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ILLUMINISMO - la ratio sopra tutto

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ILLUMINISMO

LA RATIO SOPRA TUTTO

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Collocazione storica e tematica

Con ILLUMINISMO si intende un movimento intellettuale e filosofico del Settecento che ha avuto origine in Inghilterra e si è sviluppato soprattutto in Francia, diffondendosi in seguito in tutta Europa. Tale movimento è caratterizzato dalle seguenti tematiche:

• Critica del passato • Vocazione politica

• Esaltazione della ragione

I suoi intellettuali tendevano cioè a ritenersi portatori di una nuova, più pura e più compiuta idea di ragione, una ragione veramente autonoma, consapevole e capace di conoscere l’intima verità delle cose e del mondo, superando tutte le superstizioni del passato e proponendosi come guida per la vita dei singoli e dei popoli in un processo finalmente autentico di emancipazione e civilizzazione.

(3)

Antecedenti

Gli antecedenti del movimento sono da ritrovarsi

• Nella cultura scientifica di Galileo, Bacone e

Newton

• Nel razionalismo di Cartesio

• Nell’empirismo e nella critica all’assolutismo di

John Locke

In tutte quelle correnti di pensiero rinascimentali e

moderne che hanno insistito su una visione del

(4)

La diffusione rapida dell’Illuminismo

La diffusione dell’Illuminismo è stata favorita dal

fatto che l’intellettuale illuminista è un

viaggiatore attraverso le corti europee e dal

fatto che egli alle letture, come strumento di

crescita culturale, affianca la cura delle relazioni

all’interno di comunità degli studiosi che

travalica i confini nazionali guadagnando una

prospettiva europea e mondiale.

(5)

L’intellettuale illuminista

IN COERENZA CON CIÒ l’intellettuale illuminista si ritiene

cittadino del mondo

• cosmopolita cioè senza patria, senza retaggi scomodi

e ingombranti del passato e senza responsabilità verso

le proprie effettive radici;

• e al tempo stesso universalista cioè incline a credere

che la natura umana razionale sia in tutti la medesima

e soprattutto che segue le stesse tappe di sviluppo che

culminano nell’illuminismo stesso, inteso quale punto

più alto e progredito dello sviluppo delle civiltà.

(6)

La tolleranza e la sua dialettica

Se la natura umana è razionale e segue uno sviluppo lineare,

bisogna essere tolleranti con le più diverse opinioni, fiduciosi che

quelle sbagliate saranno rigettate dalla stessa ragione nel suo

continuo progredire verso il meglio.

Qualora ciò non accadesse, bisogna intervenire con la politica per

scalzare con la forza tutti coloro che si oppongono al trionfo della

tolleranza stessa, cioè dell’atteggiamento umano più razionale e

corretto, difendendo irrazionali e ingiusti privilegi di un passato

preda dell’ignoranza e dell’oscurantismo.

Vi è qui un esempio tipico di dialettica della tolleranza, le cui

motivazioni, al contatto con la realtà refrattaria, trasformano un

atteggiamento tollerante in uno intollerante.

(7)

Il partito dei filosofi

• L’intellettuale illuminista, per difendere ed affermare le sue idee,

ambisce a costruire una repubblica delle lettere (titolo di un

periodico fondato da Pierre Bayle) che si affianchi alla società

politica ed eserciti su di essa pressioni per modificare, nel senso

da lui preconizzato e teorizzato le strutture sociali e di potere.

• Gli illuministi – chiamati anche, con termine francese,

philosophes, cioè i filosofi per eccellenza – diventano pertanto un

GRUPPO DI PRESSIONE

prima legato all’aristocrazia e alla monarchia che finanziano

programmi di ricerca e i singoli intellettuali;

poi – quando le critiche illuministe coinvolgeranno la monarchia

stessa – legato all’alta borghesia.

(8)

Illuminismo e censura anti-illuminista

Le iniziative degli illuministi si scontrano talora con i rigori della censura, quando vanno ad attaccare in modo troppo diretto le istituzioni politiche o ecclesiastiche tradizionali.

