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Gestione anestesiologica nella chirurgia epatica minore ma complessa

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Academic year: 2021

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Indice

Prefazione ... 2

1.Metastasi da carcinoma colo-rettale ... 6

1.1 Definizione di resecabilità delle metastasi epatiche da tumore colo-rettale ... 6

1.2 Il margine chirurgico ... 7

1.3 Timing delle resezioni epatiche per metastasi sincrone da tumore colo-rettale ... 9

1.4 Tipologia di resezione epatica ... 10

1.5 Modalità chirurgiche di resezione epatica ... 17

2. Scopo dello studio ... 22

2.1 Perché la gestione anestesiologica è complicata? ... 23

2.2 Come si è evoluta la nostra gestione intraoperatoria ... 26

2.3 Induzione e mantenimento dell’anestesia ... 27

2.4 Menagement dell’emodinamica ... 29

2.5 Embolismo Gassoso ... 32

2.6 Perdite ematiche e trasfusioni... 33

2.7 Danni da ischemia/riperfusione e pre-condizionamento ... 35

3. Materiale e metodi ... 40

4. Risultati ... 40

5. Discussione ... 42

6. Conclusioni ... 42

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Prefazione

I tumori primitivi o secondari del fegato sono ancora oggi una importante causa di morbilità e mortalità per patologia neoplastica e rappresentano una sfida terapeutica per il clinico ed il chirurgo oncologo. La resezione epatica rappresenta nella maggior parte dei casi l’opzione terapeutica di scelta. I dati epidemiologici rendono ragione del rapido sviluppo che la chirurgia del fegato ha avuto nel corso degli anni. L’epatocarcinoma (HCC) è la sesta neoplasia per frequenza al mondo con un’incidenza di circa 600.000 nuovi casi all’anno. Altrettanto frequenti sono i tumori metastatici, in particolare, del milione di pazienti cui ogni anno viene diagnosticata una neoplasia del colon-retto, circa la metà sviluppa metastasi epatiche sincrone o metacrone alla diagnosi del tumore primitivo.

Questo rischio incrementa in pazienti che presentano linfonodi mesenterici positivi (stadioIII). In assenza di alcun trattamento del paziente con metastasi epatiche la probabilità di sopravvivenza a 5 anni è approssimativamente vicino allo 0%. Nonostante i miglioramenti degli agenti biologici e chemioterapici, la sopravvivenza in presenza di secondarismi è raramente superiore ai tre anni. Evidenze basate su numerosi studi retrospettivi e comparativi indicano cha la resezione epatica è l’unico trattamento che consente una sopravvivenza a lungo termine . La chirurgia epatica con completa resezione della metastasi ha marcatamente migliorato il range di sopravvivenza a 5 anni dal 36% al 58% e a 10 anni dal 23% al 36%. Storicamente, solo il 5% -10% dei pazienti con metastasi epatiche sono stati considerati resecabili, mentre attualmente, con i progressi dei metodi diagnostici e le nuove terapie i tassi di resecabilità sono aumentati del 20% -25%. Nuove strategie per aumentare la percentuale dei pazienti candidati alla resezione chirurgica completa sono state introdotte nella pratica clinica: chemioterapia neoadiuvante, l'embolizzazione preoperatoria della vena porta, e two- stage hepatectomy contribuiscono a questo scopo. Fattori prognostici negativi attualmente indicati per le metastasi epatiche da neoplasia del colon retto sono in gran parte stabiliti : presenza di quattro o più metastasi, metastasi molto estese e tumore primario scarsamente differenziato o con

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3 coinvolgimento linfonodale. Inoltre anche la presenza di malattia extraepatica, un elevato livello di CEA e l’evidenza di un margine di resezione positivo hanno un significato prognostico negativo. Questi fattori emergono dalla maggior parte degli studi che sono stati intrapresi (Simmonds¹ et al, 2006; Rees et al², 2008) . La resezione epatica, quindi è attualmente l'unica modalità che ha dimostrato di curare le metastasi al fegato in maniera convincente, anche se i trattamenti ablativi stanno mostrando qualche promessa (Mulier ³et al, 2008). La prognosi è strettamente correlata al grado di sostituzione del fegato da parte del tumore. Infatti, Wood et al⁴. in uno studio retrospettivo su 113 pazienti intrapreso nel Glasgow Royal Infirmary, ha indicato il tasso di sopravvivenza a un anno del 5,7% per i pazienti con malattia epatica diffusa, del 27% per i pazienti con metastasi localizzate ad un lobo epatico e del 60% per i pazienti con metastasi solitaria. Anche quando la resezione epatica viene eseguita con intento curativo, il 60% - 70% dei pazienti svilupperà comunque una recidiva locale o a distanza. La recidiva si verifica in uguale percentuale sia a livello intraepatico che in siti extraepatici; 80% di tutte le recidive si verifica entro due anni. La sopravvivenza media dei pazienti con recidiva di malattia è dagli 8 ai 10 mesi senza alcun trattamento. Ripetere la resezione è fattibile in 10% al 15% di questi casi e in pazienti selezionati il tasso di sopravvivenza a 5 anni può raggiungere percentuali dal 15% al 40% .

Lo sviluppo e l’incremento della ricerca clinica nell’ambito della chirurgia epatica sono testimoniati da un costante aumento di pubblicazioni a riguardo. Così, una ricerca eseguita su Pubmed, utilizzando come parola chiave liver resection, ha dimostrato come il numero di pubblicazioni sia aumentato da 513 nel 1998 a 628 nel 2000, a 733 nel 2002, a 758 nel 2004, a 922 nel 2006 fino a 1.016 nel 2007.

I progressi delle tecniche anestesiologiche e chirurgiche degli ultimi anni e la migliore gestione peri-operatoria del paziente hanno determinato una significativa riduzione della mortalità successiva agli interventi di epatectomia, con tassi dello 0-5%.

L’incidenza delle complicanze post-operatorie è tuttavia rimasta elevata, cosicché i tassi di morbilità variano dal 20,9% al 43%. L’insufficienza epatica rappresenta la

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4 causa più frequente di mortalità post-operatoria e complica il decorso clinico dell’1-27% dei pazienti sottoposti a resezione epatica.

L’estrema variabilità dei dati di frequenza va in parte attribuita all’assenza di criteri standardizzati nella definizione di insufficienza epatica sia per ciò che riguarda i parametri clinico-laboratoristici utilizzati sia per ciò che concerne i cut-off adottati per la valutazione degli indici sierici. Una definizione standard del termine insufficienza epatica post-operatoria ed un suo comune utilizzo sono fattori essenziali per permettere il confronto di dati di outcome fra diversi studi e, soprattutto, per valutare la reale efficacia di diverse strategie peri-operatorie volte a ridurre tale complicanza. Un contributo rilevante è fornito dai risultati di uno studio multicentrico, che si proponeva di trovare una definizione di insufficienza epatica supportata da evidenze statistiche, analizzando i dati clinici, operatori e laboratoristici di 1.059 epatectomie maggiori, eseguite in pazienti non cirrotici e non itterici. In particolare, lo studio voleva verificare quanto i picchi massimi post-operatori di bilirubina sierica (PeakBil) e di INR (PeakINR) fossero parametri predittivi di mortalità per insufficienza epatica. Gli autori hanno escluso parametri clinici spesso insiti nella definizione di insufficienza epatica, quali l’ascite e l’encefalopatia, in quanto a possibile genesi multifattoriale. Utilizzando le curve ROC per la definizione dei cut-off e l’analisi multivariata, Mullen⁵ et al. hanno identificato il PeakBil > 7 mg/dl come il più importante fattore predittivo di morbilità (Odd Ratio [OR] = 83,3; p < 0,0001), di sviluppo di complicanze maggiori (OR = 10,0; p < 0,0001) e di mortalità a 90 giorni, sia globale (OR = 10,8; p < 0,0001) sia correlata all’insufficienza epatica (OR = 250; p < 0,0001). La sensibilità e la specificità nel predire la mortalità correlata all’insufficienza epatica del PeakINR > 2 (77% e 82%) e del criterio combinato Peak- Bil > 7 mg/dl + PeakINR > 2 (73% e 98%) sono risultate inferiori rispetto al semplice criterio PeakBil > 7 mg/dl (93% e 94%). Gli autori, sulla base di questi risultati, hanno proposto l’utilizzo del PeakBil > 7 mg/dl, come unico e semplice criterio di definizione standard di insufficienza epatica in pazienti con fegato non cirrotico, eliminando così i limiti imposti da valutazioni laboratoristiche eseguite a tempi

