LIBER AMICORUM
ANGELO DAVÌ
La vita giuridica internazionale
nell’età della globalizzazione
Proprietà letteraria riservata
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I LIMITI GIURIDICI ALL’AZIONE DELLA BCE NELLA CONDUZIONE DELLA POLITICA MONETARIA E NELL’ESERCIZIO DELLA VIGILANZA PRUDENZIALE
SOMMARIO: 1. Premessa. Le azioni concretamente poste in essere dalla Banca centrale europea nella conduzione della politica monetaria con particolare riferimento ai programmi OMT e Quantitative easing. – 2. La compatibilità delle misure non convenzionali con il Trattato istituivo nell’analisi della dottrina dominante e della giurisprudenza della Corte. Constatazione dell’apparente assenza di limiti all’azione della Banca centrale europea. – 3. La ricostruzione di limiti all’azione della BCE e del SEBC sulla base di una lettura complessiva del sistema. – 4. La nozione di politica monetaria. – 5. Il principio di proporzionalità. – 6. Segue: l’applicazione del principio di proporzionalità nell’esercizio dell’attività di vigilanza. – 7. Il rispetto dei di-ritti fondamentali. – 8. Conclusioni.
1. Nel momento in cui scriviamo la Banca centrale europea sta at-traversando un momento di transizione, sia per l’imminente passaggio di consegne dovuto alla scadenza del mandato del Presidente Draghi, sia a causa dei cambiamenti che ne hanno caratterizzato la recente evo-luzione normativa. Innanzitutto a tale istituzione sono state attribuite talune funzioni nuove, quali in particolare la vigilanza prudenziale sugli istituti di credito della zona euro; ma soprattutto, la presidenza di Dra-ghi si è contraddistinta per un accentuato interventismo nella condu-zione della politica monetaria.
Laddove si voglia segnare una data di inizio di tale concitato attivismo della BCE, questo può indubbiamente farsi risalire al 2012. In quel pe-riodo, infatti, la crisi finanziaria imperversava e stava mettendo a dura prova la tenuta dei bilanci di taluni paesi membri partecipanti all’eurozona. Più dettagliatamente, diversi paesi del Sud dell’Europa
pre-dra nel mese di luglio 2012, il Presidente della BCE dichiarò aperta-mente che l’istituzione da lui presieduta era pronta a fare tutto ciò che era necessario per salvare l’euro. Insomma, una dichiarazione di intenti, priva in sé di effettivo contenuto giuridico, con la quale veniva tuttavia reso evidente che la BCE avrebbe esplorato i limiti del proprio manda-to, fino a porre in essere misure non espressamente previste dal Tratta-to, purché le stesse fossero in condizione di garantire la tenuta della
moneta unica1.
A detta dichiarazione, come è noto, seguì poi una più chiara presa di posizione nel corso del mese di settembre dello stesso anno. In occa-sione di una riunione del Consiglio direttivo della Banca centrale euro-pea venne infatti varato il piano OMT. Si trattava, più dettagliatamente, di un piano di acquisti illimitati dei titoli di Stato sul mercato seconda-rio. Esso è stato reso noto nel corso di una conferenza stampa del 6 set-tembre 2012, nella quale il Presidente, proprio a sottolineare il carattere controverso della misura, dichiarò espressamente che la stessa era stata varata in seguito ad una votazione a maggioranza del Consiglio direttivo della BCE (e non all’unanimità, come abitualmente si verificava nella prassi dell’Istituzione).
Il programma non è, invero, mai stato tradotto in una decisione formale. L’unico documento del quale si può disporre per comprender-ne i caratteri principali è, difatti, rappresentato dal comunicato stampa
rilasciato in occasione della conferenza2. Secondo detto documento, il
piano era congegnato al fine di ripristinare i canali della circolazione monetaria all’interno dell’eurozona. Sulla base di un’analisi tecnica, mai resa nota nei suoi dettagli, la BCE riteneva che sussistessero differenziali eccessivi nei tassi di interesse che taluni paesi pagavano per finanziarsi sul mercato. Tali differenze non corrispondevano all’andamento ma-croeconomico, ma erano eminentemente dovute al c.d. rischio paese, ovvero ai timori del mercato circa la solvibilità di taluni Stati apparte-nenti all’area della moneta unica. L’istituto di emissione aveva infatti accertato che, in quel periodo, taluni paesi erano costretti a pagare tassi di interesse sproporzionati rispetto al livello di sviluppo economico rag-giunto, perché di fatto scontavano il rischio di collasso della zona euro. Conseguentemente, gli investitori si limitavano a riversare la propria li-quidità nei titoli del tesoro dei paesi del nord Europa, che venivano
ge-
1Molto celebre è la frase: «Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it
takes to preserve the euro ». Il testo integrale del discorso può essere consultato in http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2012/html/sp120726.en.html.
neralmente ritenuti più sicuri; mentre trascuravano i mercati obbligazio-nari dei paesi del sud Europa (Grecia, Portogallo, Spagna, Italia), i quali, pertanto, erano costretti a pagare tassi di interesse via via crescenti.
Sempre secondo l’analisi della BCE, per ripristinare tali canali di trasmissione monetaria era necessario indurre una riduzione dei diffe-renziali dei tassi di interesse. Per questa ragione il piano OMT prevede-va essenzialmente l’acquisto dei titoli di Stato sul mercato secondario, che, dal punto di vista pratico, implicava il riacquisto degli stessi presso gli investitori istituzionali (banche e altre istituzioni finanziarie).
L’operazione era, tuttavia, subordinata a precise condizioni. Più dettagliatamente occorreva che lo Stato membro accettasse di sottoporsi
ad un piano di aiuto economico concordato con il MES3; in secondo
luogo, detti acquisti avrebbero avuto luogo con un’ampia sfera di di-screzionalità da parte della BCE, nel senso che la Banca stessa non avrebbe dichiarato anticipatamente quali bond intendeva comprare, né per quanto tempo li avrebbe tenuti in portafoglio prima di rivenderli (non escludendo, pertanto, di tenerli fino alla naturale scadenza); l’Istituto non avrebbe, poi, neppure dichiarato l’entità di ogni investi-mento. Queste condizioni servivano per evitare di incorrere nella viola-zione del divieto di finanziamento degli Stati e delle pubbliche ammini-strazioni, sancito dall’art. 123 TFUE. Lasciando un margine di incertez-za circa il riacquisto e la successiva immissione in circolazione sul mer-cato dei titoli, la Banca centrale europea aspirava ad indurre negli ope-ratori uno stato di incertezza circa l’intervento dell’Istituto, in modo da aumentare la massa di moneta in circolazione a favore del sistema credi-tizio, ma, al contempo, contenere il più possibile l’alterazione indotta sul mercato dei titoli di Stato. In altri termini, la promessa stessa del riacquisto aumentava la domanda e, di fatto, riduceva i tassi di interesse; l’incertezza di fondo circa la quantità e la direzione dell’investimento mirava ad escludere che il piano celasse una forma di finanziamento di-retto ai paesi membri della zona euro.
Come è noto detto piano non ha mai avuto attuazione pratica. Tut-
3Il Meccanismo europeo di stabilità (MES) è stato istituito con il Trattato che
istitui-sce il Meccanismo europeo di stabilità tra il Regno del Belgio, la Repubblica Federale di Germania, la Repubblica di Estonia, l’Irlanda, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, la Repubblica di Cipro, il Granducato di Lussemburgo, Malta, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica d’Austria, la Repubblica por-toghese, la Repubblica di Slovenia, la Repubblica slovacca e la Repubblica di Finlandia, firmato a Bruxelles il 2 marzo 2012. Per l’Italia v. la legge 23 luglio 2012 n. 116, Ratifica ed esecuzione del Trattato che istituisce il meccanismo europeo di stabilità (MES), con allega-ti, fatto a Bruxelles il 2 marzo 2012, G.U. 28 luglio 2012 n. 175, Suppl. ord. n. 160.
tavia, nel corso del 2015, la Banca centrale europea varò un piano simi-lare. Esso è conosciuto come piano QE (Quantitative Easing; anche
de-nominato APP, Asset Purchase Programme)4. Questo strumento
consi-steva nell’acquisto, da parte della Banca Centrale europea, di titoli di debito pubblico o privati, ad un ritmo iniziale di trenta miliardi di euro al mese. Successivamente il programma venne ulteriormente ampliato: la BCE decise, infatti, di estendere gli acquisti fino a ottanta miliardi di euro al mese e incluse, nell’ambito dei titoli suscettibili di operazioni,
anche quelli del settore privato5. Il programma ha avuto termine il 31
dicembre 2018, anche se la BCE ha deciso di reinvestire le somme rica-vate dall’incasso dei titoli detenuti nel proprio portafoglio. Lo stesso sta pertanto proseguendo, in funzione della maturazione delle scadenze dei titoli posseduti dall’istituto di emissione, seppure senza le iniezioni di liquidità che ne hanno caratterizzato il decorso iniziale.
