
questo scambio - fruttuoso anche se disuguale - che la poneva a con-tatto con la prestigiosa tradizione della grande chiesa africana: le fonti letterarie parlano di circoli religiosamente e culturalmente molto vivaci, formati da vescovi ed altri ecclesiastici esuli - si pensi a quelli raccolti a Cagliari attorno al vescovo di Ruspe Fulgenzio durante le due fasi del suo esilio - dediti allo studio delle sacre scritture, alla ricerca e dibattito teologici, alla predicazione, alla diffusione della vita monastica ma an-che inseriti nella vita culturale e religiosa delle città an-che li ospitavano e in buona armonia con il clero locale7
• Da qualche decennio a questa par-te, la ricerca archeologica sta puntualmente confermando le testimonianze letterarie con importanti ritrovamenti che sorprendono sia per la loro ab-bondanza sia per la loro diffusione nell'insieme del territorio isolan08
•
6 Sulla politica religiosa dei Vandali in Sardegna, cf. CHR. COURTOIS, Les Vandales
et l'Afrique, Paris 1955, pp. 189-190 e anche i titoli indicati nella nota seguente. Al m~
mento dell'arrivo di Fulgenzio di Ruspe - che secondo A. MANDOUZE, Prosopographle
de l'Afrique chrétienne (303-533), Paris 1984, p. 510, va collocato nel 508-509 - «sexa-ginta quippe et amplius episcopos .. , catena ligabat exil~i»: G.-C. LAPEYRE,. Vie de ~aint
Fulgence de Ruspe par Ferrand diacre de Carthage, Pans 1929, p. 91. La Vita beati
Fu/-gentii pontijicis si trova anche in PL 65, 117-150; il brano citato sta alla col. 138A.
7 Sull'irraggiamento dell'azione di Fulgenzio come promotore di cultura e di ricerca
teologica ma anche come operatore pastorale, cf. E. CAU, Fulgenzio e la cultura scritta
in Sardegna agli inizi del VI secolo, in «Sa~dalion», 2'.1979, pp. ~2l-2~9: R. ~URT~, Note sul monachesimo in Sardegna tra FulgenzIO e Gregorio Magno, In «RIvIsta dI Stona della Chiesa in Italia», XLI, l, 19~7, pp. 92-l~O; G: FOLLlET, Fulgence de R.uspe,tém?in
privi-légié de l'influence d'Augustm en Sardalgne, In A. MASTINO (a cura dI), L 'Af.rlca
roma-na, VI (Atti del VI convegno di studio. Sassari, 16-18 dicembre 1988), Sassan 1~89, pp. 561-569. Non bisogna, tuttavia, pensare che il gruppo riunito at.torno a Fu~genzlO fo~se
il solo: degli oltre 60 vescovi, soltanto due facevano parte della pnma comumtà fulgenzl~
na. Tuttavia, anche quelli non coinvolti in questa «fraterna congregatio», svolgevano attI-vità di carattere religioso e culturale alle quali partecipava, spesso in priI?~ I?er.sona .. anche Fulgenzio: cfr. LAPEYRE, Vie de Saint Fulgence, pp. 91-95. Fra quest~ .lnlZlatIve VI fu
an-che la celebrazione di un sinodo nel 521: L. MANSI, Sacrorum ConclllOrum nova et
am-plissima collectio, Florentiae 1759-1798, VIII, pp. 591-592. Nel ~lima di Iib:rtà in cu! vive-vano, è quindi possibile che non tutti si siano fissati a Caglian e che abbIano realIzzato persino iniziative come quella di cui, infra, alla nota 21.
8 Per ciò che riguarda il settore più strettamente paleocristiano mi limito a segnalare alcuni contributi di L. PANI ERMINI, Antichità cristiana e alto medioevo in Sardegna
at-traverso le più recenti scoperte archeologiche, in La cultura in Italia fra tardo antico e alto
medioevo (Atti del Convegno tenuto a Roma, Consiglio Nazionale delle Ricerche, 12-16
Bisogna anzi aggiungere che i reperti legati in qualche modo alla orga-nizzazione ecclesiastica non sono affatto i soli - anche se molto signifi-cativi - che attestino la grande intensità di scambi e di contatti tra la Sardegna e l'Africa durante il sesto secol09
•
Al momento in cui gli esuli poterono finalmente tornare in patria - ciò avvenne fin dall'inizio del regno di Ilderico (523), una decina d'anni prima che la riconquista bizantina ponesse fine al regno vandalico - i rapporti tra le chiese africana e sarda dovevano aver raggiunto un livello di notevole intensità né è pensabile che essi si siano interrotti bruscamente: le testimonianze archeologiche sottolineano che continuarono ancora per alcuni decenni. Eppure, non si può passare sotto silenzio l'impressionante scarsità di tracce di questi stessi rapporti nella documentazione lettera-ria; persino l'epistolario di Gregorio Magno che - nei 14 anni durante i quali si svolge (590-604) - racchiude una buona parte dell'insieme del-la documentazione redel-lativa al primo millennio di storia deldel-la chiesa sar-da, non ne conserva, come si vedrà, testimonianze apprezzabili.
Molto diversa - siamo alla seconda premessa - è la situazione per ciò che concerne i rapporti in campo politico-militare. All'indomani della vittoria bizantina, Giustiniano aveva disposto che tutti i territori fino al-lora appartenuti al regno dei Vandali fossero suddivisi in sette province - sei nei territori africani e una formata da Sardegna e Corsica - e co-stituissero la diocesi d'Africa. Al suo vertice, con competenze meramente civili, venne posto il praefectus praetorio Africae; soltanto in casi eccezio-nali e per periodi limitati, egli sarebbe stato investito anche del comando militare di tutta la diocesi. Le singole province, invece, dovevano avere alla loro testa due funzionari, ciascuno con competenze o civili (praeses)
o militari (dux). Per ciò che riguarda la Sardegna, il praeses risiedeva a Cagliari mentre il dux si sarebbe dovuto stabilire «iuxta montes ubi Bar-baricini videntur sedere», probabilmente a Forum Traiani, l'attuale For-dongianus; ciò significa che mentre il praeses aveva nel praefectus il suo superiore immediato, il dux dipendeva direttamente dall'imperatore1o
•
novembre 1979), Roma 1981, II, pp. 903-911; EAD., La Sardegna e l'Africa nel periodo
vandalico, in A. MASTINO (a cura di), L'Africa Romana, II (Atti del II convegno di stu-dio. Sassari, 14-16 dicembre 1984), Sassari 1985, pp. 105-122: una buona parte di questo contributo si occupa degli influssi dell'onomastica cristiana africana su quella sarda; della stessa, vedi i titoli riportati nella nota 21.
9 F. VILLEDIEU, Relations commercia/es établies entre l'Afrique et la Sardaigne du II~ au VI~ sièc/e, in A. MASTINO (a cura di), L'Africa romana, III (Atti del III convegno di studio. Sassari, 13-15 dicembre 1985), Sassari 1986, pp. 321-332; PH. PERGOLA,
Eco-nomia e religione nella Sardegna vandala: nuovi dati da scavi e studi recenti, in MASTINO,
L'Africa romana, VI, pp. 553-559.
