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Crescita e tossicità di due ceppi di Ostreopsis ovata (Dinophyceae)

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Corso di Laurea Specialistica in Biologia Marina

CRESCITA E TOSSICITA’

DI DUE CEPPI DI

OSTREOPSIS OVATA

(DINOPHYCEAE)

RELATORI:

CANDIDATO:

Prof. Luciano Galleschi

Andrea Feller

Prof.ssa Rossella Pistocchi

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INTRODUZIONE ... 5

1. LE BIOINTOSSICAZIONI ... 7

1.1. LE FIORITURE ALGALI ... 7

1.2. LE BIOTOSSINE MARINE ... 8

1.3. PARALYTIC SHELLFISH POISONING (PSP) ... 12

1.4. AMNESIC SHELLFISH POISONING (ASP) ... 14

1.5. NEUROTOXIC SHELLFISH POISONING (NSP) ... 15

1.6. DIARRHETIC SHELLFISH POISONING (DSP) ... 17

1.6.1. Acido okadaico e dinophysitossine ... 17

1.6.2. Pectenotossine ... 19

1.6.3. Yessotossine ... 20

1.7. CIGUATERA FISH POISONING (CFP) ... 21

2. IL GENERE OSTREOPSIS ... 24

2.1. CARATTERISTICHE GENERALI DEI DINOFLAGELLATI ... 24

2.2. IL GENERE OSTREOPSIS ... 26

2.2.1. Ostreopsis ovata ... 27

3. NUOVE INTOSSICAZIONI ... 30

3.1. LA PALITOSSINA ... 30

3.2. OSTREOPSIS COME ORIGINE DELLA TOSSINA ... 32

3.3. DISTRIBUZIONE DI OSTREOPSIS IN MAR MEDITERRANEO ... 34

3.4. IL CASO DI GENOVA ... 35

3.5. I CASI PRECEDENTI DI INTOSSICAZIONI ... 36

3.6. SEGNALAZIONI DI OSTREOPSIS OVATA LUNGO LE COSTE ITALIANE 37 3.7. TIPOLOGIA DI INTOSSICAZIONE ... 38

3.8. EFFETTO SUGLI ORGANISMI MARINI ... 39

SCOPO DELLA TESI ... 41

MATERIALI & METODI ... 45

4. COLTURE ALGALI ... 47

4.1. ISOLAMENTO DI OSTREOPSIS OVATA ... 47

4.2. PREPARAZIONE DEL MEDIUM E INOCULO ... 47

4.3. IL CONTEGGIO ... 49

4.4. CURVA DI CRESCITA ... 50

4.5. TASSO DI CRESCITA ... 51

4.6. BIOVOLUME 52 5. ANALISI MOLECOLARE ... 53

5.1. ESTRAZIONE DEL DNA CON FENOLO-CLOROFORMIO ... 53

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5.3. ELETTROFORESI ORIZZONTALE SU GEL DI AGAROSIO ... 58

5.4. REAZIONE DI SEQUENZA ... 60

5.5. METODI PER LO STUDIO DELLA VARIABILITA’ GENETICA E DELLA FILOGENESI ... 62

6. SAGGI DI TOSSICITA’ E ANALISI CHIMICHE ... 64

6.1. SAGGIO DI TOSSICITA’ ACUTA CON ARTEMIA sp. ... 64

6.1.1. Biologia di Artemia sp. ... 64

6.1.2. Riattivazione delle cisti ... 64

6.1.3. Esecuzione del saggio di tossicità ... 65

6.1.4. Elaborazione dei dati e calcolo dell’EC50 ... 66

6.2. SAGGIO DI EMOLISI CON ERITROCITI UMANI ... 67

6.2.1. Preparazione del sangue ... 67

6.2.2. Conteggio dei globuli rossi ... 67

6.2.3. Preparazione dei campioni ... 68

6.2.4. Saggio di emolisi ... 69

6.2.5. Analisi dei dati ... 70

6.3. DETERMINAZIONE QUALI-QUANTITATIVA DELLE TOSSINE PRODOTTE DA OSTREOPSIS OVATA ... 71

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1. LE BIOINTOSSICAZIONI

In mare le alghe sono la componente vegetale più abbondante, seguite dalle fanerogame marine (Posidonia oceanica, Cymodocea nodosa e Zostera sp.).

In genere il termine “alga” non ha una definizione tassonomica, ma racchiude un gruppo di organismi, sia procarioti (le Cyanophyceae) che eucarioti, che presentano delle caratteristiche comuni, quali la presenza di clorofilla a come pigmento fotosintetico primario, essere autotrofe e vivere in ambiente acquatico.

Le alghe svolgono un ruolo essenziale, in quanto sono produttori di sostanza organica e ossigeno. Assumono quindi una posizione fondamentale nel sistema marino, in quanto sono il primo anello della catena alimentare. Sono il cibo di molti organismi come invertebrati e pesci, tra cui molte specie di importanza commerciale. Alcune microalghe però producono delle sostanze tossiche, che possono minare la salute umana attraverso l’ingestione di pesce o frutti di mare contaminati, quindi lo studio di questi organismi risulta essere molto importante.

1.1. LE FIORITURE ALGALI

La proliferazione di specie algali tossiche spesso in passato veniva indicata con il termine di “marea rossa”. Questo modo di indicare il fenomeno in realtà non è corretto, in quanto attualmente sono noti episodi di proliferazione di specie algali non tossiche, a livello di milioni di cellule litro, che determinano maree colorate mentre, al contrario, si verificano eventi tossici causati da alghe presenti in mare solamente a livello di qualche centinaio di cellule per litro, che non determinano il fenomeno di discolorazione delle acque. La comunità scientifica preferisce attualmente usare il termine di “Harmful Algal Bloom” (HAB), cioè fioritura algale dannosa, per definire tutti quei fenomeni associati alla presenza di alghe tossiche e/o dannose (Poletti, 2007).

Le fioriture di alghe dannose, a seconda degli effetti da esse prodotti, possono essere classificate nel seguente modo ( Andersen, 1996):

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- fioriture di specie che provocano soltanto una colorazione dell’acqua, con diminuzione della visibilità e della qualità estetica ed eventuale moria di pesci e invertebrati acquatici, a causa delle conseguenti condizioni di ipossia. A questo gruppo appartengono specie di dinoflagellati (es. Noctiluca scintillans) e di diatomee (es. Skeletonema costatum);

- fioriture di specie che producono potenti tossine, che si accumulano lungo la catena alimentare e che possono causare effetti vari nei consumatori secondari (uomo e animali superiori). Di questo gruppo fanno parte diversi generi di dinoflagellati (Alexandrium, Gymnodinium, Dinophysis, Prorocentrum) e diatomee del genere Pseudo-nitzschia;

- fioriture di specie che nella maggior parte dei casi non sono tossiche per l’uomo, ma risultano dannose in vario modo per pesci e invertebrati (es. Chattonella antiqua, Chaetoceros convolutus);

- fioriture di specie produttrici di tossine che vengono trasportate nell’aerosol dall’area di fioritura fino alla costa (es. Karenia brevis).

1.2. LE BIOTOSSINE MARINE

Le Biotossine marine sono un gruppo eterogeneo di composti chimici che determinano nell’uomo, in seguito al consumo di prodotti ittici, una serie di quadri clinici patologici noti con il termine di biointossicazioni; tali molecole vengono prodotte principalmente da organismi fitoplanctonici e fitobentonici ma anche dai batteri, che attualmente rappresentano uno degli aspetti più importanti e discussi sull’origine di queste molecole. Queste biomolecole manifestano il loro effetto come tali o attraverso le trasformazioni metaboliche che si possono verificare nei vari passaggi della catena alimentare. Fra le microalghe i dinoflagellati sono i principali produttori di tali composti, mentre per quanto riguarda le diatome, attualmente solamente il genere Pseudo-nitzschia è noto per la sintesi di biotossine (Poletti, 2007).

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Non si conosce l’importanza e il ruolo delle tossine nel metabolismo delle alghe e non si capisce il perché vengano prodotte, ma è comune credere che siano dei metaboliti secondari.

I vettori delle tossine algali sono generalmente animali marini, che attraverso la catena alimentare accumulano all’interno dei loro tessuti le microalghe e i composti da loro prodotti. Questi vettori sono principalmente i molluschi bivalvi, ma nelle zone tropicali è comune un tipo di intossicazione, detta ciguatera, che deriva dall’ingestione di pesci contaminati (Fig. 1).

Fig.1. Schema di catena alimentare che mostra i possibili vettori delle tossine algali.

Diversi studi hanno evidenziato l’importanza dei processi di biotrasformazione delle tossine algali da parte dei molluschi e dei pesci. Infatti è stato dimostrato che il metabolismo di questi animali può modificare la struttura chimica della tossina, determinando un cambiamento dell’effetto tossico, fino a renderla 40 volte più potente (Ade et al., 2003).

