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La tutela delle vittime della violenza domestica nel solco tracciato dagli ordini di protezione contro gli abusi familiari.

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LA TUTELA DELLE VITTIME DI VIOLENZA DOMESTICA

NEL

SOLCO

TRACCIATO

DAGLI

ORDINI

DI

PROTEZIONE CONTRO GLI ABUSI FAMILIARI.

INDICE

Introduzione ... 7

CAPITOLO 1 - LA VIOLENZA DOMESTICA NEL PANORAMA EUROPEO ED ITALIANO: EXCURSUS STORICO E GIURIDICO DELLA STESSA E DEI FENOMENI AD ESSA COLLEGATI, FINO AGLI ORDINI DI PROTEZIONE. 1. Premessa ... 12

2. I concetti di violenza domestica ed abuso ... 18

2.1 I maltrattamenti in famiglia: analisi giurisprudenziale e dottrinale ... 20

2.2 Species: la violenza domestica ... 24

2.2.1 La violenza di genere: implicazioni in ambito familiare ... 26

2.3. Il reato di atti persecutori: il cosiddetto “stalking” ... 28 2.4. L’abuso sessuale su donne e bambini: alcuni dati

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di riferimento ... 32 2.5. L’intervento legislativo all’abuso ... 34 3. Lo scenario europeo: come risponde alla violenza

domestica la Comunità europea? ... 37 3.1. La Convenzione di Lanzarote ... 39 3.2. La Convenzione di Istanbul: una tutela effettiva alla

violenza contro le donne ... 40 3.3 I più recenti sviluppi normativi ... 43 4. Rilevanza del fenomeno in Italia: gli interventi nazionali nell’approccio alla violenza. Considerazioni conclusive. .. 44 5. Il DDL per la tutela degli orfani vittime di un crimine

domestico ... 48

CAPITOLO 2 - GLI ORDINI DI PROTEZIONE CONTRO GLI

ABUSI FAMILIARI: MISURE PROTETTIVE DELLE

FONDAMENTALI LEGGI N.154/2001 E N. 149/2001, NELL’OTTICA DEL DOPPIO BINARIO DI TUTELA.

1. Inquadramento generale della disciplina ... 51 1.1. Legittimità costituzionale e concreta applicazione

delle misure protettive nel sistema italiano. ... 61 2. Genesi degli ordini di protezione contro gli abusi familiari.

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3

Da modello penale a quello civilistico, percorrendo la strada del doppio binario di tutela ... 65 2.1. Durata e natura degli ordini di protezione ... 74 3. Potestà genitoria e affidamento condiviso: la normativa a tutela dei minori vittime di violenza endofamiliare ... 78 3.1 Principio di bi genitorialità e qualificazione

dell’illecito endofamiliare: il diritto al risarcimento dei

danni. ... 83 4. Provvedimenti a tutela della prole: rimedi applicabili contro la violazione dei diritti del figlio. ... 88 4.1 Abuso a danno di minori: problema del coordinamento delle discipline introdotte dalle riforme del 2001. ... 93 5. Legge 4 aprile 2001, n. 154: misure contro la violenza domestica nelle relazioni familiari. Ambito soggettivo di applicabilità. ... 96 5.1 Il grave pregiudizio all’integrità e alla libertà della vittima: presupposti oggettivi degli ordini di protezione... 100 6. Contenuto delle nuove misure protettive: considerazioni preliminari ed analisi dei singoli ordini di protezione, nel loro contenuto necessario ed eventuale... 108 6.1 L’allontanamento dalla casa familiare. ... 114 6.2. Le misure protettive “eventuali”, e le sanzioni in caso di inosservanza. ... 116

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6.2.1. L’intervento dei Servizi sociali e dei Centri di mediazione: strumento e risorsa al cambiamento familiare e socio- culturale. Cenni. ... 121 6.3 Profili processuali. ... 125 7. Il versante penalistico nella tutela delle vittime di

maltrattamenti od abusi: l’articolo 282-bis del codice di rito penale... 127 8. Note conclusive e rilievi critici. ... 134

CAPITOLO 3 - L’EVOLUZIONE COMUNITARIA A

TUTELA DELLE VITTIME DI ABUSI: L’ORDINE EUROPEO

DI PROTEZIONE.

1. Considerazioni preliminari. La tutela a livello penale e a livello civile, nel solco della c.d. “road map” del

Parlamento europeo e del Consiglio. ... 136 2. Finalità e ambito di applicazione dell’European Protection Order. ... 142 2.1. I presupposti essenziali per la realizzazione della

cooperazione giudiziaria. ... 145 3. La trasposizione della Direttiva 2011/99/UE nel nostro ordinamento: il Decreto Legislativo 11 febbraio 2015, n.9 e

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la procedura di emissione dell’ordine europeo di

protezione. ... 147 3.1. La procedura passiva: il riconoscimento interno dell’OPE emesso all’estero. ... 153 4. La protezione europea della vittima in ambito civile: il Regolamento (UE) n. 66 del 2013. ... 158 5. Note conclusive. ... 162 6. Profili complementari: gli ordini di protezione nella

normativa interna e sovranazionale dei principali

ordinamenti giuridici europei. ... 164 6.1. Rilievi critici. ... 171 6.2. Recepimento ed attuazione della Direttiva 2011/99/UE nel panorama comunitario. ... 171 7. Un caso che ci riguarda da vicino: analisi e commento della recente sentenza Talpis vs Italy della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. ... 176 7.1. La cornice normativa nazionale e sovranazionale in materia di domestic violence e gender-based

violence. ... 181 7.1.1. Il giudizio della Corte. ... 184 7.1.2. Considerazioni conclusive. ... 191

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Conclusioni ... 194 Bibliografia ... 200 Ringraziamenti ... 221

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INTRODUZIONE.

La famiglia costituisce l’ambiente per eccellenza per lo sviluppo e la realizzazione della personalità dell’individuo che vive all’interno di una società, e per i rapporti paritari e di reciproca fiducia che si instaurano tra i suoi componenti; questa affermazione la troviamo sancita a chiare lettere all’interno della nostra Carta Costituzionale attraverso la lettura congiunta dell’articolo 2, il quale stabilisce che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e dell’articolo 29 il quale, dopo aver qualificato la famiglia come “società fondata sul matrimonio”, si preoccupa di precisare che “il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.

Nonostante la nostra Carta Costituzionale, così come altri documenti europei, affermino a chiare lettere il principio di parità e l’emancipazione economica e sociale della donna, è ancora presente nella società una lettura distorta del ruolo femminile (nella famiglia e non solo). Lo stesso vale per i minori, la cui

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situazione di debolezza rispetto agli adulti è stata solo parzialmente ridotta dal riconoscimento agli stessi di interessi legittimi e poi di diritti nei confronti dei genitori.

La persistente presenza di una figura dominante nella famiglia (per lo più maschile, ma non solo) è alla base, insieme ad altri fattori, della trasformazione del luogo di svolgimento della personalità dei singoli in luogo di mortificazione per effetto del fenomeno della violenza domestica.

In tale situazione, il ruolo del legislatore diventa essenziale per realizzare un equilibrio tra gli appartenenti al nucleo familiare e creare un regime di tutela nei confronti della vittima primaria, ma anche delle eventuali vittime indirette (quali, ad esempio, i figli dell’abusato/a).

Proprio per questi motivi, l’obiettivo di questo lavoro di tesi è incentrato sulla disamina delle problematiche relative a situazioni di violenze ed abusi (specie quando vengono perpetrate all’interno dell’ambito familiare) e sugli strumenti di difesa delle vittime previsti dal nostro ordinamento e dagli ordinamenti europei.

