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Le potenzialità delle colture legnose da biomassa a destinazione energetica negli ambienti mediterranei. Il caso di studio della SRC di pioppo

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Scuola di Dottorato in Scienze Agrarie e Veterinarie

Dottorato di ricerca in Scienze delle Produzioni Vegetali

Programma di PRODUZIONI VEGETALI (26°ciclo)

SSD AGR/02 Agronomia e

Le potenzialità delle colture legnose

destinazione energetica

Il caso di studio

Candidata

Dott.ssa Valentina Giulietti

Tutor

Prof. Enrico Bonari

Direttore Scuola di Dottorato

Prof. Alberto Pardossi

Anno Accademico 2014

Scuola di Dottorato in Scienze Agrarie e Veterinarie

Dottorato di ricerca in Scienze delle Produzioni Vegetali

Programma di PRODUZIONI VEGETALI (26°ciclo)

SSD AGR/02 Agronomia e Coltivazioni erbacee

Le potenzialità delle colture legnose da biomassa a

destinazione energetica negli ambienti medit

caso di studio della SRC di pioppo

Valentina Giulietti

Scuola di Dottorato

Anno Accademico 2014-2015

Scuola di Dottorato in Scienze Agrarie e Veterinarie

Dottorato di ricerca in Scienze delle Produzioni Vegetali

Programma di PRODUZIONI VEGETALI (26°ciclo)

Coltivazioni erbacee

biomassa a

mediterranei.

SRC di pioppo

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(3)

INDICE

Sintesi della Tesi ... 5

1 Introduzione 1.1 Colture dedicate a destinazione energetica: ruolo ed importanza nell'ambito delle fonti rinnovabili ... 7

1.1.1 Cambiamenti globali ... 7

1.1.2 Prospettive per l'Europa ... 8

1.1.3 La situazione italiana ... 10

1.2 Il pioppo in Short Rotation Coppice ... 13

1.2.1 Specie e cloni di pioppo ... 14

1.2.2 Caratteristiche ecologiche del pioppo ... 16

1.2.3 Avversità ... 17

1.2.4 Tecnica colturale del pioppo in SRC ... 17

1.3 Obiettivi ... 21

1.4 Il sito di studio ... 22

2 Effetti dell'irrigazione e del tipo di suolo sulla produttività della SRC di pioppo in ambiente mediterraneo 2.1 Introduzione ... 24

2.2 Materiali e metodi ... 26

2.2.1 Descrizione della prova e gestione dell'impianto ... 26

2.2.2 Rilievi biometrici e produttivi ... 31

2.2.3 Stima della biomassa ... 33

2.2.4 Stima dell'efficienza d'uso dell'acqua ... 35

2.2.5 Analisi statistica ... 35

2.3 Risultati ... 36

2.3.1 Andamento climatico ed irrigazione ... 36

2.3.2 Caratteristiche biometriche ... 39

2.3.3 Rese produttive ... 43

2.3.4 Efficienza d'uso dell'acqua ... 48

2.4 Discussione e conclusioni ... 49

3 Effetti dell'irrigazione e del tipo di suolo sull'andamento della crescita e sull'efficienza d'uso della radiazione della SRC di pioppo in ambiente mediterraneo 3.1 Introduzione ... 54

3.2 Materiali e metodi ... 56

3.2.1 Monitoraggio della dinamica di produzione della biomassa epigea ... 56

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3.2.3 Stima dell'efficienza d'uso della radiazione (RUE) ... 59

3.2.4 Analisi statistica ... 61

3.3 Risultati ... 62

3.3.1 Dinamica di produzione della biomassa epigea ... 62

3.3.2 Plant Area Index e PAR intercettato ... 67

3.3.3 Efficienza d'uso della radiazione (RUE) ... 73

3.4 Discussione e conclusioni ... 75

4 Effetti dell'irrigazione e del tipo di suolo sulle asportazioni di nutrienti della SRC di pioppo in ambiente mediterraneo 4.1 Introduzione ... 79

4.2 Materiali e metodi ... 82

4.2.1 Il sito di studio e descrizione della prova ... 82

4.2.2 Rilievi sperimentali ... 82

4.2.3 Analisi statistica ... 84

4.3 Risultati ... 84

4.3.1 Asportazioni ... 84

4.3.2 Efficienza d'uso dei macronutrienti (NUE) ... 88

4.3.3 Biomassa fogliare e apporto di nutrienti al suolo ... 89

4.4 Discussione e conclusioni ... 91

5 Conclusioni e prospettive future Bibliografia ... 98

(5)

Sintesi della Tesi

Le colture legnose destinate a fornire biomassa per la produzione di energia sono normalmente realizzate su terreni agrari con tecniche agronomiche paragonabili a quelle proprie delle colture erbacee, con la completa meccanizzazione di tutte le operazioni colturali. Il modello colturale attualmente in uso per la coltivazione di specie legnose dedicate alla produzione di biomassa prevede turni brevi di ceduazione ed elevate densità d’impianto ed è comunemente definito Short Rotation Coppice (SRC). In Italia, Populus è il genere più largamente utilizzato per le SRC e la ricerca ha portato a selezionare specie e cloni dalle elevate potenzialità produttive. In ambiente mediterraneo, però, la capacità produttiva del pioppo sembra essere decisamente inferiore rispetto a quella di alcune colture erbacee a destinazione energetica, quali Miscanthus x

giganteus e Arundo donax. Inoltre, le elevate esigenze idriche rendono la specie scarsamente

adatta a sistemi di coltivazione non-irrigui in aree caratterizzate da climi siccitosi e suoli con bassa capacità di ritenzione idrica.

L' obiettivo della ricerca è stato quindi quello di portare nuovi elementi di valutazione delle potenzialità produttive delle SRC di pioppo in ambiente mediterraneo ed osservare le risposte della coltura in condizioni di differente disponibilità idrica. A tale scopo sono state realizzate due prove sperimentali su due differenti tipologie di suolo (franco e sabbioso-franco), con due cloni (AF2 e Monviso) gestiti con differenti regimi irrigui (100% e 50% dell'evapotraspirazione potenziale, nessuna irrigazione). Il turno di taglio adottato è stato quello biennale e la sperimentazione ha riguardato un arco temporale di quattro anni (2009-2012). Gli aspetti che sono stati analizzati in funzione dei tre fattori considerati (suolo, clone e irrigazione) sono: la produttività della coltura, la dinamica dell'accrescimento insieme all'efficienza d'uso della radiazione ed infine l’asportazione dei nutrienti misurata alla raccolta.