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Le biotossine marine, pur essendo un gruppo di composti strutturalmente diversi fra di loro, hanno alcune caratteristiche comuni, in genere sono stabili al calore e in ambiente acido. Questo comporta che la cottura dei frutti di mare o del pesce non elimina il rischio di intossicazione e che i succhi gastrici dello stomaco non modificano e non eliminano la tossina, che viene in genere assorbita a livello intestinale.

Le biotossine possono essere suddivise in base alla loro solubilità in biotossine idrosolubili e biotossine liposolubili (Poletti et al., 2003).

Attualmente la classificazione di questi composti è piuttosto discussa. Inizialmente le tossine sono state raggruppate in base al tipo di biointossicazione determinata: sindrome paralitica (PSP, paralytic shelfish poioning), sindrome amnesica (ASP, amnesic shelfish poioning), sindrome diarroica (DSP, diarrhetic shellfish poisoning), sindrome neurotossica (NSP, neurotoxic shelfish poioning) e ciguatera (CFP, ciguatera fish poisoning). La questione è più complessa, infatti alcuni composti sono stati erroneamente inseriti in un gruppo solo per la loro presenza in concomitanza di altre tossine note, anche se i sintomi e la chimica delle molecole sono differenti. Di recente è stato proposto di raggruppare le molecole in base alle loro caratteristiche chimiche, in composti amminoacido-simili (acido domoico e analoghi), derivati delle purine (saxitossina e analoghi), imine cicliche (spirolidi, gimnodimine, pinnatossina A), polieteri lineari e macrocicli non contenenti azoto (acido okadaico e analoghi, pectenotossine, azaspiracido, primnesine) e polieteri trasfusi (brevetossine, yessotossine, ciguatossine) (Toyofuku, 2006; Tubaro et al., 2007).

Da tutto ciò risulta evidente come siano necessarie delle normative per regolare il commercio dei molluschi e del pesce pescati a livello globale. Infatti il commercio dei frutti di mare è diffuso in tutto il mondo e soltanto in Europa risultano essere consumati circa 12 miliardi di pesce all’anno, che comprende il pescato europeo e le importazioni (Whittle et al., 2000).

Le istituzioni, con l’essenziale collaborazione del mondo scientifico, devono emanare dei regolamenti per stabilire i livelli massimi di tossina nei molluschi e indicare i metodi di analisi dei diversi gruppi di tossine. Inoltre è essenziale stabilire dei metodi di monitoraggio internazionali e formare personale competente che sappia identificare le specie algali tossiche (Toyofuku, 2006).

Sia a livello nazionale che a livello di comunità europea, esiste quindi una legislazione che definisce i limiti di presenza delle biotossine marine nei vari prodotti

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ittici commercializzati. Tali limiti sono stati sviluppati sulla base dei seguenti indici tossicologici:

- LOAEL (Lowest Observed Adverse Effect Level): è la più piccola dose di una sostanza che provoca un effetto dannoso alla salute della persona o di un animale;

- NOAEL (No Observed Adverse Effect Level): è la dose più elevate di una sostanza che non produce un effetto dannoso alla salute della persona o di un animale;

- acute RfD (acute reference dose): la dose acuta di riferimento è una stima dell’ammontare di una sostanza, o tossina, nel cibo, normalmente espressa in peso corporeo, che può essere ingerita in 24 ore, o in minor tempo, senza un effetto apprezzabile nel consumatore. Per il calcolo di questi valori si considera un individuo di 60 kg;

- fattore di sicurezza: è un valore di sicurezza che viene usato come divisore del LOAEL e del NOAEL per calcolare l’acute RfD;

- il limite guida in relazione alla parte edibile assunta è la quantità di tossina massima che può essere presente nella parte edibile del mollusco.

I saggi tossicologici permettono di indicare le concentrazioni di tossine alle quali si può manifestare un effetto, distinguendo fra breve e lungo termine. Per le tossine marine, di cui si sa ancora poco, i limiti di legge attuali sono stati determinati principalmente con il test biologico sul topo, ritenuto tuttora il test ufficiale. Recentemente per alcune tossine è stata introdotta come metodica ufficiale la caratterizzazione chimica tramite HPLC e attraverso LC-MS. Dove possibile, i risultati dei test sono stati integrati con i dati bibliografici riguardanti i casi di intossicazione (Toyofuku, 2006; Tubaro et al., 2007).

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1.3. PARALYTIC SHELLFISH POISONING (PSP)

La sindrome paralitica da molluschi bivalvi (PSP) è una delle sindromi più studiate e conosciute per le gravi conseguenze che produce nei consumatori di molluschi bivalvi. La tossina fu isolata per la prima volta negli anni ‘50 in Alaska da Saxidomus giganteus, ma la sua caratterizzazione chimica risale al 1975. Questa tossina fu chiamata saxitossina (STX), nome derivato dalla specie del mollusco bivalve dal quale era estratta (Poletti et al., 2003).

I primi casi di intossicazione da sindrome paralitica in Europa risalgono agli anni ’60, con casi in Portogallo, Spagna, Inghilterra, Norvegia e isole Faroer. A metà degli anni ‘70 l’epidemia da PSP fu registrata anche in Francia, Italia, Svizzera e Germania, causata da mitili contaminati provenienti dalla costa atlantica della Spagna. Nei successivi due decenni gli episodi di PSP sono andati aumentando in tutto il mondo, sia nelle zone temperate che nelle zone tropicali. Nei mari tropicali il dinoflagellato Pyrodinium bahamense var. compressa è stato identificato come responsabile della sintesi di queste tossine, mentre negli altri mari l’origine biogenetica di tali composti è da attribuire a diverse specie appartenenti al genere Alexandrium: A. tamarense, A. catenella, A. fundyense, A. minutum.

Nel mare Adriatico nel 1994, in seguito all’isolamento di tossine PSP in mitili provenienti da allevamenti della costa dell’Emilia Romagna, fu osservata la simultanea presenza di fioritura A. minutum. Nel Mediterraneo sono state identificate A. lusitanicum e A. fundyense nel Golfo di Trieste e A. balechi è stato ritrovato nel Golfo di Napoli e di Salerno. Altra origine di tossine PSP è Gymnodinium catenatum, che è stato segnalato nel Tirreno, in Adriatico e nel Mar Egeo (Ade et al.,2003). Oltre alla saxitossina le sostanze responsabili della PSP sono costituite da una famiglia di 20 composti. Questa famiglia di tossine è idrosolubile, resistente al calore, stabile in ambiente acido. La struttura di base è una tetraidropurina con due gruppi guanidinici. Presenta quattro siti di sostituzione, con differenti combinazioni di ossidrile e solfato, ma il sito di sostituzione R4 risulta essere il più importante, condizionando i livelli di tossicità. Le STX sono divise in carbamate, solfocarbamate e decarbamate. L’azione di queste tossine è il legame e il blocco, attraverso uno dei due gruppi guanidinici presente sulla molecola, dei canali voltaggio-dipendenti del sodio, in cellule eccitabili come quelle del muscolo scheletrico e del muscolo cardiaco. Le tossine solfocarbamate risultano essere meno tossiche rispetto a quelle

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carbamate, per la minor affinità per il sito di legame. In questo modo viene bloccata la trasmissione dell’impulso nervoso nei nervi periferici e nei muscoli scheletrici (Tubaro et al.,2007) (Fig. 2).

Fig. 2. Saxitossina e analoghi.

L’insorgenza dei sintomi si ha nei 30 minuti che seguono l’ingestione di molluschi bivalvi con parestesie alla bocca, labbra, lingua, all’estremità degli arti, profonda astenia muscolare, impossibilità a mantenere la posizione eretta. Nei casi fatali la morte avviene dopo 3-12 ore per paralisi respiratoria. I pazienti che superano le prime 12 ore, indipendentemente dalla quantità di tossina ingerita, di solito si riprendono rapidamente senza effetti secondari (Toyofuku, 2006).

La gravità dei sintomi dipende dalla quantità di tossina che è stata ingerita. I sintomi vengono classificati in moderati, severamente moderati e severamente estremi. Per il moderato la quantità di saxitossina varia da 2 a 30 g/kg, mentre negli altri casi la quantità varia da 10 a 300 mg/kg. Il LOAEL è stato stabilito di 2 g/kg, per una persona adulta di 60 kg. Utilizzando un fattore di sicurezza di 3, la dose acuta di

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riferimento è 0,7 g/kg (42 g/persona). Il limite guida in relazione alla parte edibile assunta è 800 g/kg (Tubaro et al.,2007).

1.4. AMNESIC SHELLFISH POISONING (ASP)

La sindrome amnesica da molluschi bivalvi viene determinata dall’acido domoico (DA), un aminoacido neurotossico relativamente raro, il cui effetto maggiore è a livello del sistema nervoso centrale, principalmente nella regione dell’ippocampo. Fu isolato per la prima volta negli anni ’50 da una macroalga rossa, Chondria armata. Le microalghe coinvolte nella biosintesi di questa tossina sono le diatomee che appartengono al genere Pseudo-nitzschia (Whittle et al., 2000).