Una famosa opera collettiva, quasi una bandiera di tutto il movimento illuminista europeo, l’Enciclopedia, VEDE L’APPOGGIO DEI CETI DIRIGENTI RITIRATO, DOPO UN PRIMO TEMPO FAVOREVOLE.

L’Enciclopedia è una grande impresa culturale-editoriale che, sotto la guida di due noti intellettuali, il matematico Jean-Baptiste Le Rond D’Alembert (1717-1783) e il filosofo Denis Diderot (1713-1784), ambisce a raccogliere tutto il sapere umano rivisto e corretto alla luce dei principi dei Lumi. A tale lavoro partecipano moltissimi altri intellettuali francesi (Rousseau, Voltaire, etc.). All’inizio vi è il sostegno finanziario della monarchia ma, con l’uscita del primo volume nel 1751 e le polemiche che ne seguono, l’appoggio della corona e degli aristocratici viene ritirato e gli altri 16 volumi vengono pubblicati con il finanziamento di sottoscrizioni private e con i proventi delle vendite dei volumi stessi.

(9)

Il metodo dell’Illuminismo

Gli illuministi ritengono che la conoscenza umana sia il frutto non di una riflessione astratta della ragione, ma dell’applicazione della ragione ai dati dell’esperienza sensibile.

In questo senso tendono a unificare la prospettiva

• razionalista di Cartesio – che cerca di elaborare un metodo razionale capace in tutti i campi di guadagnare conoscenze evidenti e certe come lo sono quelle della matematica

a quella

• empiristica di Locke, che insiste sul fatto che ogni nostra conoscenza deve provenire dall’esperienza (empeiria in greco) che noi conduciamo attraverso i nostri cinque sensi e grazie alla quale si formano le idee che vengono via via immagazzinate nella nostra mente.

(10)

Ragione ed esperienza

RAGIONE

ED

ESPERIENZA

SENSIBILE

devono essere quindi i criteri che fondano

le nostre conoscenze, opponendosi alle

verità rivelate e indimostrabili – perché

non cadono sotto i nostri sensi – e alle

consuetudini del passato tendenzialmente

legate alla valorizzazione superstiziosa di

queste presunte verità.

(11)

La fede illuministica

La vita dell’uomo deve insomma abbandonare la teologia in favore

della filosofia e della scienza che, rispetto alla teologia

rappresentano un indiscutibile progresso dello spirito umano.

Per questo motivo le posizioni religiose degli illuministi vanno

• dal debole fideismo di Locke(Dio esiste ma si rivela nella coscienza

umana piuttosto che nelle Scritture)

• all’agnosticismo di Hume (non posso sapere se Dio ci sia

veramente, quindi non prendo posizione pro o contro la religione)

• al deismo che ritiene che Dio sia una causa naturale e impersonale

interna al mondo,

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Natura e libertà

In questo processo anche la natura viene via via vista con sguardo sempre più disincantato, come un grande meccanismo regolato da leggi ferree che escludono ogni finalità. Tale visione non è originale, ma viene mutuata dalle recenti prospettive scientifiche. Più caratteristica dell’Illuminismo è la tendenza a portare alle estreme conseguenze questa impostazione, negando qualsiasi valore alla provvidenza divina.

Il rischio di una simile prospettiva è quella di perdere la dimensione

della libertà. Infatti un grande meccanismo non può contemplare la

libertà: in un motore i pistoni, dato loro l’imput dallo scoppio del carburante, non sono liberi di muoversi o no. Allo stesso modo sembra strano che gli uomini, come esseri naturali, possano essere liberi all’interno del gran meccanismo della natura.

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Meccanismo naturale e libertà civile

La soluzione data dagli intellettuali illuministi è che la libertà che l’uomo non possiede sotto il profilo del suo essere naturale, deve riguadagnare sotto il profilo del suo essere sociale; all’uomo, cioè, non deve importare se è più o meno libero dalle leggi di natura, biologiche, fisiologiche, psicologiche, ma deve importare la suo libertà nella società, una libertà

che si configura anzitutto come possibilità di resistenza alla tirannia e di organizzazione collegiale del potere.