10 Per questa seconda premessa seguo i dati del contributo di J. DURLlAT, Ma-gister mi/itum - r,TPATHAATHr, dans l'Empire Byzantin (VI~-VlI~ siècles), in
«By-694 Raimondo Turtas
Questa organizzazione del potere sarebbe probabilmente durata an-cora a lungo se l'accresciuta pressione delle tribù berbere in Africa e l'in-vasione dei Longobardi in Italia non avessero spinto a ricercarne un'altra più adatta alle esigenze di una difesa più tempestiva e flessibile; è in que-sto conteque-sto che nasce una nuova funzione, quella dell' exarchus che ve-diamo saldamente affermata sia nella diocesi d'Italia che in quella d'Afri-ca negli ultimi decenni del VI secolo: la precedente suddivisione dei poteri ne fu radicalmente ristrutturata. Vero è che, ad esempio, nella diocesi d' A-frica continuarono a restare in piedi le funzioni sia del praefectus
praeto-rio sia dei praesides delle singole province con le loro rispettive
attribuzio-ni civili. L'exarchus però non solo si collocava al di sopra del praefectus in quanto era la più alta autorità deIl'amministrazione civile della diocesi
ma possedeva anche il supremo comando delle forze armate dislocate
nel-lo.s.tesso territorio .. Questa unità di comando nel campo civile e in quello
mlhtare venne apphcata anche nelle singole province dove il dux diventò
il cor~ispondente di ciò che era l'exarchus per tutta la diocesi:
quest'ulti-mo dIventava così un vero e proprio viceimperatorell • È ovvio che uno
studio sui rapporti tra Africa e Sardegna nel periodo di Gregorio Magno non potrà ignorare l'articolazione tra queste varie funzioni.
Fatte queste premesse non si può far a meno di osservare che anche
le lettere di Gregoriol2 riguardanti la Sardegna offrono non pochi
ri-scontri sulla crescente militarizzazione dei quadri più alti del potere. Si prendano ad esempio le lettere I, 46, 47 e 59 dirette rispettivamente al
dux Sardiniae Teodoro, al diacono Onorato, rappresentante di
Grego-rio presso l'imperatore Maurizio a Costantinopoli e al patricius et
exar-chus Af.ricae Gennadio e datate, le prime due nel giugno 591, la terza
nel lugho dello stesso anno. Che Teodoro avesse competenza anche in
zantinische Zeitschr!ft»,. 72 (1979), ~p. 306~32~, molto innovativi su questo aspetto rispet-to a CH. DIE~L, L 'Af~lqlle byzantme. HlstO/re de la domination byzantine en Afrique
(533-709), P~ns 1896, fmora accettato «par la totalité des historiens de l'Afrique
byzanti-~e»." come dIce lo stesso DURLIAT, Magister militum, p. 306; non vi fa eccezione neanche II plU rec~nte A .. GUI~LOU, ~a lunga età bizantina politica ed economica, in M. GUIDETTI (a .cura dI), Storza del Sardi e della Sardegna, l. Dalle origini al/a fine dell'età bizantina,
Milano 1987, pp. 337 ss.
Il Cf. DURLlAT, Magister militllf1l, pp. 311-314.
. 12 Per una bibliografia su Gregorio Magno, rimando a quella riportata nella sostan-ZIosa scheda curata da R. GILLET, Gregoire]U le Grand, in DHGE, XXI, 1387-1420; essa occupa le coli. 1417-1~2.0. Le numerose citazioni dell'epistolario dello stesso pontefice sono tratte dalla recente edlZtone curata da D. NORBERG, S. Gregorii Magni Registrum epistola-rum (CCh. s. lat., CXL e C~L. A)! Turnolti 1982; il numero romano indica l'anno del ponti-ficato mentre quello arabo SI nfensce al numero d'ordine della lettera di quello stesso anno.
Rapporti tra Africa e Sardegna nell'epistolario di Gregorio Magno 695
çampo civile emerge dalla richiesta che Gregorio gli rivolge di riconosce-re la validità di un testamento a favoriconosce-re del monastero costruito nella pro-pria casa dalla religiosa Pompeiana (I, 46); altrettanto dicasi per la
posi-zione subalterna del dux - che invece secondo le disposizioni
giustinia-nee avrebbe dovuto dipendere direttamente dall'imperatore - rispetto
all'exarchus: non si capirebbe altrimenti la lettera di Gregorio a
Genna-dio perché ponesse fine alle malversazioni di Teodoro e dei suoi uomini ai danni dei pauperes di Turris Libisonis, dei religiosi homines di quella chiesa e dello stesso vescovo Mariniano (I, 59).
Il fatto poi che iI pontefice avesse scritto anche a Costantinopoli
per-ché il comportamento esoso e tirannico di Teodoro fosse denunciato
pres-so l'imperatore non significa affatto che Gennadio non avesse potere d'in-tervento su Teodoro; a Gregorio premeva che il basileus non ignorasse che disordini ben più gravi di quelli perpetrati a Turris Libisonis erano stati commessi da Teodoro su tutto il territorio dell'isola, per di più in dispregio di precisi ordini imperiali in materia di prelievo fiscale
(<<con-tra piissimorum dominorum iussa»), emanati pochi anni prima dallo
stes-so Maurizio e quindi da osservare «a ducibus quos in tempore praeesse
contigerit» (I, 47). Ciò che ci preme sottolineare qui è lo stretto legame,
anche nel campo dell'amministrazione civile, della provincia di Sarde-gna alla diocesi d'Africa.
Naturalmente, senza dimenticare quello militare. Si ignorano anco-ra i precedenti che portarono alla campagna del nuovo dux Sardiniae Za-barda contro i Barbaricini. L'informazione che ne abbiamo dalla lettera di Gregorio del maggio 594 (IV, 25) ci presenta il tutto a cose già fatte: le ostilità si erano concluse vittoriosamente per i bizantini, gli sconfitti avevano già chiesto i termini di pace, se ne stava appunto trattando e Zabarda era disposto a concederla a condizione che i Barbaricini accet-tassero, oltreché di sottomettersi all'imperatore, anche di entrare nel
«ser-vitium Christi», lasciandosi cioè evangelizzare e battezzare. Tuttavia, da
quanto si è detto sulla stretta dipendenza dei duces delle province
dall'e-xarchus è già possibile concludere che ben difficilmente Zabarda avreb-be potuto prendere le iniziative che gli vengono attribuite da Gregorio senza aver prima ricevuto il benestare di Gennadio; anche supponendo che la campagna militare fosse stata intrapresa come immediata ritor-sione alle incursioni degli irrequieti abitanti della Barbaria, qui si è di fronte a qualcosa di molto più complesso: oltre alla conduzione pura-mente militare della campagna, si assiste al dispiegamento di una certa attività diplomatica con una singolare condizione di pace e all'emergere come per incanto di un dux dei Barbaricini, Ospitone, che non sembrava aver partecipato alla guerra appena conclusa e che, circostanza ancora
più sorprendente, era cristiano; anzi l'unico cristiano di tutta la sua gen-te, quella stessa tanto tenacemente attaccata ai culti tradizionali da
pre-ferire ~l pagamento di una tassa speciale pur di non abbandonarli (V,
38). DI dove era saltato fuori Ospitone? E, soprattutto: è possibile che
tutto ciò sia avvenuto al di fuori di un progetto elaborato o,
quantome-no, approvato dall'exarchus13?
Vero è che Zabarda era stato calorosamente complimentato dal pon-tefice per la sua fattiva lealtà sia verso l'imperatore che verso Dio (egli
aveva saputo, non solo «quae terrena sunt reipublicae exolvere» , ma
an-che «omnipotenti Deo obsequia patriae caelestis exhibere»: IV, 25). Non a caso, la raccomandazione di Gregorio perché continuasse nel suo pro-posito di cooperare in prima persona all'opera evangelizzatrice condotta dal vescovo Felice e dall'abate Ciriaco, da lui inviati appositamente nel-l'isola per convertire i Barbaricini, era così diversa da quelle fatte dallo
stesso pontefice ai «nobiles et possessores Sardiniae» e al dux dei
Barba-ricini Ospitone; con costoro, che sapeva già molto «occupati» in altre
cose, Gregorio si era mostrato inaspettatamente comprensivo e persino
disposto a scusarli e a dispensarli da quell'incombenza missionaria (<<quod
... forsitan minime valetis» e «quod si fortasse id agere non potes»: IV 23 e 27); si era limitato a chiedere loro di favorire il lavoro dei missiona: ri, quasi un modo per augurarsi che non vi ponessero ostacoli.