La Legge di riferimento è la n. 154 del 2001, con la quale per la prima volta vengono introdotti gli “Ordini di protezione contro gli

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abusi familiari”, quali strumenti volti ad ostacolare il fenomeno della violenza domestica, a fronte dell’inadeguatezza di quelli tradizionali già presenti all’interno del nostro ordinamento.

Si tratta di provvedimenti dal contenuto necessario ed eventuale, graduabili a seconda delle esigenze del caso concreto, con cui si vuole fornire una reazione immediata a situazioni pregiudizievoli per l’integrità fisica e psichica e per la libertà della vittima di aggressioni. L’ottica in cui si muove il legislatore è ricoprire sia l’area civile che quella penale; solo in quest’ultimo caso, tuttavia, gli ordini di protezione sembrano aver trovato un riscontro maggiore. In ambito civile, al contrario, tale strumento sembra non aver raggiunto gli obiettivi che la legge stessa si era prefissata, facendo emergere la necessità di tutele sempre più forti verso gli individui che la società indica come “soggetti deboli” della famiglia.

A livello europeo, la disciplina a tutela delle vittime di crimini domestici si rinviene nella Direttiva 2011/99/UE e nel suo corrispondente civilistico, il Regolamento 2013/66/UE, riguardanti l’European Protection Order (EPO). Ulteriore obiettivo di questa tesi, pertanto, sarà quello di individuare il sistema di protezione previsto da una disciplina multilivello.

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La tesi è incentrata essenzialmente sull’identificazione delle nozioni di “violenza” ed “abuso” e sulla disciplina degli Ordini di protezione sia a livello nazionale che comunitario.

Innanzitutto, si intende analizzare l’evoluzione normativa del concetto di famiglia e di violenza domestica; i problemi giurisprudenziali e dottrinali relativi ai maltrattamenti e al recente reato di atti persecutori, e si cercherà di delineare i tratti più salienti dell’evoluzione storica e giuridica del panorama europeo, relativamente a tale fenomeno.

In seconda battuta, l’attenzione sarà totalmente incentrata sulla disciplina degli ordini di protezione, comprendendo tutte le novità introdotte dalla Legge n. 154/2001 sia in ambito civilistico che in ambito penalistico; verrà effettuata un’analisi completa ed esaustiva dei vari strumenti e del procedimento specifico per l’emissione di tali provvedimenti, nonché un confronto con l’altra importante Legge del 2001 – la numero 149 – contenente disposizioni a tutela del minore in caso di abusi. All’interno di tale excursus, sarà presente la giurisprudenza più importante nazionale e sovranazionale.

Infine, per completezza d’indagine, si analizzerà la disciplina dell’Ordine di protezione europeo, nella sua procedura sia attiva che passiva, per poi passare ad una disamina della normativa

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interna e sovranazionale degli strumenti protettivi nei principali ordinamenti europei. Infine, verrà commentata la sentenza Talpis v. Italy, evidenziando le principali cause che hanno portato alla condanna dell’ordinamento italiano.

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CAPITOLO 1

LA VIOLENZA DOMESTICA NEL PANORAMA EUROPEO

ED ITALIANO: EXCURSUS STORICO E GIURIDICO

DELLA STESSA E DEI FENOMENI AD ESSA

COLLEGATI, FINO AGLI ORDINI DI PROTEZIONE.

1. Premessa.

Il punto di partenza dell’analisi di tale elaborato, riguardante il fenomeno della violenza domestica e l’introduzione nel nostro ordinamento dei c.d. “Ordini di protezione contro gli abusi familiari”, con attenzione particolare per la persona del minore, è necessariamente la famiglia, luogo di sviluppo della personalità del bambino e fulcro di ogni suo rapporto.

L’articolo 29 della nostra Carta Costituzionale definisce la famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”, consacrando – dunque – il modello tradizionale di famiglia, come confermato anche dalle pronunce della Corte Europea dei Diritti

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dell’Uomo1 la quale, tuttavia, nel corso degli anni ha mutato la

propria giurisprudenza, in linea con l’evoluzione della società e dei rapporti umani che, inevitabilmente, assumono rilevanza pregnante2. Il rapporto che l’ordinamento giuridico ha instaurato

1 Si veda, a titolo esemplificativo, la pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, pronuncia n. 22985 “Sheffield e Horsman vs Regno Unito”, 30 luglio 1998, in Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, 2006, 02, 723: “Garantendo il diritto di sposarsi, l'art. 12 si riferisce al matrimonio tradizionale tra due persone di sesso biologico diverso. La sua formulazione lo conferma: ne risulta che lo scopo perseguito consiste essenzialmente nel proteggere il matrimonio come fondamento della famiglia. Inoltre, come precisa l'art. 12, tale diritto obbedisce alle leggi nazionali degli Stati contraenti per quanto concerne il loro esercizio. Le limitazioni che ne derivano non devono restringerlo o ridurlo in modo o ad un livello tale da pregiudicarlo nella sua stessa sostanza, ma non si può attribuire un tale effetto al divieto di matrimoni tra persone non appartenenti a sessi biologici diversi. L'attaccamento al concetto tradizionale di matrimonio sotteso all'art. 12 della Convenzione è un motivo sufficiente per continuare ad applicare criteri biologici per determinare il sesso di una persona a fini matrimoniali, poiché tale materia attiene al potere di cui godono gli Stati contraenti di disciplinare con legge l'esercizio del diritto di sposarsi.”

2 Si veda: Corte europea dei diritti dell’uomo, Sezione I, pronuncia n. 30141 “S&K vs Austria”, 24 luglio 2010, in Il civilista, 2010, 10, 17: “La Corte reputa di dovere mutare la propria giurisprudenza e, dunque, non considererà più che il diritto al matrimonio è riconosciuto solo a persone di sesso diverso, approdando ad una concezione contemporanea ed evoluta che riconosce a tutti il diritto in questione e, dunque, anche alle persone omosessuali. La Corte pure annuncia che le relazioni omosessuali non saranno più comprese soltanto nella nozione di "vita privata", ma nella nozione di "vita familiare" pure contenuta nell’art. 8. Contestualmente, però, la Corte ribadisce che è riservato allo Stato, poi, disciplinare ed introdurre l’istituto del matrimonio omosessuale a livello statuale”; Corte europea dei diritti dell’uomo, Sezione Grande Chambre,

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con la famiglia non è rimasto immutato nel tempo, ma ha subito delle trasformazioni, in primis dalla riforma del 19753, che hanno

portato ad una nuova visione della famiglia, all’interno della quale oggi risultano essere prevalenti gli interessi del singolo individuo -

pronuncia n. 29381 “V vs Grecia”, 7 novembre 2013, in Guida al diritto, 2013, 47, 103: “Gli Stati non hanno un obbligo di adottare misure positive volte a riconoscere unioni civili per coppie dello stesso sesso ma, nel momento in cui emanano una legge sulle unioni civili per coppie eterosessuali, non possono prevedere un'esclusione per coppie dello stesso sesso. Costituisce una violazione del diritto al rispetto della vita familiare e del divieto di ogni discriminazione l'assoluta impossibilità per coppie dello stesso sesso di accedere alle unioni civili anche considerando che si trovano in una situazione analoga alle coppie eterosessuali”.

3 Legge 19 maggio 1975, n. 151 “Riforma del diritto di famiglia”. Disciplina fondamentale contenuta nel libro I del Codice Civile, dedicato appunto alla famiglia. Tale legge apportò modifiche volte ad uniformare le norme ai principi costituzionali; tra le principali innovazioni di nostro interesse: riconoscimento parità giuridica dei coniugi, unità di tutela per figli legittimi e figli naturali, sostituzione della patria potestà con la potestà di entrambi i genitori (ora “potestà genitoriale”).