Se l’uomo è lasciato libero, per gli illuministi, tenderà a vivere secondo il suo peculiare essere, secondo le sue naturali inclinazioni, secondo la sua più intima e naturale essenza che la vita in società generalmente corrompe attraverso l’asservimento degli istinti buoni e le regole puramente esteriori del vivere civile. Autorità e potere sono strumenti di tale asservimento e dunque in generale vanno combattuti.

(14)

Ritorno alla natura: il mito del buon selvaggio

Il ritorno dell’uomo allo stato di natura cioè ad una umanità incorrotta dal mondo civile così come provano a immaginare due opere letterarie importanti di questo periodo:

• la STORIA DEI SEVERAMBI di Denis Veiras – 1675

• i DIALOGHI FRA L’AUTORE E UN SELVAGGIO DI BUON SENSO CHE HA VIAGGIATO del barone di Lahotan – 1703.

Qui la civiltà è portatrice di immoralità, sopraffazione e guerre

che cambiano l’uomo, BUONO PER NATURA,

conducendolo alla malvagità

Ciò è visibile a chiunque si accosti ai selvaggi – per esempio viaggiando in luoghi esotici e inesplorati - alla loro primitiva ingenuità e bontà ancora non snaturata dai costumi civili occidentali. Una tale prospettiva diverrà mitica, cioè resistente alle confutazioni che verranno dall’antropologia e da tutte le osservazioni dirette che smentiranno la maggiore “bontà” dei cosiddetti “selvaggi” (che tanto per dirla a partire dalla nostra sensibilità antropologica, se non sono “selvaggi”, non sono però “buoni”).

(15)

Ritorno alla natura e critica della civiltà

Una critica della civiltà fondata sul ritorno dell’uomo alla sua condizione naturale e pre-civile sarà sviluppata da

• Étienne-Gabriel MORELLY ne Il codice della natura”, 1755 in cui lo stato di natura appare non come un’ipotesi euristica ma come un’effettiva condizione pre-istorica dell’umanità. Essa è stata abbandonata a causa dell’incremento demografico che ha reso necessario l’inurbamento e la civiltà; e da

Jean Jaques ROUSSEAU nel Discorso sull’origine e il fondamento

dell’ineguaglianza fra gli uomini, 1755, in cui egli postula lo stato di natura

come una felice condizione di eguaglianza fra gli uomini, degenerata a causa: a) della divisione del lavoro fra artigiani e agricoltori, b) dell’appropriazione privata della terra (la proprietà è un caratteristico segno negativo della civilizzazione che comporta il venir meno del sentimento di solidarietà fra gli uomini e il nascere dell’istinto distruttivo di competizione).

(16)

Un’antropologia «buonista»

Ovviamente tale pre-comprensione dell’uomo induce a

ritenere frutto di un specifico errore della tradizione

cristiana l’idea che l’uomo, pur buono per natura, sia

viziato da una tara morale originaria, il peccato originale,

che lo rende pericoloso per sé e i propri simili (di qui tutte

le precauzioni che la civiltà prende per limitare le

conseguenze più distruttive di tale mancanza originaria).

Contro l’idea di un uomo peccatore, l’illuminismo

propone l’idea irenista di un uomo buono per natura che

non ha bisogno di nulla se non di lasciar libero spazio alla

propria bontà.

(17)

Prendere progressivamente coscienza

D’altro canto tale prospettiva permette di fondare la

possibilità di un ritorno alla dimensione naturale

attraverso la PROGRESSIVA presa di coscienza della

reale essenza dell’essere umano e della sua

corruzione ad opera della civilizzazione.

Una simile progressiva presa di coscienza produce, o

meglio, produrrà necessariamente, una mutamento

delle strutture sociali che via via porteranno l’uomo

sempre più vicino alla sua condizione naturale.