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5 predefiniti o dall’inclusione di parametri quali l’ascite e l’encefalopatia la cui correlazione clinica con l’insufficienza epatica non è sempre certa. Tale definizione, confrontata con la più recente delle definizioni proposte denominata 50-50 criteria basata su un PT < 50-50% associato ad un livello di bilirubina sierica > 50-50 μmol/l in V giornata post-operatoria, presenta una maggiore sensibilità (93,3% vs. 50%), una sovrapponibile specificità (94,3% vs. 96,6%) e una conseguente superiore accuratezza diagnostica. I 50-50 criteria al V giorno dall’epatectomia, cui corrisponde nello studio originale di Balzan et⁶ al. una mortalità del 59%, sono tutt’ora di rilevante interesse non tanto per la definizione di insufficienza epatica quanto per l’individuazione di una situazione clinica ad alto rischio, con conseguente possibilità di approntare un trattamento precoce ed aggressivo delle possibili complicanze settiche. Esiste, infatti, una frequente associazione tra l’insufficienza epatica e la sepsi: se da un lato una grave insufficienza epatica predispone lo sviluppo di complicanze settiche, dall’altro l’infezione può determinare e/o aggravare l’insufficienza epatica iniziale. Tale aspetto è stato enfatizzato in un recente studio bi-istituzionale, nato dalla collaborazione tra la Divisione di Chirurgia Epato-Bilio-Pancreatica e Digestiva dell’Ospedale Mauriziano ―Umberto I‖ di Torino - Divisione di Chirurgia Oncologica della IRCC di Candiolo e la Divisione di Chirurgia Generale ed Epatobiliare del Policlinico ―A. Gemelli‖ di Roma, i cui risultati sono stati presentati al Corso

di Aggiornamento in Chirurgia Epatica - Nuove Tecniche e Tecnologie (Torino, 18-20

Aprile 2007). In questo studio sono state esaminate 1.271 resezioni epatiche eseguite tra il gennaio 1998 ed il gennaio 2007 in 172 pazienti cirrotici Child-Pugh A ed in 981 pazienti non cirrotici. 57 pazienti hanno sviluppato un’insufficienza epatica post-operatoria che ha complicato il 4,5% delle epatectomie, e 16 di questi (28,1%) sono deceduti. L’analisi dettagliata del decorso clinico dei pazienti ha dimostrato come l’exitus sia stato secondario ad una trombosi vascolare (arteriosa e/o portale) in 4 pazienti, ad una sepsi precoce in 7, a complicanze cardiovascolari o polmonari in 4 e ad emoperitoneo associato ad una perforazione duodenale in 1. In particolare, appare di rilevante importanza il fatto che l’insorgenza di un evento settico precoce abbia

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6 determinato un brusco e significativo peggioramento di un’insufficienza epatica moderata. Questi risultati indicano come debba essere posta estrema attenzione all’eventuale associazione di complicanze vascolari e soprattutto settiche, vere determinanti dell’evoluzione infausta dell’insufficienza epatica post-operatoria. Nella serie in esame, infatti, la sepsi precoce risultava essere il più significativo dei fattori di rischio indipendenti di mortalità. Pertanto è verosimile che il trattamento precoce della sepsi possa ridurre il rischio di mortalità post-operatoria.

1.Metastasi da carcinoma colo-rettale

La maggior parte delle novità in chirurgia epatica è stata ottenuta nell’ambito del trattamento delle metastasi da tumore colo-rettale.

1.1 Definizione di resecabilità delle metastasi epatiche da tumore colo-rettale

In passato la definizione di resecabilità delle metastasi epatiche teneva conto esclusivamente di alcune caratteristiche tumorali quali il numero delle lesioni (non più di 3-4), la sede (uni- o bilobare) ed il presunto margine chirurgico (> 1 cm). In anni più recenti i criteri sono stati estesi sempre più fino a comprendere pazienti in cui la malattia epatica può essere asportata completamente, ottenendo un margine chirurgico NEGATIVO (non più quindi > di 1cm). Tale cambiamento ―filosofico‖ è stato formalizzato da un gruppo di esperti che ha proposto una nuova definizione di resecabilità, che utilizza come punto di partenza non più ciò che deve essere asportato ma ciò che residua dopo la resezione. In particolare, gli autori definiscono resecabile ogni malattia che necessiti di una resezione che preservi almeno 2 segmenti epatici contigui con un adeguato inflow ed outflow vascolare ed un intatto drenaggio biliare,

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7 nonché un volume di fegato residuo > 20% del fegato sano. L'attuale approccio standard quindi è che la resezione è indicata, a condizione che il fegato residuo sia sufficiente per permettere al paziente di sopravvivere, mentre il fegato restante rigenera (Simmonds¹ et al, 2006; Rees² et al, 2008 ; Adam et⁷ al, 2009). Infatti il potere unico di rigenerazione del fegato permette epatectomie principali da compiere più volte, con il fegato rigenerante nell’intervello di tempo tra le operazioni (Wicherts⁸ et al, 2008). Anche la presenza di malattia extra-epatica non rappresenta una controindicazione assoluta all’intervento chirurgico qualora essa sia resecabile con un margine negativo.

1.2 Il margine chirurgico

Il margine di resezione chirurgico rappresenta in molte serie un significativo fattore prognostico di sopravvivenza e di recidiva epatica di malattia. L’ottenimento di un margine chirurgico di almeno 1 cm è stato a lungo considerato la conditio sine qua

non per definire pre-operatoriamente la resecabilità chirurgica e per confermare

istologicamente la radicalità della resezione. Tuttavia, nel corso degli anni, diversi autori hanno suggerito che tale limite può essere ridotto.

Fondamentale per la numerosità della coorte studiata, è il lavoro multi-istituzionale nel quale Pawlik⁹ et al. hanno esaminato l’influenza del margine di resezione sulla sopravvivenza e sul tasso di recidiva locale in 557 pazienti. Dopo aver suddiviso i pazienti in 4 gruppi sulla base dello spessore del margine (≥ 1 cm, 5-9 mm, 1-4 mm e positivo, questo ultimo definito come l’esposizione del tumore sulla trancia di sezione o la presenza all’esame istologico di cellule neoplastiche entro 1 mm dal margine stesso), gli autori hanno osservato che lo spessore del margine, purché negativo, non influenzava la sopravvivenza, né il tasso o la sede di recidiva. Un margine positivo, invece, si associava ad un aumentato rischio di recidiva locale (11% vs. 3,1% nei

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8 pazienti con margine negativo) e ad una ridotta sopravvivenza a 5 anni (17% vs. 64% nei pazienti con margine negativo). Risultati opposti venivano invece riportati nel 2007 da Are¹⁰ et al. In questo studio, essi osservavano che la curva rappresentante la relazione tra la sopravvivenza e lo spessore del margine presentava 2 punti di deflessione a 0 e 1 cm di spessore del margine. Partendo da questo dato, gli autori suddividevano i 1.019 pazienti della serie in 3 gruppi (margine positivo, 1-10 mm, > 10 mm) dimostrando come ciascuno di essi presentasse una mediana di sopravvivenza significativamente differente (30 mesi, 42 mesi e 55 mesi, rispettivamente). Inoltre, l’analisi multivariata confermava come un margine chirurgico >10 mm fosse un fattore predittivo di migliore sopravvivenza, inducendo gli autori a concludere che ogni resezione epatica dovrebbe essere eseguita, ogni qualvolta possibile, con un margine >1 cm. Tuttavia, tale studio presenta alcune lacune che rendono difficilmente interpretabili i risultati. Infatti, nel manoscritto non viene fornito alcun dato riguardante il tasso di recidiva né la sede, la quale correla strettamente con lo stato del margine. Inoltre, il gruppo di pazienti con un margine ≤ 1 cm presentava, rispetto al gruppo con margine > 1 cm, un numero superiore di soggetti con lesioni multiple o voluminose, un numero maggiore di resezioni bilaterali e livelli preoperatori di CEA più elevati. Tutto questo ad indicare, nel gruppo di pazienti con margine ≤ 1 cm, la presenza di una malattia oncologicamente più severa cui si associa una prognosi peggiore indipendentemente dal margine. A ciò si aggiunga che, da un punto di vista puramente speculativo, lo spessore di un margine negativo non dovrebbe influenzare l’outcome considerato che le metastasi epatiche da tumore colo-rettale sono lesioni istologicamente ben circoscritte, rara è la satellitosi o la presenza di micrometastasi peri-tumorali e infrequente e limitata è l’estensione alle guaine glissoniane. L’individuazione di un margine di resezione adeguato quindi resta ancora un problema aperto, anche se tra gli autori c’è accordo sul fatto che l’eventualità di un margine sub-centimetrico non rappresenti mai una controindicazione all’intervento chirurgico.