Il primo caso di intossicazione documentato è avvenuto a Prince Edward Island in Canada, nel 1987, dove 153 persone ricorsero a cure mediche mostrando disturbi di tipo gastrointestinale (nausea, vomito, diarrea) e disturbi neurologici (principalmente perdita della memoria e confusione). Tre pazienti anziani (età oltre 60 anni) morirono. La causa venne attribuita alla ingestione di Mytilus edulis contaminati durante una fioritura della diatomea Pseudo-nitzschia multiseries.

Altra intossicazione rilevante avvenne lungo le coste della California a inizio anni ’90, dove un’altra diatomea, Pseudo-nitzschia australis, fu indicata come origine dell’acido domoico. In questo caso la tossina venne ritrovata non solo nei mitili, ma anche nei pesci, principalmente acciughe.

A partire dagli anni ‘90 varie specie del genere Pseudo-nitzschia sono state ritrovate in alto e medio Adriatico, anche se le concentrazioni di acido domoico ritrovate nei mitili sono risultate fino ad ora inferiori ai limiti di legge (Ade et al.,2003).

L’acido domoico è un aminoacido tricarbossilico, idrosolubile, stabile al calore e in ambiente acido. È un analogo dell’acido glutammico e dell’acido kainico, che sono i principali neurotrasmettitori del sistema nervoso centrale, e ha una forte affinità per la sottoclasse dei recettori del kainato, abbondanti nel cervello dei mammiferi (Fig. 3). La tossina causa una continua stimolazione dei neuroni, con conseguente aumento del calcio nella cellula e infine morte cellulare. Dalle autopsie si è osservata necrosi neuronale e astrocitosi, principalmente nella zona dell’ippocampo e del nucleo dell’amigdala, che spiegano i disturbi neurologici (Tubaro et al., 2007).

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Fig. 3. Acido domoico.

La dose assorbita dall’organismo varia dal 5 al 10% di quella ingerita. La massima penetrazione di acido domoico è nel sangue. Non sembra essere metabolizzato e viene eliminato con facilità attraverso le urine. Inoltre ha una scarsa permeabilità alla barriera emato-encefalica e non sono messe in evidenza dei trasportatori specifici, anche se il cervello risulta essere l’organo bersaglio. La tossicità nell’uomo varia in base all’età, ma i sintomi sono nausea (77%), vomito (76%), crampi addominali (50%), diarrea (42%), mal di testa (43%), perdita di memoria (25%); nei casi più gravi si può avere confusione e disorientamento (100%), mutismo (92%) e coma (75%). Il limite guida nei molluschi è di 20 mg/kg di parte edibile. Il LOAEL è di 1 mg/kg di DA per una persona di 60 kg. La dose acuta di riferimento è di 0,1 mg/kg per persona, applicando un fattore di sicurezza di 3 (Tubaro et al.,2007).

1.5. NEUROTOXIC SHELLFISH POISONING (NSP)

L’intossicazione da NSP è causata dalle brevitossine, che hanno un’azione neurotossica, prodotte principalmente dai dinoflagellati del genere Karenia. Il rischio per l’uomo deriva dall’ingestione di molluschi contaminati e dall’inalazione di aerosol contenente cellule algali o le stesse tossine (Whittle et al., 2000).

La specie coinvolta è Karenia brevis. Questo dinoflagellato causa frequenti maree rosse nel Golfo del Messico, lungo le coste della Florida e in Carolina del Nord (USA). A queste sono associate morie di pesci e altri organismi marini, mentre nell’uomo provoca disagi gastrointestinali e sintomi neurologici e/o problemi respiratori.

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Fioriture di K. brevis sono state registrate anche in Spagna settentrionale, in Giappone e lungo la costa orientale del Mediterraneo, ma non sono state associate morie di pesci o intossicazione all’uomo.

Le brevetossine sono composti polieteri ciclici, liposolubili e termostabili (Fig.4). Vengono rapidamente assorbite e distribuite in tutto l’organismo, principalmente nel fegato, dove vengono metabolizzate.

Queste tossine hanno elevata affinità per il sito 5 della -subunità dei canali del sodio voltaggio dipendenti della membrana cellulare dei neuroni. Quando si legano al canale, determinano un influsso elevato di sodio con conseguente depolarizzazione e alterazione dell’impulso.

Diversi esperimenti hanno messo in evidenza che l’attività di queste neurotossine è possibile per la presenza di due strutture: il lattone nell’anello A (testa della molecola) e l’anello terminale (Toyofuku, 2006).

Fig. 4. Brevetossine.

Se vengono ingeriti dei molluschi contaminati, i principali sintomi sono sensazione di paralisi alla bocca e alle dita, rallentamento del battito, sensazione di caldo e freddo, midriasi e lieve diarrea. La guarigione avviene in pochi giorni. Non sono stati riportati casi letali. La quantità limite di brevetossina che i molluschi bivalvi possono contenere è di 80 g/100g di parte edibile.

Se viene inalato dell’aerosol tossico, si possono determinare forti irritazioni della congiuntiva e delle mucose (soprattutto nasali) seguite da tosse secca e rinorrea. Anche in questo caso la tossina agisce sui canali di membrana del sodio, rilasciando

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acetilcolina che causa contrazione della muscolatura liscia tracheale (Tubaro et al., 2007).

La brevetossina, oltre che sull’uomo, ha effetti su pesci, uccelli e mammiferi marini. Per quanto riguarda i pesci, la tossina viene assorbita attraverso le branchie o per ingestione e la sintomatologia che determina è ben documentata; il nuoto diventa sempre più irregolare con violenti scatti e torsioni, si manifestano fenomeni di defecazione, rigurgito, paralisi delle pinne pettorali, curvatura della pinna caudale, perdita dell’equilibrio, torpore, vasodilatazione, convulsioni, emolisi. La morte sopraggiunge per insufficienza respiratoria, con concentrazioni cellulari di 2,5x102 cellule/ml (Tubaro et al.,2007).

1.6. DIARRHETIC SHELLFISH POISONING (DSP)

La sindrome diarroica da molluschi bivalvi viene causata da diverse specie di dinoflagellati.

Le tossine prodotte da queste microalghe sono polieteri ciclici, liposolubili e temostabili, che tendono ad accumularsi nell’epatopancreas dei molluschi bivalvi (Whittle et al., 2000).

Possono essere divise in tre classi: acido okadaico, pectenotossine e yessotossine; per quanto riguarda gli ultimi due gruppi di tossine, queste sono state erroneamente attribuite al gruppo delle DSP in quanto sono state spesso ritrovate nei molluschi in associazione con l’acido okadaico e le dinophysitossine ma sono differenti per tossicologia e per meccanismo d’azione (Poletti et a., 2003).

1.6.1. Acido okadaico e dinophysitossine

Due generi di dinoflagellati, Dinophysis e Prorocentrum, sono coinvolti nella produzione di acido okadaico (OA) e dinophysitossine (DTX).

L’acido okadaico è stato isolato per la prima volta da alcune spugne, Halicondria okadai e Pandaros acanthifolium. La vera origine della tossina e dei suoi derivati era stata trovata nel dinoflagellato bentonico Prorocentrum lima. In seguito a numerosi casi diarroici avvenuti in Giappone verso la fine degli anni ‘70, è stato identificato

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un’altro dinoflagellato, questa volta planctonico, come produttore di acido okadaico, Dinophysis fortii.

Casi di DSP si sono verificati anche lungo le coste atlantiche dell’Europa, in Olanda e in Scandinavia. Intossicazioni di questo tipo si sono verificate anche in Mediterraneo.

Diverse specie del genere Dinophysis fanno parte del fitoplancton dell’Adriatico. In seguito all’intossicazione del 1989, che ha colpito le coste emiliano romagnole, è stato possibile identificare 55 specie di Dinophysis, ma soltanto 6 specie producono tossine DSP: D. acuminata, D. acuta, D. fortii, D. mitra, D. rotundata, D. tripos. Queste specie sono diffuse anche in Tirreno (Ade et al., 2003).

Come detto in precedenza OA è un polietere ciclico (Fig. 5), che determina intossicazione nell’uomo solo se vengono ingeriti molluschi bivalvi contaminati. I disturbi sono gastrointestinali e comprendono diarrea (92%), nausea (80%), vomito (79%) e dolori addominali (53%). I sintomi compaiono da 30 minuti a 12 ore dall’ingestione dei molluschi e possono durare fino a 3 giorni nei casi più gravi senza lasciare conseguenze. Non sono riportati casi mortali.

Fig. 5. Acido okadaico e derivati.

Queste tossine sono dei potenti inibitori delle proteine fosfatasi 1 e 2A, due enzimi che defosforilano i residui serina e treonina delle proteine. L’inibizione di questi enzimi determina un rapido aumento di proteine fosforilate all’interno delle cellule, le quali controllano la secrezione di ioni e la regolazione della permeabilità ai soluti delle cellule intestinali. La risultante è la perdita passiva di fluidi. Inoltre c’è una

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stimolazione diretta della muscolatura liscia dell’intestino. Gli studi chimici hanno messo in evidenza l’importanza del gruppo carbossilico libero, definito essenziale per l’inibizione delle fosfatasi.