(18)

Il progresso

LA STORIA è il luogo della PROGRESSIVA emancipazione dell’uomo

verso il ritrovamento della sua vera natura. Dunque la storia è il

luogo di realizzazione di un’utopia, quella della perfettibilità

dell’uomo e della riappropriazione di un’integrale bontà morale.

L’idea di PROGRESSO, cioè di un cammino continuo verso il meglio

dove il futuro è sempre migliore del presente e il presente è

sempre migliore del passato trova qui la sua radice. Se la vulgata

popolare e i discorsi dell’uomo di media cultura danno il concetto di

progresso come scontato, in realtà lo fanno per scarsa

consapevolezza che l’idea che la storia dell’umanità progredisca

verso il meglio è un’interpretazione storicamente collocata nell’età

dei lumi.

(19)

Una secolarizzazione del cristianesimo

Essa non fa altro che secolarizzare, cioè tradurre in termini laici e

non religiosi, l’idea cristiana di una fine dei tempi in cui

trionferanno vita, bontà e giustizia. Se a tale idea si toglie

l’intervento divino – cosa che per i cristiani è necessaria, visto il

radicamento nell’uomo del peccato originale – e il Regno di Dio

che non appartiene a questo mondo, e si immagina che la

giustizia sia destinata a trionfare in questo mondo grazie al

miglioramento progressivo delle capacità umane dovuto all’uomo

stesso, ecco che si ottiene l’idea illuministica di Progresso.

• Come si potrà ben capire, in questo processo di laicizzazione

mutano radicalmente i presupposti religiosi, metafisici,

antropologici, politici delle due dottrine.

(20)

Cristianesimo e illuminismo

Se l’illuminismo progressista è tendenzialmente Il cristianesimo è Ateo Religioso Materialista Spiritualista

Fiducioso nella bontà originaria dell’uomo

Scettico sulle qualità morali dell’uomo e attento a contenerne la malvagità provocata dal peccato

Fiducioso nella costruzione di una società così giusta da permettere all’uomo di ritrovare la sua natura buona perduta

Scettico sulla possibilità di una società perfetta e attento a limitare le ingiustizie delle attuali società imperfette

(21)

Il progressismo di Condorcet e

Giannone

Esempio tipico di filosofia della storia progressista è quella

elaborata nel testo di Jean-Antoine-Nicolas Caritat de

Condorcet (1743-1794) Abbozzo di un quadro storico dei

progressi dello spirito umano - 1794 in cui si sostiene che

la storia è formata da dieci grandi epoche, sempre più

progredite, di cui la nona è la presente illuministica e la

decima sarà costituita dal futuro radioso dell’umanità.

Prima di Condorcet, l’Italiano Pietro Giannone, studiando

la Storia civile del Regno di Napoli (1723) giunge a

stigmatizzare il passato medievale del regno, caratterizzato

da oscurantismo religioso, superstizione e scarso sviluppo

civile, a fronte delle epoche successive dove faticosamente

si sarebbe cercato di uscire da queste difficoltà.

(22)

Il mito del Medioevo quale «età

oscura»

• È proprio in epoca illuministica che nasce il mito del medioevo come periodo oscuro della storia dell’umanità, giacché la cultura e la vita medievale, profondamente intrise di spirito religioso, sembrano confermare proprio il pregiudizio illuministico secondo cui superstizione, religione e arretratezza politico culturale vanno di pari passo

Il ragionamento, evidentemente caratterizzato di una petizione di principio nella premessa iniziale, è il seguente:

1) la religione significa ignoranza e superstizione. Provoca inoltre violenza, disuguaglianza e guerra,

2) il medioevo è un’epoca religiosa,

3) dunque il medioevo è epoca «oscura» di ignoranza, superstizione, violenza e disuguaglianza.