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1.3 Timing delle resezioni epatiche per metastasi sincrone da tumore

colo-rettale

Altro punto largamente dibattuto è il timing ottimale della chirurgia epatica nei pazienti affetti da metastasi epatiche sincrone. Negli ultimi anni un numero consistente di pubblicazioni ha smentito l’idea di molti che le resezioni sincrone siano gravate da proibitivi tassi di mortalità e di morbilità post-operatori. I dati della letteratura indicano che le resezioni sincrone ottengono oggi risultati comparabili, se non migliori, a quelli delle resezioni differite in termini di complicanze post-operatorie, degenza ospedaliera, mortalità chirurgica e sopravvivenza a lungo termine. Quest’ultima osservazione rende inconsistente l’ipotesi di alcuni che il rinvio della resezione epatica permetterebbe una migliore selezione dei candidati all’epatectomia attraverso l’esclusione di pazienti con rapida progressione di malattia.

Nelle conclusioni dell’ultima Consensus Conference dell’IHPBA (International

Hepato-Biliary-Pancreatic Association) sul trattamento delle metastasi epatiche

colo-rettali (San Francisco, 2006) si afferma, in merito al trattamento delle metastasi sincrone, che l’utilizzo di terapie adiuvanti e/o neoadiuvanti in pazienti con lesioni resecabili non è supportato da evidenze scientifiche e che l’uso ed il timing di queste terapie dovrebbero essere individualizzati e pianificati nell’ambito di un approccio multidisciplinare. Come risultato, la chemioterapia neoadiuvante viene generalmente riservata ai pazienti ad alto rischio di fallimento terapeutico.

In caso di pianificazione di una chemioterapia neoadiuvante, che sia essa indicata in pazienti con metastasi resecabili od in presenza di una malattia epatica irresecabile, si pone il problema del timing della resezione colica. Se il tumore colo-rettale è sintomatico è indubbia la necessità di un trattamento.

Viceversa, i dati della letteratura suggeriscono che in pazienti asintomatici non è necessario trattare il tumore primitivo. Paradigmatici al riguardo sono i risultati di uno studio prospettico pubblicato nel 2007 in cui 35 pazienti con carcinoma colo-rettale

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10 asintomatico e metastasi epatiche irresecabili sono stati sottoposti a chemioterapia neoadiuvante senza trattare il tumore primitivo. Quindici pazienti, nessuno dei quali ha sviluppato complicanze legate alla neoplasia intestinale, hanno avuto una risposta clinica con downsizing delle metastasi che ha permesso la resezione epatica in media dopo 6,5 mesi. Al termine dello studio, i restanti 20 pazienti sono rimasti invece non resecabili: di questi, 14 sono deceduti per progressione di malattia mentre 6 sono ancora viventi con un follow-up mediano di 18 mesi. Il dato più sorprendente è che di tutti questi pazienti solo 1 ha avuto una complicanza occlusiva in corso di chemioterapia ed è stato sottoposto ad una colostomia derivativa.

1.4 Tipologia di resezione epatica

La prima descrizione di un intervenyo sul fegato risale al 1860 e solo nel 1952 è stata descritta la prima epatectomia destra a Parigi. Descritte già all'inizio del secolo, le resezioni epatiche hanno ricevuto grande impulso alla fine degli anni '60 grazie a un chirurgo vietnamita (Tôn Thât Tùng), che mise a punto la digitoclasia (la rottura del fegato con le dita, allo scopo di evidenziare e preservare i vasi che scorrono dentro al fegato, riducendo quindi il rischio di emorragia). Successivamente sono state standardizzate altre tecniche, che oggi si avvalgono anche di una sofisticata strumentazione. Le resezioni epatiche si dividono in ―maggiori‖ (asportazione di 3 o più segmenti epatici) e ―minori‖ (asportazione di meno di 3 segmenti) e in ―anatomiche‖ e ―non-anatomiche‖ (a seconda che vengano eseguite basandosi sui criteri di suddivisione anatomica funzionale del fegato.

Le resezioni epatiche anatomiche maggiori sono:

 epatectomia destra: consiste nell’asportazione della porzione di parenchima epatico (circa il 60-65% del totale) vascolarizzato dal peduncolo portale e arterioso di destra, situata alla destra della vena sovraepatica media (segmenti 5-6-7-8);

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 epatectomia sinistra: consiste nell’asportazione della porzione di parenchima epatico (circa il 40-45% del totale) vascolarizzato dal peduncolo portale e arterioso di sinistra, situata alla sinistra della vena sovraepatica media (segmenti 2-3-4);

 epatectomia destra allargata (trisectionectomia destra): asportazione della porzione di parenchima epatico situata alla destra del legamento falciforme (segmenti 4-5-6-7-8);

 epatectomia sinistra allargata (trisectionectomia sinistra): consiste nell’asportazione dell’emifegato di sinistra e del settore ventrale di destra (segmenti 2-3-4-5-8);

 epatectomia centrale (o mesoepatectomia): consiste nell’asportazione dei segmenti centrali del fegato (segmenti 4-5-8).

Tra le resezioni epatiche anatomiche minori:

 settoriectomia laterale sinistra: asportazione del lobo anatomico di sinistra, ovvero della porzione di parenchima situata a sinistra del legamento falciforme (segmenti 2-3);

 settoriectomia laterale (o dorsale) destra: asportazione del settore laterale o dorsale di destra (segmenti 6-7);

 settoriectomia mediale (o ventrale) destra: asportazione del settore mediale o ventrale di destra (segmenti 5-8);

 segmentectomia: asportazione di un singolo segmento epatico;

 bisegmentectomia: asportazione di due segmenti epatici contigui.

Resezioni anatomiche

Epatectomia destra

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12 Rappresenta il principale intervento per i tumori sorti in questa parte del fegato. Prevede l'asportazione di più della metà del fegato. È uno degli interventi previsti nel caso di trapianto di fegato da donatore vivente.

Epatectomia sinistra

Figura 2

È la rimozione del lobo sinistro del fegato (segmenti 2, 3 e 4). È uno degli interventi previsti nel caso di trapianto di fegato da donatore vivente.

Epatectomia destra allargata

Figura 3

Consiste nella rimozione dell'emifegato destro e del 4° segmento (quindi, del cosiddetto "lobo anatomico" destro). È uno degli interventi maggiormente demolitivi nella chirurgia del fegato. Trova la più frequente applicazione nei casi di tumori delle vie biliari o della colecisti. Viene spesso associato all'embolizzazione preventiva del ramo destro della vena porta per ridurre il rischio di insufficienza postoperatoria del fegato.

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Epatectomia sinistra allargata

Figura 4

Intervento raramente applicato nella pratica chirurgica. Consiste nella rimozione dell'intero emifegato sinistro e del settore anteriore destro (segmenti 8° e 5°). Estremamente demolitivo e impegnativo, con alto rischio di insufficienza epatica.

Settoriectomia anteriore destra

Figura 5

Rimozione dei segmenti 5° e 8°, che ricevono sangue dallo stesso vaso proveniente dalla vena porta. Descritto nella letteratura scientifica dal nostro gruppo agli inizi degli anni '90.

Settoriectomia posteriore destra

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14 Rimozione dei segmenti 6° e 7°, che ricevono sangue dallo stesso vaso proveniente dalla vena porta. Qualche gruppo chirurgico utilizza questi due segmenti per il trapianto di fegato da vivenete, allo scopo di ridurre i rischio nella persona che dona.

Segmentectomia 4

Figura 7

Rimozione isolata del segmento 4°. Raramente impiegata nella pratica quotidiana. Utile per i pazienti cirrotici per evitare l'eccessiva asportazione di parenchima.

Settoriectomia laterale sinistra

Figura 8

Comunemente denominata "lobectomia sinistra", poiché prevede l'asportazione del lobo anatomico sinistro. È l'intervento impiegato nel trapianto di fegatosplitconvenzionale (adulto - bambino).

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Bisegmentectomia

Figura 9

Intervento chirurgico che prevede l'asportazione di due segmenti del fegato che non sono vascolarizzati dallo stesso vaso proveniente dalla vena porta.

Segmentectomia

Figura 10

Asportazione anatomica di uno solo degli 8 segmenti in cui è diviso il fegato (in questo caso è rappresentata l'asportazione del segmento 6°).

Resezione non anatomica

Resezioni "a cuneo" o resezioni "wedge"

Sono tutte quelle resezioni che non seguono la divisione anatomica del fegato e prevedono la rimozione di una parte di fegato di estensione inferiore ad un segmento

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16 Le resezioni epatiche sono interventi chirurgici e come tali non sono esenti da tutte le complicazioni postoperatorie tipiche di queste procedure.

