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5. S.EGIDIO

La tavola LXIII della Descrizione raffigura la chiesa di S.Egidio come un edificio dotato di facciata a capanna e un campanile a base quadrata sul lato sinistro. La facciata ha un unico portale d'ingresso al centro sormontato da una lunetta. Nell'ordine superiore è bucata da tre oculi (quello centrale leggermente più grande) e i due spioventi sono movimentati da una serie di archetti ciechi. Il lato destro si presenta senza porte e bucato da tre monofore.

[FIG.13]

Il testo corrispettivo si concentra soprattutto su alcune vicende riguardanti il patronato della chiesa. Il Tronci la definisce antica e la ascrive al XII secolo: il motivo decorativo degli archetti ciechi, riscontrabile in molte chiese romaniche sia nell'area italiana, sia nelle aree coincidenti con le attuali Spagna, Francia e bassa Germania

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potrebbe supportare questa generica datazione.

Come già esposto prima

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S.Egidio, una volta fondata e costruita, si ritrova ad essere una delle chiese più periferiche di Chinzica e resta circondata più da orti che da zone abitate ancora per svariati secoli: questo dato va a influenzarne molto la storia successiva, caratterizzandola fin da subito come una cura piccola e periferica.

Rispetto alla storia del patronato della chiesa, il Tronci riporta una situazione di gestione confusa. Inizialmente donata ai monaci di Vallombrosa dopo il loro insediamento nella vicina S.Paolo a Ripa d'Arno, la struttura viene affidata da questi come beneficio manuale, ora a esponenti della chiesa regolare, ora a esponenti di quella secolare. Da quanto scrive l'autore sembra che la riduzione a commenda della Religione di S.Stefano, gestita dalla famiglia Grifoni, arrivi come un dato di ordine dopo una successione intricata di responsabilità (anche se i fatti successivi dimostreranno il contrario). Grazie a questa situazione è dunque il commendatore a scegliere il curato (e rettore) della chiesa, il quale solo successivamente può essere o meno approvato dall'Arcivescovo.

L'unico elemento aggiuntivo su S.Egidio tramandato dal Tronci è la presenza di un altare dedicato a S.Pietro in Vincoli, precedentemente di patronato dei Del Tignoso e successivamente passato a un patronato congiunto tra gli eredi di Jacopo del Testa e l'Opera della Spina. È inoltre testimoniata sopra di esso la presenza di un quadro raffigurante il detto santo in catene realizzato da Domenico Cresti detto Passignano e dunque probabilmente apposto in tempi piuttosto vicini al periodo in cui il testo è compilato, forse in occasione di

1 BARRAL I ALTET, 1999, p.24.

2 Si veda cap.1, p.10.

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alcuni interventi all'interno della chiesa di poco precedenti.

5.1. Testimonianze successive alla Descrizione.

La chiesa di S.Egidio compare nelle piante immediatamente successive alla Descrizione: nella Pezzini e nella Scorzi corrisponde ai rimandi 14 e 84. È collegata al rimando 84 anche nella pianta Ricci, ma dalla pianta Lorenzi in poi, quindi dal 1777, non è più segnata: la sua storia come edificio ecclesiastico, infatti, si conclude nel gennaio 1758, dopo quasi un secolo di controversie tra rettori e commedatori della stessa, circa una radicale ristrutturazione destinata a non avvenire mai. Gli stessi Libri Parrocchiali infatti non proseguono oltre: l'ultimo matrimonio è registrato nel settembre 1755 e l'ultimo decesso nel gennaio 1758, a ridosso della soppressione della stessa chiesa.

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S.Egidio, essendo nell'orbita del potere dell'Ordine di S.Stefano, risulta oggetto di Visite Pastorali eseguite sia dall'Arcivescovo, sia dal Priore dell'Ordine: quelle compiute da quest'ultimo sono nettamente più dettagliate e attente a ogni particolare concernente non solo lo stato dei Libri e degli Olii Santi, ma anche lo stato dell'intera fabbrica.

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Nell'aprile 1684 il canonico Lionardo Lionardi, facente le veci del Priore dell'Ordine di S.Stefano Felice Marchetti, effettua una Visita alle chiese intra moenia ed extra moenia ad esso sottoposte. S.Egidio risulta essere un edificio problematico. L'altare di S.Pietro in Vincoli – già citato dal Tronci – e l'altare di S.Maria Maddalena sono gli unici due presenti nella chiesa oltre all'altare maggiore il quale, costruito in mattoni con ornamenti lignei dipinti in turchese e oro, si presenta con la mensa in pietra spaccata in due.

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Per quanto riguarda l'intera fabbrica il maggiore problema risulta essere l'umidità del luogo che fa marcire le suppellettili e gli arredi sacri – i quali addirittura non si possono tenere esposti abitualmente per questo motivo – provocando inoltre danni al pavimento e alle pareti che devono essere per questo nuovamente imbiancate. In occasione della Visita suddetta infatti è auspicato l'intervento di un perito per quantificare i danni e approvare un'efficace soluzione da concordare con i patroni della chiesa. Viene addirittura suggerita l'apertura di finestre aggiuntive verso l'orto per cercare di migliorare la situazione.

