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Studio urodinamico nei pazienti sottoposti a riassegnazione chirurgica dei caratteri sessuali: valutazione pre e post operatoria nei pazienti andro-ginoidi.

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Studio urodinamico nei pazienti

sottoposti a riassegnazione chirurgica

dei caratteri sessuali: valutazione pre

e post operatoria nei pazienti

andro-ginoidi

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Sommario

ASPETTI GENERALI ... 4

DISFORIA DI GENERE: DEFINIZIONE ... 4

Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD) ... 4

World Professional Association for Transgender Health (WPATH) ... 4

Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) ... 5

CONSIDERAZIONI EPIDEMIOLOGICHE ... 5

PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO ASSISTENZIALE ... 5

Fase diagnostica ... 6 Richiesta di riassegnazione ormonale ... 9 Richiesta di riassegnazione chirurgica di sesso ... 10 Follow-up ... 11 Aspetti legali ... 11 TERAPIA ORMONALE ... 13 Schemi di terapia ormonale ... 13 Effetti della terapia ormonale ... 15 Rischi della terapia ormonale ... 15 CHIRURGIA ... 16 INTRODUZIONE ... 16 TECNICA CHIRURGICA ... 17 Preparazione-Installazione ... 17 Incisione cutanea e dissecazione ... 17 Creazione della cavità neovaginale ... 18 Dissecazione della cute peniena ed esteriorizzazione del pene ... 19 Dissecazione del neoclitoride e del suo peduncolo ... 20 Amputazione dei corpi cavernosi ... 22 Resezione del bulbo uretrale ... 24 Orchiectomia bilaterale ... 25 Fissazione del neoclitoride e del suo peduncolo ... 26 Sutura dei lembi cutanei, copertura della cavità neovaginale (più eventuale innesto cutaneo) ... 27 Esteriorizzazione del neoclitoride e del meato ... 29 Resezione dello scroto e creazione delle grandi labbra ... 31 Medicazione ... 32 CURE POSTOPERATORIE ... 33 COMPLICANZE ... 34 Complicanze immediate ... 34 Complicanze secondarie ... 35 CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DEL BASSO TRATTO URINARIO ... 36 STUDIO URODINAMICO: CHE COSA E’ ... 44 ESAMI ... 45 Residuo post-minzionale ... 45 Uroflussometria ... 46 Cistomanometria ... 46 Studio pressione/flusso ... 48 Profilo pressorio uretrale ... 49 Elettromiografia ... 49 Videourodinamica ... 50 IL NOSTRO STUDIO ... 51

INTRODUZIONE E SCOPO DELLO STUDIO ... 51

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RISULTATI ... 54

INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI ... 55

CONCLUSIONI ... 56 BIBLIOGRAFIA ... 58

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ASPETTI GENERALI

DISFORIA DI GENERE: DEFINIZIONE Esistono diverse definizioni di Transessualismo, Genere Non-conforme e Disforia di Genere, in continua evoluzione. La Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD), descrive un gruppo di sintomi e di condizioni, piuttosto che gli individui stessi. Focalizza la sua attenzione sul Transessualismo, Genere Non-conforme e Disforia di Genere come un disturbo e cioè un qualcosa che una persona può cercare di combattere e non la descrizione della persona stessa o della sua identità. Per contro, la World Professional Association for Transgender Health (WPATH), nella 7ª versione degli Standards di Cura (SOC7), si propone di avviare un processo di depatologizzazione della Disforia di Genere, al fine di promuovere tolleranza ed equità verso tutte le diversità di genere e sessuali e cercando, al contempo, di abbattere ogni forma di pregiudizio, discriminazione e stigmatizzazione. Quindi, secondo la WPATH, le persone transessuali, transgender e di genere non-conforme non sono necessariamente “disturbate”. Piuttosto, il disagio provocato dalla disforia di genere, quando presente, è ciò che deve essere diagnosticato e per il quale ci sono diversi tipi di cure. L’esistenza di una diagnosi per questa disforia spesso facilita l’accesso al servizio sanitario e spinge a fare ulteriori ricerche per ottenere cure ancora più efficaci. La stessa ricerca sta portando a nuove definizioni diagnostiche, infatti la terminologia è già cambiata nel DSM con la 5ª edizione e sta cambiando con l’11ª edizione dell’ICD. Di seguito sono riportate le attuali definizioni date dalla Classificazione Internazionale delle Malattie, dalla World Professional Association for Transgender Health e dal Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali. Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD) La 10ª versione della Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-10) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) classifica il Transessualismo come disturbo dell’identità sessuale e lo definisce come il desiderio di vivere ed essere accettato come membro del sesso opposto, di solito accompagnato da un senso di disagio o di inappropriatezza relativo al proprio sesso anatomico, e dal desiderio di ricorrere ad intervento chirurgici e trattamenti ormonali per rendere il proprio corpo il più adeguato possibile al proprio sesso preferito. 1 World Professional Association for Transgender Health (WPATH) Una delle funzioni principali della WPATH è quella di promuovere il più alto livello di standard di cure individuali attraverso gli Standards di Cura (SOC) per la Salute delle PersoneTransessuali, Transgender e di Genere non-conforme. Gli Standards di Cura sono volutamente flessibili al fine offrire le basi per promuovere un’assistenza sanitaria e al fine di poter venire incontro alle diverse esigenze delle persone transessuali, transgender e di genere non-conforme nell’ambito della salute. Essi intendono fornire il miglior servizio possibile ad ogni individuo, delineando, all’interno del documento, principi fondamentali, quali: mostrare rispetto verso i pazienti con identità di genere non-conforme (non patologizzare le differenze d’identità o di espressione di genere); fornire le

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cure per confermare l’identità di genere del paziente e per ridurre il malessere causato dalla disforia di genere, quando presente; individuare il trattamento che meglio si incontra con le esigenze del paziente; semplificare l’accessi alle cure appropriate; ottenere il consenso informato; offrire continuità di cure ed essere pronti a sostenere e difendere il paziente all’interno della sua famiglia e della sua comunità. La WPATH individua nella 7ª versione degli Standards di Cura due condizioni: la Non-Conformità di Genere e la Disforia di Genere. Per Non-Conformità di Genere si intende il livello fino al quale l’identità di genere di un individuo (o il ruolo di genere o l’espressione di genere) si differenzia dalle norme culturali comuni per una persona di un determinato sesso. 2 Per Disforia di Genere si intende invece il malessere o lo stress provocato in una persona nel sentire la propria identità di genere diversa dal sesso assegnatogli alla nascita (ed il ruolo associato a quel sesso e/o a quelle caratteristiche sessuali primarie e secondarie). 3 4 Soltanto alcune tra le persone di genere non-conforme presentano disforia di genere nella loro vita. 5 Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) La 5ª edizione del Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) individua i criteri di diagnosi della Disforia di Genere (vedi cap. “FASE DIAGNOSTICA). 6 CONSIDERAZIONI EPIDEMIOLOGICHE Non sono mai stati fatti studi epidemiologici sull’incidenza e sulla prevalenza del transessualismo specifico o sulle identità transgender o di genere non-conforme in generale. I ricercatori che hanno studiato l’incidenza e la prevalenza si sono concentrati su quei sottogruppi di individui di genere non-conforme più facili da individuare, ossia persone transessuali affette da disforia di genere che si rivolgono a cliniche specializzate per le terapie collegate alla transizione di genere. La maggior parte di questi studi si è svolta in nazioni europee. La prevalenza riportata in questi studi varia da 1:11900 a 1:45000 per soggetti da-maschio-a-femmina (MtF) e da 1:30400 a 1:200000 da-femmina-a-maschio (FtM). La tendenza è verso una maggior prevalenza negli studi più recenti, il che potrebbe indicare un maggior numero di persone che si rivolge alle strutture mediche. 5 PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO ASSISTENZIALE L’ inquadramento clinico dei soggetti adulti (>18 anni) affetti da Disforia di Genere richiede specifiche competenze che spaziano dall’ambito psicologico/psichiatrico a quello endocrinologico e chirurgico. Sarebbe auspicabile che i protocolli diagnostici fossero uniformemente accettati ed utilizzati all’interno delle strutture sanitarie che assistono questa categoria di pazienti, anche al fine di permettere la formazione di un terreno comune di confronto e ricerca tra i professionisti di varie nazioni che operano nel settore. Sono nate così alcune associazioni scientifiche multidisciplinari, che operano a livello internazionale (WPATH) e nazionale (per l’Italia l’ONIG - Osservatorio