2. Dal punto di vista giuridico, vari dubbi circondano l’operato del-la Banca centrale. Sembra infatti chiaro che del-la stessa sia intervenuta al di là dei compiti conferiti dal Trattato istitutivo. Anche se lo Statuto del SEBC e della BCE formalmente non vieta l’acquisto di titoli sul mercato secondario, è ovvio che questo debba essere rigorosamente circoscritto a situazioni contingenti e di breve durata. Invece, intervenendo in misu-ra massiccia e per un periodo di tempo significativo, la BCE ha finito con il «creare» moneta: si è comportata, nella sostanza, da vero e pro-prio prestatore di ultima istanza per il sistema bancario. A ciò si aggiun-ga, che l’intervento sui titoli di Stato di taluni paesi ha indubbiamente condizionato le politiche economiche dei governi degli Stati membri partecipanti alla zona euro: è infatti evidente che, in questo modo, l’istituto di emissione ha inciso sulla concreta possibilità degli Stati di finanziarsi sul mercato.
Di fatto la Corte di giustizia, dapprima con la sentenza nel caso
4Il programma è stato lanciato il 22 gennaio 2015, allorché il Presidente Draghi
annunciò, in occasione della riunione annuale del World Economic Forum, che la BCE avrebbe acquistato, a partire dal successivo mese di marzo, titoli di debito degli Stati membri della zona euro, al ritmo di 60 miliardi di euro al mese, fino a quando il tasso di inflazione nell’eurozona fosse tornato ad avvicinarsi al 2% (v. il comunicato rilasciato in occasione della conferenza del 22 gennaio 2015: ECB announces expanded Asset
Purcha-se Programme, reperibile al sito www.ecb.europa.eu).
5V. la decisione 2016/948/EU della Banca centrale europea, del 1° giugno 2016,
Gauweiler6 e, successivamente, con la decisione nel caso Weiss7, ha
le-gittimato l’operato della BCE, statuendo che entrambi detti programmi di stimolo finanziario risultano compatibili con il Trattato.
In entrambi i casi le decisioni della Corte sono state sollecitate da rinvii pregiudiziali della Corte costituzionale tedesca, la quale aveva ri-levato come i programmi in oggetto si configurassero essenzialmente come strumenti di politica economica. Ciò sarebbe dimostrato anche dal fatto che l’acquisto di titoli di debito è sovente subordinato al per-seguimento di programmi di riforme economiche, secondo i noti prin-cipi della condizionalità che caratterizzano, nel diritto internazionale
dell’economia, l’operato delle istituzioni finanziarie internazionali8.
Sa-remmo pertanto in un campo che esulerebbe dalla politica monetaria strettamente intesa, per rientrare in quello della politica economica, nel quale la BCE non potrebbe esercitare alcuna competenza, spettando questa esclusivamente agli Stati. Nel caso in cui si riesca a superare que-sto aspetto, i programmi sarebbero comunque illegittimi per violazione del divieto di cui all’art. 123 TFUE, consistendo essi in un finanziamen-to del debifinanziamen-to pubblico degli Stati membri.
La Corte, in entrambi i casi, ha respinto siffatte eccezioni. Il ragio-namento svolto dalla Corte di giustizia si fonda su un duplice presuppo-sto. Innanzitutto i programmi in esame concretizzano un atto di politica monetaria e non di politica economica. Questo perché il «fine dichiara-to» dalla stessa Banca centrale è, in entrambi le ipotesi, uno scopo di na-tura monetaria (nel caso OMT, quello di ripristinare il canale della tra-smissione monetaria; in relazione al QE, quello di evitare che l’eurozona cada in deflazione, stante l’andamento negativo del tasso di inflazione). In sostanza, ciò che rileva, nella prospettiva della Corte, ai fini della qualificazione di una determinata misura come strumento di politica economica ovvero monetaria, è essenzialmente la finalità della misura dichiarata dall’Istituto di emissione.
Una volta che le misure sono state classificate come appartenenti al novero degli strumenti di politica monetaria, non vi sarebbe neppure una violazione della clausola di divieto di bail-out. Questo perché la BCE, in
6Corte di giustizia UE, 16 giugno 2015, causa C-62/14, Gauweiler, ECLI:EU:
C:2015:400.
7Sentenza 11 dicembre 2018, causa C-493/17, Weiss, ECLI:EU:C:2018:1000. 8La bibliografia al riguardo è sterminata. V., anche per ulteriori riferimenti, S
TI-GLITZ, La globalizzazione e i suoi oppositori, Torino, 2002; ADINOLFI, G., Poteri e
inter-venti del Fondo monetario internazionale, Padova, 2012, p. 161 ss.; MAURO, Diritto
in-ternazionale dell’economia. Teoria e prassi delle relazioni economiche internazionali,
entrambe le ipotesi, ha agito seguendo una serie di cautele, tra le quali: non dichiarare l’entità e l’oggetto degli acquisti, in modo da non creare negli investitori e negli Stati membri della zona euro una certezza circa il suo intervento; provvedere all’acquisto dei titoli solo sul mercato se-condario; tenere i titoli così ottenuti nel proprio portafoglio, evitando di immetterli immediatamente nel mercato. Operando con queste cautele, l’istituto di emissione avrebbe evitato che venisse meno lo stimolo per i paesi dell’eurozona a mantenere politiche di bilancio sane.
Il ragionamento della Corte di giustizia non è esente da critiche. In-nanzitutto perché non sembra affatto certo che l’operazione di acquisto titoli rientri nell’ambito della politica monetaria. Nel precedente caso
Pringle, infatti, la stessa Corte di giustizia aveva qualificato simili
opera-zioni da parte del MES come rientranti nell’ambito della politica eco-nomica. In sostanza, lo stesso strumento (acquisto di obbligazioni sul mercato secondario) muta natura a seconda di quale sia il fine dichiara-to dal soggetdichiara-to che lo pone in essere. In quesdichiara-to modo, l’istituzione fi-nanziaria che decide di effettuare una determinata operazione gode di una discrezionalità sostanzialmente illimitata, potendo, a seconda delle esigenze del momento, qualificare in un modo ovvero in un altro le ope-razioni finanziarie, semplicemente dichiarando un determinato scopo. L’individuazione della finalità rimane – di fatto – al di fuori del control-lo giudiziario, dal momento che la Corte di giustizia si accontenta, ap-punto, della finalità dichiarata dalla Banca centrale europea.
Desta infatti preoccupazione l’ampia sfera di discrezionalità che viene così riconosciuta alla BCE ed al SEBC. Secondo la Corte, infatti, «alla luce del carattere controverso che presentano abitualmente le que-stioni di politica monetaria e dell’ampio potere discrezionale del SEBC, da quest’ultimo non può esigersi altro se non l’utilizzazione delle sue conoscenze specialistiche in campo economico e dei mezzi tecnici ne-cessari di cui esso dispone al fine di effettuare la medesima analisi con la
diligenza e la precisione necessarie»9. Solo l’istituto di emissione,
quin-di, è competente a svolgere le analisi economiche necessarie per decide-re quali azioni intrapdecide-rendedecide-re; e tale valutazione, per la sua intrinseca tecnicità, è sostanzialmente esente da controllo in sede giudiziaria. Con-seguentemente, la BCE non è tenuta né a dimostrare la sussistenza di una situazione tale da giustificare l’intervento, né a provare che la pro-pria azione sia effettivamente funzionale rispetto all’obiettivo.
Al di là delle critiche che possono comunque muoversi alle decisioni
9Sentenze della Corte di giustizia del 16 giugno 2015, causa C-62/14, Gauweiler,
della Corte di giustizia, l’impressione complessiva che si ricava dalla let-tura di dette sentenze, è che la BCE ed il SEBC siano, allo stato, sostan-zialmente privi di limiti nella conduzione della propria azione. Come emerge, infatti, dal passaggio sopra riportato della Corte di giustizia, spetta alla Banca centrale scegliere i mezzi più opportuni al consegui-mento del risultato auspicato; d’altro canto, essa risulta finanche libera di determinare l’entità dell’intervento per raggiungere un determinato effetto economico.