Esistono però problemi specifici delle resezioni epatiche:

 insufficienza epatica: è forse la più temuta. Nei pazienti non cirrotici si può verificare a causa dell'eccessiva asportazione di fegato. Quando l'intervento da eseguire può comportare tale rischio, si eseguono sofisticate tecniche di misurazioni per verificare se il fegato rimanente sia sufficiente per non causare problemi. Nei pazienti cirrotici si può verificare a causa di un peggioramento delle condizioni funzionali del fegato dopo l'intervento.

 fistole biliari: fuoriuscita di bile dalla superficie del fegato sezionato o dalla via biliare vera e propria. Generalmente non causano problemi se la bile viene fatta defluire esternamente mediante drenaggi posizionati al momento dell'intervento o anche successivamente e si risolvono spontaneamente.

 ascite: è la comparsa di fluido libero nell’ addome. È causata dalla temporanea diminuzione della produzione di albumina (ipoosmolarità) da parte del fegato dopo l'intervento. Viene trattata con la somministrazione di albumina per via endovenosa, con farmaci che stimolano la diuresi e, in casi particolari, con paracentesi (asportazione del liquido mediante ago inserito attraverso la cute).  edemi alle caviglie: sono anch'essi causati dalla temporanea diminuzione della

produzione di albumina da parte del fegato dopo l'intervento. Vengono trattati con la somministrazione di albumina per via endovenosa, con farmaci che stimolano la diuresi e con il posizionamento di calze elastiche

 versamento pleurico: complicazione tipica degli interventi sul fegato. È causato dall'irritazione del diaframma da parte delle manovre chirurgiche eseguite durante l'intervento. Anche questo problema viene trattato con la somministrazione di albumina per via endovenosa, con farmaci che stimolano la diuresi e, in casi particolari, con toracentesi.

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1.5 Modalità chirurgiche di resezione epatica

“…il concetto del controllo vascolare epatico è basato sulla provata tolleranza del fegato all’ischemia calda e sulla forte evidenza che quest’organo tollera meglio l’ischemia dell’emorragia…”

La manovra di Pringle è una tecnica frequentemente utilizzata in chirurgia epatica per controllare le emorragie durante le resezioni epatiche mediante l'applicazione di un clamp o di altro strumento di compressione a livello della "porta hepatis" al forame di Winslow. Questa tecnica è effettivamente in grado di bloccare l'afflusso di sangue nel fegato mediante l'occlusione della vena porta e dell'arteria epatica. Ma chi era Pringle e com’è stata descritta per la prima volta tale tecnica?

James Hogarth Pringle nacque in Australia nel 1863 a Paramatta che oggi è una zona suburbana di Sydney. Studiò medicina all’università di Edimburgo conseguendo la laurea nel 1885. In seguito iniziò il suo training chirurgico in vari luoghi in tutta Europa. Tornato in Scozia incominciò a lavorare con Sir William McEwen e fu assunto come chirurgo alla ‖Glasgow Royal Infirmary‖ dal 1896 al 1923. In questo periodo storico era comune per i chirurghi operare tutte le tipologie di pazienti ed eseguire sia procedure di tipo ortopedico che di chirurgia generale, solo molto tempo

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18 dopo nacque la specializzazione. Durante questo periodo Pringle decise di descrivere un gruppo di otto pazienti che avevano subito un trauma epatico severo e che erano sotto le sue cure. L’articolo fu pubblicato sull’eminente giornale ―Annals of surgery‖¹¹. Degli otto pazienti tre erano affetti da una lesione epatica molto grave in concomitanza ad altre lesioni che non permisero di raggiungere la sala operatoria e un paziente che aveva una lesione trattabile che rifiutò immediatamente di sottoporsi all’atto chirurgico morendo il terzo giorno dopo il trauma. I restanti quattro pazienti furono sottoposti al trattamento chirurgico ed è presumibilmente su questi che Pringle basò le sue osservazioni. Egli discusse la possibilità di controllare temporaneamente il sanguinamento del fegato lesionato mediante la chiusura temporanea della vena porta a livello del limite libero del forame di Winslow. Questo avrebbe permesso di ottenere un campo chirurgico pulito nel tentativo di riparare o controllare la sede dell’emorragia del fegato.

La manovra di Pringle risultò chiaramente più valida da un punto di vista teorico rispetto al suo reale risultato nella pratica, dato che due dei quattro pazienti rimasti morirono sul tavolo operatorio; in ogni caso, due pazienti sopravvissero nel postoperatorio per morire alcuni giorni dopo. Quest’approccio ha resistito alla prova

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19 del tempo, è un mezzo chiave per il controllo delle emorragie delle lesioni epatiche sia in emergenza che in elezione e senza dubbio ha salvato migliaia di vite. Il lavoro originale di Pringle è l’unico lavoro pubblicato sugli Annals of Surgery con un 100% di mortalità e l’unico con i dati più rudimentali. Per l’esecuzione di tale manovra è necessario quindi incidere il piccolo omento nella sua pars flaccida, che dando accesso alla retro cavità degli epiploon permette di repertare su un laccio il peduncolo. A questo punto è possibile eseguire il clampaggio con una clamp vascolare applicata da sinistra verso destra in modo da dare una pressione maggiore sull’arteria epatica che non sulla via biliare. La chiusura, infatti, non deve essere eccessiva per evitare danni alle strutture vascolari, ed il limite della chiusura della clamp può essere dato dall’annullamento del polso a valle dell’arteria epatica. In alternativa all’utilizzo della clamp è possibile usare un semplice tourniquet utilizzando lo stesso repere precedentemente citato. Durante questa manovra bisogna evitare lo schiacciamento dei linfonodi del ligamento epatoduodenale, che se lesionati determinano significativi sanguinamenti, ed identificare l’eventuale origine anomala dell’arteria epatica sinistra dall’arteria gastrica sinistra, che deve essere clampata al fine di evitare perdite ematiche nonostante la manovra di Pringle.

Il clampaggio del peduncolo epatico è rimasto per decadi la metodica più efficace per ridurre il sanguinamento in corso di epatectomia ed è stato utilizzato dalla maggior parte dei chirurghi in modo sistematico allo scopo di diminuire la mortalità e la morbilità post-operatoria, i cui tassi d’incidenza appaiono correlati, in alcuni report, con le perdite ematiche e le trasfusioni di sangue.

 Huguet¹² C et al. Tolerance of the human liver to prolonged normothermic ischemia. A biological study of 20 patients submitted to extensive hepatectomy. Arch Surg 1978; 113.1448–51. → 25-65 min

 Delva¹³ E et al. Vascular occlusions for liver resections. Operative management and tolerance to hepatic ischemia: 142 cases. Ann Surg 1989; 209: 211–8. → >60 min

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20  Hannoun¹⁴ L et al. Liver resection with normothermic ischaemia exceeding 1

h. Br J Surg 1993; 80: 1161–5. → complicanze importanti se >90 min

 Nagasue¹⁵ N et al. Segmental and subsegmental resections of the cirrhotic liver under hepatic inflow and outflow occlusion. Br J Surg 1985; 72: 565–8. → clampaggi di 30 min ben tollerati da fegati cirrotici

Tuttavia, l’interruzione dell’afflusso ematico al fegato determina sia nella fase ischemica che in quella di riperfusione dell’organo un danno parenchimale responsabile di una diminuita sintesi di DNA e di una ridotta proliferazione epatocitaria con conseguente ritardata rigenerazione epatica. È doveroso ricordare che l’entità del danno da ischemia-riperfusione è più grave in presenza di cirrosi o di epatopatie causata da prolungata colestasi o da chemioterapia.

L’evoluzione di tale manovra è stata verso l’utilizzo di Clampaggi intermittenti (10-20 min + 5 min di declampaggio con) ISCHEMIE >90 MIN SENZA COMPLICANZE SIGNIFICATIVE. Questa modifica basa il suo essere su una serie di studi che ne evidenziano i vantaggi:

• Elias¹⁶ D, Desruennes E, Lasser P. Prolonged intermittent clamping of the portal triad during hepatectomy. Br J Surg 1991; 78: 42–4.

• Cunningham¹⁷ JD, Fong Y, Shriver C, Melendez J, Marx WL, Blumgart LH. One hundred consecutive hepatic resections. Blood loss, transfusion, and operative technique. Arch Surg 1994; 129: 1050–6.

• Man¹⁸ K, Fan ST, Ng IO, Lo CM, Liu CL, Wong J. Prospective evaluation of Pringle maneuver in hepatectomy for liver tumors by a randomized study. Ann Surg 1997; 226: 704–11, discussion 711–3.