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Nazionale sull’ Identità di Genere), associazioni che hanno il compito di stilare ed aggiornare le linee guida gestionali di questo difficile problema. 5 Quando una persona si rivolge al medico con la richiesta di una riassegnazione di genere, diventa indispensabile porre diagnosi, ovvero valutare in termini psicodiagnostici se quella persona presenta realmente Disforia di Genere che la renda idonea ad essere sottoposta al trattamento ormonale e quindi alla eventuale riassegnazione chirurgica del sesso (RCS). È ampiamente dimostrato da studi internazionali 2, 5, 7-9 che le terapie ormonali e la RCS, nei soggetti con Disforia di Genere, sono in grado di migliorare i vissuti soggettivi e la qualità di vita, mentre le stesse terapie, effettuate su pazienti che non soddisfano i criteri di eleggibilità per iniziare la transizione e/o non hanno idonee risorse psicologiche/sociali porterebbero ad un’infruttuosa esposizione ai rischi della terapia ormonale oltre che ad un danno psicologico fortemente destabilizzante. Diverso è attualmente in Italia il tema della riassegnazione anagrafica di sesso in quanto, seppur aggiornatasi, è tuttora vigente la legge n. 164 del 1982. Tornando all’iter risulta pertanto ad oggi indispensabile che l’iter psicodiagnostico sia effettuato, in accordo agli standard definiti dalle linee guida, in centri specializzati, ove operano in equipe psicologi, psichiatri e psicoterapeuti con formazione in ambito sessuologico ed esperienza specifica 10. Fase diagnostica Figura 1.1 Diagramma percorso diagnostico terapeutico, MHP(mental health professionist)

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L’iter (vedi fig. 1.1) prevede una prima fase di valutazione, a seguito di uno stato di sofferenza legata alla condizione di Disforia di Genere della durata di almeno sei mesi, durante la quale, tramite colloquio con uno specialista della salute mentale (MHP, psichiatra o psicologo), viene effettuata un’approfondita analisi della richiesta e la raccolta di tutti gli elementi utili per una corretta diagnosi di Disforia di Genere, in cui vengano rispettati i criteri del DSM-5 (vedi tab. 1.1). Tabella 1.1 Criteri di diagnosi della Disforia di Genere 6 Disforia di genere nei bambini A. Una marcata incongruenza tra il genere esperito/espresso da un individuo e il genere assegnato, della durata di almeno 6 mesi, che si manifesta attraverso almeno sei dei seguenti criteri (di cui uno deve necessariamente essere il Criterio A1): 1. Un forte desiderio di appartenere al genere opposto o insistenza sul fatto di appartenere al genere opposto (o a un genere alternativo diverso dal genere assegnato). 2. Nei bambini (genere assegnato), una forte preferenza per il travestimento con abbigliamento tipico del genere opposto o per la simulazione dell’abbigliamento femminile; nelle bambine (genere assegnato), una forte preferenza per l’indossare esclusivamente abbigliamento tipicamente maschile e una forte resistenza a indossare abbigliamento tipicamente femminile. 3. Una forte preferenza per i ruoli tipicamente legati al genere opposto nei giochi del “far finta” o di fantasia. 4. Una forte preferenza per giocattoli, giochi o attività stereotipicamente utilizzati o praticati dal genere opposto. 5. Una forte preferenza per compagni di gioco del genere opposto. 6. Nei bambini (genere assegnato), un forte rifiuto per giocattoli, giochi e attività tipicamente maschili, e un forte evitamento dei giochi in cui ci si azzuffa; nelle bambine (genere assegnato), un forte rifiuto di giocattoli, giochi e attività tipicamente femminili. 7. Una forte avversione per la propria anatomia sessuale. 8. Un forte desiderio per le caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie corrispondenti al genere esperito. B. La condizione è associata a sofferenza clinicamente significativa o a compromissione del funzionamento in ambito sociale, scolastico o in altre aree importanti. Specificare se: Con un disturbo dello sviluppo sessuale (per es., un disturbo adrenogenitale congenito come iperplasia surrenale congenita oppure sindrome da insensibilità agli androgeni). Disforia di genere negli adolescenti e negli adulti A. Una marcata incongruenza tra il genere esperito/espresso da un individuo e il genere assegnato, della durata di almeno 6 mesi, che si manifesta attraverso almeno due dei seguenti criteri: 1. Una marcata incongruenza tra il genere esperito/espresso da un individuo e le caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie (oppure, in giovani adolescenti, le caratteristiche sessuali secondarie attese). 2. Un forte desiderio di liberarsi delle proprie caratteristi- che sessuali

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primarie e/o secondarie a causa di una marcata incongruenza con il genere esperito/espresso di un individuo (oppure, nei giovani adolescenti, un desiderio di impedire lo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie attese). 3. Un forte desiderio per le caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie del genere opposto. 4. Un forte desiderio di appartenere al genere opposto (o un genere alternativo diverso dal genere assegnato). 5. Un forte desiderio di essere trattato come appartenente al genere opposto (o un genere alternativo diverso dal genere assegnato). 6. Una forte convinzione di avere i sentimenti e le reazioni tipici del genere opposto (o di un genere alternativo diverso dal genere assegnato B. La condizione è associata a sofferenza clinicamente significativa o a compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. Specificare se: Con un disturbo dello sviluppo sessuale (per es., un disturbo adrenogenitale congenito come iperplasia surrenale congenita oppure sindrome da insensibilità agli androgeni). Specificare se: Post-transizione: L’individuo è passato a vivere a tempo pieno il genere desiderato (con o senza riconoscimento legale del cambiamento di genere) e si è sottoposto (oppure si sta preparando a sottoporsi) ad almeno una procedura medica di riassegnazione sessuale o a un protocollo di trattamento, vale a dire un regolare trattamento con ormoni del sesso opposto o un intervento chirurgico di riassegnazione del genere in accordo al genere desiderato (per es., penectomia, vaginoplastica in un individuo nato maschio; mastectomia o falloplastica in un individuo nato femmina).

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Figura 1.2 Diagramma percorso diagnostico terapeutico Richiesta di riassegnazione ormonale Dopo la discussione in equipe ed una volta confermata la diagnosi di Disforia di Genere, si esprimerà l’indicazione al trattamento ormonale (necessario ai fini della riassegnazione chirurgica dei caratteri sessuali primari), che consiste nel vivere, con la terapia ormonale, conformemente al sesso psicologico sentito. Nel caso in cui, invece, non si riscontrino i criteri di eleggibilità al percorso di transizione, le persone verranno inviate ad altri Servizi (Centro di Salute Mentale, SerT ecc.) o a professionisti adeguati. Qualora coesistano elementi di rilievo psichiatrico o altre problematiche psicologiche o comportamentali, quali ad esempio le tossicodipendenze e altre problematiche mediche (es. preesistente condizione di ipercoagulabilità, anamnesi di neoplasia estrogeno sensibile, stadio terminale di malattia epatica cronica) la cui risoluzione viene ritenuta primaria rispetto alla richiesta di riattribuzione del sesso, va data precedenza alle procedure terapeutiche comunemente adottate per tali condizioni. Qualora alla persona sia stata fatta diagnosi di Disforia di Genere e soddisfi i criteri di eleggibilità per iniziare la terapia ormonale sarà seguita dall’endocrinologo o eventualmente anche dall’equipe chirurgica stessa per tutto il periodo di preparazione all'intervento chirurgico nel caso in cui siano e rispettati i criteri di eleggibilità per la RCS. Questo periodo copre la durata minima di un anno. Talvolta, in casi particolarmente complessi, può essere necessario ampliare l’osservazione psichiatrica anche in questa fase, per arrivare ad un più approfondito inquadramento terapeutico per giungere, prima della RCS, evento irreversibile, alla scelta terapeutica più idonea.