La materia nel corso degli anni ha subito ulteriori modifiche; tra le principali:

- Legge n. 431/1967: integra le norme del codice relative ad adozione e affido, poi riformate con legge n. 184/1983 e con legge n. 149/2001

- Legge n. 898/1970: introduce l’istituto del divorzio

- Legge n. 54/2006: c.d. legge sull’affidamento condiviso; rivoluziona l’assetto dei rapporti genitori-figli cos’ come disciplinato dal codice

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che all’interno della stessa si “auto-realizza”4 - piuttosto che

quelli del nucleo familiare unitariamente considerato.

La famiglia, dunque, può essere considerata un “fenomeno sociale totale”, cioè una struttura dove vi è una commistione inscindibile di aspetti psicologici, morali, giuridici, economici, ed ognuno di questi elementi risulta essere strettamente correlato all’altro5.

Essa, infatti, è una struttura dinamica, in continua evoluzione: se prima veniva vista come una realtà politica e sociale organizzata gerarchicamente e vincolata da leggi, consuetudini e considerazioni di natura economica, ora - sin dall’approvazione della Costituzione Italiana - emerge un nuovo concetto di famiglia, in cui è il consenso a regolare i rapporti familiari sulla base del principio di uguaglianza giuridica e morale dei coniugi;

4 G. FERRANDO, La crisi coniugale tra rimedi tradizionali e responsabilità civile, in Rapporti familiari e responsabilità civile, a cura di F. LONGO, Torino, 2004, 49.

Anche la giurisprudenza ha definitivamente accolto una nozione di famiglia intesa come sede di realizzazione e crescita dell’individuo, “segnata dal reciproco rispetto ed immune da ogni distinzione di ruoli, nell’ambito della quale i singoli componenti conservano le loro essenziali connotazioni e ricevono riconoscimento e tutela, prima ancora che come coniugi, come persone”. V. Cass. 10 maggio 2005, n. 9801, cit.

5 S. CASTELLI, La mediazione. Teorie e tecniche, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1996.

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ambiente per eccellenza dello sviluppo di personalità individuali e di protezione dei singoli, ma al tempo stesso, principale ambiente nel quale possono verificarsi episodi di abuso, con conseguenti ripercussioni sull’integrità fisica e psichica dei soggetti che ne fanno parte.

La famiglia è particolarmente vulnerabile al fenomeno violento – visti gli stretti legami di fiducia e di tolleranza reciproca che si instaurano tra i suoi componenti: la violenza in famiglia non è necessariamente l’esplosione di un conflitto, ma anche lo sfogo di insoddisfazioni e frustrazioni, che nella maggior parte dei casi vedono come vittime prescelte donne e minori. A conferma di ciò, molte ricerche e dati statistici affermano come il rischio di subire violenze da parte di un altro membro della famiglia sia molto più elevato rispetto a quello di essere aggrediti da soggetti sconosciuti.

La particolare natura del fenomeno e la sua diffusione a livello mondiale, ha portato i legislatori di ogni Paese a porre un’attenzione particolare nei confronti di questa piaga sociale. Nonostante la nascita di Costituzioni moderne, che promuovono il rispetto dei diritti fondamentali quali libertà ed uguaglianza, l’utilizzo della violenza in ambito familiare non è adeguatamente contrastato a livello legale né esplicitamente vietato nei testi

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normativi; tutto questo ci porta a dire che le vittime di violenza non sono adeguatamente tutelate.

Solo dalla seconda metà del Novecento, si è cercato di elaborare nuove forme di protezione della vittima di violenze domestiche, differenti dai rimedi della separazione e del divorzio che richiedendo, tra l’altro, tempi estremamente lunghi non consentono un intervento tempestivo nelle situazioni in cui, invece, uno strumento efficiente sarebbe quantomeno opportuno.

Per tale motivo il legislatore italiano ha ritenuto necessario introdurre nel nostro ordinamento, mediante la legge 5 aprile 2001, n. 1546, l’istituto dei c.d. “Ordini di protezione familiare”,

quale rimedio volto ad arginare tempestivamente i fenomeni di violenza domestica, consistendo gli stessi in quegli strumenti che possono essere richiesti al giudice per far cessare la condotta del coniuge o del convivente, qualora questa sia causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro soggetto.

Per comprendere la portata ed il contenuto di tale strumento, nonché le sue applicazioni nella realtà concreta, è necessario tracciare una breve mappa introduttiva del fenomeno della

6 Legge 5 aprile 2001, n. 154 “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”; pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 28 aprile 2001, n. 98.

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violenza e dell’abuso nella nostra società, ricomprendendo in tale analisi le principali misure adottate a livello europeo per la repressione dello stesso.

2. I concetti di violenza domestica ed abuso.

Sempre più spesso oggi si discute il problema dell’abuso all’infanzia e della violenza in famiglia.

I risultati degli studi compiuti dalle discipline umanistiche e mediche hanno evidenziato una realtà per molto tempo nascosta o per lo meno sottovalutata; il maltrattamento dei bambini in ambito familiare non è un fenomeno recente, come si potrebbe pensare: al contrario, si tratta di una realtà radicata nostra storia ed in passato, in alcuni casi, addirittura considerata “educativa” e quindi legittima: basti pensare che fino al 1956 era in vigore lo jus corrigendi, che ritroviamo nella fattispecie di cui all’art 571 cod. pen. (intendendo con esso il potere correttivo del pater familias, esercente la patria potestà, di usare mezzi di correzione, compresa la forza, e di limitare in vario modo la libertà personale dei figli, nell’interesse della loro educazione) e solo nel 1996 lo stupro è stato inserito tra i reati contro la persona.

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Storicamente, quindi, la società non è mai stata particolarmente sensibile ai problemi sopracitati, poiché valori profondamente radicati legittimavano comportamenti e atteggiamenti che ora noi consideriamo veri e propri abusi; così come non è mai sorta, in epoche precedenti alla nostra, la consapevolezza che anche il minore è portatore di diritti, bisognoso di un ambiente stabile e accudente affinché la sua personalità possa svilupparsi in modo equilibrato e armonico, e che ogni bambino possiede caratteristiche proprie che devono essere rispettate ed esaltate, e al contrario mai violate.

Il bambino, nei secoli passati, è stato quindi considerato “cosa” (res) di proprietà dei genitori, pensato come oggetto e “materia” da poter plasmare secondo il modello adulto.

In tale contesto, il cammino di sensibilizzazione ai bisogni e ai diritti del bambino è stato lungo e faticoso; e molto spesso contornato da scenari familiari violenti, con tutti i disagi e le sofferenze del caso.

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2.1 I maltrattamenti in famiglia: analisi giurisprudenziale e dottrinale.

Soprattutto grazie all’entrata in vigore della Costituzione, che rinviene nella famiglia quel nucleo centrale nel quale l’individuo può esprimere al meglio la propria personalità, comportando altresì la sostituzione del tradizionale modello istituzionale e gerarchico con l’introduzione di una visione partecipativa e solidaristica di famiglia, il panorama giuridico ha assistito ad alcuni cambiamenti sul piano normativo, che hanno comportato lo spostamento dei maltrattamenti in famiglia dall’art. 571 cod. pen. (“Abuso dei mezzi di correzione”) al successivo art. 572 cod. pen., dedicato specificatamente a “Maltrattamenti contro familiari e conviventi”.

