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Caratterizzazione biochimica dei sistemi enzimatici antiossidanti in cloni di pioppo tolleranti ai metalli pesanti

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE

FACOLTA’ DI AGRARIA

SCUOLA DI DOTTORATO “UBALDO MONTELATICI” IN SCIENZE E

TECNOLOGIE VEGETALI, MICROBICHE E GENETICHE

DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE GENETICHE (XXI CICLO)

DIPARTIMENTO DI SCIENZE E TECNOLOGIE AMBIENTALI E FORESTALI

AREA DISCIPLINARE AGR/07

Caratterizzazione biochimica dei sistemi enzimatici antiossidanti in

cloni di pioppo tolleranti ai metalli pesanti

Tutor: Prof.ssa Milvia Luisa Racchi

Dottoranda: Dott.ssa Adelaide Turchi

Coordinatore

Prof. Raffaello Giannini

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Ringraziamenti

Un sentito e doveroso ringraziamento è rivolto alla Prof. Milvia Luisa Racchi, che mi ha offerto la possibilità di fare questa esperienza e che mi ha seguito durante questi tre anni.

Desidero ringraziare Ivano Tamantini dell’Istituto Agronomico per l’Oltremare, che mi ha seguito durante lo svolgimento di una parte dei miei esperimenti, che è stato sempre pronto a darmi ottimi consigli.

Un caloroso ringraziamento è rivolto ai miei colleghi entomologi, in particolare la Dott.ssa Serena Landini, Dott.ssa Alessandra Camèra e il Dott. Aurelio Granchietti, con i quali ho condiviso tutte le mie lunghe giornate di lavoro e sono stati sempre presenti nei momenti di bisogno, inoltre un pensiero affettuoso è rivolto anche al Prof. Belcari, alla Dott.ssa Patrizia Sacchetti e alla Dott.ssa Marzia Cristiana Rosi, che mi sono stati sempre vicini.

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Indice

Capitolo 1

1 Premessa 3

1.1 Lo stress ossidativo 7

1.2 Metallotioneine 9

1.3 Materiale di studio: il pioppo 12

Scopo della ricerca 14

Capitolo 2

2 Introduzione 16

Scopo della ricerca 19

2.1 Piante e loro campionamento 21

2.2 Micropropagazione del materiale 21

2.3 Trattamento con metalli pesanti 22

2.4 Determinazione metalli 23

2.5 Risultati 24

2.5.1 Determinazione del contenuto di rame e zinco nelle microtalee esposte ai metalli 27

2.6 Discussione 32

Capitolo 3 I sistemi antiossidanti nella risposta del pioppo a

concentrazioni tossiche di rame e zinco

3.1 Introduzione 35

3.1.1 Superossido dismutasi 36

3.1.2 Catalasi 38

3.1.3 Specificità spazio-temporale di catalasi e superossido dismutasi 40

3.1.4 Ascorbato perossidasi 42

3.1.5 La perossidazione dei lipidi e lo stress da metalli pesanti 45

3.1.6 I sistemi enzimatici antiossidanti nello stress da metalli pesanti 46

Scopo del lavoro 48

3.2 Materiali e metodi 49

3.2.1 Estrazione proteine solubili 49

Catalasi 49

Superossido dismutasi 49

Ascorbato perossidasi 50

3.2.2 Dosaggio proteine 51

3.2.3 Trattamento in colonnina di desalting 52

3.2.4 Determinazione dell’attività enzimatica 52

Catalasi 52

Superossido dismutasi 54

Ascorbato perossidasi 55

3.2.5 Gel nativi di poliacrilamide 56

Colorazione gel di catalasi 57

Colorazione gel di superossido dismutasi 58

Colorazione gel di ascorbato perossidasi 59

3.2.6 Determinazione del contenuto di malondialeide 59

3.3 Risultati 60

3.3.1 Valutazione dell’effetto tossico di concentrazioni crescenti di rame su microtalee dei cloni Villafranca e 1EB

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3.3.2 Valutazione dell’effetto tossico di Cu e Zn su microtalee dei cloni Villafranca e 1EB 64 3.3.3 Valutazione dell’effetto tossico di Cu e Zn su microtalee radicate dei cloni

Villafranca, AL22 e 46EA in condizioni di semi-idroponia

66 3.3.4 Profili di attività degli enzimi antiossidanti CAT, SOD, APX in seguito

all’esposizione a 0,1 mM Cu e 1 mM Zn

69

3.4 Discussione 72

3.4.1 Valutazione dell’effetto tossico di concentrazioni crescenti di rame su microtalee dei cloni Villafranca e 1EB

72 3.4.2 Valutazione dell’effetto tossico di Cu e Zn su microtalee dei cloni Villafranca e 1EB 73 3.4.3 Valutazione dell’effetto tossico di Cu e Zn su microtalee radicate dei cloni

Villafranca, AL22 e 46EA in condizioni di semi-idroponia

74

Conclusioni 78

Appendice

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Capitolo 1

1. PREMESSA

L'incremento della concentrazione di inquinanti organici e metalli pesanti negli ecosistemi agrari e naturali è ormai un problema ampiamente diffuso. I metalli pesanti sono naturali costituenti della crosta terrestre, ma per effetto dell'attività dell'uomo o per cause naturali questi possono essere presenti a concentrazioni potenzialmente tossiche. Tra gli elementi di transizione lo Zinco (Zn) ed il Rame (Cu), sono micronutrienti essenziali per le piante, essendo coinvolti in parecchie funzioni cellulari come componenti di molti enzimi e proteine (Cakmak and Engels, 1999). Lo Zn2+, per esempio, serve come cofattore per molti enzimi ed un vasto numero di sequenze proteiche contengono zinco legato ai loro domini strutturali (Clarke e Berg, 1998). Il rame è un componente vitale delle reazioni di trasferimento degli elettroni mediato dalle proteine, come la superossido dismutasi, la citocromo-c ossidasi e la plastocianina. Ad elevate concentrazioni, tali metalli sono tra gli elementi tossici più ampiamente diffusi negli agroecosistemi, la loro decomposizione nell’ambiente è lenta, risultando quindi in un problematico “remedio” dei suoli inquinati. (Roy and Couillard, 1998; Nane et al., 2002). Le piante assorbono e distribuiscono i metalli pesanti attraverso il flusso di traspirazione all'interno della pianta, con gli stessi meccanismi utilizzati nella nutrizione minerale (Marschner, 1995). Questi meccanismi includono l'assorbimento attraverso le radici, la traslocazione su lunga distanza sfruttando i vasi xilematici e floematici, l'accumulo nella parte ipogea ed epigea della pianta. A questi si sommano tutta un'altra serie complessa di meccanismi di controllo a livello cellulare che consentono di mantenere la concentrazione di metalli entro valori tollerabili dalla pianta senza indurre effetti di tossicità (Clemens 2001, 2002). Ci sono due strategie di base per diminuire la tossicità dei metalli: o l'efflusso dal citosol o attraverso il processo di chelazione, operato dalle fitochelatine e dalle metallotioneine (Fig. 1).

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Figura 1 “A long way ahead: understanding and engineering plant metal accumulation” TRENDS in Plant Science Vol.7 No.7, July 2002.

Con particolare riferimento a quest'ultime, si tratta di proteine a basso peso molecolare che hanno la capacità di legare efficientemente i metalli, lasciando pensare ad un loro importante ruolo nella tolleranza ai metalli e nell'omeostasi nelle piante (Cobbett e Goldsbrough, 2002).

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Alcune piante non solo li tollerano ad elevati livelli ma possono anche iperaccumularli. Circa 400 differenti specie appartenenti ad un ampio range di taxa sono state descritte come iperaccumulatrici (Baker e Brooks, 1989). Per specie iperaccumulatrici generalmente intendiamo quelle piante che sono capaci di accumulare quantità di metallo > 0,1% del peso secco dell’elemento tale il Ni, Co o il Pb. Per lo Zn il limite è superiore all’1%, per il Cd il limite è superiore a 0,01% del peso secco. Il fenotipo che iperaccumula è il concetto che sta alla base del fitoremedio, l’uso di piante che accumulano metalli per il clean-up di suoli contaminati (Chaney et

al., 1997).

