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Generazione "Bataclan" e Psicologia dell'emergenza

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

FACOLTÀ DI PSICOLOGIA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE (L.M. 51)

PSICOLOGIA CLINICA E DELLA SALUTE

GENERAZIONE “BATACLAN” E PSICOLOGIA

DELL’EMERGENZA

Candidata

Federica Angileri

Relatrice

Dott.ssa Irene Ghicopulos

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INDICE

Capitolo I

1. Definizione di Ansia………p. 4 1.1 L’attacco di Panico………p. 5

1.2 Le origini storiche del disturbo……….p. 6 1.3 L’ansia nel Medioevo fino al DSM-V………...p. 7

1.4 Quadro sintomatologico...p. 10 1.5 Criteri diagnostici del DAP...p. 11 1.6 Diagnosi differenziale...p. 14 1.7 Teorie eziopatogenetiche...p. 15 1.8 Strumenti Diagnostici...p. 18 1.9 Principi di trattamento del DAP...p. 19

Capitolo II

2. Il fondamentalismo oggi...p. 30 2.1 Islam e fondamentalismo Islamico...p. 38

2.2 Lo Stato Islamico...p. 45 2.3 Strategie e normative di contrasto...p. 52

Capitolo III

3. La Psicologia dell’Emergenza...p. 60

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ABSTRACT

I disturbi d’ansia sono specifici proprio del nostro tempo, tanto da essere spesso definiti il malessere del XXI secolo. Il presente lavoro di tesi ha tentato di far emergere il legame tra disturbi d’ansia, emersi dopo gli attacchi terroristici e i cambiamenti delle abitudini sociali nella nostra epoca. In periodi di grandi cambiamenti, come quello attuale, l’ansia e il panico possono rappresentare una sorta di rifugio, di ancoraggio, un modo per evadere dalla realtà e distogliere lo sguardo da essa.

Definizione di ansia

L’ansia etimologicamente deriva dal latino “angere” che significa opprimere, chiudere alla gola, probabilmente per il senso di “schiacciamento” che tale sensazione procura. L’ansia è uno stato affettivo spiacevole e simboleggia situazioni che possono causare preoccupazione. Esiste un “ansia normale o positiva” quando si tende verso qualcosa (come ad esempio un esame o una situazione importante) e allora l’ansia svolge una funzione indispensabile, sollecitando l’organismo a mobilitare le sue risorse per affrontare l’evento che deve verificarsi. Si parla invece, di ”ansia patologica” quando essa si protrae anche dopo l’evento ansiogeno e/o quando si instaura indipendentemente dalle situazioni. Cattell1 e Spielberger2 fanno una distinzione, tra ansia di stato e di tratto. La prima è un’ansia comune, che ci aiuta ad evitare i pericoli e ad affrontare le situazioni. Mentre la seconda si riferisce ad uno stato d’animo continuo che porta la persona a non essere mai libera dall’ansia. I sintomi dell’ansia sono: nervosismo eccessivo verso se stessi e/o verso gli altri, insonnia, palpitazioni, vertigini, tremori, debolezza, aumento della sudorazione e della frequenza respiratoria. Secondo Stark3 l'ansia ha sia componenti fisiologiche sia

psicologiche, causando ipereccitazione del sistema autonomo con accelerazione del

1 Cattell R.B., (1965) The scientific analysis of personality. Penguin, Baltimore, MD. pp.55-56.

2 Spielberger, C.D.; Gorssuch, R.L.; Lushene, P.R.; Vagg, P.R.; Jacobs, G.A (1983). Manual

for the State-Trait Anxiety Inventory. Consulting Psychologists Press.

3 Stark D, Kiely M, Smith A, Velikova G, House A, Selby P. Anxiety disorders in cancer patients: their nature, associations, and relation to quality of life. J Clin Oncol. 2002 Jul 15;20(14):3137-48.

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battito cardiaco e della frequenza di respirazione, tremori, sudorazione, tensione muscolare, modifiche gastrointestinali (fattori fisiologici). Le componenti psicologiche sono: apprensione e perdita del senso di controllo. Secondo Kazdin4, l'ansia è un'emozione che è caratterizzata da sentimenti di tensione, preoccupazione, da stress e cambiamenti fisiologici come l’aumento della pressione sanguigna.

La linea di confine tra paura e ansia

La differenza sostanziale tra l’ansia e la paura sta nelle soluzioni attuate e nell’estinzione dello stato emotivo. La paura è un’emozione più delineata, reale, in quanto è la risposta a determinati stimoli; al contrario dell’ansia la quale non ha un obiettivo chiaro bensì è originata da stimoli neutri, ma che non riesce a fronteggiare risultando così più complessa della paura. Freud5 differenzia “l’angoscia reale”, che è razionale, che si dissolve con la comparsa del pericolo e “l’angoscia nevrotica”, ovvero un pericolo sconosciuto dovuto a impulsi che si ripercuotono sulla salute del soggetto. La paura è uno stato d’animo giustificato da situazioni reali che costituiscono un pericolo. Se la paura non è giustificata dalla situazione, allora si parla di ansia. Quando l’ansia invece è eccessiva, compromette la propria vita provocando un forte disagio. Gli stati d’ansia comprendono anche gli attacchi di panico.

Gli attacchi di panico

Gli attacchi di panico sono la manifestazione nucleare del DAP, sono episodi acuti d’ansia, che insorgono improvvisamente, la loro durata è breve, raggiungono l’intensità massima in 10-15’ e scompaiono in circa mezz’ora. Le crisi possono sorgere diversamente da persona a persona o nello stesso paziente in tempi diversi. Ad ogni crisi segue un “periodo refrattario”6 dove solitamente è difficile che si

4 Kazdin A. Enciclopedia di Psicologia: 8 Volume Set. Psychol Am Assoc. 2000 2011 : 4128.

5 Freud S (1950): The justification for detaching from neurasthenia a particular syndrome: the anxiety neurosis (1894). Collected papers, vol.1, London, Hogart Press, 76-127.

6Radomsky, Adam & Rachman, Stanley & Teachman, Bethany & S. Freeman, Wendy. (1998). Why Do Episodes of Panic Stop?. Journal of anxiety disorders. 12. 263-70.

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verifichi un’altra crisi. Questa fase è caratterizzata da sensazioni fastidiose come per es. tensione muscolare, vertigini o altro che perdurano per diverse ore7. Sono persone che adottano precauzioni eccessive per tutto ciò che fanno. Per tranquillizzarsi fanno uso di rituali e magie, usate per dare conforto e sicurezza. Di questo disturbo ne soffre una buona percentuale della popolazione mondiale. L’età di insorgenza è in genere intorno ai 25 anni con casi di deviazioni intorno ai 6-9 anni. Tre sono i tipi di attacchi di panico: Attacchi di panico inaspettati (non provocati 8nei quali l’esordio non è associato con un fattore scatenante situazionale cioè si manifesta spontaneamente a “ciel sereno”. Attacchi di panico causati dalla situazione (provocati)9 nei quali l’esordio non è associato ad un fattore scatenante situazionale

ma si manifesta subito durante l’esposizione o nell’attesa dello stimolo o del fattore scatenante situazionale. Attacchi di panico sensibili alla situazione che hanno più probabilità di manifestarsi in seguito all’esposizione allo stimolo o al fattore scatenante situazionale, ma non sono invariabilmente associati con lo stimolo e non si manifestano necessariamente subito dopo l’esposizione. L’attacco di panico può anche manifestarsi con modalità atipiche: l’attacco abortivo è caratterizzato da tutti i sintomi iniziali dell’attacco di panico tipico, la sintomatologia insorge e progredisce con la stessa modalità, ma si arresta poi in fase precoce, senza raggiungere il picco estremo di gravità che è un genere caratterizzato dalla paura di morire o di impazzire o di perdere il controllo.