Al problema dell'umidità si unisce anche quello di una serpeggiante incuria. Oltre all'altare

3 ACDP, Libri Parrocchiali, f.57.

4 La stessa disparità si può notare confrontando le due tipologie di Visite alle chiese dei SS.Ippolito e Cassiano e S.Sebastiano, anch'esse nell'orbita della Religione di S.Stefano.

5 ASP, Ordine di S.Stefano, f.2812, p.176 “Visitò l'Altar Maggiore fatto di mattoni, la Mensa di pietra la quale essendosi ritrovata divisa nel mezzo, s'ordinò che con buono stucco si riempisse quella, o veramente si levasse via, e vi se ne riponesse un altare o si supplisse con mattoni. Gl'ornamenti dell'Altare son di legno, dipinti di turchino e rabescati d'oro.”

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danneggiato, anche la pila marmorea dell'acquasanta manca di alcune parti e si presenta tenuta assieme da vari ferri, mentre in prossimità dell'ingresso il tetto è puntellato da cavalletti, elemento che lascia intuire una situazione di generale precaria stabilità. Viene infatti suggerita anche per questo la consultazione di diversi periti per avere conferma circa la sicurezza del luogo. Inoltre non vi sono sepolture idonee all'interno della chiesa: ce n'è solo una per i bambini con la chiusura rotta, mentre per seppellire gli adulti si procede ogni volta a spaccare il pavimento, pratica che contribuisce ad acuire il problema dell'umidità. Viene infatti suggerito di provvedere ad una sepoltura più idonea, magari con l'aiuto economico della comunità tutta.

La parte sulla sagrestia viene invece introdotta con la lapidaria locuzione “questa non v'è”.

Viene infatti registrato dal Visitatore come il sacerdote sia uso cambiarsi dietro l'altare maggiore, malamente protetto da una paratia in legno, e come tutti i paramenti sacri siano custoditi all'interno di due armadi posti dentro la chiesa stessa. L'ordine conseguente è quello di cercare una soluzione più decorosa, convertendo magari uno dei locali dell'attigua casa parrocchiale a sagrestia e renderlo comunicante con la chiesa aprendo un varco nella parete.

L'inventario finale non è dunque clemente, dal momento che vi sono riassunte tutte le magagne sopra descritte con l'aggiunta di altre segnalazioni, tra cui un confessionale ligneo rotto e tarlato, poche panche in cattivo stato, inginocchiatoi laceri, pavimento fradicio e tetto guasto da cui filtra la pioggia. Neanche la zona ortiva è risparmiata, poiché viene descritta come circondata da muri divisori in stato precario, inclinati e cadenti: in più risulta sguarnita di sponde per la fossa dello scolo, ricettacolo di acqua piovana e scolmatore per tutti gli orti della strada. Gli unici elementi che sembrano godere di buona salute sono gli ingressi, che hanno le imposte ancora sane.

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Oltre alla porta principale viene descritta un'altra porta confinante con la canonica: non trovandosi nessun ingresso sulla fiancata destra della chiesa raffigurata dal Tronci, si può supporre che questa si trovi allora sul lato sinistro. Questo dato può essere confermato dal fatto che, se la facciata della chiesa si erge sulla Via del Gilio, allora il suo lato destro si affaccia a sua volta sull'attuale Via Cottolengo, mentre il lato sinistro confina con la canonica.

Nulla di tutto ciò, né lo stato precario della chiesa, né eventuali lavori di restauro apportati nel frattempo sono però registrati nella Visita Pastorale dell'Arcivescovo Francesco dei Conti d'Elci effettuata il 21 gennaio 1687, durante la quale viene segnato il numero delle anime della cura (complessivamente 187) e viene ordinato di predisporre suppellettili sacre per

6 ASP, Ordine di S.Stefano, f.2812, pp. 173-194.

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l'altare sguarnito di S.Pietro, passato sotto il giuspatronato di tale reverendo Caciotti.

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I rapporti tra rettore e patrono, però, non devono essere dei più rosei, dato che nell'ottobre dello stesso anno 1687 è registrato un forte contenzioso tra le parti che ha come oggetto la responsabilità del restauro della chiesa:

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nulla di più diverso dall'auspicata collaborazione tra gli interessati per risolverne i numerosi problemi.

Dopo la Visita disastrosa del 1684 l'allora rettore e curato Gasparo Romani, dopo essersi sobbarcato le spese per sistemare l'orto e la casa curata, muove istanza all'allora patrono della chiesa Michele Grifoni affinché contribuisca ai lavori di sistemazione. Il Grifoni, in risposta, scarica la responsabilità dei lavori interamente a Romani, visti gli interventi già apportati, suscitando un'ulteriore risposta del curato, ragion per cui il caso viene sottoposto per iscritto al giudizio dei XII Cavalieri del Consiglio. Nel documento sopracitato vengono addirittura riportate le disposizioni in materia varate nel Concilio Tridentino per stilare una mappatura generale delle responsabilità e venire a capo del contenzioso in atto. Se è norma comune che il parroco rettore si occupi delle riparazioni nella chiesa, è anche vero che la sua priorità risulta essere quella di avere dalla chiesa abbastanza rendita per mantenersi, mentre solo l'eccedente deve essere utilizzato per apportare restauri.

