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Recensione a G. Salice, Colonizzazione sabauda e diaspora greca, Viterbo, Sette Città, 2015

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GIAMPAOLO SALICE, Colonizzazione sabauda e diaspora greca, Viterbo, Sette Città,

2015, pp. 264. – L’annessione della Sardegna al Piemonte, avvenuta in seguito al trat-tato di Londra del 2 agosto 1718, obbliga i Savoia a elaborare una strategia articolata per riuscire a controllare un territorio sconosciuto e a rivalutarne le risorse. Fra le molte, ma non per questo riuscite, misure che il nuovo governo dell’isola predispone vi è la colonizzazione di alcune lande interne, apparentemente vuote e pronte ad accogliere coloni disposti a dissodarne e a renderne produttivo il suolo. Proprio a un’operazione di colonizzazione, quella di Montresta da parte di un gruppo di origi-ne greca, è dedicata gran parte del volume di Giampaolo Salice.

La nascita della colonia di Montresta, a pochi chilometri dalla città regia di Bosa, avviene nel 1751, dopo più di un lustro di progetti, ripensamenti e trattative da parte del governo piemontese con interlocutori locali e no. Lungaggini e difficoltà sono do-vute al fatto che la colonia, in virtù di un complessivo progetto di incremento demo-grafico del regno, anziché sardi provenienti da un’altra zona dell’isola, è destinata a ospitare greci, in fuga dall’impero turco-ottomano, disponibili a diventare fedeli sud-diti sabaudi. Non si tratta di un’operazione semplice, in quanto i greci che giungono direttamente da Oriente appartengono alla religione ortodossa: il loro insediamento viene quindi proibito dal pontefice regnante, poco disponibile ad accogliere cristiani scismatici in terra cattolica. Viene, dunque, accolto in terra sarda un gruppo di greci cattolici, fuggiti dalla Corsica dove si erano insediati alla fine del Seicento.

Tuttavia, il tentativo di costruire una colonia agraria nella Planargia sarda non riesce. Gli agricoltori del villaggio di San Cristoforo di Montresta vengono conti-nuamente vessati dai servi-pastore della vicina città regia di Bosa, governata da un gruppo di maggiorenti che si dedicano all’allevamento. I continui dissidi convincono molti dei coloni della prima ora a lasciare il villaggio, sostituiti da sardi provenienti da altre zone dell’isola. Tuttavia, l’aggressività dei bosani non si placa, perduran-do fino a Ottocento inoltrato: in effetti, le lande interne della Sardegna appaiono, ma non sono, vuote, libere. Le ampie zone che non presentano insediamenti umani sono, infatti, da generazioni votate all’allevamento e indisponibili – per la mentalità sarda del tempo – ad altri usi: un dato superficialmente trascurato dai Savoia che, nel caso di Montresta, vedono fallire i loro progetti di colonizzazione.

La fuga dalla colonia non comporta, tuttavia, la fine della presenza greca in Sardegna, al centro dell’interesse di Salice al di là del progetto di insediamento montrestino. Ai primi dell’Ottocento, nel porto di Cagliari, è presente un’attiva co-lonia greca, di religione ortodossa: si tratta di sarti e di mercanti che ben presto si integrano nel tessuto cittadino, sia grazie a un’accorta politica matrimoniale sia grazie a un’attiva partecipazione all’agone politico del momento. Proprio da uno degli esponenti di questo gruppo, Giovanni Sulliotti, proviene più di un secolo dopo l’esperienza di Montresta, un Programma e statuti della Società di Colonizzazione per la Sardegna, opuscolo stampato a Firenze nel 1868: segno da un lato che, nell’arco di un secolo, i problemi strutturali dell’isola non sono stati risolti (e che si vuole, ancora una volta, aumentarne la popolazione per assicurarle la prosperità), dall’altro che, quando avviene in condizioni favorevoli, il trapianto di greci in Sardegna comporta la totale assimilazione alla popolazione locale.

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