A ben guardare, tuttavia, Zabarda non aveva fatto altro che
appli-care ai Barbaricini la stessa linea politica inaugurata dall'exarchus
Gen-nadio in Africa già vent'anni prima. Gregorio era ben al corrente delle grandi vittorie che costui aveva riportato sulle tribù berbere, le stesse che prima del suo arrivo avevano sgominato vari eserciti bizantini. Tuttavia, osservava il pontefice, non era su questi fatti d'arme che si fondava la
• 13 l:a comparsa ~mprovvisa di Ospitone pone anche altri quesiti ai quali la documen-tazIOne fmora.conoscl~ta non .consente di dare u~a rispost~ sicura. Da chi e in quali
circo-stan~e av~va ncev.uto I~ battes~mo? D~ q~anto ~Ice Greg?no sullo scarso impegno dei
ve-SCOVI n:1I eva.ngelI~zazIO~e del p~ga~1 e In partIcolare del Barbaricini, non sembra che la converslOn: d.1 OspJton~ sIa da attnbmre a qualcuno di loro: il pontefice romano non avrebbe mancato ~I nm~rcare I~ fatto con soddisfazione, come vedremo farà nel caso del nuovo vescovo dI Fausmna, VIttore. D'altra parte, il fatto che Ospitone fosse cristiano non
sem-br~ far sorgere. ~e~ SU? ~opo.lo. pr.oblemi per la sua accettazione come capo: si direbbe che eglI avesse tUttI I tItolI dI legIttImItà per essere il «Barbaricinorum dux». Se le cose stanno così, n?~ sem?ra azzardato. ipotizzare che il suo caso sia simile a quello di altri principi
barba~lcl p.r:sl co~e ?stag.gl dal governo .imperiale ed educati «alla romana» - e perciò
~nche IstrUItI n~l cnstmneslmo e battezzatI - presso la corte a Costantinopoli: Teodorico
Il futuro re deglI Ostrog?ti,. ne fu l'ese~pio più celebre. Anche Ospitone, magari preceden~ teme?te educa~o a. CaglIan o ~ Cartag~n7 poté essere tir~to. fuori al momento opportuno c<;>n l I~tento sIa ~h ~tt~nere. dat BarbancInI appena sconfIttI una condotta più pacifica sia dI aVVIarne la cnstIanIzzaZlOne.
vera gloria del generale vittorioso: trionfi simili erano stati concessi an-che «antiquis bellorum ducibus» della Roma pagana. Ciò che faceva
gran-de la figura dell'exarchus non era quindi, secondo Gregorio, l'avere sparso
molto sangue nemico ma piuttosto l'aver contribuito all'ampliamento del-la «res publica in qua Deum coli conspicimus»; quale altro poteva essere lo scopo ultimo dello stesso impero se non quello di creare le condizioni
perché «Christi nomen per subditas gentes fidei praedicatione
circum-quaque discurrat» (I, 73)? Tutto questo Gennadio l'aveva praticato in-coraggiando l'evangelizzazione delle tribù berbere confinanti con i
terri-tori dell'impero, un'opera continuata anche da Eraclio - il padre del
futuro omonimo imperatore - che gli successe dopo il 59814
•
La stupita e indignata reazione di Gregorio di fronte al fatto che vi fossero ancora pagani in Sardegna lascerebbe supporre che fino al mag-gio del 594 egli non ne fosse ancora al corrente. Forse non è proprio co-sÌ. Come sembra di capire dalle sue lettere, la notizia gli giunse insieme a quella della guerra contro i Barbaricini ancora pagani e a quella dello
scarso impegno degli «insulae sacerdotes ad praedicandum redemptorem
nostrum» sia a questi bellicosi idolatri sia ai numerosi altri pagani «ru-stici» che lavoravano nei latifondi appartenenti a «nobiles et possesso-res» locali e talvolta anche alla chiesals . Il pontefice si era affrettato a inviare nell'isola il vescovo Felice e l'abate Ciriaco perché si dedicassero
alla loro conversione ma anche perché stimolassero il clero locale a
im-pegnarsi nella soluzione di questo grave problema. Ora, siccome le lette-re lette-relative a questo argomento plette-resuppongono che egli abbia ricevuto informazioni inviategli dall'isola proprio da Felice e Ciriaco (IV, 23, 25, 26, 27), si deve concludere che tutti questi avvenimenti erano iniziati un pò di tempo prima, diciamo non più tardi dell'estate del 593.
14 Cf. A. AUDOLLENT, La diffusion du christianisme en Afrique au sud des territoi-res soumis à Rome après le Vt' siècle, in «CRAI», 1942, pp. 202-216. Sulla coscienza mis-sionaria dell'impero bizantino, cfr. H.-G. BECK, Christliche Mission und politische Pro-paganda im byzantinischen Reich, in La conversione al cristianesimo nell'Europa dell'alto medioevo, Spoleto 1967, pp. 649-694. Per capire meglio la differenza tra il generale cri-stiano e gli «antiqui bellorum duces» pagani, non bisogna dimenticare che, dal punto di vista religioso, secondo Gregorio,la Roma pagana si collocava allo stesso livello degli altri popoli pagani, fossero essi Corsi, Angli o Barbaricini: insieme ad essi, infatti, si trovava accomunata sotto lo stesso denominatore di «adoratori di legni e di pietre» (cf., rispettiva-mente: V, 36; VIII, I; VIII, 29; IV, 27). Di qui segue anche come sia del tutto fuorviante tentare di individuare precise informazioni di pratiche cultuali - come è stato fatto spesso dalla storiografia sarda che si è occupata di questo problema - in ciò che Gregorio dice sulle condizioni religiose dei Barbaricini «(Dum ... ligna autem et lapides adorent ... » (IV, 27); se mai, il riferimento va fatto alla polemica antipoliteista presente nella Bibbia, so-prattutto nei libri veterotestamentari ma anche in alcune lettere di S. Paolo.
IS Sui Barbaricini, cf. E. BESTA, La Sardegna medioevale, I. Le vicende politiche dal
698 Raimondo Turtas
Certo è, comunque, che la notizia sembra sia stata per lui una sor-presa. Alle disposizioni da lui adottate e alle quali abbiamo già accenna-to, bisogna aggiungere una lettera indignata diretta al metropolita Gia-nuario perché ne comunicasse il contenuto agli altri vescovi: esortazioni, preghiere, minacce, nulla veniva tralasciato pur di smuovere l'apatia dei suoi confratelli nell'episcopato (IV, 26). È in questo contesto che Grego-rio venne anche informato dell'abbandono in cui giaceva l'antica sede vescovile di Fausiana sulla costa nordorientale dell'isola, nel cui territo-rio sprovvisto quasi di sacerdoti rimanevano ancora alcuni (<<quosdam») pagani. Sebbene non si sappia da chi Gregorio abbia ricevuto questa no-tizia, forse dagli stessi missionari Felice e Ciriaco oppure anche da Gia-nuario, è certo che costui - magari scosso dalle esortazioni di quelli o dai rimproveri di Gregorio - inoltrò a quest'ultimo la richiesta per il
ripristino di quella sede; venne subito accontentato, anche se la risposta di Gregorio sembrava racchiudere una velata minaccia: Gianuario sce-gliesse pure il nuovo vescovo, ma facesse in modo e che la richiesta fat-tagli non si dimostrasse inutile e che lui, Gregorio, non si dovesse penti-re di avervi acconsentito (<<nec vos inveniamini superflua poposcisse, nec
o/im destructa frustra nos reformasse paeniteat»: IV, 29).