E’ stato chiaramente dimostrato l'effetto positivo dell'irrigazione sulla resa alla raccolta. Diversa è stata la risposta nell'interazione dei fattori considerati, infatti, alla fine del primo ciclo produttivo su suolo franco l'irrigazione ha portato un beneficio misurabile solo con il massimo dell'apporto idrico, mentre su suolo sabbioso-franco un livello moderato d'irrigazione è stato sufficiente per migliorare le condizioni di crescita delle piante. Alla seconda raccolta, è stata osservata una differenziazione tra idue cloni legata al tipo di suolo, confermata anche dai valori di efficienza agronomica d'uso dell'acqua (WAE). Monviso ha mostrato le migliori produzioni su suolo franco con 28. 8 Mg ha-1 anno-1 (media dei tre livelli irrigui), seguito da AF2 con 23.4 Mg ha-1 anno-1. Su suolo sabbioso-franco, invece, Monviso è stato decisamente al di sotto dei livelli produttivi di AF2 (9.9 Mg ha-1 anno-1).

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momenti del ciclo vegetativo la coltura abbia subito un rallentamento nello sviluppo e quali fattori, tra quelli considerati nella prova, l’abbiano determinato. Le condizioni limitanti del terreno sabbioso-franco sono emerse, quando l'apporto idrico è stato esclusivamente meteorico, con una crescita lenta e ridotta per entrambi i cicli biennali. In particolare, nel 2012, è stato osservato un diverso andamento della crescita nei due cloni, con incrementi costantemente molto bassi nel caso di Monviso. Alti tassi di crescita, sia per la biomassa legnosa (somma di fusto e rami) che per quella fogliare, sono stati osservati al secondo anno di ogni ciclo produttivo (2010 e 2012). Questi sono gli anni in cui i due cloni hanno mostrato una diversa efficienza d'uso della

radiazione (RUE), in particolare su suolo franco. Infatti mentre i valori di RUE del clone AF2

non hanno mostrato significative variazioni nei due livelli irrigui per Monviso sono risultati sempre crescenti all’aumentare dell'apporto irriguo.

Le asportazioni dei macronutrienti alla raccolta, hanno confermato le limitate esigenze

nutrizionali del pioppo: 124 kg kg-1 di N, 257 kg kg-1di P e 951 kg kg-1 di K. Le maggiori asportazioni sono state riscontrate su suolo franco (2012), dove sono state osservate le rese più elevate. Il clone Monviso, alla seconda raccolta, ha mostrato i valori più alti di asportazioni ma con un’efficienza d'uso dei nutrienti (NUE) mediamente inferiori a quella di AF2, per tutti e tre i nutrienti analizzati.

In conclusione dalla ricerca emerge che su terreno sabbioso, in ambiente mediterraneo è

indispensabile compensare l'apporto idrico naturale con l'irrigazione per ottenere buone produzioni. Su questa tipologia di suolo i migliori risultati sono stati ottenuti con il clone AF2, in condizioni irrigue, per questo sarebbe interessante indagare maggiormente le potenzialità del clone in condizioni limitanti. Su terreno franco l'irrigazione non svolge un ruolo così importante ma porta ad elevate produzioni ed asportazioni, in particolare per il clone Monviso. Questo clone potrebbe essere interessante, oltre che per la produzione di biomassa da energia, anche per la riduzione del rischio di eutrofizzazione delle acque attraverso la sua azione fitodepurativa.

(7)

1

Introduzione

1.1

Colture dedicate a destinazione energetica: ruolo ed importanza nell'ambito

delle fonti rinnovabili

1.1.1 Cambiamenti globali

Il settore energetico, più di altri, si trova ad affrontare il cambiamento climatico, oltre alla riduzione progressiva della sicurezza negli approvvigionamenti, alla crescita e alla volatilità dei prezzi dell’energia dominati dalla impetuosa domanda dei paesi ad economia emergente.

Il cambiamento climatico conseguente al riscaldamento dell'atmosfera terrestre, è causato principalmente dall'effetto serra dovuto all'elevata presenza in atmosfera di Greenhouse Gases (GHG) quali l'anidride carbonica (CO2), il protossido d'azoto (N2O), il metano (CH4) e i gas fluorurati. L’utilizzo di energia di origine fossile è la principale fonte antropica di GHG, come emerge dal contributo del III Gruppo di lavoro (su Mitigazione del Cambiamento Climatico) al Quinto Rapporto di Valutazione dell' Intergovernmental Panel on Climate Change (Edenhofer et al. 2014). Le emissioni di CO2 dai combustibili fossili e dai processi industriali hanno contribuito per circa il 78% all'aumento dei GHG, nel periodo 1970-2010, raggiungendo i maggiori aumenti a scala decennale negli ultimi 10 anni (2000-2010). Infatti, nonostante le politiche volte a mitigare i cambiamenti climatici, le emissioni annuali di gas serra sono cresciute in media del 2.2 % all’anno, valore molto più alto rispetto alla media dell’1.3% del periodo 1970-2000.

Nel documento viene riconosciuto il ruolo fondamentale delle bioenergie per la mitigazione dei cambiamenti climatici. Considerando la sostenibilità delle pratiche e l'efficienza dei sistemi bioenergetici, le agroenergie sono considerate opzioni a bassa intensità di emissioni, e pertanto in grado di mitigare i cambiamenti climatici. Fra le principali sorgenti di biomassa ad uso energetico sono state individuate alcune colture dedicate, quali la canna da zucchero, il miscanto e le specie arboree a rapida crescita e i residui del settore primario e dell’agroindustria. Le effettive potenzialità energetiche di queste tipologie di biomassa però dipendono dalla specificità delle aree di produzione e necessitano di sistemi efficienti di governance e gestione sostenibile del territorio (Edenhofer et al. 2014).

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Figura 1.1. Emissioni antropogeniche annuali di GHG (GtCO2eq yr -1

) diviso per gruppi di gas dal 1970 al 2010: CO2 dalla combustione dei combustibili fossili e dai processi industriali (arancione), selvicoltura ed altri usi del suolo (FOLU), metano (CH4); protossido diazoto (N2O); gas fluorurati coperti dal Protocollo di Kyoto (F-gases). Nel lato destro dell'immagine vengono mostrate le emissioni del 2010 di GHG divise nelle loro componenti e associate ai livelli di incertezza (intervallo di confidenza del 90%) e indicati dalle barre di errore. [Fonte: Edenhofer et al. 2014]

1.1.2 Prospettive per l'Europa

Nel marzo 2007 il Consiglio europeo ha lanciato la strategia “20-20-20” stabilendo tre ambiziosi obiettivi da raggiungere entro il 2020 (prendendo come livelli di riferimento quelli del 1990):

- ridurre i gas ad effetto serra del 20%;

- ridurre i consumi energetici del 20% aumentando l'efficienza energetica; - soddisfare il 20% del fabbisogno energetico europeo con energie rinnovabili.