Si tratta, come è evidente, di un aspetto particolarmente sensibile, specie nel momento attuale, perché potrebbe bene accadere che i nuovi equilibri che si verranno a formare nel nuovo Consiglio direttivo della BCE, saranno tali da suscitare un’ulteriore sensazione di superamento del mandato istituzionale. Proprio per tale ragione conviene allo stato inter-rogarsi su quali siano i limiti previsti dal Trattato che condizioneranno l’azione dell’istituto di emissione nello svolgimento delle proprie attività.
3. La conclusione alla quale si è pervenuti nel precedente paragrafo sulla base della semplice analisi della casistica giurisprudenziale, secon-do cui la Banca centrale europea ed il Sistema europeo di banche cen-trali siano privi di effettivi limiti alla propria azione, suscita invero di-verse perplessità. Essa non appare infatti compatibile con il generale as-setto del diritto dell’Unione europea, che è conosciuto come un sistema fondato sulla rule of law e, nell’ambito del quale, vige il principio di conferimento dei poteri.
D’altro canto vi è una ragione ulteriore per la quale le istituzioni eu-ropee devono essere soggette a precisi limiti nella conduzione delle proprie azioni. Come infatti ebbe a rilevare il Maestro al quale sono de-dicati i presenti scritti: «vi è una ragione ancora più importante che rende assolutamente imprescindibile l’esigenza che le istituzioni della Comunità si limitino nell’esercizio dei loro poteri al perseguimento de-gli scopi (…) in vista della cui realizzazione i suddetti poteri sono stati ad esse conferiti. Tale ragione è data dal fatto che, a differenza di quel che normalmente accade per le altre organizzazioni internazionali, le norme e gli atti comunitari sono dotati di capacità di automatica pene-trazione negli ordinamenti interni, ove vengono a trovarsi a contatto di-retto con gli individui, qualificandosi per ciò stesso nei loro confronti come vere e proprie manifestazioni o modalità di esercizio di autorità e potestà pubblica. Poiché d’altra parte, in conseguenza della larga aper-tura degli ordinamenti statuali all’esperienza dell’integrazione, gli atti
delle istituzioni sono sostanzialmente esentati dall’applicazione del complesso di strumenti di garanzia e di controllo predisposti dal diritto interno degli Stati membri rispetto agli atti di esercizio del pubblico po-tere, ne deriva con piena evidenza la necessità che garanzie corrispon-denti – e, comunque, nel loro insieme, sufficientemente efficaci – siano presenti nell’ambito del medesimo sistema comunitario. In realtà il si-stema comunitario, se correttamente interpretato può considerarsi ade-guatamente provvisto delle garanzie necessarie – nonostante alcune in-trinseche debolezze, tra le quali principalmente l’assenza di diretta legit-timazione democratica degli organi a cui spetta il ruolo predominante del processo decisionale – ed appare dunque fondamentalmente com-patibile con i principi e le esigenze essenziali della Rechtstaalichkeit e
della rule of law»10.
Siffatte considerazioni valgono, invero, anche per la politica mone-taria. D’altro canto, la politica monetaria è particolarmente suscettibile di incidere, per il riflesso che questa determina sul costo del denaro, sul-la vita degli individui. Conseguentemente non può ritenersi che un’istituzione tecnica, priva di un’investitura democratica, possa porre in essere misure suscettibili di produrre conseguenze sensibili sulle si-tuazioni giuridiche soggettive senza incontrare limiti nella propria azio-ne e senza essere soggetta ad un effettivo controllo in sede giudiziale.
Al di là dell’impressione suscitata dalla lettura superficiale del passo della sentenza della Corte di giustizia nel caso Gauweiler, anche la BCE,
in quanto istituzione inserita nell’insieme dell’ordinamento europeo11,
deve essere pertanto soggetta a precisi limiti nella conduzione della propria azione.
A nostro avviso detti limiti possono dividersi in tre distinte catego-rie. Il primo concerne la nozione stessa di politica monetaria: si tratta, come è ovvio, di un limite discendente precipuamente dalla funzione
10D
AVÌ, Comunità europee e sanzioni economiche internazionali, Napoli, 1993, pp. 247-249.
11V., per uno spunto, la sentenza della Corte del 10 luglio 2003, causa C-11/00,
Commissione delle Comunità europee c. BCE, ECLI:EU:C:2003:395, punto 91. In detta
occasione la Corte annullò la decisione con la quale la BCE aveva creato un proprio si-stema antifrode. L’istituzione monetaria aveva infatti istituito una struttura autonoma rispetto all’OLAF muovendo proprio dall’assunto che il proprio status giuridico e la sua indipendenza dal potere politico inducessero a ritenere che la stessa andava esente dai controlli ai quali erano sottoposte le altre istituzioni. Secondo la Corte, tuttavia, «il fatto stesso che un organo o un organismo tragga la propria esistenza dal Trattato CE sugge-risce che esso è stato concepito per contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità europea e lo inserisce nel contesto comunitario».
assegnata a tale organo dal Trattato istitutivo. Il secondo attiene al rilie-vo ed alla concreta incidenza sull’azione della Banca centrale europea del principio di proporzionalità: a differenza del primo limite, questo costituisce un limite generale all’esercizio delle competenze attribuite alle istituzioni europee. Tuttavia, come si cercherà di dimostrare, detti limiti, a differenza di quanto si verifica in altre politiche settoriali, assu-mono un carattere eminentemente procedurale, nel senso che essi si ri-solvono essenzialmente in un’inversione dell’onere della prova nei proce-dimenti giudiziari nei quali dette misure sono oggetto di contestazione.
4. Procedendo secondo l’ipotesi ricostruttiva menzionata alla con-clusione del precedente paragrafo, il primo limite all’azione della BCE concerne la distinzione tra politica monetaria e politica economica. Tale distinzione, seppure sovente tacciata di artificiosità (d’altro canto, essa non trova abitualmente rispondenza in altre istituzioni finanziarie inter-nazionali) rimane fondamentale nell’assetto del Trattato. Il fulcro del sistema delineato dal Trattato di Maastricht è infatti rappresentato dalla centralizzazione della politica monetaria. Viceversa il governo dell’eco-nomia rappresenta un’attività la cui gestione rimane essenzialmente nel-la disponibilità dei singoli Stati membri.
La suddivisione tra queste due componenti della politica economica e monetaria è stata approfondita dalla Corte di giustizia nel citato caso
Pringle12. In tale occasione, il ricorrente contestava la legittimità dei
Trattati MES e Fiscal Compact. Detti accordi sono stati conclusi tra talu-ni Stati membri e hanno ad oggetto, rispettivamente, la costituzione del fondo salva Stati (Meccanismo europeo di stabilità, MES) ed il coordina-mento delle politiche fiscali (Trattato sulla stabilità, il coordinacoordina-mento e la
governance nell’unione economica e monetaria, c.d. «Fiscal Compact»)13.
12Corte di giustizia UE, 26 ottobre 2012, causa C-370/12, Pringle c. Ireland, ECLI:
EU:C:2012:756.
13Per i riferimenti relativi all’Accordo istitutivo del MES v. supra, nota 3. Il Fiscal
Compact è stato firmato a Bruxelles il 2 marzo 2012, tra venticinque Stati membri
dell’Unione europea. Per l’Italia v. la legge 23 luglio 2012, n. 114, Ratifica ed esecuzione del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria – c.d. Fiscal Compact, fatto a Bruxelles il 2 marzo 2012, G.U. 28 luglio 2012 n. 175, Suppl. ord. n. 160. L’Italia ha inoltre ottemperato all’obbligo di inserire il vincolo nella Costituzione con la legge costituzionale 20 aprile 2012 n. 1 (Introduzione del principio di pareggio di bilancio nella Costituzione) e con la legge 243/2012 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, 6° comma, della Costituzione).
Nella specie, una delle eccezioni atteneva alla possibilità per gli Stati di stipulare siffatti accordi. La politica monetaria per gli Stati che hanno adottato l’euro è infatti concepita come una competenza esclusiva delle istituzioni (art. 3, par. 1, lett. c, TFUE). La distinzione tra le due politi-che assumeva quindi particolare rilievo nel caso in esame. È infatti evi-dente che, se i Trattati MES e Fiscal Compact fossero rientrati nell’ambito della politica monetaria, gli Stati membri non avrebbero avuto il potere di concluderli.