Le origini storiche del disturbo di panico

L’attenzione particolare per i disturbi d’ansia e nello specifico per il disturbo di panico, si è fatto strada nel campo della psichiatria attuale, dal momento che risulta essere uno dei più frequenti motivi di consultazione nell’ambito della psicologia. L’origine del Disturbo di Panico è stato, ed è tutt’ora, caratterizzato dalla difficoltà di separare questo disturbo da sindromi di tipo cardiologico, neurologico ed endocrinologico tanto che la combinazione di sintomi di natura psichica, fisica e

7 Di Salvo, S., (2003) Depressione, ansia e panico: percorsi di cura Edizioni Libreria Cortina, Torino.

8 APA, 2014 9 APA, 2014

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comportamentale che caratterizza questo quadro clinico ne complica la valutazione diagnostica (Perna, 2002). Il nome Πάν deriva dal greco paein, cioè "pascolare", e infatti Pan era il dio pastore, il dio della campagna, delle selve e dei pascoli. Il nome è però simile a πᾶν, che significa "tutto". Dal suo nome deriva il sostantivo panico, originariamente timor panico o terror panico, poiché il Dio si adirava con chi lo disturbasse emettendo urla terrificanti, provocando così una incontrollata paura. Molti professionisti hanno cercato di risalire, temporalmente parlando, ad un’esperienza originaria dell’ansia, arrivando alla conclusione che si possa ricondurre ai tempi di Adamo/Eva. Le prime indagini sui fenomeni ansiosi evidenziavano una correlazione tra sintomi somatici ed esperienza psicologica10

attribuendo, le manifestazioni somatiche del disturbo di panico, originariamente, a disturbi dell’orecchio interno, del cuore o a disturbi di natura gastrointestinale. Fu Ippocrate di Coos, che nel IV secolo a.C., diede una definizione di Timor Panico. Egli separò la medicina dalla religione e anche dalla magia e ne creò una scienza a sé. Egli, delineò col termine “isteria” un quadro clinico, caratterizzato da sintomi quali: palpitazioni e senso di soffocamento. Seguendo le orme di Ippocrate, Galeno nel 200-130 a. C. individuò le cause dell’isteria nel disequilibrio dei quattro umori corporei di base: bile gialla, bile nera, flegma e sangue11. Fu però Rufo di Efeso che diede una svolta, dando a questo disturbo un’interpretazione più psicologica che organica, legandolo ad una eccessiva immaginazione che sfocerebbe in una patologia.

L’ansia nel Medioevo

Senza ombra di dubbio, il Medioevo risulta essere il periodo storico a cui si attribuisce per eccellenza: l’età dell’ansia. Questo periodo era caratterizzato da invasioni e guerriglie, che portavano ad un rischio effettivo di malattia e quindi all’ansia legata a quest’ultima situazione; inoltre, con l’anno Mille, vi era la possibilità della fine del Mondo che causava paura e terrore nell’uomo. L’ansia viene

10 Perugi G; Toni C; Musetti L; Petracca A; Cassano G.B; (1999) Il Disturbo di panico ed agorafobia, Milano, Masson Italia Editori.

11 Perugi G; Toni C; Musetti L; Petracca A; Cassano G.B; (1999) Il Disturbo di panico ed agorafobia, Milano, Masson Italia Editori.

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interpretata così come malattia mentale e dello Spirito. Fu con l’Illuminismo che si sviluppò la ricerca medico-biologica, accompagnata sempre dai vecchi rimedi. E’ nel ‘700, col filosofo francese Denis Diderot che c’è per la prima volta distinzione tra ansia e malinconia. Il concetto di ansia verrà così associato a quello di angoscia.

L’ansia: dall’Ottocento a Freud

L’ansia viene studiata su tre filoni: psicologico, biologico ed economico-sociale. Fu nel 1871 che Da Costa12, un medico militare, descrisse in alcuni soldati una sintomatologia caratterizzata da intensa paura e sintomi somatici a livello cardio-respiratori definendo tale sindrome come 'Irritable Heart Disease' -Malattia da Cuore Irritabile- (Martini, 2014). Nello stesso anno Westphal, neuropsichiatra, definì la sindrome agorafobica e alcuni anni dopo Hecher (1893) descrisse una sindrome caratterizzata da attacchi di ansia e sintomi somatici. Dalla metà alla fine del XIX secolo inizia a delinearsi una patologizzazione delle emozioni, fino a giungere, nel 1892, alla prima teoria generale della patologia emotiva del francese Féré. Lo psichiatra francese Valentin, Magnan descriverà alla fine dell’800, la meccanica dell’angoscia nelle ossessioni e impulsioni, cui seguiranno, nel 1897, le teorie del clinico e neurologo J.A.Pitres e il collega Régis che individueranno nell’angoscia il sintomo specifico delle ossessione distinguendo tra nevrosi paurose, fobie, e ossessioni vere e proprie. Tra il 1881 e il 1884 il medico americano George Miller Beard sviluppa una teoria ripresa per molto tempo: nominava neurastenia un’affezione generalizzabile per tutte le malattie nervose. Secondo le sue descrizioni essa può determinare dispepsia, cefalea, paralisi, insonnia, anestesia, nevralgie, gotta, spermatorrea negli uomini e irregolarità mestruali nelle donne, le cause sarebbero riconducibili ad una perdita dei costituenti solidi del sistema nervoso centrale. Fino ad allora solo Freud aveva isolato una nevrosi specifica: la nevrosi d’angoscia distinguendo tra due forme di angoscia: la prima è un senso d’ansia e paura che nasce da una desiderio rimosso, curabile con un intervento psicoterapeutico, la seconda è un senso di panico accompagnato da manifestazioni di scariche neurovegetative, non

12 Da Costa, J. M; (1871): On irritable heart: a clinical study of a functional cardiac disorder and its consequences. American Journal of the Medical Sciences 61: 17-52.

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dipendente da fattori psicologici, indicata come nevrosi attuale. Con la Prima Guerra Mondiale e lo studio delle nevrosi traumatiche di guerra da parte di Heckel, Freud sviluppa il fulcro della sua seconda teoria dell’angoscia: un campanello dall’allarme in vista di un pericolo immanente. Solo nel 1980, con la pubblicazione della terza edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-III), il Disturbo da attacchi di panico fu identificato come entità nosografica autonoma nell'ambito dei Disturbi d'ansia. La separazione tra gli attacchi di panico (ansia acuta) e l’ansia generalizzata (ansia cronica), fondata su differenti caratteristiche sintomatologiche, di decorso e di risposta al trattamento, è alla base dell’attuale modello nosografico dei disturbi d’ansia13. Il superamento del concetto freudiano di

nevrosi d’ansia è stato principalmente reso possibile dagli studi di Donald Klein14

che, nel 1964, ha descritto la differente risposta farmacologica del DAP, efficacemente trattato con gli antidepressivi triciclici ma non con ansiolitici benzodiazepinici, rispetto al Disturbo d’ansia generalizzato.

Per concludere, la vasta gamma di termini, medici e psichiatrici, che nel corso della storia sono stati utilizzati per descrivere gli stati d’ansia acuta, attualmente, confluiscono nei concetti di attacchi di panico e Disturbo da attacchi di panico. Il DSM-IV (American Psychiatric Association, 1994) suddivide ulteriormente il disturbo di panico “con agorafobia” e “senza agorafobia” tracciando le basi per una diagnosi differenziale e chiarendo la confusione diagnostica tra attacco di panico e disturbo di panico15.

Nelle attuali classificazioni del DSM-5 (American Psychiatric Association, 2014) il disturbo di panico e l’agorafobia diventano due entità nosografiche autonome e distinte e l’agorafobia viene diagnosticata indipendentemente dalla presenza di disturbo di panico. Pertanto, nel caso in cui il soggetto soddisfi sia i criteri per il

13 Per il disturbo d’ansia si veda: Troiano, M., Guarire dagli attacchi di panico, Editori Riuniti, 2001; Gabbard, G. O., Psichiatria psicodinamica (basata sul DSM-IV, Cortina Raffaello, 1995.

14 Klein D. F., (1964): Delineation of two drug-responsive anxiety syndromes. Psychopharmacologia 5: 397-408.

15 Simeon D, Greenberg J, Knutelska M, Schmeidler J, Hollander E: A World Trade Center survey of peritraumatic reactions: distress, dissociation, and posttraumatic stress. Am J Psychiatry 2003;160:1702-1705.

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disturbo di panico che per l’agorafobia vengono poste entrambe le diagnosi (APA, 2014).