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Se la rendita della chiesa è bassa subentrano le responsabilità del patrono il quale, assieme a chiunque abbia un tornaconto dai frutti della chiesa, è tenuto a spendere per il suo mantenimento, poiché giova dei suoi benefici (come ad esempio il diritto di sceglierne il rettore).

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Viene in conclusione decretata l'infondatezza delle pretese del Grifoni: vista la scarsa rendita di S.Egidio, quasi insufficiente a mantenere il parroco stesso, è dovere del padrone dedicarsi “a tutte le spese necessarie per l'intero acconciamento di detta Chiesa da farsi prontamente per l'imminente rovina e deturpazione”.

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7 ACDP, Visite Pastorali, f.17, c.118 r.

8 ASP, Ordine di S.Stefano, f.2814, “Ill.mi Sig.ri XII Cavalieri del Consiglio. Richiedendo la Chiesa Parrocchiale di S.Egidio di questa città sottoposta a questa Sacra e Ill.ma Religione, come membro dell'insigne Badia di S.Paolo in Ripa d'Arno, posseduta dal Cavalier Michele Grifoni, necessaria e pronta reparazione per l'imminente rovina, che gli sovrasta, e potendo esser la spesa di qualche somma rilevante, ha recusato di succumber a quella Gasparo Romani Cavalier Sacerdote e Rettore della medesima, pretendendo che tal spesa di risarcire, e riparare alla rovina di detta Chiesa s'aspetti al padrone di essa, che è il Sig. Commendatore Grifoni, e non a sè come Rettore di quella.”

9 Ibid. “ I detti Concilii si devono intendere nel caso quando, detratta la congrua porzione di scudi cento per il bastevole mantenimento del Paroco, il sovrapiù sia sufficiente alla riparazione, o restauro della Chiesa (…). Qual rata di scudi cento deve esser libera da ogni peso, et aggravio di reparazione e d'altro; quali scudi cento devono anco esser di moneta corrispondente al ducato fiorentino.”

10Ibid. “Si sforzino i Padroni di detta Chiesa, o altri, che da detta Chiesa ricevessero alcuna sorta di frutto, e questi ancora mancando si necessitino al necessario riparamento della loro Chiesa Parrocchiale. (…) Perché nonostante obliga i detti Padroni a i necessarii resarcimenti della Chiesa il detto Concilio Tridentino per l'utile che attualmente ricavano dal Juspatronato, come nel presentare il Paroco, nell'avere le onoranze del primo luogo nelle processioni, e sessioni, e nel conseguire gli Alimenti dalla detta Chiesa in caso di necessità del detto Padrone; il che parve sufficiente al predetto Concilio tridentino per obbligare i Padroni alli detti Restauri.”

11 Ibid.

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Le controversie apparentemente risolte nel 1687 a favore del curato sembrano però trascinarsi anche tra rettore e commendatore successivi ossia tra il reverendo Ranieri Luchini e il pupillo Ugolino Grifoni. Il 4 marzo 1726 Luchini presenta un'istanza ai XII Cavalieri del Consiglio affinché esortino il commendatore a fare riparare una trave e il tetto del campanile, nonché a rifare il baldacchino dell'altare maggiore, quello del Santissimo Viatico e altre suppellettili in cattivo stato. Nell'istanza viene citata la controversia di quarant'anni prima, a fronte della quale viene fatta richiesta di provvedere in fretta ai suddetti lavori, mai eseguiti.

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La segnalazione di Luchini scatena una polemica: il sig. Girolamo Capponi, in quanto tutore del pupillo Grifoni accetta di cambiare prontamente la “travetta” a sue spese in virtù di quanto decretato nel 1687, ma intende andare avanti nella causa delle responsabilità e avere un rimborso qualora risulti nel giusto, nonché ottenere la sollevazione del Grifoni dall'obbligo di pagare eventuali altri lavori.

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A fronte del netto rifiuto del reverendo Luchini ad accettare tale contrattacco “per intendendo di stare al Sacro Concilio di Trento e alla decisione dell'Illustrissimo Consiglio”,

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la famiglia Grifoni il 4 aprile 1726 lo accusa di pretendere “di coartare il Commendatore al resarcimento di detta Chiesa con aver rappresentato falsamente”

presentando contro di lui un riassunto delle entrate annue della Chiesa ammontanti a 114 scudi, e dunque eccedenti il limite fissato a 100 per il sostentamento del rettore. Un diverso riassunto delle entrate presentato in risposta le dimostra ammontare però a 91 scudi annui.

