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Julian the Apostate, Socrates and the philosophy

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GIULIANO, SOCRATE E LA FILOSOFIA*

Ugo Criscuolo

(Università degli Studi di Napoli Federico II)

L’articolo descrive la genesi, l’evoluzione e l’esito della filosofia ellenica – in ispecie, nella sua declinazione socratica – entro il quadro del pensiero giulianeo. Numerosi i temi enucleati da Ugo Criscuolo per mostrarne il nesso con l’insegnamento di Socrate: dalla possibilità di conoscere la differenza tra il bene e il male per mezzo di un buon uso dell’intelletto, alla libertà dalle passioni come condizione per la conoscenza dell’essere; dalla riflessione su se stessi come autoconoscenza, in senso delfico, al suo correlato dialettico, che ha come oggetto la realtà esterna. La cifra distintiva della filosofia antica era la ricerca della verità, in relazione ad una condotta pratica virtuosa. Socrate viene pertanto a ricoprire per Giuliano il ruolo di testimone vivente della possibilità di salvezza per l’uomo. L’articolo non tace di come la filosofia di Giuliano assuma i contorni di un preciso dispositivo politico: il fine di ridimensionare il ruolo del Dio cristiano a favore di una concezione per cui l’uomo sarebbe essenzialmente associabile alla divinità si accosterebbe a quello di rendere vano il potere politico dei cristiani in seno alla società del suo tempo.

Parole-chiave: Giuliano l’Apostata, Socrate, ellenismo, cristianiesimo

1. In uno dei punti più felici del Contra Galilaeos Giuliano rivendica agli Elleni, contro la tradizione ebraica recepita anche dai cristiani, la concezione della θεωρία dell’essere, già anticamente affermata compito primo della filosofia, come propria della natura dell’uomo e mezzo per la sua salvezza. Il racconto veterotestamentario, per cui Dio avrebbe vietato all’uomo la conoscenza del bene e del male, va posto, secondo Giuliano, sullo stesso piano dei «miti assurdi» sugli dèi creati dagli Elleni: «Cosa v’è infatti di più misero del non poter distinguere il bene dal male? E chiaro che in tal caso l’uomo non eviterà l’uno, intendo il male, né perseguirà l’altro, il bene. Ma il punto più importante è che Dio avrebbe impedito all’uomo l’uso dell’intelletto (φρόνησις), poiché è manifesto, anche agli stolti, che il discernimento del bene dal male è operazione peculiare dell’intelletto». La filosofia ellenica invece prescrive all’uomo la ὁμοίωσις θεῷ (come suo destino più alto: «Considerate di quanto la nostra posizione eccella sulla vostra grazie a ciò che vengo a dire. I filosofi ci prescrivono di renderci simili agli dèi, nella misura che è a noi possibile, e racchiudono codesta possibilità nella scienza dell’essere. Che poi ciò avvenga in condizione libera da passioni, e consista anzi nell’assenza di passioni, è in ogni caso chiaro, anche se non lo dico. Di tanto noi conseguiamo il nostro renderci simili a Dio di quanto riusciamo a renderci liberi da passioni, allorché siamo disposti alla conoscenza dell’essere». Il μάθημα e il γένος dei filosofi distinguono gli Elleni, e per certi aspetti anche i Barbari, come i veri beneficati da Dio («E che? C’è forse bisogno che io citi per nome persona per persona?... Platone, Socrate, Aristide... e soprattutto la stirpe dei filosofi»?)1. Nel Contra Galilaeos, insomma, la verità che si oppone a quella dei cristiani è conseguita per la filosofia, l’alternativa a Mosè è Platone, la storia dell’Ellenismo è vista come itinerario alla conoscenza della verità e alla salvezza2. L’umanità, quella errante secondo la tradizione ebraico-cristiana, è stata invece benedetta in misura maggiore e

* L’articolo riproduce quello apparso in Hestı́asis. Studi di tarda antichità offerti a Salvatore Calderone, Messina,

Sicania (“Studi Tardoantichi”, 4), 1987, pp. 85-109.

1 Cfr. Gal. 44 ab, 75 ab, 86 a, 89 a (3, 324-326 Wright); 171 de (364), 184 b (368). Questo studio rientra nell’àmbito di

una riflessione d’insieme sulla figura e l’opera giulianea, da me intrapresa in due corsi universitari di Filologia bizantina. Per problemi particolari, anche bibliografici, si rimanda ai capitoli finora pubblicati: Libanio e Giuliano, «Vichiana», 11 (1982), 70-87; Sull’epistola di Giuliano imperatore al filosofo Temistio, «Κοινωνία», 7 (1983), pp. 89-111; Giuliano e l’Ellenismo: conservazione e riforma, «Orpheus», n.s., 7 (1986), pp. 272-292.

2 Cfr. Gal. 58 bed, 65 a, 3, 334-336 Wright. Sulla vasta tematica del trattato il maggiore studio d’insieme resta quello di

W.J. Malley, Hellenism and Christianity. The Conflict between Hellenic and Christian Wisdom in the Contra Galilaeos

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il peccato di Adamo, ricaduto su tutti i suoi figli, è per essa divenuto strumento di riscatto e di redenzione. La salvezza è nell’uomo, che si renderà simile a Dio per «virtute e conoscenza», senza bisogno di mediazioni, secondo la tradizione plotiniana, anche se l’esigenza di proporre un pendant perfetto al Cristianesimo porterà Giuliano a trovare un salvatore degli Elleni nel mitico Asclepio3. La filosofia esaltata da Giuliano, in questa che fu la sua ultima opera, supera gli schemi giamblichei dei trattati dogmatici e si pone genuinamente come ἐπιστήμη τῶν ὄντων sulla scia della tradizione socratica. La ἀπάθεια, condizione in cui codesta ἐπιστήμη si concretizza, non è separazione violenta dall’essere uomo, ma operazione della ragione, così come aveva affermato Platone nel teorizzare la «fuga» dal mondo4. Ed ancóra al Platone del Timeo (cfr. 47 a b ἐξ ὧν ἐπορισάμεθα φιλοσοφίας γένος, οὗ μεῖζον ἀγαθὸν οὐτ' ἦλθεν οὐθ’ ἥξει ποτὲ τῷ θνητῷ γένει δωρηθὲν ἐκ θεῶν) Giuliano si rifà, non solo per la testimonianza di una Genesi degli Elleni, ma anche nell’affermazione della filosofia come dono più alto degli dèi. Infine, superando i sistemi per ridurre la filosofia a categoria unica del pensiero, Giuliano si pone ancóra sulla linea socratico--platonica attraverso l’Aristotele del Protrepticus, per cui la filosofia si identifica con la attività del pensiero e si attua nella conoscenza, che è la virtù suprema, la «cifra, per così dire, della vita», il fine metafisico dell’uomo: «Nulla dunque di divino e di beato appartiene all’uomo, eccettuata quella sola cosa degna di considerazione, ossia quanto v’è in noi di intelligenza e di sapienza; questa sola, infatti, fra le cose che sono in noi appare essere immortale e questa sola divina [...] l’intelligenza dunque fra ciò che vi è in noi è il dio»5.

