Lambert Wiesing, Luxus, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 2015, pp. 224.
Nella tradizione filosofica la questione del lusso, a partire da Hume del saggio Sul lusso del 1752 che continua a costituire l’unico punto di riferimento fondamentale sul tema, si delinea sotto un profilo
essenzialmente economico e morale che finisce per occultare il significato più profondo del fenomeno che probabilmente solo in chiave fenomenologica può essere inteso iuxta propria principia. Su questa via si è indotti a modificare la diagnosi di Hume. Questo dipende in primo luogo dal fatto che viviamo in un mondo nel quale la richiesta di lusso (accanto e in relazione a quella di identità) si è fatta per lungo tempo sempre più intensa per declinare parzialmente solo molto di recente. Si tratta di un’identità che cerca di affermare i propri simboli nelle forme più diverse, che cerca costantemente di ricreare il paradigma di una comunità intima e condivisa in una società globale paradossalmente sempre più dispersa e divisa da quella stessa rete che dovrebbe tenerla insieme. In questo quadro il lusso si propone come simbolo di distinzione e di affinità, come un’intima quanto dispersa comunità nel mondo dominato da una logica performativa. Stando così le cose, l’alternativa humiana tra individui che adottano una logica liberale per i quali il lusso presenta
notevoli vantaggi dal punto di vista sociale, e coloro invece che lo condannano come fonte di «corruzione, di instabilità, e come fattore di divisione», diviene insostenibile nella sua logica interna, dunque impraticabile nelle sue alternative.
E’ quanto ci insegna questo importante libro di Lambert Wiesing nel quale l’esperienza del lusso viene intesa come una vera e propria esperienza estetica, in cui ne va della peculiarità del sé in quanto essa è legata al possesso. Abbiamo così a che fare con un’esperienza estetica connotata in chiave antikantiana laddove essa è notevolmente interessata all’esistenza dell’oggetto, e addirittura condizionata dalla sua presenza. Con molte buone ragioni nella considerazione di Wiesing l’eredità kantiana è tuttavia ben presente attraverso la mediazione di Friedrich Schiller la cui influenza sugli sviluppi dell’estetica non solo moderna ma anche su quella contemporanea è ben difficile sottovalutare. E’ a Schiller, infatti, che
dobbiamo l’idea di un’esperienza estetica che va intesa antropologicamente come gioco, ripresa da Wiesing a proposito del lusso. Il gioco, com’è ben noto, assume schillerianamente le fattezze di una modalità
antropologica fondamentale nello sviluppo dell’essere umano. Esso ci propone in tutta la sua portata la funzione dell’inutile che pure è indispensabile a costruire la struttura della nostra soggettività e dunque il contenuto delle nostre vite. Viene da soggiungere, di passaggio in questo contesto, che la logica
pauperistica è in fondo simmetrica a quella tecnologica: essa priva l’esistenza del suo significato più
autentico e la riconduce a un tragico anonimato. E’ un percorso per molti versi analogo a quanto avviene nel quadro di una logica performativa che imprigiona il soggetto in una quotidianità anonima, quella
soggettività, per dirla, a novant’anni dalla sua pubblicazione con lo Heidegger di Essere e tempo, avvolta nel «Si» che coincide con «il livellamento di tutte le possibilità di essere».
Secondo Wiesing il lusso si propone all’interno di una sottile logica contraddittoria che ne determina il significato. Abbiamo a che fare con un possesso inutile che stride violentemente con la logica funzionale, monologicamente performativa della proprietà moderna. Wiesing intende in questo quadro il lusso come un «dadaismo del possesso». Abbiamo a che fare con un possesso giocoso e supremamente “inutile” che ci introduce entro una logica anti-utilitaria grazie alla quale il soggetto riprende possesso del proprio sé. Il lusso esprime dunque positivamente un’esperienza estetica di colui il quale possiede oggetti di questa natura. Si tratta dunque di un’esperienza che mette in gioco la logica dell’identità e dell’identificazione. Il lusso propone la questione fondamentale dell’auto-riconoscimento che si fonda, secondo quanto ha mostrato Axel Honneth, su di un investimento e cioè su di una polarizzazione dell’Io che consente di metterlo a contatto, attraverso questa mediazione, con altri soggetti, dunque con il mondo o meglio, in questo caso, con un certo mondo, quello di coloro che condividono come un’accolita raffinata questo tratto