Negli ultimi anni numerosi studi su inquinanti organici e inorganici hanno indicato il pioppo come buon candidato per la remediazione dell’acqua e del suolo. Nella maggior parte dei casi le indagini condotte riguardano la capacità di accumulo e la produzione di biomassa da parte delle piante in risposta ad elevate concentrazioni di inquinanti. Dall’altra parte poche sono le informazioni riguardo gli aspetti fisiologici e molecolari della risposta della pianta ad inquinanti, come i metalli pesanti (Hall, 2002).

Concentrazioni elevate di metalli pesanti influenzano una molteplicità di processi nelle piante. Una delle maggiori conseguenze è data da una maggiore produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS).

L’induzione dello stress ossidativo in presenza di eccesso di metalli sia a livello ipogeo che epigeo è stato oggetto di numerosi studi. La ragione più importante è che i radicali sono particelle estremamente pericolose e possono danneggiare tutti i tipi di biomolecole, incluso il DNA, le proteine e i lipidi (Mancini et al., 2006). Inoltre alcuni autori sono impegnati nella ricerca di indicatori dello stato di stress indotto da metalli pesanti e nella comprensione se si vi è o meno l’induzione degli enzimi antiossidanti. Alla fine, la capacità di tollerare efficientemente lo stress ossidativo potrebbe essere, come suggerito in precedenza, una valida caratteristica delle piante per la “phytoremediation” dei suoli (un’efficace sistema di detossificazione dei radicali liberi sembra

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essere un requisito). Ci sono evidenze secondo cui l’esposizione delle piante a concentrazioni elevate di Fe e Cu inducono danni ossidativi (De Vos et al., 1992; Gallego et al., 1996; Weckx e Clijsters, 1996; Mazhoudi et al., 1997; Yamamoto et al., 1997). La capacità della pianta di incrementare la protezione antiossidante per contrastare le conseguenze negative dello stress da metalli pesanti sembra essere limitata poiché alcuni studi mostrano che l’esposizione ad elevate concentrazioni di metalli risultano in una diminuzione e non in un incremento delle attività degli enzimi antiossidanti. Inoltre ci sono studi secondo cui la sovraespressione di agenti chelanti, quali metallotioneine e ferritina, proteggono dallo stress ossidativo (Fabisiak et al., 1999).

È comunque da sottolineare che la risposta a questo tipo di stress è strettamente dipendente dalla specie considerata, dal tessuto analizzato, dal metallo utilizzato, dall’intensità dello stress ed un altro aspetto da non trascurare è rappresentato dalle condizioni di crescita della pianta, se sono controllate (es. coltura in vitro) o di pieno campo.

Figura 2 “ Toxic metals and oxidative stress Part I: mechanisms involved in metal

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1.1 LO STRESS OSSIDATIVO

Gli organismi viventi sono esposti a diversi tipi di stress che possono originare da attività antropiche, come per esempio l’accumulo di metalli pesanti, o da cause naturali, quali l’inquinamento dell’aria, la siccità, la temperatura, l’intensità luminosa, la carenza di elementi nutritivi. Poiché le piante hanno meccanismi limitati che le rendono capaci di evitare lo stress, esse necessitano di mezzi flessibili di adattamento alla variabilità delle condizioni ambientali. Una caratteristica comune, associata alla risposta a diverse condizioni di stress, è l’incrementata produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) nei tessuti della pianta con il conseguente stress ossidativo.

Le specie reattive dell’ossigeno sono normalmente generate nelle cellule della pianta durante i normali processi metabolici (Fridovich, 1995; Alscher et al., 1997). Il sistema fotosintetico di trasporto degli elettroni ne è un esempio.

In condizioni normali il sistema di difesa antiossidante fornisce adeguata protezione contro le specie attive dell’ossigeno e i radicali liberi (Asada e Takahashi, 1987). Al contrario in condizioni di stress induce la produzione di ROS, a cui non corrisponde un’adeguata risposta da parte dei sistemi di difesa antiossidante (Gressel e Salun, 1994). Lo stress ossidativo è essenzialmente un processo regolato, l’equilibrio tra le capacità ossidative e antiossidanti determina il destino della pianta.

La generazione di ROS induce in gran parte ad un irrigidimento della membrana, danni a carico dei lipidi di membrana, denaturazione delle proteine e mutazioni a carico del DNA (Borg e Scaich, 1988). Le più importanti forme di ROS sono rappresentate dal radicale anione superossido (O·2), il radicale idrossile (OH·) e il perossido di idrogeno (H2O2). In ordine a prevenire lo scoppio ossidativo dovuto alla produzione di ROS, le piante hanno evoluto un meccanismo complesso di detossificazione, che include sia metaboliti con funzioni antiossidanti a basso peso molecolare, come l’ascorbato, il glutatione, α-tocoferolo, sia componenti enzimatiche (Howe e Schilmiller,

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2002). I componenti enzimatici comprendono la superossido dismutasi, che è il maggior enzima detossificatore del O·2, il quale per una reazione di dismutazione è convertito in ossigeno molecolare e perossido di idrogeno. A sua volta il perossido di idrogeno è convertito in acqua e ossigeno molecolare attraverso la catalasi e una varietà di altre perossidasi. Oltre alle superossido dismutasi, alle catalasi e alle perossidasi, un altro importante componente della difesa enzimatica è dato dal ciclo dell’ascorbato-glutatione che coinvolge quattro enzimi: ascorbato perossidasi, monodeidroascorbato reduttasi, la deidroascorbato reduttasi e la glutatione reduttasi (Asada, 1999).

Inoltre l’incremento delle specie reattive dell’ossigeno determina una perdita di stabilità delle membrane cellulari che è evidenziata dall’accumulo di malondialdeide (MDA), prodotto citotossico della perossidazione lipidica, per questo la concentrazione della malondialdeide viene presa come parametro per la valutazione dello stato di ossidazione della cellula.

1.2 METALLOTIONEINE

Come già anticipato nei precedenti paragrafi le piante utilizzano diverse strategie di risposta agli stress. Nel caso specifico dello stress da metalli pesanti, le metallotioneine rivestono notevole importanza.

Le Metallotioneine (MTs) sono definite come proteine a basso peso molecolare ricche in cisteina, che possono legare i metalli pesanti e possono giocare un ruolo durante i processi intracellulari di “sequestramento” dei metalli. A partire dalla prima volta in cui le metallotioneine furono purificate dal rene equino (Margoshes e Vallee, 1957; Kagi e Vallee, 1960), i geni delle metallotioneine e le proteine sono state scoperte in molti organismi procarioti ed eucarioti (Robinson et al., 1993; Cobbett e Goldsbrough, 2002).

Negli animali e nei funghi, le MTs formano complessi con i metalli pesanti e la trascrizione dei geni codificanti le MT è regolata dai metalli (Thiele, 1992). Le metallotioneine giocano un

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ruolo nella detossificazione dei metalli pesanti e nell’omeostasi intracellulare degli ioni metallo (Cobbett e Goldsbrough, 2002). Comunque la loro esatta funzione non è ancora ben compresa. Le metallotioneine sono state classificate basandosi sugli arrangiamenti dei residui di cisteina (Cys) a livello della loro struttura. Si distingue una classe I che è tipica dei vertebrati ed una classe II che include le metallotioneine tipiche delle piante e dei funghi così come degli invertebrati. Basandosi poi sulla conservazione dei residui Cys, le metallotioneine delle piante sono state ulteriormente suddivise in quattro tipi (Cobbett e Goldsbrough, 2002).

Le metallotioneine hanno un’espressione tessuto specifica. Infatti l’espressione di quelle appartenenti al tipo 1 tende ad essere più elevata nelle radici rispetto ai germogli, mentre l’opposto è generalmente osservato per le MTs appartenenti al tipo 2 (Cobbett e Goldsbrough, 2002). Il tipo 3 è presente ad alti livelli nelle foglie e nei frutti in maturazione, mentre l’espressione del tipo 4 rimane ristretta ai semi in sviluppo (Cobbett e Goldsbrough, 2002).