In tale occasione, la Corte fornì, tuttavia, una nozione restrittiva di politica monetaria. Nella specie i giudici di Lussemburgo affermavano che questa è strettamente circoscritta alle attività necessarie per
garanti-re la stabilità dei pgaranti-rezzi14. In pratica si tratta di una interpretazione
lette-rale dell’articolo 127, par. 1, TFUE (disposizione che apre il Capo 2, del Titolo VIII, dedicato, per l’appunto alla Politica monetaria), nella parte in cui dispone che «(l)’obiettivo principale del Sistema europeo di
ban-che centrali… è il mantenimento della stabilità dei prezzi»15.
L’obiettivo della stabilità dei prezzi è quindi elevato a rango costitu-zionale, alla stessa stregua di altri principi fondamentali dell’ordinamento dell’Unione europea. Peraltro, benché non emerga dalla formulazione del testo normativo, è noto come nella letteratura economica l’obiettivo del-la stabilità dei prezzi non significhi infdel-lazione pari a zero; per garantire la stabilità dei prezzi correnti occorre infatti mantenere un trend di pro-gressivo aumento del costo della vita. Questo perché si ritiene che una lieve inflazione (entro un tetto massimo del 2%) sia in realtà vantaggio-sa perché esvantaggio-sa risulta di stimolo rispetto all’economia, nel senso che in-coraggia gli investimenti a lungo termine, la fiducia degli operatori eco-nomici e la stabilità dei mercati.
Tutto ciò che non rientra nella politica monetaria deve invece essere considerato come strettamente attinente alla politica economica. In tale ambito rientrano, in particolare, il controllo della Commissione europea sui bilanci pubblici ed il correlato obbligo, in capo agli Stati membri, di rispettare un determinato rapporto tra deficit e prodotto interno lordo.
14Corte di giustizia UE, 26 ottobre 2012, causa C-370/12, Pringle c. Ireland, cit.,
punto 56.
15Questa rigida ripartizione produce una specifica conseguenza sull’assetto
istitu-zionale. È infatti agevole constatare che nessuna istituzione europea è direttamente re-sponsabile della «stabilità finanziaria» nella zona euro. Il Trattato era stato infatti con-cepito sul presupposto che non vi sarebbero state crisi finanziarie nell’eurozona, della cui eventualità, pertanto, non si occupava affatto: v. DE WITTE,BEUKERS, The Court of Justice Approves the Creation of the European Stability Mechanism Outside the EU Legal Order: Pringle, Common Market Law Review, 2013, p. 805 ss., 830.
La politica economica viene, infatti, considerata come una politica di mero «coordinamento», ovvero come un settore nel quale sono emi-nentemente gli Stati che pongono in essere le necessarie misure e l’intervento delle istituzioni è limitato ad un un’opera di mera assistenza (art. 5, par. 1, TFUE). L’azione delle istituzioni, in questo ambito, non può quindi determinare armonizzazione di norme materiali e neppure può impedire l’esercizio delle prerogative degli Stati membri.
In qualche modo, l’introduzione di una distinzione artificiale tra po-litica monetaria e popo-litica economica, unitamente al diverso grado di competenza che le caratterizza (esclusiva la prima, di mero coordina-mento la seconda), finisce per determinare una sorta di subordinazione degli obiettivi economici all’obiettivo «primario» della stabilità dei prezzi. In altri termini, lo Stato membro può ancora stabilire liberamen-te quali risorse destinare ai settori non produttivi (sanità, istruzione, si-curezza sociale, ecc.), ma ciò può fare solo in maniera compatibile con il
fine considerato come prevalente dai redattori del Trattato16.
Dal punto di vista dell’azione condotta dalla Banca centrale euro-pea, ciò significa che l’obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi deve costantemente rimanere quale scopo principale dei pro-grammi di stimolo economico adottati dal SEBC. È pertanto ammissibi-le che ammissibi-le misure monetarie adottate dalla BCE producano anche effetti economici, ma questi possono, appunto, costituire mere conseguenze indirette della gestione della politica monetaria.
Come la Corte di giustizia ha avuto infatti modo di dichiarare nel caso Weiss, «al fine di esercitare un influsso sui tassi di inflazione, il SEBC è necessariamente portato ad adottare misure che hanno deter-minati effetti sull’economia reale, i quali potrebbero altresì essere ricer-cati, per altri scopi, nell’ambito della politica economica. In particolare, qualora il mantenimento della stabilità dei prezzi imponga al SEBC di cercare di aumentare l’inflazione, le misure che il SEBC deve adottare al fine di alleggerire, a questo scopo, le condizioni monetarie e finanziarie nella zona euro possono implicare interventi sui tassi d’interesse dei ti-toli del debito pubblico, in ragione, in particolare, del ruolo determi-nante di tali tassi di interesse sulla fissazione dei tassi di interesse appli-cabili ai diversi soggetti economici».
Quindi, è ammissibile e non costituisce una violazione del divieto di
16Tale subordinazione emerge, a ben vedere, dalla stessa formulazione dell’art.
127 TFUE, il quale stabilisce che «il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell’Unione», ma sempre «(f)atto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi» (corsivo aggiunto).
bail-out la circostanza che le misure adottate dalla BCE producano
de-terminati effetti economici, ma questi devono costituire mere conse-guenze indirette di misure di politica monetaria.
Ove si condividano queste riflessioni, è giocoforza concludere che l’unica conseguenza di questo assetto è eminentemente di ordine pro-cessuale. La Banca centrale europea risulta infatti libera di determinare quali siano le misure necessarie per raggiungere il fine della stabilità dei prezzi. In tale ambito, essa può fare ampio ricorso a tutte le misure
pre-viste nella tradizionale «cassetta degli attrezzi»17 di un banchiere
centra-le. Tale armamentario, come è agevole rilevare sulla base di un’analisi di tipo comparatistico, comprende operazioni sul tasso di interesse e su quello di sconto, operazioni di acquisto di titoli di debito, privato e pubblico, immissioni di denaro nel sistema finanziario, adozione di mi-sure per i depositi bancari ovvero presso le banche centrali. E ciò può fare anche se tali azioni incidono, in via indiretta, sulla politica econo-mica ovvero sulla possibilità degli Stati di ricercare il finanziamento del-le proprie politiche economiche sul mercato. Tuttavia la BCE deve esse-re in condizioni di dimostraesse-re l’ineesse-renza delle proprie azioni rispetto al fine della stabilità dei prezzi. Come è evidente, si tratta di una conse-guenza di ordine meramente processuale, dal momento che essa deter-mina solo l’imposizione di un onere della prova in capo alla Banca. Essa risulta inoltre solo eventuale, dal momento che tale esigenza si pone nel caso in cui qualcuno decida di contestare le misure adottate in sede giudiziale.
La distinzione di una linea di demarcazione all’operato della Banca centrale europea finisce pertanto per rappresentare non un limite di ca-rattere sostanziale, ma eminentemente uno strumento dal quale discen-de una mera conseguenza di ordine processuale.
Come vedremo nel paragrafo successivo, anche l’altro limite sopra ipotizzato all’azione della BCE (il principio di proporzionalità) finisce per produrre eminentemente conseguenze di ordine procedimentale.
5. In virtù del principio di proporzionalità, l'azione dell'UE deve limitarsi a quanto è strettamente necessario per raggiungere gli obiettivi fissati dai trattati istitutivi e non deve andare al di là della stessa (art. 5, par. 4, TUE). Si ritiene abitualmente che lo scrutinio giudiziale del
17Ovviamente la perifrasi di «cassetta degli attrezzi» è un’espressione atecnica ed è
tratta dalla stampa economica (v., ad es., BUFACCHI, L’impronta di Draghi oltre la fine
principio di proporzionalità implichi la valutazione di tre diverse com-ponenti: l’appropriatezza della misura rispetto allo scopo; la necessità della stessa; la valutazione del carattere di non manifesta
sproporzionali-tà rispetto al fine18.
Come è evidente, il limite di proporzionalità consente innanzitutto al giudice di verificare la congruità della forma della misura: il legislato-re europeo deve, infatti, optalegislato-re per la tipologia di atto che sia la meno costrittiva possibile. Tale indagine, tuttavia, non si attesta solo ad un mero controllo formale. Il principio di proporzionalità, infatti, permette all’autorità giurisdizionale di valutare nel merito se il mezzo prescelto sia adatto allo scopo perseguito. Il principio in esame, pertanto, costituisce,
nell’ordinamento dell’Unione europea, un limite di carattere sostanziale19.