(23)

Illuminismo politico: giusnaturalismo e

contrattualismo a partire da Locke

Dal punto di vista politico due sono i grandi temi del pensiero illuministico – tra loro legati:

A) Il giusnaturalismo e B) Il contrattualismo

Si ritiene (con John Locke, Due trattati sul governo, del 1690, testo considerato l’atto di nascita dell’intero movimento illuministico)

A) che la funzione della società sia di difendere i diritti che l’uomo possiede nello

stato di natura (vita, libertà e proprietà) e

B) che il governo nasca a seguito di un contratto tra i cittadini i quali decidono, dopo essersi uniti in società grazie ad un patto di unione (pactum unionis), di affidare ad alcuni soggetti il potere necessario a sancire con la forza il diritto e le leggi per impedirne le trasgressioni (pactum subiectionis, patto di soggezione).

Il governo, così costituito, deve rispettare il suo mandato e lavorare nei limiti delle sue competenze. Il suo potere è inoltre suddiviso in diverse istituzioni che svolgono ciascuna compiti particolari e si controllano a vicenda

(24)

Lo sviluppo del contrattualismo in Rousseau

Nel Contratto sociale del 1762 Rousseau critica i fondamenti egoistici della civilizzazione basata su proprietà privata e concorrenza. Per superare questa deriva, bisogna rifondare

la società e il contratto su cui si basa. In questo nuovo patto sociale ciascuno rinuncia alla sua volontà egoistica per adeguarsi alla VOLONTÀ GENERALE, riavendo dalla

società, in modo equo e uguale agli altri, tutti i beni materiali e spirituali (la giustizia) cui egli aspira e che non possono essere diversi da quelli che TUTTA LA SOCIETÀ vuole.

Tale società è governata dai cittadini riuniti in assemblea (democrazia diretta), che risultano veramente liberi perché – obbedendo alle leggi effetto della volontà generale che essi stessi hanno interiorizzati -_ obbediscono a loro stessi.

In tale società è importantissima la pedagogia come scienza che educa alla solidarietà In economia si punta ad eliminare la proprietà privata in modo da consentire a tutti di vivere del proprio lavoro

La democrazia diretta esige una compagine politica di piccole dimensioni, in contrasto con la linea di sviluppo degli Stati europei ormai consolidata da centinaia di anni.

(25)

La separazione dei poteri

Già teorizzata da Locke, diviene oggetto di riflessione specifica

nell’ Esprit des lois (1748) del filosofo francese Charles-Luis de

Secondat barone di Montesquieu (1689-1755).

In questo testo vengono determinati funzioni e compiti del

potere legislativo, esecutivo e giudiziario e stabilito il loro

equilibrio a garanzia contro la tendenza del potere a

degenerare in dispotismo, una tendenza dovuta all’intrinseca

corruzione che vi è nel potere, capace di tentare in modo

particolarmente efficace la natura umana, esaltandone gli

aspetti negativi emersi durante la sua storia.

(26)

Il pensiero economico e i suoi fondamenti

etici: l’utilitarismo di David Hume

Nel Trattato sulla natura umana il filosofo scozzese David Hume

(1711-1776) critica sia il giusnaturalismo sia il contrattualismo: non

vi sono diritti di natura, ma solo diritti acquisiti storicamente;

l’ipotesi del contratto è assolutamente superflua, per spiegare il

governo basta l’abitudine dell’uomo ad affidare a qualcuno la

garanzia dell’ordine sociale. Infine per l’uomo se non vi è una legge

garantita dalla natura umana, per avere un criterio efficace di

legiferazione bisogna rifarsi al

• principio dell’utilità

• e alle tradizioni storiche che è utile conservare. IL GIUSTO E IL

BENE VENGONO COSÌ RIDOTTI ALL’UTILE PER LA SOCIETÀ E PER

L’INDIVIDUO.