Nelle piante, sono stati isolati molti geni e cDNAs codificanti le MTs, ma ad oggi sono state purificate dai tessuti delle piante solo due proteine MTs in Arabidopsis (Murphy et al., 1997) e una nel frumento (Lane et al., 1987). La maggior parte delle informazioni riguardo alle loro funzioni putative è derivata da studi di espressione. I dati esistenti, fino ad ora disponibili, riguardo all’effetto degli ioni metallo e al ruolo delle MTs nel processo di detossificazione e di omeostasi sono inconsistenti. Comunque sappiamo da numerosi studi che geni di MT1 e MT2 delle piante si sono dimostrati capaci di complementare la carenza di MT nel lievito (cup1D), dimostrando la loro funzione nella detossificazione dal rame (Zhou e Goldsbrough, 1994) determinando anche una incrementata tolleranza al cadmio. Ugualmente l'espressione delle MTs delle piante in

Escherichia Coli conduceva ad una maggiore tolleranza verso rame e cadmio (Kille et al., 1991;

Evans et al., 1992). Basandosi su queste scoperte, è ritenuto che le metallotioneine giocano un ruolo importante nell'omeostasi del rame nelle cellule durante lo sviluppo della pianta. Sono stati fatti comunque pochi studi sulla loro funzione espletata nelle piante in vivo. Il rame, per esempio,

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sembra indurre l’espressione della metallotioneina di tipo 1 in Arabidopsis (Zhou e Goldsbrough, 1994), riso (Hsieh et al., 1995) e nel tabacco (Choi et al., 1996). Molto recentemente, in uno studio di Lee et al., (2004) è stato visto che MT2a e MT3 di A. thaliana, espresse in maniera transitoria nelle cellule di guardia di Vicia faba, conferivano una maggiore resistenza al Cadmio. Nello sforzo di comprendere i processi che sono legati alla tolleranza ai metalli pesanti nel pioppo, è stata caratterizzata l'espressione di geni codificanti trasportatori (PtdMTs; Blaudez et al., 2003) e proteine, le metallotioneine, coinvolte nel processo di “binding” dei metalli pesanti. Sono stati identificati vari tipi di Mts (PtdMTs) dell'ibrido di pioppo Populus trichocarpa x Populus

deltoides nel database PoplarDB EST e sono stati messi a punto esperimenti per valutarne le loro

proprietà funzionali e l'espressione. Nelle radici del pioppo, solo il trattamento con lo zinco ha avuto effetti stimolanti sull'espressione dei geni delle metallotioneine di tipo 1 e di tipo 2. L'espressione del gene PtdMT3a non era influenzato dal trattamento con lo zinco, mentre l'espressione PtdMT3b ne era debolmente influenzata. Al contrario, i trattamenti con il Cu (50 μM) e Cd (25 μM) solo debolmente determinavano un incremento nei livelli di trascritto PtdMTs se confrontati con i livelli di trascritto in radici non trattate, determinando una completa repressione dell'espressione delle MT ad elevate concentrazioni di metalli. Questi risultati suggeriscono un ruolo delle PtdMTs del pioppo principalmente nei processi di metabolismo/detossifficazione dello Zn piuttosto che in quelli del Cd o del Cu. La presenza di diversi tipi di metallotioneine nel pioppo ed in altre piante può riflettere la diversità della loro funzione nei processi di “sequestration” dei metalli pesanti ma anche in altri meccanismi essenziali per la crescita e lo sviluppo della pianta (Castiglione et al., 2007). Nelle piante la situazione è ulteriormente complicata dalla presenza delle fitochelatine, enzimaticamente sintetizzate (MTs di classe III) (Cobbett, 2000), che si sono dimostrate giocare un ruolo molto importante nella detossificazione da metalli pesanti (Cobbett e Goldsbrough, 2002).

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La loro espressione nelle pianta è regolata da molti altri fattori, incluso differenti stress quali infezioni da patogeni (Choi et al., 1996; Butt et al., 1998), interazioni simbiotiche (Laplaze

et al., 2002) e senescenza fogliare (Bhalerao et al., 2003; Anderson et al., 2004), suggerendo

quindi che le MTs possono essere considerate come parte di una risposta da parte della pianta agli stress (Cobbett e Goldsbrough, 2002). Inoltre è stato sostenuto che le MTs funzionano come antiossidanti e giocano un ruolo nel “riparare” la membrana plasmatica (Hall, 2002). La scoperta che l'espressione dei geni per le MT sia indotta da stress ossidativo e che le MT possano esercitare attività antiossidanti suggerisce che una delle funzioni di queste proteine sia di proteggere la cellula dai radicali liberi (Andrews, 2000). E' certo che la capacità di limitare i danni da radicali liberi rappresenta una priorità per la cellula e che l'elevata efficienza in questo processo fornisce un vantaggio selettivo. I dati della letteratura scientifica più recente hanno evidenziato il ruolo antiossidante delle MT2 vegetali. In particolare, è stata dimostrata la capacità delle MT2a e MT3 di Arabidopsis thaliana di ridurre illivello di ROS generati dall'esposizione delle cellule al cadmio (Lee et al., 2004)

1.3 MATERIALE DI STUDIO: IL PIOPPO

La pianta scelta per questa ricerca è il pioppo. Il genere Populus è un membro delle

Salicaceae, si tratta di un genere di alberi decidui (raramente sempreverdi), hanno un’ampia

distribuzione naturale nell’emisfero boreale e una piccola rappresentanza nell’Africa tropicale. Varie classificazioni sono state suggerite, la più recente conta 29 specie raccolte in cinque diverse sezioni (Eckenwalder, 1996). Molte di queste specie hanno un’estesa distribuzione, ripartendosi su interi continenti (per esempio il P. tremuloides, P. tremula), e solo poche invece sono geograficamente confinate (P. ilicifolia, P. monticola).

Il pioppo in Italia ha una parte importante nell'arboricoltura da legno: viene infatti impiegato per vari usi come la fabbricazione di fogli di compensato, cassette da imballaggio, carta,

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fiammiferi, pannelli di compensato, ecc.. Apprezzato anche per motivi ornamentali, viene impiegato nei parchi, nei giardini e nei viali delle città.

Da un punto di vista scientifico il pioppo rappresenta una scelta ideale per analisi di tipo biochimico e molecolare: è considerata una pianta modello in silvicoltura poiché possiede un genoma di piccole dimensioni e ad oggi totalmente sequenziato (Tuskan et al., 2006); ha una rapida crescita, è facile da clonare e da trasformare geneticamente e mostra una forte associazione tra caratteristiche fisiologiche e produttività di biomassa. Inoltre viene comunemente utilizzato nella fitoestrazione delle aree industriali inquinate (Laureysens et al., 2005). Specie arboree a crescita rapida, come il pioppo, sono ritenute ottimi candidati per il trattamento di suoli inquinati da metalli pesanti (Cunningham e Ow, 1996; Schnoor, 2000) e per produrre biomassa economicamente valida da sfruttare per la produzione di energia. Se confrontato con le specie erbacee, il pioppo mostra parecchie caratteristiche vantaggiose, come un apparato radicale profondo, un elevata produttività e attività di traspirazione. Il pioppo è già stato studiato per il clean up dei suoli e delle acque inquinate da atrazina (Burken e Schnoor, 1998), tricloroetilene (Newman et al., 1997), zinco (Di Baccio et al., 2003), Cadmio (Robinson et al., 2000) Selenio (Pilon-Smits et al., 1998).