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21 Pringle continuo Pringle intermittente Vantaggi Transezione parenchimale non

interrotta

Resezioni complesse per periodi prolungati

Svantaggi Sanguinamento sovraepatico, durata limitata

Sanguinamento sovra epatico durante il declampaggio

Effetti emodinamici Assenti Assenti

Durata (min) Norm: 60 - Cirr: <30 Norm: 120 - Cirr: <60 Difficoltà tecnica + +

Efficacia + + Tolleranza + +++

In un fegato non sano (cirrosi, fegato postchemioterapia, etc), un’ischemia prolungata può causare severi danni al parenchima epatico, che è possibile limitare eseguendo il clampaggio intermittente del peduncolo epatico, in cui alternando 15-20 min di clampaggio a 5 min di declampaggio, si possono raggiungere tempi di ischemia molto lunghi (fino a 140 min). Durante il declampaggio la transezione epatica viene interrotta e la trancia di sezione viene tamponata con delle pezze laparotomiche perché la ripresa del flusso determina infatti una maggiore perdita ematica. Qualche chirurgo interpone tra il parenchima epatico e le pezze un guanto, ovviamente lavato dal talco con soluzione fisiologica (NaCl 0.9%), al fine di impedire che togliendo la pezza questa trascini via con sé i coaguli adesi. Le perdite ematiche che si hanno nella fase di declampaggio potrebbero trarre in inganno sull’effettiva utilità del clampaggio intermittente rispetto al clampaggio continuo, ma in uno studio controllato tra le due tecniche, non è stata evidenziata una differenza statisticamente significativa nel computo totale delle perdite ematiche intraoperatorie. Sempre nello stesso studio, la tolleranza epatica, invece, risulta migliorata con il clampaggio intermittente rispetto a quello continuo, soprattutto se utilizzato in pazienti cirrotici . Alcuni autori hanno rilevato effetti benefici nell’esecuzione del precondizionamento ischemico durante le resezioni epatiche . Tale procedimento consiste nell’effettuare un’ischemia epatica di 10 minuti seguita da un altrettanto periodo di riperfusione, prima di eseguire il

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22 clampaggio vero e proprio. Con questa manovra si determina la liberazione nel tessuto epatico, di adenosina che ha effetti protettivi sul danno ischemico . È probabile che i migliori risultati funzionali ottenuti con il clampaggio intermittente derivino dall’attivazione locale di meccanismi analoghi

In anni recenti, tecniche chirurgiche più raffinate, lo sviluppo di strumenti di dissezione ed emostasi più efficaci (elettrobisturi monopolare) ed il mantenimento di valori di pressione venosa centrale < 5 cm H2O, hanno contribuito in maniera significativa a ridurre il sanguinamento intra-operatorio, sollevando così la questione del reale contributo del clampaggio del peduncolo epatico al miglioramento dell’outcome riportato negli ultimi anni.

2. Scopo dello studio

Nel corso dei miei cinque anni di specializzazione circa tre hanno ruotato intorno alla chirurgia epatica vissuta sia in sala operatoria che nel post operatorio in terapia intensiva. Interessante è stata la possibilità di aver avuto una visione globale sul perioperatorio degli interventi di resezione epatica: nell’immediato con l’intra-operatorio e nelle successive fasi post operatorie in terapia intensiva. Tali interventi non si possono considerare convenzionali. Comportano un notevole impegno chirurgico ma soprattutto anestesiologico in quanto il ricorso al cosiddetto ―pringle‖ intermittente (clampaggio dell’inflow epatico) determina una serie di conseguenze intra e post operatorie non solo a carico del fegato ma di tutto l’organismo. I tempi di realizzazione di questa chirurgia (parenchyma sparing) costituiscono uno dei principali problemi da affrontare, risultando infatti molto lunghi e superando talvolta le 24 h. Al clampaggio inevitabilmente deve seguire un periodo di declampaggio in cui il fegato viene riperfuso e teoricamente l’organismo tenta di ―recuperare‖. Tuttavia i pringle essendo ripetuti nel totale possono raggiungere un numero considerevole di minuti (nella nostra casistica anche 367 minuti) e le conseguenze a livello del sistema

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23 cardiocircolatorio e renale possono essere fatali, se non prevenute e trattate adeguatamente. Nonostante la complessità questo tipo di chirurgia, che rappresenta un esempio di parenchyma sparing soprattutto per il trattamento delle metastasi epatiche da tumore del colon-retto, costituisce verosimilmente la chirurgia del futuro. In questi ultimi anni è infatti aumentata l’indicazione al trattamento chirurgico in caso di tumore del colon-retto metastatico. Tale tumore è la principale causa di morte in tutto il mondo. Al momento della diagnosi il 20-25% dei pazienti ha metastasi epatiche clinicamente evidenziabili e un addizionale 40-50% dei pazienti svilupperà metastasi dopo la resezione del tumore primario. Approssimativamente il 20-30% di questi pazienti avrà il fegato come sede esclusiva di malattia. Parallelamente allo sviluppo di nuove linee chemioterapiche sempre più efficaci anche in ambito chirurgico si sta assistendo a un miglioramento delle tecniche. E’ inevitabile quindi un affinamento in tale senso anche del contributo perioperatorio anestesiologico.

Tale studio ha come obiettivo quello di criticare-migliorare la gestione anestesiologica di tali pazienti.

2.1 Perché la gestione anestesiologica è complicata?

A) motivi medici

Il trattamento chemioterapico neoadiuvante ha essenzialmente lo scopo di ridurre le dimensioni delle metastasi al fine di renderle resecabili o quantomeno ridurre la superficie epatica da resecare. Tuttavia i farmaci usati per la chemioterapia possono giocare un ruolo nello sviluppo dell’insufficienza epatica post-operatoria.

Gli effetti epatotossici dell’oxaliplatino e dell’irinitecano sono responsabili di alterazioni della vascolarizzazione (sindrome da ostruzione dei sinusoidi - SOS) e di steatoepatite associata a chemioterapia (CASH). La sindrome da ostruzione dei sinusoidi aumenta la morbilità dopo resezioni maggiori, specialmente dopo più di sei cicli di chemioterapia neoadiuvante. Anche la steatopatia associata a chemioterapia aumenta i livelli di

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24 morbilità e mortalità dopo resezione. Studi preliminari hanno dimostrato che l’associazione di bevacizumab o cetuximab alle terapie convenzionali non hanno effetti sugli indici di mortalità o morbilità dopo resezione epatica e non causano danno aggiuntivo al parenchima epatico. Tuttavia cicli con bevacizumab posso rallentare la replicazione del parenchima rimanente. Alcuni studiosi sostengono che cicli di chemioterapia neoadiuvante possano costituire un fattore di rischio per lo sviluppo di insufficienza epatica nel post operatorio : per esempio Ribeiro e colleghi in un loro studio hanno dimostrato come numerosi cicli di chemioterapia (più di otto) nei sei mesi prima dell’intervento rappresentino un fattore di rischio per lo sviluppo di complicazioni dopo resezione. Al contrario studiosi come Wolf at al. sostengono che l’utilizzo di chemioterapia neoadiuvante non sia un fattore di rischio e che il suo utilizzo possa favorire la guarigione dalla malattia.

Inoltre sia l’aumento in generale dell’età media che l’aumento dei pazienti che sopravvivono al tumore del colon-retto fa si che i pazienti candidati a chirurgia abbiano importanti comorbidità che possono complicare il decorso intra e post-operatorio. (cardiopatia ischemica in primis).

B)motivi chirurgici

La resezione epatica minore ma complessa è la resezione di meno di tre segmenti contigui che però interessa la confluenza epato-cavale. I metodi per il controllo dell’afflusso vascolare epatico possono essere classificati in due categorie: quelli che implicano l'occlusione dell’afflusso al fegato e quelli che comportano l'occlusione sia dell’afflusso che del deflusso. Essi possono essere riassunti come segue:

1) esclusione dell’inflow vascolare: A) occlusione del peduncolo epatico:

- manovra continua Pringle (CPM), - manovra intermittente Pringle (IPM).

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25 B) occlusione afflusso selettivo.

2) esclusione dell’inflow e dell’outflow vascolare A) totale esclusione vascolare epatica (THVE)

B) occlusione del flusso con il controllo extraparenchimale delle principali vene epatiche: esclusione vascolare epatica selettiva (SHVE).