Nonostante quanto previsto in via generale dal Trattato, il principio di proporzionalità, nell’ambito della politica monetaria sembra rivestire essenzialmente una portata processuale, nel senso che il Giudice euro-peo, più che svolgere un controllo di merito, sembra accontentarsi del rispetto, da parte della BCE e del SEBC, di talune garanzie
procedi-mentali20. Questa conclusione emerge chiaramente laddove si leggano
determinate affermazioni della Corte di giustizia nel citato caso
Gauwei-ler: «poiché il SEBC è chiamato, quando elabora e attua un programma
di operazioni di mercato aperto quale quello annunciato nel comunicato stampa, a procedere a scelte di natura tecnica e ad effettuare previsioni e valutazioni complesse, occorre riconoscergli, in tale contesto, un am-pio potere discrezionale (…). Ciò premesso, nel caso in cui un’istit-uzione dell’Unione disponga di un ampio potere discrezionale, il con-trollo del rispetto di alcune garanzie procedurali riveste importanza fondamentale. Fra tali garanzie rientra l’obbligo per il SEBC di
esamina-re, in modo accurato e imparziale, tutti gli elementi pertinenti della situa-zione di cui trattasi e di motivare le proprie decisioni in modo sufficiente»21.
In altri termini, in capo al SEBC vi sarebbe solo l’obbligo di prende-re in considerazione gli elementi che lo stesso considera rilevanti per l’analisi della fattispecie e di fornire, alla luce di tale analisi, una motiva-zione delle proprie scelte. Il controllo del giudice europeo, in questo
18V. BLANQUET, Droit général de l’Union européenne11, Paris, 2018, p. 118. 19V. Corte di giustizia UE, 8 giugno 2010, causa C-58/08, Vodafone, ECLI:EU:
C:2010:321, punti 55 ss.; 12 maggio 2011, causa C-176/09, Lussemburgo c. Parlamento e
Consiglio, ECLI:EU:C:2011:290, punti 65 ss.
20V. V
ILLANI, Istituzioni di diritto europeo5, Bari, 2017, p. 93 s.
21Corte di giustizia UE, 16 giugno 2015, causa C-62/14, Gauweiler, cit., punti 68-69
particolare settore del Trattato, si attesta quindi solo alla verifica della correttezza sul piano procedimentale; mentre egli non va a sondare la reale rispondenza della misura adottata rispetto al fine perseguito, come esigerebbe il controllo giudiziale del principio di proporzionalità.
Tale impressione negativa risulta poi confermata dalla lettura della
successiva sentenza pronunciata dalla Corte nel caso Weiss22. Secondo il
giudice europeo, infatti, «risulta dal considerando 3 della decisione 2015/774, dai documenti pubblicati dalla BCE in occasione dell’ado-zione di tale decisione, nonché dalle osservazioni presentate alla Corte, che detta decisione è stata adottata alla luce di vari elementi che aumen-tano nettamente il rischio di un ribasso dei prezzi a medio termine, nel contesto di una situazione di crisi economica implicante un rischio di deflazione».
In sintesi, il principio di proporzionalità nell’ambito della politica monetaria, a differenza di quanto si verifica in relazione ad altre politi-che europee, sembra risolversi eminentemente in un onere probatorio in capo all’Istituto di emissione. La Banca centrale europea deve infatti indicare quali sono gli elementi che, a suo giudizio, consentono di rite-nere che una determinata misura monetaria sia adeguata allo scopo. Ed a tal fine essa può basarsi non solo sulla motivazione dell’atto, ma anche sui documenti pubblicati e sulle statistiche rilevate in un determinato lasso di tempo. In altri termini, può fornire la prova del rispetto del principio di proporzionalità anche attraverso elementi estranei rispetto al corpo della decisione oggetto di contestazione. In concreto, la conse-guenza di siffatto modo di ragionare è che pure il giudizio di propor-zionalità si traduce solo nell’onere di fornire la prova di avere svolto una valutazione attenta prima di assumere determinate risoluzioni. Quindi, non solo non presenta alcuna valenza di carattere sostanziale, ma esso risulta finanche meno incisivo di quanto sia nelle altre politiche delle istituzioni europee.
6. Come è agevole rilevare, entrambi i limiti sopra individuati, si ri-solvono in una sostanziale petizione di principio, dal momento che tutto ciò che è richiesto è che l’Istituto di emissione dimostri di avere svolto un’analisi degli elementi di fatto che considera capaci di incidere sulle fluttuazioni della moneta unica. In questo modo, la BCE finisce per go-dere di un margine di manovra più esteso di quello che normalmente vie-ne riconosciuto alle istituzioni europee vie-nella conduziovie-ne delle loro azioni.
È poi opportuno avvertire che tale valutazione, sostanzialmente ne-gativa, appare finanche più accentuata in relazione all’altra sfera di competenza esclusiva della Banca centrale europea, consistente, come ricordato all’inizio del lavoro, nell’esercizio della vigilanza prudenziale sulle istituzioni creditizie stabilite nella zona euro.
Questa vigilanza ha luogo nell’ambito della c.d. unione bancaria. Con la locuzione «Unione bancaria» si intende, in realtà, un complesso di tre pilastri normativi, identificabili nei seguenti aspetti: i) la costitu-zione di un fondo europeo di garanzia dei depositi, in modo da indurre una fiducia complessiva nei consumatori ed evitare il c.d. rischio di cor-sa agli sportelli; ii) l’accentramento del controllo della solidità struttura-le degli istituti di credito; iii) l’introduzione di un meccanismo di risolu-zione delle crisi e di gestione del fallimento o della liquidarisolu-zione delle istituzioni finanziarie.
Si tratta, come è agevolmente percepibile, di aspetti strettamente connessi: in tanto sussiste una fiducia dei depositanti e degli investitori, in quanto gli utenti hanno la contezza che la banca risponda a determi-nati principi diretti a garantirne la solidità strutturale. La fiducia dipen-de poi anche dalla consapevolezza che l’eventuale fallimento non dipen- de-terminerà conseguenze negative per i risparmiatori. A propria volta, una soluzione ordinata della crisi di insolvenza può essere attuata senza danno per gli utenti, ma senza dare luogo a conseguenze sistemiche nel settore creditizio, solo nella misura in cui esista un sistema centralizzato di gestione dei fallimenti. L’esistenza di tale complesso normativo costi-tuisce, infine, il presupposto per una sana gestione dei bilanci pubblici, perché gli Stati hanno la certezza di non dovere in futuro gravare i pro-pri cittadini con ulteriore imposte per fare fronte ad eventuali fallimenti bancari23.
Il cuore dell’unione bancaria è costituito dal secondo pilastro ovve-ro dal contovve-rollo centralizzato della vigilanza prudenziale sugli istituti di
23È noto come l’Unione bancaria non sia stata completata, dal momento che non è
ancora perfezionato il primo pilastro (consistente, appunto, nell’introduzione di un stema europeo dei depositi). Il meccanismo attualmente vigente si fonda, infatti, su si-stemi nazionali di garanzia dei depositi bancari inferiori ai centomila euro. Il sistema correntemente impiegato in Italia è di natura privatistica, dal momento che esso si basa su un fondo istituito tramite accordo interbancario. Tale struttura è stata recentemente ritenuta compatibile con l’ordinamento europeo ed in particolare con il settore degli aiuti di Stato (v. Tribunale, 19 marzo 2019, cause riunite T-98/16, T-196/16 e T-198/16,
Repubblica italiana c. Commissione, ECLI:EU:T:2019:167; attualmente è pendente
credito, che è stato realizzato con il regolamento 1024/201324; detta
fon-te normativa va peraltro letta congiuntamenfon-te con il regolamento n. 468/14, che istituisce il quadro di cooperazione tra BCE e autorità
na-zionale25. Si tratta indubbiamente di un’innovazione di notevole portata.
Il sistema previgente si fondava, infatti, sul c.d. principio dell’home
country control, che costituiva un’applicazione del mutuo
riconoscimen-to nel setriconoscimen-tore della vigilanza bancaria. In virtù di tale principio, l’autorità competente a verificare il rispetto dei requisiti patrimoniali e normativi per l’operatore bancario era quella del Paese membro nel quale si trovava lo stabilimento principale dell’istituto. L’ente creditizio, superate positivamente le verifiche effettuate nel paese di origine, era capace di operare, tramite l’esercizio della libera prestazione dei servizi, nell’intera Unione. Il meccanismo del controllo nel paese di origine conduceva, tuttavia, ad una frammentazione delle attività di controllo, come si verificava in presenza di enti creditizi stabiliti, tramite filiali, in più Stati membri: in questo caso, infatti, ognuno dei paesi nel quale si trovava una sede era competente a svolgere i relativi controlli, ma nes-suno dei soggetti pubblici coinvolti disponeva del potere di effettuare tutte le verifiche necessarie per consentire ad istituti di rilevanti dimen-sioni di operare sull’intero mercato unico.