Non occorre dubbio, per la testimonianza stessa autobiografica e la ‘propaganda’ dei suoi contemporanei, in primo luogo di Libanio, che la funzione soterica da Giuliano attribuita alla filo-sofia vada interpretata, soprattutto negli scritti del periodo del regno, in chiave prevalentemente religiosa: gli dèi lo hanno liberato - scriveva - grazie alla filosofia6 e ancóra, in un’epistola agli Alessandrini, dirà la sua conquista della verità, avvenuta a vent’anni, e «orsono dodici anni», nella illuminazione di Elios7. Egli vive ora liberato dagli dèi (ep. 28, 382 b ζῶμεν διὰ τοὺς θεοὺς ἐλευθερωθέντες), salvato dagli dèi (ep. 29 ζῶμεν ὑπὸ τῶν θεῶν σωθέντες)e proclamerà la sua fede nella sola verità nell’Inno a Elios re ( = or. 11). R. Asmus riteneva, con buon fondamento, che l’illuminazione di Giuliano fosse venuta dalla lettura del perduto commentario giamblicheo all’Alcibiade primo di Platone, ma già Eunapio tracciava l’itinerario alla grazia del giovane principe per le vie dell’Oriente, alla ricerca delle viventi testimonianze del messaggio di Giamblico8. Da Nicomedia a Pergamo, per l’ascolto dell’erede di Giamblico alla guida della scuola neoplatonica, Edesio di Cappadocia, la cui «fama raggiungeva le stelle» ed era allora in estrema

3 Cfr. Gal. 200 ab, 3, 374 Wright; cfr. anche 235 b d (386-388). Giuliano traspone ad Asclepio la teologia propria del

Λόγος cristiano (cfr. in particolare, 200 a: Zeus [ = padre] generò da sé stesso Asclepio, che fu poi svelato alla terra attraverso la forza vivificante di Elios [ = Spirito Santo], Asclepio fu poi sulla terra, presso Epidauro soprattutto, operando per la salvezza degli uomini).

4 Cfr. Platone, Tht. 176 b. Cfr. il mio citato Giuliano e l’Ellenismo: conservazione e riforma, p. 289. 5 Arist. Protrepticus, frgg. 6; 7; 5 ROSS (tr.it. di E. Berti, Padova 1967).

6 Iul. ad Atb. = or. 5, 271 d (la liberazione a cui allude qui Giuliano è quella da Macello, dalla condizione di

umiliazione inflittagli da Costanzo II). Cfr. anche ibid. 273 a εἰ μὴ θεῶν τις ἐθελήσας με σωθῆναι.

7 Ep. 111 Bidez, 434 d (da Antiochia, novembre-dicembre 362).

8 Cfr. Der Alkibiades Commentar des Jamblichos als Hauptquelle fùr Kaiser Julian, Shaw 8, 1917, 3. È Asmus stesso a

precisare, ibid. 86 s., i limiti di Giuliano ‘filosofo’: egli non fu un pensatore profondo e originale, uno speculativo. Su questa posizione concorda in linea di massima la moderna critica giulianea, ma è da osservare che è la posizione più generale di Giuliano ad impedire, quasi ex professo, un’autonoma ricerca filosofica. Egli intendeva costituire una reli-gione rivelata da profeti-filosofi: gli restava il compito di enucleare dall’antico patrimonio gli elementi di un’unitaria visione religiosa. Anche in ciò egli veniva a raccogliere una tendenza già operante nel tardo Ellenismo (si pensi, p. es., al Plutarco del de Iside et Osiride, dell’adversus Colotem e dei trattati delfici), e presente anche, attraverso la mediazione del giudaismo ellenizzante, nel primo pensiero cristiano (cfr. infra a proposito di Giustino e Clemente di Alessandria). I trattati teoretici di Giuliano (in Deorum matrern = Or. 8; in Solem regem = Or. 11) sono di conseguenza piuttosto constitutiones dogmaticae definite attraverso la esegesi di particolari testi del pensiero antico, soprattutto di Giamblico, dichiaratamente sua fonte prima (cfr. Or. 11, 146 a, 150 d, 157 d al.). Sulla peregrinatio filosofica di Giuliano dopo Macello, cfr. soprattutto Eunapio, VS 7, 1, 5 ss.

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vecchiaia e debole nel corpo, e poi, su sollecitazione di Edesio stesso, la frequentazione di Eusebio di Mindo e Crisanzio di Sardi, ed infine la tappa decisiva ad Efeso, presso il filosofo Massimo, l’uomo che più di ogni altro condizionò il destino del futuro imperatore9. Ma codesta adesione fideistica di Giuliano al messaggio di Giamblico non cessò mai di convivere con una posizione dialettica di più ampio respiro, che abbiamo ora vista affermata nel Contra Galilaeos, ma che già ispira la sua giovanile riflessione sulla filosofia. Ed è Giuliano stesso ad affermare, ancóra nel dicembre 362, in un contesto di esaltazione mistica10, il suo primo approdo alla intuizione della verità per il θαυμάζειν platonico (cfr. Tht. 155 d μάλα γὰρ φιλοσόφου τοῦτο τὸ πάθος, τὸ θαυμάζειν· οὐ γὰρ ἄλλη ἀρχὴ φιλοσοφίας ἢ αὕτη) e aristotelico (cfr. Metaph. 1, 982 b 12 διὰ γὰρ τὸ θαυμάζειν οἱ ἄνθρωποι καὶ νῦν καὶ τὸ πρῶτον ἤρξαντο φιλοσοφεῖν) Nel panegirico per l’imperatrice Eusebia ( = or. 2, a. 355/356), scritto a qualche mese dal soggiorno in Atene, il ricordo della Grecia, dove l’affetto della sovrana gli concesse di recarsi11, permette a Giuliano di avanzare considerazioni sulla condizione della filosofia presso i Greci, nell’«Ellade», intendendo di certo con tal termine tutto l’Oriente ellenizzato. La filosofia è un elemento integrante del panorama storico e geografico dell’Ellade, la sua costante presenza è garanzia di benefici e di salvezza, così come quella del Nilo in Egitto (119 a c: «Ora, per quanto concerne la παιδεία e la filosofia, le attuali condizioni dell’Ellade richiamano, in certa misura, le tradizioni storiche e mitologiche degli Egizi. Questi dicono infatti che il Nilo è per loro non solo un salvatore e benefattore, ma allontana da essi anche la distruzione col fuoco, allora quando il sole, per lunghi periodi, in congiunzione e in combinazione con forti costellazioni, riempie di ardore il cielo e tutto brucia. Certamente la filosofia non ha mai abbandonato del tutto gli Elleni, non ha lasciato Atene, né Sparta, né Corinto [...] ma numerose e pure sono le fonti di Atene, molte acque vi confluiscono dal di fuori, non certo meno preziose di quelle sue proprie»12). Ma come ha origine la filosofia? Quali sono il suo oggetto e il suo scopo? Nel secondo panegirico per Costanzo ( = or. 3, a. 356-357), Giuliano riconduce le origini della filosofia all’ansia di conoscere, all’intuizione, che distingue in particolare gli Antichi. La filosofia nasce di conseguenza con l’uomo, trovando impulso nella riflessione dell’uomo su sé stesso e la realtà che lo circonda (82 ab: «Io ritengo che gli antichi abbiano compreso ciò per la mirabile capacità di intuito della loro natura, poiché la loro saggezza non era acquisita, come la nostra. Facevano infatti filosofia non per formazione, ma per istinto naturale»13). L’uomo venne in tal modo a porsi gradualmente in contatto con la verità, che anzi filosofia e verità convergono, poiché la verità è al contempo oggetto e mèta della filosofia14. Le esigenze giulianee appaiono in questa fase niente affatto sistematiche, ma volte alla ricerca di un sincretismo che potesse liberare la filosofia da precise connotazioni ideologiche. Poiché se la ragione è un dono di Dio e l’uomo la esercita αὐτοφυῶς, per istinto naturale, oggetto primo dell’indagine è la φύσις, la realtà interna ed esterna; ed è in codesta riflessione originaria che l’uomo acquista, come già accennato, la nozione stessa di una φύσις suprema15. Vi è poi una filosofia comune ai Greci e ai Barbari, che concerne

9 Eunapio, VS 7, 2, 12-13. Sul soggiorno di Giuliano a Nicomedia, cfr. Libanio e Giuliano, cit., pp. 71 ss.

10 In Solem regem = Or. 11, 130 cd (alla intuizione della verità è egli giunto attraverso la contemplazione della natura;

cfr. anche Libanio e Giuliano, cit., p. 71, n. 9).