La tecnica chirurgica a cui si ricorre in tali casi è ,più frequentemente, la manovra di Pringle che consiste nel clampaggio dell’inflow epatico. Durante la resezione del parenchima il problema prominente che si può verificare è il sanguinamento persistente, per un’incompleto clampaggio dell’inflow o più spesso per sanguinamento retrogrado attraverso le vene sovra epatiche. In letteratura si legge come il sanguinamento retrogrado possa essere controllato tenendo la pressione venosa centrale sotto i 5 cm H2O. Studi più recenti mettono in discussione tuttavia tale parametro di riferimento. Oltretutto la bassa PVC pone a rischio di embolia in particolare quando l’inflow è ripristinato in quanto mobilizza le bolle d’aria intrappolate in alcune vene aperte. Questo rischio può essere minimizzato operando il paziente con il capo inclinato di circa 15 gradi. In alcuni studi mortalità e morbidità del Pringle continuo o del Pringle intermittente sono considerate equiparate mentre in altri studi la tolleranza del fegato all’ischemia risulta maggiore per il Pringle intermittente. Inoltre anche sul tempo di clampaggio e la modalità non esistono studi univoci. Si può considerare maggiormente tollerato un Pringle con 15-20 minuti di clampaggio alternato a 5 minuti di declampaggio per un totale di 120 minuti di ischemia e oltre.

Al fegato è normalmente destinato circa i 30% della gittata cardiaca (1,5 L/min) distribuita tramite il 20% dall’arteria epatica e l’80% dalla vena porta. Eseguire la manovra di Pringle comporta un’ischemia del fegato ed è dimostato che se fatta in modo intermittente consente una riduzione del danno da riperfusione grazie al fenomeno del precondizionamento. Osservazioni fatte al microscopio elettronico su campioni epatici prelevati dopo 30 minuti di ischemia mostrano collasso dei sinusoidi, alterazioni della

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26 cromatina dei nuclei degli epatociti, rigonfiamento dei mitocondri e del reticolo endoplasmatico. Questi cambiamenti di solito sono reversibili. Il meccanismo di ischemia e riperfusione porta all’attivazione del sistema immune innato reclutando e attivando le cellule di Kupfer, le cellule endoteliale e il sistema del complemento. Questi producono proteine pro-infiammatorie, radicali dell’ossigeno, chemochine, fattori del complemento e molecole che favoriscono l’adesione alle cellule endoteliali. Successivamente si attivano i polimorfo nucleati neutrofili con un aggravamento del danno cellulare. Sebbene questi meccanismi dovrebbero servire per mantenere l’omeostasi, la loro attivazione potrebbe diventare distruttiva. Il precondizionamento ischemico (un breve periodo di ischemia seguito da riperfusione prima di un periodo prolungato di clampaggio) e la tecnica di clampaggio intermittente (15-10 minuti di clampaggio seguiti da 5 minuti di riperfusione) hanno dimostrato un effetto protettivo sul parenchima epatico. Questo processo è dovuto all’azione di sistemi citoprotettivi la cui azione può inibire la progressione di danni parenchimali irreversibili. Comparato agli altri organi il precondizionamento ischemico epatico ha la caratteristica aggiuntiva di ridurre l’infiammazione e promuovere la rigenerazione cellulare. Tuttavia le nostre conoscenze su questo fenomeno sono in larga parte incomplete. Studi sperimentali hanno dimostrato che i meccanismi protettivi del precondizionamento sono attivati dal rilascio di adenosina e ossido nitrico e dalla conseguente attivazione di una rete di segnali che coinvolge proteine chinasi come le MAP chinasi e di fattori di trascrizione.

2.2 Come si è evoluta la nostra gestione intraoperatoria

Durante l'esecuzione di questi interventi chirurgici, l’interfaccia chirurgo-anestesista è essenziale e la condotta anestesiologica deve forzatamente tener conto delle modifiche sistemiche indotte da tale chirurgia. Per tanto l’anestesia deve tener conto delle modifiche dell’emodinamica del paziente, dei rischi di embolia gassosa, del danno epatico da ischemia/riperfusione , del sanguinamento intraoperatorio e della necessità di trasfusioni. Particolare attenzione dovrebbe essere rivolta alla valutazione preoperatoria e alla condotta anestesiologica intra-operatoria in quanto i pazienti sottoposti a resezione epatica solitamente hanno uno stato di salute compromesso. Un'attenta selezione dei

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27 farmaci anestetici può minimizzare gli effetti della riduzione del flusso sanguigno epatico indotta da tale tecnica chirurgica. L'identificazione dei pazienti a rischio di sviluppare insufficienza epatica o renale post-operatoria è importante e, idealmente, coinvolge molte discipline affini come la chirurgia, l’anestesia e la terapia intensiva. Sebbene queste nuove tecniche chirurgiche abbiano minimizzato il rischio di emorragia epatica intra-operatoria, il rischio di insufficienza epatica e renale postoperatorio rimane alto per i pazienti di età avanzata e per quelli con steatosi e la cirrosi, con chemioterapia preoperatoria e con piccoli volumi di fegato residuo. Slankamenac et al. hanno sviluppato e validato un punteggio prognostico per insufficienza epatica acuta postoperatoria dopo resezione epatica in base ai parametri preoperatori per malattie cardiovascolari, insufficienza epatica cronica, diabete, e livelli di ALT, che sembra essere uno strumento di facile applicazione nella pratica clinica. Comunque in generale, la valutazione preoperatoria deve essere adattata al singolo paziente per minimizzare gli insulti epatici e sistemici perioperatori.

2.3 Induzione e mantenimento dell’anestesia

Le resezioni epatiche sono solitamente eseguite in anestesia generale con intubazione tracheale e ventilazione controllata. I pazienti con ascite devono essere sottoposti a induzione in sequenza rapida. (A. Chévalier¹¹, “Anesthesia and hepatic resection,” Anesthesiology Rounds). Il Cis-atracurio è il miorilassante non depolarizzante di scelta nei pazienti con malattia epatica in quanto è eliminato mediante reazione di idrolizzazione di Hoffman. Inoltre, è emodinamicamente stabile grazie allo scarso rilascio di istamina.( J. R. Ortiz²⁰, J. A. Percaz, and F. Carrascosa, “Cisatracurium,” Revista Espanola de Anestesiologia y Reanimacion)

L’induzione è eseguita per via endovenosa e un agente volatile alogenato in miscela aria-ossigeno viene utilizzato per il mantenimento ( I. Redai²¹, J. Emond, and T. Brentjens, “Anesthetic considerations during liver surgery,” Surgical Clinics of North America). Durante

la monovra di Pringle si ha una depressione della funzione cardiovascolare in aggiunta alla depressione causata da anestesia generale. Perciò tali pazienti necessitano di ECG, valutazione cardiologica ed eventuali approfondimenti. Gli anestetici volatili più

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28 comunemente usati per il mantenimento dell’anestesia sono l’isoflurano e il sevoflurano. L’ isoflurano ha lievi effetti cardiodepressivi ma mantiene l'apporto di ossigeno epatico, per la vasodilatazione dell’ arteria epatica e della vena porta . Sia l’ isoflurano che il sevoflurano aumentano la produzione dell’ eme-ossigenasi-1, il rilascio del ferro e del monossido di carbonio, e ciò si è visto riduce le resistenze portali nei ratti (A. Hoetzel²², S. Geiger, T. Loop et al., “Differential effects of volatile anesthetics on hepatic heme oxygenase- 1 Expression in the rat,” Anesthesiology) . Negli esseri umani, il sevoflurano riduce il flusso di sangue della vena porta, ma aumenta il flusso di sangue dell'arteria epatica (N. Kanaya²³, M. Nakayama, S. Fujita, and A. Namiki, “Comparison of the effects of sevoflurane, isoflurane and halothane on indocyanine green clearance,” British Journal of Anaesthesia ).

Inoltre, Beck-Schimmer et al., in uno studio randomizzato controllato in pazienti sottoposti a chirurgia epatica (B. Beck-Schimmer²´, S. Breitenstein, S. Urech et al., “A randomized controlled trial on pharmacological preconditioning in liver surgery using a volatile anesthetic,” Annals of Surgery), ha dimostrato che il precondizionamento ischemico con

sevoflurano prima del blocco dell’inflow diminuisce il danno epatico postoperatorio, anche nei pazienti con steatosi. Sebbene vari anestetici inalatori siano utilizzati in chirurgia epatica, nessuna tecnica ottimale è stata stabilita per il mantenimento dell'anestesia. Il desflurane non sembra avere alcuna tossicità epatica maggiore di altri agenti anestetici volatili attualmente utilizzati (D. D. Koblin²µ, “Characteristics and implications of desflurane metabolism and toxicity,” Anesthesia & Analgesia). Inoltre,

desflurane subisce solo una minima biodegradazione (è metabolizzato ad un rapporto di 0,02%), e infatti causa minor danno epatocellulare grazie al suo ridotto metabolismo. Ko et al. confrontando gli effetti del desflurano e del sevoflurano sulle funzioni epatiche e renali dopo epatectomia destra in donatori viventi,rilevarono una migliore funzionalità epatica e renale post-operatoria con il desflurane rispetto al sevoflurane utilizzando le stesse dosi equivalenti di 1 MAC, senza, tuttavia, essere in grado di convalidare l'importanza clinica del loro studio ( J. S. Ko²¶, M. S. Gwak, S. J. Choi et al., “The effects of desflurane and sevoflurane on hepatic and renal functions after right hepatectomy in living donors,” Transplant International).