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In definitiva i criteri per prescrivere la terapia ormonale sono i seguenti: 1. Disforia di genere persistente e ben documentata; 2. Capacità di prendere una decisione pienamente consapevole dando il consenso al trattamento; 3. Raggiungimento della maggiore età per quel dato paese; 4. Nel caso siano presenti rilevanti problematiche mediche o riguardanti la salute mentale, devono essere svolti adeguati approfondimenti. 5, 11 Figura 1.3 Diagramma percorso diagnostico terapeutico Richiesta di riassegnazione chirurgica di sesso Di seguito I criteri per la RCS: 1. Disforia di Genere persistente, ben documentata; 2. Capacità di prendere una decisione pienamente consapevole e di dare il consenso al trattamento; 3. Maggiore età in un dato paese; 4. Se sono presenti significative problematiche mentali o mediche, devono essere ben controllate. 5. 12 mesi consecutivi di terapia ormonale a seconda degli obiettivi di genere del paziente (a meno che il paziente abbia delle controindicazioni mediche o non sia in grado o non voglia assumere ormoni). 6. 12 mesi consecutivi di vita nel ruolo di genere congruente con la propria identità di genere. Da notare come nelle indicazioni per quanto riguarda la precedente fase demolitiva (ad es. orchiectomia in MtF) manchi la necessità del punto 6 (permanendo gli altri invariati). 5

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Figura 1.4 Diagramma percorso diagnostico terapeutico Follow-up A questo punto non rimarrà che seguire un percorso di follow-up sotto osservazione multidisciplinare (vedi fig. 1.5). Figura 1.5 Diagramma percorso diagnostico terapeutico Aspetti legali Al termine del percorso diagnostico, il paziente transessuale, se lo desidera e se soddisfa i criteri di eleggibilità, potrà sottoporre al Tribunale di residenza l'istanza di rettificazione chirurgica del sesso. È infatti la Legge n. 164 del 14

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aprile 1982, “Norme in materia di rettificazione di sesso” che stabilisce che il cittadino italiano transessuale potrà essere sottoposto all'intervento di riassegnazione chirurgica di sesso (RCS) solo dopo l'emissione della sentenza da parte del Tribunale competente. Dopo l’intervento chirurgico sarà possibile, sempre mediante il Tribunale, modificare lo status giuridico ed il nome anagrafico. Tale situazione è spesso fonte di disagio per i pazienti con Disforia di Genere non ancora sottoposti alla RCS, in quanto si trovano ad esibire documenti non conformi al loro aspetto fenotipico. Nuove prospettive si stanno invece aprendo per quanto concerne puramente la reattribuzione dello status giuridico. Il 21 ottobre 2015 con la sentenza n. 221 la Corte Costituzionale del è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale delle norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso, in particolare dell’art. 1 della legge n. 164 del 14 aprile 1982 sopra citata nella quale si prevedeva la reattribuzione dello status solo a seguito delle modificazioni dei suoi caratteri sessuali primari. Il primo passo in tal senso è del Tribunale di Trento dove vennero evidenziati contrasti con: • gli artt. 2 e 117 primo comma della Costituzione, in relazione all’art. 8 della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, perché la legge n.164 richiede, ai fini della rettificazione anagrafica dell’attribuzione di sesso, la modificazione dei caratteri sessuali primari pregiudicando il diritto all’identità di genere; • gli artt. 3 e 32 della Costituzione, poiché è “irragionevole” subordinare l’esercizio di un diritto fondamentale, quale il diritto all’identità sessuale, alla sottoposizione della persona a trattamenti sanitari – chirurgici o ormonali – anche pericolosi per la salute; • l’art. 31 comma 4 D.lgs. n. 150/2011, in cui è confluito il vecchio art. 3 della legge n. 164/1982, dispone che “quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato”. I nuovi passi verso la re-attribuzione dello status anagrafico sono stati fatti alla luce di una revisione del rispetto di tre punti chiave: • diritto all’identità di genere rientra nella tutela prevista dall’art. 8 della Convenzione, che impone il rispetto della vita privata e familiare riconosciuto dalla corte europea dei diritti dell’uomo; • l’inviolabilità dei diritti come il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale, come un aspetto dello svolgimento della personalità, e il diritto alla libertà sessuale (Corte Cost. n. 161/1985); • diritto alla personalità esplicantesi come diritto alla rettificazione dell’attribuzione di sesso. Inoltre è stata applicata in maniera molto più flessibile l’interpretazione dell’art. 1 comma 1 della legge n. 164 del 1982 in quanto sempre secondo la Corte Costituzionale, così come formulata la norma, riferendosi genericamente ad “intervenute modificazioni dei caratteri sessuali” lascia all’interprete il compito di definire il confine delle modificazioni e delle modalità attraverso le quali realizzarle. La mancanza del riferimento testuale alle modalità (chirurgiche, ormonali, o conseguenti ad una situazione congenita), attraverso cui può compiersi il cambiamento di sesso anagrafico, esclude la necessità del trattamento chirurgico. Viene di fatto rimessa al singolo la modalità attraverso

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cui realizzare –con l’assistenza medica e di altri specialisti- il proprio percorso di transizione, che deve comunque riguardare gli aspetti psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre l’identità di genere. In virtù di quanto sopra affermato si conclude dunque dicendo che la RCS è uno strumento eventuale oltre a un mezzo funzionale al conseguimento del pieno benessere psicofisico e non più un passo fondamentale a fini legislativi segnando così la chiave di volta del concetto di individualizzazione del percorso di transizione in parallelismo con le più recenti linee guida medico-chirurgiche. 12 TERAPIA ORMONALE Dopo che è stata fatta la diagnosi di Disforia di Genere la persona viene affidata all’endocrinologo per i trattamenti finalizzati a ridurre le caratteristiche fenotipiche del proprio sesso biologico e ad acquisire sembianze proprie del sesso desiderato. I criteri per l’inizio del trattamento sono già stati esposti nel cap. RICHIESTA DI RIASSEGNAZIONE ORMONALE. L’endocrinologo effettua una prima valutazione in cui raccoglie l’anamnesi fisiologica e patologica, esegue l’esame obiettivo, richiede esami generali, ormonali e genetici, illustra la modalità di gestione dei trattamenti ormonali. Durante una successiva valutazione, alla luce dei risultati, degli accertamenti e del quadro clinico opportunamente accompagnato dal consenso informato, definisce il trattamento ormonale adeguato per la specifica persona, spiegando come alcuni effetti della terapia ormonale possano risultare irreversibili. I trattamenti ormonali hanno lo scopo di bloccare la sintesi degli ormoni sessuali del sesso biologico di appartenenza, di contrastarne gli effetti ancora attivi e di incrementare progressivamente la presenza degli ormoni sessuali del sesso desiderato. Nei pazienti andro-ginoidi (MtoF) si somministrano antiandrogeni (demascolinizzanti) ed estrogeni (femminilizzanti) secondo schemi terapeutici che possono essere individualizzati. 11, 13 Schemi di terapia ormonale Per la transizione MtF sono attualmente a disposizione: • Estrogeni L’uso di estrogeni per via orale, ed in particolare l’etinilestradiolo, sembra aumentare il rischio di TEV. A causa di questo problema di sicurezza, l’etinilestradiolo non è raccomandato per la terapia ormonale femminilizzante. L’estrogeno transdermico è indicato per quelle pazienti con fattori di rischio di tromboembolismo venoso. Il rischio di eventi avversi aumenta con le dosi più elevate, in particolare quelle che determinano livelli sovrafisiologici 11. Le pazienti con comorbidità che possono essere influenzate dagli estrogeni dovrebbero evitare gli estrogeni per via orale e, se possibile, iniziare con dosaggi inferiori. Alcune pazienti potrebbero essere non in grado di utilizzare gli estrogeni ai livelli corretti per la necessità di ottenere i risultati desiderati. Questa possibilità deve essere discussa con le pazienti con ampio anticipo rispetto all’inizio della terapia ormonale. • Farmaci anti-androgeni