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Nonostante la nuova apparente soluzione del caso, la Visita successiva fatta dal Priore Cerati il 31 gennaio 1734 fa emergere ancora molte mancanze. Benché l'altare maggiore non risulti

12 ASP, Ordine di S.Stefano, f.2814. “Avanti gl'Ill.mi Sig.ri XII Cavalieri del Consiglio dell'Ill.ma e Sacra Religione di S.Stefano P. e M. Ranieri Luchini Cavaliere Sacerdote e Paroco della Chiesa Parrocchiale di S.Egidio membro della Commenda sopra la Abbazia di S.Paolo a Ripa d'Arno, rappresenta come la detta chiesa hà di bisogno, che sia mutata una trave e sia rifatto tutto il tetto del Campanile, che minacciano rovina; et avendone più volte dato parola al detto Cavaliere Commendatore Grifoni a tenore della sentenza stata proferita contro il medesimo dall'Ill.mo Consiglio fino l'anno 1686 fiorentino, il dì 24 ottobre, ha sempre ciò recusato di fare in grave pregiudizio della medesima chiesa; e perché è imminente il pericolo di rovina ricorre pertanto alle Ill.me Sig.rie loro ad effetto sia rimediato all'imminente rovina, siccome sia rifatto il Baldacchino copra l'Altare Maggiore, e quello del SS.Viatico per esser quelli in tono indecentissimi et altre suppellettili resarcire. Letta in Consiglio adì 4 marzo 1726 ab Inc, fù ordinato notificarsi al Cav. Commendatore per ogni suo interesse.”

13 ASP, Ordine di S.Stefano, f.2814. “L'Ill.mo Sig. Girolamo Capponi in suo proprio nome, et in ogni con la dovuta riverenza espone, e narra, qualmente stante la pretenzione che verba avanti le Sig.rie loro Ill.me il Rev.

Sig. Ranieri Luchini da una, et il Pupillo Grifoni dall'altra parte, pritendendo Rev. Luchini obligar esso Pupillo alla restaurazione della Chiesa di S.Egidio di suo padronato, ha fatto visitare la medesima per riconoscere se sia imminente il supposto bisogno di detta chiesa e ha ritrovato, che sia necessario mutarsi prontamente una travetta, e perché intende, che sia riconoscimento per via d'atti spetti a detto pupillo il peso di simile restaurazione; non volendo che nella pendenza di questo giudizio segua qualche pregiudizio, intima, e fa intendere a detto Rev.do Sig. Luchini, che il giorno seguente manderà a far mutare detta travetta a proprie sue spese, per ora per poi proseguire il giudizio avanti le Sig.rie loro Ill.me, come Tutore di detto pupillo, e se dalla decisione, che nascerà come sopra favorevole al medesimo, sarà dichiarato spettarsi a detto Luchini come Rettore di detta Chiesa, intende di ottenerne dal medesimo il rimborso di quanto averà speso per tale risarcimento, quale di nuovo si dichiara che intende farlo di suo proprio (…) Adì 21 marzo 1727.”

14 Ibid.

15 Ibid.

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più rotto nel mezzo, tutti gli altari sono ancora generalmente sguarniti di suppellettili e arredi.

Non sono ancora risolti né il problema dell'umidità, né tanto meno quello della sagrestia mancante, per la quale viene riproposta la soluzione già abbozzata da Sergrifi, accompagnata dall'iniziativa di Cerati di parlare lui stesso col Grifoni “per indurre la sua gran pietà a quell'opera”. Infine una parte del muro dell'orto risulta effettivamente rovinata, ma essendo quello confinante con la proprietà dei vicini Gualandi, il Cerati si ripromette di verificare anche in questo caso la ripartizione delle responsabilità.

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Quattro anni dopo, il 23 marzo 1738, segue la Visita dell'Arcivescovo Guidi nella quale però si annotano praticamente solo gli stati degli altari e il numero delle anime, in tutto 192.

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È con la successiva Visita del Priore Cerati, avvenuta il 28 novembre 1750 che inizia la parabola conclusiva della storia di S.Egidio. Gli altari risultano ancora una volta sguarniti e tenuti con poca cura e non sono stati minimamente adempiuti gli ordini riguardo il problema dell'umidità e della costruzione di una degna sagrestia: la chiesa risulta dunque essere, per quelli che sono i suoi maggiori problemi, nelle stesse condizioni del 1684.

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Il documento successivo riguardante S.Egidio è infatti costituito da un esposto stilato un paio di anni dopo da Bartolomeo Girolamo Martini, nuovo economo della chiesa, ritrovatasi vacante per il trasferimento di Luchini alla parrocchiale di Navacchio. Martini, lamentandosi del fatto di provvedere da mesi alle spese per l'olio e la cera, richiede l'intervento dei XII Cavalieri del Consiglio affinché richiamino il contumace Luchini – evidentemente sfuggente nei confronti dell'economo - ai suoi doveri, tra cui anche togliere una serie di calcinacci dalla canonica, lì abbandonati da tempo.

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16 Ibid.