L’intossicazione può essere evitata eliminando la ghiandola digestiva dei molluschi (mitili, vongole, capesante). Sulla base degli studi effettuati il LOAEL è di 1 g/kg. Applicando un fattore di sicurezza di 3, la dose acuta di riferimento è 0,33 g/kg. Il limite guida per i molluschi risulta essere 160 g/kg di parte ebile (Tubaro et al., 2007).

1.6.2. Pectenotossine

Le PTX sono polieteri ciclici (Fig. 6) prodotti da diverse specie di Dinophysis. Solamente per D. fortii è confermata la produzione di PTX-2, che risulta essere il precursone di tutti gli analoghi. I processi di biotrasformazione avvengono ad opera dei molluschi bivalvi.

Non sono stati registrati casi di intossicazione umana dovuti a queste tossine.

Fig. 6. Pectenotossine e analoghi.

Si sa poco di queste molecole. Le conoscenze attuali derivano da studi condotti su topo per mezzo di estratti di molluschi contaminati. Gli esperimenti evidenziano tossicità a livello del fegato, dello stomaco e dell’intestino. In vitro è stato messo in evidenza come le PTX inducano apoptosi in linee cellulari cancerose.

È ancora discussa la dose acuta di riferimento per la mancanza di dati. Il limite guida per i molluschi è posto a 160 g/kg di parte edibile (Toyofuku, 2006).

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1.6.3. Yessotossine

Le YTX, come per le pectenotossine, sono poco conosciute e mancano di studi approfonditi. Sono state isolate dal mollusco bivalve Patinopecten yessoensis, successivamente sono state ricondotte a due generi di dinoflagellati: Protoceratium e Gonyaulax (Camacho, 2007).

Non determinano diarrea, ma un insieme di effetti, identificati dopo studi condotti su cavie. Infatti non sono note intossicazioni umane, anche se le microalghe che producono queste tossine sono diffuse in Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Italia, Norvegia, Regno Unito e Canada.

Esistono diversi analoghi di YTX. Le caratteristiche che le accomunano sono una catena insatura terminale di nove atomi di carbonio e al lato opposto degli alcoli solfati. Questi ultimi gruppi determinano un basso livello di assorbimento intestinale. Inoltre si è osservata una diversa tossicologia fra yessotossina e yessotossina desulfatata (Fig. 7): la prima agisce sul miocardio, determinando insufficienza cardiaca; la seconda ha come organi bersaglio il fegato e il pancreas (Poletti et al., 2003).

Fig. 7. Yessotossine e suoi analoghi.

I limiti stimati sono stati impostati in base agli esperimenti di laboratorio, ponendo il LOAEL a 5 mg/kg e la dose acuta di riferimento a 50 g/kg (fattore di sicurezza 100). Il limite nei molluschi è 1 mg/kg di parte edibile (Tubaro et al., 2007).

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1.7. CIGUATERA FISH POISONING (CFP)

La ciguatera è un’intossicazione causata dall’ingestione di pesci contaminati. Questa sindrome è endemica delle regioni tropicali e subtropicali, particolarmente dei Carabi e delle isole del Pacifico anche se si sono registrati diversi casi di CFP in persone appena tornate da viaggi ai tropici o per consumo di pesci importati; si stima che ogni anno circa 25000 persone vengano colpite da questa biointossicazione (Whittle et al., 2000; Lewis, 2001).

Le molecole responsabili di questa sindrome sono le ciguatossine (CTX) e le maitotossine (MTX), che vengono prodotte dal dinoflagellato Gambierdiscus toxicus; anche altri dinoflagellati appartenenti ai generi: Ostreopsis, Prorocentrum e Amphidinium. sono stati ritenuti responsabili della produzione di tossine della ciguatera (Whittle et al., 2000).

G. toxicus è un’ alga bentonica epifita, molto comune nelle acque della barriera corallina. È stato osservato che la tossina si accumula lungo la catena alimentare, infatti questa microalga risulta essere il nutrimento di diversi pesci erbivori; le concentrazioni maggiori di CTX sono state ritrovate nei barracuda, che sono i predatori principali nelle acque tropicali (Lewis, 2001).

I sintomi della CFP possono essere confusi con quelli della sindrome diarroica, in quanto provoca disagi gastrointestinali, che subentrano dopo 2-12 ore dall’ingestione di pesce contaminato. I sintomi neurologici si manifestano dopo 24 ore e dipendono dalle caratteristiche del paziente, in quanto è stata osservata una diversa sintomatologia in individui che avevano ingerito la stessa quantità e gli stessi pesci. Il sintomo tipico dell’intossicazione è l’ “inversione di temperatura”, cioè la sensazione di calore al contatto con oggetti freddi (Tubaro et al., 2007).

Le ciguatossine sono polieteri ciclici, liposolubili, termostabili (Fig. 8). Si suppone che siano dei prodotti ossidati della tossina precursore, meno tossica, detta gambiertossina, che viene metabolizzata dal fegato dei pesci, determinando la formazione di diversi analoghi.

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Fig. 8. Ciguatossine e analoghi.

Si sa poco del loro meccanismo d’azione. Le poche conoscenze sono derivate da studi tossicologici sul topo e dalle conoscenze della struttura chimica.

La penetrazione nell’organismo potrebbe avvenire per le proprietà lipofile della molecola, che determinano una maggiore permeabilità delle membrane dei villi intestinali. Infatti nel topo si è notato un uguale assorbimento con somministrazione orale e con iniezione intraperitoneale.

Studi recenti hanno messo in evidenza il passaggio della tossina da madre a figlio attraverso l’allattamento. Inoltre sono stati registrati casi di aborto e/o sviluppo prematuro del feto in donne che avevano consumato pesci contaminati per un periodo prolungato.

Il meccanismo d’azione delle CTX sembra essere il legame ai canali voltaggio dipendenti delle giunzioni neuromuscolari, che determina un aumento della permeabilità del sodio. Ne consegue eccitazione delle membrane, mobilitazione del calcio intracellulare e infine lisi cellulare. Nei casi fatali di CFP, l’autopsia ha evidenziato lesioni al fegato e modificazione degli assoni dei neuroni (compressione e degenerazione mielinica) (Tubaro et al., 2007).

È stato possibile isolare due analoghi: P-CTX (Oceano Pacifico) e C-CTX (Caraibi). In seguito a iniezione intraperitoneale nel topo è stata calcolata la dose letale (EC50) a 0,23, 2,3, 0,9 g/kg per P-CTX-1, P-CTX-2 e P-CTX-3 rispettivamente. Mentre 3,6 e 1 g/kg sono i valori per C-CTX-1 e C-CTX-2.

Le maitotossine sono dei polieteri ciclici, idrosolubili. Sono state ritrovate in ceppi diversi di G. toxicus. Attualmente ci sono ancora pochi studi che riguardano questa

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tossina e non è ancora ben chiaro quale sia il suo ruolo nella sindrome della ciguatera. Si suppone permetta un influsso di calcio attraverso canali non selettivi di una grande varietà di cellule, alterando un ampio spettro di processi calcio dipendenti determinando alla fine la morte cellulare. Gli esperimenti sul topo hanno evidenziato una LD50 di 500 ng/kg per iniezione intraperitoneale (Tubaro et al., 2007).

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2. IL GENERE OSTREOPSIS

2.1. CARATTERISTICHE GENERALI DEI DINOFLAGELLATI

In mare i dinoflagellati fotosintetici hanno un ruolo fondamentale, assieme alle cianoficee e alle diatomee, perché sono i maggiori produttori di ossigeno (circa il 70% dell’ossigeno atmosferico è prodotto dagli oceani) e di sostanza organica, che li pone alla base della catena alimentare.

Assumono un ruolo molto importante, considerando che un vario numero di specie può produrre tossine, pericolose anche per l’uomo, causare colorazione delle acque (rosso, giallo, bruno) e mucillagini, determinando gravi problemi agli organismi marini.

La cellula tipica dei dinoflagellati (Fig. 9) è caratterizzata dalla presenza di una membrana esterna al di sotto della quale si osserva uno strato di vescicole appiattite (amphiesma), che possono contenere placche di cellulosa nei dinoflagellati tecati o sono vuote nei dinoflagellati nudi. La presenza/assenza, il numero, la disposizione e la morfologia delle placche sono un carattere molto importante per la classificazione (Boni et al., 2005).

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Il pattern tecale divide la cellula in due parti ben distinte: l’epicono o epiteca è la parte superiore, che in alcune specie può essere molto ridotto; l’ipocono o ipoteca è la parte inferiore. Queste due parti sono divise da un setto trasversale detto cingolo. Nella parte ventrale della cellula è presente un setto longitudinale, detto solco, che ha inizio dal cingolo. Alcune specie presentano delle espansioni, simili a delle vele, che hanno origine dai due setti, probabilmente per favorire il galleggiamento.

