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Guarda Paolo Prodi (1932-2016). Uno storico tra scienza e politica.

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SCIENZA &POLITICA, vol. XXVIII, no. 55, 2016, pp. 5-7

DOI: 10.6092/issn.1825-9618/6607 ISSN: 1825-9618

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S

CIENZA

&

P

OLITICA

per una storia delle dottrine

Paolo Prodi (1932-2016).

Uno storico tra scienza e politica

Paolo Prodi (1932-2016).

A Historian between Science and Politics

Pierangelo Schiera

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SCHIERA, Paolo Prodo (1932-2016)

SCIENZA &POLITICA

vol. XXVIII, no. 55, 2016, pp. 5-7 6

Paolo Prodi era presente quando questa rivista venne concepita, a Trento, in una stanza dell’Istituto storico italo-germanico, verso il 1988 (c’era ancora Roberto Ruffilli). Lo dico perché Scienza e Politica sono stati i due fattori costitutivi del “fenomeno Prodi”, di cui io stesso ho avuto la fortuna di essere, per buona parte, testimone. Egli aveva in animo di completare la straordinaria serie di volumi dei suoi “Percorsi di ricerca”, presso il Mulino di Bologna, con quello dedicato a sé stesso: Politica disorganica e intellettuali organici (ma in mente da ultimo aveva un titolo più perverso).

Troppo “disimpegnato” egli stesso per potersi realmente impegnare in politica, il suo impegno politico fu veramente solo quello che egli profuse nella scienza e nella promozione della medesima. Fin da quando, appena laureato, partecipò alla comunità dossettiana del Centro di documentazione, poi Istituto per le scienze religiose: la prima delle sue “Officine bolognesi” (cfr. il suo ultimo, bellissimo Giuseppe Dossetti e le officine bolognesi).

Affascinato dal mondo della scuola e della cultura, egli pensava che vi si dovesse opera-re anche a partiopera-re dalla Politica, con idee e progetti cioè, forieri di interventi di riforma. Dopo l’esperienza con Misasi all’Ufficio Scuola del Ministero, accolse l’invito di Bruno Kes-sler a mettere mano all’Università di Trento, ormai entrata in rotta di collisione col suo Ses-santotto. Lo fece al momento giusto, con intuito e prospettive che andavano oltre il contin-gente e sognavano un modo nuovo d’intendere sia il locale trentino che il globale europeo. Il segno più bello della sua azione politica è dato dai fallimenti in cui spesso incorse, la-sciando però sempre dietro di sé il rimpianto per il non fatto, per ciò che avrebbe potuto essere e dunque anche per ciò che ancora andrebbe fatto.

È stato così anche per l’Istituto storico italo-germanico in Trento, una delle costole dell’Istituto Trentino di Cultura (l’ITC, ora Fondazione Bruno Kessler, FBK) che per un paio di decenni ha rappresentato un unicum nel panorama italiano e non solo, con i suoi istituti di ricerca nel molle (storia e scienze religiose) e nel duro (matematica e ricerca scientifica e tecnologica), in azione incrociata con le Facoltà universitarie che intanto, sotto il rettorato prodiano, avevano preso ad accompagnare la mitica Sociologia. All’ISIG Prodi aveva im-piantato un altro sogno, quello della stazione di posta, per via storiografica, fra cultura ita-liana e cultura germanica; di cui godetti anch’io per una chiamata dovuta alle mie suppo-ste conoscenze di cose tedesche.

Ma proprio l’Istituto trentino e i discorsi che vi si facevano – quei tre o quattro che c’eravamo, da mia moglie Giuliana a Beppe Olmi, Renato Mazzolini, Vincenzo Calì, Gauro Coppola – significò anche per Paolo una profonda rotazione del suo interesse storiografico. Pur senza abbandonare mai gli studi sul nodo cruciale della Riforma, cattolica e protestan-te (ad essa è dedicato proprio il suo ultimo inprotestan-tervento, che non poté leggere personalmenprotestan-te quest’anno a Trento nel nuovo ISIG), egli concepì una serie di opere sulla civiltà europea che non ha uguale nella storiografia internazionale degli ultimi decenni. Da vero Homo Eu-ropaeus, la fece quasi a fette questa nostra civiltà, cercando di cogliere i diversi aspetti che materialmente la caratterizzano, nella sua possente ispirazione razionale e laica, pur sem-pre nella convinzione – coraggiosamente esibita nelle conclusioni che di volta in volta ne

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traeva – di un’intima e profonda interferenza con l’idea giudaico-cristiana della storia come cammino della salvezza dell’umanità.

Cristianesimo e potere è il titolo di un altro libretto da lui curato con Luigi Sartori nel 1986 (nell’altro istituto ITC che aveva contribuito a fondare insieme a Iginio Rogger: l’Istituto di scienze religiose in Trento). A quel libro egli continuava a tornare con orgoglio, anche negli ultimissimi discorsi fatti insieme: perché proprio Cristianesimo e potere sono state dall’inizio alla fine le colonne d’Ercole del suo impegno scientifico e politico. E anche lui si deve essere spesso sentito – ma soprattutto negli ultimi anni di tormentata riflessione su sé stesso e sul suo lungo impegno di vita – come un piccolo Ercole, ingaggiato in inesau-ribili fatiche di conoscenza.

Non vale qui entrare nei meriti del suo contributo storiografico: oltre che ratificato dall’interesse internazionale suscitato dai suoi studi, esso si radicava in un incessante trava-glio metodologico in cui giocavano fattori non solo tecnici ma anche fortemente valoriali: Profezia vs. Utopia, come ha lucidamente concluso di recente. Ecco, in questo senso il suo non è stato tanto un “mestiere” quanto una “professione” di storico, nel senso multiplo del-la severa attinenza al metodo ma anche deldel-la voluta e reiterata dichiarazione d’intenti e di speranza. Ne è venuto un modo di fare storia che a Trento abbiamo chiamato “costituzio-nale”, anche in omaggio al traffico italo-germanico che là si praticava, e che si addensava intorno a una visione più ampia e dinamica del Moderno di cui fare storia, in termini più di genesi e di divenire che del semplice e finto “wie es geschehen ist”.

Mi verrebbe quasi da dire: Storia come Modernità, e mi preme sottolineare questo punto proprio in questo fascicolo di “Scienza & Politica”, dedicato a quel tema. Vorrei che questo sforzo restasse in Sua memoria.

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