Dopo questa dichiarazione d'intenti, nel dicembre del 2008, è stato approvato il Pacchetto Clima ed Energia, che istituisce sei strumenti legislativi europei volti a tradurre in pratica gli obiettivi al 2020, fra i quali la Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili. Fra le fonti rinnovabili, l'8% dovrà essere generato da biomasse e biocarburanti, questi ultimi con un utilizzo minimo obbligatorio pari al 10% del mercato dei carburanti, incentivando così la produzione di biocarburanti di seconda generazione, a minor impatto ambientale, provenienti dal settore agricolo. A livello nazionale la Direttiva 2009/28/CE è stata recepita del Decreto Legislativo n. 28/2011, che ha definito, attraverso una serie di decreti attuativi emanati dal Ministero dello Sviluppo Economico, gli strumenti, i meccanismi, gli incentivi e il quadro istituzionale, finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli obiettivi fissati per il 2020 in materia di quota complessiva di energia da fonti rinnovabili.

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Figura 1.2. Consumo interno lordo di energia per carburante (UE-28, con Islanda, Norvegia e Turchia), 1990-2012. Nota: le seguenti percentuali quantificano la proporzione del consumo complessivo interno di energia a cui ogni carburante ha contribuito nel 2012: petrolio 34%, gas 23%, carbone e lignite 18%, nucleare 14%, fonti rinnovabili 11%. [Fonte: EEA 2014]

In Europa il consumo di carburante è principalmente di origine fossile mentre le fonti rinnovabili rappresentano solo l'11% del consumo complessivo, ma con un andamento crescente particolarmente evidente dal 2002 (Figura 1.2). Per arrivare ad una trasformazione energetica efficiente in Europa ed arrestare il continuo predominio del mercato dei combustibili fossili sarà necessario un forte impegno diretto a migliorare l’efficienza energetica, ad incrementare l’utilizzo dell’energia rinnovabile con un continuo adattamento, climatico e ambientale, dei progetti energetici. Per questo di fondamentale importanza saranno investimenti e cambiamenti normativi al fine di adattare le reti di distribuzione e facilitare la crescita delle energie rinnovabili (AEA 2015).

Alla “economia delle basse emissioni di carbonio” motivata dai cambiamenti climatici (Cherubini et al. 2009, Njakou Djomo et al. 2011) deve affiancarsi l'efficienza nell’impiego delle risorse, considerando che uno sviluppo economico basato su un uso, in continuo aumento, delle risorse non-rinnovabili, non è più sostenibile. L'”impronta ecologica” del continente (cioè l'area necessaria per soddisfare la domanda di risorse dell'Europa) è grande due volte il suo territorio (WWF 2014) e l'Unione Europea dipende sempre di più dalle importazioni per soddisfare il suo fabbisogno di risorse (AEA 2015). Negli ultimi 50 anni la popolazione mondiale è raddoppiata, raggiungendo i 7 miliardi attuali e nell'Unione Europea l'incremento è stato del 14%.

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Nello stesso periodo le terre coltivate dell'UE sono diminuite del 15% (FAOSTAT-http://faostat3.fao.org/home/E), anche se questa diminuzione è stata largamente compensata dallo sviluppo di nuove tecnologie in agricoltura e dal miglioramento genetico delle cultivar (Cosentino

et al. 2012). La riduzione delle terre utilizzate per l'agricoltura food rende disponibili terreni per

colture alternative come quelle da bioenergia (Krasuska et al. 2010, Allen et al. 2014). La superficie potenzialmente disponibile per colture "no-food" in Europa, attualmente viene stimata essere 13.2 milioni di ha, principalmente costituiti da terreni incolti (Krasuska et al. 2010). Un interessante ricerca portata avanti da Cosentino et al. (2012) ha simulato la potenziale distribuzione in Europa di numerose colture da bioenergia, basandosi su parametri agronomici e ambientali nelle condizioni attuali e secondo scenari futuri (2020 e 2030). Alcuni degli aspetti che emergono riguardano le regioni del sud-Europa (MDN e MDS, nord e sud mediterraneo), fra le quali rientra l'Italia, dove da una parte si osservano criticità dovute all'aumento del rischio di stress idrici, di elevate perdite per evapotraspirazione dalle colture e di eventi meteorologici estremi (García-Ruiz et al. 2011) e dall'altra gli aspetti positivi che caratterizzano queste zone come il periodo vegetativo lungo e le temperature favorevoli (con ridotto rischio di gelate). Quest'ultime caratteristiche favorirebbero l’ottenimento di buone produzioni soprattutto da parte di colture energetiche di tipo lignocellulosico (Krasuska et al. 2010). Inoltre viene evidenziato come lo sviluppo delle tecnologie sarà il fattore con il maggiore impatto sul futuro di queste colture, soprattutto attraverso l'introduzione di nuove varietà ed il miglioramento delle tecniche di gestione, che permetteranno di mitigare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici previsti per le regioni mediterranee (Cosentino et al. 2012).

1.1.3 La situazione italiana

In Italia, nel 2013, si è raggiunto un consumo totale di energia da fonti rinnovabili (FER) di 20 Mtep, pari a 241 TWh, di cui oltre la metà si concentra nel settore termico. La produzione di energia da biomasse rappresenta il 16% dell'energia elettrica prodotta dalle FER e il 73% di quella termica. In quest'ultimo settore, la biomassa maggiormente utilizzata è la frazione "biomassa solida" (oltre 6,7 Mtep), in gran parte costituita dalla legna da ardere e da pellet per il riscaldamento nel settore residenziale (GSE, 2015).

Il termine biomassa riunisce materiali molto diversi tra di loro per origine, caratteristiche fisiche, chimiche, e di conseguenza per tecnologia d’impiego. La biomassa costituisce una forma di intercettazione dell’energia solare, accumulata come energia chimica in macromolecole. Secondo la legislazione comunitaria (Dir. 2009/28/CE) sulla promozione dell’uso dell’energia rinnovabile, si intende per “biomassa”: "la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla selvicoltura e dalle

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industrie connesse, comprese la pesca e l’acqua-coltura, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”.

Se si considera il comparto di provenienza, le biomasse destinate alla trasformazione energetica possono essere suddivise come segue:

- comparto forestale e agroforestale - residui della selvicoltura o di attività forestali (es. utilizzazione di boschi cedui);

- comparto agricolo - residui colturali, colture dedicate di specie lignocellulosiche, oleaginose, alcoligene;

- comparto zootecnico - reflui zootecnici;

- comparto industriale - residui provenienti da industria del legno e della carta, scarti agroalimentari;

- rifiuti urbani – frazione organica dei rifiuti solidi urbani, residui delle operazioni di manutenzione del verde pubblico.