Sono presenti due flagelli che hanno origine da un poro flagellare, che si trova nel punto in cui convergono il cingolo e il solco. Un flagello decorre lungo il cingolo e ha il compito di determinare la direzione del movimento; l’altro sporge dal solco e consente la propulsione.

Vicino ai flagelli sono presenti dei vacuoli contrattili (pusule), con funzione osmoregolatrice. Inoltre all’interno della teca sono distribuite le tricocisti, degli organelli estroflessibili, che hanno una funzione di autodifesa.

Il cloroplasto è delimitato da tre membrane, la più esterna deriva dal reticolo endoplasmatico. La clorofilla a è il pigmento fotosintetico principale, ma è presente anche clorofilla c2 e abbondanti carotenodi (peridinina e neoperidinina). All’interno

del cloroplasto è presente il pirenoide. I granuli di amido sono la sostanza di riserva e si trovano nel citoplasma.

Oltre alle specie autotrofe, esistono altri dinoflagellati di tipo eterotrofo (parassite, saprofite o predatrici). Altre ancora sono mixotrofe, cioè hanno un comportamento sia autotrofo che eterotrofo. La mixotrofia è piuttosto diffusa, perché questi organismi non sono in grado di sintetizzare alcuni nutrienti (es. le vitamine).

L’organizzazione nucleare è intermedia tra quella dei procarioti e degli eucarioti, il nucleo viene quindi detto mesocariote. Contiene una gran quantità di DNA rispetto altre cellule eucariotiche, ma la maggior parte non codifica. Gli istoni sono diversi e scarsi rispetto quelli degli altri eucarioti e la cromatina non è organizzata in nucleosomi. I cromosomi sono sempre condensati. In alcuni casi ci possono essere organismi binucleati, in cui il secondo nucleo appartiene solitamente ad organismi endosimbionti.

Il ciclo vitale dei dinoflagellati presenta sia riproduzione asessuale che sessuale. La riproduzione vegetativa avviene tramite divisione secondo due possibili modalità. L’involucro della cellula madre si rompe lungo il setto trasversale e si divide lungo tale linea. Le cellule figlie ereditano una l’epicono e l’altra l’ipocono della cellula madre e dovranno sintetizzare la parte mancante. In altri casi è possibile che l’intera

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teca venga demolita (ecdisi), la cellula si divide e le cellule figlie sintetizzeranno una nuova teca.

La riproduzione sessuale è stata provata solo per alcune specie e possono essere elencati diversi meccanismi di riproduzione:

- ciclo aplonte presenta cellule aploidi, lo zigote è l’unico stadio diploide;

- ciclo diplonte: le cellule sono diploidi, con eccezione dei gameti che sono aploidi;

- ciclo aplodiplonte prevede un’alternanza di generazioni aploidi e diploidi.

Lo zigote è riconoscibile per le dimensioni maggiori e per la presenza di quattro flagelli, derivanti dall’unione dei gameti.

La riproduzione sessuale ha la primaria importanza di dare origine a variabilità genetica, ma lo zigote può formare anche una struttura duratura e resistente all’ambiente esterno: la cisti. Questa è molto diversa, sia per morfologia che fisiologia, dalla cellula da cui ha avuto origine. La cisti è lo stadio dormiente di tali organismi. In genere si forma per superare un momento sfavorevole, come la carenza di nutrienti, specialmente azoto e fosforo, oppure variazioni di temperatura e/o salinità non ottimali. Inoltre è un ottimo meccanismo di diffusione della specie. Quando le condizioni ambientali ritornano favorevoli, il dinoflagellato si excisterà e inizierà la riproduzione vegetativa.

2.2. IL GENERE OSTREOPSIS

Il genere Ostreopsis è piuttosto diffuso, infatti è un’importante componente degli ambienti lagunari e della barriera corallina delle regioni tropicali e subtropicali. Le microalghe di questo genere sono epifite di macroalghe rosse e brune, ma è possibile ritrovarle anche su substrati rocciosi, sabbie e nelle pozze di marea. Inoltre prediligono le acque basse e calme (Fauste t al., 1995).

L’identificazione delle specie di Ostreopsis è piuttosto complicata ed è necessario il microscopio elettronico a scansione per poterle osservare nel dettaglio. Per il

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riconoscimento è essenziale osservare la morfologia e l’architettura delle placche che costituiscono la teca.

Attualmente si conoscono sei specie di Ostreopsis: O. siamensis (Schmidt 1902), O. lenticularis (Fukuyo 1981), O. ovata (Fukuyo 1981), O. heptagona (Norris et al., 1985), O. mascarenensis (Quod, 1994), O. labens (Faust et al., 1995).

2.2.1. Ostreopsis ovata

La classificazione di Ostreopsis ovata (Fig 10), all’interno del subregnum Alveolata, è la seguente:

Phylum Dinozoa

Classe Dinophyceae

Ordine Gonyaulacales (Saldarriaga et al. 2004) o Peridiniales (GenBank-Taxonomy)

Famiglia Ostreopsidaceae Genere Ostreopsis

Specie O. ovata

Fig. 10. Cellule di O. ovata osservate al microscopio rovesciato, ingrandimento 320x.

Le cellule hanno una forma simile ad una goccia, ovali e assottigliate nella parte ventrale. La teca è liscia e sulla sua superficie sono presenti uniformemente dei pori di 0,07 m di diametro.

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O. ovata differisce dalle altre specie del genere Ostreopsis, perché le cellule sono più piccole, la teca è molto delicata e la placca del poro apicale è dritta e corta (Faust al., 1996).

O. ovata è appiattita in maniera antero-posteriore. L’epiteca e l’ipoteca sono uguali in grandezza e la disposizione e la forma delle placche sono fondamentali nel riconoscimento. L’arrangiamento della teca è: Po, 3’, 7’’, 6C, 6S?, Vp, Rp, 5’’’, 1p e

2’’’’ (Fig. 11, Fig. 12).

Fig. 11. Arrangiamento tecale di O. ovata osservata a microscopio elettronico.

Le cellule sono identificabili per:

- placca 1’ dell’epiteca è visibile centrale, di forma esagonale;

- placca del poro apicale (Po), include il poro apicale, che è situato sul lato dorsale

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- placca 1p dell’ipoteca è lunga e stretta;

- il cingolo è equatoriale e ventralmente presenta due strutture molto importanti: una placca ventrale (Vp), che delimita il poro ventrale (Vo), e una placca a creste

(Rp), che circonda Vp. Queste due determinano la distinzione delle specie di

Ostreopsis da altri taxa di dinoflagellati;

- il solco contiene otto placche

Fig. 12. Arrangiamento tecale dell’epiteca e dell’ipoteca di O. ovata osservata in fluorescenza.

Faust (1998) ha dimostrato che O. ovata, come altri dinoflagellati, è mixotrofa, cioè presenta sia nutrizione autotrofa che eterotrofa. Dalle analisi effettuate al microscopio, all’interno delle cellule sono stati osservati resti di altre microalghe, cianobatteri e ciliati. Il canale di alimentazione può essere il poro ventrale, che ha la caratteristica di allargarsi e contrarsi. Inoltre è stata messa in evidenza l’elevata elasticità della teca, infatti l’ingestione determina un aumento del volume cellulare del 50-70%.

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3. NUOVE INTOSSICAZIONI

Negli ultimi decenni, nelle regioni tropicali e subtropicali, sono state registrate delle intossicazioni per l’ingestione di pesce contaminato. I sintomi neurologici e gastrointestinali sembravano essere quelli causati dalla ciguatera, ma il dubbio rimaneva, in quanto non si osservava la “inversione di temperatura”, tipico sintomo della CFP.

Uno dei casi più interessanti, e meglio descritti, avvenne in Madagascar. Nel gennaio 1994 una donna di un villaggio mangiando delle sardine si accorse di un sapore metallico che la portò a sputare il boccone. Il gatto che aveva mangiato quel pesce, dopo un quarto d’ora circa morì e lo stesso tempo fu necessario alla comparsa di alcuni sintomi nella donna, la quale cominciò ad avvertire un malessere generale, con vomito e diarrea; nelle ore successive comparvero torpore alle estremità e delirio, poi sopraggiunse la morte. Il figlio, che aveva mangiato gli stessi pesci, non mostrava alcun sintomo. Anche altre persone dello stesso villaggio mostravano sintomi simili, ma molto più lievi. Per loro fu necessario il ricovero in ospedale per qualche giorno. Il primo sospetto cadde sull’intossicazione alimentare. Le analisi chimiche, effettuate sui resti di pesce avanzati e sulle teste scartate, in confronto con alcune tossine note, misero in evidenza un tempo di ritenzione alla HPLC simile a quello della palitossina, una tossina molto pericolosa e con un potenziale tossico molto elevato (Onuma et al., 1999).

3.1. LA PALITOSSINA

Questa molecola non proteica è una dei più potenti prodotti naturali conosciuti di origine marina. La PTX è stata isolata per la prima volta dal corallo molle Palythoa toxica, ma è stata trovata anche in altre specie del genere Palythoa e Zoanthus (Bignami, 1993).