(27)

L’utilitarismo di Mandeville

Un famoso scrittore olandese Bernard de Mandeville

(1670-1733) pubblica nel 1714 un testo intitolato La favola delle api

(1714) dove si invita a guardare all’utilità dei risultati, piuttosto

che alla moralità delle azioni compiute per ottenerli. Molto

spesso infatti ciò che è considerato immorale è sommamente

utile al singolo e alla società. Per esempio la società

mercantile con la sua spietata concorrenza è immorale ma

utile. Inoltre se la ricchezza prodotta al suo interno può essere

considerata fonte di vizi, bisogna considerare

• a) che l’una è inseparabile dagli altri;

(28)

Esempi di vizi economicamente utili secondo

Mandeville

• L’ubriachezza alimenta il mercato degli alcolici,

• il furto quando è commesso nei confronti di persone avare, rimette in circolazione il denaro;

• la vanità dei ricchi alimenta il mercato dei beni di lusso;

• la povertà di una gran massa di salariati consente di mantenere basso il costo della manodopera e di produrre in modo più concorrenziale; • i postriboli nei porti rendono meno pesante e più divertenti le attività

marinare.

Se uno vuole rinunciare a tutti questi vizi deve sapere che con essi rinuncerà anche a tutti i vantaggi della civilizzazione: “chi vuole tornare all’età dell’oro dovrà tenersi anche le ghiande”.

(29)

Paul Henry Thiry D’Holbach

(1723-1789)

L’utilitarista francese D’Holbach insiste nel suo

testo Il sistema sociale (1773) sull’idea che fine

del governo è

la massima felicità per il maggior numero.

L’utilitarismo va sostenuto enfatizzando però

non il vantaggio del singolo, ma la sua valenza

sociale,

come

strumento

del

progresso

(30)

Il comunismo economico

Ètienne Gabriel Morelly (1717 - ?) Nel suo Il codice della natura (pubblicato

anonimo nel 1755) sostiene che la causa dell’infelicità umana è l’allontanamento da una condizione originaria e naturale di solidarietà. La proprietà privata dei beni, che ne nasce, genera privilegi cui l’organizzazione dello Stato dà forza di legge. Contro tutto ciò egli prospetta una

• società razionale (“geometrica” dice il filosofo) in cui vige la comunione dei

beni,

• il lavoro di tutti,

• l’elezione e la rotazione delle cariche pubbliche

• e un sistema educativo che abbia di mira la concordia.

In tale società non c’è spazio per le dinamiche di commercio e accumulazione proprie dell’economia moderna, ma viene promosso un modello sociale comunistico, fondato sull’agricoltura e su sistemi manifatturieri pre-tecnologici, possibili solo all’interno di comunità umane di ridotte dimensioni.

(31)

Fisiocrazia

A metà del Settecento nasce il primo vero e proprio pensiero economico. In Francia la scuola fisiocratica (da physis=natura e

kratein=avere potere, cioè “lasciar dominare la natura”) vuole dare

un’interpretazione scientifica dei meccanismi di produzione e di scambio. Tale scuola si occupa pertanto più della produzione e della circolazione dei beni più che della questione del denaro. Esponenti di tale indirizzo di pensiero sono Anne-Robert-Jaques Turgot (1727-1781) già ministro delle finanze di Luigi XVI e

Francois Quesnay (1694-1774)

che elaborò nel 1758 un modello di interpretazione dei rapporti economici chiamato Tableau economique in cui si insisteva sul concetto di surplus. Quest’ultimo è la quantità maggiore di beni che, alla fine dell’attività economica, si ottiene rispetto alla quantità investita.

(32)

Il primato fisiocratico dell’agricoltura

Il surplus o prodotto netto dell’attività economica è possibile ottenere grazie alla natura e al lavoro che operano la trasformazione della materia prima in prodotto – si pensi alla semente che grazie alla natura e al lavoro umano si trasforma in frutto. Quest’ultimo esempio non è casuale, infatti i fisiocratici ritengono che l’attività economica fondamentale sia l’agricoltura e che il surplus agricolo si distribuisca poi all’intera società come

• Rendita dei proprietari

• Tasse allo Stato e/o alla Chiesa

• Acquisto di beni non agricoli da mercanti e artigiani.