11 In Euseb. = Or. 2, 118 c (il breve soggiorno ad Atene, fino all’ottobre 355, fu preceduto e seguito da drammatiche

‘chiamate’ a Milano, sede in quei mesi di Costanzo II). Sui rapporti fra Giuliano ed Eusebia cfr. le discutibili opinioni di N. Aujoulat, Eusébie, Hélène et Julien, «Byzantion», 53 (1983), 78-103 e 421-452, su cui non ritengo opportuno soffermarmi in questa sede.

12 Notevole la ripresa di questo luogo operata da Michele Psello, Chronographia 6,37 e 43.

13 Cfr. Platone, Lg. 1,642 c d μόνοι (scil. οἱ Aθηναῖοι) γὰρ ἄνευ ἀνάγκης, αὐτοφυῶς[θείᾳ μοίρᾳ, ἀληθῶς καὶ οὔ τι

πλαστῶς] εἰσὶν ἀγαθοί; Sph. 216 c πάνυ γὰρ ἄνδρες οὗτοι παντοῖοι φανταζόμενοι [...] οἱ μὴ πλαστῶς ἀλλ’ὄντως φιλόσοφοι.

14 C. Cynicos = Or. 9, 184 c ὥσπερ γὰρ ἀλήθεια μία οὕτω δὲ καὶ φιλοσοφία μία.

15 Gal. 52 bc, 3, 320-322 Wright. Codesta posizione era peraltro condivisa anche dai Cristiani ed era stata affermata,

attorno agli stessi anni, da Atanasio di Alessandria (cfr. gent. 34 = PG 25, 68c [67,3-6 Leone]). Anche Cirillo, nella sua confutazione di Giuliano, converrà sullo stesso argomento; cfr. Malley, p. 279: «Sr. Cyril and Julian seemed to agree at least on one thing. Both were convinced that the knowledge of God’s existence was not thaught to men, but self lear-ned» (ma ibid., pp. 280 ss., sulla diversità nelle conclusioni fra Giuliano e i Cristiani, quali poste da Cirillo).

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soprattutto l’aspetto etico e che non richiede «lo studio di molti libri», ma ha a fondamento l’esigenza della virtù e la fuga dal vizio16.

Nei primi mesi del 362, divenuto unico imperatore, Giuliano avviò, dapprima prudentemente e poi con fretta pericolosa, forse anche per un oscuro presagio di morte immatura17, l’opera di re-staurazione dell’Ellenismo. Egli alternò un comportamento ispirato alla dialettica e alla persuasione a provvedimenti infausti di natura repressiva. Così a polemiche culturali aperte a varie possibilità (contra Heraclium = Or. 7 ; contra Cynicos = Or. 9) si affiancarono tentativi di constitutio

dogmatica (in Deorum Matrem = Or. 8) e il rescritto contro gli insegnanti cristiani18. Appare tuttavia, anche da alcune testimonianze epistolari, che la preoccupazione maggiore dell’imperatore era in questi mesi costituita non tanto dal problema cristiano quanto dalla necessità di un recupero all’Ellenismo di quanti, pur non essendo passati alla nuova fede, costituivano, per molti aspetti, un pericolo più grave per la restauratio che gli stessi cristiani. Nel Contra Heraclìum (inverno 362) egli difendeva il mito, additandone un’interpretazione storico-simbolica sulla linea plutarchea19; nel discorso In Deorum Matrem, più che attaccare i cristiani, cercava di dare un’unitaria fede religiosa alle varie correnti del pensiero ellenico e, nello stesso tempo, di prevenire la capacità di attrazione del Cristianesimo col trasporre nel suo sistema religioso elementi del dogma cristiano20;

16 C. Cynicos = Or. 9, 187 d.

17 Si vedano i numerosi accenni in Ammiano Marcellino (cfr. soprattutto 15,8,17 e 20,5,10 circa l’apparizione e la

profezia del genius imperii); si tratta insomma di uno degli elementi di fondo della ‘mistica’ giulianea da parte dei suoi contemporanei.

18 La cronologia dei testi qui seguita è quella dàta da J. Bidez; cfr. anche Libanio e Giuliano, cit., p. 71, n. 7. La

constitutio sulla madre degli dèi fu seguita, certamente non a caso, dal trattatello del filosofo Salustio, dell’entourage

dell’imperatore, περὶ θεῶν καὶ κόσμου, stringata sintesi dottrinaria dell’Ellenismo rinnovato, ispirata a tendenza sincretica e conciliativa, non priva di aperture verso i cristiani. Parte dell’opuscolo era dedicata al problema dei miti: essi sono certamente falsi, ma conducono per altra strada alla intuizione della verità. R. Browning, The Emperor Julian, London 1975 ( = Browning), 139, nota che non a caso l’opera era stata affidata aSalustio, non malvisto in ambiente cristiano: l’imperatore tendeva certamente in questi mesi ad un’opera di ‘persuasione’, che dovè poi abbandonare alla luce dei modesti resultati conseguiti (cfr. anche 140: «Salutius, and behind him Julian, are concerned not merely to preserve the past in an antiquarian sense, but to breath new life into it and to fit its religious heritage to compete with Christianity-organized, articulate and polemical»). Cfr anche P. Athanassiadi-Fowden, Julian and Hellenism, an Intellectual Biography, Oxford 1981 ( = Athanassiadi-Fowden), 154 ss. Sull’opuscolo salustiano (ed. G. Rochefort,

Paris 1960), cfr. in particolare i contributi di Rochefort stesso: Le περὶ θεῶν καὶ κόσμου de Saloustios et Vinfluence de

l'empereur Julien, REG 69, 1956, 50-66; La démonologie de Saloustios et ses rapports avec celle de l'empe- reur Julien, Bagb 1957, 4, 53-61. G. Rinaldi, Sull’identificazione dell’autore del περὶ θεῶν καὶ κόσμου, Kοινωνία

2,1978,117-152 discute alcuni problemi sull’identificazione dell’autore (si tratterebbe di Saturnino Secondo Salustio, non di Flavio Salustio). Cfr. anche Athanassiadi-Fowden, pp. 154 ss.

19 Eraclio, Prediger cinico, aveva tenuto una lecture in Costantinopoli nel marzo 362, alla presenza di Giuliano stesso e

della sua corte, appositamente invitati. La lecture si era risolta in una allegoria, in cui gli dèi erano trattati irrive-rentemente. Libanio, or. 18,157, fa memoria del fatto, citando con disprezzo Eraclio (ἄνθρωπον νόθον’ Aντισθένους μιμητήν) e definendo il suo intervento ἀλόγιστον θράσος (il trattato giulianeo in Deorum matrem sarebbe stato, secondo l’informazione di Libanio, certamente desunta dal sovrano stesso, la reazione ufficiale alla dissacrazione operata dal cinico). Nel Contra Heraclium è Giuliano stesso a dare una cronaca vivace dell’episodio: punto nel vivo egli fu tentato di abbandonare la sala, ma vi fu trattenuto dal riguardo verso i convenuti, non senza essersi imposto una tollerante pazienza (cfr. 204 c, col richiamo ad Hom. Od. 20,18 τέτλαθι δή, κραδίη). Al discorso di Eraclio era presente anche Salustio, con altri personaggi dello staff giulianeo (cfr. 223 b). Il mito, che Giuliano in sede di definizioni filosofiche e dogmatiche riteneva di poter escludere (cfr. in Soletti regem = or. 11, 137 c ἀλλὰ τὰ μὲν τῶν ποιητῶν χαίρειν ἐάσωμεν,

ἔχει γὰρ μετὰ τοῦ θείου πολὺ καὶ τἀνθρώπινον ·ἃ δὲ ἡμᾶς ἔοικεν αὐτὸς ὁ θεὸς διδάσκειν ὑπέρ τε αὑτοῦ καὶ τῶν ἄλλων, ἐκεῖνα ἤδη διέλθωμεν), non è altro che un mezzo per la comprensione della verità religiosa, patrimonio comune

dell’umanità pur attraverso le varie formulazioni, una sorta, insomma, di Populartheologie. Anche sotto questo aspetto Giuliano riprendeva affermazioni da tempo operanti nel pensiero ellenico: basti il rimando a Plutarco, per cui il mito (cfr., soprattutto, de Iside et Osiride 20,358 d ss.), è tutt’altro che vaga fantasticheria e vana favola; occorre piuttosto liberarlo dagli elementi «più infamanti», per quanto questi stessi serbino in sé un patrimonio di dubbi e di esperienze, che è un po’ come il riflesso di una verità superiore.