La scelta fatta da Gianuario si dimostrò invece molto azzeccata: Vit-tore sarà l'unico fra i vescovi sardi a non essere compreso nelle rampo-gne rivolte da Gregorio ai suoi colleghi per lo scarso impegno nella con-versione dei pagani. Non solo: sei anni dopo, nell'ottobre del 600, il pon-tefice non nascondeva la sua soddisfazione scrivendo al praeses
Sardi-niae Spesindeo perché, in seguito all'opera di Vittore, «multi de barbaris et provincialibus Sardiniae ad christianam fidem dicuntur ... devotissi-me festinare»; lo pregava pertanto di favorire in tutti i modi l'attività
missionaria dello zelante vescovo: XI, 1216
• Le cose però non erano af-fatto così tranquille come appariva da questa lettera: poco prima Grego-rio era stato informato da Vittore che la sua diocesi era teatro di gravi ingiustizie, violenze e sopraffazioni «contra edicti morem», un editto sul quale non si hanno purtroppo altre precisazioni; in particolare era inval-so il costume - «quod audito ipso intolerandum est» - di esigere dai contribuenti il doppio delle somme dovute. Autori di queste nefandezze erano gli «Africani iudices» (XI, 7).
Chi erano costoro? Se non necessariamente di origine africana, quan-tomeno erano stati incaricati da parte delle massime autorità residenti
16 Il testo citato lascia capire che il paganesimo non era limitato soltanto ai «barba-ri» ma interessava anche vaste fasce della popolazione romanizzata di Fausiana e del suo
territorio.
Rapporti tra Africa e Sardegna nell'epistolario di Gregorio Magno 699 in Africa, anche se non si sa da chi: se da Gennadio di cui non si hanno più notizie dopo il 598 o da Eraclio che ne prese il posto di ex~rchus m~ non si sa esattamente quando. Siccome, d'altra parte, GregorIo parla dI questi «iudices» in una lettera al praefectus praetorio Africae Innocenzo è possibile che siano stati inviati in Sardegna proprio da costui, magari prima dell'arrivo del nuovo exarchus, e che a lui dovessero comunque far riferimento; forse è proprio questo il motivo per cui il pontefice non ne fece parola col praeses Sardiniae ma si rivolse direttamente ad In-nocenzo.
Va detto subito che, mentre il solo sostantivo - al singolare o al plurale - ricorre molto spesso nell'epistolario ~regori~no, ~'espression~
<<Africani iudices» è invece un hapax. Inoltre, Il termme «lUdex». non e
usato sempre in senso tecnico: così, ad esempio, quando GregorIo rac-comanda a Gianuario di affidare l'amministrazione degli xenodochia a
«religiosi», persone cioè che dipendendo direttamente dall'autorità ec-.
clesiastica non potessero «essere molestati dai giudici» (<<quos vexandl
iudices non habeant potestatem»: IV, 24); un'altra volta egli parla di «laici
iudices» che non esitavano ad «opprimere» i sacerdoti mentre i loro
aiu-tanti si facevano beffe di Gianuario (IV, 26). In entrambi i casi sembra che il termine «iudices» sia usato per indicare funzionari governativi che _ nella fattispecie - si immischiavano negli affari ecclesiastici o aveva-no la tendenza a farlo. Sicuramente era un alto funzionario - forse lo stesso praeses o il dux - l' «insulae iudex» di cui parla il pontefice nella sua lettera all'imperatrice nel giugno 595 (V, 38); costui, non contento di aver imposto una tassa speciale sui pagani che non volevano rinuncia-re alle loro pratiche ancestrali, continuava ad esigerla anche da coloro che si erano fatti battezzare; al vescovo Felice che lo rimproverava per questo arbitrio aveva risposto che solo ricorrendo a espendienti simili sa-rebbe riuscito a pagare il «suffragium» a chi gli aveva ottenuto quel
po-sto. Per tornare agli <<Africani iudices», mi pare li si debba qualificare come funzionari inviati direttamente dalle massime autorità della dioce-si d'Africa per sovrintendere alla riscosdioce-sione dei tributi - un'operazio-ne che essendo effettuata in maniera forzosa comportava già una certa dose di vessazioni e di violenze - e che profittavano della loro posizione per commettere ulteriori angherie, come quella di pretendere dai contri-buenti il doppio delle somme indicate nei ruoli.
Forse è rischioso spingersi oltre; tuttavia, appena pochi mesi prima Gregorio si era interessato ad un caso che magari può gettare una certa luce sull'identità dei nostri <<Africani iudices». Era stato informato che
«in Sardinia minores vel pauperes ab eis qui i/lic maiores sunt op-prim(u)ntur»: X, 17. A prima vista non la si direbbe una notizia
sensa-zionale. Lo è invece ciò che segue: gli era stato fatto intendere che «hi
qui dicuntur oppressi», cioè i «minores vel pauperes» , avevano costretto
gli altri, vale a dire i «maiores», a cercare rifugio «in ecc/esia» (in segui-to a una sollevazione popolare?). Il responso di Gregorio - nonostante una qualche esitazione dovuta alla non soddisfacente precisione delle in-formazioni ricevute - era piuttosto netto e prevedeva che coloro che ave-vano trovato asilo nell'edificio di culto non dovessero subire violenze, ma neanche gli altri (assedianti?) dovessero subire danni (per la mancata giustizia?). Come ottenere questo? Da una parte, a coloro che si erano rifugiati si doveva garantire con solenne giuramento l'uscita dalla chiesa senza che ciò li esponesse alla vendetta dei nemici; dall'altra, però, essi avrebbero dovuto rendere conto del comportamento che aveva provoca-to quella reazione: bisognava evitare sia che la sete di vendetta degli op-pressi si trasformasse in delitto «<noxa») sia che il ricorso alla protezio-ne dell'asilo ecclesiastico si dimostrasse del tutto inutile.
Difficilmente si possono identificare questi «maiores» con i latifon-disti locali che vengono invece costantemente indicati come
«possesso-res» (IV, 23; V, 38; XIV, 2) e che più d'una volta sono essi stessi
presen-tati come «oppressi» dagli agenti del fisco imperiale (V, 38, XIV, 2); inol-tre, con tutta probabilità essi non erano gente del posto, ma venivano da fuori, dall' Africa appunto. Sarebbe altrimenti inspiegabile il fatto che la difficile situazione nella quale essi si erano venuti a trovare in Sarde-gna stesse tanto a cuore alle più alte autorità dell' Africa e cioè a Dome-nico, vescovo di Cartagine, e ad Innocenzo, praefectus praetorio
Afri-cae, la massima autorità civile di tutta la diocesi d'Africa dopo l'exar-chus. Furono essi, infatti, che scrissero a Gregorio perché intervenisse
a toglierli dai guai nei quali si erano cacciati. Si doveva quindi trattare di persone legate ai più altri gradi dell'amministrazione sia civile che ec-clesiastica; proprio questa, infatti, intervenne a loro favore attraverso i suoi massimi rappresentanti; in altre parole, tutto lascia supporre che si abbia a che fare con una categoria di funzionari molto vicina agli
<<Afri-cani iudices» di cui si è appena parlato.
Un altro episodio che attesta le relazioni tra Sardegna e Africa in campo militare è offerta da un brevissimo cenno nella lettera IX, Il, del-l'ottobre 598. Per apprezzarlo meglio, va ricordato che fin dai suoi pri-mi anni di pontificato Gregorio si dovette interessare anche alla difesa di Roma e del suo territorio dalle continue incursioni dei Longobardi; in assenza di iniziative idonee da parte dell'esarca di Ravenna, non ave-va esitato persino a intavolare trattative con alcuni capi barbari per otte-nere una tregua, guadagnandosi in tal modo un solenne rimprovero da parte dell 'imperatore Maurizio. Gregorio non si era limitato a
denuncia-re la cdenuncia-rescente espansione dei Longobardi nella penisola ma aveva anche gettato l'allarme sulle loro mire espansionistiche verso le isole del Ti~r~ no. Scrivendo all'imperatrice Costantina nel 595 l'aveva pregata dI n-cordare al suo augusto consorte che la pressione fiscale in Corsica era diventata talmente intollerabile che i «possessores eiusdem insulae» si ve-devano ormai costretti ad abbandonare la «pia respublica» - cioè l'im-pero - per rifugiarsi presso la «nefandissima Langobardorum gens» (V, 38). Poco prima, nella stessa lettera si diceva che, dal p~nt.o di vi.sta d~l la pressione fiscale, la situazione in Sardegna non era mIglIore: SI laSCia-va capire che, se non si ponelaSCia-va rimedio a questa situazione, le popola-zioni di entrambe le isole non avrebbero tardato a convincersi di non aver niente da perdere se passavano sotto il dominio dei Longobardi.