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SCOPO DELLA RICERCA

I metalli pesanti sono tra gli elementi tossici più ampiamente diffusi negli agroecosistemi, la loro decomposizione nell’ambiente è lenta, risultando quindi in un problematico “remedio” dei suoli inquinati. Le piante assorbono e distribuiscono i metalli pesanti attraverso il flusso di traspirazione all'interno della pianta, con gli stessi meccanismi utilizzati nella nutrizione minerale (Marschner, 1995). A questi si sommano tutta un'altra serie complessa di meccanismi di controllo a livello cellulare che consentono di mantenere la concentrazione di metalli entro valori tollerabili dalla pianta senza indurre effetti di tossicità (Clemens 2001, 2002), a cui si associa la funzione di chelazione svolta dalle fitochelatine e dalle metallotioneine. Alcune piante non solo tollerano i metalli pesanti ad elevati livelli ma possono anche iperaccumularli. Circa 400 differenti specie, appartenenti ad un ampio range di taxa, sono state descritte come iperaccumulatrici (Baker e Brooks, 1989). Nella maggior parte dei casi le indagini condotte riguardano la capacità di accumulo e la produzione di biomassa da parte delle piante in risposta ad elevate concentrazioni di inquinanti. Dall’altra parte poche sono le informazioni riguardo gli aspetti fisiologici e molecolari della risposta della pianta a tali inquinanti. La capacità della pianta di incrementare la protezione antiossidante per contrastare le conseguenze negative dello stress da metalli pesanti sembra essere limitata poiché alcuni studi mostrano che l’esposizione ad elevate concentrazioni di metalli risultano in una diminuzione e non in un incremento delle attività degli enzimi antiossidanti (Schützendübel e Polle, 2002). Mentre ci sono studi secondo cui la sovraespressione di agenti chelanti quali metallotioneine e ferritina proteggono dallo stress ossidativo (Fabisiak et al., 1999). In luce delle informazioni attualmente disponibili, la ricerca è stata indirizzata alla caratterizzazione biochimica di tre importanti sistemi antiossidanti: CAT, SOD, APX, nel pioppo, che è stato indicato come buon candidato per la remediazione dell’acqua e del suolo. Il materiale utilizzato è quindi rappresentato da tre piante transgeniche MAT-MT, che sovraesprimono la metallotioneina 2 (MT2) di Pisum sativum, il loro controllo non trasformato che è rappresentato

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dal clone Villafranca che è naturalmente sensibile, a questi si è aggiunto il clone AL22, appartenente ad una collezione privata, selezionato in precedenza per la sua capacità di accumulare/tollerare elevate concentrazioni di metalli pesanti.

Lo scopo è quello di evidenziare eventuali differenze di risposta tra differenti cloni e di approfondire le conoscenze sulla risposta dei sistemi antiossidanti in materiale tollerante di diversa origine e nella fattispecie nei cloni che esprimono la MT2 di pisello.

La mia ricerca si è articolata nei seguenti punti:

 Valutazione della diversa capacità di accumulare i metalli sia a livello radicale che a livello fogliare

 Stima dello stato di stress ossidativo mediante la valutazione dell’accumulo della malondialdeide prodotta dalla perossidazione delle membrane nelle radici e nelle foglie

 Valutazione dell’attività degli enzimi antiossidanti, CAT, SOD e APX, nelle radici e nelle foglie

 Analisi dei profili PAGE per l’identificazione delle diverse isoforme in seguito al trattamento con i metalli.

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Capitolo 2

2. INTRODUZIONE

Elevati quantitativi di inquinanti nel suolo e nell’acqua, dovuti ai processi di industrializzazione rappresentano uno dei maggiori problemi ambientali su scala mondiale. In particolare, i metalli appartenenti al gruppo degli elementi di transizione, tra cui zinco e rame, possono avere effetti di tossicità sia sulle piante che sugli animali. Le piante esposte a elevate concentrazioni di metalli pesanti manifestano sintomi di tossicità, come clorosi, inibizione della crescita, riduzione dell’assorbimento di acqua ed elementi nutritivi, alterazione dell’attività degli enzimi e dei processi fotosintetici (Sanità di Toppi e Gabbrielli 1999; Pietrini et al., 2003).

La maggior parte degli studi eseguiti sugli alberi riportano che il pattern di accumulo dei metalli pesanti mostra una compartimentalizzazione predominante nelle radici e una traslocazione ridotta verso la parte epigea, sebbene differenti elementi mostrano un differente pattern di distribuzione. Piombo, mercurio e cromo sono immobilizzati nelle radici, mentre cadmio, rame, zinco, cobalto, molibdeno boro e nichel tendono ad essere trovati maggiormente in altri tessuti, riflettendo quindi una maggiore mobilità di questi ultimi all’interno della pianta.

Le informazioni relative al pattern di assorbimento dei metalli pesanti sono ancora molto limitate, ma è noto che i metalli, come già anticipato, tendono a rimanere localizzati nelle radici piuttosto che essere trasportati ai tessuti aerei della pianta (Borgegård et al., 1989; Arduini et al., 1994). L’uptake, e quindi la tossicità, dipendono dalla solubilità e dalla mobilità del metallo, che complessivamente si riassume nell’abilità del metallo stesso di attraversare le membrane ed essere trasportato attraverso il flusso floematico nelle varie parti della pianta. Questo è probabilmente la maggior costrizione da superare per una più efficiente utilizzazione delle specie arboree nel ridurre la contaminazione dei suoli da metalli pesanti. Inoltre, è necessario valutare il materiale vegetale

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forestale per stabilire quali piante siano le più adatte per traslocare i metalli assorbiti alla parte aerea, specialmente ai tessuti del fusto, che non sono rinnovati come le foglie e che possono essere raccolti ed utilizzati per la produzione di energia.

Tra le specie arboree valutate per l’impiego nel fitoremedio, le Salicaeae sono state oggetto di particolare attenzione. La rapidità di crescita, e quindi della formazione di biomassa, e l’ampia distribuzione geografica di queste piante le rendono particolarmente adatte come estrattori. Questa famiglia rappresenta una notevole risorsa per l’identificazione di specie/cloni con elevata resistenza e diversa capacità di assorbimento dei metalli come richiesto nel fitoremedio di suoli contaminati. Numerosi studi, pertanto, si sono indirizzati verso l’analisi della resistenza ai metalli e della capacità potenziale di accumulo delle varie specie di salice e di pioppo in esperimenti sia in vaso, in pieno campo che in coltura idroponica (Dickinson, 2000; Eltrop et al., 1991; Greger e Landberg, 1999; Keller et al., 2003; Klang-Westin e Eriksson, 2003; Laureysens et al., 2005; Meers et al., 2005; Granel et al., 2002; Robinson et al., 2000; Rosselli et al., 2003; Vyslouzilova

et al., 2003; Dos Santos Utmazian et al., 2007).

I contenuti di Cd e Zn accumulati in tessuti di diverse Salicaceae in diversi stadi di sviluppo, in seguito all’esposizione ai metalli in un sistema idroponico, riportati da Dos Santos Utmazian e collaboratori, sono stati presentati in figura 1.

Il numero di test in condizioni idroponiche per studiare l’accumulo potenziale di Cd e Zn nel salice e nelle diverse specie di pioppo è piuttosto piccolo (Fig. 1). Le concentrazioni del metallo in soluzione idroponica vanno da 0,1 μM (Cd) a 1000 μM (Zn), il periodo di esposizione al metallo varia ampiamente, da pochi giorni a parecchi mesi. Alcuni studi coinvolgono trattamenti con più metalli contemporaneamente, altri prevedono il trattamento con un singolo metallo, i risultati sono quindi eterogenei e difficilmente confrontabili tra differenti esperimenti.

La più alta concentrazione di Cd nei germogli è stata misurata in talee di Salix x

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del 50% rispetto alla quantità iniziale (1,34 μM Cd) ogni 14 giorni (350 mg Kg-1) (Pushon et al., 1996). La maggiore concentrazione di Zn è stata invece trovata nei germogli del Salix viminalis dopo 20 giorni di esposizione a 10 μM di Zn (1810 mg Kg-1

) (Greger e Landberg, 1999).

La coltura idroponica è un sistema molto utile per analizzare la riposta delle piante in condizioni di stress da metalli pesanti, perché riduce non solo il periodo di crescita e la durata del tempo di trattamento delle piante, ma anche lo spazio richiesto per eseguire l’esperimento. Inoltre la variabilità dovuta ai fattori ambientali è notevolmente ridotta. In generale, i dati ottenuti da uno screening in condizioni di cultura idroponica per essere confermati devono essere seguiti da prove di pieno campo. Infatti, se da un lato questo sistema permette di eliminare tutte le possibili variabili dovute ai diversi fattori ambientali che intervengono è pur vero che, in condizioni di coltura idroponica, viene influenzata largamente la disponibilità del metallo per la pianta in quanto vengono a mancare tutte quelle interazioni fisiche metallo-suolo che si riscontrano in natura.

SCOPO DELLA RICERCA

Lo scopo di questa parte dello studio è quello di valutare la capacità fitoestrattiva potenziale di cloni di pioppo in relazione anche a loro genotipo, mediante la misurazione del metallo accumulato nei tessuti della pianta.