Non risulta, tuttavia, agevole il passaggio dall’art. 571 cod. pen. al seguente, specie se si considera l’ipotesi di genitori maneschi che talvolta si lasciano prendere dalla rabbia sino a commettere mostruosi delitti. A titolo esemplificativo, si può menzionare la sentenza n. 16491 del 3 maggio 2005, della Suprema Corte di Cassazione Penale, Sezione VI, la quale ha condannato un genitore alla pena della reclusione di tre mesi e dieci giorni, per il delitto di abuso di mezzi di correzione, sancendo che anche le

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vessazioni umilianti integrano il reato di abuso dei mezzi di correzione7.

Il nostro codice Rocco ha collocato l’art. 572 cod. pen. in un autonomo titolo “Dei delitti contro la famiglia”, ed in particolare nel capo VI intitolato “Dei delitti contro l’assistenza familiare”, cristallizzando il parere prevalente di concezioni storiche che vedevano nella famiglia il nucleo sociale più importante per la formazione della “coscienza dei cittadini”8; scelta confermata

dalle successive modifiche avvenute nel 2012, le quali hanno esteso la tutela insita nel delitto in esame anche alle c.d. famiglie di fatto e a soggetti comunque conviventi.

Dottrina e giurisprudenza maggioritaria propendono per l’interpretazione che considera l’integrità psico-fisica del soggetto passivo9 il bene giuridico tutelato attraverso tale normativa,

ritenendo che, nonostante manchi una definizione di maltrattamento, la condotta criminosa sia costituita non solo da fatti che ledono incolumità personale, libertà, onore, che integrano da soli fattispecie criminose e che già l’ordinamento

7 www.altalex.com

8 GIOFFREDI, Maltrattamenti in famiglia, ND, VIII, 1939, 41; in Codice penale commentato, art. 572 cod. pen., MARINUCCI e DOLCINI, pp. 2759-2761.

9 MARINUCCI e DOLCINI, Codice penale commentato, art. 572 cod. pen., pp. 2759-2761.

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giuridico protegge; ma anche da tutti quei fatti lesivi dell’integrità fisica e del patrimonio morale del soggetto passivo (uno per tutti, parole o fatti offensivi della dignità della persona) che, seppur singolarmente non costituenti reato, siano tali da rendere abitualmente dolorosa la relazione con l’agente. Come affermato dalla Cassazione, “è necessario che lo stato di sofferenza derivi da una molteplicità di fatti vessatori o violenti per configurare il reato di maltrattamenti in famiglia, idonei a cagionare sofferenze ed umiliazioni, non solo fisiche ma anche psicologiche, costituenti fonte di disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita”10.

Lo stesso legislatore, circa i rapporti tra le due norme, si è preoccupato di rilevare che l’art. 572 cod. pen. trova applicazione “fuori dai casi di cui all’art. 571 cod. pen.”; interpretazione condivisa anche dalla giurisprudenza, che riduce sensibilmente l’ambito di operatività dell’abuso dei mezzi di correzione a favore dei maltrattamenti in famiglia.

Tale orientamento rispetta i principi forniti dal nostro ordinamento in materia, incentrati sulla Costituzione della Repubblica e sulle norme in materia di diritto di famiglia ed

10 A titolo esemplificativo: Corte di Cassazione, Sezione VI penale, 18 marzo 2008, n. 27048: l’agente insulta la vittima continuamente e senza motivo, e la cacci di casa

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appare, inoltre, maggiormente coerente con la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (approvata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con legge 176/1991)11 la

quale riconosce al minore il diritto ad uno sviluppo armonico della personalità e ad un’educazione nel rispetto dei valori di tolleranza, dignità, libertà ed uguaglianza, tutelandolo da ogni forma di violenza fisica o psicologica.12

La conseguenza naturale di tale discorso è dover ritenere illecito l’uso della violenza, in qualsiasi sua forma, anche laddove venga utilizzata a scopi ritenuti educativi, come avveniva in passato.

11 Legge 27 maggio 1991, n. 176 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo” (New York, 20 novembre 1989). 12Corte di Cassazione, Sezione VI penale, 27 maggio 2003, n. 37019, in Cass. pen., 2005, 862: “Oggetto giuridico della tutela penale apprestata dall’art. 572 cod. pen. non è o non è solo l’interesse della Stato a salvaguardare la famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma va individuato anche nella difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone indicate dalla norma, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari”.

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24 2.2 Species: la violenza domestica.

La violenza domestica può essere definita come quell’insieme di atti volti ad arrecare lesioni all’integrità fisica, psicologica, economica e morale della persona, all’interno dell’ambito familiare.

Elemento unificante le varie modalità di manifestazione della stessa è la loro finalità, ovvero la sopraffazione del familiare debole attraverso atteggiamenti e strategie umilianti e degradanti, espressione di potere e controllo del soggetto più forte; solitamente tale comportamento è frutto di un uomo verso una donna, ma non mancano episodi in senso contrario.

Essa ha come sfondo una rete di relazioni familiari distorte, e purtroppo è un fenomeno che appartiene non solo a contesti sociali degradati – all’interno dei quali l’intervento dei servizi sociali risulta di più facile lettura ed attuazione – ma taglia trasversalmente tutte le classi sociali, e risulta tra l’altro più difficile da estirpare proprio nei contesti più abbienti, dove viene spesso percepita come un “fatto privato” tra marito e moglie.

Nessuna società può affermare di esserne indenne: nel mondo, infatti, si stima che tra il 20 e il 50% delle donne ha subito

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vessazioni fisiche per mano di un partner o di un membro della famiglia13, soggetti spesso “insospettabili”, perfettamente inseriti

nella società, senza alcuna evidente manifestazione di problemi psichici.

Con il termine “domestica”, con il quale si connota la violenza, si allude al fatto che l’autore della stessa è il partner intimo della vittima o altro membro del gruppo familiare, indipendentemente dal luogo in cui la vessazione avviene e dalla forma che assume, potendo la stessa presentarsi in molteplici tipologie, quali maltrattamento fisico, economico, atti persecutori (stalking), violenza sessuale. Non esistendo, quindi, un unico fattore cui collegare tale fenomeno - potendo in ogni caso rinvenire nell’educazione ricevuta, nelle esperienze vissute e nell’ambiente circostante, dei fattori accomunanti le diverse tipologie dello stesso fenomeno – dobbiamo necessariamente considerare la violenza domestica come quella commessa tra soggetti appartenenti allo stesso nucleo familiare che rispecchia, in linea generale, lo squilibrio di forze nel rapporto tra i “potenti” e le persone dipendenti dal primo.

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2.2.1 La violenza di genere: implicazioni in ambito familiare.

Quando si discute di violenza fisica, nell’ambito di maltrattamenti domestici contro le donne o i minori, ci si attiene alla vasta gamma di comportamenti intesi a provocare danni fisici o lesioni corporee, come schiaffi, percosse, uso di armi da fuoco o da taglio. La prassi testimonia che la condotta violenta spesso è posta in essere da un soggetto in posizione di forza; a questo proposito si parla di violenza come fenomeno di “genere”, indicando con tale espressione la matrice comune di tutte le condotte violente: la loro specifica connotazione sessuata, cioè l’essere compiuta da un genere – maschile – nei confronti di un altro genere – femminile.14

La violenza di genere è manifestazione di un rapporto tra uomini e donne storicamente diseguale, che ha condotto i primi a discriminare le seconde, quindi come uno dei meccanismi sociali che costringono le donne ad una posizione subordinata agli uomini.15

14 L. CARRERA, Violenza domestica e ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Famiglia e Diritto, n. 4, 2004.

15 Questo è stabilito nell’introduzione della Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne del 1993 che,

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Numerose definizioni di violenza fisica, inoltre, coinvolgono la sfera dell’abuso sessuale, che, nel suo aspetto di reiterazione quotidiana, esclude la presenza di un rapporto amoroso, contribuendo a determinare nell’uomo un ruolo di superiorità.