A ciò si aggiunga, che l’interconnessione tra le attività finanziarie dei vari enti che esercitano detta attività ed i bilanci pubblici degli Stati è estremamente elevato. Ciò accade anche perché gli enti bancari deten-gono sovente nel proprio bilancio titoli di Stato, con la conseguenza che l’eccessivo rischio paese finisce per scaricarsi sovente sul mercato finan-ziario. In questo contesto, la scarsa solidità patrimoniale di un istituto di credito, specie se di importanza sistemica, rischia di produrre un effetto di contagio e di mettere a rischio l’intero comparto nei paesi partecipan-ti alla moneta unica.
Conseguentemente, il regolamento quadro sulla vigilanza bancaria, prevede l’articolazione dei controlli secondo due modalità diverse. In-nanzitutto si stabilisce che il controllo sugli enti creditizi stabiliti
24Regolamento (UE) 1024/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15
ot-tobre 2013 che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi, GUUE 29 ottobre 2013
L 287, p. 63 ss.
25Regolamento (UE) 468/2014 della Banca centrale europea, del 16 aprile 2014,
che istituisce il quadro di cooperazione nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico tra la Banca centrale europea e le autorità nazionali competenti e con le autorità nazio-nali designate (Regolamento quadro sull’MVU) (BCE/2014/17), G.U.U.E. 14 maggio 2014 L 141, p. 1-50.
nell’eurozona sia svolto dalla Banca centrale europea (la c.d. vigilanza microprudenziale); la verifica sulle attività finanziarie nel loro complesso (la vigilanza macroprudenziale) spetta, invece, ad un complesso sistema di autorità, noto sotto l’acronimo di SEVIF (Sistema europeo di vigilanza finanziaria), il cui organo principale è rappresentato dall’Autorità banca-ria europea.
L’aspetto più importante della vigilanza microprudenziale è, pertan-to, l’accentramento dei controlli in capo alla Banca centrale europea. Questo viene concretamente posto in essere attraverso una sorta di si-stema multilivello, in base al quale le autorità nazionali svolgono un ruo-lo eminentemente consultivo, mentre la responsabilità principale spetta,
in via esclusiva, alla Banca centrale europea26.
Il testo normativo prevede, infatti, che la Banca centrale europea eserciti funzioni di vigilanza su tutti gli enti di credito stabiliti nei paesi membri dell’eurozona ed in particolare su quelli «significativi». Tutta-via, l’istituto di emissione può decidere di delegare le funzioni di con-trollo all’autorità nazionale competente (quella del paese in cui è situata lo stabilimento principale dell’ente), laddove ricorrano «particolari cir-costanze» che rendono la qualificazione di un ente come significativo
inappropriata (art. 70, regolamento 468/14).
Questa specifica ipotesi è stata oggetto della controversia, decisa dal
Tribunale, nel caso Landeskreditbank Baden-Württemberg27. Nella
spe-cie, la banca contestava la decisione della BCE con la quale la stessa aveva stabilito che non ricorressero circostanze particolari idonee a la-sciare il compito di vigilanza alle autorità nazionali. Secondo la tesi atto-rea, l’istituto di credito era già soggetto al controllo di quattro diverse autorità (autorità nazionale, autorità del Land, Ministero delle finanze centrale e territoriale) che già garantivano una vigilanza efficace. Tutta-via, secondo il Tribunale, le disposizioni di diritto derivato sopra ri-chiamante, «nella parte in cui si riferisce a “circostanze specifiche e fat-tuali che rendono inappropriata la classificazione di un soggetto come significativo” (…) deve essere inteso nel senso che si riferisce alle sole circostanze di fatto specifiche che implicano che una vigilanza diretta da
26Ne consegue che l’atto adottato al termine della funzione di vigilanza rappresenta
un atto direttamente attribuibile alla BCE, anche se quest’ultima si limita a recepire la decisione dell’autorità di vigilanza nazionale: v. Corte di giustizia UE, 19 dicembre 2018, causa C-219/17, Berlusconi c. B.ca d’Italia, ECLI:EU:C:2018:1023, punti 43-44.
27 Tribunale, 16 maggio 2017, causa T-122/15, Landeskreditbank
Baden-Württemberg -Förderbank contro Banca centrale europea, ECLI:EU:T:2017:337. La
Cor-te di giustizia ha recenCor-temenCor-te respinto il ricorso in appello (senCor-tenza 8 maggio 2019, causa C-450/17 P, ECLI:EU:C:2019:372).
parte delle autorità nazionali è maggiormente in grado di realizzare gli obiettivi ed i principi del regolamento di base e, in particolare, la neces-sità di garantire l’applicazione coerente di standard di vigilanza elevati». In realtà, l’interpretazione del Tribunale si risolve in una mera peti-zione di principio. E ciò per un duplice ordine di considerazioni. In-nanzitutto perché travisa il senso della disposizione di riferimento (l’art. 70, reg. 468/14), la quale si limita a richiedere che la qualificazione co-me significativa sia «inappropriata». La soluzione erco-meneutica indivi-duata dal Tribunale impone poi all’istante che aspira a non essere sot-toposto a vigilanza da parte della BCE una vera e propria prova diaboli-ca: questi deve, appunto, dimostrare che la vigilanza da parte delle au-torità nazionali realizza meglio le finalità del regolamento che la
vigilan-za centralizvigilan-zata in capo alla BCE28. Come è evidente, il regolamento è
stato concepito proprio per porre in essere una centralizzazione della funzione di controllo e per superare la frammentarietà del precedente sistema. In questo contesto, come potrebbe mai una vigilanza nazionale realizzare meglio degli obiettivi di carattere sovranazionale? E quali elementi di prova potrebbe fornire il malcapitato istituto per sovvertire tale lapalissiana considerazione?
Allo stato, il controllo è pertanto centralizzato nelle mani
dell’Isti-tuto di emissione29. A tal fine l’istituto di emissione può controllare la
copertura di capitale, le riserve, la liquidità, porre limiti all’esercizio del-la leva finanziaria, controldel-lare le acquisizioni di ulteriori partecipazioni
bancarie tramite fusioni e incorporazioni30. Inoltre la Banca centrale
eu-
28V. A
NNUNZIATA, La vigilanza bancaria europea nell’era della BCE: il caso
Lande-skreditbank Baden-Württemberg – Förderbank v. BCE, in AA.VV., I giudici e l’economia,
Torino, 2018, pp. 499 ss., 509.
29Per garantire una sorta di parvenza di separazione tra la politica monetaria e
l’attività di vigilanza, le funzioni relative a quest’ultima spettano ad un organo ad hoc, denominato Consiglio di vigilanza; le decisioni assunte da detto organo sono tuttavia soggette ad approvazione da parte del Consiglio direttivo della BCE, attraverso un mec-canismo di silenzio assenso: esse sono difatti approvate se il Consiglio direttivo non sol-leva obiezioni motivate entro un circoscritto lasso di tempo (v. art. 26, par. 8, regola-mento 1024/2013).
30Tali controlli vengono effettuati anche in via preventiva, attraverso i c.d. stress
test. Si simula, in altri termini, una sorta di scenario negativo, determinato dall’ipotesi di
fallimento di due clienti significativi dell’istituto e da un generale deterioramento della situazione economica generale. Una volta introdotte siffatte variabili si verifica, attraver-so calcoli matematici, la tenuta del coefficiente patrimoniali di ogni banca. La BCE pubblica poi i datti aggregati di ogni verifica effettuata, mentre il risultato dei controlli sull’istituto viene comunicato con lettera riservata al singolo istituto, il quale decide poi, in conformità alle prassi nazionali, se rendere tali risultati pubblici. Tale meccanismo è
ropea verifica la sussistenza di determinati requisiti di onorabilità (quali, ad esempio, l’assenza di condanne penali per reati di natura patrimonia-le e fiscapatrimonia-le) e di competenza (adeguata preparazione professionapatrimonia-le) sia in capo agli amministratori, sia in capo a coloro che acquisiscono delle partecipazioni azionarie significative (rispettivamente: 20%, 30%, 50%) e tali da poter condizionare le decisioni assembleari nel capitale
degli istituti di credito31.
In questo contesto, non può non suscitare una certa sorpresa il fatto che la Banca centrale possa assumere decisioni particolarmente invasive sulla vita delle imprese, potendo finanche revocare l’autorizzazione
all’esercizio dell’attività creditizia32. A tal fine la BCE dispone di estesi
poteri di indagine, quali la richiesta di informazioni, il potere di svolge-re ispezioni in loco, chiedesvolge-re spiegazioni, esaminasvolge-re i libri ed i svolge-registri
contabili, procedere ad audizioni33.