Se è così, per i fisiocratici gli agricoltori sono il gruppo sociale dei produttori per eccellenza, a fronte degli altri gruppi sociali che sono STERILI, anche se non privi di utilità sociale.

(33)

Delegiferare per favorire l’agricoltura e

l’economia

La legislazione deve FAVORIRE l’AGRICOLTURA non

attraverso processi di legiferazione ma per mezzo di

una più generale

DELEGIFERAZIONE che liberi il mondo economico da

VINCOLI E DAZI

che intralciano la produzione e lo scambio di merci. Il

modello a cui guardano i fisiocratici è la GRANDE

FATTORIA di matrice inglese, che impiega lavoro

salariato e che sfrutta razionalmente il territorio su

grande scala.

(34)

Il liberismo di Adam Smith

Accanto alla scuola fisiocratica si afferma in questo periodo, ad opera dell’economista e filosofo Adam Smith (1723-1790) che nella sua

Ricerca sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776), pur

influenzato dalla fisiocrazia per quanto riguarda la delegiferazione, non si ferma all’osservazione delle dinamiche di produzione e non enfatizza il ruolo dell’agricoltura, ma si concentra sulle questioni legate allo SCAMBIO dei prodotti.

Quello che conta in economia non è il valore che un prodotto possiede in relazione alla sua finalità d’uso (valore d’uso), bensì il valore che ha in vista del suo scambio (valore di scambio).

Ciò anche se il valore di scambio è fondato sul fatto che le merci devono essere prodotte (il valore di scambio delle merci è dato dalla

(35)

Egoismo e «mano invisibile del mercato»

La produzione – in tutti i campi e non solo in quello agricolo – migliora al migliorare della DIVISIONE DEL LAVORO cioè della specializzazione delle mansioni nella catena produttiva che aumenta la produttività.

La molla dell’economia è l’UTILITÀ INDIVIDUALE. L’egoismo individuale è molla della produzione. La società è data nel suo sviluppo economico dalla somma

degli egoismi individuali che vengono composti da una sorta di PROVVIDENZA laica che Smith chiama la

mano invisibile del mercato,

la quale farebbe in modo che non si creino squilibri troppo grandi nella società e che tutti alla fine fruiscano dei benefici dell’aumentata produzione e circolazione dei beni. Per tale motivo il mercato deve essere libero e lo Stato deve intervenire il meno possibile nei meccanismi economici (LIBERISMO).

(36)

Il significato storico dell’Illuminismo

L’illuminismo è stata una grande stagione del pensiero

europeo che ha prodotto significativi mutamenti nell’ambito

della storia e della civiltà. Più che per profondità teoretica -

le idee principali degli illuministi non sono sempre originali

ma per lo più riprendono tradizioni antiche marginali o

marginalizzate nello sviluppo della filosofia – tale corrente

di pensiero si segnala per una decisiva influenza storica sui

fatti della Rivoluzione francese. Infatti tutti i protagonisti

del periodo rivoluzionario sono influenzati dalle idee

illuministe, tanto che è lecito dire che senza illuminismo non

vi sarebbe stata alcuna rivoluzione.

(37)

Rivoluzione francese ed epoca

contemporanea

La Rivoluzione francese muta radicalmente il volto dell’Europa, promuovendo un sommovimento politico che, attraverso la comunicazione delle idee, ma anche la loro imposizione mediante l’imperialismo napoleonico, genererà nuovi esperimenti costituzionali. Ad essi si dovrà l’affermarsi prima del liberalismo e poi della democrazia (di una specifica forma di democrazia mischiata al liberalismo) e infine del comunismo in alcuni paesi del continente.

Tutta la cultura dell’Ottocento e del Novecento ne rimarrà ulteriormente segnata, nonostante il sorgere, sin della fine del sec. XVIII di significative correnti di pensiero critiche dei pregiudizi e delle esagerazioni

illuministiche .

Ancora oggi alcune delle idee ormai divenute dominanti nella società vanno ricondotte a quella stagione, anche se il consenso generale su di esse ne ha fatto per lo più dimenticare l’origine.

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