Non sappiamo se già in quell'occasione Gregorio si fosse rivolto an-che all' exarchus dal quale dipendeva la difesa di quelle isole, in partico-lare della Corsica, sicuramente la più minacciata per la sua vicinanza al-le regioni occupate dai quei barbari. Quella situazione di pericolo, tutta-via, non doveva essere sfuggita a Gennadio che l'anno seguente, sulla base di informazioni precise, progettava di inviare in Corsica un forte contingente di soldati per respingere eventuali attacchi nemici. Appena Gregorio lo venne a sapere si affrettò a scrivere a Gennadio per racco-mandargli di destinare come comandante di quelle truppe il comes Rufe-rio che dalla Corsica era stato convocato in Africa, pare per rendere conto di addebiti non meglio precisati (VII, 3). Il pontefice profittava dell'oc-casione per spendere una buona parola anche a favore del tribunus Ana-stasio che negli anni precedenti lo stesso Gennadio aveva mandato in Cor-sica ma poi aveva rimosso dall'incarico a motivo di accuse mosse sul suo conto; sicuramente si trattava di accuse false, insinuava Gregorio, per-ché non solo esse non erano state provate ma persisteva nell'isola un dif-fuso rimpianto per la corretta gestione di Anastasio. Anche per lui veni-va auspicata una rapida reintegrazione nella carica occupata in pre-cedenza17•
È in questo preciso contesto che si colloca il breve cenno contenuto nella lettera già citata dell'ottobre 598. Gregorio aveva appena saputo da una fonte non meglio precisata che i Longobardi - con i quali aveva concluso dopo lunghi mesi una faticosa trattativa di pace non ancora per-fezionata dalla ratifica del loro re Agilulfo - avevano fatto un colpo di mano in Sardegna, che avevano trovato le difese del tutto
imprepara-17 Non ci sembra esatto quanto dice il già citato GILLET, DHGE, XXI, 1395, a pro-posito del «tribun Anastase, à la fois chef militai re efficace ... et a?~inist~ateur ... »;. Gre-gorio ne chiede bensì il ritorno in ~or~ica, m~. non come .capo ~1~ltare: m quel penodo, infatti, il titolo di «tribunus» non mdlcava pm una funZione mlhtare.
702 Raimondo Turtas
te e che i danni da loro arrecati sarebbero stati molto più gravi se si fosse-ro presentati in maggior numefosse-ro. Poco dopo aver appreso questa notizia, Gregorio ricevette da Cagliari una lettera di Gianuario che, a sua volta, lo informava dell'accaduto. Era una buona occasione per il pontefice per rimproverare ancora una volta lo smemorato Gianuario perché non aveva tenuto conto di una sua precedente raccomandazione di stare in guardia contro eventuali incursioni barbariche. Nel rimprovero, questa volta era velatamente incluso anche il potente exarchus al quale Gregorio aveva fatto
in precedenza un'analoga raccomandazione: non ne era stato fatto nulla. Gregorio conosceva troppo bene i Longobardi e temeva che, profit-tando del fatto che la pace non era stata ancora ratificata, avrebbero fatto altre scorrerie, forse più devastanti, contro le coste sarde. Esortava per-ciò energicamente Gianuario perché si preoccupasse di ispezionare e met-tere a punto le fortificazioni e perché venissero controllate con rigorosa meticolosità le «murorum vigilias»: se i Longobardi fossero tornati
do-vevano trovar pane per i loro denti. Fu inviata dal pontefice una lettera di tenore simile anche a Gennadio? Il Registrum Gregorii non la riporta,
ma sappiamo che ciò non significa che non gli abbia effettivamente scritto; basti dire che non ci è pervenuta neanche quella, già menzionata, che sicuramente gli fu inviata per metterlo in guardia da eventuali attacchi nemici contro la Sardegna e di cui lo stesso pontefice ci dà notizia. L'e-pisodio andava comunque ricordato anche perché esso costituisce l'ulti-ma testimonianza offertaci da Gregorio sui rapporti di carattere militare tra Africa e Sardegna.
Salvo errore, non pare ci siano nell'epistolario del pontefice altri cen-ni sui rapporti tra l'Africa e la Sardegna. Un fatto che si impone imme-diatamente all'attenzione è che questi rapporti si svolsero più sul versan-te politico e militare che non su quello religioso o ecclesiastico. Si può anzi dire che non vi è quasi traccia di questi ultimi perché l'unica volta che un personaggio della chiesa africana - il vescovo di Cartagine _ entrò in contatto con la Sardegna ciò avvenne indirettamente, cioè per l'interposta persona di Gregorio, e per questioni non propriamente reli-giose ma riguardanti il diritto d'asilo degli edifici di culto.
Eppure non sarà inutile interrogarsi sulla sorte di quelle persistenze di origine africana che, recepite nei decenni precedenti, continuavano ad essere visibili nell'insieme della chiesa sarda così come essa ci appare dalle lettere del grande pontefice.
Una fra le più macroscopiche era sicuramente il fenomeno mona-sticol8• Non si può ragionevolmente dubitare che, sconosciuto fino ad
18 Sui vari aspetti del fenomeno monastico in Sardegna tra Fulgenzio e Gregorio Ma-gno viene qui largamente utilizzato TURTAS, Note sulmonachesimo.
Rapporti tra Africa e Sardegna nell'epistolario di Gregorio Magno 703 allora nell'isola, vi sia stato importato dai vescovi africani esiliati duran-te il periodo vandalico. La Vita beati Fulgentii pontificis, scritta quasi
certamente dal diacono cartaginese Ferrando, che Fulgenzio vescovo di Ruspe incontrò a Cagliari fin dal suo primo soggiorno (508-517) e che non tardò ad attirare verso l'ideale monastico nella stessa città sarda, riferisce di due istituzioni monastiche tipologicamente molto diverse che quel vescovo vi aveva fondato in tempi successivi. La stessa Vita attesta
il successo della propaganda monastica svolta da Fulgenzio in suolo sar-do: «quos, multa largiendo, de temporali fame Iiberabat, renuntiare sae-culo sapienter admonendo faciebat; et quamvis nihil habentes, habendi voluntatem contemnere suadebat».
Fu dopo la partenza dei vescovi esuli, presumibilmente nei decenni immediatamente seguenti, che il fenomeno monastico conobbe nell'iso-la nell'iso-la sua più grande fortuna. L'epistonell'iso-lario gregoriano parnell'iso-la di almeno una decina di monasteri, buona parte dentro le mura di Cagliari - con una netta prevalenza di monasteri femminili, di cui non si ha invece no-tizia nella già citata Vita - , alcuni nei dintorni, almeno uno in una città
diversa da Cagliari. È vero che non si intravedono tracce sicure delle pre-cedenti fondazioni fulgenziane, però vi sono indizi che fanno supporre una certa continuità tra quella prima esperienza e quella del tempo di Gregorio. In quest'ultimo caso, il fenomeno monastico non appariva co-me qualcosa che stava ancora agli inizi ma coco-me una realtà sociale soli-damente impiantata e diversificata; la straordinaria facilità con cui si pro-cedeva alla fondazione di nuovi monasteri, le numerose disposizioni te-stamentarie a loro favore supponevano che il fatto monastico fosse or-mai pacificamente recepito e diventato una componente della vita e della cultura, almeno di quella cittadina. Esso, cioè, aveva una storia; alle sue spalle vi era già un certo spessore temporale.