17 ACDP, Visite Pastorali, f.24, c.75 r.

18 ASP, Ordine di S.Stefano, f.2814, n.3 “Visitò la fabbrica della Chiesa la quale è nel medesimo stato per il suo pavimento umidissimo come fu trovato nella prima Visita, onde ordinò di farla visitare da un perito per trovare il modo di rendere il pavimento asciutto e praticabile: siccome di fare ancora la Sagrestia essendo indecentissimo quel luogo che presentemente serve per Sagrestia, essendosi tal bisogno insinuato nell'altra Visita, e non adempiuto. Osservò le sepolture in fondo alla Chiesa che fu detto esser una dei parvuli e l'altra per gli adulti in confuso, e però secondo il rituale si richiede una sepoltura distinta per le donne che ordinò farsi. Dopo portatosi in Casa visitò la miserabile Canonica.”

19 ASP, Ordine di S.Stefano, f.2814,“Il P. Bartolommeo Girolamo Martini Umilissimo Servo delle Sig.rie Ill.me col dovuto ossequio gli espone, qualmente essendo stato deputato Economo della Vacante Chiesa di S.Egidio per essere stato trasferito il molto Recto Sig. Ranieri Luchini alla Chiesa Parrocchiale di Navacchio, ha trovato che la medesima Chiesa di S.Egidio è sprovvista di quasi tutto il necessario per non essere stati adempiti i decreti fatti nell'ultima Visita fatta da Mons. Gaspero Cerati, de quali ne presenta la copia. In oltre le rappresenta, come dal dì 16 Agosto, che fù eletto Economo di detta Chiesa, è convenuto al supplicante mantenere dal dì 8 Ottobre fino al presente l'Olio per la Lampada ed altro a proprie spese, e non avendo lasciato né biancheria servibile, né torce necessarie tanto per la notte, che per il giorno per il SS. Viatico di modo che nell'occasioni, che ha visto l'amministrare detto SS.Sacramento gli è convenuto servirsi di sei mozziconi di Candele lasciate per l'Altare, i quali sono quasi consumate, e si trova in necessità di dover provvedere altra cera per i bisogni di detta Chiesa.

Parimente gli rappresenta che ha ritrovato nella Canonica un monte di calcinacci, e benché abbia più volte detto al Sig. Luchini che faccia portar via detti calcinacci, e che voglia somministrare la cera, olio ed altro necessario ed adempiere gli detti decreti, è stato sempre contumace; per lo che supplica le Sig.rie loro Ill.me a degnarsi astringere detto Sig. Luchini a fare quanto è obbligato, tanto più che gode e deve godere in quest'anno l'entrata di

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Come conseguenza, il 5 gennaio 1753 il Priore Cerati e il Cavalier Canonico del Borgo provvedono ad assegnare al Luchini due mesi di tempo per presentarsi e rifornire l'economo di sufficiente olio, cera e biancheria nuova, con la minaccia altrimenti di procedere contro di lui sia “per tutte quelle vie o modi che di ragione saranno pirmessi”, sia secondo “quelle pene che vengono imposte da Ser. Gran Maestri dell'Ordine per simili contumace”.

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Alla delibera vengono inoltre allegati estratti dell'ultima Visita con segnato ciò che non è mai stato adempiuto e un inventario della chiesa.

Il detto inventario, effettivamente stilato, può essere preso come ultima testimonianza per ricostruire in parte l'assetto dell'interno della chiesa. In esso è registrata nuovamente la presenza dei tre altari e, sebbene non sia specificata la collocazione rispondente alla dedicazione, ci informa sui dipinti posti sopra di essi. Sopra l'altare maggiore vi è un quadro raffigurante la Vergine, S.Egidio e un altro santo non specificato, entro una cornice in legno dorato. Sopra l'altare di S.Pietro in Vincoli vi è la rappresentazione dell'omonimo santo, e sopra l'altare di S.Maddalena una tela raffigurante la stessa santa entro una cornice di legno tinto di bianco. È poi confermata la presenza di tre finestre verso il chiasso che dovrebbero coincidere con quelle raffigurate dal Tronci sulla fiancata della chiesa confinante con la strada. All'interno della chiesa è attestata inoltre la presenza di un altro piccolo quadro raffigurante S.Giuseppe entro una cornice dorata, un solo confessionale in buono stato e otto panche in totale. La canonica è infine descritta come contigua alla chiesa dalla parte del campanile e comunicante tramite un ingresso vetrato con l'orto, situato entro i suoi muri sul retro della chiesa.

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L'assetto della chiesa rispetto al suo intorno, per come è ricostruibile, collima con quanto già riportato nella dettagliata pianta Scorzi.

Tornando al contenzioso, la risposta del Luchini arriva il 10 febbraio 1753 inaugurando, come previsto, l'ennesima riapertura della querelle sulle responsabilità e ricordando gli obblighi della famiglia Grifoni in proposito.