In questo quadro il sistema agroforestale presenta grandi potenzialità al fine della produzione di biomassa a scopi energetici. I suoi “prodotti” sono sicuramente i più diffusi e facilmente reperibili. I boschi ricoprono il 35% del territorio nazionale e potrebbero rappresentare la fonte principale, ma anche il settore agricolo potrebbe svolgere un ruolo importante con i residui colturali e lo sviluppo di filiere agro-energetiche. Queste ultime inoltre rappresentano un'opportunità per la diversificazione delle attività agricole e per l'integrazione del reddito agricolo.

Con il nuovo Piano di Sviluppo Rurale (PSR 2014-2020), fra le priorità di investimento si trova: "incentivare l'uso efficiente delle risorse e il passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio e resiliente al clima, nel settore agroalimentare e forestale". All'interno emergono i seguenti focus

area (che a loro volta si dividono in “misure”): “rendere più efficiente l'uso dell'acqua in

agricoltura”, “favorire l'approvvigionamento e l'utilizzo di fonti di energia rinnovabili, sottoprodotti, materiale di scarto, residui e altre materie grezze non alimentari ai fini della bioeconomia”, “ridurre le emissioni di metano e protossido d'azoto a carico dell'agricoltura” e “promuovere il sequestro del carbonio nel settore agricolo e forestale”. Oltre a queste, si trovano altre misure del PSR che interessano il settore delle agroenergie (Manarola 2015). La Regione Toscana ad esempio indica, nell'identificazione dei bisogni, la necessità di potenziare fortemente la produzione di calore soprattutto da biomasse agro-forestali. Sempre nell'ambito del PSR, la promozione delle energie rinnovabili nelle aziende agricole passa anche attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori della filiera attraverso i progetti integrati di filiera (PIF). E' proprio grazie a questi strumenti che è possibile arrivare a sviluppare scelte a livello di pianificazione e di imprenditoria costruendo reti territoriali, distretti agro-energetici, in cui le imprese agricole siano in grado di garantire

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l'autosufficienza energetica attraverso fonti rinnovabili di origine agricola situate esclusivamente nell'ambito territoriale e mediante l'utilizzo di tecnologie efficienti negli usi finali (Bonari et al. 2009).

Particolarmente complessa risulta la valutazione delle filiere agro-energetiche attivabili negli ambienti mediterranei dove la diversa disponibilità delle risorse naturali, costituendo in alcuni casi un fattore limitante la produttività delle colture agrarie, ha portato nel tempo a delineare differenti ambienti rurali. Le agroenergie potranno collocarsi all'interno di questi ambienti solo valutando attentamente i rischi d'impatto connessi all'introduzione di differenti filiere produttive (Bonari et al. 2009).

Le colture energetiche possono essere raggruppate in base alla composizione della biomassa da loro ricavata (e successiva destinazione energetica):

• colture da carboidrati (cereali vernini, mais, barbabietola da zucchero e sorgo zuccherino) caratterizzate da un alto contenuto di zuccheri e per questo la biomassa può essere destinata alla produzione di biodisel e biogas

• colture oleaginose (soprattutto girasole e colza) caratterizzate da un elevato contenuto in olio, dal quale si produce biodisel

• colture da biomassa lignocellulosica, specie caratterizzate da elevata produzione di sostanza secca, che può essere destinata a diversi utilizzi energetici (combustione, gassificazione o pirolisi, produzione di biocarburanti di seconda generazione).

Fra le colture da biomassa lignocellulosica, quelle che in Italia vengono riconosciute come potenzialmente interessanti e più promettenti in termini di produttività, adattabilità e facilità di gestione (Bonari et al. 2004, Candilo e Facciotto 2012) sono: sorgo da fibra, fra le specie erbacce annuali; cardo, miscanto, canna comune e panico fra le specie erbacee poliennali; pioppi, robinia ed eucalipti fra le specie arboree, gestite come ceduo a turno breve.

Alle colture da biomassa lignocellulosica vengono richieste alcune importanti caratteristiche, quasi mai soddisfatte tutte in un unica specie: facilità di reperimento del materiale di propagazione, contenuti costi d'impianto, elevata efficienza nella conversione dell'energia solare, elevato tasso di crescita giornaliero mantenuto a lungo nel tempo, elevata efficienza d'uso dell'acqua e dei nutrienti, elevata resistenza a stress biotici e abiotici, competitività nei confronti delle infestanti, buona qualità della biomassa alla raccolta (basso contenuto di umidità, buona composizione delle ceneri).

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1.2

Il pioppo in Short Rotation Coppice

La maggior parte delle specie arboree dedicate alla produzione energetica sono gestite come "cedui a turno breve" (SRC). Il ceduo è una forma di governo del bosco che porta all'utilizzazione della sola parte aerea delle piante, mentre la ceppaia, che rimane sul terreno, provvede alla ricostituzione della pianta con l'emissione dei polloni. La longevità della ceppaia permette di assicurare numerose generazioni di polloni. La rinnovazione avviene per via vegetativa, con la formazione dei polloni attraverso le gemme (Piussi 1994). Anche in bosco, come per le SRC, l'obiettivo è quello di produrre biomassa a scopo energetico. Le piantagioni a turno breve di ceduazione, da biomassa a scopo energetico, sono per lo più colture gestite intensivamente, con densità d’impianto variabili da 10.000-1000 piante ad ettaro, con turni di taglio di 1-5 anni e con la completa meccanizzazione delle operazioni colturali, dall’impianto alla raccolta. L’obiettivo è principalmente quello di produrre grandi quantità di biomassa, per lo più in forma di cippato, a costi più bassi possibile, per usi energetici. Attualmente nel nostro Paese ci sono circa 6700 ha di SRC (Figura 1.3) (Facciotto 2012), con turni di 2-5 anni, costituiti in grande prevalenza da pioppi ibridi espressamente selezionati per questo tipo di coltivazione ed utilizzazione.

La maggior parte è stata costituita fra il 2000 e il 2006 nelle regioni della Pianura Padana, in particolare in Lombardia (contributi PSR) e Veneto (Legge Regionale d'incentivazione delle biomasse ad uso energetico). In queste regioni dopo il 2006 le superfici impiegate sono crollate perché sono mancati gli incentivi, mentre sono aumentati in Piemonte. In Emilia Romagna l'aumento fra il 2007 e il 2010 è dovuto ai programmi di riconversione della filiera bieticolo-saccarifera in filiera agro-energetica (Coaloa 2011).