Nonostante i maltrattamenti fisici risultino essere l’aspetto più comune di tale fenomeno, sarebbe comunque riduttivo e limitante identificare la violenza domestica solo con quella carnale; il coinvolgimento necessario anche della componente psicologica permette la messa in pratica di un insieme di strategie lesive volte alla realizzazione di attacchi diretti a colpire la dignità personale, di atteggiamenti volti a rinforzare lo stato di subordinazione e la condizione di inferiorità della donna e del minore, con conseguente insicurezza, paura e svalutazione di sé; nella sua accezione più grave, la Cassazione penale16 ha

elaborato la terminologia “violenza morale” laddove

nell’art.12, descrive la violenza contro le donne come “qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata”.

16 V. Cassazione 17 giugno 1996, in Cassazione penale, 1996, p. 123; V. Cassazione 21 gennaio 1987,in Rivista penale, 1987, p. 537.

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l’estremizzazione di tali atteggiamenti porti a dover tollerare situazioni insostenibili.

Una violenza insistente provoca conseguenze gravissime per lo stato psicofisico della vittima, sia temporanee – quali lesioni traumatiche – sia permanenti – quali ad esempio disturbi psicofisiologici e invalidità; si tratta di segnali allarmanti che devono essere assunti come elementi essenziali su cui strutturare la lotta alla violenza di genere, nonostante siano di difficile individuazione, poiché la violenza endofamiliare è un illecito che raramente viene denunciato.

2.3. Il reato di atti persecutori: il cosiddetto “stalking”.

Non si può non accennare, in tale analisi, al fenomeno dello stalking, previsto espressamente dall’art 612-bis cod. pen., introdotto dall’art. 7 del decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11, c.d. “Decreto legge anti-violenza”17 , disciplinante il reato di atti

17 Legge 23 aprile 2009, n. 38 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 febbraio 1009, n. 11, n. II, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”; pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 24 aprile 2009, n. 95

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persecutori. La nuova fattispecie di reato, a tutela soprattutto (ma non solo) delle donne è stata successivamente inserita nella legge 23 aprile 2009, n. 38, rubricata “Disposizioni in materia di atti persecutori”, la quale ha aggiunto all’impianto normativo del decreto legge delle disposizioni a tutela delle vittime del reato di stalking.

Fino ad allora, infatti, nel nostro ordinamento mancava una fattispecie incriminatrice idonea a punire comportamenti persecutori provocanti un disagio fisico e/o psichico nella vittima ma non di entità tale da integrare i più gravi reati contro la vita o l’incolumità personale (tant’è che, prima della legge 38/2009, i casi di stalking a danno dell’ex coniuge o convivente erano ricondotti nella fattispecie di cui all’art. 572 cod. pen., estesa poi dalla Corte Suprema di Cassazione ai casi in cui la convivenza fosse cessata)18.

L’art. 612-bis cod. pen. – inserito nel capo III del titolo XII, parte II del codice, nella sezione relativa ai delitti contro la libertà morale – disciplina il resto di atti persecutori, riferendosi con tale espressione ad un insieme di comportamenti molesti ed assillanti, ripetuti ed intrusivi di sorveglianza, controllo, ricerca di contatto,

18 Trattandosi di orientamento pacifico di legittimità: Corte di Cassazione, Sezione VI penale, 21 gennaio-17 aprile 2009, n. 16658, in Cass. pen., 2010, 606.

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che aggrediscono la sfera privata del soggetto e che provocano disagi e patologie fisiche e psichiche, tant’è che si è soliti distinguere tra stalking molesto o mite e stalking violento o duro19,

con un acutizzarsi degli atteggiamenti tipici di tale forma di violenza nel secondo caso.

L’obiettivo del legislatore è da rinvenire nell’urgenza di tutelare la libertà morale, intesa come facoltà del soggetto di autodeterminarsi e di compiere liberamente le proprie scelte senza subire condizionamenti esterni. Deve, inoltre, ritenersi che con la stessa sia tutelato anche il bene giuridico dell’incolumità individuale, della serenità psicologica e della riservatezza dell’individuale, quando minacce e molestie generino un perdurante e grave stato d’ansia o di paura, inducendo nella vittima un fondato timore e costringendo la stessa a cambiare le proprie abitudini di vita.

Quando lo stalking è consumato in ambito familiare la vittima può avvalersi dello strumento civilistico degli ordini di protezione previsti agli art. 342‐bis e 342‐ter cod. civ., inseriti dalla legge n. 154 del 2001, i quali consentono al soggetto che subisce delle condotte pregiudizievoli dall’altro coniuge o convivente, di

19 A. M. MAUGERI, Lo stalking tra necessità politico-criminale e promozione mediatica, Giappichelli, Torino 2010, p. 19.

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richiedere al giudice l’adozione di provvedimenti quali l’ordine di cessazione della condotta, l’allontanamento dalla casa familiare o il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima o da altri prossimi congiunti.

Al fine di far fronte al percepito aumento di reati, soprattutto a sfondo sessuale, il decreto legge n. 11 del 2009 ha introdotto a livello penale la misura cautelare di cui all’art. 282-ter cod. proc. pen., disciplinante il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa dal reato. L’opinione prevalente ritiene che tale prescrizione, in presenza di “ulteriori esigenze di tutela”, sia riferibile anche ai prossimi congiunti della persona offesa, nonché a persone con essa conviventi o comunque legate da relazione affettiva; e che, di conseguenza, abbia una generale portata applicativa, essendo finalizzata ad allargare lo spazio di protezione della vittima.

Bisogna tener presente, invero, che la misura dell’allontanamento dalla casa familiare era già introdotta dalla legge n. 154/2001, più precisamente all’interno dell’art. 282-bis cod. proc. pen. il quale, tuttavia, non presuppone necessariamente la convivenza tra le parti, ma può essere applicato anche quando il soggetto abbia già abbandonato il

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domicilio per intervenuta separazione coniugale, ponendosi come base di riferimento per l’elaborazione della misura più recente.

2.4. L’abuso sessuale su donne e bambini: alcuni dati di riferimento.

Connesso alla violenza di genere, costituendone una delle manifestazioni più estreme, è il fenomeno dell’abuso sessuale su donne e bambini; spesso non sufficientemente tutelato a causa della mancanza di coraggio delle vittime nel denunciare il proprio aggressore.

Si tratta, infatti, di un tipo di violenza che lascia segni meno percepibili rispetto ai maltrattamenti fisici, quali un senso di umiliazione e sopraffazione destinato a provocare nella vittima profonde ferite, fisiche e psicologiche; a tal proposito, i dati ISTAT (2006) ricordano che soltanto il 7% delle donne trova il coraggio di denunciare l’aggressore e di chiedere aiuto.

Da menzionare è anche la Commissione scientifica “Monitoraggio del maltrattamento” del Coordinamento Italiano dei

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Servizi contro il Maltrattamento e l’abuso all’Infanzia (Cismai)20 la

quale ha rilevato nell’abuso sessuale la tipologia di violenza percentualmente più commessa (20%), dopo le situazioni a rischio di violenza e di trascuratezza (rispettivamente oltre il 26% e circa il 20%), ed ha posto in rilievo come i traumi, se non rilevati per tempo e curati, possono produrre disturbi psicopatologici o di devianza nell’età adulta21.

Come afferma la “Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all’infanzia”, ratificata dal Cismai nel 1998 e successivamente modificata nel 2001, “il danno è tanto maggiore quanto più il fenomeno resta nascosto, non viene riconosciuto, non viene attivata alcuna protezione nel contesto primario e in quello sociale o l’esperienza resta non verbalizzata e non elaborata”22. La vittima sviluppa sentimenti di vergogna e timore,

che la inducono a rispettare il vincolo matrimoniale e ciò che esso

20 Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia (Cismai), “Rilevazione del maltrattamento infantile in alcuni centri/servizi Cismai (1998/1999).