20 Questi tentativi (cfr. anche supra, n. 3, a proposito di Asclepio) si manifestano peraltro come i punti più deboli del

pensiero giulianeo. Giuliano, pur essendo stato nella fanciullezza e nella prima giovinezza un cristiano colto ed informato, commetteva l’errore, certamente psicologico, di porre il Cristianesimo sullo stesso piano delle altre religioni dell’ecumene, non dando importanza al suo retroterra e alla sua concretezza storica per la vicenda umana di Cristo. Nel

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nel Contra Cynicos sono i falsi Elleni, piuttosto che i cristiani, ad essere messi sotto accusa e contraddetti. Così anche il provvedimento contro i maestri cristiani, che precede di poco il Contra

Cynicos, fu sostanzialmente frainteso dai contemporanei: Giuliano intendeva prevenire un pericolo

per il suo Ellenismo più che perseguitare i cristiani21. Fu nel periodo antiocheno che, come s’è detto in altra sede22, la prospettiva anticristiana della politica giulianea si manifestò predominante:

il Contra Cynicos, composto poco prima di lasciare Costantinopoli, è ancora impregnato di intelligente e feconda dialettica, che ritroveremo più tardi solo in alcuni spunti del Misopogon ( =

Or. 12) e del Contra Galilaeos.

Già l’antico pedagogo Mardonio aveva avvertito Giuliano della pericolosità e dell’assurdità della posizione dei tardi eredi del socratico Diogene (Contra Cynicos 198 ab: «Se fra i cinici qualcuno è veramente virtuoso, è guardato con commiserazione. Io ricordo, a tal proposito, che una volta il mio tutore mi diceva, quando vedeva il mio condiscepolo Ificle che aveva la chioma incolta, le vesti lacere sul petto e un mantello tutto andante in pieno inverno: “quale genio malefico ha volto costui in sì misero stato, per cui egli stesso fa pena e fanno ancora più pena i suoi genitori, che lo allevarono con cura e gli diedero la migliore educazione che poterono? Ed ora egli se ne va in giro così, trascura ogni cosa e non è da meglio di quelli che sono ridotti all’elemosina”»), ma Giuliano conosceva bene che da lungo tempo il pericolo rappresentato dai cinici per la παιδεία era stato avvertito e denunciato. Già Luciano aveva attaccato, più o meno esplicitamente, quelli che avevano violato, a suo avviso, lo spirito originario del movimento, le norme di Diogene, e che professavano una pericolosa contestazione23, venendo così a porsi in linea con alcune tendenze di rifiuto del mondo già presenti nei cristiani24. Ma è in Elio Aristide che la polemica acquista concretezza e vigore. I grandi ideali di Diogene e Cratete erano stati fraintesi e travolti dai tardi discepoli, si erano tradotti in impudente misantropia. La ἀπαιδευσία induceva questi pseudofilosofi al disprezzo di ogni valore, di modo che essi venivano a porsi vicini nei costumi a «quegli empi venienti dalla Palestina»25. Giuliano ripiglia buona parte della precedente critica, in particolare

l’aspetto denunciato da Elio Aristide, ora che il pericolo cristiano era certamente concreto e si profilava irreversibile. Nel Contra Heraclium i nuovi cinici sono ritenuti versione in certo senso peggiorata degli ἀποτακτισταί cristiani26 (224 b c: «Gli empi Galilei chiamano alcuni dei loro

trattato in Deorum matrem Giuliano tenta di trasporre alla sua madre degli dèi gli attributi e la terminologia del dibattito mariologico, fecondo e vivace in quell’epoca (cfr., per es., 166 ab e la stessa solenne preghiera finale a 179 d-180).

21 Cfr., fra l’altro, Ep. 83 Bidez ad Atarbio, 376 c: «Io di certo, in nome degli dèi, non intendo affatto che i Galilei siano

uccisi o subiscano persecuzioni contro giustizia, né che siano sottoposti ad altro male qualsivoglia. Affermo bensì che devono essere ad essi preferiti quelli che professino la retta fede (= Elleni)» (la lettera è certo una chiarificazione circa il provvedimento contro gli insegnanti cristiani). Cfr. anche Ep. 115 Bidez agli Edesseni, 424 c, dove si rivendica il proprio comportamento mite ed umano verso i cristiani (l’autore risponde evidentemente ad un risorto ‘complesso di persecuzione’ nelle Chiese).

22 Cfr., soprattutto, Giuliano e l’Ellenismo: conservazione e riforma, cit., pp. 276 ss., e anche Sull’epistola dì Giuliano

imperatore al filosofo Temistio, cit., pp. 108-111.

23 Cfr., p. es., Luciano, Bis acc. 33 ss. (i cinici, δεινοὶ ἄνδρες, si pigliano beffe del sacro e violano il retto; essi sono

accomunati ai giambografi, ad Eupoli e ad Aristofane, secondo un atteggiamento ‘censorio’ presente anche in Giuliano,

ep. 89 b). Secondo Luciano, l’esempio del retto costume cinico era offerto da Demonatte, accostato agli antichi

fondatori della scuola e, per essi, a Socrate (cfr. Demon. 5; D. Mort. 1,1,12).

24 Cfr. Peregr. 13.

25 Cfr. soprattutto, Or. 46 = 309 Dindorf. Cfr. anche Browning, p. 141, che giustamente osserva che i cinici erano restati

estranei alla fusione delle scuole filosofiche nella tarda antichità: «They continued to be the anarchistic dropouts of ancient society, mockingly critical of all its values and institutions, ostentatiously simple in their style of life, with nothing positive to offer in place of what they demolished [...]. In a sense they provided a safety valve for the intellec-tual discontents of an age of transition. Their destructive criticism of traditional religion made them up to a point the natural allies of the Christians, and Christian leaders like Gregory of Nazianzus treat with considerable respect some of these rather exhibitionist critics of established order». Cfr. anche Malley, pp. 149-156 al.; Athanassiadi-Fowden,pp. 128 ss. Cfr. anche P. Wendland, Die hellenistisch-römische Kultur in ihren Beziehungen zum Judentum und

Christentum, Tübingen 19724 (soprattutto pp. 75 ss.). Si noti che la ἀπαιδευσία era già stata definita da Platone come il

pericoloso contrario della παιδεία: essa è «cattiva e turpe παιδεία» (cfr. R. 3, 405 ab; 7, 514 a ss.; Grg. 527 e).

26 Gli ἀποτακτισταί, o ἀποτακτῖται, esclusi, erano ritenuti eretici. Per essi Basilio sosteneva la necessità della ripetizione