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Un’associazione di estrogeni e anti-androgeni è lo schema terapeutico più adottato per la femminilizzazione. I farmaci antiandrogeni hanno l’effetto di ridurre sia i livelli di testosterone endogeno che l’attività del testosterone, e quindi di diminuire le caratteristiche maschili, come i peli del corpo. In questo modo riducono al minimo la dose di estrogeni necessaria per sopprimere il testosterone, riducendo così anche i rischi associati ad alte dosi di estrogeni esogeni14, 15. Gli anti-androgeni più comuni sono i seguenti: - Spironolattone - un agente antiipertensivo, inibisce direttamente la secrezione di testosterone e il legame dell’androgeno ai recettori per gli androgeni. Si rende necessario il monitoraggio della pressione arteriosa e degli elettroliti a causa del potenziale rischio di iperkaliemia. - Ciproterone acetato - è un progestinico con proprietà anti-androgene. Questo farmaco non è approvato negli Stati Uniti a causa della sua potenziale epato-tossicità, ma è ampiamente usato altrove 16 - GnRH-analoghi (ad esempio, goserelin, buserelin, triptorelina) - sono neuro-ormoni che bloccano il recettore per il GnRH, bloccando il rilascio di ormone follicolo-stimolante e ormone luteinizzante. Si ha perciò un blocco delle gonadi altamente efficace. Purtroppo sono costosi e disponibili solo come iniettabili o come impianti. - Inibitori della 5-alfa reduttasi (finasteride e dutasteride) - bloccano la conversione del testosterone in 5-alfa-diidrotestosterone (più attivo). Hanno effetti benefici contro: perdita dei capelli, la crescita dei peli del corpo, le ghiandole sebacee, e la struttura della pelle Vedi tab. 1.2 per farmaci e dosaggi terapeutici. Tabella 1.2 Farmaci e dosaggi terapeutici 13 farmaco dosaggio

estrogeni estradiolo Orale 2.0-6.0

mg/die Transdermico (cerotto) 0.1-0.4 mg/

due volte settimana Parenterale valerato 5-20 mg im

due volte settimana cipionato 2-10 mg im

una volta settimana

antiandrogeni spironolattone Orale 100-200

mg/die ciproterone

acetato Orale 50-100 mg/die

agonisti GnRH Sottocute 3.75 mg

mensilmente

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Effetti della terapia ormonale Nella transizione MtF ci si aspetta nel tempo di due anni una serie di cambiamenti nel corpo del paziente. La cronologia degli effetti della terapia ormonale è indicata nella tabella 1.3. Tabella 1.3 Tempistica degli effetti attesi dalla terapia ormonale; (a) dipendente fortemente dall’attività fisica; (b)per trattamento di eliminazione definitive è necessario un trattamento mediante elettrolisi, laser o entrambi. 11 Effetto Inizio atteso degli

effetti Massimo effetto atteso

ridistribuzione del grasso

corporeo 3-6 mesi 2-5 anni

diminuzione della massa

muscolare/forza 3-6 mesi 1-2 anni (a)

assottigliamento della

pelle/diminuzione seborrea 3-6 mesi non noto

diminuzione della libido 1-3 mesi 1-2 anni

diminuzione delle erezioni

spontanee 1-3 mesi 3-6 mesi

disfunzioni sessuali maschili variabile variabile

crescita del seno 3-6 mesi 2-3 anni

diminuzione del volume testicolare

3-6 mesi 2-3 anni

diminuzione della produzione di

sperma variabile variabile

assottigliamento e crescita rallentata dei peli su viso e corpo 6-12 mesi > 3 anni (b) calvizie tipica maschile non c’è ricrescita e la perdita di capelli cessa , si arresta in 1-3 mesi 1-2 anni Rischi della terapia ormonale I rischi associati alla terapia ormonale femminilizzante per transessuali, transgender e persone di genere non-conforme nel suo complesso sono riassunti nella tabella 1.4. In base al livello dell’evidenza, i rischi sono classificati come segue: (-) probabile aumento del rischio con la terapia ormonale, (-) possibile aumento del rischio con la terapia ormonale, o (-) in conclusione rischio non aumentato. 5

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Tabella 1.4 Rischi associati alla terapia ormonale.

farmaco Aumentato

rischio effetto

estrogeni probabile TEV

Eventi cerebro-cardio vascolare (età correlato) Metabolismo lipidico (ipertrigliceridemia Fegato possibile DM2(età correlato) ipertensione prolattinoma dubbio/non

aumentato mammario Carcinoma

antiandrogeni ciproterone

acetato Possibile epatotossicità

spironolattone probabile iperkaliemia,

vertigini sintomi GI

CHIRURGIA

INTRODUZIONE Impropriamente definita « vaginoplastica» , l’edoiopoiesi (dal greco “edoio” sesso femminile e “poiesi” fare) è la creazione chirurgica della vagina, del clitoride e delle labbra, nel quadro del transessualismo maschio-femmina (MtF). L’intervento di riassegnazione consiste da una parte nel rimuovere i testicoli, i corpi cavernosi e la maggior parte del bulbo spongioso dell’uretra e, dall’altra, nel creare una cavità neovaginale tra retto posteriormente e vescica anteriormente. La metodica di riferimento attuale per coprire questa cavità utilizza la cute del pene invertita e peduncolata in avanti verso l’addome. Un lembo cutaneo perineoscrotale a peduncolo posteriore può esservi associato. Quando la quantità di cute disponibile sul pene non è sufficiente, essa può essere prolungata con un innesto di cute totale prelevato o sullo scroto preventivamente epilato a questo scopo o nelle regioni inguinali o addominali. Limitate dalle costrizioni anatomiche, le dimensioni medie della neovagina così creata sono di 12 cm di lunghezza su 3 cm di diametro. Solo in caso di insufficienza e/o di insuccesso di questi metodi può essere ipotizzata la creazione di una neovagina mediante trapianto peduncolato di sigma. Il neoclitoride è creato a partire da un frammento dorsale del glande peduncolato su vasi e nervi dorsali del pene. Le grandi labbra sono create a partire dallo scroto. Quanto alla creazione delle piccole labbra, esistono diverse metodiche chirurgiche per darne l’illusione. I postumi operatori sono raramente semplici e l’utilizzo di conformatori morbidi è raccomandato per diverse settimane. Quanto ai dilatatori rigidi, essi comportano un rischio di fistola rettovaginale che limita

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la loro indicazione ai casi dove sono realmente necessari e secondo un protocollo adeguato. Malgrado tutte le sue difficoltà e i suoi rischi, a condizione di essere realizzata nel quadro di un’equipe multidisciplinare da un chirurgo esperto, questa chirurgia permette attualmente, nella grande maggioranza dei casi, di ottenere risultati estetici e funzionali molto buoni. 17 TECNICA CHIRURGICA Lo scopo dell’intervento è di trasformare degli organi genitali maschili in organi genitali femminili, assicurando, allo stesso tempo, la migliore funzione possibile (urinaria, meccanica sessuale, sensibilità erogena) e l’aspetto il più naturale possibile (grandi labbra, piccole labbra, clitoride, vestibolo). I gesti da realizzare per questo sono: • asportare i testicoli e gli organi erettili (corpi cavernosi, bulbo spongioso dell’uretra); • creare una cavità neovaginale; • ricoprirla con della cute (uno o due lembi, con o senza innesto di cute totale complementare); • creare un neoclitoride sensibile ed erettile; • creare un meato urinario, delle grandi e delle piccole labbra. 17 Preparazione-Installazione Il protocollo è il seguente. • Dieta alimentare senza residui da 2 giorni. • Anestesia generale con intubazione tracheale. • Installazione in posizione ginecologica. • Profilassi antibiotica mediante iniezione endovenosa di 2 g di amoxicillina e di acido clavulanico, rinnovata al temine di 2 ore e, poi, ogni 6 ore per 24 ore. In caso di allergia, iniezione di gentamicina (dose unica di 5 mg/die) e di clindamicina (600 mg rinnovati ogni 6 h per 24 h). • Preparazione cutanea con Betadine® dermico dall’ombelico fino a metà delle cosce. • Posizionamento dei teli sterili. • Sonda urinaria a palloncino. Incisione cutanea e dissecazione Si associa al lembo di cute peniena a peduncolo anteriore un lembo perineoscrotale a peduncolo posteriore, che dà un aspetto trasversale meno naturale alla commissura vulvare posteriore, ma che permette allo stesso tempo di ingrandire il diametro del vestibolo vaginale e di ottenere una cicatrizzazione meno disturbata. 18, 19 Questo lembo perineoscrotale rettangolare longitudinale misura circa 8 cm di lunghezza su 3 cm di larghezza. Il suo peduncolo prossimale, caudale, è situato 2-3 cm circa anteriormente al margine anale. La sua estremità distale, craniale, è disegnata a triangolo la cui punta prosegue con un’incisione longitudinale sul rafe mediano dello scroto e della porzione prossimale del pene (vedi fig. 2.1). Dopo aver attraversato il grasso sottocutaneo, si realizza una dissecazione dei corpi cavernosi e del corpo spongioso della radice del pene. Il muscolo bulbocavernoso, che è teso trasversalmente da un corpo cavernoso all’altro