Per tale valutazione sono state utilizzate: tre piante transgeniche MAT-MT2 che sovra-esprimono la metallotioneina 2 (MT2) di Pisum sativum, il loro controllo non trasformato rappresentato dal clone Villafranca, a questi si è aggiunto il clone AL22, precedentemente selezionato in campo come tollerante. Le piante sono state allevate e sottoposte ai singoli trattamenti con Zn e Cu, in condizioni strettamente controllate, ed è stato valutato l’assorbimento del metallo sia per le radici che per i germogli.

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F ig ura 1 . Do s San to s Ut m a zi an et al . / E n viro n men ta l P o ll u tio n 1 4 8 ( 2 0 0 7 ) 1 5 5 -165 F ig ura 1 . Do s San to s Ut m a zi an et al . / E n viro n men ta l P o ll u tio n 1 4 8 ( 2 0 0 7 ) 1 5 5 -165

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2. MATERIALI E METODI

2.1 Piante e loro campionamento

Per gli esperimenti sono state utilizzate microtalee delle piante transgeniche MAT-MT2, che sovraesprimono la metallotioneina 2 (MT2) di Pisum sativum (denominate 46EA, 1EB, 10ECA), il loro controllo non trasformato che è rappresentato dal Clone Villafranca (P. alba), e il clone AL22 appartenente ad una collezione privata, selezionato in precedenza per la sua capacità di accumulare/tollerare elevate concentrazioni di metalli pesanti. Per rendere omogenei gli esperimenti, sono state utilizzate microtalee di circa 1 mese (7-8 internodi). Una volta effettuato il trattamento con i metalli pesanti Zn e Cu, alle concentrazioni rispettivamente 1 mM e 0,1 mM, le foglie e le radici sono state prelevate dalle plantule e stoccate a -80 °C fino al momento delle analisi biochimiche.

2.2 Micropropagazione del materiale

Le piantine sono state propagate utilizzando Woody Plant Medium (WPM, McCown and Lloyd, 1981), per quanto concerne l’apporto di macro e microelementi, già addizionato con le vitamine. Per la preparazione del mezzo di crescita sono stati utilizzati due distinti protocolli, la cui scelta si è resa indispensabile a seconda della parte della pianta che è stata utilizzata per la moltiplicazione. Se il materiale di partenza è rappresentato dall’apice vegetativo è stato utilizzato il terreno denominato WPM, il cui protocollo di preparazione è di seguito riportato:

McCown Woody Plant Medium incl. vitamins 2,462 gr/lt

Saccarosio 20,00 gr/lt

Carbone attivo 1,500 gr/lt

pH ottimale 5,7

Phytagel 2,500 gr/lt

Al contrario se la moltiplicazione avviene a partire dagli internodi è stato utilizzato un altro terreno denominato rd11, il cui protocollo è di seguito riportato:

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McCown Woody Plant Medium incl. vitamins 2,462 gr/lt Saccarosio 20,000 gr/lt Caseina 200,000 mg/lt Ca pantotenato 100,000 mg/lt Acido folico 50,000 mg/lt Acido Indolbutirrico 0,500 mg/lt pH ottimale 5,7 Phytagel 2,500 gr/lt

La crescita delle piantine è avvenuta sotto condizioni controllate di temperatura ed intensità luminosa, rispettivamente a 24 °C con un fotoperiodo di 16-8h (luce-buio) e PPFD (Photosinthetic Photon Flux Density) pari a 84 µmol m-2 s-1.

2.3 Trattamento con metalli pesanti

Per il trattamento con i metalli pesanti, il mezzo di crescita è stato preparato dimezzando il contenuto di macro e microelementi, utilizzando il protocollo di preparazione del terreno WPM. I trattamenti, effettuati separatamente per i due metalli, prevedevano l’impiego di Zn e Cu addizionato al terreno sottoforma rispettivamente di ZnSO4 e CuCl2 in concentrazioni pari 1mM per lo zinco e 0,1 mM per il rame. In base ai risultati ottenuti nel corso della sperimentazione la concentrazione scelta per il Cu è di 0.10 mM mentre per lo zinco si è adottata la concentrazione 1 mM sulla base dei dati di tossicità di questo metallo esistenti in letteratura.

Nel primo set di esperimenti sono state utilizzate microtalee di VF e 1EB, tagliate alla base, prive di radici, e quindi trasferite sul mezzo di crescita solido addizionato con le rispettive concentrazioni di metalli e mantenute in questa condizione per 15 giorni, al fine di poter verificare l’insorgenza di eventuali sintomi di tossicità, valutare la capacità rizogenica, in termini di numero e lunghezza delle radici e, da un punto di vista biochimico, l’attività dei principali enzimi antiossidanti.

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Nel secondo set di esperimenti microtalee (in questo caso dotate di radici) di VF, AL22, 1EB, 46EA, 10 ECA sono state sottoposte a 7 giorni di trattamento in condizioni di semi-idroponia, mantenendo le stesse concentrazioni di metalli, utilizzando il mezzo di crescita impiegato nel precedente set di esperimenti, ma privato dell’agente solidificante (Appendice, fig. 1). Alla fine degli esperimenti i germogli e le radici sono stati raccolti, congelati in azoto liquido e conservati a -80°C.

2.4 Determinazione metalli

Le radici e i germogli, raccolti subito dopo i trattamenti, sono stati direttamente utilizzati per la determinazione dell’accumulo di metalli pesanti, al fine di comprendere quale è la parte della pianta in cui avviene l’accumulo dei metalli rame e zinco e valutare l’entità dell’accumulo stesso.

Il materiale, il cui peso fresco era circa 1 gr, è stato posto all’interno di crogiolini, in numero pari ai trattamenti e ai cloni considerati. Il protocollo prevede una prima fase di essiccazione del materiale che è stata fatta a 70 °C per 12 h. Il materiale, così trattato, è stato pesato per verificare che rientrasse nell’intervallo di peso necessario per effettuare l’analisi, che è compreso tra 100 e 500 mg di peso secco. Successivamente i campioni sono stati inceneriti a 520°C. Le ceneri, così ottenute, sono state pesate e quindi trattate con 2.5ml di acqua distillata, quindi dissolte in HNO3 3N, diluite a 10 ml, filtrate e raccolte in provetta. Per la determinazione spettrofotometrica è stato preparato uno standard con 10mg/l sia per lo zinco che per il rame. Su due crogiolini vuoti è stato preparato il bianco con le stesse modalità seguite per i campioni. In questa fase affinché i campioni potessero essere saggiati allo spettrofotometro con ICP (Plasma 400 Perkin Elmer) sono stati diluiti 1:5 in acqua distillata. I valori di emissione totali, di cui sono state fatte due repliche per ciascun trattamento, sono stati convertiti in valori di concentrazione sulla base degli standards e del bianco.

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2.5 RISULTATI

Per valutare gli effetti dei metalli pesanti e stabilirne le concentrazioni di impiego sono stati utilizzati il clone di pioppo bianco (P. alba) MAT-MT2, denominato 1EB e il suo controllo non trasformato clone Villafranca (VF). Le microtalee sono state tagliate alla base, prive di radici, e trasferite sul mezzo di crescita solido addizionato con i singoli metalli e mantenute in questa condizione per 15 giorni. Al termine della coltura la tossicità del metallo è stata valutata, sulla base della capacità rizogenica espressa in termini di numero di radici, e dello sviluppo della microtalea, espressa come peso e lunghezza della parte aerea. Per il Cu, vista la sua maggiore citotossicità, sono state considerate tre concentrazioni: 0,05; 0,10 e 0,25 mM.

I risultati indicano, confermando risultati ottenuti in precedenza, che la crescita su un terreno contenente concentrazioni mM di rame determina una riduzione della emissione del numero e della crescita delle radici rispetto al controllo proporzionale all’aumento della concentrazione, fino alla loro quasi totale assenza in corrispondenza della dose più elevata 0,25 mM di Cu (Fig. 1A). E’ interessante notare anche una sensibilità minore al metallo da parte della linea trasformata 1EB rispetto al clone di controllo Villafranca. Le dosi considerate non sembrano invece avere effetti significativi sullo sviluppo della parte aerea (Fig. 1B), mentre è evidente il diverso effetto di concentrazioni inibenti del metallo sul peso di radici e foglie (Fig. 1C). Sulla base di questi risultati è stata scelta la concentrazione 0,1 mM di Cu.