I poteri della BCE sembrano quindi comparativamente più estesi di quelli che la Commissione europea esercita di norma in materia di con-correnza, non limitandosi, al pari della seconda, alla semplice commina-zione di sanzioni economiche, ma potendo addirittura stabilire quali siano le imprese che possono operare sul mercato. Benché debba evi-dentemente trattarsi di una decisione tecnica e non meramente politica, un potere così esteso suscita vari dubbi di compatibilità con il Trattato, ivi incluso il rispetto dei principi di proporzionalità e di non incidenza sulla proprietà privata.
Con la previsione di tale potere la BCE, da mero administrateur de
conception (in quanto mero promotore di uniformità giuridica in
mate-ria monetamate-ria), diviene un vero e proprio amministratore di fatto, po-tendo la stessa giungere fino all’applicazione concreta del diritto all’interno degli ordinamenti nazionali. Sul piano delle riflessioni di or-dine generale, si ha la sensazione di assistere ad un’ulteriore svolta
fede-
stato tuttavia tacciato di una certa opacità: di fatto, solo alla conclusione del procedi-mento di verifica, il singolo istituto bancario viene a sapere se i suoi coefficienti patmoniali sono adeguati o meno all’esercizio dell’attività che lo stesso sta svolgendo e ri-spetto ai rischi assunti. V., in generale, BAGLIONI, La rete bucata. Le regole e i controlli sulla finanza, Città di Castello, 2018, p. 70 ss.
31V., rispettivamente, articoli 91 e 22, direttiva 2013/36/UE del Parlamento
euro-peo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE, G.U.U.E. 27 giugno 2013 L 176, p. 338-436.
32Cfr. art. 4, regolamento 1024/2013.
ralista dell’Unione, nel senso che le istituzioni europee non si limitano più soltanto a deliberare determinati atti giuridici, affidandosi poi alle autorità nazionali per l’applicazione concreta delle norme uniformi, ma penetrano all’interno degli ordinamenti nazionali, sostituendosi alle au-torità amministrative locali nello svolgimento delle funzioni esecutive.
Pur a fronte di poteri così estesi, non sembra, tuttavia, che il privato goda di maggiori garanzie. Al contrario, nell’ambito dell’attività di vigi-lanza prudenziale, l’onere della prova del rispetto del principio di pro-porzionalità finisce per incombere non tanto in capo all’istituto di emis-sione, quanto piuttosto in capo al privato. È infatti quest’ultimo che de-ve dimostrare, per non essere assoggettato ad un controllo pervasivo da parte della BCE, che la vigilanza delle autorità nazionali consente di raggiungere in maniera più adeguata gli scopi del regolamento. In altri termini, le garanzie ed i limiti generali all’azione della BCE risultano fi-nanche meno estesi di quelli che caratterizzano la conduzione della poli-tica monetaria.
7. Oltre ai limiti esaminati nei precedenti paragrafi, è opportuno prendere in considerazione l’incidenza, sull’operato della Banca centra-le europea, del rispetto dei diritti fondamentali. Si tratta di un aspetto certamente meno rilevante in relazione all’attività propria dell’istitu-zione in esame, perché esso ricorre soprattutto nell’ambito della funzio-ne di assistenza finanziaria. Queste sono in gefunzio-nere le attività funzio-nelle quali la Banca centrale europea interviene per lo più in maniera indiretta, at-traverso la partecipazione alla c.d. troika (ora, più genericamente, istitu-zioni), quale consulente finanziario, unitamente al Fondo monetario in-ternazionale e alla Commissione europea, nella definizione dei pro-grammi di ristrutturazione economica.
I programmi concordati dai paesi che hanno ricevuto il sostegno fi-nanziario pongono, in generale, un problema di coordinamento con la tutela dei diritti fondamentali all’interno dell’Unione europea. Non è infatti chiaro come si possano salvaguardare i diritti sociali, quali il dirit-to alla retribuzione, al mantenimendirit-to del posdirit-to di lavoro ovvero al con-seguimento della pensione.
I programmi di riforme economiche e finanziarie concordati con gli Stati membri dell’eurozona che hanno ricevuto assistenza finan-ziaria contengono infatti diverse clausole suscettibili di produrre conseguenze negative specie per le fasce più deboli della popolazione.
I piani concordati con i paesi creditori dalla Grecia34, dall’Irlanda35, dal
Portogallo36 e da Cipro37 prevedono, infatti, interventi particolarmente
incisivi nel campo del lavoro e della sicurezza sociale. Gli Stati che han-no ricevuto il prestito, si sohan-no, di volta in volta, impegnati a rivedere le modalità di svolgimento della contrattazione salariale nonché le condi-zioni di apprendistato e di cessazione del rapporto, nel senso di garanti-re una maggiogaranti-re flessibilità nella fase di negoziazione ed in quella di ri-soluzione del rapporto di lavoro; ad operare riduzioni dei salari per il pubblico impiego; ad attuare una riforma delle pensioni, implicante un contenimento complessivo della spesa pubblica anche attraverso il blocco dell’indicizzazione; a ridurre le indennità per ferie, specie quelle nel
pub-
34Il pacchetto di aiuti per la Grecia (c.d. Greek Loan Facility) è contenuto in due
accordi intergovernativi, conclusi l’8 maggio 2010. È inoltre opportuno leggere la deci-sione 2010/320/UE, del Consiglio dell’8 giugno 2010, con la quale vengono imposte alla Grecia varie misure per la riduzione del disavanzo eccessivo; detta decisione, più volte modificata, è stata successivamente abrogata dalla decisione 2011/734/UE del Consiglio del 12 luglio 2011 (riprodotta in G.U.U.E. 15 novembre 2011 L 296, p. 38), con la quale si intima alla Grecia di adottare ulteriori misure di riduzione della spesa pubblica. Il piano di aiuti alla Grecia ha avuto termine il 21 giugno 2018: v. Eurogroup Statement on
Greece, consultabile al sito www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/ 2018/06/
22/ eurogroup-statement-on-greece-22-june-2018/.
35Per l’Irlanda vennero conclusi un Memorandum di Intesa; mentre le condizioni
del prestito sono contenute in un ulteriore accordo. A detti accordi è stata poi data at-tuazione, nell’ordinamento dell’Unione europea, con apposite decisioni. V. la decisione di esecuzione 2011/77/UE, del Consiglio del 7 dicembre 2010 che fornisce all’Irlanda assistenza finanziaria dell’Unione, G.U.U.E. 4 febbraio 2011 L 30, p. 34. Il programma ha avuto conclusione con la decisione di esecuzione del Consiglio del 22 ottobre 2013 che modifica la decisione di esecuzione 2011/77/UE che fornisce all’Irlanda assistenza finanziaria dell’Unione (2013/525/UE).
36Nel caso del Portogallo sono stati conclusi un Memorandum di Intesa con la
troi-ka il 3 maggio 2011 e, sulla falsariga delle precedenti ipotesi, un accordo sul prestito. A detti accordi è stata poi data attuazione, nell’ordinamento dell’Unione europea, con ap-posite decisioni. V. le decisioni 2010/288/: Decisione del Consiglio, del 19 gennaio 2010, sull’esistenza di un disavanzo eccessivo in Portogallo, G.U.U.E. 21 maggio 2010 L 125, pp. 44-45 e la decisione di esecuzione 2011/344/UE, del Consiglio del 30 maggio 2011 sulla concessione di assistenza finanziaria al Portogallo, G.U.U.E. 17 maggio 2011
L 159, p. 88. Il Portogallo è uscito dal meccanismo di assistenza nel mese di giugno
2017 (v. la decisione (UE) 2017/1225 del Consiglio, del 16 giugno 2017, che abroga la decisione 2010/288/UE sull’esistenza di un disavanzo eccessivo in Portogallo, G.U.U.E. 7 luglio 2017 L 174, pp. 19-21).
37Il programma di stabilizzazione finanziaria è contenuto nel Memorandum of
Un-derstanding on Specific Economic Policy Conditionality, del 25 marzo 2013 (consultabile
al sito www.timsquirrellsdad.files.wordpress.com/2013/04/cyprus-memorandum-of-understanding-on-specific-economic-policy-conditionality.pdf).
blico impiego; a diminuire gli sgravi fiscali; ad operare rilevanti tagli di personale nel settore pubblico; ad effettuare riduzioni di spesa nel setto-re della sanità, consistenti tanto nella contrazione degli orari di apertura dei nosocomi, quanto nell’acquisto di farmaci e dispositivi medicali.