Quadro Sintomatologico

Cos’è il disturbo di panico

Il disturbo di panico è incluso nel gruppo dei disturbi d’ansia. Questo disturbo causa una notevole angoscia al soggetto il quale viene travolto da ricorrenti ed inaspettati attacchi di panico, seguiti, per almeno un mese, dalla preoccupazione persistente che possano ricomparire e dalla modificazione disadattiva del comportamento (APA, 2014). La preoccupazione, che incalza sempre più, fa entrare il soggetto in un circolo vizioso che lo porta in uno stato continuo di allarme. Tale fenomeno definito come paura della paura16, si ricongiunge agli attacchi di panico e alla possibilità che si

possano ripresentare altri episodi che possano compromettere la sua salute. Di conseguenza, le abitudini di vita subiscono una riorganizzazione radicale, che porta all’evitamento di determinati posti e/o situazioni, al fine di evitare altri attacchi, limitando, così, la sua vita (APA, 2014).

Tipologie di attacco di panico

Vi sono 2 tipologie di attacco di panico che si differenziano nella relazione tra: esordio e presenza/assenza di fattori scatenanti.

 Attacchi di panico inaspettati: si manifestano a “ciel sereno” ovvero l’esordio non è associato ad alcuna situazione specifica;

 Attacchi di panico causati dalla situazione: si presenta in seguito ad un chiaro evento scatenante (APA, 2014), dove precedentemente si erano verificati gli altri. Si verificano, in maniera a volte imprevedibile, gravi e frequenti attacchi d’ansia, l’esordio è inaspettato e raggiunge il picco di intensità in 10 minuti ed ha una durata variabile da un minuto ad un massimo di un ora, associato a manifestazioni neurovegetative e vissuti catastrofici (APA, 2014).

16 Helbig-Lang, Anticipatory Anxiety as a Function of Panic Attacks and Panic-Related Self-Efficacy: An Ambulatory Assessment Study in Panic Disorder in Behavioural and Cognitive Psychotherapy 40(5):590-604 · February 2012.

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Le manifestazioni di un episodio, anche se differisce per sintomatologia, intensità e durata, sono di quattro tipi:

 Fisiologiche: sensazione di soffocamento, tensione muscolare, respiro affannoso, aumento del battito cardiaco, vertigini, sudorazione, nausea, debolezza, formicolio.

 Cognitive: paura di morire, di perdere il controllo, di impazzire, del giudizio negativo altrui, confusione, scarsa concentrazione, pensieri spaventosi, difficoltà di ragionamento.

 Comportamentali: fuga, evitamento di determinate situazioni, cerca di rassicurazioni, agitazione e iperventilazione.

 Emotive: nervosismo, irritazione, frustrazione e impazienza.

I criteri diagnostici del disturbo da attacco di panico

I criteri diagnostici del Disturbo da attacchi di panico secondo il DSM-IV-TR

Il DSM-IV-TR colloca il Disturbo da attacchi di panico (DAP) ed il Disturbo da attacchi di panico con agorafobia (DAP-A) sull’asse I, nella categoria dei Disturbi d’ansia.

La diagnosi di DAP viene posta quando sono presenti attacchi di panico ricorrenti che insorgono inaspettatamente nelle fasi iniziali, e si manifestano con almeno quattro dei seguenti sintomi:

 palpitazioni;  sudorazioni;

 tremori fini o grandi scosse;

 sensazioni di dispnea o soffocamento;  sensazione di asfissia;

 dolore o fastidio al petto;  nausea o disturbi addominali;

 vertigini o sensazioni di testa leggera;  derealizzazione o depersonalizzazione;  paura di perdere il controllo o di impazzire;

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 paura di morire;

 parestesie (sensazioni di torpore o formicolio);  brividi o vampate di calore.

La paura di impazzire e di morire rientrano nei sintomi cognitivi, mentre gli altri sono sintomi fisici. Gli attacchi devono essere almeno due e per lo meno uno di questi deve essere seguito da un periodo di un mese o più con la costante paura di avere un’altra crisi o con preoccupazioni relative alle possibili conseguenze degli episodi critici o con modifiche comportamentali significative riconducibili agli attacchi.

Gli attacchi non devono essere una conseguenza fisiologica diretta di una sostanza o di una condizione medica generale e non devono essere meglio giustificati da un altro tipo di disturbo mentale.

I Criteri diagnostici del DAP secondo il DSM-5

Secondo il DSM-5 (2014), i disturbi d’ansia condividono ansia e paura eccessive correlate ai disturbi comportamentali.

Secondo il DSM-5 i disturbi d’ansia vengono classificati secondo le seguenti categorie nosografiche:

 disturbo d’ansia da separazione  mutismo selettivo

 fobia specifica  fobia sociale  disturbo di panico  agorafobia

 disturbo d’ansia generalizzata

 disturbo d’ansia indotto da sostanze/farmaci  disturbo d’ansia dovuto ad altra condizione medica  disturbo d’ansia con altra specificazione

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Criteri diagnostici (APA,2014)

A. Ricorrenti attacchi di panico inaspettati. Un attacco di panico consiste nella comparsa improvvisa di paura e disagio intensi che raggiunge il picco in pochi minuti, periodo nel quale si verificano quattro dei seguenti sintomi.

Nota: La comparsa improvvisa può verificarsi a partire da uno stato di quiete oppure

da uno stato ansioso.

 Palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia  Sudorazione

 Tremori fini o grandi scosse

 Dispnea o sensazioni di soffocamento  Sensazione di asfissia

 Dolore o fastidio al petto  Nausea o disturbi addominali

 Sensazione di sbandamento, instabilità, di testa leggera o svenimento  Brividi o vampate di calore

 Parestesie  Derealizzazione

 Paura di perdere il controllo o di impazzire  Paura di morire

Nota. possono essere osservati sintomi specifici per cultura. Tali sintomi non dovrebbero essere considerati come uno dei quattro sintomi richiesti.

B. Almeno uno degli attacchi è stato seguito da almeno un mese di uno o entrambi i

seguenti sintomi:

1. Preoccupazione persistente per l’insorgere di altri attacchi o per le loro conseguenze (perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, impazzire).

2. Significativa alterazione disadattiva del comportamento correlata agli attacchi (es. evitamento dell’esercizio fisico)

C. L’alterazione non è correlata agli effetti fisiologici di una sostanza o un’altra

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D. Gli attacchi di panico non sono spiegati da un altro disturbo mentale (es. gli attacchi di panico non si verificano soltanto in relazione ad un situazione sociale temuta, come nel disturbo d’ansia sociale; in risposta a un oggetto o a una situazione fobica circoscritti, come nella fobia specifica; in risposta a ossessioni, come nel disturbo ossessivo – compulsivo, in risposta al ricordo di un evento traumatico, come nel disturbo post-traumatico da stress; oppure in risposta alla separazione dalle figure di attaccamento, come nel disturbo d’ansia da separazione).

Diagnosi differenziale

Se il disturbo di panico non viene associato all’uso di sostanze o ad una condizione medica generale, bisogna effettuare una diagnosi differenziale che non lo associ ad altri disturbi d’ansia o dell’umore. In questa fase è di fondamentale importanza valutare se l’attacco di panico è inatteso, segno essenziale del DAP, o se legato ad una determinata situazione e quindi riconducibile per es. alla fobia sociale, doc; dpts, disturbo depressivo maggiore o dell’adattamento.

Eziopatogenesi del DAP

Fattori biologici

Nel disturbo di panico, sembrano essere coinvolti la: noradrenalina, serotonina e il sistema del GABA ed in particolare, il locus coeruleus e il nucleo del rafe, che sembrano essere i diretti responsabili degli attacchi di panico. La corteccia frontale risulta essere responsabile del comportamento disadattivo di evitamento, mentre il sistema limbico alla base dell’ansia anticipatoria. Inoltre, si è evidenziato in molti pazienti con disturbo di panico, la presenza eccessiva di alcune sostanze dette panicogene, ovvero in grado di scatenare gli attacchi. Sostanze come

l’ isoproterenolo, la yohimbina, la fenfluramina, il flumazenil, la colecistochinina e la caffeina, causano gli attacchi, tutto questo perché agiscono sui recettori noradrenergici, serotoninergici e Gabaergici.

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Fattori genetici

È stato rilevato come, il disturbo di panico risulti essere il più ereditabile tra i vari disturbi d’ansia. Si noti come, in studi su gemelli omozigoti e dizigoti, la percentuale maggiore di probabilità risulta appartenere ai primi. Molti studi evidenziano, infatti, un’alta predisposizione a livello familiare, stimando un rischio di 4-8 volte maggiore nei parenti di primo grado.