In accordo con i dati ottenuti per il Cu, il trattamento con lo Zn 1 mM determina una diminuzione del numero di radici rispetto al controllo dimostrando tuttavia una minore attività inibente la radicazione a confronto del rame (fig. 1D).

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Effetto di dosi crescenti di Cu sul peso delle radici e delle foglie di VF e 1EB 0 50 100 150 200 250 300 350 VF Con trol lo VF Cu 0,05 mM VF Cu 0,10 mM VF Cu 0,25 mM 1EB Con trol lo 1EB Cu 0,05 mM 1EB Cu 0,10 mM 1EB Cu 0,25 mM P e s o m g Radici Foglie Effetto di dose crescenti di Cu sul numero di radici

0 1 2 3 4 5 6 7 Controllo Cu 0,05 mM Cu 0,1 mM Cu 0,25 mM N . ra di c i VF 1EB

Effetto del rame sulla lunghezza della parte aerea

0 1 2 3 4 5 6 7 Controllo Cu 0,05 mM Cu 0,1 mM Cu 0,25 mM L. A . c m VF 1EB

Fig. 1A: effetto di concentrazioni crescenti di Cu sul numero di radici nei cloni VF e 1EB

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Effetto dose scelta di Zn e di Cu sul numero di radici 0 1 2 3 4 5 6 7 Controllo Zn 1 mM Cu 0.1mM ra di c i VF 1EB

Fig. 1C: effetto di concentrazioni crescenti di Cu sul peso delle radici e delle foglie nei cloni VF e 1EB

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2.5.1 Determinazione del contenuto di rame e zinco nelle microtalee esposte ai metalli

Allo scopo di valutare l’entità dell’accumulo del metallo nelle parti della pianta ed eventuali differenze tra i cloni in esame, la quantità di rame e zinco è stata valutata su piantine in

vitro, transgeniche 46EA, 1EB, 10ECA, sul loro controllo non trasformato rappresentato dal clone

Villafranca ed sul clone AL22 selezionato in campo appartenente ad una collezione privata. La capacità estrattiva della pianta, valutata come assorbimento di Cu e di Zn, espresso come mg/Kg sulla sostanza secca nei campioni di foglie e di radici, è riportata nella tabella 1. Dai dati presentati emerge chiaramente che in tutti i cloni coltivati in presenza dei metalli, l’accumulo è maggiore nelle radici rispetto alle foglie anche se nel caso dello zinco si osserva una maggiore mobilità verso le foglie. A questo proposito è interessante notare che lo zinco viene traslocato maggiormente verso le foglie quando il mezzo di coltura non contiene il metallo.

Per quel che concerne il rame i cloni, manifestando diverse capacità estrattive, presentano maggiori capacità di accumulo, da 10 a 20 volte superiori, nelle radici rispetto alle foglie. 46EA è il clone che sembra manifestare una più alta capacità di accumulare il metallo nelle radici, con valori superiori a 1,5 g/Kg di sostanza secca mentre il clone 10ECA manifesta il contenuto più elevato di rame nelle radici, presentando anche una buona capacità di accumulo nelle foglie. In questo clone infatti si osserva il rapporto più elevato (pari a 3:1) di contenuto di rame in radici/foglie.

Il contenuto di Cu in foglie e radici (fig. 2A) espresso come rapporto presenza/assenza del metallo nel mezzo di coltura mostra diversità tra cloni. E’ interessante notare che nelle foglie i cloni Al22 e 10ECA presentano il rapporto più elevato, mentre i valori trovati negli altri cloni sono tra loro paragonabili, un quadro simile si nota anche nelle radici dove però è il clone Villafranca a presentare il rapporto maggiore di contenuto di metallo. I risultati relativi all’assorbimento dello Zn, (Tabella 1, fig. 2B) mettono in evidenza un accumulo del metallo nell’apparato radicale maggiore di tre, quattro volte quello osservato nella parte fogliare. I cloni che più accumulano Zn

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sono 46EA, 1EB e 10ECA rispettivamente con valori prossimi ai 4 g/kg di sostanza secca nelle radici. Lo zinco inoltre viene accumulato nelle foglie in misura maggiore di quanto osservato per il rame. Tuttavia quando i valori sono espressi come rapporto tra il contenuto di metallo in presenza del metallo sul controllo senza metallo non sono evidenti differenze tra le cinque linee analizzate né a livello fogliare né a livello delle radici (Fig. 2C).

contenuto in Cu(g/kgss) 0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0 3,5 4,0 4,5

Foglie Radici Foglie Radici Foglie Radici Foglie Radici Foglie Radici

Vf Al22 46EA 1EB 10ECA

C u g/ K g C lon e/ V f Fig. 2A contenuto in Zn (g/kg s.s.) 0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0 3,5 4,0 4,5 5,0

Foglie Radici Foglie Radici Foglie Radici Foglie Radici Foglie Radici

Vf Al22 46EA 1EB 10ECA

Zn g/ K g; C lon e/ V f Fig.2B

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Contenuto Cu e Zn trattato/controllo 0 10 20 30 40 50 60

Foglie Radici Foglie Radici

+ Cu 0,1mM + Zn 0,1mM Vf Al22 46EA 1EB 10 ECA

Fig. 2C: contenuto di rame espresso rapporto trattato controllo.

La capacità di accumulare dei cloni transgenici e del clone selezionato in campo AL22 è stata valutata esprimendo i valori medi di rame e zinco nelle foglie e nelle radici di ciascun clone in rapporto ai valori trovati nel clone di riferimento VF. I risultati sono riassunti nelle figure 3A e 3B. L’analisi dei risultati rivela che i cloni transgenici hanno una “performance” migliore del clone AL22, per quel che concerne la capacità di accumulare rame nelle radici. Anche lo zinco è accumulato in modo maggiore nei tessuti dei cloni MAT-MT2 rispetto al clone AL22, non solo nelle radici ma anche nelle foglie.

Contenuto Cu espresso come rapporto con il clone Vf dopo il trattamento con il metallo

0,00 0,50 1,00 1,50 2,00 2,50 3,00 3,50 Foglie Radici Foglie Radici Foglie Radici Foglie Radici A l2 2 46 EA 1EB 10 EC A Fig. 3A

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Contenuto Zn espresso come rapporto con il clone Vf dopo il trattamento con il metalloClone/Vf

0,00 0,25 0,50 0,75 1,00 1,25 1,50 Foglie Radici Foglie Radici Foglie Radici Foglie Radici A l2 2 46 EA 1EB 10 EC A Fig. 3B

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Tabella 1. Quantità di Cu e Zn in radici e foglie di cloni di P.alba valutato mediante ICP (Plasma400 Perkin Elmer). Cloni organo Cu (mg/kg s.s.) Er. St. Cu trattato/ controllo Zn (mg/kg s.s.) Er. St. Zn trattato/ controllo Vf C ontrollo Foglie 20,28 8,93 241,15 37,73 Radici 23,96 4,97 - 108,31 0,99 - Vf C u 0,1mM Foglie 105,57 11,23 5,21 241,33 52,54 1,39 Radici 1154,92 156,38 48,20 134,08 28,49 1,24 Vf Zn 1 mM Foglie 12,73 1,12 0,63 829,13 248,11 3,44 Radici 34,23 12,58 1,43 3487,43 465,93 32,20

Al22 C ontrollo Foglie 8,58 7,94 176,18 37,15 1,00

Radici 21,48 5,10 - 101,14 13,85 -

Al22 C u 0,1 mM Foglie 80,37 9,48 9,37 158,60 12,41 0,90 Radici 974,97 4,60 45,39 106,74 79,06 1,06 Al22 Zn 1 mM Foglie 10,96 0,92 1,28 691,89 40,32 3,93

Radici 21,48 7,97 1,00 2995,64 136,94 29,62

46EA C ontrollo Foglie 11,60 2,17 236,70 34,95

Radici 47,59 14,51 134,57 3,26 -

46EA C u 0,1 mM Foglie 80,62 45,37 6,95 181,97 43,49 0,77 Radici 1598,92 315,87 33,60 187,29 30,91 1,39 46EA Zn 1 mM Foglie 9,59 1,49 0,83 1045,56 346,42 4,42

Radici 102,79 69,47 2,16 3993,01 416,55 29,67

1EB C ontrollo Foglie 17,86 1,14 219,00 4,00

Radici 34,62 1,38 - 129,18 1,17 -

1EB C u 0,1 mM Foglie 103,70 1,17 5,81 202,41 4,40 0,92 Radici 1266,80 23,20 36,59 177,14 12,46 1,37 1EB Zn 1 mM Foglie 15,69 3,21 0,88 1019,26 19,37 4,65

Radici 36,58 1,35 1,06 3813,77 76,23 29,52

10EC A C ontrollo Foglie 13,23 0,77 287,79 2,34

Radici 30,45 1,56 - 164,37 5,63 - 10EC A C u 0,1 mM Foglie 312,97 2,03 23,66 235,05 11,15 0,82 Radici 1401,66 3,12 46,03 172,36 6,54 1,05 10EC A Zn 1 mM Foglie 13,87 1,37 1,05 1166,94 10,54 4,05 Radici 33,52 1,04 1,10 3951,81 48,19 24,04

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2.6 DISCUSSIONE

Il pioppo, grazie alla crescita, alle sue caratteristiche genetiche e culturali, è un potenziale candidato per la “phytoremediation” di suoli contaminati da metalli pesanti.