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rinunciatari [ἀποτακτιστάς ]. Si tratta per lo più di gente che con poco sacrificio guadagna molto, o piuttosto tutto, da ogni parte, ed in aggiunta si assicura onori, protezioni, servigi. Voi vi comportate in certo senso alla stessa maniera, se si eccettua, forse, la pretesa di rivelazione divina27. Questo non si ha presso di voi, bensì fra di noi, poiché siamo certo molto più saggi di quegli insensati. Siete diversi da essi anche perché non avete alcun pretesto di raccogliere contributi in modo spe-cioso, così come essi fanno, cosa che chiamano, non so a quale diritto, elemosina. Ma per ogni altro aspetto siete in tutto simili. Come essi, voi avete abbandonato la vostra patria, andate in giro do-vunque, e più di quelli, senz’altro con maggiore protervia, avete portato scompiglio nel mio stesso campo»), e, alla pari dei cristiani sono dei falsi Elleni28. Eppure essi si riconoscevano, attraverso Diogene e gli altri fondatori del movimento, nell’antico filone della filosofia ellenica: si poteva di conseguenza condannare il vizio, ma sperare in una loro redimibilità tramite la persuasione. E Giuliano imposta tutta la sua polemica sul motivo di fondo che, nonostante la degenerazione, anche il cinismo è filosofia. C’è infatti una unità di fondo fra Socrate e Diogene, così come fra i vari sistemi filosofici, che possono riconoscersi in un’unica matrice, configurarsi, nell’apparente diversità, come aspetti della filosofia nel suo insieme (Contra Cynicos 182 c: «Il movimento cinico si trova ad essere un aspetto della filosofia, non certo il più insignificante e trascurato, ma in gara con i migliori»). Ed è codesta riscontrata unità a porre l’esigenza di definire l’origine e la natura della filosofia. La provvidenza degli dèi, che si manifestò agli uomini tramite Prometeo, si è attuata nel dono della ragione e della mente, poiché fu insinuato nella natura un πνεῦμα ἔνθερμον come organo, che concede a tutti un principio razionale incorporeo29. Di codesta ragione universale ogni essere partecipa nella misura delle sue possibilità, secondo una linea di ascesa che ha al suo vertice l’uomo, con la sua anima razionale30, nella quale la filosofia trova all’insieme la sua origine e la

sua unità, pure fra le varie definizioni, che vengono tuttavia a riconoscersi nel precetto delfico γνῶθι σαυτόν (ibid. 183 a: «Dobbiamo soltanto dire [...] che comunque si giudichi la filosofia, o, come alcuni dicono, arte delle arti e scienza delle scienze, o il rendersi simile a Dio nella misura possibile, o si ponga a suo fondamento il precetto del dio pitico, il “conosci te stesso”, ciò non procura differenza alcuna in rapporto al mio argomento. Tutte queste definizioni sono strettamente legate le une alle altre»). Infatti (183 b d), colui che «conoscerà se stesso in rapporto all’anima, conoscerà se stesso anche in rapporto al corpo. E non sarà sufficiente apprendere questo soltanto, che l’uomo è anima razionale che fa uso di un corpo, ma si porrà anche l’esigenza di conoscere la natura dell’anima, e poi investigare sulle sue facoltà [...] e andando oltre ci si interrogherà ancora sui primi princìpi del corpo, se è composto o semplice [...]. Considera dunque se il “conosci te stes-so” non presieda ad ogni scienza, ad ogni arte, ed insieme non racchiuda in se stesso la conoscenza degli universali»). Ed è attraverso la conoscenza, che muove dall’autoconoscenza, che l’uomo si pone sulla strada di rendersi simile a Dio, di attuare così la seconda definizione della filosofia, poiché (ibid. 184 a) il rendersi simile a Dio non è altro che acquisire la conoscenza dell’essere nella furono condannati come eretici. Cfr. anche Malley, p. 136, n. 139, che osserva giustamente che Giuliano usa ἀποτακτιστής per monaco e richiama per l’origine del termine Lue. 14,33. Tendenze irrazionali apparivano peraltro all’epoca proprie di determinati ambienti pagani e cristiani. Più tardi Sinesio di Cirene condannerà per il loro comportamento asociale monaci cristiani e falsi filosofi: cfr. Dion 7,45c = 250,14 ss. Terzaghi: «IO ho già conosciuto degli stranieri delle due migliori stirpi, i quali s’erano proposto come fine la contemplazione e vivevano, in conseguenza, estranei alla società e al commercio con gli uomini nell’intento di liberarsi dalla natura [...]. Essi vivono anche separati gli uni dagli altri per non vedere o udire alcunché di allettante» (trad. A. Garzya).

27 Πλὴν ἴσως τοῦ χρηματίζεσθαι. Per codesta accezione di χρηματίζω, cfr. Matth. 2,22; Hebr. 8,5. Cfr. anche Lampe,

s.v.

28 Cfr. supra, n. 25 e Malley, pp. 144 ss.

29 C. Cynicos = Or. 9, 182 cd πνεῦμα ἔνθερμον, principio vitale, è dottrina di derivazione stoica (cfr. M. Pohlenz, La

Stoa, Firenze, La Nuova Italia, 1967, 2, 177), ma Giuliano ha certamente anche presente Gen. 2,1 e la πνοὴ ζωῆς infusa

dal Creatore all’uomo, per cui ἐγένετο ὁ ἄνθρωπος εἰς ψυχὴν ζῶσαν. Codesto πνεῦμα è in Giuliano peraltro una dote universale della materia (cfr. anche or. 8 Rochefort 161 a, 178 a al.). Per tutto il passo, cfr. Platone, Phlb. 16 c. Cfr. anche Temistio, Or. 27, 338 c e Plutarco, de Iside et Osiride 3, 352 a, per cui Prometeo è l’inventore della σοφία e della πρόνοια.

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misura che è possibile all’uomo31. La tradizione infatti sostiene, sull’autorità di Omero, che gli dèi sono felici non per ricchezza di possessi, né per nessun altro di quelli che sono ritenuti i beni, ma poiché «tutto sanno» e Zeus è primo poiché «conosce più cose»32, pone cioè come differenza fra l’uomo e Dio la misura della scienza posseduta. E come per l’uomo la conoscenza più alta è l’autoconoscenza, così è da ritenere che anche per gli dèi essa venga a presiedere ad ogni bene33.

La filosofia pertanto non va vista divisa in molte parti; come infatti una è la verità, così una è la filosofia, e non c’è affatto da stupirsi se ad essa noi giungiamo per strade diverse (ibid. 184 c). Nel precetto apollineo dell’autoconoscenza si riconosce la tradizione tutta, da essa prende avvio il progresso e l’incivilimento, in esso trovano ragione la προαίρεσις umana e i vari aspetti del pen-siero filosofico. Diogene aveva ben visto, sostiene ancora Giuliano, allorché accordava solo relativa fiducia ai sistemi, poiché prodotti dall’uomo, e faceva che solo la filosofia godesse della verità, poiché essa ha alla sua origine Dio (τὸν γὰρ θεόν, ἀνθρώπων δὲ οὐδένα τῆς φιλοσοφίας ἀρχηγόν34). La filosofia è infine peculiarmente ellenica, poiché è Apollo stesso ad avere avviato,

col suo παρακέλευσμα, il processo dell’Ellenismo: «E dunque chiaro che il fondatore di questa filosofia è, come credo, colui che è stato causa per gli Elleni di tutti i beni, la comune guida dell’Ellade, il legislatore e re, il dio che è in Delfi» (ibid. 188 a)35.

2. La riduzione della filosofia al comando delfico, se si riconosce nella tradizione culturale della tarda antichità, fin da Plutarco e da Elio Aristide36 – ed era stata ancora teorizzata nel IV secolo, sul versante degli Elleni, dal filosofo Temistio37 –, assume, nel contesto generale del pensiero giulianeo, una più decisa caratterizzazione socratica. Ed è in effetti al Socrate dell’Alcibiade primo e alla interpretazione ivi data del γνῶθι σαυτόν che Giuliano esplicitamente si ricollega, confermando così indirettamente la tesi di Asmus38. Nell’Alcibiade primo il motto apollineo è intimamente umanizzato; esso comporta la consapevolezza critica di sé stessi, la presa di coscienza delle proprie possibilità e delle esigenze della natura e del tempo. Bisogna insomma – sosteneva ivi Socrate – conoscere l’anima («conoscere l’anima dunque ci prescrive chi ci comanda: “conosci te stesso”»)39. Codesta impronta socratica della prima fase del pensiero giulianeo e, in genere, degli scritti precedenti il periodo antiocheno, tutta tesa alla ricerca dell’uomo interiore, non è solo una posizione teorica e una scelta della dialettica, ma si traduce nel giovane filosofo anche in condotta pratica, il che dimostra una comprensione piena della figura e della missione di Socrate, bene al di là del Fortleben socratico nella tarda antichità40. Il Messaggio al senato e al popolo di Atene ( = Or.