Fattori psicologici

L’ansia, secondo la teoria Cognitivo-Comportamentale, viene appresa o attraverso il comportamento genitoriale o in alternativa tramite un processo di Condizionamento Classico. Secondo tale approccio, il bambino che vive in un ambiente eccessivamente protetto, sviluppa un’immagine di sé fragile e quindi di fronte a degli eventi maggiormente stressanti, applica delle reazioni sproporzionate.

Secondo la teoria Psicoanalitica, la relazione interpersonale riveste un ruolo fondamentale nello sviluppo di questo disturbo, evidenziando come punto cardine, la relazione di crisi tra madre e bambino, ovvero il tipo di attaccamento.

Teorie eziopatogenetiche

La terapia del Comportamento ha studiato gli attacchi di panico secondo due punti di vista: secondo il Modello Cognitivo, l’uso di schemi disadattivi, connessi alla vulnerabilità personale porta alla comparsa dell’ansia la quale è legata a distorsioni o interpretazioni sbagliate di certe situazioni.

L’elaborazione delle informazioni distorte danno vita a:

anticipazione catastrofica, pensieri automatici negativi, ricordi e immagini mentali con contenuto ipocondriaco, fallimento delle attività di coping, monologhi a carattere autodistruttivo. Questi soggetti interpretano le sensazioni corporee in modo pericoloso, attivando così verso di queste un comportamento di ipervigilanza17.

17 Martini G., (2014) Il disturbo da attacchi di panico: sintomi, cause, trattamento. Prospettiva editrice.

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Secondo l’interpretazione di Clark18, col suo “modello del circolo vizioso del

panico”, si evince come alla base della nascita del panico vi sia un’interpretazione errata di eventi sia mentali che fisici.

Quindi, è l’interpretazione che un soggetto dà di uno stimolo che porta alla comparsa di sintomi somatici e cognitivi, scatenando così l’ansia e dando il via al circolo vizioso che si autoalimenta, causando l’attacco di panico.

Al fine di prevenire nuovi attacchi, il soggetto focalizza la sua attenzione verso tutti gli stimoli in modo da proteggersi e lo fa evitandoli. Questo comportamento di evitamento porterà, però, al mantenimento del disturbo19.

Modello di Clark e Beck

Alla base della terapia cognitiva, per i disturbi d’ansia, c’è il pensiero. Quest’ultimo risulta essere il principale meccanismo di regolazione comportamentale ed emotiva. Nei soggetti con DAP vi è la percezione di non essere in grado di fronteggiare una crisi, inoltre, facendo uso di schemi disadattivi, che li portano ad un ipervigilanza verso tutti i segnali, li interpretano come pericolosi20. Tutto questo scatenerà un attacco di panico.

Secondo lo schema del modello cognitivo dell’ansia21, essa segue un processo:

situazione attivante, stimolo o segnale: lo stimolo, percepito come minaccia, porta il soggetto a pensare che questa minaccia possa portare a conseguenze pericolose; modalità di orientamento: successivamente si fa un’analisi primitiva della minaccia, valutandola come pericolosa; attivazione primitiva della minaccia: subito dopo la modalità di orientamento, si attivano gli schemi di minaccia, che hanno la funzione di ridurre l’effetto di un pericolo. Quando si attivano le modalità primitive di

18 Clark D.M., (1986). A cognitive approach to panic. Behaviour Research and Therapy, 24, 461-470.

19 Funayama T,., Furukawa T.A., Nakano Y., NodaY., Ogawa S., Watanabe N., Chen J. e Noguki Y. (2013) In-situation safety behaviors among patients with panic disorder : Descriptive and correlationalstudy. Psychiatry Clin Neurosci. In print.

20 Beck, A.T., Epstein, N., Brown, C., Steer, R.A. (1988). An inventory for measuring clinical anxiety: psychometric properties. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 56, 893-897.

21 Clark, D. A., Beck, A. T. (2010). Cognitive Therapy of Anxiety Disorders. Science and Practice. New York: The Guilford Press.

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minaccia si bloccano le modalità di pensiero riflessive, rendendo gli schemi predominanti. Questi schemi sono di vario tipo: cognitivi, comportamentali, fisiologici e affettivo-emotivi.

Tale modalità determinerà la comparsa di sintomi ansiosi. Dopo l’attivazione della minaccia, però, si verifica una rivalutazione elaborativa secondaria che permette di valutare con razionalità e in modo costruttivo il pericolo reale o meno della minaccia e le proprie abilità per fronteggiarla, al contrario si avvia un ciclo di pensieri legati alla percezione della mancanza di risorse e alle preoccupazioni che causano l’aumento dello stato ansioso. Ed è per questo che ogni persona reagisce diversamente all’ansia. Tutto sta nel modo in cui viene valutata la minaccia e di conseguenza nelle risorse personali che il soggetto pensa di avere per affrontare il pericolo. Perno centrale della rivalutazione secondaria è, proprio, la valutazione della propria abilità di affrontare la minaccia percepita. Per esempio, se una persona pensa di essere vulnerabile, di non potercela fare e mette costantemente in atto comportamenti alla ricerca di sicurezza (ad esempio, sedersi nel posto più esterno della fila, scegliere il corridoio meno affollato, ecc.) il suo set di vulnerabilità cognitiva viene automaticamente rinforzato. In questo modo, si convincerà di non essere in grado di affrontare ciò che sta vivendo. A seconda, quindi, dell’esito della rivalutazione secondaria, si avrà un aumento o un decremento dei sintomi ansiosi, innescati dalla modalità primitiva di minaccia.

In soggetti con il DAP, si ritrovano le distorsioni cognitive di vario tipo ad es:

- attenzione selettiva: in questo caso, il soggetto si concentra solo su determinati elementi della situazione, fissandosi.

- Pensiero catastrofico: ha l’obiettivo di aumentare gli esiti negativi di una situazione

- Ragionamento emotivo: questo fa si che in base alla nostra percezione valutiamo una situazione ma nello stesso tempo non ci soffermiamo su ciò che potrebbe provare il contrario

- Visione tunnel: si guarda solo verso una direzione, aumentando gli aspetti negativi.

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Per concludere, si evince come sono proprio gli stimoli che percepiamo e che elaboriamo in modo distorto a essere responsabili del mantenimento del disturbo22.

Strumenti diagnostici

Per valutare il profilo dei sintomi si usano:

Beck Anxiety Inventory (Beck, Epstein, Brown e Steer, 1988):

Questo è uno strumento di screening e di autovalutazione, è composto da 21 domande, ed ha l’obiettivo di valutare lo stato ansioso negli adulti, classificando tra soggetti ansiosi e non in situazioni diverse.

State-Trait Anxiety Inventory-Y (STAI_Y) (Spielberg, 1989)

È il reattivo più usato, è diviso in 2 sezioni e composto da 20 item che hanno l’obiettivo di misurare l’ansia di stato, ovvero è quella che si prova in relazione ad una data situazione, es: esame mentre si parla di ansia di tratto, se ci si riferisce ad una caratteristica di personalità del soggetto, ovvero la predisposizione ad agire in modo ansioso.

Beck Depression Inventory (Beck, Steer, Brown, 1996)

Misura la gravità della depressione. La valutazione si basa su 2 fattori che si riferiscono alle manifestazioni somatiche-affettive e a quelle relative agli aspetti cognitivi della depressione. Il range 30-36 indica una depressione grave.

Per valutare la personalità, invece, gli strumenti usati sono:

Minnesota Multiphasic Personality Inventory-2 MMPI-2 (Hathaway., 1989)

È un questionario di autovalutazione, usato per valutare la presenza di disturbi psicologici e le caratteristiche strutturali di personalità. Composto da 567domande e 6 scale di Validità, 10 scale di Base, 12 Supplementari e 15 di Contenuto. Ci da informazioni su sintomi specifici.

Structured Clinical Interview

22 La Malfa G., Mosconi L., Ragazzoni A. e Rossi L. (2002). Potenziali evocati Evento-Correlati (P300) nel disturbo da attacchi di panico: una prospettiva cognitiva. Giornale italiano di psicopatologia, 8 (1). In www.sospi.it

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Valuta i disturbi di personalità, attraverso un questionario semistrutturato composto da 119 item, in base alle prime risposte date dal soggetto confrontate con le successive, il clinico farà la sua ipotesi.