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29 In un altro studio condotto da Arslan et al. ponendo a confronto gli effetti dell'anestesia con desflurano e enflurano sulla funzionalità epatica, è emerso che durante l'anestesia con desflurane, la funzionalità epatica era ben conservato: i livelli di glutatione-S-transferasi e aspartato aminotransferasi erano significativamente più bassi nel gruppo desflurane. (M.

Arslan²·, O. Kurtipek, A. T. Dogan et al., “Comparison of effects of anaesthesia with desflurane and enflurane on liver function,” Singapore Medical Journal)

E 'ormai generalmente accettato che l'anestesia riduce il flusso epatico. Tuttavia, pochi studi sugli effetti dell'anestesia generale durante epatectomie condotte con tecniche di controllo vascolare, sono disponibili in pazienti con comorbidità significative.

2.4 Menagement dell’emodinamica

Table 1: Hemodynamic changes on clinical series of hepatectomies induced by hepatic vascular occlusion techniques.

Technique

Haemodynamic changes

Heart rate Mean arterial blood pressure Cardiac index

Inflow and outflow occlusion

THVE* Redai et al.a [16] ↑ 25% ↓ 17,64% ↓ 50% Smyrniotis et al.a [123] ↑ 21% ↓ 23% ↓ 50% Figueras et al.a [124] ↑ 18,75% ↓ 20,48% ↓ 60% Smyrniotis et al. [54] ↑ 29% ↑ 22% ↓ 50% SHVE**

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30 Smyrniotis et al. [54] ↑ 5% ↑ 5,55% ↓ 10% Inflow occlusion PRINGLE Redai et al.a [16] ↑ 6.25% ↑ 15% ↓ 10% Smyrniotis et al.a [123] ↑ 12% ↑ 16% ↓ 10%

Figueras et al.a [124] ↑ 8.83% ↑ 13.85% N/A

aValues expressing % change of heart rate, mean arterial blood pressure, and cardiac index during clamping and uclamping of hepatic

vessels.*THVE:total hepatic vascular exclusion. **SHVE:selective hepatic vascular exclusion. ↑:increase.↓: reduction

La monovra di Pringle continua e intermittente e il blocco selettivo dell’afflusso hanno una gestione dell’ emodinamica comune. Il clamping della triade portale aumenta le resistenze vascolari sistemiche fino al 40% e riduce la gittata cardiaca del 10% e si ha un aumento della pressione arteriosa media di circa il 15% (Tabella 1). A seguito del declampaggio, i parametri emodinamici gradualmente ritornano ai valori basali (E. Delva²¸, Y. Camus, C. Paugam, R. Parc, C. Huguet, and A. Lienhart, “Hemodynamic effects of portal triad clamping in humans,” Anesthesia & Analgesia). Tuttavia, la circolazione sistemica in pazienti con cirrosi è iperdinamica e

disfunzionale, con aumento della frequenza cardiaca e della gittata cardiaca, diminuzione della resistenza vascolare sistemica, e con pressione arteriosa bassa o normale. Così, mantenere un'adeguata perfusione d’ organo può essere difficile da raggiungere nell’intra-operatorio, è richiesta infatti un’ottimizzazione preoperatoria del paziente.

La gestione dell’anestesia è dettata dalla tecnica chirurgica di approccio e dallo stato di salute del paziente. Per i pazienti in buona salute, si può usare un monitoraggio di routine con l’utilizzo anche di cateterismo venoso periferico. (D. Franco²¹, “Liver surgery has become simpler,” European Journal of Anaesthesiology) . Un monitoraggio invasivo con CVC o

cateterizzazione polmonare è riservato ai pazienti con alterazione del sistema CV o quando le occlusioni vascolari sono prolungate.

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31 Una bassa CVP (tra 2 e 5 mmHg), mirando nel contempo a euvolemia, riduce la perdita di sangue durante l’intervento e migliora la sopravvivenza (R. M. Jones³⁰, C. E. Moulton, and K. J. Hardy, “Central venous pressure and its effect on blood loss during liver resection,” British Journal of Surgery; M. Johnson, R. Mannar, and A. V. O. Wu, “Correlation between blood loss and inferior vena caval pressure during liver resection,” British Journal of Surgery). Un basso valore di CVP

può essere ottenuto limitando la somministrazione di fluidi nel pre- e durante l’intervento. Ma per una maggior sicurezza emodinamica il management dei liquidi deve prevedere una pressione > 90 mmHg e diuresi di almeno 0,5 ml / kg / h (P. J. Allen³¹ and W. R. Jarnagin, “Current status of hepatic resection,” Advances in Surgery). Quindi se la restrizione dei

liquidi,nell’ambito della sicurezza è inefficace per mantenere un basso valore di CVP, si possono utilizzare agenti vasoattivi. La nitroglicerina può essere usata per ridurre la CVP al livello desiderato durante la fase di resezione o se si osserva troppo sanguinamento dalla superficie resecata. Anche la morfina per via endovenosa può essere utilizzata per il suo effetto ipotensivo. CPM con un valore di CVP di 5 mmHg o meno è associata a minori perdite di sangue e una ridotta degenza ospedaliera (V. E. Smyrniotis³², G. G. Kostopanagiotou, J. C. Contis et al., “Selective hepatic vascular exclusion versus Pringle maneuver in major liver resections: prospective study,” World Journal of Surgery,). IPM può causare invece fluttuazioni della pressione arteriosa sistemica. Se, tuttavia, viene applicata con una bassa CVP durante la transezione, le perdite di sangue e le modificazioni emodinamiche sono minime ( J. A. Melendez³³, V. Arslan, M. E. Fischer et al., “Perioperative outcomes of major hepatic resections under low central venous pressure anesthesia: blood loss, blood transfusion, and the risk of postoperative renal dysfunction,” Journal of the American College of Surgeons; J. D. Cunningham, Y. Fong, C. Shriver, J. Melendez, W. L. Marx, and L. H. Blumgart, “One hundred consecutive hepatic resections: blood loss, transfusion, and operative technique,” Archives of Surger).

I vantaggi di un basso valore di CVP devono essere valutati rispetto a una perfusione inadeguata degli organi vitali e a una perdita di riserva volemica in caso di sanguinamento e / o di embolia gassosa.

(32)

32

2.5 Embolismo Gassoso

Anche se il rischio relativo di embolia gassosa in chirurgia epatica è bassa (<5%), diversi casi sono stati riportati durante resezione epatiche con manovre di occlusione dell’inflow. I fattori che predispongono all’ embolia gassosa durante tali interventi sono: (a) la tecnica chirurgica, (b) le dimensioni e il luogo del tumore, (c) perdita di sangue, e (d) basso valore di CVP. I segni clinici di embolia gassosa durante l'anestesia con monitoraggio delle vie respiratorie sono: una riduzione di ETCO2, diminuzione della saturazione arteriosa di ossigeno (SaO2) e della pressione parziale di O2 (PO2) unite all’ipercapnia. Dal monitoraggio del sistema cardiovascolare si possono rilevare tachiaritmie, dissociazione elettromeccanica, attività elettrica senza polso così come slivellamenti del tratto ST-T. La principale manifestazione emodinamica, quali ipotensione improvvisa, può verificarsi prima che l’ipossia divenga evidente. Durante l'esecuzione di tecniche di blocco dell’inflow (CPM, IPM, occlusione selettiva dell’inflow), l’embolia gassosa si può osservare durante la resezione parenchimale in caso di bassa CVP o durante la riperfusione, a causa della mobilizzazione di bolle d'aria intrappolate nelle vene aperte. La resezione di tumori di grandi dimensioni situate nel lobo destro, in prossimità della vena cava inferiore o della giunzione epato-cavale, mette il paziente a rischio di embolia gassosa venosa. Tali tumori dovrebbero quindi essere asportati sotto THVE o SHVE se possibile. Recenti studi clinici che valutano l'efficacia della SHVE e della manovra di Pringle nella prevenzione dell’embolia gassosa hanno mostrato che l'embolia si è verificato in 3 su 2.100 pazienti e in 1 su 29 pazienti del gruppo Pringle, seguita da massiccia perdita di sangue durante la resezione del tumore. L’embolia gassosa non si è verificato in nessun il gruppo SHVE (W. Zhou³´, A. Li, Z. Pan et al., “Selective hepatic vascular exclusion and Pringle maneuver: a comparative study in liver resection,” European Journal of Surgical Oncology).