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davanti al bulbo dell’uretra, è resecato. Il bulbo del corpo spongioso dell’uretra deve essere dissecato completamente verso l’indietro, badando a non ledere la sua albuginea, per evitare un’emorragia che ostacola la dissecazione (vedi fig. 2.2). 17 Figura 2.1 Tracciato delle incisioni e del lembo perineo scrotale. Figura 2.2 Dissecazione dei corpi cavernosi e del corpo spongioso della radice del pene. Resecazione del muscolo bulbo-cavernoso. Creazione della cavità neovaginale Sulla linea mediana tra il bulbo del corpo spongioso anteriormente e lo sfintere esterno dell’ano posteriormente si trova il nucleo fibroso centrale (o centro tendineo) del perineo. La creazione della cavità neovaginale si esegue con un dito, creando, innanzitutto, due tunnel da una parte e dall’altra di questo nucleo fibroso, tra retto posteriormente e uretra e prostata anteriormente. Lateralmente, questa dissecazione si estende facilmente verso le fosse ischiorettali. Sulla linea mediana, occorre iniziare sezionando con forbici il nucleo fibroso centrale del perineo e continuare con il dito la dissecazione della cavità, unendo i due tunnel precedenti. Una trazione sulla sonda urinaria permette, se necessario, di individuare con il dito la prostata e il collo della vescica. La dissecazione si estende il più profondamente possibile verso lo sfondato rettovescicale. Questo gesto è il più pericoloso dell’intervento. È

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indispensabile porre l’indice della mano non dominante dell’operatore nel retto, per controllare l’integrità della sua parete durante tutte le tappe della dissecazione (vedi fig. 2.3 A-D). Da ultimo, uno speculum permette di esaminare la cavità neovaginale così creata e di realizzare le eventuali emostasi arteriose necessarie. Essa deve accogliere senza difficoltà una candeletta di Hegar di 30 mm per 12 cm di lunghezza circa. Queste dimensioni medie, riportate da tutti gli autori 19-24 , sono ovviamente imposte dalle costrizioni anatomiche. I muscoli elevatori dell’ano sono facilmente reperiti nella loro porzione elevatrice, interna, tesa tra il pube e il retto da una parte e dall’altra di questa cavità. Per preparare la fissazione dei lembi cutanei della neovagina, un grosso filo riassorbibile è passato in attesa in ciascuno di questi muscoli. Un telo è temporaneamente stipato nella cavità neovaginale a scopo di emostasi per compressione delle vene del plesso emorroidale. 17 Figura 2.3 Creazione della cavità neovaginale sotto controllo di un dito rettale (A-D). Dissecazione della cute peniena ed esteriorizzazione del pene La procedura è la seguente (vedi fig. 2.4). • Posizionamento di un filo di trazione sulla faccia ventrale del glande. • Incisione cutanea circolare alla base del glande. A

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• Scollamento circolare della cute del pene, innanzitutto con il bisturi e le forbici, poi con una garza. Questo scollamento, che si estende fino alla base del pene, deve rispettare i suoi vasi e i suoi nervi dorsali. • Esteriorizzazione del pene spogliato della sua cute attraverso l’incisione perineale. Sezione del legamento sospensore del pene fino a livello dell’emergenza dei vasi e dei nervi dorsali del pene sotto l’ogiva pubica. 17 Figura 2.4 Dissecazione dell’astuccio cutaneo del pene ed esteriorizzazione del pene attraverso l’incisione perineale (A-D). Dissecazione del neoclitoride e del suo peduncolo Essa si esegue nella maniera seguente (vedi fig. 2.5). • Disegno dei margini laterali dei peduncoli vascolonervosi dorsali del pene, dalla sua radice fino al glande. • Coagulazione con il bisturi elettrico dei rami che se ne distaccano trasversalmente per attraversare queste linee.

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• Disegno del lembo dorsale di glande che corrisponde al neoclitoride e la cui base prossimale è sufficientemente larga per ricevere tutti i vasi e i nervi dorsali del pene che vi terminano. Vi sono vari modi di tagliare il glande per realizzare il neoclitoride sulla sua faccia dorsale 25 o un neocollo uterino sulla sua faccia ventrale 24. Posizionamento di un secondo filo di trazione in questo lembo dorsale. La dissecazione del peduncolo vascolonervoso dorsale del pene, che assicura la vascolarizzazione e l’innervazione del neoclitoride, può avvenire in due modi principali: o a vero e proprio isolotto vascolonervoso, a filo dell’albuginea dei corpi cavernosi, o asportando questa albuginea. Il glande è inciso secondo il disegno della sua faccia dorsale, che raggiunge lateralmente i disegni dei corpi cavernosi. L’albuginea di questi ultimi è incisa con il bisturi su tutta la loro lunghezza e tutto il loro spessore. La faccia profonda del lembo dorsale di glande è dissecata a filo dell’uretra distale e un frammento distale dei corpi cavernosi è asportato con essa secondo una pastiglia di 5- 10 mm di diametro che servirà a fissare il neoclitoride. La dissecazione, che si esegue, allora, con le forbici, passa in ogni corpo cavernoso, sulla faccia profonda dell’albuginea dorsale che protegge il peduncolo che emerge sotto l’ogiva pubica. Essa è condotta fino al pube e il setto mediano che unisce i due corpi cavernosi è sezionato a filo della faccia profonda dell’albuginea dorsale, su tutta la sua lunghezza. La vitalità del lembo dorsale di glande non presenta alcun dubbio al termine di questa dissecazione e le emostasi arteriose spesso necessarie devono essere realizzate con cautela lungo il peduncolo (vedi fig. 2.6). 17 Figura 2.5 Incisioni del neoclitoride e del suo peduncolo.

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Figura 2.6 Dissecazione del peduncolo vascolonervoso dorsale del pene. La dissecazione è, qui, a isolotto neurovascolare vero, che rispetta l’albuginea dorsale dei corpi cavernosi, a eccezione di una pastiglia distale sulla faccia profonda del lembo di glande (A,B). Amputazione dei corpi cavernosi La procedura inizia con una separazione dell’uretra e dei corpi cavernosi. Una pinza di Kocher è posta sul terzo distale di ogni corpo cavernoso, a livello del margine della sua albuginea sezionata. La separazione dell’uretra sulla loro faccia ventrale è iniziata con le forbici e i corpi cavernosi sono, allora, sezionati trasversalmente più distalmente delle pinze di Kocher, il che conduce a lasciare un frammento distale composto dal moncone ventrale dei corpi cavernosi e dal glande all’estremità dell’uretra (vedi fig. 2.7). L’uretra è separata con le forbici dalla faccia ventrale dei monconi dei corpi cavernosi fino a livello del pube, dove i corpi cavernosi divergono ognuno verso la branca ischiopubica corrispondente e dove l’uretra si affonda sotto l’ogiva pubica. A questo livello, occorre interrompere la dissecazione prima di ledere le vene del plesso prostatico anterolaterale di Santorini, la cui emostasi può essere realizzata solo per compressione (vedi fig. 2.8) I due monconi di corpi cavernosi sono, allora, separati l’uno dall’altro, dalla loro estremità distale fino alle branche ischiopubiche, a filo delle quali sono sezionati ognuno dopo una legatura appoggiata con grosso filo riassorbibile. I due monconi di corpi cavernosi sono suturati l’uno all’altro sulla linea mediana. Questa struttura anatomica funge da fissazione solida al neoclitoride, la cui situazione anatomica così determinata nei tre piani dello spazio è perfettamente naturale. La sutura è realizzata a punti staccati di Vicryl® 3/0 su tutta la circonferenza delle due superfici di sezione (vedi fig. 2.9). 17

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Figura 2.7 Separazione distale dell’uretra e dei corpi cavernosi (A,B). Figura 2.8 Separazione prossimale dell’uretra e separazione dei due corpi cavernosi sulla linea mediana.