(14)

1.2.1 Specie e cloni di pioppo

Le specie del genere Populus da cui derivano i cloni più utilizzati nell’ambito della pioppicoltura e delle piantagioni ad uso energetico sono: il pioppo nero (Populus nigra L.), il pioppo nero americano (Populus deltoides Marsh.) e gli ibridi fra queste due specie.

Il Pioppo nero vegeta in quasi tutta l’Europa centrale e centro- meridionale, l’Africa settentrionale e l’Asia Centrale. In Italia si trova sporadicamente allo stato spontaneo lungo i corsi d’acqua dal livello del mare fino ai 1200 m nelle Alpi e 1600 circa negli Appennini (Gellini 1980) . Nel tempo ha subito una forte erosione genetica a causa delle bonifiche e della diffusione delle cultivar e degli ibridi con il Populus deltoides. L’European Forest Genetic Resources (EUFORGEN - http://www.euforgen.org) ha recentemente lanciato un progetto internazionale per la conservazione dei genotipi di Populus nigra e del suo utilizzo in SRC (Dillen et al. 2011, Benetka et al. 2014).

L’americano P. deltoides ha un areale di diffusione molto vasto, comprendente tutto il settore orientale degli Stati Uniti e, marginalmente, il Canada. Lo si trova in foreste planiziarie: si addensa vicino ai grandi fiumi dove le periodiche esondazioni gli procurano depositi terrosi da colonizzare. L’introduzione in Europa è avvenuta agli inizi del Settecento (Bernetti 1995).

Per essere ammessi alla produzione e alla commercializzazione i cloni di pioppo devono essere iscritti al Registro Nazionale dei Materiali Forestali di Base (RNMFB, nella categoria “controllati” in virtù del D.L. 386/03 di recepimento della direttiva 1999/105/CE), che elenca e descrive le specie e le varietà coltivabili a fini economici. La pioppicoltura italiana può attualmente contare su circa cinquantacinque cloni (Facciotto 2008). Inoltre, con Decreto Ministeriale (D.M. 17132) del 13/03/2015 viene istituito l'"Osservatorio Nazionale per il Pioppo", dopo la soppressione della Commissione Nazionale per il Pioppo del 2012. La sua istituzione mira a favorire lo sviluppo della coltivazione del pioppo ed in generale delle piante da legno ad uso industriale ed energetico allevate fuori foresta, per soddisfare le aspettative economiche degli agricoltori e degli utilizzatori e per accrescere la disponibilità di legno nazionale nel rispetto delle risorse ambientali. L’Osservatorio avrà anche il compito di valutare le attività di sperimentazione per la selezione dei cloni e le richieste di registrazione degli stessi nel Registro Nazionale dei Materiali Forestali di Base. Tale attività riveste particolare importanza in vista del nuovo Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020 e della necessità di individuare nuovi cloni che garantiscano una adeguata sostenibilità ambientale.

La selezione di cloni specifici per la produzione di biomassa viene effettuata in funzione di alcuni parametri che rivestono particolare importanza, quali:

• l’adattabilità alle particolari condizioni agro-pedoclimatiche del sito di impianto; • la resistenza alle avversità;

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• la capacità di ricaccio dopo la ceduazione; • la vigoria dell'accrescimento giovanile.

Si assisterà ad una graduale transizione verso una coltura multiclonale, imposta proprio da ragioni ambientali e fitosanitarie - così come si è verificato in Francia, dove la coltivazione di alcuni cloni suscettibili ad alcune malattie è stata vietata (Picco et al. 2007). Dall’altro lato, è stato però verificato che, proprio a causa dell’elevata densità degli impianti di SRC, i fenomeni di competizione sono molto precoci e portano rapidamente al deperimento dei cloni meno vigorosi. Il riconoscimento della “sostenibilità” complessiva (ambientale, sociale ed economica) potrà essere garantito dai percorsi di certificazione che già stanno sviluppandosi in alcune Regioni nell’ambito della pioppicoltura (es. Friuli Venezia Giulia).

La forma più antica di utilizzo dei pioppi nel contesto agricolo è la pioppicoltura di “ripa”che permetteva lo sfruttamento dei margini dei campi per produrre legno, frasca da foraggio, azione frangivento, ombreggiamento e ornamento. La pioppicoltura specializzata è un’attività più recente che implica l’impianto di pioppeti più o meno estesi in vista della produzione di legno con densità di 300-400 piante ad ettaro e turni di 9-15 anni, implicando maggiori attenzioni nella coltivazione e nella scelta delle varietà. In Italia, nel 2012 (dati International Poplar Commission - http://www.fao.org/forestry/ipc/en/), le piantagioni di pioppo occupavano una superficie totale di 101 mila ha di cui il 65% riguardava la pioppicoltura da legno e solo il 5% il ceduo a turno breve, il resto era costituito da formazioni semi-naturali. La pioppicoltura riveste tuttora una notevole importanza nel mercato italiano del legno (Bisoffi et al. 2009), infatti nonostante che occupi meno dell'1% della superficie forestale, produce annualmente oltre il 60% del legno da opera o di latifoglie in Italia (ISTAT 2012).

Un altro interessante utilizzo di questa specie riguarda interventi di ripristino di situazioni ambientali degradate, vuoi per inquinamento di falde e terreni con metalli pesanti, idrocarburi e azoto (Licht e Isebrands 2005, Pistocchi et al. 2009; Fillion et al. 2011), vuoi per la ricostituzione di ambienti “naturaliformi” in zone manomesse dall’uomo, quali cave e discariche e situazioni di dissesto idro-geologico (Baronti 2007).

Infine, nel corso degli ultimi vent'anni si è sviluppata la sperimentazione di piantagioni policicliche, nelle quali il pioppo viene coltivato insieme ad altre specie arbustive ed arboree con cicli produttivi di differente lunghezza. In queste piantagioni il pioppo viene utilizzato, come specie principale a ciclo breve, ed utilizzato mediamente dopo sette anni quando raggiunge le dimensioni idonee alla commercializzazione (Buresti et al. 2001, 2008).

(16)

1.2.2 Caratteristiche ecologiche del pioppo

I pioppi da coltura destinata alla produzione di biomassa lignocellulosica sono tutti variamente esigenti, sia in termini di fertilità del terreno che di disponibilità di acqua. Questo dipende dalla specie, dai cloni e dal risultato incrementale atteso (Bonari et al. 2004).