31 Sull’ideale della ὁμοίωσις θεῷ e la sua origine platonica (cfr. Tht. 176 b), cfr. Giuliano e l’Ellenismo: conservazione

e riforma, cit., pp. 285 ss. ed ancora il mio Itinerarium mentis: sulla teoria e la prassi dell’anacoresi e dell’ascesi nei Padri di Cappadocia, in Polyanthema. Studi di letteratura cristiana antica offerti a Salvatore Costanza, Messina,

Sicania, 1989, pp. 73-98.

32 Hom. Od. 4, 379 e II. 13, 355; cfr. Plutarco, de Iside et Osiride 1, 351 d, dove è riportato lo stesso luogo omerico. Cfr.

anche Temistio, Or. 33, 365.

33 C. Cynicos = Or. 9, 184 c. Sulla funzione dell’antica poesia, e di Omero e di Esiodo in particolare, come fonte di

verità religiosa, cfr. Giuliano e l'Ellenismo: conservazione e riforma, cit. (ibid., n. 39 anche sulla ripresa giulianea del γνῶθι σαυτόν, nell’ambito della humus culturale neoplatonica e cristiana). Cfr. per una analoga impostazione, senz’altro qui ripresa da Giuliano, della discussione del comando delfico, Plutarco, de E apud Delphos 2, 385 d; 21, 394 c;

adversus Colotem 20, 1118 cd, al.

34 C. Cynicos = Or. 9, 191 b.

35 Cfr. anche or. 8 Rochefort 159 b, dove è la Pizia delfica ad essere definita «colei che è divenuta in tutto ciò che c’è di

bene guida agli Elleni, la profetessa del dio pitico». Cfr. anche Plutarco, de E apud Delphos 2, 385 c. Non notato è l’influsso su questo luogo di Giuliano di alcuni passi apollinei euripidei (cfr., per es., Andr. 1161 ss.).

36 Cfr. or. 46 = 369 Dindorf (in riferimento all’Alc. 1 di Platone).

37 Sul rilievo della posizione temistiana e la sua influenza sulle prime posizioni giulianee, cfr. Sull’epistola di Giuliano

imperatore al filosofo Temistio, cit., pp. 95 ss.

38 Cfr. supra, n. 8. Da rilevare ancora la posizione plotiniana sul γνῶθι σαυτόν(cfr. Enn. 5, 3, 1 al.). Il motto

delfico-socratico soddisfa pienamente l’esigenza di un sapere attivo, quale affermata anche dall’Aristotele del Protrepticus.

39 Alc. 1 130 e (cfr. anche 124 ad, 128 e-129 ac, 133 b).

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5) e l’Epistola al filosofo Temistio ( = Or. 6) rappresentano il momento più alto del socratismo, teo-rico e pratico, di Giuliano, che viene così significativamente riscontrato nella circostanza delle scelte più gravi. Il Messaggio è prevalentemente giudicato documento della propaganda giulianea contro Costanzo II, ma esso è piuttosto testimonianza del tentativo del nuovo imperatore di spingere l’esigenza dell’autoconoscenza fino agli estremi limiti, di soddisfare pienamente la necessità, affermata da Socrate nell’Alcibiade primo, della presa di coscienza di se stesso e della realtà al momento di assumere il compito di procurare il bene sociale: verificare insomma in se stesso la presenza di quella σωφροσύνη che «non è soltanto scienza di scienza e scienza delle scienze, ma soprattutto scienza del bene e del male» (Platone, Chrm. 174 d). Codesta stessa esigenza è avvertita a più alto livello nell’Epistola a Temistio e il rilievo ivi dato al γνῶθι σαυτόν e alla figura di Socrate è stato da me già trattato in altra sede41. Interessa ora sottolineare come Giuliano, in ambedue i testi, spinga la sua scelta socratica sino ad additare nell’antico ateniese, fondatore della filosofia come scienza e prassi del dialogo, il ‘salvatore’, così raccogliendo e risolvendo intellettualmente un’altra esigenza del suo tempo. Ed è verosimile che in questa fase Giuliano non pensasse certamente di contrapporre Socrate a Cristo, di dare insomma alla salvezza che si ottiene per Socrate lo stesso significato della salvezza cristiana. La scelta di Socrate è priva, ex professo, di connotazione ideologica, è in funzione di un recupero della razionalità, soprattutto ora che aveva avuto fine il torbido regno di Costanzo II.

Nel Messaggio agli Ateniesi Giuliano oppone la sua εὐτυχία alla δυστυχία del fratello Gallo: liberati da Macello egli, Giuliano, poté iniziare la sua παιδεία filosofica, Gallo invece fu rinchiuso a corte, dove la ἀγριότης e la τραχύτης già proprie del suo carattere, divennero irreversibili e ne segnarono il destino42. Giuliano fu salvato dagli dèi tramite la filosofia (διὰ τῆς φιλοσοφίας)43. Poco

più avanti (275 b), Giuliano ricorda uno dei momenti più critici della propria vita: richiamato da Atene a Milano, dopo la tragica fine di Gallo, è confinato per ordine di Costanzo in un quartiere periferico della città (275 b ᾤκουν ἔν τινι προαστείῳ), in forte ansia per la sua salvezza fisica e morale. Decide allora di appellarsi all’imperatrice Eusebia, sua cugina, già in passato sollecita del suo destino. Le scrive una lettera, o piuttosto una supplica (275 c μᾶλλον δὲ ἱκετηρίαν), ma prima di farla pervenire a corte è colto dal timore che essa riesca di maggiore danno e lesiva della sua dignità. Chiede allora agli dèi che gli suggeriscano, nel corso della notte, l’opportuno comportamento. Gli dèi lo salvano «da una morte molto turpe» attraverso la meditazione del discorso socratico nel Fedone (62 bc): all’exemplum Socratis egli decide di uniformare il suo comportamento. L’esigenza socratica della continua scoperta della propria coscienza in rapporto alle circostanze risulta qui pienamente soddisfatta. E sfuggita inoltre, che io sappia, l’implicita ripresa dal luogo Alcibiade primo, dove Socrate (124 c), invitando Alcibiade a conoscere sé stesso, gli suggerisce di aver fede nel dio, «quel dio che fino ad oggi non mi ha permesso di entrare in discorso con te; ed è la fede che ho in lui che mi fa dire che solo attraverso me il dio ti si rivelerà. Nella Epistola a Temistio è affermato che non c’è possibilità di salvezza al di fuori dell’esercizio della ragione e il nuovo augusto proclama altamente di voler essere giudicato sul γνῶθι σαυτόν. Socrate, exemplum storico di alta condotta pratica, quale conviene ad un filosofo, è ancora additato come unico strumento di salvezza, poiché «quanti si salvano per la filosofia sono salvi grazie a Socrate». E la filosofia che permette ai singoli e alle comunità di diventare migliori di sé stessi44.

La salvezza che Giuliano teorizzava e ricercava ancora nel novembre 361 era data dalla

παιδεία: non diversamente dai suoi contemporanei, Elleni o cristiani, anch’egli si aspettava di

essere salvato dalla cultura45. La sua professione filosofica, sia pure certamente orientata in senso giamblicheo, si dimostrava aperta ad ogni possibilità di compromesso e di conciliazione, purché nell’àmbito della ragione. Ma allorché poco dopo cercò di tradurre in impegno dogmatico la sua

41 Cfr. Sull’epistola di Giuliano imperatore al filosofo Temistio, cit., pp. 99 ss. 42 Ad Ath. = Or. 5, 271 d-272 a.

43 Ad Ath. = Or. 5, 272 a.

44 Ad Them. = Or. 6, 264 bd. Cfr. Sull’epistola di Giuliano imperatore al filosofo Temistio, cit., pp. 99 ss. 45 Cfr. Sull'epistola di Giuliano imperatore al filosofo Temistio, cit., p. 92, n. 13.