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Figura 2.9 Resezione dei corpi cavernosi a livello della loro inserzione pubica e sutura dei loro monconi l’uno all’altro (A,B). Resezione del bulbo uretrale Il bulbo del corpo spongioso dell’uretra maschile è una struttura erettile il cui volume non è molto importante al momento dell’intervento, ma che può aumentare notevolmente dopo questo al momento delle eccitazioni sessuali e protrudere, allora, nel vestibolo vaginale in maniera molto fastidiosa. Per evitare un reintervento quasi costante per questo motivo, occorre, quindi, resecare immediatamente quasi completamente questo bulbo 26. Occorre lasciare la porzione anteriore, craniale, di questo bulbo, così come un piccolo spessore di corpo spongioso sulla faccia posteriore, caudale, dell’uretra. Il gesto consiste nel pinzare il bulbo del corpo spongioso con una pinza di de Bakey orientata parallelamente all’uretra reperita attraverso la sua sonda. Occorre pinzarla quasi a filo di questa, lasciando un piccolo margine di sicurezza perché la sutura dei margini possa essere realizzata senza provocare una stenosi sintomatica dell’uretra. Una volta posizionata correttamente la pinza, infatti, occorre tagliare con le forbici appuntite curve l’albuginea del corpo spongioso lungo il bordo craniale di questa pinza che funge da guida. Si deve badare a non ledere l’uretra durante questo gesto, che è più o meno emorragico, a seconda dei casi. L’estremità distale del fuso di resezione deve trovarsi quasi a livello del futuro meato, sotto i monconi dei corpi cavernosi suturati l’uno all’altro. L’emostasi e la riparazione di questa resezione sono assicurate da un sopraggitto va e vieni in filo riassorbibile (vedi fig. 2.10).

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Figura 2.10 Resezione del bulbo spongioso (A-C). Orchiectomia bilaterale I testicoli sono spesso atrofici a causa del trattamento ormonale. Ciascuno è estratto dal suo involucro scrotale e il suo funicolo è dissecato fino a livello dell’orifizio inguinale superficiale. Esso è sezionato a questo livello dopo la legatura appoggiata con un grosso filo riassorbibile. I due pezzi di exeresi sono inviati separatamente e sistematicamente al laboratorio di analisi istologica, in quanto è possibile scoprirvi casualmente un cancro del testicolo (vedi fig. 2.11).17

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Figura 2.11 Orchiectomia bilaterale con sezione di ogni funicolo a livello dell’orifizio inguinale. Fissazione del neoclitoride e del suo peduncolo La pastiglia di albuginea dei corpi cavernosi che era stata prelevata a tale scopo sulla faccia profonda del neoclitoride è suturata con due punti in filo riassorbibile sul moncone dei due corpi cavernosi suturati l’uno all’altro. Il suo peduncolo vascolonervoso, sostenuto dall’albuginea cavernosa è disteso verso l’alto e fissato sulla parete addominale sovrapubica con due punti di Vicryl® 3/0 laterali ottenendo una plicatura del peduncolo. Si deve porre i punti di fissazione sull’albuginea stessa, che protegge il peduncolo. Pare che questo peduncolo situato nella regione pubica procuri spesso delle sensazioni erotiche che completano quelle del neoclitoride stesso. Quanto al lembo neoclitorideo, la sua estremità prossimale, immediatamente riconoscibile come quella di un frammento di glande, è resecata superficialmente secondo una forma che completa l’emiovale del lembo iniziale (vedi fig. 2.12). 17

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Figura 2.12 Fissazione del neoclitoride e del suo peduncolo. La pastiglia di albuginea conservata sulla faccia profonda del lembo è fissata sul moncone dei corpi cavernosi suturati l’uno all’altro (A,B). Sutura dei lembi cutanei, copertura della cavità neovaginale (più eventuale innesto cutaneo) Si devono considerare due casi, a seconda che la cute peniena sia in quantità sufficiente o meno. 17 Quando la cute del pene è in quantità sufficiente per permettere di coprire la cavità neovaginale • Preparazione della faccia profonda della cute della guaina del pene per sezionarne le aderenze profonde e aumentarne, così, al massimo le dimensioni longitudinale e trasversale. Benché la vascolarizzazione di questo lembo cutaneo sia robusta 27, occorre badare a non restringere troppo la sua base, nella quale sarà, d’altra parte, praticata l’incisione di esteriorizzazione del neoclitoride e del meato uretrale. • Chiusura dell’estremità distale con un sopraggitto in filo riassorbibile per creare lo sfondato neovaginale. • La cute del pene è invaginata e posizionata grazie alla candeletta di 30 mm nella cavità neovaginale. Essa vi è fissata da ogni lato dal punto di Vicryl® 2/0 che era stato lasciato in attesa sul muscolo elevatore corrispondente. Il lembo perineoscrotale è suturato a punti staccati di Vicryl® rapido 3/0 alla fessura cutanea che era stata inizialmente praticata sulla faccia caudale del pene. • In realtà, per realizzare questo, non bisogna fissare immediatamente sugli elevatori il lembo cutaneo invaginato. Occorre semplicemente passare da ogni lato, al livello giusto, i due fili in attesa e non annodarli prima della fine dell’esteriorizzazione del clitoride e del meato. Ciò permette di disinvaginare la cute del lembo del pene anteriore per poter facilmente suturarvi il lembo perineoscrotale posteriore a punti staccati in filo rapidamente riassorbibile. Questa sutura è realizzata dopo aver fissato da ogni lato con un punto l’estremità posteriore dell’incisione del lembo perineoscrotale a un punto del margine cutaneo anteriore situato tra la radice del pene e lo scroto. Quando questi due punti sono posizionati correttamente, la loro sutura induce un doppio rilievo cutaneo che simula le piccole labbra in modo convincente. Il lembo cutaneo posteriore può, allora, essere suturato nell’incisione longitudinale mediana della faccia caudale del lembo cutaneo penieno (vedi fig. 2.13). 17

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Figura 2.13 Sutura del lembo perineoscrotale posteriore al lembo anteriore di

cute peniena e invaginazione dell’insieme nella cavità (A-E).

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Quando la cute del pene è in quantità insufficiente per permettere di coprire la cavità neovaginale Occorre completarla con un innesto di cute totale. Secondo i casi, questo innesto è prelevato o sullo scroto, a condizione che esso sia stato precedentemente epilato definitivamente a questo scopo, o nelle regioni inguinali e/o addominale bassa o sulla faccia interna delle due braccia. E’ necessario un fuso cutaneo di 20-25 cm di lunghezza su 7-8 cm di larghezza per rivestire completamente la cavità. In tutti i casi, occorre assolutamente evitare di portare dei peli sul fondo della vagina. Qualunque sia la sua origine, l’innesto è suturato a spirale su se stesso intorno a una candeletta di Hegar o a un conformatore, su cui è posizionato con la faccia cruentata profonda verso l’esterno. Le suture sono realizzate a punti staccati invertenti con del filo rapidamente riassorbibile. Quando questo tubo cutaneo è pronto, esso è suturato all’estremità distale del moncone della cute del pene invertita, badando a interrompere la giunzione circolare con delle plastiche a Z per evitare una stenosi cicatriziale di questa giunzione (vedi fig. 2.14). 17 Figura 2.14 Innesto di cute totale suturata all’estremità distale del moncone della cute del pene invertita. Quando la cute del lembo penieno è in quantità insufficiente per coprire la cavità neovaginale, la si completa con un innesto di cute totale scrotale o inguinale. Esteriorizzazione del neoclitoride e del meato Rimane da esteriorizzare il clitoride e il meato sulla linea mediana, il che può essere fatto separatamente attraverso la cute del peduncolo del lembo penieno. Occorre realizzare una plastica a livello della sutura dell’uretrostomia, per evitare una stenosi secondaria. Esistono varie tecniche; in una tecnica la mucosa uretrale, fissurata longitudinalmente alla sua faccia caudale e ritagliata distalmente a un livello idoneo, è esteriorizzata anteriormente in un’incisione cutanea longitudinale mediana per rivestire la faccia interna delle neopiccole labbra. Il neoclitoride è esteriorizzato attraverso un’incisione longitudinale mediale di questa mucosa uretrale. Un triangolo cutaneo a base caudale e a vertice craniale si interpone nella base dell’incisione della mucosa uretrale per prevenire la stenosi del meato (vedi figg. 2.15, 2.16). 17

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Figura 2.15 Esteriorizzazione del neoclitoride e del meato uretrale. La mucosa uretrale è esteriorizzata attraverso una lunga incisione e dove il neoclitoride è esteriorizzato attraverso questa mucosa uretrale (A-E). Un triangolo cutaneo a peduncolo rispettivamente posteriore e anteriore è suturato in un incisione longitudinale della mucosa uretrale.