La morbilità e la mortalità per embolia gassosa dipendono dal volume e dalla velocità con cui si instaura. Il volume letale per un adulto è tra i 200 e i 300 ml o 3-5 ml / kg. Bassi valori di CVP aumentano inoltre il gradiente pressorio negativo nel campo chirurgico rispetto all'atrio destro incrementando quindi la possibilità di embolia gassosa. Pertanto, gli effettivi benefici di una bassa CVP devono essere attentamente valutati rispetto ad un’ adeguata idratazione e all'ottimizzazione del volume. Attualmente, i dispositivi di monitoraggio più sensibili per

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33 rilevare l’ embolia gassosa sono l'ecocardiografia transesofagea e Doppler precordiale, rilevando meno di 0,02 ml / kg e 0,05 ml / kg di aria rispettivamente (J. L. Chang³µ, M. S.

Albin, L. Bunegin, and T. K. Hung, “Analysis and comparison of venous air embolism detection methods,” Neurosurgery).

La letteratura recente suggerisce che SHVE impedisce l’embolia gassosa e dà una buona tolleranza operatoria. Tuttavia, riconoscere il rischio di embolia gassosa, pianificare un monitoraggio e il trattamento adeguato, costituisce la chiave per la sicurezza del paziente.

2.6 Perdite ematiche e trasfusioni

Le resezioni epatiche possono provocare una significativa perdita di sangue con la conseguente trasfusione di GRC in circa il 25% -30% dei pazienti. Le due principali fonti di sanguinamento sono (a) il sistema di afflusso (arteria epatica e vena porta) e (b) il sistema di deflusso (reflusso dalle vene epatiche). Il sanguinamento può verificarsi durante la mobilizzazione del fegato, la resezione epatica e la dissezione delle strutture biliari.

La raffinatezza delle nuove tecniche di clamp dell’afflusso e deflusso, nonché la gestione appropriata dell’anestesia ha ridotto il sanguinamento intraoperatorio e la necessità di trasfusioni di sangue. L'approccio chirurgico è di grande importanza nella prevenzione della perdita di sangue. Da uno studio della letteratura si rilevano i seguenti risultati relativi alla correlazione tra emorragia e le diverse tecniche di clamp vascolare: la manovra di Pringle ha dimostrato di essere efficace nel ridurre la perdita di sangue durante la transezione del parenchima ( J. P. Arnoletti³¶ and J. Brodsky, “Reduction of transfusion requirements during major hepatic resection for metastatic disease,” Surgery). Belghiti et al. (Belghiti, R. Noun, R. Malafosse et al., “Continuous versus intermittent portal triad clamping for liver resection: a controlled study,” Annals of Surger) In uno studio prospettico di IPM vs CPM, non ha trovato differenze

nella perdita di sangue totale o nel volume di sangue trasfuso tra i due gruppi, nonostante una più ampia perdita di sangue durante la resezione del parenchima nell’IPM. Man et al., in due studi prospettici tra IPM vs alcun clamp vascolare, mostrò minore perdita di sangue totale e meno trasfusioni nel gruppo IPM (K. Man³·, S. T. Fan, I. O. L. Ng et al., “Tolerance of the liver to intermittent Pringle maneuver in hepatectomy for liver tumors,” Archives of Surgery). SHVE offre

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34 favoriscono SHVE come uno dei metodi standard di controllo vascolare, in quanto impedisce una massiccia perdita di sangue e diminuisce le esigenze trasfusione.

Dal punto di vista anestesiologico, un livello basso di CVP svolge un ruolo importante nella riduzione della perdita di sangue intraoperatorio e dei tassi di trasfusione. Il mantenimento di una CVP <5 mmHg, l’ infusione endovenosa di nitroglicerina, una pressione sistolica superiore a 90 mmHg per infusione endovenosa di dopamina (4-6 mg / kg) ha drasticamente ridotto il sanguinamento e le trasfusioni. Importante è anche mantenere il paziente in eutermia poichè l'ipotermia riduce la coagulazione del sangue, la funzione piastrinica in particolare, e aumenta la perdita di sangue intraoperatorio.

Sono stati studiati metodi alternativi per diminuire la perdita di sangue. Metodi farmacologici: desmopressina, anche se utilizzata nel trattamento dell'emofilia, non era efficace nel ridurre la perdita di sangue e le esigenze trasfusionali nei pazienti sottoposti a resezione epatica. Una significativa riduzione del fabbisogno di trasfusione del sangue è stato dimostrato con l'uso di aprotinina. L’ utilizzo dell’Aprotinina è stato associato a riduzione delle perdite di sangue intraoperatorio del 25% e necessità di trasfusioni del 50% (J. P. Arnoletti³¸ and J. Brodsky, “Reduction of transfusion requirements during major hepatic resection for metastatic disease,” Surgery).

Tuttavia, Lentschner et al. (C. Lentschner³¹, K. Roche, and Y. Ozier, “A review of aprotinin in orthotopic liver transplantation: can its harmful effects offset its beneficial effects?” Anesthesia & Analgesia) in un suo studio scoraggia l’uso routinario di aprotinina a causa dell'incidenza di reazioni allergiche, trombofilia e insufficienza renale.

Senza dubbio, il miglioramento delle tecniche di clamp vascolare durante epatectomia ha permesso un approccio aggressivo per le resezioni epatiche con tassi bassi di mortalità (4%). Pulitanò et al. ha proposto un punteggio per prevedere il rischio di sanguinamento in chirurgia epatica. Il punteggio per il possibile rischio di trasfusione, comprende: (a) concentrazioni preoperatorie di emoglobina inferiori 12,5 g / dL , (b) tumore più grande di 4cm, (c) necessità di esposizione della vena cava, (d) cirrosi.

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35 Nelle resezioni epatiche, le trasfusioni di sangue sono associate con la soppressione del sistema immunitario. C'è una forte evidenza che le trasfusioni di sangue hanno un impatto sulla recidiva tumorale nei pazienti con stadi precoci di carcinoma epatocellulare. Tuttavia, tale effetto non è stato dimostrato per i pazienti sottoposti a resezione parziale del fegato per ultimi stadi di carcinoma epatocellulare, per metastasi del colon-retto, o per colangiocarcinoma (N. Shinozuka´⁰ I. Koyama, T. Arai et al., “Autologous blood transfusion in patients with hepatocellular carcinoma undergoing hepatectomy,” American Journal of Surgery).

L’immunosoppressione associata alle trasfusioni è anche responsabile del TRALI (danno polmonare acuto trasfusione). Dispnea, ipotensione, febbre, ed edema polmonare bilaterale non cardiogeno, presente entro 6 ore da una trasfusione indicano tale evento e complicano l'esito post-operatorio dei pazienti sottoposti a chirurgia epatica maggiore. I pazienti con malattia epatica cronica hanno il maggior rischio di sviluppare TRALI, in confronto ad altre popolazioni. (A. B. Benson´¹, J. R. Burton, G. L. Austin et al., “Differential effects of plasma and red

blood cell transfusions on acute lung injury and infection risk following liver transplantation,” Liver Transplantation) Sebbene tutti i prodotti del sangue possono portare a questa situazione di

pericolo di vita,i prodotti contenenti plasma sono stati i responsabili della maggior parte dei casi di reazioni avverse nei pazienti sottoposti a trapianto di fegato

In conclusione, data l'influenza delle emorragie e delle trasfusioni sul risultato chirurgico, le tecniche di controllo vascolare epatico e la gestione anestesiologica dovrebbero essere adattati al il singolo paziente. La localizzazione del tumore, la malattia epatica di base e lo stato cardiovascolare del paziente dovrebbero pertanto essere prese in considerazione, al fine di ridurre al minimo la perdita di sangue e la necessità di trasfusioni.

2.7 Danni da ischemia/riperfusione e pre-condizionamento

Il danno da ischemia / riperfusione (I / R) è una grave complicanza della chirurgia epatica, soprattutto dopo epatectomie estese. Provoca una risposta infiammatoria locale e sistemica e le sue manifestazioni cliniche possono variare da aritmie transitorie a disfunzioni multiorgano e morte (C. D. Collard´² and S. Gelman, “Pathophysiology, clinical manifestations, and prevention of ischemia-reperfusion injury,” Anesthesiology). Il danno da riperfusione è mediato da specie

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