Millon Clinical Multiaxial Inventory-III (MCMI_III) (Millon, Davies, 1997)

Valuta la psicopatologia e misura i tratti di personalità. Composto da 175 item e 24 scale, divise in 4 gruppi.

Trattamento del DAP:

Dal disturbo di panico si può guarire e spesso si può anche eliminare questo disturbo. L’intervento farmacologico, insieme alla psicoterapia risultano essere i trattamenti più efficaci per questo tipo di psicopatologia.

Trattamento farmacologico:

la farmacoterapia, basata appunto sull’uso di farmaci, permette la modificazione del comportamento e dell’umore.

Nello specifico, nel DAP, questo tipo d’intervento ha lo scopo di controllare gli attacchi di panico, ridurre le condotte di evitamento, allo scopo di migliorare la qualità della vita del soggetto.

I farmaci usati per questo disturbo sono: - TCA (antidepressivi triciclici)

- SSRI (inibitori selettivi del reuptake della serotonina) - IMAO (inibitori delle monoamino-ossidasi)

Queste 3 classi di farmaci risultano essere in grado di bloccare gli attacchi di panico (es. Klain), ridurre le condotte di evitamento e ridurre l’ansia anticipatoria.

Tre risultano essere le fasi di una buona terapia farmacologica:

1. Personalizzazione e dosaggio del farmaco, della durata minima di 12-16 settimane.

2. Fase di mantenimento, 6-8 mesi, dove lo scopo è quello di consolidare il risultato ottenuto nella prima fase, evitando le recidive.

3. Sospensione del trattamento, in 4-6 mesi circa. Qui si inizia a ridurre gradualmente il dosaggio arrivando alla sospensione.

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È di fondamentale importanza che il trattamento sia adatto al singolo paziente scegliendo una terapia individualizzata che prenda in considerazione le caratteristiche personali del soggetto, anticipando così i possibili effetti collaterali (Sarti et al., 2000).

PSICOTERAPIA

Terapia Cognitivo-Comportamentale

È la terapia più efficace nel trattamento del disturbo di panico, sia in fase acuta che a lungo termine. Questa, a differenza delle altre terapie, si basa sui sintomi correlati al disturbo e non sulla storia passata o attuale dl soggetto.

Il trattamento di questo disturbo, richiede una particolare attenzione nella gestione delle prime fasi, in quanto le persone con DAP sono convinte di avere una qualche malattia fisica e, inoltre, l’ipersensibilità ai farmaci rende più difficoltoso il tutto.

Intervento Psicoeducativo

Pertanto, bisogna prima del trattamento applicare un intervento Psicoeducativo, che ha l’obiettivo di informare il paziente che è affetto da un disturbo mentale, che questo disturbo non causa la morte del soggetto e che le terapie sono efficaci al trattamento del disturbo, consentendo di entrare in modo consapevole con la terapia che andrà ad attuare. È bene, fornire materiale o libri specifici, che consentano di riflettere su alcune dinamiche disfunzionali del disturbo23.

L’obiettivo è di informarli sui concetti di ansia e sul panico, per aiutarli a reagire alla propria condizione disfunzionale e dopo aver imparato i meccanismi che scatenano l’esordio e quelli che invece causano il mantenimento del disturbo, il paziente potrà controllarli, tutto questo usando il modello del Circolo Vizioso di Clark (1986). Questo modello ha l’obiettivo di far si che i pazienti si rendano conto di quanto le loro interpretazioni siano di rilevante importanza nel circolo del panico.

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Esperimenti dimostrativi

Con il Compito delle Coppie Associate si vuole evidenziare come i pensieri hanno effetti sull’ansia e sulle sensazioni somatiche, di conseguenza pensare a delle cose spiacevoli potrebbe indurre determinate sensazioni corporee. Si presentano al soggetto delle coppie di parole come per es: mancanza d’aria-soffocamento; dolore al petto-infarto etc, e verrà chiesto di leggerle e di soffermarsi su di esse per qualche secondo. Queste parole richiamano i contenuti delle interpretazioni disfunzionali del panico. Il modello cognitivo ha il ruolo di evidenziare quanto i nostri pensieri siano forti, tanto da avere un impatto sia a livello emotivo, comportamentale e fisiologico.

Esposizione Enterocettiva

Si base sugli esperimenti comportamentali, che hanno l’obiettivo di scatenare nel soggetto delle reazioni fisiologiche che solitamente vengono provate durante un vero e proprio attacco di panico. Tutto questo viene fatto per disconfermare i pensieri catastrofici individuando delle interpretazioni funzionali, per mostrare al soggetto come superare un episodio sgradevole. Questi esercizi vengono attuati insieme al terapeuta e successivamente continuati a casa (Homework), con l’obiettivo di ridurre i pensieri catastrofici e aumentare quelli funzionali. Sottolineando come sia il modo di interpretare i sintomi a determinare se l’ansia si tramuterà in panico. Un Es. di esposizione potrebbe essere l’iperventilazione, che aumentando il respiro o diminuendolo porta a sintomi diversi (stordimento, tremolio etc.), tutto questo serve per modificare le risposte emotive del soggetto connessi alla sintomatologia.

Ristrutturazione cognitiva

Le tecniche di riattribuzione cognitiva sono i fondamenti della terapia dei disturbi d’ansia. Si identificano e discutono i pensieri che mantengono la sintomatologia ansiosa, ad esempio le convinzioni di pericolo o la tendenza a catastrofizzare un

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evento spiacevole. Il paziente deve essere preparato ed allenato a riconoscere i propri pensieri automatici e spontanei, i quali possono essere molto rapidi ed istantanei e possono non lasciare più traccia in memoria; l’allenamento nel percepire i propri pensieri ed i propri atteggiamenti è molto importante in quanto attraverso questa procedura il paziente si rende consapevole di come effettivamente modifica il proprio stato emotivo24. Da tale abilità deriva anche il successivo lavoro di revisione e modificazione delle assunzioni generali del paziente. Il lavoro di riconoscimento e ricostruzione degli schemi disfunzionali (solitamente, gli schemi più usuali e frequenti che vengono elaborati da questi pazienti fanno riferimento a tipologie come "vulnerabilità", "fragilità", "mancanza di autonomia", "oppressione", "incapacità di controllo personale", "insopportazione - scarsa tolleranza alla frustrazione", "perfezionismo", "elevati standards") è la chiave del lavoro a più lungo termine, ed in genere la parte più impegnativa del trattamento. Il paziente prende coscienza di come ha costruito certi settori della propria esperienza e delle spiegazioni e teorie personali che utilizza per darsi un significato. Attraverso il lavoro sulle assunzioni disfunzionali il paziente modifica i propri schemi a favore di spiegazioni alternative più realistiche, adattive e concrete.

Le tecniche cognitive più usate in Psicoterapia Cognitiva sono:

- Dialogo Socratico è un metodo di conduzione del colloquio che consiste in una serie mirata di domande ed osservazioni che hanno lo scopo di individuare le convinzioni disfunzionali e a sviluppare un atteggiamento critico nei confronti di queste al fine di apportare delle modifiche25.

- Tecnica della freccia discendente si fonda sul dialogo socratico, consistente nel chiedere progressivamente al paziente il significato dei suoi pensieri automatici, al fine di rilevare le sue convinzioni (o schemi) sottostanti, in relazione a se e al mondo.

- Homework ovvero compiti a casa, promuovono, nel paziente l’esercizio autonomo delle tecniche terapeutiche acquisite durante la seduta. Un Es. possibile di homework

24 Beck, A. T., Emery, G., Greenberg, R.L. (1985). Anxiety disorders and phobias: A cognitive perspective. Basic Books, New York.

25 Beck, J.S. (1995). Cognitive Therapy. Basics and Beyond. New York: The Guilford Press. Trad. ital.: Terapia Cognitiva. Fondamenti e prospettive. Roma: Mediserve, 2002.

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è l’automonitoraggio dei pensieri automatici negativi attraverso la tecnica dell’ABC e gli esperimenti comportamentali.

La Tecnica dell’ABC Al centro di questa tecnica c’è la componente cognitiva ovvero la convinzione. Questa permette di identificare il contenuto dei pensieri automatici rendendo il paziente consapevole del legame tra questi livelli imparando a riconoscerli.