Per quanto riguarda le esigenze termiche, i pioppi hanno bisogno di un periodo vegetativo di almeno 220 giorni con temperatura superiore a 5°C. Tutte le specie di pioppo di origine europea o americana resistono a temperature minime invernali anche inferiori ai –20°C e all'inizio del periodo vegetativo possono resistere fino a temperature di –2°C, purché queste non si protraggano per troppe ore. Le gelate autunnali risultano le più pericolose per i pioppi (Bernetti 1995).

Tutte le specie hanno orientativamente bisogno di precipitazioni medie annue di almeno 700 mm; pur tollerando il pioppo una discreta siccità estiva, in terreni collinari e/o laddove non sia presente una falda che la pianta possa raggiungere, è opportuno che le precipitazioni estive ammontino ad almeno 100-150 mm. Le esigenze di acqua sono evidenziate dagli alti livelli della traspirazione rispetto a quelli di specie agrarie coltivate tradizionalmente, i valori stimati di Kc (coefficiente colturale) riportati in bibliografia per il pioppo sono molto diversi fra loro anche a causa della diversa metodologia utilizzata (Pistocchi et al. 2009, Migliavacca et al. 2009, Trnka et

al. 2013, Fisher et al. 2013b). L'efficienza d'uso dell'acqua e la resistenza alla siccità variano

significativamente la produttività dei cloni di pioppo (Monclus et al. 2009), per questo la selezione dei cloni più adatti risulta un importante strategia per l'utilizzo del pioppo in aree dove l'acqua è un fattore limitante (Vance et al. 2014).

I pioppi sono esigenti in termini di fertilità del suolo, disponibilità d’acqua e aerazione del terreno. Ne consegue che la coltivazione della SRC dovrebbe essere realizzata soprattutto in terreni agricoli con tessitura tendenzialmente sciolta o di medio impasto, comunque mai eccessivamente fine (con un contenuto di limo e argilla non superiore al 50%), con giacitura pressoché pianeggiante (anche per consentire la meccanizzazione delle varie operazioni colturali), di sufficiente profondità (almeno 80-100 cm). Il pH del terreno dovrebbe essere il più possibile vicino alla neutralità e l’impianto della SRC risulta rischioso in terreni caratterizzati da un elevato contenuto in calcare attivo, da elevata salinità o da eccessiva torbosità; la presenza di orizzonti idromorfi a profondità inferiori a 1.5 m costituisce quasi sempre un fattore di rischio (Bernetti 1985). La tessitura del suolo è un fattore chiave che influenza la produttività del pioppo (Pinno et al. 2009, Vance et al. 2014) e anche l'interazione suolo x clone (Zalesny et al. 2009, Truax et al. 2012).

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1.2.3 Avversità

L’alta densità d’impianto della SRC di pioppo crea inevitabilmente un microclima caratterizzato da elevata umidità e questa è notoriamente condizione favorevole allo sviluppo di parassiti; si possono ad esempio verificare maggiori infestazioni di afide lanigero (Phloeomyzus passerinii) e di cocciniglie (Diaspis pentagona, Chionaspis salicis, Quadraspidiotus spp.), ma anche di alcuni insetti defogliatori come Phyllodecta vitellinae, oltre che di alcune crittogame tipiche come le ruggini (Melampsora spp.) (Giorcelli 2012) e la bronzatura (Marssonina brunnea).

Le frequenti ceduazioni favoriscono inoltre l’insediamento sulle ceppaie di insetti corticicoli e xilofagi attratti dai tessuti cicatriziali della pianta (Cossus cossus, Paranthrene tabaniformis,

Saperda carcharias e Cryptorhynchus lapathi). I teneri ricacci delle ceppaie costituiscono poi il

nutrimento preferito della Chrysomela populi, la cui azione defogliante può avere pesanti conseguenze in relazione alla delicata fase vegetativa della pianta. Data la grande massa fogliare la SRC di pioppo può essere oggetto di pericolosi attacchi da parte del lepidottero defogliatore

Leucoma salicis, capace di attaccare tutti i cloni e le specie di pioppo coltivate (Allegro 2002).

Il controllo fitosanitario dei parassiti nelle SRC presenta quindi diversi problemi, sia di tipo tecnico che economico e ovviamente ambientale; l’elevata densità delle piantagioni, infatti, oltre che creare un microclima particolarmente adatto a molte fitopatie, ostacola il movimento delle macchine e rende assai problematica la corretta distribuzione dei prodotti antiparassitari sia sui fusti che sulle chiome. Inoltre è impossibile raggiungere con gli insetticidi i parassiti xilofagi che vivono all’interno delle ceppaie. La migliore strategia di difesa appare quindi quella di tipo preventivo:

- impiego di cloni geneticamente resistenti;

- accurata scelta del sito d’impianto evitando, ad esempio, località caratterizzate da situazioni pedoclimatiche troppo sfavorevoli o prossime a sorgenti naturali d’infestazione come pioppeti o saliceti abbandonati;

- adeguate cure colturali in modo da mantenere le piante in condizioni di elevata vigoria, requisito spesso sufficiente a limitare le conseguenze degli attacchi;

- concimazione minerale equilibrata al fine dicontrollare le avversità, determinando in ogni caso un incremento della vigoria delle piante.

1.2.4 Tecnica colturale del pioppo in SRC

Preparazione del terreno. Questa operazione è senz’altro molto importante per una buona

riuscita dell’impianto di SRC e va quindi fatta in modo accurato, specialmente quando si tratta di suoli tendenzialmente pesanti. La lavorazione principale consiste di norma in un’aratura

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tradizionale ad adeguata profondità, oppure in una lavorazione a doppio strato (discissura profonda più aratura superficiale) o, ancora, in alcuni casi, anche nella sola ripuntatura/discissura profonda seguita da una energica frangizzollatura. La lavorazione principale può essere sfruttata anche per interrare ad adeguata profondità gli eventuali fertilizzanti che devono essere distribuiti prima dell’impianto della coltura. I successivi lavori complementari di preparazione del terreno al trapianto delle talee consistono sia in un paio di passaggi di estirpatore effettuati in inverno, in modo da affinare il terreno e controllare contemporaneamente la flora infestante sviluppatasi, sia in ripetuti interventi con erpice eseguiti poco prima del trapianto; in ogni caso, i lavori complementari dovranno consentire una buona messa a dimora e germogliazione del materiale di propagazione, senza però provocare un eccessivo affinamento dello strato superficiale che potrebbe provocare la formazione della dannosa crosta superficiale (Bonari et al. 2004).

