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Dell’ideologia francese

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Academic year: 2021

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IL PONTE

ISSN 0032-423 X

Rivista mensile di politica e letteratura fondata da Piero Calamandrei

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31 marzo 1982

Paolo Leon

Le politiche della sinistra italiana e il

ruolo della Lega dei socialisti / Giovanni Terranova

La crisi della Cee, un rischio da correre / Enzo

En-riques Agnoletti Dal centro-sinistra al centro-destra /

Marco Boato

‘Tortura? Impossibile: siamo in

Ita-lia... / David Bidussa

Anni trenta. Governo e

de-mocrazia socialista in Francia / Claude Lévi-Strauss

Prospettive socialiste

Jean Carew Loscrittore caraibico e l’esilio / Anna

Panicali Tempi distorie e di antologie / Luigi

Am-brosoli

Croce a Prezzolini

(2)

179

181

183

186

189

192

195

217

224

232

241

265

ry

IL PONTE

Osservatorio

E. Enriques AGNOLETTI, Dal sinistra al

centro-destra

M. Boato, Tortura? Impossibile: siamo in Italia ...

L. Ceccuint, Perplessita sul nuovo regolamento della

Ca-mera

P, ALeorti, In Nigeria con Giovanni Paolo II

L. AMBROSOLI, Croce a Prezzolini

E. Terracini, Per Umberto Morra

PaoLo Leon, Le politiche della sinistra italiana e il ruolo

della Lega dei socialisti

GIOVANNI TERRANOVA, La crisi della Cee, un rischio da

correre

Davip Binussa, Anni trenta. Governo e democrazia

so-cialista in Francia

CLaupE Livi-Srrauss, Prospettive socialiste

JEAN Carew,Lo scrittore caraibico e lesilio

(3)

Rassegne

278

Libri e problemi. Mauro Dr Lisa, Scritti di Marx sulla

questione polacca

282

Renzo Raccuianti, Dell’ideologia francese

284

Giuseppe ANcEscHI, Il « Mazzini» inedito di

Salve-mini

291

SERGIO BARTOLOMMEL, Karl Popper, Vio e il cervello

295

GABRIELE Muresu, A proposito di un intellettuale non

« organico »

298

In margine. Grorcio Tinazzi, Scrivere per il cinema

INDICE GENERALE DEL 1981

Anno XXXVIII_ n. 3

31 marzo 1982

Direttore. ENZO ENRIQUES AGNOLETTI

(4)

al concorso di molteplici fattori: si tratta di avere il concetto della loro efficacia. IL cammino della rivoluzione in Europa pud passare anche per

Vindipendenza di uno Stato cancellato perfino nel nome dalla carta della

geografia politica. Tutto questo pud servire a ricordarci che comunque,

per usare un’espressione di Althusser, l’ora solitaria dell’ultima istanza

non suona mai.

MAURO DI LISA

DELL’IDEOLOGIA FRANCESE

Bernard-Henry Lévy a scadenza biennale ci offre i volumi della sua

summa spaziando dalla barbarie del gulag ai profeti vetero testamentari

per arrivare a concludere provvisoriamente nel « fascismo dai colori di

Francia ». Il nostro autore incontinente, ex nouveau philosophe, fruitore smodato di mass-media, é espressione emblematica, perché parossistica, di

una certa moda intellettuale francese di questi ultimi anni. Accanto al

tradizionale cursus honorum della consacrazione accademica — Sorbonne,

« Revue de Métaphisique et de Morale », Puf o Vrin — neé sorto infatti

uno alternativo che garantisce rapida e facile notorieta — « Nouvel

Observateur », Grasset, trasmissioni di « France Culture ». Da qui

l’inte-resse del recensore di dar conto dell’idéologie frangaise come

testimo-nianza esemplare di malcostumeintellettuale '.

Il libro & suddiviso in tre parti dedicate rispettivamente alla « storia di Vichy », alla « nascita del razzismo» e «alla storia della filosofia ».