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Fig. 13. Palitossina.

La palitossina è un polietere policiclico (Fig. 13). La sua grandezza e la sua complessità la rende la più lunga catena di atomi di carbonio conosciuta, che esiste in natura. La caratteristica principale della PTX è l’attività di emolisi ritardata. Questa si può mettere in evidenza con eritrociti di mammifero, è causata anche da piccole dosi di PTX, ma si manifesta solo dopo 4 ore di incubazione a 37°C. Un altro aspetto specifico è che l’emolisi può essere neutralizzata dalla ouabaina (Riobò et al., 2006). Studi recenti di citotossicità hanno messo in evidenza che la palitossina ha come sito di azione la pompa Na,K-ATPasi. Da questi esperimenti è emerso che l’ouabaina, in dovuta concentrazione, si lega alla subunità catalitica della pompa Na,K-ATPasi, determinando l’inibizione dell’attività della PTX. Si suppone però che il sito di azione della PTX non sia la subunità cataltica della pompa, ma sia nei suoi pressi, quindi l’inibizione è dovuta a ingombro sterico. Inoltre si ipotizza che l’azione della palitossina, nei confronti della pompa, avvenga all’interno della membrana plasmatica, dato che la molecola della tossina possiede regioni lipofile e idrofile (Vale-Gonzales et al., 2007).

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3.2. OSTREOPSIS COME ORIGINE DELLA TOSSINA

Altri casi simili a ciò che avvenne in Madagascar, vennero registrati anche in altre aree dell’Oceano Indiano (Taniyama et al., 2001; Lenoir et al., 2004), in alcuni paesi costieri dell’arcipelago giapponese (Taniyama et al., 2003) e in diverse isole dell’Oceano Pacifico e del Mare dei Carabi (Fauste et al., 1996). Le intossicazioni erano sempre circoscritte alle aree tropicali e subtropicali e i pesci che davano i sintomi descritti in precedenza, erano prevalentemente Clupeidi. Per questo con il nome di clupeotossismo è stata indicata tale intossicazione (Onuma et al., 1999), anche se la tossina si poteva ritrovare in un ampio numero di animali, a concentrazioni variabili, in base al posto che l’organismo occupa nella catena trofica, per il fenomeno di accumulo da preda a predatore.

L’origine della tossina è stata ricercata prendendo in considerazione la base della catena alimentare, per analogia con altri casi noti. Infatti se per la ciguatera l’origine è il dinoflagellato Gambierdiscus toxicus, che produce la gambiertossina, poi trasformata in ciguatossina dai pesci, si poteva supporre che esistessero altri dinoflagellati produttori della palitossina (Whittle et al., 2000).

Da letteratura emerge che, analizzando i campioni di acqua, nelle zone interessate dai casi di intossicazione, era possibile trovare prevalentemente un dinoflagellato, in concentrazioni piuttosto elevate. Questo era Ostreopsis siamensis (Onuma et al., 1999; Taniyama et al., 2003), mentre in altre aree veniva osservata la sola presenza di Ostreopsis mascarenensis (Lenoir et al., 2004).

Analizzando al microscopio ottico le branchie e l’esofago dei pesci che avevano dato le intossicazioni, veniva osservata la presenza di teche di cellulosa, ricondotte poi a questi dinoflagellati. Per mezzo di tavole di classificazione è stato possibile ricondurre tali teche al genere Ostreopsis.

Successivamente sono state effettuate analisi su estratti provenienti dai pesci, per poterli confrontare con alcune tossine note e si osservava, in HPLC e LC-MS (Fig. 14), che il tempo di ritenzione degli estratti risultava uguale a quello della palitossina. Lo stesso risultato è stato raggiunto con gli estratti delle specie di Ostreopsis indagate (Onuma et al., 1999; Taniyama et al., 2003; Lenoir et al., 2004, Riobò et al.,2006).

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Fig. 14. Cromatogramma LC-DAD di un estrato di O. ovata e dello standard di palitossina e rispettivo spettro UV. Il picco del campione e dello standard hanno lo stesso tempo di ritenzione.

Altra prova, piuttosto importante, per comprendere il coinvolgimento di questo genere di dinoflagellato nella tossicità, sono i risultati dei test tossicologici. Il test di emolisi ha messo in evidenza il caratteristico ritardo di quattro ore per gli estratti dei pesci e delle alghe, in accordo con quanto noto per la palitossina, tuttavia le concentrazioni necessarie per ottenere l’emolisi erano assai differenti. Inoltre il test sul topo mostrava un tempo di morte e un tempo di comparsa dei sintomi uguale per gli estratti sopra citati, considerando che la sintomatologia era uguale in tutti i topi (Onuma et al., 1999; Taniyama et al., 2003; Lenoir et al., 2004).

Il risultato di tali test ha permesso di assegnare alle due specie di Ostreopsis l’origine biologica della palitossina. Gli studi chimici che ne sono seguiti hanno però messo in evidenza la presenza nelle due specie non della palitossina, ma di molecole simili. Infatti per il momento sono stati isolati tre composti: ostreocina-D da Ostreopsis siamensis, mascarenotossina-A e mascarenotossina-B da Ostreopsis mascarenensis (Ukena et al., 2001).

Tutto ciò può suggerirci che le specie del genere Ostreopsis, o alcune di esse, producano dei composti simili alla palitossina, forse dei precursori, che vengono poi metabolizzati dagli animali, probabilmente per ridurre o eliminare il potenziale tossico nei loro confronti. Tali molecole trasformate causano però gravi intossicazioni nei consumatori secondari, come l’uomo.

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Bisogna considerare che esistono altre specie di questo genere, oltre alle due già citate, quindi c’è la necessità di comprendere l’eventuale potenziale tossico degli altri dinoflagellati.

3.3. DISTRIBUZIONE DI OSTREOPSIS IN MAR MEDITERRANEO

A partire dagli anni ’90 fino ad ora, per mezzo di una fitta rete di controlli riguardanti il fitoplancton tossico, è stato possibile identificare la presenza di due specie appartenenti al genere Ostreopsis: O. ovata e O. siamensis.

O. ovata è diffusa in tutto il Mediterraneo (Fig. 15) e viene ritenuta responsabile degli eventi dannosi, che hanno determinato in questi anni le intossicazioni all’uomo e/o le estese morie di animali marini. Non si sono invece registrati episodi di tossicità legati a O. siamensis, anche se nei mari tropicali viene ritenuto responsabile di un gran numero di casi di intossicazione (Onuma et al., 1999; Taniyama et al., 2003; Lenoir et al., 2004).

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3.4. IL CASO DI GENOVA

Lungo le coste italiane gli eventi tossici collegati a O. ovata sono stati frequenti a partire dalla seconda metà degli anni ’90, ma non hanno mai assunto livelli di pericolosità così elevati, come quello avvenuto a Genova nell’estate 2005.

Più di 200 persone sono dovute ricorrere alle cure ospedaliere, nei casi più gravi è stato necessario il ricovero per alcuni giorni. Tutte le persone mostravano sintomi molto simili: febbre molto alta, irritazione delle prime vie aeree, tosse, dispnea, rinorrea, congiuntiviti, dolori articolari e in alcuni casi dermatite. Le persone che hanno ravvisato questi malesseri avevano frequentato poche ore prima alcune spiagge del litorale genoano, senza aver fatto il bagno in mare. Mentre altre sono dovute ricorrere alle cure mediche per aver soltanto passeggiato lungo le strade antistanti i lidi coinvolti(Grillo et al., 2007; Poletti [1], 2007).

Fig 16. Fioritura di O. ovata lungo il litorale genoano.

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Immediatamente sono state contattate le autorità competenti e dalle analisi degli specchi d’acqua, è stata osservata la presenza massiva di una microalga, evidenziata dall’abbondante presenza di sostanza mucillaginosa di colore brunastro (Fig. 16). Lo studio dei campioni d’acqua ha dapprima escluso la contaminazione batterica e/o virale, ma ha evidenziato la presenza della microalga O. ovata, ritenuta l’origine delle intossicazioni (Grillo et al., 2007) (Fig. 17).

3.5. I CASI PRECEDENTI DI INTOSSICAZIONI

Come detto in precedenza, il caso di Genova è stato il più rilevante come conseguenza sulla salute umana, ma non è stato l’unico evento registrato in Italia. Infatti una delle prime segnalazioni di O. ovata risale al 1994 (Tognetto et al., 1995). Da campionamenti effettuati lungo la costa laziale, per motivi legislativi collegati al controllo e al monitoraggio di altre microalghe tossiche, è stata osservata la presenza di questo dinoflagellato. L’attenzione nei suoi confronti è stata immediata, in quanto il genere a cui appartiene questa specie viene studiato da tempo nelle regioni tropicali, ritenuto uno degli organismi produttori della palitossina.