21 Si pensi alla c.d. “sindrome di adattamento”, consistente in uno sdoppiamento della personalità del minore che lo induce, contemporaneamente, ad amare ed odiare i propri aguzzini; o ancora, si pensi al desiderio di suicidio, quale strada per uscire dalla spirale della violenza.

22 AA. VV., Minori e violenze. Dalla denuncia al trattamento: Dalla denuncia al trattamento; nota presente in Minorigiustizia, 2002, 1-2, pp. 283-287.

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comporta, abusi compresi; tutti questi fattori non solo giustificano il comportamento violento, ma colpevolizzano la donna che si convince di essere la causa scatenante l’aggressività del partner, rendendo il ruolo dei servizi sociali particolarmente arduo vista la solidità del rapporto di coppia.

In virtù di tali considerazioni, il compito primario delle istituzioni dovrebbe essere quello di colmare il vuoto attorno a donne e bambini, sottraendoli da uno scenario di violenza che, in un prossimo futuro, potrebbe portarli a diventare loro stessi compagni aggressivi.

2.5. L’intervento legislativo all’abuso.

La risposta giudiziaria all’abuso può provenire sia dall’ambito penale che da quello civile. Nel procedimento penale le disposizioni che prevedono l’audizione del minore sono molto frammentarie: si pensi all’art. 609-decies cod. pen., relativo all’assistenza del minore parte offesa da parte dei servizi competenti; o all’ art. 498, comma 4-quater, cod .proc .pen.

Le corrette modalità di ascolto del minore abusato si rinvengono nella Carta di Noto, redatta nel 1996 e aggiornata il 7

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luglio 200223, contenente le linee guida che possono favorire la

formazione del giusto processo, in cui il minore assume la veste di vittima di abuso e persona offesa, cui viene attribuito rilievo, ai fini della valutazione di attendibilità della parte lesa, anche dalla Cassazione.24 Infine, interventi legislativi di indubbia importanza

sono la legge in tema di violenza sessuale (legge n. 66 del 15 febbraio 2009) e la legge in tema di pedofilia (legge n. 269 del 03 agosto1998).

Si potrebbe auspicare un coordinamento tra giudizio penale e giudizio civile, visti i profili di connessioni esistenti. Essendo l’ambito operativo del giudice civile incentrato sulla protezione del minore, nella gamma di provvedimenti di sua competenza, il Tribunale per i Minorenni può adottare a tutela del minore e nei confronti del genitore, la misura della decadenza dalla potestà genitoriale o l’allontanamento del minore o dello stesso genitore abusante dal contesto familiare malato25 (senza che, peraltro,

23AA. VV., Minori e violenze. Dalla denuncia al trattamento: Dalla denuncia al trattamento; in Minorigiustizia, 2002, 1-2, pp. 283-287, con il titolo “La nuova Carta di Noto. Linee guida per l’esame del minore in caso di abuso sessuale”, paragrafo 6, lettera A.

24Corte di Cassazione, Sezione III penale, 9 ottobre 2007, n. 37147, caso Rignano - Flaminio, in Cass. pen., 2008, 9, p. 3343, nota di Valentini.

25 V. MONTARULI, La risposta giudiziaria agli abusi e ai maltrattamenti sui minori, in Minorigiustizia, n.3, 2009.

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vengano meno i suoi diritti-doveri), a cui sono dedicati gli articoli 330 e 333 del nostro codice civile, modificati dall’art. 37 della legge 28 marzo 2001, n. 149.

La trattazione del presunto abuso sessuale ha luogo con una valutazione in Camera di Consiglio circa la necessità di procedere o meno all’allontanamento del minore dal nucleo familiare, non sottovalutando la possibilità di allontanare il genitore violento, qualora si riscontri una relazione protettiva tra il bambino e il genitore non abusante; è proprio l’alternatività nell’adozione delle misure che costituisce l’elemento di maggior novità della novella del 2001.

Infine, l’ampliamento delle decisioni cautelari penali è avvenuto con l’entrata in vigore della legge 4 aprile 2001, n. 154 (“Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”), la quale, mediante l’introduzione dell’art. 282-bis cod. proc. pen., impone al giudice di disporre l’allontanamento immediato dalla casa familiare del soggetto abusato qualora ne ricorrano i presupposti, ed eventualmente anche il versamento di un assegno periodico a favore delle persone conviventi rimaste prive di mezzi di sostentamento a seguito dell’adozione della misura.

Il quadro complessivo che ne risulta, in definitiva, si compone di tutta una serie di misure di immediata applicazione aventi lo

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scopo di tamponare e prevenire situazioni a rischio ma che auspicano comunque un coordinamento tra i vari operatori del settore al fine di massimizzare la tutela delle vittime.

3. Lo scenario europeo: come risponde alla violenza domestica la Comunità europea?

L’interesse della società nei confronti dei minori e delle donne, percepiti quali soggetti “deboli” da tutelare contro possibili abusi e violenze, sul piano normativo ha da sempre avuto un ruolo decisivo, portando ad una continua evoluzione dei principi a tutela degli stessi.26

In linea generale violenza nei confronti di donne e minori viene considerata una violazione dei diritti umani, riconosciuti e garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il cui articolo 8 CEDU riconosce ad ogni persona il diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, con preminente attenzione alla posizione del minore all’interno dei rapporti familiari.

26 ELENA LA ROSA, Tutela dei minori e contesti familiari; contributo allo studio per uno statuto dei diritti dei minori, Milano, Dott. A. Giuffré editore, 2005.

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Non è un caso, infatti, che l‘impulso maggiore ad affrontare la questione della vittima sia venuto proprio a livello internazionale. Nel 1925 la “Dichiarazione dei diritti del fanciullo”, approvata a Ginevra, così come nel 1959 la “Carta dei diritti del fanciullo”, approvata dall’Assemblea dell’ONU, evidenziano come al bambino debbano essere riconosciuti tutta una serie di diritti – dalla nascita alle cure adeguate, dall’istruzione al gioco e alle attività creative – così come gli deve essere garantita la possibilità di poter crescere e svilupparsi in un ambiente di comprensione e tolleranza, protetti da ogni forma di discriminazione o sfruttamento.

Nel 1990, inoltre, il Consiglio d’Europa espresse la necessità di predisporre misure preventive a sostegno delle famiglie in difficoltà, nonché misure specifiche di informazione ed individuazione delle violenze, di aiuto e terapia alle famiglia e la necessità di coordinamento tra i vari operatori sociali.

Il panorama europeo, dunque, è da sempre costellato di provvedimenti a tutela del minore e della donna dalle violenze familiari; a conferma di ciò, è opportuni accennare a due interventi importanti e più recenti in materia.

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39 3.1. La Convenzione di Lanzarote.

La Convenzione di Lanzarote27, ratificata dall’Italia con legge n.

172/201228, costituisce uno dei documenti più rilevanti per la

protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale.

Il suo apporto concerne principalmente la modifica del reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 cod. pen., ora rubricato “Maltrattamenti contro familiari e conviventi”29 (e non più

“Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli”); scelta che lascia inalterato il bene giuridico tutelato – ossia la famiglia – ma che ne amplia la portata, intendendola come comunanza di vita, dal momento che si tutela l’offesa che i familiari subiscono in ragione del legame che intercorre tra gli stessi, a prescindere dal vincolo formale del matrimonio.