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Vagliata nuovamente tutta la documentazione relativa all'annosa questione, la delibera del Consiglio dei XII arriva tramite il cancelliere Filippo Gaetano Bandieri appena sei giorni dopo recitando lapidaria: “si intima all'Ill.mo Sig. Cav.

Pietro Grifoni, tempo e termine di giorni quindici ad aver fatti diversi riparamenti, e Arredi

detta Chiesa fino alla prossima festività dei Santi Pietro e Pavulo, e le fà umilissime reverenze.”

20 Ibid.

21 Ibid.

22 Ibid. “Il Rev. Sig.re Ranieri Luchini comparendo dentro il termine dei due mesi statogli assegnato, e impugnando la contraria pretensione, e a quello contraddicendo, oppone non esser tenuto, né obligato ad alcun preteso rifacimento, o risarcimento, che concerna la Chiesa di S.Egidio, di cui è stato Curato, o Arredi, e Paramenti sacri, mentre il mantenimento, tanto della Chiesa, quanto degli Arredi, e Parati sacri spettano al Sig.

Commendatore pro tempore della Casa Grifoni, ed era a suo carico, come in specie apparisce dalla sentenza del dì 24 ottobre 1686 proferita dall'Ill.mo Consiglio contro il medesimo e dalla deliberazione dell'istesso Ill.mo Consiglio del Sacro Militare Ordine degli anni 1713 e 1728.”

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Sacri per la Chiesa Parrocchiale di S.Egidio di Pisa, ò à dir la Ragione davanti al Tribunale del Consiglio per mezzo del suo Procuratore, perché non creda di doverli fare, altrimenti dal termine giurato, in sua contumacia saranno fatti detti Arredi Sacri e tutto ciò che sarà creduto necessario, ordinato nell'ultima visita dall'allor Signor Cerati.”

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Considerando che appena cinque anni dopo queste ulteriori delibere la chiesa di S.Egidio viene soppressa, è plausibile pensare che anche questa volta nessuno di dovere prenda l'iniziativa per restaurarla e dotarla di quanto necessario. È importante ricordare che nel frattempo Pisa è già governata dai Lorena e già sotto il Granduca Francesco Stefano si pensa ad un processo di razionalizzazione delle cure cittadine, alcune delle quali troppo piccole o mal gestite o indecenti, e dunque superflue. Alla luce di quanto esposto nel documento stilato da Tornaquinci in cui viene proposta questa prima razionalizzazione, S.Egidio sembra essere il ritratto perfetto della “cura superflua” da eliminare.

L'occasione per risolvere una volta per tutte la questione attorno ad essa si presenta alla morte di Giovanni Antonio Caluri, il rettore della parrocchiale di S.Sebastiano in Kinseca, altra chiesa sottoposta alla Religione di S.Stefano e commenda di Pietro Grifoni. Restando S.Sebastiano vacante, il Grifoni si adopera a nominare, come è nelle sue facoltà, il fiorentino Giuseppe Orsi come nuovo parroco: egli però non può ricevere la definitiva investitura poiché, in aria di razionalizzazione delle cure, il destino della chiesa è reso incerto dal progetto di unirla a S.Egidio, anch'essa ancora vacante. Riassumendo queste vicende e ricordando che entrambe le chiese di suo patronato sono al momento rette dai propri economi, lo stesso Pietro Grifoni il 23 agosto 1757 scrive al Granduca, nonché Gran Maestro dell'Ordine, per proporre una soluzione. La sua proposta vede la soppressione di S.Egidio, poiché posta al limite della città e in pesante stato di degrado, con il trasferimento delle sue poche anime sotto la cura di S.Sebastiano, preferibilmente da mantenere poiché più centrale.

Propone inoltre di ripartire le entrate di S.Egidio una volta soppressa destinandone due terzi alla stessa S.Sebastiano e un terzo alla chiesa dei SS.Ippolito e Cassiano (appartenente alla stessa commenda).

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L'opinione di Pietro Grifoni viene tenuta in considerazione e il 5 gennaio 1758 l'Arcivescovo Francesco Guidi formalizza la soppressione di S.Egidio e l'unione della sua cura a

23 Ibid.

24 Ibid. p.105. “E quando la M.V. Volesse sopprimere una delle dette due Chiese, (…) ci vien in oltre comandato di dirle ancora il Nostro Parere, crederebbemo perciò che la Parrocchia di S.Egidio meritasse piuttosto di esser soppressa comecché la medesima è posta negli estremi di questa città, e che è composta di poco Popolo; ed in oltre minaccia rovina, e si trova in pessimo stato, conservando quella di S.Sebastiano, che è nel cuore della Città, con unire a questa il Popolo dell'altra Parrocchia di S.Egidio, con due terzi delle di lei entrate, e l'altro terzo alla Parrocchia de' Santi Ippolito e Cassiano di questa medesima Città, appartenendo anch'essa alla soprariferita Commenda, affinché il Curato di questa chiesa possa fare qualche carità al numeroso e miserabile suo Popolo.”