La tolleranza al metallo e conseguentemente la protezione dell’integrità e della funzionalità dei processi metabolici e fisiologici primari, è un prerequisito necessario affinché una pianta possa essere impiegata nella “phytoremediation” (Pietrini et al., 2003).

In questa ricerca è stato confrontato il comportamento di cinque cloni in relazione alla loro capacità di tollerare, accumulare e traslocare nei tessuti i metalli zinco e rame. I cloni, che sono stati utilizzati negli esperimenti, sono rappresentati da tre cloni trasformati MAT-MT2 (denominati 46EA, 1EB, 10ECA), che sovraesprimono la metallotioneina 2 (MT2) di Pisum

sativum, il loro controllo non trasformato, rappresentato dal clone Villafranca (P. alba) ed infine il

clone AL22, appartenente ad una collezione privata, selezionato in precedenza per la sua capacità di accumulare/tollerare elevate concentrazioni di metalli pesanti.

L’obiettivo di questa prima parte del lavoro è valutare la capacità di cloni di pioppo bianco di tollerare l’esposizione a dosi inibenti di zinco e rame e di accumulare i metalli, traslocandoli dall’apparato radicale alla parte aerea.

La maggior parte degli studi eseguiti sulle specie arboree riportano che il pattern di accumulo dei metalli pesanti avviene principalmente nelle radici, mentre una traslocazione ridotta è osservata verso la parte epigea (Borgegård et al., 1989; Arduini et al., 1994). I risultati, ottenuti circa all’accumulo/traslocazione dei metalli a livello radicale e fogliare, sono in accordo con quanto in precedenza trovato. Infatti, sia per Zn che per Cu, in presenza del metallo nel terreno colturale si verifica un maggior accumulo a livello radicale in tutti i cloni considerati. Questi risultati evidenziano come vi sia un effettivo maggiore accumulo dei metalli pesanti a livello

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radicale, come confermato da numerosi altri studi (Kabata-Pendias e Pendias, 1984; Glavac et al., 1990; Alloway, 1995; Landberg and Greger, 1996).

I cloni manifestano capacità di assorbimento diverse a seconda del metallo. Nel caso dello zinco le tre piante trasformate (46EA, 1EB, 10ECA) ed il clone tollerante AL22 presentano un contenuto di metallo a livello radicale maggiore del clone non trasformato Villafranca, tuttavia le differenze tra cloni non risultano significative.

Per il rame, il 46EA è il clone che presenta il maggiore accumulo nelle radici, tuttavia tutti i cloni transgenici e il clone selezionato in campo AL22 hanno un trend di accumulo nelle radici superiore al controllo Villafranca.

Si confermano le differenze tra i metalli in relazione ai due organi considerati. Lo zinco traslocato nelle foglie raggiunge quantità pari a un terzo di quello trovato nelle radici in tutti i cloni. È interessante notare che ciò avviene solo in presenza del metallo, infatti in condizioni normali di coltura le foglie presentano valori di zinco sempre maggiori di quelli osservati nelle radici. I dati sono in accordo con quanto trovato da Utmazian e collaboratori (2007), che hanno osservato notevoli differenze nella risposta all’esposizione ai metalli tra specie di pioppo e tra diversi cloni di salice, confermando l’elevata variabilità genetica della famiglia delle Salicaeae. Le specie e i cloni da loro analizzati mostravano un differente pattern di distribuzione del Cd e dello Zn tra radici e foglie. In particolare alcuni cloni di salice (Salix babilonica, S. rubens-1, S.

purpurea, S. fragilis, S. humboldtiana) mostravano un rapporto foglia:radice < 1, indicando quindi

un elevato uptake del metallo e di conseguenza un inefficiente traslocazione verso la parte fogliare. È da notare, però, che la scarsa capacità di trasferimento del Cd e dello Zn dalle radici alle foglie osservato in molti trattamenti può essere parzialmente considerato un artefatto determinato dalla breve durata di esposizione ai metalli in esperimenti condotti in condizioni idroponiche. La durata limitata nel tempo dell’esposizione ai metalli in condizioni idroponiche può

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non essere sufficiente a permettere un maggiore accumulo dei metalli (Cd, Zn) nella parte aerea della pianta.

I risultati nel complesso mettono anche in evidenza una buona “performance estrattiva” dei cloni MAT-MT2 rispetto al loro controllo non trasformato ed anche al clone AL22, selezionato in campo come tollerante. Questo risultato è di particolare interesse, in considerazione del ruolo delle metallotioneine nei processi di metabolismo/detossificazione dei metalli di transizione. (Kohler et

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Capitolo 3

I sistemi antiossidanti nella risposta del pioppo a concentrazioni

tossiche di rame e zinco

3.1 INTRODUZIONE

Rame e zinco sono micronutrienti essenziali per la pianta, tuttavia possono causare effetti nocivi se presenti in eccesso. I metalli pesanti possono perturbare il ciclo cellulare nei meristemi (Sobkowiak e Deckert, 2003), causare alterazioni al citoscheletro (Dovgalyuk et al., 2003) e indurre danni genotossici (Pan et al., 2001).

Come nel caso di processi di infezione da patogeni (Baker e Orlandi, 1995) e in condizioni di stress di natura abiotica quali il freddo, la siccità, la salinità, lo stress da ozono (Foyer e Mullineux, 1994) l'esposizione a metalli pesanti determina un aumento nella produzione di ROS (Scandalios, 1997). I ROS possono determinare l'ossidazione aspecifica di proteine e lipidi di membrana e danneggiano il DNA.

I ROS non svolgono solo un ruolo negativo, ma agiscono anche come molecole di segnale per la regolazione dell'espressione genica nel sistema di difesa della pianta contro i patogeni (Bolwell et al., 2002). La cellula deve, quindi, controllare strettamente il livello dei ROS, date le molteplici funzioni svolte da queste sostanze. Tale controllo è affidato ai sistemi antiossidanti che sono costituiti da metaboliti quali ascorbato, glutatione, tocoferolo ed enzimi, quali superossido dismutasi (SOD), catalasi (CAT), ascorbato perossidasi (APX) (Scandalios, 1997). Questi enzimi svolgono un’azione fondamentale e sinergica nel controllo dei ROS con un’azione specifica in relazione ai tessuti ed ai comparti cellulari bersaglio che sono oggetto dello stress.

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3.1.1 Superossido Dismutasi

La superossido dismutasi (SOD) è la prima linea di difesa contro il radicale superossido (O·2). La SOD è stata isolata per la prima volta da vari tessuti animali come “green copper protein” la cui funzione biologica era ritenuta essere quella di sequestramento del rame (Mann e Keilin, 1938). L’enzima è stato anche variabilmente riferito a eritrocupreina, indofenol ossidasi, tetrazolium ossidasi. La vera funzione catalitica della SOD, la dismutazione del O·2 ad H2O2 e O2, è stata scoperta da McCord e Fridovich (McCord e Fridovich, 1969). La SOD è ubiquitaria ed è stata trovata virtualmente in tutti gli organismi che consumano ossigeno, in quelli ossigeno tolleranti ed in alcuni anaerobi obbligati (Fridovich, 1986). Mutanti carenti della SOD, in procarioti ed eucarioti, sono ipersensibili all’ossigeno molecolare (Carlioz, 1986), tale condizione porta alla morte di tali organismi (Van Loon et al., 1986). Delezioni e mutazioni a carico dei geni codificanti la SOD possono condurre a gravi disordini biologici (Rosen et al., 1993).