A protezione delle vittime di abusi è stato inoltre previsto un innalzamento del massimo edittale della pena da cinque a sei anni, che permette di intercettare conversazioni e comunicazioni

27 www.coe.int/it ,“Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali”, Lanzarote, 25 ottobre 2007

28 Legge 1 ottobre 2012, n. 172, “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno”.

29 Titolo modificato ex art. 4, comma 1, lettera d), Convenzione di Lanzarote.

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in presenza dei requisiti ex art. 266 cod. proc. pen.; ed è stata introdotta una circostanza aggravante speciale nel caso in cui i delitti previsti dall’art. 583-bis cod. pen.30 siano commessi “in

occasione” del reato di maltrattamenti in famiglia, permettendo di assorbire in quest’ultima fattispecie gli altri delitti e di consentire, quindi, una maggiore protezione del soggetto debole.

3.2. La Convenzione di Istanbul: una tutela effettiva alla violenza contro le donne.

Il Consiglio d’Europa, quale organizzazione internazionale impegnata nella tutela dei diritti umani fondamentali, ha da sempre intrapreso numerose iniziative per promuovere l’uguaglianza di genere.

Soltanto a partire dagli anni Novanta l’organizzazione si è attivata riguardo la violenza sulle donne, fino all’adozione nel 2002 di una specifica raccomandazione agli Stati membri sulla

30 Il riferimento all’art. 583 bis c.p. (con riguardo ai delitti di omicidio doloso o preterintenzionale, lesioni personali dolose, mutilazione e lesioni degli organi genitali femminili) è stato introdotto dall’art 3, comma 59, legge 94/2009, “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”

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protezione delle stesse31. Negli anni successivi il Consiglio ha poi

individuato la necessità di definire e armonizzare gli standard nazionali per garantire lo stesso livello di protezione a tutte le donne: assume a tal proposito un’importanza fondamentale l’adozione della “Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica”32, detta anche

Convenzione di Istanbul (ratificata dall’Italia con legge 77/201333).

L’approvazione della legge di ratifica di tale Convenzione ha grande valenza per il nostro ordinamento giuridico, poiché costituisce il primo strumento giuridicamente vincolante, in grado di creare un quadro normativo completo di prevenzione34,

31 Raccomandazione del 30 aprile 2002, n. 5 del Comitato dei Ministri agli Stati membri, sulla protezione delle donne dalla violenza.

32 Vedi art. 3, lettera b), Convenzione, che definisce la violenza domestica: “tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”.

33 Convenzione del Consiglio d’Europa sulla “prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica” (Convenzione di Istanbul), approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 ed aperta alla firma l’11 maggio 2011.

34 R. SENIGAGLIA, La Convenzione si Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne e domestica tra ordini di protezione e responsabilità civile endofamiliare, in Rivista di diritto privato, n.1, 2015, p. 3.

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attraverso l’eliminazione delle discriminazioni, la previsione di un efficace intervento delle Forze dell’ordine e la creazione di speciali strutture e servizi di sostegno per contrastare l’impunità degli aggressori.

La stessa trova i suoi pilastri nei diritti e nelle libertà fondamentali dell’uomo, e disciplina alcuni aspetti importanti del nostro diritto di famiglia – relativi agli ordini di protezione contro gli abusi familiari35 e alla decadenza dalla potestà genitoriale.

In particolare al suo articolo 2, specifica come la violenza domestica colpisca le donne “in modo sproporzionato”, mentre il fenomeno opposto prende atto solo in una sporadica percentuale di casi; specifica poi che i bambini devono essere ritenuti vittime anche quando siano interessati da tali episodi in via indiretta ( c.d. violenza obliqua)36, riservando agli stessi “misure di

protezione specifiche, che prendano in considerazione in suo interesse superiore”37.

35 Il modello di riferimento è l’Order of Protection statunitense. La loro disciplina è contenuta negli artt. 342 bis e 342 ter cod .civ., introdotti dalla legge 4 aprile 2001, n. 154.

36 Su tale fattispecie si veda, in particolare, Trib. Reggio Emilia (decr.), 10 maggio 2007, in Fam. Pers. Succ., 2007, 843.

In dottrina, v. A. SCALERA, Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Giurisprudenza di merito, n.1, 2013, 234.

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Obiettivo primario della Convenzione, in conclusione, è quello di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull’idea dell’inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini, come si evince dall’articolo 12, paragrafo 1, della stessa.

3.3. I più recenti sviluppi normativi.

Guardando agli sviluppi normativi più recenti, il nostro paese ha adottato nel 2010, grazie ad un servizio finanziato dall’Unione Europea, il “Piano Nazionale contro la violenza di genere e lo stalking”, primo progetto con cui in Italia viene affrontata tale piaga.

Sullo stesso tema, tre anni dopo è stato emanato il decreto legge n. 93/2013 titolato “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”, modificativo di alcuni aspetti della precedente legge n. 38/2009 in tema di atti persecutori.

Infine, un’importante novità è stata introdotta il 13 dicembre 2011, giorno in cui il Parlamento europeo ha adottato la direttiva

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sull’Ordine di protezione europeo (Ope)38, che riconosce uguale

tutela alle vittime di violenza in tutti i Paesi membri dell’Unione Europea, dopo che gli stessi avranno trasposto la norma all’interno dei propri ordinamenti nazionali. Si tratta di uno strumento fondato sul reciproco riconoscimento nell’ambito della cooperazione giudiziaria penale tra gli Stati, volto a garantire protezione alla vittime di violenza, molestie, rapimento, stalking e tentato omicidio; permetterà a chiunque goda di protezione in uno Stato dell’Unione Europea di ottenere la medesima protezione anche se si muove in un altro Stato membro.

4. Rilevanza del fenomeno in Italia: gli interventi nazionali nell’approccio alla violenza. Considerazioni conclusive.

Il nostro ordinamento affronta con ritardo le questioni sui maltrattamenti e sulla violenza nell’ambiente familiare: basti pensare, ad esempio, che la legge a tutela dell’integrità fisica e psichica delle vittime di violenza sessuale è stata introdotta solo

38 Direttiva 2011/99/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo del 13 dicembre 2011 sull’Ordine di protezione europeo.

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nel 1996, andando ad innovare l’originaria disciplina, comunque presente nel codice penale del 193039.

La causa di ciò si può imputare all’assenza di denuncia, nella grande maggioranza dei casi, della violenza domestica, che non viene sporta né dalla vittima né da altri componenti del nucleo familiare, in quanto considerata fatto meramente privato tra marito e moglie; pur accompagnando da sempre le relazioni familiari, dunque, solo negli ultimi anni gli episodi di violenza si sono trasformati in fenomeno di rilevanza pubblicistica e, come tale, meritevole di tutela da parte dell’ordinamento.

L’estensione del fenomeno alla sfera pubblica ha portato il legislatore ad assumere misure politico-normative al fine di garantire tutela e sostegno alle vittime, che trovano il loro culmine in una legge fondamentale, manifestazione del passaggio dalla dimensione privatistica ed individuale a quella pubblicistica e collaborativa: la Legge 5 aprile 2001, n. 154 – i c.d. “Ordini di protezione contro gli abusi familiari”40.

La novella introduce nuovi strumenti, spendibili sia in ambito civile che in ambito penale, volti ad arginare tempestivamente i

39 Legge 15 febbraio 1996, n. 66 “Norme contro la violenza sessuale”; pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 20 febbraio 1996, n. 42

40 Legge 5 aprile 2001, n. 154 “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”; pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 28 aprile 2001, n. 98

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fenomeni di violenza domestica, incentrati specificamente sulla tutela del singolo individuo41, nella prevenzione del pericolo di

consumazione di reati di violenze fisiche e morali in seno alla famiglia e nel recupero dei rapporti all’interno della stessa; essa, inoltre, riserva una specifica nota al ruolo dei Servizi Sociali, preposti all’accoglienza di richieste di aiuto, ed all’offerta di sostegno concreto alle vittime.