Negli anni seguenti alla prima segnalazione, si sono verificati casi di intossicazione fra i bagnanti. I litorali maggiormente colpiti sono stati il litorale apuano (Sansoni et al., 2003), il litorale laziale nella zona del Circeo (Bianco et al., 2006), il litorale barese (Gallitelli et al., 2005) e alcuni litorali siciliani (Gangemi et al., 2006). In queste zone i bagnanti che avvisavano malessere avevano una sintomatologia piuttosto simile a ciò che avvenne in seguito a Genova. Anche in queste zone si registrava la fioritura di O. ovata, segnalata dalla colorazione dell’acqua di color bruno e la presenza di aggregati mucillaginosi.

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3.6. SEGNALAZIONI DI OSTREOPSIS OVATA LUNGO LE COSTE ITALIANE

Come si osserva dalla figura (Fig. 18), O. ovata è diffusa lungo la maggior parte delle coste italiane, fatta eccezione per il litorale emiliano-romagnolo e quello veneto.

O. ovata è stata segnalata lungo il litorale apuano e nelle isole dell’arcipelago toscano (Simoni et al., 2004), lungo le coste laziali (Bianco et al., 2006), in diversi comuni siciliani, quali Messina e Palermo (Gangemi et al., 2006), lungo le coste campane (Zingone et al., 2006), le coste marchigiane (Totti et al., 2007) e in nord Adriatico (Monti et al., 2007).

Fig. 18. Segnalazioni di O. ovata. In arancione le segnalazioni dal 2005. In verde le segnalazioni dal 2006.

La maggior parte delle segnalazioni riporta due fioriture del dinoflagellato, nel periodo tardo primaverile e nel periodo tardo estivo; quando la temperatura dell’acqua raggiunge 24°C circa; quando le condizioni meteo-marine sono stabili. Il substrato su cui si ritrova O. ovata è di tipo roccioso o su macroalghe rosse e brune. Assieme a questa microalga è stata osservata la presenza di altri dinoflagellati tossici, quali Prorocentrum lima e Coolia monotis.

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3.7. TIPOLOGIA DI INTOSSICAZIONE

Le intossicazioni registrate negli anni sono state messe a confronto, in questo modo è stato possibile osservare un nuovo meccanismo di contaminazione e un’analogia fra i luoghi interessati dalle fioriture. La fioritura veniva notata come scarsa qualità dell’acqua dovuta alla presenza di sostanza mucillaginosa di colore brunastro, causata dall’abbondante presenza delle cellule di O. ovata, in concentrazione di diversi milioni di individui per litro.

Fig. 19. Fotografie satellitari di alcuni litorali interessati da eventi di intossicazione

I luoghi in cui compare la fioritura presentano una chiara similitudine come si può osservare dalle fotografie dei litorali interessati dagli eventi tossici. Le aree sono piccoli golfi o zone riparate dalle barriere frangiflutti, che determinano una scarso ricambio idrico e un ridotto idrodinamismo, in cui la temperatura dell’acqua può aumentare facilmente (Fig. 19). Tutto ciò favorisce l’accrescimento di O. ovata, che necessita di acque calde, calme e basse. Inoltre durante il periodo di crescita, le condizioni meteo-marine sono risultate stabili: mare calmo, pressione atmosferica alta, assenza di vento e temperatura dell’acqua di 25°C circa (Poletti [1], 2007). La tipologia di intossicazione è piuttosto particolare. Il vettore è l’aerosol marino, che si sprigiona dal moto ondoso e dall’azione del vento e che determina il passaggio della tossina dal mare fino all’uomo. Basta quindi inalare aria di mare per avvertire malessere. Questo può spiegare perché a Genova le persone sono state male, anche se non avevano fatto il bagno o passeggiavano in zone antistanti i litorali (Gallitelli et al., 2005).

Inoltre in questi anni, da quando è comparso il problema, non sono stati registrati casi di intossicazione dovuti all’ingestione di pesce, molluschi bivalvi o crostacei contaminati, come invece ci si aspetterebbe, dato che la sindrome data dalle altre specie del genere Ostreopsis ha tali vettori nelle aree tropicali.

Genova Litorale apuano

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Le intossicazioni osservate ricordano l’unica intossicazione conosciuta causata da aerosol tossico, quella neurotossica, determinata dalle brevetossine prodotte da Karenia brevis, circoscritta al Golfo del Messico e ad alcune aree costiere degli USA (Whittle et al., 2000). La presenza di un simile vettore non deve però confondere le due tipologie di intossicazione, in quanto la sintomatologia causata da O. ovata è diversa dalla NSP e può essere considerata una situazione nuova, in quanto colpisce principalmente le vie aeree.

Per concludere bisogna osservare che gli eventi dannosi legati all’uomo sono diminuiti in questi anni e non si comprende il perchè. Per esempio, l’evento tossico lungo il litorale apuano del 1998, non si è più ripetuto con la stessa intensità, ma ha dato delle intossicazioni blande, fino a non dare problemi negli ultimi anni. La stessa situazione si è verificata a Bari dopo l’intossicazione del 2003 e del 2004. Infine anche a Genova non ci sono stati più problemi, dopo il grave caso del 2005 (Grillo et al.,2007; Poletti [2], 2007).

3.8. EFFETTO SUGLI ORGANISMI MARINI

Oltre all’effetto sull’uomo, è importante notare che, in alcuni casi, durante le fioriture della microalga sono state osservate delle estese morie di organismi appartenenti a diverse biocenosi bentoniche, animali e vegetali. Le zone maggiormente interessate da tali anomalie sono state il Piano Mesolitorale e il Piano Infralitorale. La situazione, che verrà descritta di seguito, riguarda la fioritura di O. ovata lungo il litorale della provincia di Massa-Carrara, nel 1998. Bisogna notare che negli anni successivi l’intensità delle morie e/o delle anomalie è diminuita, come sono diminuiti i casi di intossicazione per l’uomo. Stessa situazione verrà registrata a Genova e nelle altre località colpite da tale evento.

Nel Piano Mesolitorale è stato possibile osservare un gran numero di impronte di patelle, le cui conchiglie, ormai vuote, si ritrovavano in gran numero sul fondale ai piedi delle scogliere. Si sono poi riscontrate anomalie dei mitili, che mostravano un allentamento dei filamenti del bisso; la maggior pare degli individui erano morti, ritrovando sul fondo le valve vuote. Mancavano anche i gasteropodi e le attinie, come il pomodoro di mare, tipici di questo piano.

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Per quanto riguarda il Piano Infralitorale si osservava un’elevata mortalità dei ricci di mare. Gli individui vivi invece presentavano perdita degli aculei. Gli asteroidi presentavano un’anomala posizione delle braccia, riflesse verso il dorso (Fig. 20). Inoltre erano assenti le spugne e le ascidie, comuni e frequenti in questo piano. Infine colpiva l’aspetto degli scogli sommersi, che risultavano spogli della copertura di fitobetos e zoobentos (Sansoni et al., 2003).

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L’obiettivo della tesi è comprendere le caratteristiche della crescita e l’eventuale tossicità di Ostreopsis ovata, mettendo a confronto due ceppi provenienti dai mari italiani: uno isolato dalla provincia di Ancona e l’altro dalla provincia di Latina, isolati nell’estate 2006.

In prima analisi è stata condotta la caratterizzazione molecolare di una parte del DNA che codifica per la sub-unità maggiore dell’RNA ribosomiale, ovvero i domini D1, D2, D3, per avere la conferma della specie in esame; successivamente le sequenze sono state depositate in banca dati e sono state utilizzate per la filogenesi, confrontandole con ceppi di Ostreopsis di differenti aree geografiche e con altre specie di dinoflagellati che si trovano nel Mar Tirreno e nel Mar Adriatico.

La ricerca è proseguita studiando la pericolosità dell’alga, tramite test di ecotossicità, e il tipo di tossine prodotte, tramite analisi chimiche. Sono state allestite delle colture, dalle quali è stato possibile calcolare il tasso di crescita, attraverso una tecnica di conteggio, che è stata modificata per la particolarità di Ostreopsis di produrre aggregati mucillaginosi. L’analisi della tossicità è stata valutata in due fasi della crescita, al termine della fase esponenziale e al termine della fase stazionaria. I test impiegati sono stati: il test di tossicità acuta con Artemia sp. e il test di emolisi con eritrociti umani; i risultati ottenuti sono stati espressi come EC50. La determinazione quali-quantitativa delle tossine è stata effettuata presso il Dipartimento di Chimica delle sostanze naturali dell’Università Federico II di Napoli.

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4. COLTURE ALGALI

4.1. ISOLAMENTO DI OSTREOPSIS OVATA

Lo studio delle caratteristiche della crescita e l’eventuale tossicità di Ostreopsis ovata sono state analizzate mettendo a confronto due ceppi provenienti dai mari italiani, uno dalla provincia di Ancona e l’altro dalla provincia di Latina, isolati nell’estate 2006.

Le cellule di O. ovata sono state isolate con il metodo della micropipetta (Hoshaw and Rosowski, 1973). Il campione viene messo in una piastra Petri e osservato al microscopio rovesciato. Una volta identificata, la cellula algale viene prelevata con una pipetta pasteur in vetro, con punta assottigliata e trasferita all’interno di un pozzetto di una piastra multiwell sterile contenente acqua di mare filtrata con filtri 0,22 µm arricchita con il terreno di coltura diluito.