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θεωρία e intese la sua πρᾶξις come restaurazione di un Ellenismo, in cui λόγοι e ἱερά si identificassero nella dimensione superiore della fede religiosa e di una rivelazione che non si fosse storicamente attuata per la via socratica del dialogo e della ragione46, il richiamo all’antico filosofo cessò di avere la pregnanza finora riscontrata. La filosofia stessa cominciò ad esser vista non più come processo della conoscenza, ma come somma ‘Sacra Scrittura’ dell’Ellenismo, che andasse, non diversamente dalla ortodossia cristiana, difesa dall’errore47. Parallelamente, l’imperatore elevò la sua impronta socratica alla μελέτη θανάτου e alla ἀγαθὴ ἐλπίς, richiamandosi implicitamente nella sua predicazione religiosa al Socrate del Fedone, al messaggio della immortalità dell’anima, ripresentato e interpretato non tanto come momento più alto della speculazione filosofica e convinzione cosciente del saggio, quanto come promessa degli dèi all’uomo pio. Ma Socrate è ancora una volta testimone implicito di codesta promessa degli dèi: il suo esempio fa sì che il filosofo, poiché uomo pio e immagine di Dio, come già aveva teorizzato Porfirio48, si sublimi nella

morte e ritorni per essa alla sua dimensione più vera. E i contemporanei di Giuliano, che ne seguirono con ansia e speranza l’azione restauratrice, non tardarono a cogliere proprio nella fede nella ἀγαθὴ ἐλπίς, il momento più alto della sua imitatio Socratis e a vedere nella sua morte ingiusta il ripetersi di quella antica morte nell’Atene del 399 a.C.

«Anche le sue ultime parole si prestano a testimonianza di virtù. Tutti quelli che gli erano intorno piangevano, persino quanti professavano filosofia non riuscivano a frenarsi, ma egli rimproverava tutti, e non di meno proprio i filosofi, poiché, mentre quanto aveva compiuto in vita lo destinava alle isole dei beati, essi lo compiangevano come se fosse vissuto in modo da meritare il Tartaro. La tenda (dove egli moriva) era simile alla cella di Socrate, la ferita ricordava quella pozione, le parole quelle parole. Socrate, allora, era il solo a non piangere, e allo stesso modo anch’egli ora». Così Libanio, nel suo Epitaffio, introduce il racconto della morte di Giuliano49. Anni dopo Ammiano Marcellino, alla fine della relativa sezione delle Res gestae, dopo aver accostato il suo imperatore ad Eracle ed Alessandro, non senza un accenno alla sua degenerazione ibrica, richiama, ex silentio, per la sua morte la morte di Socrate: et flentes inter haec omnes qui

aderant, auctoritate integra etiam tum increpabat, humile esse, caelo sideribusque conciliatum lugeri principem dicens. quibus ideo iam silentibus, ipse cum Maximo et Prisco philosophis super animorum sublimitate perplexius disputans [...] medio noctis horrore, vita facilius est absolutus50. La lezione di Socrate era stata allora colta dal giovane morente nel suo senso pieno, la «buona speranza» era divenuta luminosa certezza. «Orbene – aveva detto Socrate – se ciò è vero, amico mio, grande è la speranza per chi va colà dove ora io mi porto, che ivi in misura sufficiente, come certo in nessun altro luogo, consegua proprio ciò per cui molto abbiamo operato nella vita, che ora a me volge alla fine. Ed ecco che la separazione che mi è imposta mi viene con buona speranza, allo stesso modo come ad ogni altro uomo, che abbia allo scopo preparato il suo spirito, come per una purificazione [...]. Ed è certamente per tutto quanto abbiamo detto ... che bisogna operare sem-pre perché la nostra vita partecipi di virtù e saggezza: bella è infatti la ricompensa e grande è la speranza»51. La «buona speranza» è detta da Giuliano in Ep. 89 a, 452 c, summum praemium per il dovere compiuto e resa certa dagli dèi stessi («Se tu gestirai bene, come mi par degno sperare, i tuoi compiti, sappi che mi darai motivo di grande gioia, ma farai ancora più grande la buona

46 Cfr. Giuliano e l’Ellenismo: conservazione e riforma, cit., pp. 286 ss. 47 Cfr. Ep. 89 b e Giuliano e l’Ellenismo: conservazione e riforma, cit., p. 287.

48 Cfr. Marc. 11,15,16; cfr. Giuliano e l’Ellenismo: conservazione e riforma, cit., p. 290. 49 Libanio, Or. 18, 272.

50 Ammiano, 25, 3, 22-23. II racconto ammianeo della morte di Giuliano ha certamente schemi e fonti letterarie (cfr. per

es., Cicerone, Cato 79 ss.; X. Cyr. 8, 7, 17 ss. e anche Tacito, Ann. 2, 71 ss.), ma la identificazione di Giuliano con Socrate emerge dalla evoluzione stessa della sua personalità.

51 Platone, Phd. 67 b c, 114 c. La ἀγαθὴ ἐλπίς è tuttavia in Platone piuttosto conquista di virtù e conoscenza che

elemento di un messaggio religioso. Cfr. R. 1, 330e-331a, con l’opposizione κακὴ ἐλπίς e ἀγαθὴ ἐλπίς («Orbene, chi di-scopre nella sua vita molte cattive opere e sobbalza di frequente dal suo sonno, così come i fanciulli, questi vive nella paura e con cattiva speranza. Chi invece è consapevole di non aver commesso ingiustizia alcuna, a lui dolce è la speranza, buona e nutrice della sua vecchiaia»). Cfr. anche Giuliano e l’Ellenismo: conservazione e riforma, cit., p. 289.

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speranza della vita futura. Infatti noi non siamo di quelli che credono che l’anima muoia prima od assieme al corpo, ma la nostra fede acquista certezza grazie a nessun uomo, bensì soltanto per gli dèi»), che sono soliti non mentire (Ep. 89 b, 298 d: «Tu ben sai che gli dèi promettono grandi speranze dopo la morte. Bisogna avere in essi fede piena, poiché sono soliti non mentire, non solo in tale materia, ma anche in quanto riguarda la nostra vita terrena»); nell’orazione Contra

Heraclium, e poi nel trattato In Deorum Matrem, l’imperatore annuncia la sua missione nella

«buona speranza»52. La fides philosopha dell’antico saggio sul ritmo eterno dell’anima è così intimamente collegata da Giuliano alla salvezza data dalla filosofia. Ma questa, come abbiamo osservato, finisce per sfuggire al suo antico significato, allorché era stata detta una conseguenza di virtù e saggezza, della purificazione interiore, poiché – e Giuliano stesso lo aveva affermato, abbiamo visto, nell’Epistola a Temistio – non c’è alcun mezzo di salvezza quando l’anima sia tra-volta dalla passione e dalla cupidigia53, e, essendo l’anima stessa immortale, non si dà «altro modo

per evitare i mali né altra salvezza, se non nel suo essere quanto migliore possibile e quanto più saggia possibile»54.