Le tecniche cognitive si basano sulle interpretazioni e sui significati del paziente trasformando i pensieri, le emozioni e il comportamento.

Esercizi usati per la tolleranza verso i sintomi

L’obiettivo di questo esercizio è quello di far comprendere come si può essere capaci di tollerare e gestire un disagio senza sentirsi ansiosi26. Viene usato un diario nel quale il soggetto appunta il disagio provato nei confronti di ciascun sintomo e il grado di intensità. Ciò che si cerca di insegnare è che tutti possiamo tollerare l’ansia, grazie all’esercizio. Il terapeuta, poi, offre al paziente una spiegazione alternativa a quella data dal soggetto invitandolo a trovare i pro e i contro di ciascuna spiegazione.

Esposizione graduata in vivo

L'esposizione graduale è una tecnica che consiste nel programmare la modificazione di un comportamento disfunzionale facendo un piccolo passo alla volta.

Ha l’obiettivo di cambiare il comportamento disfunzionale appreso tramite esperienza, mettendo in discussione le proprie credenze fino ad arrivare alla desensibilizzazione del paziente verso gli stimoli temuti.

Il terapeuta chiede al paziente di scomporre l'obiettivo il comportamento problematico in sotto-obiettivi di difficoltà minore e di esporsi a questi in modo graduale, dando ad ogni situazione una valutazione su una scala d'intensità da 0 a 100. Il paziente ha il compito di rimanere nella situazione temuta fino a quando l'ansia non regredisce.

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Solo dopo si può passare alla situazione successiva, un po’ più difficile della prima. E' di fondamentale importanza non scappare dalla situazione temuta prima che l'ansia scenda, poiché porterebbe ad un aumento dell’ansia.

Il perno centrale di tutto è aiutarli a percepire i sintomi dell’attivazione ansiosa portandoli alla disconferma delle loro convinzioni fino al loro superamento. Col tempo il paziente farà esperienze sempre più positive, ciò lo porterà ad avere più fiducia nelle sue risorse e a non mettere in atto comportamenti disadattivi come l’evitamento o la fuga. L’obiettivo di questo trattamento è, quindi, quello di sviluppare nel paziente un atteggiamento più adattivo e funzionale.

Training di rilassamento muscolare progressivo

È stato ideato nel 1928 da E. Jacobson27, lo scopo del training di rilassamento progressivo è quello di allenare il paziente a raggiungere in modo progressivo una completa e profonda distensione muscolare.

A tale scopo, una volta sdraiato, il paziente viene istruito a produrre esercizi di contrazione e rilassamento muscolare, con l’obiettivo finale di imparare a prestare attenzione alle sensazioni prodotte dai muscoli tesi e rilassati, apprezzando la differenza tra le due condizioni. Per la buona riuscita del training, è cruciale un’adeguata spiegazione della tecnica da parte del terapeuta che metta in evidenza in cosa consiste la tecnica, le sue finalità in relazione ai problemi da risolvere e la necessità di un allenamento quotidiano al di là delle sedute.

La tecnica, se ben condotta e ripetuta, produce effetti non solo sulla riduzione dell’attivazione psicofisiologica, ma anche un effetto cognitivo indiretto: infatti, il paziente sperimenta un aumento del senso di controllo sull’ansia e un’aumentata percezione di un potere personale sulle proprie risposte fisiologiche.

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Il Training Autogeno

È una tecnica di rilassamento nata agli inizi del ‘900, grazie agli studi dello psichiatra tedesco Johannes H. Schultz28.

La tecnica si basa su degli esercizi di concentrazione che si focalizzano su diverse parti del corpo, il cui obiettivo è quello di sviluppare un generale stato di rilassamento sia a livello fisico che psichico.

Perno centrale di questo metodo è la possibilità di acquisire, attraverso esercizi "mentali", delle effettive modifiche corporee, che di conseguenza modificano la sfera psichica dell’individuo. Essendo mente e corpo strettamente legate, producono modificazioni nelle funzioni organiche e viceversa.

Al fine di ottenere questo stato generale di calma psicofisica è necessario fare un allenamento che consiste in ripetuti esercizi di concentrazione, ottenendo sempre più consolidate risposte di distensione.

Quindi il regolare e costante allenamento fa sì che la distensione e il benessere psicofisico, si producano in modo automatico e spontaneo e non attraverso una ricerca attiva, da ciò il termine autogeno.

Mindfulness

La pratica Mindfulness, nasce nell’ambiente dei monaci buddisti e il fulcro di tutto è, come dice Kabat-Zinn, “porre attenzione in modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante”29. Questa tecnica unisce la tecnica

Samatha (quiete mentale) alla tecnica Vipassiana (chiara visione). Gli assunti di base sono: 1- modalità dell’essere (cambia il modo di relazionarsi con pensieri e sentimenti); 2- modalità del fare, la mente si attiva quando percepiamo le cose in modo diverse da come avremmo voluto, ciò porta a due effetti: emotivo (frustrazione/ansia) a livello comportamentale (si riduce la discrepanza tra reale e ideale) se non accade questo il soggetto resta in sospeso; 3- consapevolezza, ovvero prestiamo attenzione a ciò che di solito ignoriamo; 4- accettazione non giudicante,

28 Schultz, J.H. (1971). Il training autogeno: esercizi superiori. Vol. I e II. Milano: Feltrinelli.

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ovvero accettare le cose per come sono come se le vedessimo per la prima volta; 5- lasciar andare, ovvero tornare alla consapevolezza presente, la mindfulness ci aiuta a vivere in mezzo, a vivere l’intera catastrofe, tutto è passeggero; 6- inter-essere, cogliere la prospettiva olistica e contestuale; 7- equanimità, si riferisce alla capacità di mantenere la serenità di fronte alle difficoltà della vita; 8- impermeabilità, ovvero che ogni cosa è soggetta a continui cambiamenti. L’obiettivo è ridurre lo stress legato all’ansia; il principio fondamentale è che ciò che non può essere modificato va accettato e inoltre, tutto ciò che concerne passato e futuro porta a sentimenti di ansia/depressione. Lo scopo di tutto è prendere consapevolezza degli eventi mentali in modo da non farci condizionare nei comportamenti.

ACT

ACCEPTANCE AND COMMITMENT THERAPY

Mira a aumentare la consapevolezza di sé, l'accettazione e la capacità di allontanarsi dai brutti pensieri, osservandoli in maniera più distaccata; ulteriore obiettivo è quello di aumentare la flessibilità psicologica (qui e ora), agendo in linea con i valori della propria vita. E’ un approccio terapeutico innovativo, basato sulla Mindfulness, che promuove la “flessibilità psicologica” a discapito dell’inflessibilità e che consente di superare i momenti critici e di vivere pienamente il presente basandoci sui propri valori.

L’Acceptance and Commitment Therapy si basa su tre punti fondamentali:

1. Mindfulness: è un modo di osservare le esperienze della nostra vita. Essa ci permette di guardare al proprio dolore, piuttosto che usare quest’ultimo per guardare il mondo.

2. Accettazione: se non riusciamo ad accettare il dolore, questo ci intrappolerà in esso trasformando l’esperienza in qualcosa di traumatico, amplificandole sensazioni. 3. Impegno e vita basata sui valori: L’ACT invita a uscire dalla propria mente ed entrare nella propria vita mettendo in atto delle azioni che siano in linea con i propri valori.

Secondo l’ACT le persone sono influenzate profondamente dal dialogo interno (pensieri, immagini, giudizi etc.), che se connotato negativamente causa delle

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problematiche. Essere consapevoli di questa fusione tra sé e il linguaggio rappresenta, quindi, il primo passo per aumentare la propria flessibilità psicologica. Il processo che porta alla consapevolezza prende il nome appunto di "defusione cognitiva” ("cognitive defusion"). Le tecniche per promuovere la defusione cognitiva sono moltissime: osservare i pensieri con distacco, immaginare le parole scritte su uno schermo davanti a sé, ripeterle più volte, declamarle ad alta voce fino a che non diventano un suono senza significato o cantarle come una filastrocca. Si noti come in nessun caso questi pensieri vengono messi in discussione o confutati, contrariamente alla terapia cognitivo- comportamentale standard. Qui, si apprende il modo migliore per usare il linguaggio, ovvero come strumento utile a descrivere, non giudicare, gli eventi e a controllare il comportamento.