Detto questo, però, non si può far a meno di sottolineare la crescita tumultuosa e disordinata del fenomeno che sembrava essere quasi com-pletamente sfuggito al controllo della gerarchia ecclesiastica locale di-ventato troppo spesso un terreno di contesa per l'inziativa privata; una realtà, questa, che si manifestava non solo nella costituzione di nuovi monasteri o nella conduzione, talvolta spregiudicata, di quelli già esistenti ma anche nella tendenza ad appropriarsi dei beni che i fedeli avevano invece destinato a favore di quelle istituzioni religiose. Di qui il sorgere di numerosi abusi (conferimento della carica abaziale a persone non ido-nee, abati che si immischiavano nella vita di altri monasteri, monache che non rispettavano la clausura ma facevano il giro dei loro possedi-menti per raccogliere le somme dovute al fisco, abbadesse che si com-portavano con eccessiva autonomia quasi non fossero tenute alla pratica
della povertà e della vita comune, per non parlare di quelle monache che abbandonavano il monastero per tornare «ad laicam vitam» e legarsi con unioni non sempre regolari).
Il fatto stesso che Gregorio si vedesse costretto a interessarsi di tutte queste cose era una spia del quasi totale disinteresse con cui i ve-scovi locali - nonostante gli espliciti e numerosi richiami del pontefi-ce - guardavano ai vari aspetti del fenomeno monastico. Affatto di-verso, invece, fu il comportamento di Gregorio nei confronti del mo-nachesimo africano, incomparabilmente più diffuso e sviluppato di quanto non fosse quello isolano; basti pensare che mentre fra la qua-rantina di lettere di argomento sardo il tema monastico è presente in circa la metà, le quarantadue riguardanti l'Africa ne contengono ap-pena qualche rapido cenno, finalizzato a richiamare la responsabilità dei vescovi sui monasteri esistenti nelle loro diocesi (VII, 32). Si ha cioè la netta impressione che il monachesimo sardo, nonostante il grande entusiasmo di cui era circondato, risentisse di notevole inesperienza per non dire di improvvisazione nel suo tentativo di adattarsi alle condi-zioni dell'isola. Ciò non poteva essere addebitato soltanto al fatto che
il tempo in cui era stato a contatto immediato con il suo modello afri-cano non era stato sufficientemente lungo; questi contatti non venne-ro ricuperati neanche nei decenni seguenti e ancora meno durante gli anni del pontificato di Gregoriol9•
Questa osservazione ci pare ancora più centrata se si applica ai rap-porti tra le due chiese viste come organizzazioni strutturate e pertanto rappresentate dai loro più alti esponenti, i rispettivi vescovi.
Se non è improbabile che fin dalla metà del quarto secolo ci fossero nell'isola altri vescovi oItre quello di Cagliari, attestato invece fin dal 314, è certo che anche ecclesiasticamente la Sardegna apparteneva allora
al-l'Italia suburbicaria della quale il pontefice romano era metropolita. Non si ha purtroppo alcuna informazione sulle circostanze - salvo quella del-l'appartenenza al regno vandalico poco dopo la metà del quinto secolo - che permisero alla Sardegna di diventare provincia ecclesiastica auto-noma con un proprio metropolita, il vescovo di Cagliari, e quattro
suf-19 Sono, invece, attestati attorno alla metà del VII secolo durante il dibattito sul
mo-notelismo, ma in condizioni molto diverse e che esulano comunque dai limiti di questo con-tributo. Su questo argomento, vedi PG, 90, 133-136; L. MAGI, La sede romana nella cor-rispondenza degli imperatori e patriarchi bizantini (VI- VII sec.), Louvain 1972, pp. 223-224; F. HEINZER, CH. SCONBORN, Maximus Confessor, in Actes du Symposium sur Maxime le Confesseur. Freiburg, 2-5 sept. 1980, Freiburg (Suisse), 1982.
fraganei, i vescovi di Turris, Sulci, Senafer e Forum Traiani: è la situa-zione attestata dalla Notilia provinciarum et civilatum Africae che riporta l'elenco dei vescovi cattolici del regno vandalico partecipanti al già cita-to dibatticita-to teologico di Cartagine del 48420•
Non c'è dubbio che la lunga e per circa due decenni molto stretta consuetudine tra i vescovi africani esuli e quelli sardi abbia marcato sia le chiese governate da questi ultimi sia l'insieme dell'organizzazione ec-clesiastica isolana. A proposito delle singole chiese riportate dall'appena citata Notilia, le recente indagini archeologiche consentono non solo di ipotizzare in modo sempre più convincente che le loro cattedrali altomc-dievali sono strettamente legate a precedenti chiese paleocristiane eleva-te in area cimieleva-teriale per racchiudere una deeleva-terminata tomba venerata, ma anche di constatare che la costruzione di queste chiese risale solita-mente ai primi decenni del VI secolo - vale a dire agli anni in cui la Sardegna ospitava i vescovi africani in esilio - ed è ascrivibile o a mae-stranze africane o, quantomeno, ad altre che fecero ricorso a metodi co-struttivi e a tipologie architettoniche di ascendenza africana21•
20 Sulla partecipazione di Quintasio vescovo di Cagliari col suo diacono Ammonio al concilio di Arles del 314, cf. Concilia Gal/iae A. 3J4-A. 506 (CCh, s. lat., CXLVIII), Turnholti 1963, pp. 15, 17, etc. È certo, inoltre, che la Sardegna fu rappresentata al conci-lio di Sardica del 353-354: cf. MANSI, Sacrorum Conciliorum, III, 51, che riporta una let-tera del concilio alla chiesa d'Alessandria con, all'esordio, la lista delle province che han-no inviato vescovi al concilio: «Sancta synodus per graliam Dei Sardicae congregata ex urbe Roma, ex Hispaniis, Galliis, Italia, Africa, Sardinia, Pannoniis ... »; la Sardegna ~ men-zionata tra le province partecipanti a quel concili.o anche da ATH~NASIU.S, :4pologw
con-tra Arianos PG 25 250A. L'esistenza di altre chiese oltre quella di Cagltan sembra emer-gere anche dalla'lett~ra scritta dallo stesso concilio a papa Giulio I p~rché informasse «per scripta tua qui in Sicilia, qui in Sardinia et in Italia suntfratres nost~1 quae a.cta sunt» n:110
stesso concilio (ibidem, 111,41): un indizio che oltre al vescovo o al vescoVI che dalla Sar-degna avevano partecipato al concilio e che perciò non avevano bisogno di essere informa-ti ve n'erano altri che erano rimasinforma-ti nel\'isola: cf. anche P. MELONI, La Sardegna roma-na, Sassari 199]2, pp. 436-437. Infine, sull'appartenenza della Sardegna alla. dioce~i ita/~
ciana fino al 484, cf. E. GERLAND, Corpus Notitiarum Episcopatuum Eccleswe Onentalls Graecae 1. Band. Die Genesis der Notilia Episcopatuum, l. Heft: Einleitung, s.I., 1931, p. 42; v~di anche J. GAUDEMET, L'Églisedans l'Empire Romain (IV~-V" siècles), ~aris 195~!
pp. 445-446 a proposito dei diritti metropolitici del pontefice romano sulle sedi vescoVI h
dell' Italia suburbicaria.
21 Cf. PANI ERMINI, Antichità cristiana e alto medioevo che tocca il problema de~le tipologie, delle tecniche e dei materiali; quello relati~o alla continuità del culto, dalla chie-sa cimiteriale paleocristiana ana cattedrale altomedlOevale, venne accen.nato dalla st:schie-sa autrice in La Sardegna e l'Africa nel periodo vandalico, pp. 121-1~2, e sVllu~p~t? ult~nor mente in Le città sarde tra tarda antichità e medioevo: uno studIO appena IniZiato, IO A.