Materiale di propagazione. Il materiale di propagazione è costituito da talee o astoni prodotti in

vivaio. La conservazione del materiale, da quando viene raccolto e preparato fino al suo impiego, avviene in celle frigorifere a una temperatura di 2 (±1)°C; per favorire una rapida ripresa vegetativa, le talee e gli astoni devono essere idratati in acqua corrente per almeno 48 ore prima della loro messa a dimora (Facciotto e Mughini 2003). La messa a dimora delle talee, con macchine trapiantatrici normalmente impiegate nelle aziende vivaistiche, avviene di norma a fine inverno o inizio primavera quando le temperature iniziano ad aumentare, ma il terreno è ancora in tempera e sufficientemente fresco da favorire l’impianto stesso e il rapido attecchimento della plantula.

Concimazione. Gli interventi di concimazione minerale trovano la loro piena giustificazione

nella determinazione delle asportazioni di elementi nutritivi per unità di sostanza secca prodotta e nella stima delle produzioni di biomassa attese (Heilman e Norby 1998). La quantità di nutrienti varia a seconda della percentuale di corteccia asportata e dall'età e dalle dimensioni delle piante (o dei polloni) raccolte (Tharakan et al. 2003, Guidi et al. 2008). Le reintegrazioni da apportare al terreno per mantenere inalterata la sua fertilità chimica, per ogni t ha-1 anno-1 di sostanza secca prodotta, si aggirano intorno ai 4-6 kg dei tre elementi N, P e K ; con la caduta delle foglie, infatti, il pioppo restituisce ogni anno al terreno circa il 60-80% dei nutrienti asportati, e ciò riduce di molto le asportazioni nette. Fosforo e potassio devono essere interrati con i lavori di preparazione del terreno per l’impianto, insieme all’azoto. Quest'ultimo va poi distribuito dopo ogni ceduazione (Facciotto e Mughini 2003, Bonari et al. 2004).

Irrigazione. L’irrigazione è una pratica sicuramente onerosa nel caso delle SRC di pioppo è da

prendere in considerazione esclusivamente per interventi di soccorso nel primo ed eventualmente nel secondo anno di vita dell’impianto (Facciotto 2006). In taluni casi può essere interessante prevedere il ricorso all’irrigazione della pioppeta a turno breve di ceduazione se si hanno a

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disposizione nelle immediate vicinanze adeguati quantitativi di acque reflue dei depuratori civili e soprattutto se l’impianto è stato realizzato su terreni tendenzialmente sciolti e non troppo dotati in sostanza organica (Zalesny et al. 2007, Paris et al. 2008, Canesin 2010) .

Controllo delle infestanti. Anche il controllo delle piante infestanti può risultare determinante

per un ottimale insediamento della SRC. In terreni caratterizzati da alto rischio di presenza di malerbe, può essere opportuno intervenire, subito dopo la messa a dimora delle talee, con prodotti residuali ad azione antigerminello che garantiscono di norma una copertura di circa 30-40 giorni. Nell’interfila il controllo delle malerbe viene di norma realizzato con una lavorazione meccanica superficiale, come la sarchiatura che, oltre ad effettuare la rottura della crosta superficiale, permette anche l’eliminazione delle specie infestanti eventualmente presenti. Dopo ogni taglio, il controllo delle infestanti è generalmente di tipo meccanico con una lavorazione superficiale.

Densità di impianto. Per stabilire la densità di impianto ottimale del ceduo a turno breve di

pioppo si devono considerare molte variabili e in primo luogo il turno di taglio con cui si prevede di gestire l’impianto; con l’aumentare della densità i fenomeni di competizione iniziano più precocemente per cui generalmente si associano elevate densità di impianto a turni di taglio più brevi. Nel complesso i migliori risultati, con turni di taglio biennale o triennale, sono stati ottenuti con densità di 6.000-10.000 talee ad ha (Bergante e Facciotto 2006).

Per quel che riguarda il sesto di impianto, le talee possono essere disposte in campo su file singole o binate, in relazione al tipo di attrezzatura meccanica che viene poi utilizzata sia per la coltivazione che per la raccolta (Verani et al. 2014). Le file singole consentono un miglior controllo meccanico delle infestanti e possono essere realizzate con distanze interfilari variabili da un minimo di 1,60 m fino a 2,50 m.

Turno di taglio . Il ceduo a turno brevissimo, con ceduazioni ogni 2-3 anni è quello utilizzato

nei paesi scandinavi e lì associato a densità elevatissime (fino a 10000 piante a ha). Considerando cicli produttivi di 12 anni, è stato osservato come il miglior turno di taglio per la coltura, anche in termini di sostenibilità agronomica e ambientale, è quello triennale (Nassi o Di Nasso et al. 2010). La SRC a turno breve, ogni 5-8 anni, è quella chiamata anche a media rotazione o modello americano (Bergante e Facciotto 2006). Per quest'ultima la fase di raccolta è ancora da mettere a punto, attualmente si usano macchine forestali impiegate nella raccolta dei pioppeti tradizionali (Spinelli et al. 2008).

Raccolta. Il taglio produttivo della SRC di pioppo viene eseguita in inverno, da novembre a

marzo, quando le piante sono in completo riposo vegetativo; del resto, il taglio durante il periodo vegetativo da un lato potrebbe compromettere la vitalità delle ceppaie e dall’altro produrrebbe biomassa con un altissimo tenore di umidità.

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Rispetto alle colture erbacee da biomassa (come miscanto e canna comune) la raccolta della SRC risulta essere più difficoltosa a causa di vari fattori, tra cui spiccano la consistenza del legno, che richiede grandi potenze per la sua sminuzzatura ed il fatto che nei tagli successivi al primo, le ceppaie presentano un numero crescente di polloni di dimensioni sempre maggiori, rendendo sempre più difficile il taglio e la trinciatura e/o la movimentazione dei fusti.

Per migliorare la meccanizzazione della raccolta, nel corso degli ultimi anni sono stati studiati e realizzati numerosi prototipi e non mancano ormai macchine raccoglitrici prodotte in serie. In base alle esperienze suddette e alle conseguenti valutazioni economiche, si può fare senz’altro una differenziazione tra i tipi di cantiere di raccolta: 1. operazioni di taglio, cippatura e carico realizzate contemporaneamente (cantieri riuniti), il cantiere di lavoro si completa con un rimorchio trainato da un trattore (o dalla stessa macchina raccoglitrice) in cui viene convogliata la biomassa per il successivo trasporto al piazzale; 2. raccolta e triturazione eseguita in tempi diversi (a cantieri separati), prima l’operazione di taglio e concentrazione dei polloni e, successivamente, la cippatura ed il carico della biomassa sul mezzo di trasporto. La soluzione del cantiere di “abbattimento e concentrazione” presenta generalmente il vantaggio di avvalersi di macchinari più semplici e, soprattutto, di poter stoccare temporaneamente le piante intere, che possono esser lasciate essiccare naturalmente senza grandi rischi di perdite di biomassa per fermentazione. Per contro, lo svantaggio di questo tipo di cantiere è costituito da una maggior complessità della logistica complessiva avendo la necessità di movimentare più volte la biomassa e di utilizzare per questo macchinari diversi.