EMDR

L'Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) ovvero desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari, è un approccio psicoterapico creato dalla Psicologa americana Francine Shapiro nel 1987 per ridurre diversi disturbi emozionali30. L'EMDR agisce direttamente sull'attività cerebrale del paziente, usando i procedimenti naturali della fase del sonno rem del "rapid eye moviment". L’EMDR segue un protocollo strutturato, dove il terapeuta aiuta il paziente nella descrizione dell'evento facendo affiorare gli aspetti disfunzionali e i pensieri connessi all’evento. Come afferma la Dottoressa Shapiro l'EMDR, si rivolge a: esperienze passate, alle cause attuali di stress, ai pensieri rivolti al futuro.

Le componenti fondamentali dell’EMDR sono31:

· Il repertorio di immagini: il paziente sceglie l’immagine più disturbante di quel ricordo.

· La cognizione negativa: è un’interpretazione del paziente sull’opinione di sé che emerge dal ricordo.

30 Shapiro F. (2011), L’EMDR e la concettualizzazione del caso secondo la prospettiva dell’Adaptive Information Processing, in Manuale di EMDR e terapia familiare, a cura di Shapiro F., Kaslow F. W., Maxfield L., Ferrari Sinibaldi, Milano.

31 Greenwald R. (2000), L'EMDR con bambini e adolescenti, traduzione di Angelina Cunsolo, Astrolabio, Roma.

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Alcuni esempi di cognizioni negative più comuni: “Sono una persona cattiva”,

· La cognizione positiva: rappresenta l’obiettivo del trattamento, ovvero come il paziente potrà vedere se stesso. Un esempio più frequente: “Sono una brava persona”.

· La scala di Validità di Cognizione (VOC): è una scala che permette al terapeuta e al paziente di osservare i progressi realizzati durante e dopo l’EMDR, in quanto dà una misura di quanto il paziente consideri veritiera l'informazione positiva che si desidera installare con il procedimento.

· L’emozione: il paziente deve esternare la reazione emotiva rispetto all’immagine del ricordo che ha scelto (paura, rabbia, tristezza etc.).

· La Scala delle Unità Soggettive di Disturbo (SUD): consente al terapeuta e al paziente di verificare i progressi ottenuti durante e dopo l’EMDR, in quanto indica l'intensità del disturbo percepito dal paziente, e consiste nel misurare quanto è intensa l’emozione negativa attuale su una scala che va da 0 a 10, dove 0 indica “assenza assoluta di disturbo” e 10 “disturbo il più intenso possibile”.

· La sensazione fisica: è considerata parte integrante del ricordo, poiché le caratteristiche delle tracce mnestiche sono anche conservate nel corpo. Gli stati affettivi non integrati adeguatamente, sopravvivono in stati somatici32. Al paziente viene chiesto di esprimere in quale parte del corpo sente la sensazione fisica che accompagna quel ricordo. Tra le sensazioni più frequenti ritroviamo: nausea, stanchezza e tensione localizzata.

· I movimenti oculari: il terapeuta induce rapidi movimenti oculari bilaterali

muovendo le sue dita al ritmo di circa un movimento avanti e indietro al secondo, a una distanza di circa 30-60 cm dal viso del paziente.

. I movimenti oculari permettono l’accesso al ricordo-target, la sua elaborazione e integrazione.

La seduta generalmente è strutturata e inizia invitando la persona a rievocare l’evento traumatico e a focalizzarsi sui sintomi percettivi (tachicardia, dolore allo stomaco, formicolio delle gambe o delle braccia). Contemporaneamente, lo psicoterapeuta farà oscillare a destra e a sinistra due dita di una mano all’altezza degli occhi del paziente

32 Van der Kolk B. (1994), The body keeps the score: Memory and the evolving psychobiology of post-traumatic stress, Harvard Review of Psychiatry, 1, p. 253-265.

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chiedendo al paziente di seguirle con lo sguardo. Così facendo vengono stimolati i due emisferi cerebrali, sia quello destro (parte emotiva), che quello sinistro (cognitivo). Come conseguenza l’aspetto disturbante del ricordo traumatico viene risolto, ottenendo, così, una ristrutturazione delle cognizioni associate e una visione più positiva ed adattiva33.

Si pensa che i traumi siano ancora così “traumatici” perché non sono stati elaborati dall’emisfero sinistro, ma sono rimasti bloccati in quello destro. Pertanto con la stimolazione bi-emisferica avviene l’integrazione tra i due emisferi, così finalmente il trauma passerebbe nella dimensione ricordo.

33 Wilson S.A., Tinker R.H., Becker L.A. (1995), Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) Treatment for Psychologically Traumatized Individuals, Journal of Consulting and Clinical Psychology, Vol. 63, No. 6, p. 928-937.

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CAPITOLO II

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VIOLENZA ESTREMA, FONDAMENTALISMO E RICERCA

DELL’ASSOLUTO

Dobbiamo innanzitutto chiarire, per un corretto approccio metodologico, che il terrorismo non è “uno”: è più di uno. Si dovrebbe parlare di terrorismi al plurale, anche tenendo conto che nella storia più volte e con facce differenti tale problema si è manifestato.

Tuttavia, mai come oggi il terrorismo ha assunto una veste tanto estesa sulla faccia del pianeta; mai come oggi esso è in grado di diffondersi a macchia d’olio e velocissimamente; mai come oggi esso viene percepito come un problema di rilevante gravità e urgenza; mai come dall’inizio del Terzo Millennio esso ha assunto una complessità che lo rende al tempo stesso variegato ma anche fortemente incentrato su almeno due punti nodali:

1) il radicalismo fondamentalista di matrice islamica;

2) la versione estrema, per cui l’omicidio (l’indiscriminata strage di massa) e il suicidio (dell’aggressore, indirettamente o direttamente eseguito) convergono sino al punto da coincidere.

Come vivere al tempo del terrorismo?

Quanto vale la vita umana sotto l’incubo del terrorismo estremo? Si riesce a sopravvivere?

Si riesce a vivere? Prevarrà l’insicurezza?

Si riuscirà mai a tornare alla perduta sicurezza?

Per soddisfare queste cruciali e quotidiane domande (implicanti non facili risposte) è necessario cominciare a chiarirsi le idee. Almeno qualcuna.

La tragicità, sempre più marcata, dell’attuale terrorismo internazionale richiede almeno una duplice chiave di lettura di fondo.

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Da un lato l’approccio macroscopico e oggettivo, incentrato sull’analisi delle strutture politiche, economiche e ideologiche, in questo attuale momento storico che vede un terrore di netta matrice islamica fondamentalista, con le fortissime spinte della radicalizzazione, del jihadismo e dell’IS, per cui viene seriamente minacciata la

“sicurezza oggettiva” dell’Occidente.

Dall’altro lato, l’approccio microscopico e soggettivo, incentrato sull’analisi delle strutture culturali, emozionali ed etiche, con il conseguente aspro conflitto fra due “universi mentali”, con l’annesso obbligo di tracciare vari profili (sociale, relazionale, cognitivo, affettivo, personologico e psicopatologico) dell’individuo terrorista (e anche della sua vittima), al fine, soprattutto, di ripristinare per l’Occidente quella “sicurezza soggettiva” oggi messa a dura prova.

Il terrorismo del XXI secolo è un fenomeno estremamente complesso, con lunghe radici che affondano in mille meandri della storia. Nel presente libro si è tuttavia scelto di fornire un punto di vista che inquadra l’attualità e alcune principali componenti di ordine prevalentemente psico-socio-culturale.

Sugli errori, sulle debolezze, sulle responsabilità e sulle risorse dell’Occidente (in realtà del Mondo nella sua interezza) nella “lettura” del terrorismo e nella necessità di imparare a conoscere intimamente questa subdola minaccia alla Pace, ecco qui di seguito sinteticamente accennati alcuni punti nodali (ripresi nei capitoli del presente libro) fra i tanti problemi che necessitano di urgenti e “radicali” (sic! questa volta la parola è positiva...) misure risolutive.

Il terrorismo contemporaneo vede da un lato un aggressore “spietato” (nel senso letterale del termine), talmente privo di pietà da non provarla nemmeno per stesso: l’Aggressore è estremo, assoluto, radicale, suicidale. Questa è la sua arma principale: ed è un’arma non solo materiale ma anche psicologica. Cosa mai può fare, per difendersi, colui che subisce l’azione di quest’arma?