MASTINO (a cura dì), L'Africa Romana, V (Atti del V convegno di studio. Sassari, 11-13
dicembre 1987), Sassari 1988, pp. 431-438 e, in collaborazione co~ A.M .. GIUNTELLA! Com-plesso episcopale e città nella Sardegna tardoromana e altomedlevale, m Il s~burblO delle città in Sardegna: persistenze e trasformazioni, in Atti del/II convegno di studIO
sull'archeo-706 Raimondo Turtas
Per ciò che concerne, poi, la fisionomia organizzativa della chiesa
sarda va ricordato anzitutto ciò che sia la Vita beati Fulgentii che le altre
testimonianze letterarie riferiscono sulle comunità formate dai vescovi africani in Sardegna, sulla loro vita scandita dalla preghiera e dalla stu-dio, sullo stretto legame gerarchico che i vescovi esuli riuscirono a
man-tenere con il loro primate, il vescovo di Cartagine, sulla sollecitudine
pa-storale da cui erano animati nei confronti delle rispettive chiese che era-no stati costretti ad abbandonare, sui loro dibattiti teologici innescati tal-volta da richieste di pareri che giungevano da diverse parti della cristianità: il fatto di essere in esilio, sradicati dal loro contesto abituale, non sem-bra aver intaccato la loro coesione come corpo episcopale, una compat-tezza che se presupponeva forti motivazioni interiori era anche discipli-nata da una precisa normativa scritta e da consuetudini ugualmente ri-spettate. Da questa singolare comunità di esuli emanava verso l'intera cristianità un esempio di forza e di serena compostezza non meno con-vincente di quello che nel passato aveva avuto i suoi momenti più signi-ficativi nei periodici concili provinciali e, ancor più, in quelli celebrati
a Cartagine sotto la guida del primate: non è un caso se questa
consuetu-dine venne ripresa immediatamente dopo la fine dell'esilio. Era ben
dif-ficile che, in questi decenni durante i quali il mondo cristiano guardava
verso la Sardegna, proprio la chiesa sarda potesse sottrarsi alla forza di
questo esempi022•
logia tardoromana e altomedievale in Sardegna. Cuglieri, 28-29 giugno 1986, Taranto 1989, pp. 63-83. È assai probabile che ai vescovi africani si debba anche la fondazione di una o due delle sette sedi vescovili funzionanti nell'età di Gregorio (ai sei suffraganei, destina-tari della lettera IX, 203, bisogna aggiungere il metropolita Gianuario) mentre, per la fine del secolo V, ne sono attestate soltanto cinque. Il discorso si pone soprattutto per Fausia-na, non menzionata nella più volte citata Notitia del 484 e le cui vicende, dopo la fonda-zione, dovettero essere piuttosto travagliate. Stando a quanto ne scrive Gregorio, che nel 594 (IV, 29) dava l'assenso per il suo ripristino, essa era stata abbandonata già da molto tempo (<<rerum necessitate longis aboluisse temporibus»). Si può avanzare allora l'ipotesi che, costituita dopo l'arrivo dei vescovi africani (primo decennio del VI secolo) che per-tanto si sarebbero interessati anche all'evangelizzazione dei pagani che abitavano quella parte dell'isola, essa sia stata abbandonata in seguito alle incursioni degli Ostrogoti di To-tila che attorno alla metà di quel secolo - in tal caso vi si attaglia bene la durata del suo abbandono (<<Iongis ... temporibus») - si impadronirono per qualche tempo della Sarde-gna e della Corsica (cf. BESTA, La Sardegna medievale, I, p. 17). C'è da chiedersi se non si possa far risalire a questa stessa circostanza anche la fine della sede vescovile corsa di
Trainum, «hostili feritate occupata atque diruta» (I, 77); su questa sede di cui si ignora persino l'ubicazione, cf. R. GILLET, DHGE, XXI, 1395; PH. PERGOLA, Gregorio Magno e il suo tempo, in «Studia Ephemeridis AUGUSTINIANUM», 33, l. Studi storici, p. 104.
22 Con molta pertinenza BESTA, La Sardegna medioevale, p. 9, scrive che «la dimo-ra degli esuli africani non fu ." senza lustro per la Sardegna dove balenarono gli ultimi bagliori della fulgida cultura africana e ben a ragione si volsero allora su essa con simpatia e quasi con invidia gli sguardi della cristianità». Si veda il quadro - forse eccessivamente
Rapporti tra Africa e Sardegna nell'epistolario di Gregorio Magno 707
D'altra parte, era ovvio che anch'essa fosse provvista di ~na
pro-pria organizzazione e di un complesso ~or~ativo che ~e~olav~ sta le ~ue
stioni relative alle singole chiese (predlcazlOne, amm~mstrazlOn: ~el.sa
cramenti, reclutamento del clero, funzionamento del m?nasten, ~Stltu~
zioni caritative, rapporti con le autorità, atteggiamento nel confronti degh
ebrei, ecc.) sia quelle dei rapporti delle varie chiese tra loro ~ con le ~ltre
fuori dell'isola, prima di tutte quella di Roma. Ancora moltI decenm do-po, l'epistolario gregoriano faceva riferimento a questa struttura
orga-nizzativa e alla corrispondente legislazione. .
Vi si parlava di «sacratissimi canones» valevoli pe~ t.utta la ChIesa
(IV, 26: riguardavano i requisiti d'idoneità morale, rehglOs~, culturale
e sociale dei candidati agli ordini sacri~ la loro portata era umv~r~ale.co
me quella dei «canones antiquorum patruum», IX, 2~3, che SI ~lf~nva
no al diritto dei vescovi di appellarsi al romano pontefIce e che SI nface-vano probabilmente a una disposizione del concilio di Sardica del 343)
ma anche di leggi consuetudinarie che interessavano soltanto la S~rd~
gna; sono indicate come «mos provinciae. tuae» (IV, 9; l,a lettera, l~dl
rizzata a Gianuario, parlava della celebrazlOne due volte l anno del
SlllO-do provinciale; tutti i vescovi suffraganei doveva~o ri.un.irs~ att.orno. al
loro metropolita per discutere su problemi pastoralI e dlsclplman ch~
lll-teressavano le loro chiese e per sottoporsi all'esercizio della correZlOne
fraterna) o come «mos insulae vestrae» (IX, 203; la le~tera era. questa
volta diretta ai vescovi suffraganei di Gianuario; ad eSSI Gregono ram-mentava l'obbligo di visitare tutti gli anni il metropolita poco dopo l.e
celebrazioni pasquali per riceverne la data precisa della pasqu~
succeSSi-va e il divieto di recarsi fuori dell'isola senza aver ottenuto la
lIcenza,del-lo stesso metropolita a meno che la meta non fosse la Sede apos!ol~ca).
Altra cosa invece doveva essere sia la consuetudine vigente a CaglIan ~he
imponeva il controllo vescovile sull'amministrazione ~ei «xenodochw»
(IV, 24) sia il «dispositum prud~nter a t~i~ ... d~cessorzbus» ~h~ se~bra
va sottintendere una norma scntta stablhta dai predec;sson, d~ GIa~ua
rio per rispondere a un problema preciso riguardante l ammmlstrazlOne
dei beni dei monasteri femminili (IV, 9). , , . , .. " ,
Questi che abbiamo citato non son.o che l,caSI ~lU .esphcl~I dI legls~a
zione ecclesiastica vigente nell'isola e nportatl dall eplstolan~ gregor~a
no. Vi erano però molti altri riferimenti ad aspetti e momentI della VIta
ottimistico _ che della comunità dei vescovi esuli viene trac~iato nella già citat.a Vita beati Fulgentii in LAPEYRE, Vie de Saint Fulgence, pp. 87-93 e m PL 65, 137-138, cf. anche,
religiosa che dovevano essere ugualmente regolati da una normativa pre-cisa. Ricordiamo tra gli altri l'amministrazione dei sacramenti, in parti-colare del battesimo conferito solennemente ai catecumeni nella vigilia della pasqua (in questa occasione, ai neo battezzati veniva consegnato an-che il «birrum album»: IX, 196) e della confermazione per la quale Gre-gorio si vide costretto a tollerare una consuetudine sarda diversa da quella romana (IV, 9 e 26), la celebrazione della messa domenicale (IX, 1 e Il), l'inumazione nelle chiese (VIII, 35), la venerazione tributata alla croce
e ad immagini sacre (IX, 196), il culto delle reliquie (IV, 8), la
provvisio-ne delle sedi vacanti da eseguire «secundum pristinum modum» (IV, 29
e XIV, 2), il diritto d'asilo «in ecc/esia», probabilmente la stessa
catte-drale (X, 17), i rapporti con gli ebrei con un preciso rimando alla
legisla-zione imperiale (IV, 9 e IX, 196).