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Figura 2.16 Esteriorizzazione del neoclitoride e del meato uretrale attraverso due incisioni diverse (A-C). Un triangolo cutaneo a peduncolo rispettivamente posteriore e anteriore è suturato in un’incisione longitudinale della mucosa uretrale. Resezione dello scroto e creazione delle grandi labbra Essa è realizzata nel modo seguente (vedi fig. 2.17). • Resezione da ogni lato dello scroto in eccesso per costituire le grandi labbra. • Posizionamento da ogni lato di un drenaggio in aspirazione vicino alla cavità neovaginale che fuoriesce anteriormente a livello del pube, dove è fissato. • Chiusura di ogni grande labbro con sopraggitto in filo rapidamente riassorbibile. 17

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Figura 2.17 Resezione dello scroto e creazione delle grandi labbra. Due drenaggi in aspirazione fuoriescono a livello del pube. Medicazione Si posizionano nella cavità neovaginale grandi garze vaselinate arrotolate insieme come un conformatore morbido, destinato ad applicare la cute della neovagina sulle pareti della cavità e a cancellare gli spazi morti. Il vestibolo vaginale è, allora, chiuso con un punto a quadro annodato su tamponcini (vedi fig. 2.18) Una medicazione compressiva della regione del meato urinario è posizionata per prevenire le emorragie dalla superficie di sezione del corpo spongioso. Occorre sottolineare che la prostata non è mai resecata, a causa del rischio elevato di incontinenza urinaria che questo gesto comporta. Questa prostata è, molto generalmente, atrofica, sotto l’effetto del trattamento ormonale. Occorre, tuttavia, sapere che sono stati descritti in letteratura alcuni casi di adenomi o di cancro della prostata nei soggetti transessuali MtF operati 28, il che deve spingere a una sorveglianza medica di principio a partire da una certa età. Altri gesti chirurgici possono essere associati all’edoiopoiesi, in particolare l’impianto di protesi mammarie o la riduzione del pomo di Adamo. 17 Figura 2.18 Chiusura del vestibolo vaginale con un punto quadro.

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CURE POSTOPERATORIE • Nei postumi immediati, le prescrizioni riguardano: - la profilassi antibiotica di 24 ore secondo il protocollo già descritto; - gli anticoagulanti a dose profilattica (eparine a basso peso molecolare); - gli antalgici: senza particolarità notevoli, in quanto, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, questo intervento è generalmente poco doloroso. Il dolore massimo ha sede a livello degli orifizi inguinali superficiali, sul moncone dei funicoli spermatici; - la dieta priva di residui viene continuata fino alla sostituzione del conformatore morbido; - la persona operata è incoraggiata a bere molta acqua; - salvo in caso di emorragia abbondante, la medicazione compressiva è lasciata in sede per diversi giorni. • Verso il 4° giorno postoperatorio, la medicazione compressiva è rimossa, il vestibolo è aperto e la prima medicazione vaginale è sostituita. Un esame con lo speculum permette, allora, di valutare la vitalità delle pareti della vagina, il che è difficile, a questo stadio. Dopo il lavaggio con acqua, un conformatore morbido è nuovamente introdotto nella cavità e la persona operata è informata del modo in cui essa dovrà realizzarlo. Esso è costituito da garze tessili arrotolate in maniera serrata, per ottenere un cilindro il più rigido possibile di 8-10 cm di lunghezza su 3 cm di diametro. Questo cilindro tessile è, allora, circondato da un preservativo da cui si aspira l’aria prima di annodare l’estremità. Questo conformatore morbido deve essere sostituito diverse volte al giorno, tanto spesso quanto necessario. Eccetto durante la doccia, le minzioni e le defecazioni, esso deve essere mantenuto in permanenza per 1-2 mesi, fino alla cicatrizzazione completa. • La rimozione del catetere urinario avviene il 6° giorno ed è ripresa una dieta alimentare normale. • Salvo complicanze, la dimissione avviene generalmente l’8° giorno postoperatorio. • Dopo la dimissione dall’ospedale, le cure sono realizzate dalla persona stessa. Esse consistono semplicemente in una doccia con acqua di rubinetto e sapone da toilette, insistendo sulla toilette della neovagina. Quest’ultima è, in seguito, fornita di un conformatore morbido, come si è descritto, associato a delle mutandine strette e a delle guarnizioni, per prevenire la sua espulsione spontanea in stazione eretta. I fili a riassorbimento rapido sono eliminati spontaneamente al momento della doccia, in 2 o 3 settimane. • La sorveglianza da parte del chirurgo ha luogo tanto spesso quanto l’evoluzione lo esige, inizialmente ogni settimana, poi ogni 15 giorni e, poi, ogni mese. In assenza di complicanze, il che è raro, la cicatrizzazione completa è ottenuta in 1 o 2 mesi circa. Gli eventuali rapporti sessuali sono, allora, autorizzati. Quando si rivelano necessarie delle dilatazioni della cavità vaginale devono essere quotidiane e prolungate per diversi mesi e devono essere discontinue e non permanenti 20, 29. Il rischio di fistola rettovaginale secondaria è considerevole 30. Si raccomanda l’utilizzo giornaliero di dilatatori per meno di 2 minuti per diverse volte al

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giorno (ogni 2 ore, se possibile), aumentando molto progressivamente il calibro dei dilatatori di 2 mm ogni 3 settimane. Ottenute le dimensioni desiderate non le dilatazioni non devono proseguire oltre i 6-12 mesi. • La sorveglianza del chirurgo termina quando la sua paziente è soddisfatta dell’estetica e delle funzioni ottenute, il che, generalmente, avviene verso il 6° mese postoperatorio. In caso contrario, devono, allora, essere ipotizzati dei ritocchi. • Un trattamento ormonale sostitutivo estrogenico è particolarmente importante per evitare l’osteoporosi e deve essere proseguito a vita, regolarmente seguito da un endocrinologo specializzato. 17 COMPLICANZE Le complicanze di natura psichiatrica (ripensamenti postoperatori, scompenso di eventuali patologie associate) e/o giuridica (processo) devono, innanzitutto, essere prevenute, il che sottolinea l’importanza fondamentale non soltanto del lavoro in equipe e delle riunioni di concertazione pluridisciplinare con i medici psichiatri esperti, ma anche dell’esperienza del chirurgo in questo settore a elevato rischio medicolegale. Le complicanze chirurgiche specifiche possono essere classificate in immediate e secondarie. Alcune possono essere evitate ma la maggior parte è di natura aleatoria. 17 Complicanze immediate • Ferita del retto. Complicanza intraoperatoria relativamente; essa deve essere prevenuta al momento della creazione della cavità neovaginale, attraverso il controllo continuo dell’indice dell’operatore nel retto. Se essa insorge, l’essenziale è rendersene conto e ripararla immediatamente per via rettale. La collaborazione di un chirurgo digestivo esperto è particolarmente utile. I postumi di questa riparazione sono semplici quando la copertura della cavità neovaginale non comporta un innesto cutaneo. In caso contrario, esiste un rischio di fistola rettovaginale. • Compressione nervosa. L’installazione in posizione ginecologica comporta un rischio di compressione del nervo peroneale comune a livello della faccia laterale delle gambe. Questa compressione porta a una paralisi della flessione dorsale del piede. Essa deve essere prevenuta sistematicamente con l’uso di un materiale e di un’installazione adeguati. • Complicanze emorragiche: molto frequenti. Si tratta di emorragie esteriorizzate e abbondanti. Esse provengono, di regola, dalle superfici di sezione del corpo spongioso a livello della meatotomia uretrale. Le riprese chirurgiche sono inefficaci e il solo trattamento consiste nell’applicare una compressione continua su questa superficie di sezione. Le perdite ematiche devono essere compensate con delle trasfusioni, in funzione dell’emoglobinemia. • Necrosi cutanea parziale o completa della vagina. Molto frequente quando è parziale, più o meno estesa. Quando è totale, il che è raro, l’essenziale del trattamento consiste nel mantenere aperta la cavità neovaginale grazie ai conformatori morbidi. In loro assenza, infatti, la cavità si