Per la vittima si configura un’enorme stimolo per risolvere un’enorme (ed imprevisto) problema, il cui tentativo di soluzione richiede “forza e coraggio”, calma e fermezza, volontà e determinazione, intelligenza e creatività.

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La violenza senza limiti nasce da una concezione che, come una radicale potatura, taglia tutto ciò che viene ritenuto superfluo, anomalo, non allineato, blasfemo, eretico, nemico. Lungo questa linea risulta “logico” il sorgere di un atteggiamento e di un comportamento “inflessibili”, i quali proprio per tale caratteristica infondono al terrorista una granitica “certezza”, la certezza di essere nel giusto e quindi di avere il diritto di “sorvegliare e punire” (tanto per riprendere la famosa espressione di Michel Foucault): il fatto è che la punizione è totale, per cui la “potatura” arriva sino alle

radici e alle fondamenta (del Pensiero e della Vita). L’azione del terrorista

postmoderno non può essere che mortifera in toto. L’autentico estremismo terroristico non può non essere imbevuto di una ideologia tanatologica (Thánatos domina sul Mondo). La Morte è psicologicamente il “motore psichico” dell’individuo caratterizzato dalla “no limits violence”. Si è in presenza di due elementi “terreni” (il sistema delle idee e la morte) che tendono all’Assoluto Ultra-Terreno, per cui sono facilmente convergenti fra loro. L’Idea e la Morte si attirano a vicenda. Essendo la Morte un fatto psicologicamente archetipico, essa si fonde con la Causa, per la quale è nobile (anzi, quasi obbligatorio) morire. Per un siffatto individuo si ha una identificazione “adesiva” (che “aderisce”, che è incollata) con la Causa, proprio perché si tende (almeno ideologicamente) al Trascendentale, alla Perfezione, al Divino, all’Infinito. La violenza estrema appare chiaramente quale “ricerca dell’Assoluto”. Una ricerca che appare “spasmodica”, nel vero senso della parola. Ma, attenzione! A ben vedere, scendendo nel concreto, questa spinta per il terrorismo è tale non in senso autenticamente trascendentale - il che comporterebbe il processo psichico della “sublimazione” (implicante una religione mondata dell’aggressività) - bensì nel senso “terra terra” del volere e pretendere il Potere su questa Terra. Quindi, non nell’“Al di la” ma nell’“Al di qua”, non nel “la e allora” ma nel “qui ed ora”. Si tratta pertanto di un Assoluto Relativo, per cui il “dio” (quale esso sia) viene “messo in mezzo” e umanamente strumentalizzato. Secondo una certa “logica” i fondamenti e le radici “spiegano” (e “giustificano”) tutto. Se si possiede il “dono” di padroneggiare il Tutto (per l’appunto: totalitarismo), la tensione è massima, anzi infinita. Anche la psiche non conosce limiti, compresa la decisiva tensione motivazionale. Sul piano culturale ed etico ciò corrisponde ad un sistema valoriale ritenuto perfetto. Una delle grandi debolezze dell’Occidente è

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proprio la seguente: aver creato grandi valori in sé, in astratto, ma che nel quotidiano troppo spesso vengono vissuti blandamente, con poca concretezza, sicuramente non con l’assoluto fervore che invece “muove” (per l’appunto: iper-motivazione psicologica) gli assalitori dell’Occidente. L’Idea, la Causa, la Fede/Fiducia del terrorista si intrecciano con l’esplosiva energia psichica, diventando armi terribili e letali.

Il “foreign fighter” ricopre un curioso e ambiguo ruolo di “migrante”: è nato qui, con origini la, cresciuto qui, con la testa là, educato qui, lavorato qui e/o incarcerato qui, andato la, combattuto la, forse morto la, se non morto la forse tornato qui a spargere la morte qui, sempre con la testa la... Sembra una filastrocca infantile, ma è cruda, crudissima realtà. Come è possibile non riflettere sulle scissioni intrapsichiche e sulle complesse e tormentate identità di chi cerca (raramente con successo) di ricoprire le tante sfaccettature di questo strano migrante del XXI secolo? Come non ipotizzare, anzi riscontrare, in questo attuale e particolarissimo terrorista aspetti di nevrosi e psicosi, elementi di piccolo o grande disagio/disturbo/ malattia esistenziale? Quando mai nel passato (ma adesso si, lo si può fare!) la forma mentis di un occidentale “medio” avrebbe potuto immaginare una simile tortuosità culturale e geografica, psichica ed etica?

Il terrorismo (soprattutto quello “interno/nativo”, quello generato “dentro”) è la più eclatante confutazione di una famosa ed ottimistica metafora sul modello di vita occidentale. In realtà, la teoria è sostanzialmente falsa: altro che “melting pot”, altro che pentola di “fusione”: ben che vada, si ha una “mosaic society”. Non basta: si tratta di un mosaico abbastanza povero di collante. E ancora, talvolta non solo manca del tutto la colla, ma addirittura si hanno “tessere” rovinate, sbeccate, che non combaciano l’una con l’altra, che non si incastrano l’una con l’altra invece di formare il tessuto comune per un disegno unitario, comprensibile, benefico e piacevole. Già il termine è ambiguo, riferendosi (come opposto a “malattia mentale”) solo ai casi più gravi (la cosiddetta “follia”, i cosiddetti “matti”, i cosiddetti “incapaci di intendere e di volere”). In realtà già Sigmund Freud, con l’intera sua opera e in particolare con il geniale titolo di un suo saggio (Psicopatologia della vita

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per lo meno “non perfettamente in salute dal punto di vista psicologico”. Paradossalmente, proprio il terrorismo attuale mette a nudo la fragilità dell’equilibrio psichico degli individui e delle comunità. Il terrorismo compie, senza volerlo, una

provocatoria azione psicodiagnostica: va a scoperchiare il “tranquillo e sonnolento

tran tran” del Mondo Occidentale, mettendo a nudo i “nervi” delle sue fragilità intrapsichiche e di relazione. L’Essere Umano in generale, e quindi non solo il terrorista ma proprio l’abitante standard del Mondo Post-Moderno, è diffusamente nevrotico e, in minor misura, afflitto da disturbi psichici di media/grave entità. Pertanto, occorre sfruttare questo brusco risveglio; occorre trarre insegnamento dal Male (come tante volte accade per la medicina organica); occorre accettare il fatto che il terrorismo concede l’opportunità di riflettere al di la di se stesso, cioè riflettere sul Ben-Essere di fondo nella Vita; occorre gestire la “crisi” sfruttandola creativamente e trasformando i problemi in risorse; occorre sviluppare la duplice resilienza (contro il terrorismo e contro i germi psicopatogeni dello stile di vita occidentale); in particolare, occorre prendere atto della profonda e diffusa condizione di difficolta esistenziale, per cui, citando il provocatorio titolo di un libro di Erich Fromm (The sane society), bisogna riconoscere i difetti di un modus vivendi (quello Occidentale Post-Moderno) che, di certo, non è “mentalmente sano”.

Il terrorismo che oggi conosciamo (nelle sue principali sfaccettature: quello generato da tanti fattori negli ultimi decenni, quello estremo-suicidale, quello jihadista) è una cinica strumentalizzazione della religione islamica e delle ovvie differenze (non necessariamente conflitti aggressivi!) fra le varie religioni, in particolare fra quella musulmana e quella cristiana. Queste differenze comportano tensioni fra due civiltà, fra due culture, fra due concezioni del mondo, fra due stili di vita: tali tensioni, comprensibili alla luce delle divergenze fra i significati dell’esistenza terrena-ultraterrena, vengono esasperate dal terrorismo e da questo rese assolute ed insolubili. Attenzione: la tesi della assolutezza-insolubilità non è vera. Il terrorismo ha torto, il terrorismo non si limita a produrre il Male (fisico e psichico) ma, cosa forse ancor peggiore, si basa pure su un grandioso e menzognero progetto (ideologico e politico, sociale e culturale, religioso e valoriale) che rischia di inquinare le menti. Il terrorismo – ha lo scopo di prendere il Potere (ogni forma di potere: in ogni caso un potere terreno, temporale, secolare, poco ultra-terreno!) -

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