Non è facile individuare l'origine di questa legislazione canonica; sarebbe però troppo frettoloso, dopo constatata la coincidenza di buona parte di essa con quella vigente nella chiesa africana, concludere alla di-pendenza di quella da questa, un'ipotesi peraltro non priva di indizi che
richiedono però un'indagine ancora tutta da fare23 • In ogni modo, non
bisogna dimenticare che l'autonomia della provincia ecclesiastica sarda è attestata fin dal 484 e, quindi, almeno ad allora si deve far risalire la sua organizzazione e la relativa legislazione; per non parlare di quelle riguardanti le singole chiese che devono essere necessariamente più antiche.
Tuttavia, il problema che qui interessa non è quello di stabilire una
dipendenza originaria della chiesa sarda da quella africana; più
impor-tante, ci sembra, sarebbe quello di capire perché durante il pontificato
di Gregorio Magno si deve constatare un'assenza di rapporti tra due chiese che, appena settanta anni prima, erano stati quanto mai intensi al punto
23 Fr~ gli indizi che f~nno supporre un legame tra la chiesa africana e quella sarda e forse un mf1usso della prIma nella formazione della seconda si può ricordare che nei co-dici che riportano la lista dei vescovi intervenuti al già citato concilio di Arles (cf. nota 20, a1l'inizio) il nome del vescovo di Cagliari si trova sempre inquadrato tra quello del suo collega della Mauritania e quello del vescovo di Cartagine: cf. ibidem, pp. 15, 17, 19,22.
Inoltre, nelle due liste (già citate nella nota 20) di province che inviarono vescovi al conci-li~ di Sardi~a, la Sardinia si trova in entrambe subito dopo l'Africa, sebbene le altre pro-vmce non sIano elencate con lo stesso ordine. C'è infine il problema della provenienza di Lucifero. di <;agli.ari o quanto meno della sua formazione culturale fortemente dipendente da autOrI afncam, abbondantemente citati nei suoi scritti polemici (Lattanzio viene citato ben. 46 volte, Cipriano 23.volte, senza contare le 21 citazioni dallo pseudo-Cipriano, Ter-tulhano solo 3 volte). ChIaramente egli portò con sé le loro opere durante l'esilio: cf. il
dettagliato indice delle fonti non bibliche usate da Lucifero nella recente edizione delle sue opere curata da G.F. DIERKS, Luciferi Calaritani opera quae supersunt, in C.Ch., s. lat.
VIII, Turnolti 1977, pp. 363-364.
Rapporti tra Africa e Sardegna nell'epistolario di Gregorio Magno 709
che la chiesa sarda ne aveva ricevuto notevole slancio sia nel campo reli-gioso che in quello organizzativo. Sicuramente, pur concedendo che la tensione religiosa di una comunità cristiana non può essere confusa o misurata con la sua tenuta organizzativa, è anche vero che quest'ultima può offrire riscontri anche significativi per tal uni aspetti della vita di una comunità religiosa calata nel tempo e nello spazio. Ora, se si tiene conto della testimonianza di Gregorio, non si può negare che la chiesa sarda offrisse un quadro piuttosto preoccupante.
Un'affermazione troppo generale e troppo generica? Non ci pare, se si deve constatare che quasi tutti gli esempi appena riportati dai quali
risulta un ampio corpus legislativo vigente nella chiesa sarda sono legati
a precise denunzie di inosservanza della stessa legislazione. Ora se, ri-prendendo ancora una volta quanto è stato appena detto sulla forza trai-nante dell'esempio che scaturiva dalle comunità dei vescovi esuli, è leci-to inferire che fino a quando esse rimasero nell'isola, non solo la chiesa
sarda ne subì il fascino ma si pose alla loro scuola (recezione del
feno-meno monastico, costruzione di chiese, rapporti di stima tra vescovi afri-cani e sardi), si dovrebbe anche concludere che questa corrispondenza non ebbe lunga durata. Lasciata a sé stessa, la chiesa sarda e con essa
coloro che ne costituivano gli elementi portanti - monaci, clero e
ve-scovi - non tardarono a dar l'impressione di aver perduto lo slancio
religioso e la vivacità culturale dei decenni precedenti. La spia più allar-mante di questa decadenza è senza dubbio l'abbandono dell'evangeliz-zazione dei pagani: non un monaco, non un vescovo sardo se ne interes-sarono fino a che Gregorio non vi provvide lui stesso inviando Felice e Ciriaco dalla penisola.
Malauguratamente, lo stato della documentazione non consente per ora di isolare i motivi che portarono prima alla progressiva attenuazione e poi al quasi completo spegnimento dei rapporti tra le due chiese. Si ha comunque l'impressione che già verso la metà del secolo sesto il di-stacco della chiesa sarda da quella africana fosse già molto avviato. Quan-do, infatti, quest'ultima si trovò impegnata in prima persona, durante la controversia dei «Tre Capitoli», per la difesa dell'ortodossia contro il cesaropapismo di Giustiniano, i cedimenti delle chiese orientali e i ten-tennamenti di papa Vigilio, della partecipazione della chiesa sarda a questo importante dibattito teologico si ha appena un fuggevole cenno. Questa considerazione, durante una crisi ampiamente documentata dalle fonti letterarie, acquista tutta la sua forza se si tiene presente che alcuni fra
gli ecclesiastici africani che vi parteciparono - primo fra tutti il già
lun-710 Raimondo Turtas
ghi anni d'esilio e ne avevano fatto allora un alto luogo di studio e di ricerca teologica24• Ora, invece, sull'isola già ospitale sembrava essere
calato il più completo silenzio.
24 Sulla partecipazione della chiesa d'Africa al dibattito dei «Tre Capitoli», cf. DIEHL,
L'Afrique byzantine, pp. 408-449 e J. PARGOIRE, L'Eglise byzantine de 527 à 847, Paris
1923. Quanto alla Sardegna, il solo cenno di un suo coinvolgimento pare sia quello di F A-CONDO DI ERMIANE, Pro defensione Trium Capitulorum, lib. IV, c. III (PL 67, 624A);
parlando del viaggio di papa Vigilio a Costantinopoli (vi giunse sul finire del 546), dov' era stato convocato da Giustiniano per ratificare la condanna dei Tre Capitoli, Facondo ricor-da che ricor-da molte parti giunsero al papa esortazioni per difendere l'ortodossia e non cedere alla volontà (indicata come «novitas») dell'imperatore; fra queste ci furono quelle giunte
da Africa e Sardegna: «non autem solos quos memoravimus sanctos et venerabiles viros
hoc secum iudicasse monstravit [Vigilius], quando non tacuit quod Romana quoque uni-versitas egredientem, quod venientem Africa atque Sardinia - quamquam non per eas tran-sierit - per ipsius tamen consiliarium publica eum contestatione pulsaverint, sicut Hellas et Illyricus provinciae per quas venit, ut nullatenus novitati quae facta est acquiescat»; su
questo argomento cf. F. LANZONI, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del secolo VII (An. 604), Il, (Studi e Testi, 35), Faenza 1927, pp. 665-666.