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S.Sebastiano, la quale ne deve preservare il titolo e incorporarne tutte le entrate. Viene inoltre decretato che la chiesa di S.Egidio venga utilizzata esclusivamente come cimitero per i defunti delle due cure unite, ma che la canonica venga scorporata dal resto e resa edificio laico, chiudendone ogni via di comunicazione con la chiesa.

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5.2. Dopo la soppressione.

Soppressa la cura, e mai più ripristinata, si assiste dunque ad una fase di riuso della fabbrica come cimitero per alcuni anni. La medesima situazione è attestata il 20 maggio 1770 in occasione della Visita a S.Sebastiano del Priore Angelo Fabroni: alla visita della chiesa è associata la visita al cimitero allestito “dove prima era la Chiesa Parrocchiale di S.Egidio”.

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È registrata in loco ancora la presenza di un altare e l'unico appunto riguarda pertanto se si debba lì celebrare o meno la messa per l'anniversario dei defunti.

Nonostante questo, appena otto anni dopo, la seconda Visita a S.Sebastiano fatta dal Priore Angiolo Fabroni non riporta alcun dato riguardo l'annesso cimitero dedicando anzi larga parte ai problemi della chiesa visitata proprio rispetto alle sepolture. Non ci sono in generale altre informazioni riguardo l'effettiva durata di S.Egidio come cimitero, ma se probabilmente nel 1778 non assolve più questa funzione, certamente non la ricopre più nel 1782 quando vengono decise la costruzione del camposanto suburbano e l'abolizione di tutti i cimiteri cittadini.

Inoltre, se si pensa alle ripetute segnalazioni di imminente rovina della fabbrica, è plausibile pensare che l'edificio subisca di lì a poco o una demolizione o una profonda trasformazione.

Le piante disegnate successivamente, come quelle inserite nelle varie edizioni della Pisa Illustrata del Da Morrona o le piante ottocentesche di Ranieri Grassi segnalano la zona precedentemente occupata da S.Egidio come edificata, ma questo non significa che la zona risulti ancora occupata dalle rovine della chiesa.

Infatti, dall'elenco dei possidenti in Pisa al 23 aprile 1783 stilato dall'Ufficio Fiumi e Fossi risulta che il reverendo Luigi Rossi, ossia il suddetto parroco di S.Sebastiano, è in possesso di una “casa libera” che si affaccia sulla Via del Carmine, il cui fianco e orto sono invece prospicienti “la via sterrata detta dei Chiassi Lunghi che da Via S.Pavolo rivoltando presso ai

25 Ibid. “(...) Terzo: che la Parrocchiale soppressa di S.Egidio sia redutta a Cimitero, per i cadaveri della Chiesa di S.Sebastiano, ed in esso cimitero sieno esposti ed interrati tutti i cadaveri di detta Parrocchiale di S.Sebastiano, e quelli della Chiesa unita di S:Egidio. Quarto: che la casa canonicale di detta Parrocchia soppressa di S.Egidio non goda veruna attenzione, o immunità Ecclesiastica, ma sia riputata mera e pura laicale, e se vi fossero ingressi o prospetti in detto Cimitero, sieno serrati con muro. Francescus Archiepiscopus Pisanus. Adì 5 gennaio 1758.”

26 ASP, Ordine di S.Stefano, f.2815, c.5 v.

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tre orti arriva fino alla Via del Carmine”.

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L'isolato individuato sembra coincidere con quello occupato dalla chiesa di S.Egidio e la coerenza nell'identità del possessore fornisce un ulteriore supporto. L'edificio quindi, pur non essendo più utilizzato come cimitero, resta in possesso del parroco di S.Sebastiano.

Dal catasto particellare stilato tra gli anni '20 e gli anni '30 dell'800 [Fig.14] si evince un nuovo dettaglio. Una volta morto il Rossi, Alberto Pinna diventa parroco di S.Sebastiano, ma il possesso della casa che ha preso il posto di S.Egidio risulta definitivamente svincolato dalla suddetta chiesa di cui è divenuta contitolare. L'edificio infatti, indicato dalla particella n°

2036, risulta di proprietà di tale Pier Luigi Rossi, figlio di Anton Lorenzo Rossi che ne è usufruttuario. Occupa un'area di 1022 braccia quadre e, essendo segnalato come “casa”, si trova a svolgere funzione abitativa.

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Il cognome dei personaggi coinvolti indica una continuità all'interno della famiglia del reverendo Luigi Rossi, ormai presumibilmente defunto, il quale deve avere lasciato la casa in suo possesso a questi suoi due parenti.

Dal catasto dei fabbricati del 1877 emergono invece diversi proprietari, appartenenti alle famiglie Romani e Torri, tra di loro imparentante. La particella 2036, corrispondente all'indirizzo Via Vittorio Emanuele 40, risulta infatti collegata a due diverse partite di registro.

Una parte, composta da un pianterreno di sei stanze e un primo piano di dodici, è posseduta da Francesco di Luigi Torri e ha un reddito imponibile di £.700.

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L'altra è composta di un pianterreno di tre stanze, un primo piano di dodici e una soffitta di due, appartiene a Gustavo di Stefano Romani e ha un reddito imponibile di £.315.