La presa di coscienza della necessità di dover arginare tale fenomeno si è avuta dunque avuta in tempi più recenti rispetto ad altre legislazioni, grazie ad una maggiore sensibilizzazione della società attuale verso i problemi dell’infanzia e delle donne; bisogna, tuttavia, sottolineare la crescita anno per anno dei casi di violenza segnalati all’Autorità giudiziaria: sia le statistiche ufficiali relative all’area giudiziaria, sia i dati ricavati da indagini cliniche o campionarie, mostrano come dal 2006 al 2016 le donne uccise in Italia sono state circa 2000; di queste, quasi il 72% è stata uccisa in famiglia, il 67% all’interno della coppia,

41 A. G. CIANCI, Gli ordini di protezione familiare, Quaderni Familia diretti da S. PATTI Milano, 2° edizione, Giuffré editore, Milano, 2005.

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nella quasi totalità dei casi per mano di un ex compagno, fidanzato o marito42.

A livello mondiale, il fenomeno risulta ancora più esteso, se si considera che il 47% delle donne uccise è stata ammazzata dal compagno o da un componente della propria famiglia43.

Nonostante i dati Istat44 registrino un leggero calo (circa il 3,3%)

dei femminicidi, il numero resta sempre altissimo; proprio per tale motivo, nell’ottobre 2013 il Parlamento ha approvato la legge n. 119/201345 contenente al suo interno cinque articoli

specificatamente dedicati al contrasto di tale allarmante fenomeno.

42 www.eures.it; III rapporto su Caratteristiche, dinamiche e profili di rischio del femminicidio in Italia, Indagine Istituzionale, a cura dell’istituto EURES Ricerche Economiche e Sociali, novembre 2015

43 www.unicef.it.

44 www.istat.it/it/archivio/violenza.

45 Legge 15 ottobre 2013, n. 119 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto- legge 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”; pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 16 agosto 2013, n. 191

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5. Il DDL per la tutela degli orfani vittime di un crimine domestico.

Indissolubilmente legata a quanto esposto fino ad ora, infine, è la questione riguardante gli orfani: si tratta soprattutto di minori che, a seguito di violenze in famiglia, vengono privati della madre o hanno il padre in carcere: negli ultimi quindici anni, i casi segnalati sono oltre 1630.

Recentemente, è stata introdotta una proposta di legge per tutelarli: ci riferiamo al disegno di legge n. 3772 “Modifiche al codice civile, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani di crimini domestici”46, approvato dalla Camera

dei deputati47 all’unanimità, ed ora al vaglio del Senato.

L’elaborato è stato atteso per lungo tempo; prima d’ora, infatti, il nostro Stato si era reso inadempiente rispetto agli obblighi derivanti dalla ratifica della Convenzione di Lanzarote – tra i quali gli obblighi di risarcimento delle vittime (art. 5), le azioni di protezione e supporto ai bambini testimoni di violenze (art. 26) e

46 “Disposizioni in favore degli orfani di crimini domestici A. C. 3772” 47 Proposta di legge di iniziativa dei deputati CAPELLI, TABACCI, GIGLI, MARAZZITI, FITZGERALD NISSOLI, FABBRI, PES, VARGIU; “Modifiche al codice civile, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani di crimini domestici”, presentata il 21 aprile 2016

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la necessità di introdurre nella normativa penale le circostanze aggravanti (art. 46).

Significative, sia sul piano penale che su quello civile, sono le novità introdotte; in primis, si prevede un inasprimento delle pene fino all’ergastolo per l’ipotesi di omicidio del coniuge del partner civile e del convivente il quale, di conseguenza, equiparato a quello dei genitori o dei figli. Si stabilisce, invece, la reclusione da 24 a 30 anni se la vittima è divorziata o l’unione civile era terminata prima del delitto48.

Gli orfani di crimini domestici potranno accedere al gratuito patrocinio senza considerazione dei limiti di reddito, le cui spese del processo, tanto civile quanto penale, verranno addebitate allo Stato; oltre ad avere diritto ad una somma pari alla metà del danno ipotizzato in sede di risarcimento (liquidato in sede civile) e alla pensione di reversibilità del familiare rinviato a giudizio per omicidio.

Lo stanziamento aggiuntivo di 2 milioni di euro annui sul fondo per le vittime di mafia, usura e reati intenzionali violenti, verrà esteso anche ai ragazzi privati dei genitori, per l’erogazione di

48 Le nuove tutele verranno applicate a figli minorenni e maggiorenni non economicamente autosufficienti della vittima di un omicidio commesso dal coniuge, dal partner di un’unione civile o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza.

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borse di studio e ai fini del loro reinserimento lavorativo; sempre sulla stessa scia, viene assicurata assistenza medico-psicologica gratuita fino al pieno recupero, da parte di regioni ed autonomie locali, incaricate di organizzare la presa in carico dei traumi subiti dai minori.

L’obiettivo, o più precisamente l’auspicio di tale progetto, è quello di fornire un sostegno ed una tutela effettiva alle vittime da parte dello Stato, pur non potendo eliminare totalmente le sofferenze patite.

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CAPITOLO 2

GLI ORDINI DI PROTEZIONE CONTRO GLI ABUSI

FAMILIARI:

MISURE

PROTETTIVE

DELLE

FONDAMENTALI LEGGI N.154/2001 E N. 149/2001,

NELL’OTTICA DEL DOPPIO BINARIO DI TUTELA.

1. Inquadramento generale della disciplina.

Nell’analizzare le cause storiche e giuridiche relative al fenomeno della violenza domestica, si sono evidenziati anche i corrispettivi orientamenti nel panorama europeo e italiano, introdotti allo specifico scopo di porre fine a tali abusi e a riequilibrare la situazione di crisi familiare.

A conclusione del percorso normativo che ha portato la società alla nascita di una cultura giuridica più sensibile e attenta, che percepisce il fenomeno violento non come questione meramente privata, ma come “problema pubblico da affrontare con specifici strumenti di protezione delle vittime, che escludano dal patto

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sociale la coercizione della volontà altrui”49 – il cui punto di

partenza è la riforma del diritto di famiglia avvenuta nel 1975 – è venuta alla luce50 la legge 4 aprile 2001, n. 15451, nel tentativo di

colmare le lacune dei tradizionali strumenti penali e civili già presenti nel nostro ordinamento.

Con tale legge si è avuta l’introduzione nel nostro ordinamento di una serie di misure – i c.d. ordini di protezione – finalizzate a reprimere un fenomeno radicato e costante nel tempo all’interno della nostra società– la violenza in famiglia – portando così a compimento l’iter legislativo iniziato quattro anni prima mediante il deposito in Senato di un progetto di legge riguardante la previsione di una specifica misura civile contro la violenza domestica.

I due progetti i legge originari (d.d.l. S. 7252 e d.d.l. S. 15953,

entrambi risalenti al 1996), redatti sulla base delle risultanze della

49 L. CARRERA, Violenza domestica e ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Famiglia e diritto, 4, 2004, 390.

50 Nel corso della XIII legislatura, mediante il disegno di legge governativo n. 267/S/XIII.

51 Legge n. 154 del 4 Aprile 2001, "Misure contro la violenza nelle relazioni familiari"; pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 98 del 28 aprile 2001.

52 Senato della Repubblica, XIII Legislatura; n. 72, Disegno di legge d'iniziativa dei senatori D'ALESSANDRO PRISCO, BRUNO GANERI,

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