di distinzione polemicamente fatto proprio nei confronti dell’universo anonimo che li circonda. Il lusso non riguarda, da questo punto di vista, una connotazione oggettiva dell’oggetto. Come afferma Wiesing esso non concerne il was di un oggetto determinato ma il wie, non il “cosa” ma il “come”. Non è l’oggetto in quanto tale ma quello che potrebbe definirsi il contesto della sua ricezione a determinarne la lussuosità. Per esempio le opere d’arte religiosa che i fratelli Boisserée recuperarono in epoca napoleonica sottraendole alla distruzione sono in molti casi oggi patrimonio dell’umanità inarrivabile per i singoli. Ciò che un tempo era votato all’annientamento è divenuto oggi quasi per tutti inarrivabile. E’ il “come”, la modalità della relazione all’oggetto che determina il suo carattere lussuoso. Da questo punto di vista il lusso si distingue con tutta evidenza dal comfort ma anche dall’ostentazione: il lusso è un’esperienza estetica privata
derivante dal possesso della cosa. Che si possa fare un’esperienza estetica privata non è per nulla scontato nella tradizione filosofica, ed è pertanto una questione degna della massima attenzione perché additerebbe un’estensione inedita dell’ambito originario assegnato a questo tipo di esperienza. Su questa via, a ben vedere, l’esperienza estetica viene a perdere quell’universalità di cui era dotata nella prospettiva kantiana per potersi profilare come un’esperienza dl tutto personale e addirittura idiosincratica cui viene riconosciuta dignità sulla base del suo tratto antinomico, polemico, propriamente antisociale. E’ l’estetismo, in altri termini, a venir meno nelle sue connotazioni solo negative e a legittimarsi nella sfera dell’esperienza estetica autentica. Si ripresenta, a ben vedere, in questo quadro una potente vena antikantiana nella considerazione di Wiesing: l’idea che la contemplazione del bello produca secondo Kant un piacere esente di ogni interesse nei confronti dell’esistenza dell’oggetto viene qui radicalmente contraddetta. L’esistenza oggettiva è qui al centro della definizione dell’oggetto di lusso così che viene a determinarsi un’esperienza estetica
radicalmente e indissolubilmente connessa all’interesse nei confronti dell’esistenza materiale dell’oggetto. Nel caso del lusso si stabilisce un contatto fisicamente connotato, personale dell’oggetto con il suo
possessore che può utilizzarlo e addirittura eventualmente distruggerlo. Il possesso dell’oggetto lussuoso è infatti un motivo di conferimento di identità a colui che lo possiede il quale dunque, a ben vedere, potrebbe anche annientarlo in un avvitamento distruttivo del gioco. L’oggetto superbo e irrazionalmente costoso viene inteso come lusso, secondo Wiesing, quando il possesso è vissuto come la caparbia liberazione di un soggetto autonomo dal dominio della razionalità rivolta allo scopo. E’ questa la tesi centrale del libro. L’oggetto dell’esperienza estetica, a sottolineare nuovamente la tendenza antikantiana che vive nella considerazione del lusso di Wiesing, non è un oggetto che si offra tendenzialmente a una fruizione in uno spazio pubblico, di una fruizione dunque in quanto tale esente da ogni privato interesse, ma a una fruizione che si propone entro uno spazio privato determinata e ispirata da un atteggiamento selettivo. Questo aggiunge un ulteriore tratto antikantiano potentemente polemico nei confronti non solo del kantismo ma anche dell’autonomia dell’arte la quale è in fondo figlia dell’estetica kantiana. Se un oggetto è in possesso di un privato, ecco che si profila una sorta di neodadaismo: il gioco introduce un dispendio inutile all’interno di una logica sociale dominata da una tendenza opposta. Si pensi per esempio al culto molto diffuso in centro Europa per i grandi vini che vengono consumati da tavolate di intenditori che esercitano il gusto come una facoltà di introiezione dell’oggetto prima amato e contemplato, C’è dunque nel lusso- a voler radicalizzare la tesi di Wiesing- una sorta di aspetto cannibalesco del gusto che accentua quanto Adorno aveva già rilevato, e cioè che il lusso comporta una tendenza a «liberarsi dallo schiavitù dello scopo». La distruzione possibile dell’oggetto dell’esperienza estetica- ci si consenta di formulare anche in questi termini la tesi di Wiesing- il suo consumo esaltano per l’appunto questa modalità di un’esperienza che, in quanto inutile, si ribalta sul soggetto confermandolo nella sua identità peculiare e irripetibile. Il lusso diviene così una ricercata
esperienza di sé al fine di essere in quanto uomo, afferma Wiesing, un individuo che dispone di una libertà che non viene esercitata solo nei confronti della natura ma anche nei riguardi delle aspettative della ragione. In quest’ottica il lusso finisce, a ben vedere, per avvolgersi su se stesso, per coniugare sempre più intensamente libertà e autoreferenzialità. Si va verso un’iperbole dell’espressione del sé che si colloca su di
un crinale ambiguo come testimonia egregiamente l’idea di Lapo Elkann di personalizzare ulteriormente oggetti di lusso come le automobili della Ferrari producendo così una spirale del lusso che altro non è in fondo che il lusso stesso.
Federico Vercellone
Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino Via Sant’Ottavio 20
10124 Torino