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L'intero fabbricato ha uso abitativo, il che è dimostrato anche nella guida del Da Scorno del 1874 che, infatti, non associa nessun esercizio commerciale al civico 40 di Via Vittorio Emanuele. Dagli stessi documenti catastali si apprende che la moglie di Francesco Torri è proprio la sorella di Gustavo Romani. Tale Daria Romani, una volta rimasta vedova, l'8 gennaio 1880 diventa proprietaria della parte del marito

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e quattro anni dopo, il 20 settembre 1884, viene in possesso anche della parte del fratello.

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È difficile dire quanto della vecchia chiesa rimanga in piedi in queste fasi, quanto della vecchia struttura sia effettivamente riutilizzato e quanto sia invece eliminato. Il dato materiale odierno indica, almeno esternamente, l'assenza di strutture definibili antiche: l'area precedentemente occupata da S.Egidio ospita oggi alcuni negozi ed è identificabile con

27 ASP, Ufficio Fiumi e Fossi, f.2793 Ter, c. 275 v.

28 ASP, Catasto Terreni, f.508, c.170 r.

29 ASP, Catasto dei fabbricati, f. 13, p.1 30 ASP, Catasto dei fabbricati, f. 11, p.87 31 ASP, Catasto dei Fabbricati, f. 13, p.1 32 ASP, Catasto dei Fabbricati, f. 11, p.87

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l'isolato all'incrocio tra Corso Italia e Via Cottolengo, ossia la strada precedentemente chiamata Chiassi Lunghi [FIG.15-16]. Inoltre, molti edifici affacciati su Corso Italia subiscono i danni dei bombardamenti quindi l'intera zona attigua vede una serie di ricostruzioni anche in tempi recenti.

S.Egidio, dalla sua soppressione, sopravvive ancora a lungo come nome contitolare di S.Sebastiano e le sue ricorrenze vengono preservate all'interno della liturgia afferente a detta parrocchia, anche quando nel corso dell'800 viene soppressa e accorpata a S.Maria del Carmine. Il nome esplicito di S.Egidio ritorna dunque soltanto relativamente a questo tipo di affari.

Paradossalmente, a un secolo di distanza dalla plausibile sua demolizione o riuso, l'area urbana definita periferica e ortiva diventa parte integrante dell'asse principale della città. Nella seconda metà dell'800 tutta la zona dell'attuale Corso Italia diventa infatti il percorso preferenziale dei turisti arrivati a Pisa tramite la nuova stazione dei treni e dunque risulta zona di attività commerciali e ricettive, vetrina della città, ruolo che, come corso principale, mantiene tutt'oggi. Grazie a questo tipo di sviluppo e “all'inquieto spirito della modernità”

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la parte meridionale di Chinzica comincia a popolarsi e a espandersi anche oltre le mura e la stazione stessa, rendendo a tutti gli effetti centrale la zona precedentemente occupata dalla piccola e periferica cura di S.Egidio.

BIBLIOGRAFIA:

GRECO, G., 1984, pp. 34, 49, 50, 66, 99, 100, 112, 136, 137, 175.

GARZELLA, G., 1990, pp.185, 189, 242.

TOLAINI, E., 1979, p. 105.

TOLAINI, E., 1992, p.60.

TRONCI, P., 1643, cc. LXIII r, LXIV r.

33 ERICHSEN, 1909 p.105. “Few cities have preserved their medieval walls with such loving care as Pisa. The circuit is complete safe where the traveller enters the city; and there, alas, a wide breach has been made by the restless spirit of modernity.”

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5.3. Appendice.

Dalla Descrizione di Paolo Tronci.

c.LXIV r. S.Egidio

La Chiesa Parrocchiale di S.Egidio, è molto antica, trattandosi che la fusse di gia in piedi nel 1100, credesi fusse fondata dalli Parrocchiani, e poi donata ai Monaci di Vallombrosa, che poco avanti erano venuti a stare in Pisa in S.Paolo Ripa d'Arno, li quali la conferivano come Benefitio manuale, hora a un Monaco, hora a un Prete secolare secondo che piu li piaceva, e questo non riconosceva l'Arcivescovo se non per la licenza dell'amministratione delli

Sacramenti, partiti che furono li detti Monaci di Pisa, il ius sopra di essa restò nelli

Comendatarii, abati della Badia di S.Paolo già detto, et hora che è ridutta a Comenda della Religione di Santo Stefano, il Comendatore elegge il Curato, il quale è esaminato, e approvato dall'Arcivescovo per haverne il possesso, spedisce la Bolla in Cancelleria della medesima Religione.

In detta Chiesa vi è un Altare nell'entrare a man dritta dedicato all'Apostolo S.Pietro di

padronato già di casa del Tignoso, et hoggi degl'heredi di Jacopo del Testa, e dell'Opera della

Spina, nell'Icona vi e dipinto il detto santo legato con catene di mano di Domenico Passignano

fiorentino.

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