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BERGAMINI, Roberta. Boffo Vanna, Le relazioni educative: tra comunicazione e cura. Autori e testi. Milano: Apogeo (2011). Form@re - Open Journal per la formazione in rete, [S.l.], v. 16, n. 1, p. 277-278, apr. 2016. ISSN 1825-7321. Disponibile all'indiriz

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Form@re - Open Journal per la formazione in rete

ISSN 1825-7321 - DOI: http://dx.doi.org/10.13128/formare-18219 Numero 1, Volume 16, anno 2016, pp. 277-278.

Firenze University Press http://www.fupress.com/formare

recensioni

Boffo Vanna, Le relazioni educative: tra comunicazione e cura. Autori e

testi. Milano: Apogeo (2011)

Con questo testo l’autrice riprende il filo di una riflessione critica condotta da decenni, dove le categorie concettuali di “comunicazione” e di “cura” si intrecciano in un costruttivo connubio di intenti progettuali e di orientamenti operativi. L’autrice afferma che “la relazione di attaccamento rappresenta la protezione interna ed esterna da agenti che potrebbero seriamente danneggiare il bambino. Ha una valenza filogenetica, attraverso i secoli e le ere, ma anche ontogenetica, attraverso i cambiamenti psichici dell’uomo” (p. 10). Si configura così l’orizzonte di una “personalizzazione” che sul piano educativo viene realizzandosi fra rispetto dello sviluppo naturalmente intrinseco all’individuo (ciò che altrove è denominato “flourishing”) ed orientamento formativo innestato, dal versante socioculturale, su questo intimo τέλος (ciò che altrove è denominato “enhancement”). Un percorso quindi, quello dell’individuo, che interagisce con la famiglia e con la scuola. Se, come afferma Danilo Dolci con apparente asserzione tautologica, comunicare è una legge della vita, nella reale dialettica delle esistenze la comunicazione si dispiega come una sorta di disposizione fisiologica innata che, all’interno delle agenzie educative, si modula come “cura del sé”. La “cura del sé”, articolata tra più soggetti, si sviluppa poi nella scuola, in una dimensione di continuità diacronica con la famiglia e l’ambiente sociale primario. La comunità familiare è perciò, di riflesso, collocata all’interno di questo campo dinamico e la comunicazione deve essere modulata in maniera transattiva in ambedue i sensi: educare i figli ed educarsi ad essere genitori.

Per tutti i soggetti impegnati, i percorsi della relazione educativa congiungono dunque la memoria del vissuto (il “passato presente”) con la proiezione nell’avvenire e la progettazione del futuro (il “futuro presente”). Questa caratterizzazione esistenziale porta le componenti della comunicazione e della cura a collidere drammaticamente con la emergente complessità della condizione post-industriale e della post-modernità. In particolare, la comunicazione mediata dai più recenti supporti tecnologici può avere effetti ambigui e contrastanti: da una parte può generare, infatti, inedite opportunità di media education e, dall’altra, può irretire gli adolescenti in forme di comunicazione a distanza dove si costruiscono ed agiscono identità puramente virtuali, eppure illusoriamente perseguite. Ed è qui che, con un originale tocco di efficacia, l’autrice sviluppa un’interpretazione del disagio, “che incolla i bambini alle loro consolle e i più grandi, ma già prematuramente adolescenti, ai social network o ai giochi virtuali e di ruolo” affermando che sotto le ceneri di questo malessere “cova un desiderio di ascolto che è un desiderio di certezze, di conferme e di progetti a lungo termine che prima c’erano ed adesso non ci sono più” (p. 119). E ne esce con l’indicazione di obiettivi pedagogici all’altezza dell’epoca della globalizzazione dei mercati: (i) tessere una relazione educativa che aiuti i bambini e gli adolescenti alla cura del sé attraverso l’altro; (ii) far vedere la diversità dell’altro, in ogni sua dimensione, come un arricchimento del proprio sé, in un’ottica di superamento della mixofobia a favore della mixofilia.

In sintesi, si tratta di condurre a “modo normale” l’ossimoro del “tutti quanti diversamente uguali”, uniti per costruire ed espandere il mondo in un’ottica di cittadinanza terrestre come ricorda Morin. Senza peraltro escludere che, avanzando in questa direzione, possano

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presentarsi determinate “patologie della complessità”, da curare, come sostiene Solinas, con adeguate terapie di carattere sociosistemico.

Roberta Bergamini

Università degli Studi di Firenze, roberta.bergamini@unifi.it

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