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richiude molto rapidamente e scompare quasi completamente. La copertura cutanea di questa cavità può fare ricorso: - a un innesto di cute totale, che è il primo intervento da proporre. Anch’esso comporta un rischio di necrosi; - a un trapianto sigmoideo peduncolato, dopo l’insuccesso della soluzione precedente; - a un’epitelizzazione spontanea, che dura certamente quasi un anno, ma che si verifica quando i conformatori morbidi sono portati correttamente e costantemente. • Necrosi del neoclitoride. Molto rara. • Disturbi della cicatrizzazione. Molto frequenti e più o meno estesi, si tratta: - di una disgiunzione delle grandi labbra e/o delle commissure. La cicatrizzazione spontanea è la regola; - di botriomicomi, che devono essere trattati con una resezione con forbici e, quindi, con medicazioni grasse con cortisonici. • Infezione. Si tratta, di regola, dell’infezione secondaria di un ematoma trascurato, che deve, allora, essere trattata come un ascesso. • Svezzamento urinario difficile. Non è raro che la minzione spontanea sia impossibile dopo la rimozione del catetere urinario verso il 6° giorno postoperatorio. Se le cause sfinteriche sono possibili e possono essere prevenute con farmaci (ansiolitici per lo sfintere striato, alfabloccanti per lo sfintere liscio), si tratta, il più delle volte, di una stenosi infiammatoria dell’uretra a livello della resezione del suo bulbo. Occorre riposizionare un nuovo catetere urinario per una durata di circa 2 settimane. Le minzioni riprendono, allora, sempre dopo la sua rimozione, testimonianza della regressione dell’infiammazione a questo livello. • Fistola vescico- o uretrovaginale. 17 Complicanze secondarie • Stenosi del meato. La cicatrice tra la mucosa uretrale e la cute è sempre stenotica in modo importante e rapido, quando è circolare. Occorre, dunque, prevenire sistematicamente questa stenosi con plastiche semplici che hanno l’obiettivo di ingrandire la giunzione mucocutanea, interrompendo il cerchio con triangoli cutanei interposti in fessure mucose. • Stenosi e/o dimensioni ridotte della neovagina, insufficienti per dei rapporti sessuali. Quando sono molto ridotte, vi è l’indicazione a una ripresa chirurgica per ritrovare una cavità neovaginale e delle dimensioni sufficienti e per rivestirla con un innesto di cute totale, con tutte le incertezze relative al suo attecchimento (rischio di insuccesso importante) e con la costante retrazione postoperatoria che obbliga a delle dilatazioni per diversi mesi. Solo in caso di insuccesso di uno o, anche, di due innesti di cute totale, può essere posta l’indicazione a una vaginopoiesi per trapianto sigmoideo. • Fistola rettovaginale. Quando non è secondaria a una ferita operatoria del retto passata inosservata o la cui riparazione si è complicata, essa si verifica, di regola, dopo un intervallo libero di alcune settimane, nelle

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persone operate che utilizzano un dilatatore vaginale rigido. La riparazione di queste fistole richiede una colostomia transitoria e una laparotomia. Esse devono essere prevenute mettendo sistematicamente in guardia le pazienti contro i pericoli delle dilatazioni mal condotte. Qualunque sia la loro frequenza giornaliera, le sedute di dilatazione non devono superare qualche minuto. • Insoddisfazione estetica. Benché l’intervento in un solo tempo operatorio sia la regola, esso soffre di eccezioni in una percentuale di casi variabile con l’esperienza dell’operatore. Questa percentuale è vicina al 20% dei casi nelle equipe esperte 31. I possibili ritocchi riguardano le commissure vulvari anteriore (plastiche a Z di avvicinamento) o posteriore, il volume delle grandi labbra (resezione o riempimento mediante trasferimento di grasso), la costruzione di piccole labbra, l’ingrandimento del meato uretrale, l’ingrandimento del vestibolo vaginale (plastiche locali e/o innesti cutanei) e la resezione complementare di un bulbo spongioso residuo troppo voluminoso. Poiché l’aspetto vulvare può evolvere per tutto il primo anno postoperatorio si raccomanda di non realizzare dei ritocchi durante questo periodo. • Insoddisfazione funzionale. Malgrado l’assenza di altre complicanze associate, avviene, a volte, che le pazienti operate lamentino un difetto di orgasmo. Se le dimensioni della vagina consentono dei rapporti sessuali e se la sensibilità clitoridea è presente, l’eventuale soluzione spetta alla psicologia. Per quanto riguarda la sensibilità del neoclitoride, occorre, infine, sapere che essa è spesso avvertita spiacevolmente nelle prime settimane dopo l’intervento. In questi casi, l’evoluzione spontanea è sempre favorevole in 6 mesi circa. 17

CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DEL BASSO TRATTO

URINARIO

Il basso tratto urinario maschile è costituito dalla vescica, prostata e uretra. Il sistema urogenitale è anatomicamente extraperitoneale, in particolare nella sua parte alta è retroperitoneale mentre nel tratto inferiore è sottoperitoneale. La vescica (vedi figg. 3.1 e 3.2) è un organo cavo, muscolo membranoso, impari e mediano che funge da serbatoio per l'urina ed il cui svuotamento avviene con la minzione. Quando è vuota si localizza dietro la sinfisi pubica e al davanti del retto ed ha forma triangolare con base posteriore. Superiormente ha una forma concava verso l'alto ed è rivestita da peritoneo mentre inferiormente si localizza a livello del pavimento pelvico ed ha una forma convessa verso il basso. Quando presenta un certo grado di riempimento la parte superiore si fa convessa, assume un aspetto globoso e si distinguono: la base in basso e indietro, il corpo con una faccia anteriore, una posteriore e due laterali e l'apice su cui si attacca il legamento ombelicale. La vescica è mantenuta in sede dalle seguenti strutture :

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• la sierosa peritoneale che, quando il viscere è vuoto, lo riveste fino alla sinfisi pubica dove si riflette per portarsi verso l'alto, delimitando così il cavo parietovescicale mentre posteriormente si riflette sul retto determinando il cavo rettovescicale. Quando la vescica è piena si delimita anteriormente il cavo pubovescicale. • la fascia vescicale è un addensamento di tessuto connettivale sottoperitoneale difficile da isolare, posteriormente è rafforzata dalla fascia rettovescicale mentre anteriormente delimita la fascia prevescicale. Assieme alla fascia trasversale che riveste l'addome, circoscrive lo spazio prevescicale del Retzius mentre superiormente le due fasce si fondono ad altezza dell'ombelico, dietro la sinfisi, a formare lo spazio retropubico. Lateralmente si continuano a formare lo spazio perivescicale delimitato dalla parete della piccola pelvi e la vescica mentre inferiormente è chiuso dal muscolo trasverso profondo del perineo. • I legamenti ombelicali sono due: il mediano che va dalla cicatrice ombelicale all'apice della vescica e quello laterale, residuo embrionale delle arterie ombelicali, che vanno dalla cicatrice ombelicale fino alla faccia laterale della vescica. • I legamenti vescicali sono anch'essi due: gli anteriori collegano la faccia posteriore della sinfisi pubica con la base della vescica mentre quelli posteriori collegano la base della vescica con il retto. La parete vescicale è costituita da tre tipi tissutali. Il più esterno è quello connettivale, segue il tessuto muscolare liscio detto “detrusore” formato da una rete di fibre muscolari lisce disposte in tre strati. Gli strati esterno ed interno hanno un andamento longitudinale mentre l'intermedio è circolare-obliquo. Infine più internamente troviamo la mucosa vescicale, sollevata in pieghe atte a consentire la distensione della mucosa ed è impermeabile così da impedire il riassorbimento dell’urina. Nella vescica confluiscono i due ureteri che trasportano l'urina prodotta dai reni, in prossimità dei relativi sbocchi ureterali si apre il meato uretrale interno che permette l'accesso all’uretra. I due meati ureterali e quello uretrale costituiscono gli apici di una zona critica triangolare del pavimento vescicale definita come trigono la cui base è rappresentata dalla barra interureterica che unisce idealmente i due meati ureterali. Quest’area è caratterizzata da un gruppo fibre muscolari lisce che si dispongono nel contesto del detrusore e che si continuano in alto sino alla muscolatura liscia ureterale ed in basso sino al complesso uretro-trigonale. La vascolarizzazione arteriosa è data dalle arterie vescicali superiori e inferiori che anastomizzandosi tra di loro formano la rete perivescicale. I vasi venosi formano il plesso perivescicale che dall'apice va alla base e si scaricano nel plesso pudendo e nel vescicoprostatico. I nervi destinati alla vescica hanno una duplice origine; entrambe le componenti del sistema nervoso autonomo, simpatica e parasimpatica, sono rappresentate ed entrambe contengono fibre effettrice e sensitive viscerali. Le fibre simpatiche originano dal midollo spinale nei neuromeri T10-L2: attraverso i plesso celiaco e mesenterico raggiungono il plesso ipogastrico con il quale discendono nella pelvi, accolte nello spazio retroperitoneale. Le fibre nervose parasimpatiche originano dai rami anteriori dei nervi 2°, 3° e 4° sacrale

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