La piastra viene messa in camera di coltura con temperatura costante a 20±2°C e con ciclo luce:buio 16:8 ore (circa 100 mol fotoni m-2s-1). Quando l’alga si è divisa, viene trasferita in contenitori più grandi, con aggiunta del mezzo di coltura e posta nelle medesime condizioni.

4.2. PREPARAZIONE DEL MEDIUM E INOCULO

Il mezzo di coltura è costituito da acqua di mare oligotrofica, che viene opportunamente filtrata con un sistema di filtrazione a vuoto e utilizzando filtri GF/C (WHATMAN).

Per mezzo di un rifrattometro viene misurata la salinità, che deve essere portata al valore di 35 psu, che corrisponde al valore misurato in mare al momento del prelievo dei campioni naturali da cui è stata isolata O. ovata. La formula che viene utilizzata per effettuare la correzione della salinità è la seguente:

(48)

Dove Vi è il volume di acqua di mare da cui partire, Vf è il volume finale di terreno da ottenere, Si è la salinità iniziale e Sf è la salinità finale.

Considerando un volume finale di 2 litri e una salinità iniziale di 39 psu abbiamo: Vi * 39 = 2000 ml * 35

Vi = (2000 * 35) / 39 = 1795 ml.

Questa quantità di acqua di mare verrà quindi portata a volume di due litri con acqua deionizzata. L’acqua così preparata dovrà essere sterilizzata in autoclave con un ciclo a 120°C, per 20 minuti, a1 atm.

A questo punto, per preparare il mezzo di coltura f/2 (Guillard and Ryther, 1962) (Tab. 1, 2, 3), all’ acqua sterilizzata vengono aggiunti i nutrienti in piccoli volumi prelevandoli da soluzioni stock sterili; tutte le operazione vengono condotte sotto cappa sterile: Soluzioni Madri (g L-1) Aggiunta (ml L-1) Concentrazione finale (M) NaNO3 75 1 8,82 x 10 -4 NaH2PO4H2O 5 1 3,62 x 10 -5

Micronutrienti Vedi sol. stock 1 1 - Vitamine Vedi sol. stock 2 1 - Hepes pH 7,1-7,3 230 1

Tab. 1. Nutrienti per il mezzo di coltura f/2 (Guillard and Ryther, 1962)

Micronutrienti Soluzioni Madri (g L-1) Aggiunta in 1 L Concentrazione finale (M) FeCl36H2O 3,15 g 1,17 x 10-5 Na2 EDTA 2H2O 4,36 g 1,17 x 10-5 MnCl24H2O 180,0 1 ml 9,10 x 10-7 ZnSO47H2O 22,0 1 ml 7,65 x 10-8 CoCl26H2O 10,0 1 ml 4,20 x 10-8 CuSO45H2O 9,8 1 ml 3,93 x 10-8 Na2MoO42H2O 6,3 1 ml 2,6 x 10-8

(49)

Vitamine Soluzioni Madri (g L-1) Aggiunta in 1 L Concentrazione finale (M) Tiamina - 200 mg 2,96 x 10-7 Biotina 1,0 1 ml 2,05 x 10-9 B12 1,0 1 ml 3,69 x 10-10

Tab. 3. Soluzione stock 2 di vitamine per il terreno f/2.

Il mezzo di coltura viene diviso in aliquote differenti, in base alla necessità, nelle beute opportunamente sterilizzate. A questo punto viene fatto l’inoculo delle cellule algali.

Nel periodo di studio sono state allestite numerose colture che sono state impiegate per il conteggio per definire la crescita dei due ceppi isolati, per l’analisi molecolare per validare l’identificazione della specie in esame effettuata inizialmente su base morfologica, per il saggio di tossicità acuta con Artemia sp., per il saggio di emolisi e per le analisi chimiche.

Le cellule algali raccolte per filtrazione e il medium sono stati inviati per le analisi chimiche al Dipartimento di Chimica delle Sostanze Naturali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

4.3. IL CONTEGGIO

La conta delle microalghe viene effettuata prelevando 1 ml di coltura algale, che viene posto in una camera di sedimentazione a cui si aggiunge una goccia di soluzione Lugol acida, per fissare le alghe. Il conteggio verrà effettuato dopo un tempo di attesa, variabile fra i 30 ed i 60 minuti, per consentire la sedimentazione delle cellule.

Per poter osservare, distinguere e contare il campione, viene utilizzato il microscopio rovesciato (Axiovert 100 ZEISS) con ingrandimento 320x (Fig. 28).

Fig. 28. Microscopio rovesciato.

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Nel conteggio per strisciata si contano le cellule algali sedimentate che si trovano comprese in un rettangolo che ha come dimensioni (a) il lato del reticolo posto nell'oculare e (b) il diametro della camera di sedimentazione. E' buona norma contare lungo diversi diametri per diminuire l'errore di conteggio. Nei nostri esperimenti abbiamo contato le cellule algali almeno lungo cinque diametri della camera di sedimentazione.

Si procede calcolando la media delle alghe contate nei diversi diametri e si moltiplica per un fattore (F) del valore di 60,774, ottenendo così il numero di cellule algali presenti in un millilitro di coltura. Il fattore F è calcolato in base al rapporto tra l'area della camera di sedimentazione e l'area del rettangolo (axb) (Fig. 29):

Fig. 29. Calcolo del fattore F nel conteggio per strisciata.

4.4. CURVA DI CRESCITA

I prelievi vengono effettuati ogni 2-3 giorni, in modo tale da poter seguire la crescita dei ceppi in esame di O. ovata. I dati saranno elaborati con excel per ottenere la curva di crescita e il tasso di crescita.

In genere per avere un conteggio più rappresentativo, le colture vengono allestite in doppio e vengono prelevati più campioni dalla stessa beuta.

D

Reticolo posto sull'obiettivo

Area della camera di sedimentazione

Il diametro della camera di sedimentazione (D) misura 24 mm e quindi l'area di tale camera misura 452,16 mm2; l'area del rettangolo a x b misura 7,44 mm2. Il fattore F misura quindi

452,16mm2 /7,44 mm2, ossia 60,774. a

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La curva di crescita delle microalghe è rappresentabile come una curva sigmoide, in cui è possibile riconoscere quattro fasi (Fig. 30):

1. fase lag: corrisponde all’adattamento dell’alga al terreno di coltura subito dopo l’inoculo;

2. fase esponenziale: nella quale si ha una rapida crescita cellulare con andamento logaritmico. E' rappresentata dal tratto di curva con pendenza maggiore;

3. fase stazionaria: nella quale diminuisce il tasso di crescita della coltura, in conseguenza all'esaurimento dei nutrienti. Il numero di cellule rimane pressoché costante e la fase può durare diverse settimane;

4. fase di declino, quando i nutrienti si esauriscono e la coltura muore.

Fig. 30. Curva di crescita

4.5. TASSO DI CRESCITA

Come termine di misura del tasso di crescita delle colture è stato utilizzato il numero di divisioni che avvengono nelle ventiquattro ore, indicato convenzionalmente con la lettera µ, e calcolato secondo la formula seguente:

= (ln N

1

- lnN

0

) / (t

1

-t

0

),

100 1000 10000 100000 0 5 10 15 20 25 tempo (gg) n . c e ll / m l Fase lag Fase esponenziale Fase di crescita rallentata Fase stazionaria Fase decrescente

(52)

dove: N1 = numero di alghe presenti nella coltura alla fine della fase esponenziale;

N0 = numero di alghe presenti nella coltura all'inizio della fase esponenziale;

t1-t0 = giorni che impiega la coltura per passare da N0 ad N1.

4.6. BIOVOLUME

Il calcolo del volume cellulare è importante per comprendere le variabilità dimensionali nelle diverse fasi di crescita dell’organismo e le differenze che possono esistere fra i due ceppi analizzati e fra i ceppi di altre aree geografiche.

La cellula di O. ovata viene approssimata ad un ellissoide, come descritto da Sun et al. (2003).Vengono considerate tre misure: il diametro dorsoventrale (a), la larghezza (b) e la profondità o spessore (diametro anteroposteriore) (c) (Fig. 31).

Queste misure sono state effettuate per mezzo di un programma di lettura di immagine, con fotocamera Nikon integrata al microscopio rovesciato. Il procedimento per la preparazione del campione è lo stesso effettuato per il conteggio. La formula per il calcolo del biovolume è:

V = ( / 6) * a * b * c

.

Fig. 31. Cellula di O. ovata (visione anteriore): in verde (a) diametro dorso-ventrale; in rosso (b) la larghezza.

(a)

Figura

Fig. 2. Saxitossina e analoghi.
Fig. 4. Brevetossine.
Fig. 5. Acido okadaico e derivati.
Fig. 6. Pectenotossine e analoghi.
+7

Riferimenti

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