Nella prima Bernard-Henry Lévy sostiene la centralita del « petenismo »,

momento risolutivo ed esplicativo della storia francese post-rivoluzionaria

letta come processo di transizione al fascismo, nella seconda declina la

cultura francese da Voltaire in poi sotto il concetto di razza, nella terza

infine afferma V’isomorfismo del discorso « petenista » e di quello

comu-nista.

Il presente, nella sua immediatezza politica, € assunto quale strumen-to mestrumen-todologico che permette di dissolvere l’opacita del passastrumen-to; il libro

che si vuole « un contributo alla genealogia dei nostri demoni » (p. 10),

ignora quindi come la particolare forma di memoria storica sia connessa ad una lotta di egemonie, come l’assunzione, lo studio del passato

richieda sempre percid una produzione di mediazioni che ci consenta di

capire come «cid che oggi esiste [non] sia sempre esistito ». L’assunto di partenza é lidentificazione di fascismo e « petenismo»: «dal 1940 al 1942, per almeno trenta mesi ebbe luogo un’autentica rivoluzione fascista » (p. 33). Ma la definizione di « petenismo » é vaga, oscillante tra le « ossessioni pit spettacolari », razzismo, xenofobia, e il

1 Bernard-Henry Lévy, L’ideologia francese, Milano, Spirali Edizioni, 1981, pp. 281, L. 10.000.

(5)

progetto di «ricomposizione organica della societa francese », di

« definizione di un nuovo corpo politico», di «un legame sociale di

tipo nuovo » (p. 38). Questa identificazione é del resto solo postulata;

manca infatti uno studio sulla presenza o meno nell’Efat Frangais di

quegli elementi di rivoluzione passiva, testimonianza di un allargamento

della dialettica sociale rispetto allo stato liberale, caratteristici del

fasci-smo; non ci si interroga mai cioé se sia ancora possibile un fascismo dopo Vaffaire Dreyfus e il Fronte Popolare, quando per fascismo non si

intenda una semplice gestione terroristica della politica.

Il tentativo « petenista» di creare una propria genealogia, dallo stesso Bernard-Henry Lévy giudicato « spesso [...] frutto di fantasia », viene tuttavia adottato come l’abbozzo di una storia dell’ideologia france-se. La democrazia sarebbe stata « dimenticata » e « rimossa» gid prima

di Pétain; e cosi Bernard-Henry Lévy mette nello stesso calderone i

surrealisti, Barbusse e Rolland, Esprit, la giovane destra di Bardéche o

Drieu, ecc. La confusione analitica in cui incorre il nostro autore é il frutto della mancata comprensione dell’inadeguatezza del liberalismo a misurarsi col protagonismo delle grandi masse, della rottura cioé dell’u-niverso classico e neoclassico rappresentata dalla crisi del ’29. Senza la consapevolezza di questa frattura la realta diviene opaca, illeggibile.

L’indagine delle fonti dell’idéolugie francaise ci conduce ora dalla

« storia di Vichy » alla «nascita del razzismo». E qui l’autore da il

meglio di sé: 1’« origine del mito » della razza ariana « é indubbiamente straniera » (p. 90); questo peccato di esterofilia viene perd subito riscattato: gid Renan, « l’infaticabile divulgatore », e Taine « un secolo prima del III Reich » avrebbe situato «il duello tra semiti e ariani non soltanto in seno alla societa ma addirittura alle fonti della storia generale

delle societa “in generale” » (p. 91).