3. Sarà ancora importante osservare, avviandoci a concludere, come la riflessione iniziale di Giuliano sulla natura e i compiti della filosofia, quale abbiamo cercato di delineare, muovesse dalle esigenze di base del neoplatonismo come poste da Plotino. Era stato infatti Plotino a riscoprire il valore socratico della dialettica, a porla come «la parte più nobile della filosofia» (1,3,5), assorbendo così nella sua ripresa di Platone le istanze di fondo del pensiero aristotelico. La dialettica è infatti per Plotino «quella attitudine che si ha da natura di esprimere, concettualmente, su ogni cosa, che cosa sia e in che differisca da altre cose e se abbia qualcosa di comune con esse [...]. Essa discorre altresì di bene e di non bene; e quante cose rientrino nel bene e quante nel suo contrario; tratta dell’essenza dell’eterno e di ciò che non è tale: in tutto questo, evidentemente, procede con scienza e non opinando. Dopo aver dato tregua al nostro vagabondaggio nel campo sensibile, ella si ferma nel regno dello Spirito ed esercita lassù il suo compito, facendo getto di ciò che è fallace e nutrendo l’anima, come fu detto (Platone, Phd. 248 b), “nel campo della verità”» (1,3,4). La dialettica non è «un semplice strumento del filosofo: in realtà, essa non consiste in nudi teoremi e regole, ma investe le cose stesse e ha gli esseri, per cosi dire, come sua materia» (1,3,5). Codesta definizione traduce in pieno il processo socratico della conoscenza, che muove dalla riflessione dell’anima su se stessa e le cose. Il γνῶθι σαυτόν, insomma, presuppone un rapporto dialettico fra il soggetto e l’oggetto55. A codesta visione Giuliano era probabilmente stato introdotto dalla sua stessa formazione cristiana, dalla dimestichezza che mostra di avere avuto non solo con le

Sacre Scritture, ma anche con il pensiero cristiano. Ed in effetti la definizione della filosofia come

scienza dell’essere e il cammino della conoscenza dal principio delfico-socratico erano stati riaffermati, anteriormente a Plotino, già da Giustino56. Ma fu certamente con Clemente Alessandrino, il cui percorso alla grazia fu inverso a quello che sarà poi di Giuliano, che la filosofia entrò coscientemente nel patrimonio indispensabile della παιδεία cristiana. Clemente, che aveva accettato come un bene il γνῶθι σαυτόν (cfr. Str. 7,3 = GCS 3, 15, 8 ss. = PG 9, 425 a καὶ τὸν νοῦν

52 Cfr. Or. 7 Rochefort 233 d; Or. 8 Rochefort 180 c. L’insistenza giulianea sulla «speranza», precisata religiosamente

come promessa di vita immortale, è anche in reazione a quella che egli giudicava certamente una arrogante pretesa cristiana, già nella predicazione di Paolo, di essere i soli titolari della «speranza» (sul concetto di ἐλπίς nei Padri, cfr. Lampe, s.v.).

53 Ad Them. = Or. 6, 258 d (= Platone, Ig. 4, 714 a). 54 Platone, Phd. 107 cd.

55 Cfr. supra, n. 38.

56 Cfr. soprattutto Dial. 3 = PG 6, 481 a: la filosofia è scienza dell’essere, conoscenza della verità e suo fine è la

εὐδαιμονία. I rapporti fra Cristianesimo e παιδεία classica erano stati certamente favoriti dalla posizione stessa di ‘aper-tura’ agli Elleni assunta dall’apostolo Paolo. Cfr. Giuliano e l’Ellenismo: conservazione e riforma, cit., p. 277;

Itinerarium mentis: sulla teoria e la prassi dell’anacoresi e dell’ascesi nei Padri di Cappadocia, cit., soprattutto n. 1

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εἰλήφαμεν ἵνα εἰδῶμεν ὃ ποιοῦμεν, καὶ τὸ γνῶθι σαυτόν ἐνταῦθα, εἰδέναι ἐφ’ᾧ γεγόναμεν), elevò a proposito della sua opera la difesa della filosofia, che viene da Dio (Str. 6, 17 = GCS 2, 512, 16 =

PG 9, 388 c θεόθεν ἡ φιλοσοφία) e che è anch’essa patto (διαθήκη) di Dio con gli uomini, terzo

strumento di rivelazione, accanto all’Antico e al Nuovo Testamento (Str. 1,5 = GCS 2, 18, 1 ss. =

PG 8, 717 d). La filosofia non nuoce alla vita, non è produttrice di opere di poco conto, non è solo

immagine della verità, secondo l’accusa di alcuni, «ma è essa dono di Dio, concesso agli Elleni, che non allontana affatto dalla fede», ma fornisce, in certa misura, la possibilità della comprensione razionale della fede stessa (Str. 1,2 = GCS 2, 13, 28-14, 1 = PG 8, 709 b). La verità è data dalla «vera didascalia», dalla fede, ma «se la filosofia ellenica non comprende la grandezza della verità [...] apre tuttavia la strada all’insegnamento più alto, procurando in certa maniera saggezza, modellando il carattere e preparandolo all’accoglimento della verità» (Str. 1,16 = GCS 2, 52, 15 ss. = PG 8,796 a). La filosofia va al di là dei sistemi, prodotti dalla mente umana: essa è la somma di quanto c’è di buono nelle varie posizioni (Str. 1,7 = GCS 2, 24, 30 - 25, 1 = PG 8, 732 d: «Io dico filosofia non la stoica, non la platonica, né l’epicurea né l’aristotelica, ma quanto c’è di buono in ciascuno di questi sistemi [...] tutto questo, messo assieme, è la filosofia»57). Sulle orme di

Clemente, Origene affermava che la filosofia non è contraria alla legge di Dio, pur non essendo ad essa del tutto consona: punto di divisione gli appariva la concezione, propria della filosofia (e qui allude egli chiaramente ai neoplatonici), della coeternità della materia58. Nell’età di Giuliano, Basilio, Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzo dimostreranno fino a che punto il pensiero cristiano fosse debitore della filosofia greca. Libanio, scrivendo a Basilio, poteva affermare che «di ciò che è nostro ed un tempo fu tuo, le radici restano e resteranno finché tu vivrai e giammai il tempo potrà reciderle, anche se tu ti rifiuti di alimentarle»59. L’accordo tacito sulla παιδεία tra

pagani e cristiani era ormai un fatto storico allorché Giuliano decise di restaurare il suo Ellenismo. Nella scuola retori e filosofi, pagani e cristiani, convivevano da tempo senza particolari problemi, al di là di contrasti accademici di routine, come quelli tra Ecebolio e Libanio, ed educavano al culto della forma e della verità giovani pagani e cristiani60. Giuliano stesso ne aveva avuto la prova nel corso del breve soggiorno in Atene, dove frequentò Imerio e Proeresio e suoi condiscepoli furono Gregorio di Nazianzo e Basilio. Quando, morto l’Apostata, Gregorio di Nazianzo esclamerà nella sua Invectiva: «È tuo l’ἀττικίζειν?» (Or. 4,107 = PG 35, 641 c), intendeva ben altro che l’aspetto formale della παιδεία classica, e, nel caso, l’uso dell’idioma di Platone e di Isocrate61: era il patrimonio storico tutto della Grecità che egli rivendicava come avito anche per i cristiani. Infatti Socrate e Platone, Aristotele e la «veneranda Stoa» erano stati salvati dai cristiani molto prima che da Giuliano.

Ma fu certamente codesta difesa cristiana della παιδεία classica, e della filosofia che ne rappresentava la forma più alta, a determinare in Giuliano, trasformato da filosofo in apostolo di Apollo e pontefice, la reazione contro la storia. Se egli nella sua strada non avesse avuto l’incontro col supremo potere e la dimestichezza, tramite la frequentazione degli «ultimi Elleni» discepoli di Giamblico, con la particolare degenerazione teurgica e soterica del neoplatonismo, già con Plotino filosofia della libertà della mente, ben altro sarebbe stato il suo contributo al progresso del pensiero.

57 Codesta esigenza sincretica, comune peraltro alla tradizione tardo-ellenistica, è riaffermata anche da Giuliano, Ep. 89

b, 301 ad: bisogna respingere le dottrine di quei filosofi, come Epicuro, che non siano ispirate da visione religiosa. Cfr.

Giuliano e l’Ellenismo: conservazione e riforma, cit., p. 287. Cfr. anche Malley, pp. 33 ss. e n. 121;

Athanassiadi-Fowden, pp. 128 ss.

58 Cfr. Hom. 14 in Gen. 3 = PG 12, 237 d-238 a.

59 Ep. 340 (11, 579-581 Förster) dell’epistolario basiliano (3, 208, 23-26 Courtonne).

60 Cfr. Libanio e Giuliano, cit., p. 71. Cfr. A. Garzya, Retori pagani e imperatori cristiani, e retori cristiani in scuole

pagane, in Mondo classico e cristianesimo, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,1982, pp. 65-74 (soprattutto p. 67), anche in II mandarino e il quotidiano, Napoli, Bibliopolis, 1984, pp. 149-167.

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