Nell’ambiente biologico, l’ossigeno molecolare è molto reattivo ed essendo una molecola carica ed idrofilica, non può prontamente attraversare le membrane biologiche. Di conseguenza l’O2 molecolare prodotto in un determinato comparto deve essere eliminato attraverso le SOD (Fridovich et al., 1995). La SOD è stata isolata e caratterizzata da un’ampia varietà di organismi (Scandalios et al., 1997) e sono stati identificati quattro tipi di SOD relativamente al metallo che presentano al loro sito attivo. Una classe di SOD è rappresentata dalle Cu/ZnSOD, le quali presentano a livello del loro sito attivo il Cu(II) più lo Zn(II), un’altra classe è data dalle MnSOD, una terza è data dalle FeSOD e una quarta classe dalle NiSOD con la coppia Ni(II/III) al sito attivo. Le Cu/ZnSOD sono generalmente riscontrate nel cytosol delle cellule eucarioti, nei cloroplasti e in alcuni procarioti; le MnSOD sono state trovate nei procarioti, nelle algae e nei cloroplasti di alcune piante superiori; le NiSOD sono invece caratteristiche del genere

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La FeSOD rappresenta è l’isoforma più antica e si ritrova sia nei procarioti che negli eucarioti. Esistono due distinti gruppi di FeSOD: il primo è un omodimero, formato da due subunità proteiche identiche di 20 kDa, il secondo, presente nella maggior parte delle piante superiori, è un tetramero formato da quattro subunità di 80-90 kDa.

La MnSOD è un enzima formato da subunità identiche disposte a dimero o a tetramero e localizzato soprattutto nella matrice mitocondriale (Rabinowitch e Fridovich, 1983; Scandalios et

al., 1987; Bowler et al., 1989,1994).

Le Cu/ZnSOD sono enzimi sia omodimerici che omotetramerici, codificati, come gli altri due tipi di SOD, da geni nucleari e, nelle piante, presenti prevalentemente nel citoplasma (Baum e Scandalios, 1982; Rabinowitch e Fridovich, 1983; Scandalios et al.,1987) e nello stroma dei cloroplasti (Palma et al., 1986; Salin, 1988; Asada, 1992), oltre che nello spazio tra le membrane dei mitocondri (Rabinowitch e Fridovich, 1983; Scandalios, 1987) e nei gliossisomi (Del Rio et

al., 1992).

A differenza della maggior parte degli altri organismi che solitamente hanno solo una di ciascuna classe di SOD nei vari comparti cellulari, le piante possiedono forme multiple per ciascuna classe codificate da più di un gene (Scandalios et al., 1997).

La presenza della famiglia multigenica delle SOD nelle piante riflette i molteplici e differenti ruoli giocati da questi enzimi nelle piante, che non sono fisiologicamente capaci di evitare condizioni di avversità ambientale. Forme multiple di SOD sono state trovate in tutte le piante ad oggi esaminate, e quelle del mais (Zea mays L.) sono state studiate in maggior dettaglio.

Il sistema gene-enzima della superossido dismutasi nel mais comprende almeno nove distinti isoenzimi (Scandalios et al., 1997), i cui geni codificanti sono stati isolati e caratterizzati strutturalmente e funzionalmente (Zhu et al., 1993, White e Scandalios 1988, Kernodle e Scandalios, 2001). In anni recenti, si è verificato un notevole incremento negli studi sulle SOD in una varietà di altre specie di piante, in particolare, Arabidopsis (Kliebenstein et al., 1998, Abarca

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et al., 2001), tabacco (Bowler et al., 1987), pomodoro (Kardish et al., 1994) e riso (Sakamoto et al., 1992).

3.1.2 Catalasi

Le catalasi sono enzimi ubiquitari, presenti in quasi tutti gli eucarioti, localizzate nei perossisomi e nei gliossisomi. E’ stata suggerita anche in mais una localizzazione delle catalasi a livello mitocondriale che non ha trovato conferma in altre specie (Acevedo et al., 1991).

Le catalasi (CAT), insieme a superossido dismutasi (SOD), ascorbato perossidasi (APX) e Glutatione perossidasi (GPX), è parte del sistema enzimatico di difesa contro lo stress ossidativo che interviene non solo a livello del compartimento intracellulare, ma anche nell’apoplasto (Arora

et al., 2002) e che contrasta la formazione dei radicali liberi e altri derivati attivi dell’ossigeno

(ROS, reactive oxygen species).

Gli effetti dell’azione dei radicali liberi sulle membrane includono l’induzione della perossidazione lipidica e la de-esterificazione degli acidi grassi.

Le catalasi sono enzimi tetramerici le cui subunità, contengono un gruppo eme; esse, catalizzano la seguente reazione di dismutazione che permette la rimozione del perossido di idrogeno in eccesso:

2H2O2 → 2H2 O + O2

Le principali fonti di perossido di idrogeno nei perossisomi sono rappresentate dall’Acetil-CoA ossidasi, che interviene nella β-ossidazione degli acidi grassi nei gliossisomi e la glicolato ossidasi che converte il glicolato, prodotto durante la fotorespirazione, in gliossilato. L’intervento delle catalasi nella fotorespirazione evidenzia l’importanza di questi enzimi come sistema di protezione della funzione fotosintetica delle cellule contro gli stress ossidativi. A sostegno di ciò, l’osservazione che un mutante di orzo con ridotta attività delle catalasi risulta essere danneggiato nella crescita durante la fotorespirazione (Kendall et al., 1993).

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Per quanto riguarda la risposta agli stress di natura abiotica, è stato dimostrato che le catalasi giocano un ruolo cruciale nell’induzione, mediata dall’acido salicilico, di “SAR” (sistemi acquired resistance) (Chen et al., 1993). E’ stato infatti dimostrato che l’acido salicilico si lega e inattiva le catalasi con il conseguente aumento di perossido di idrogeno che a sua volta induce la trascrizione delle (pathogenesis related-proteins) “PR-proteins”. (Breusegem et al., 2001).

Le caratteristiche molecolari e biochimiche delle catalasi sono state ampiamente studiate sia nelle specie erbacee e monocotiledoni (Scandalios, 1987; Suzuki, 1994) che nelle dicotiledoni (Willekens, 1994a,b; Frugoli et al., 1996).

Nelle piante arboree le caratteristiche biochimiche di questi enzimi sono state studiate nelle gimnosperme (Mullen e Gifford, 1993; Racchi et al., 1996), ippocastano (Bagnoli et al., 1998) ed in quercia (Racchi et al., 2000). Inoltre sono state isolate e caratterizzate molecolarmente due catalasi di pesco (Bagnoli et al., 2004), una di albicocco (Turchi, 2002) e tre sono le catalasi isolate caratterizzate in pioppo (Caparrini, 2006) .

Nella maggior parte degli eucarioti, le catalasi sono codificate da singoli geni; nelle piante sono rappresentate da una piccola famiglia multigenica, solitamente costituita da tre o quattro geni, che può riflettere i molteplici e diversi ruoli giocati da questi enzimi. Ciascuna catalasi mostra un distinto pattern di espressione spaziale e temporale durante il ciclo vitale di una pianta. Gli enzimi antiossidanti, infatti, risultano essere regolati non soltanto dalla presenza di fonti di stress ossidativo, ma anche dal tipo di tessuto e dallo stadio di sviluppo della pianta. Evidenza di ciò è data, per esempio, dai dati molecolari ottenuti in un analisi su Nicotiana plumbaginifolia, in cui i livelli di espressione dei tre trascritti di catalasi erano strettamente dipendenti dal tessuto di appartenenza e dall’età della foglia (Willekens et al., 1994b). Sulla base del profilo di espressione è stata adottata una particolare classificazione che le vede suddivise in tre classi (Willekens et al., 1995). Classe I, comprende le Cat che risultano essere altamente espresse nel tessuto fogliare e che sono coinvolte nella rimozione del perossido di idrogeno prodotto durante la fotorespirazione;

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