« Leidea di una storia generale delle societé in cui Ja guerra delle

razze_costituirebbe il motore @ anch’essa un’idea nuova», che «

impen-sabile agli occhi di un Agostino o di un Bossuet » (ammiriamo la

capacita sintetica con cui si connette il V secolo al XVII), « diventa

possibile » con Comte e con Marx; donde con profonda maestria

dialetti-ca Bernard-Henry Lévy conclude che « Comte non era razzista. Non lo

era fondamentalmente nemmeno Marx», anche se « ebbero un contem-poraneo che invece lo fu e che in questa prospettiva riprende la

generalita del loro progetto [...] Arthur de Gabineau » (p. 92). Ed ora

finalmente siamo al dunque: Barrés e Péguy, Sorel e Maurras, ecco i

protagonisti di « un nazionalsocialismo alla francese ». Nello studiare un

pensiero quale quello del Sorel, asistematico per eccellenza, quasi

for-mantesi in reazione alle suggestioni del quotidiano, Bernard-Henry

Lévy non si cura di alcuna periodizzazione, ignora come il tentativo

soreliano di ricostruire la complessita sociale spieghi

l’antiintellettuali-smo, quindi non la teorizzazione della « violenza per la violenza » (p.

116), ma luso di essa finalizzato alla perpetuazione della scissione tra le

classi, ¢ondizione del socialismo.

(6)

In conclusione « la Francia risulta forse uno dei luoghi in cui si é

lavorato pii attivamente per erigere queste palafitte del dispotismo razziale » (p. 89); e cosf da Voltaire a Gustave Le Bon, « legato a Sorel e spesso vicino a Bergson, teorico [...] “ dell’anima raziale dei popoli” » (p. 89), Vidéologie francaise si precipita « nell’abiezione ». Ne derivereb-be che Vaffaire Calas 0 Vaffaire Dreyfus non appartengono alla storia di Francia e, se qualche oscuro studioso al termine di un’operosa vita di

studi portasse prove inconfutabili che quegli eventi ebbero pur luogo in

terra di Francia, dovremmo dedurne che fu per un mero accidente,

un’astuzia della storia. Ma il nostro teorico della “ filosofia-spettacolo ”

non pud cetto indugiare di fronte all’irrazionalita dell’accidentale e,

affermato come il «fascismo ai colori di Francia» sia un prodotto indigeno partorito dal socialismo libertario e dal cattolicesimo sociale,

passa ora ad asserire che il Pcf @ «il primo partito petenista di

Francia» (p. 76). Del resto Vorganicita, «la citta “organica” », é

sempre assunta come un attributo del fascismo, mentre siamo in presenza

di una forma di difesa di una societa aperta, di una prospettiva da

realizzare progressivamente attraverso un sistema di ‘‘ casematte ”istitu-zionalizzate che permetta di stabilire una nuova padronanza sulla

mo-dificabilita morfologica. Diversamente da quel che pensa l’autore,

l’orga-nicita non impone «il silenzio a questo trambusto, a questa fiera delle

contraddizioni » che « come tutti i liberali sanno sarebbe l’inizio della

peggiore e piti cupa decadenza » (p. 188), ma @ la composizione

conflit-tuale, la ricerca di un equilibrio dinamico entro una morfologia

dete.imi-nata. La transizione a una nuova morfologia sociale é la

rottura-ricostru-zione della vecchia organicita in una nuova.

A mo’ di conclusione « l’ideologia francese [...] non @ né di sinistra né di destra, [...] ma semplicemente ostile in blocco ai valori democrati-ci» (p. 170), « impotente a pensare in termini di valori» (p. 173), a

causa di « un chiericato che da un secolo non smette mai di attaccare i

principi del liberalismo e di redigerne la morte » (p. 169). Ma di fronte

a questi esiti, memori dell’attenzione rivolta da un Le Play o da un

Renan al “ modello inglese”, sorge un dubbio. Che forse a suon di

scindere ed unire tanti pezzettini di verita, Bernard-Henry Lévy ci abbia

raccontato una grossa bugia?

RENZO RAGGHIANTI

IL « MAZZINI » INEDITO DI SALVEMINI

Se I’« inebriante » incontro di Salvemini con Cattaneo sul finire del 98 alla Biblioteca comunale di Lodi non fu casuale, altrettanto naturale parve l’anno dopo la scoperta di Mazzini, pronubo il mazziniano Libro dei profeti di Arcangelo Ghisleri, al quale egli, confessando con la solita

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