Nel caso di Cipro, poi, tali interventi sono stati finanche più incisivi, al punto che, si è tenuto a precisare da parte delle istituzioni europee, che si trattava di un caso unico, evidentemente nella consapevolezza che se analoghi programmi fossero stati adottati in un paese di maggiori di-mensioni, questi avrebbero potuto determinare crisi sociali di vaste proporzioni o, più semplicemente, una fuga degli investitori spaventati dal c.d. «rischio paese», consistente nel timore di perdere il capitale im-piegato. Le misure imposte a Cipro, infatti, prevedevano l’introduzione di misure restrittive alla circolazione dei capitali. Esse sono state poste in essere con strumenti draconiani: ad esempio, le autorità pubbliche hanno deciso la chiusura degli istituti di credito per un consistente lasso di tem-po (dieci giorni consecutivi), imtem-posto limitazioni ai prelievi tramite ban-comat e ai bonifici verso l'estero, stabilito il coinvolgimento nel pro-gramma di ristrutturazione anche del settore privato attraverso un prelie-vo una tantum sui depositi di conto corrente superiori a centomila euro.
In taluni casi, poi, tali programmi hanno implicato anche il sacrificio dei diritti degli azionisti e dei creditori. Ciò si è verificato, in particolare, nei casi di nazionalizzazione degli istituti di credito, come misura estre-ma nell’ambito degli aiuti di Stato alle banche. In questa ipotesi, infatti, la soluzione può anche incidere sui diritti previsti dagli articoli 8, 25 e
29 della seconda direttiva in materia societaria38. Tali disposizioni
con-tengono una serie di garanzie per gli azionisti, quali in particolare, il di-vieto di emissione di azioni per un importo inferiore al loro valore no-minale; l’obbligo che qualsiasi aumento di capitale venga deliberato dall’assemblea generale e, infine, la possibilità per gli azionisti esistenti di esercitare un diritto di opzione in relazione alle azioni emesse nell’ambito dell’operazione di aumento di capitale. La Corte di giustizia ha tuttavia
38Direttiva 77/91/CEE del Consiglio, del 13 dicembre 1976, intesa a coordinare,
per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società di cui all’articolo 58, secondo comma, del trattato [ora: 54, 2° comma, TFUE], per tute-lare gli interessi dei soci e dei terzi per quanto riguarda la costituzione della società per azioni, nonché la salvaguardia e le modificazioni del capitale sociale della stessa (G.U.U.E. L 26/1977, p. 1).
statuito che tali diritti sono «comprimibili» a fronte di una situazione
po-tenzialmente rischiosa per la stabilità finanziaria dell’Unione39.
In sintesi, tutti i programmi di stabilizzazione finanziaria concordati con le istituzioni finanziarie europee e internazionali ovvero direttamen-te con i paesi creditori hanno finora previsto indirettamen-terventi dal fordirettamen-te impatto sociale. Dette misure sono state poi attuate, con ferrea determinazione, da parte degli stessi Stati destinatari dell'aiuto: d'altro canto, la mancata attuazione del programma avrebbe determinato l’immediata sospensio-ne dell'erogaziosospensio-ne ed il conseguente default.
Pur a fronte di misure così incisive, la tutela dei diritti fondamentali non sembra affatto un’adeguata ricevere considerazione negli strumenti istitutivi dei vari fondi salva-stati esaminati nei paragrafi precedenti.
Si tratta di un dato sorprendente, perché è nota la costante atten-zione della Corte di Giustizia alla tutela dei diritti fondamentali. Il pro-blema è, tuttavia, rappresentato dal fatto che i programmi di stabilizza-zione finanziaria sono, normalmente, oggetto di un accordo negoziato, sul piano del diritto internazionale, da parte dello Stato destinatario dell'aiuto, con la Commissione, con la BCE e con il Fondo monetario internazionale. D’altro canto, gli stessi programmi raramente contengo-no una descrizione dettagliata delle misure da adottare, limitandosi piuttosto a prevedere taluni obiettivi generali di contenimento della spesa pubblica nei singoli comparti, lasciando, poi, al paese destinatario la scelta circa gli strumenti destinati a dare ad esso attuazione.
In questo contesto la tutela dei diritti fondamentali deve essere ve-rosimilmente attuata sul piano costituzionale interno, attraverso il
ri-spetto dei principi di proporzionalità e uguaglianza40; ovvero, al livello
dell’ordinamento internazionale41.
La tutela dei diritti fondamentali che si può ottenere mediante il ri-corso allo strumentario previsto dal diritto internazionale, specie a se-guito delle riforme adottate con il Trattato di Lisbona, potrebbe tuttavia risultare inferiore a quella che si potrebbe conseguire attraverso i rimedi
39V. le sentenze della Corte 19 luglio 2016, C-526/14, Kotnik, EU:C:2016:570,
punti da 88 a 90 e 8 novembre 2016, causa C-41/15, Dowling, ECLI:EU:C:2016:836, punti 50-51.
40V. in questo senso la sentenza del Tribunale costituzionale portoghese del 5 aprile
2013 n. 187, nel sito www.tribunalconstitucional.pt/tc/acordaos/20130187.html.
41V., in questo senso, le due decisioni del Comitato Europeo dei diritti sociali, del
23 maggio 2012, n. 65/2011 e n. 66/2011, nei confronti della Grecia, reperibili al sito www.coe.int. Nella specie si trattava del ricorso promosso da alcune associazioni sinda-cali, rappresentative dei pubblici dipendenti, nei confronti delle misure di austerità adottate dalla Grecia.
giurisdizionali propri del diritto dell'Unione europea. Ciò si verifica per una pluralità di ragioni. Innanzitutto perché solo le fonti europee con-sentono di disapplicare le norme interne contrastanti e permettono per-tanto al giudice di apprestare una tutela immediata.
In secondo luogo perché, a seguito del Trattato di Lisbona, sono state adottate due modifiche che possono esplicare effetti concreti sulla questione in esame: da un lato, è stata inserita una specifica previsione concernente i diritti sociali nel Trattato istitutivo (si tratta della clausola sociale di cui all’art. 9 TFUE); dall’altro, la Carta dei diritti fondamenta-li dell’Unione europea, nella quale sono contenute varie previsioni so-ciali, ha assunto valore giuridico pari a quello del Trattato (v. art. 6, par. 1, TUE), risulta inapplicabile ai programmi di riforme economiche con-cordati con il MES, dal momento che gli Stati membri stanno agendo al di fuori dell’ambito di applicazione del diritto europeo.
A fronte dell’assetto attualmente assunto dall’ordinamento dell’Unione europea, le fonti internazionali sembrano, in definitiva, offrire una tutela meno incisiva dei diritti sociali. La possibilità di attivare i meccanismi previsti dai trattati internazionali sulla tutela dei diritti dell'uomo è infatti soggetta alla sussistenza di presupposti potenzialmente idonei a circoscri-vere in vario modo la possibilità di ottenere una tutela in tempi rapidi. I Trattati sulla tutela dei diritti dell’uomo, in genere, prevedono la possi-bilità di rivolgersi ad un’istanza internazionale, solo una volta esaurite le vie di ricorso. D’altro canto, la tutela concretamente ottenibile nei
Trat-tati sui diritti umani è essenzialmente di tipo risarcitorio o esorTrat-tativo42.
Soprattutto, poi, nell’attuazione degli obblighi in materia di diritti uma-ni, gli Stati godono in genere di un adeguato «margine di apprezzamen-to», il quale può divenire particolarmente esteso in presenza di
situazio-ni di crisi internazionali particolarmente diffuse e pervasive43.
42Come è noto, il controllo sull’osservanza degli obblighi discendenti dal Patto sui
diritti economici sociali e culturali viene svolta attraverso un apposito comitato di esper-ti, al quale è attribuito il potere di esaminare i rapporti inviati dagli Stati.
43Vedi in questo senso la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 10
luglio 2012, ricorso n. 34949/10, Grainger c. Regno Unito. Nella specie si trattava di azionisti della Northern Rock, banca inglese nazionalizzata nel corso del 2008, a seguito della prima fase di esplosione della crisi economica internazionale. In detta occasione la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto un ampio margine di discrezionalità dello Stato nel determinare l’importo da corrispondere agli azionisti per la nazionalizza-zione, alla luce della grave situazione di crisi economica interna ed internazionale («gi-ven the exceptional circustamces prevailing the financial sector, both domestically and internationally»). Nella specie tale margine di apprezzamento è stato valutato con