Stoccaggio. Considerando che la raccolta può essere realizzata soltanto durante la stagione

invernale - in un periodo di tempo inevitabilmente ristretto - e che l’industria di conversione ha invece bisogno di armonizzare i carichi di lavoro e, quindi, di utilizzare la biomassa per un periodo di tempo più prolungato, risulta necessario stoccare la biomassa raccolta in attesa del suo utilizzo finale. A tale proposito i risultati della sperimentazione condotta nel nostro Paese dimostrano che in ogni caso l’elevato grado di umidità iniziale del cippato può determinare fenomeni di fermentazione spontanea che possono portare a perdere fino al 30% della sostanza secca della biomassa iniziale. Per ovviare a questo, vengono indicate le seguenti modalità: 1. stoccaggio del cippato; per ridurre le perdite deve essere realizzato in grandi cumuli, con cippato di pezzatura grande (Barontin et al. 2013); 2. stoccaggio di piante intere; seppur compiuto nel periodo invernale e senza copertura permette in ogni caso di ridurre le perdite per fermentazione.

Qualità della biomassa alla raccolta. La biomassa prodotta è ritenuta di buona qualità e

migliore rispetto alle colture da energia erbacee. In particolare è caratterizzata da un basso contenuto in ceneri e in metalli alcalini, i quali sono la causa principale di gravi problemi tecnici per la produzione di energia elettrica, come ad esempio incrostazioni. Il rapporto tra il contenuto di

(21)

corteccia e quello di legno nella biomassa del pioppo, come per altre specie legnose, è un indice importante per la valutazione della qualità del materiale prodotto. Emerge come in SRC di pioppo non sia conveniente, da un punto di vista della qualità del materiale prelevato, tagliare piante caratterizzate da un diametro (a 1.30 m da terra) inferiore a 4 cm per l’elevata percentuale di corteccia presente (Guidi et al 2008).

Il potere calorifico inferiore del legname di pioppo ha valori che oscillano tra 15.78 e 24.27 MJ kg-1 con una percentuale di ceneri che varia tra lo 0.47 e l’1.85%.

Ripristino del terreno. Uno dei problemi pratici che nel caso della SRC di pioppo maggiormente

preoccupano l’agricoltore riguarda le possibili operazioni di ripristino del terreno necessarie per riportarlo, alla fine del ciclo colturale della SRC, in condizioni di originaria normalità rispetto alle esigenze delle colture erbacee di pieno campo. Le tecniche attualmente utilizzate sono due: estrazione o triturazione. La prima veniva effettuata con escavatori muniti di pinza Pallari, appositamente disegnata per sdradicare e spaccare le ceppaie (Verani et al. 2008, Tolosana et al. 2011), ma attualmente in Italia è stata ridotta a causa dei costi elevati e si utilizza maggiormente la triturazione. Con la triturazione la ceppaia e le radici vengono ridotte in piccoli pezzi che rimangono sul terreno (Picchio et al. 2012). Quest'ultima risulta la tecnica maggiormente impiegata per motivi di maggiore semplicità dell'operazione, anche se determina una perdita di biomassa rispetto all'estrazione (Sperandio e Verani 2012).

1.3

Obiettivi

L’obiettivo principale di questo lavoro di ricerca è stato quello di portare nuovi elementi di valutazione delle potenzialità produttive delle SRC di pioppo in ambiente mediterraneo ed osservare le risposte della coltura in condizioni di differente disponibilità idrica. Il turno di taglio scelto per il ceduo a breve rotazione (SRC- Short Rotation Coppice) è stato quello biennale e l'arco temporale del'indagine ha riguardato due cicli produttivi, quindi 4 anni (2009-2012).

Sono stati analizzati tre principali aspetti quali la produttività della coltura, la dinamica dell'accrescimento insieme all'efficienza d'uso della radiazione ed infine l’asportazione dei nutrienti misurata alla raccolta, in funzione dei tre fattori considerati:

- 2 cloni (AF2® e Monviso®), selezionati specificatamente per la produzione di biomassa, per verificare la loro potenzialità in un ambiente più difficile rispetto a quello delle pianure del nord-Italia, dove sono stati maggiormente studiati;

(22)

sabbioso-franco) e di caratteristiche fisico-chimiche.

- 3 livelli di approvvigionamento idrico: 100% e 50% dell'evapotraspirazione potenziale e nessun apporto idrico.

1.4

Il sito di studio

Due campi sperimentali sono stati realizzati, all'inizio del 2009, su due diversi appezzamenti (Figura 1.4) presso il Centro Interdipartimentale di Ricerche Agro Ambientali (C.I.R.A.A.) “Enrico Avanzi” dell’Università di Pisa (San Piero a Grado- Pisa: 43°40' N, 10°21' E).

Il C.I.R.A.A. occupa una vasta area originatasi dalla bonifica dei terreni e classificati come

Typic Xerofluvent, derivanti da sedimentazioni fluviali e marine. In quest'area sono presenti suoli a

tessitura molto eterogenea, da argilla a sabbia, e questo gli attribuisce caratteristiche uniche che rendono la zona adatta alla sperimentazione in campo agricolo. Un altro aspetto importante per questa sperimentazione è la presenza del pioppo nella piana pisana, coltivato tradizionalmente con la pioppicoltura da legno.

I due campi sperimentali hanno una superficie di circa 11600 m2 ciascuno e la sperimentazione ha riguardato un arco temporale di quattro anni (2009-2012).

Figura 1.4. Collocazione geografica delle due aree sperimentali. Gli appezzamenti sono nel Comune di Pisa (S. Piero a Grado) in una zona prossima alla foce del fiume Arno, uno su suolo Franco (Fr) e l'altro su suolo Sabbioso Franco (SF).

Il clima dell’area è tipicamente mediterraneo caratterizzato da inverni relativamente freddi, estati calde e piuttosto siccitose e precipitazioni concentrate in autunno e primavera. In Figura 1.5,

(23)

si osserva l'andamento dei valori di precipitazione e temperatura nel lungo periodo (1989-2008), con un periodo di aridità (zona di intersezione fra la curva annuale delle temperature medie mensili e quella delle precipitazioni mensili) che si protrae da giugno ad agosto.

I valori riportati sono stati misurati dalla stazione UCEA di San Piero a Grado (Rete Agrometeorologica Nazionale, RAN). Nel lungo periodo, la temperatura media annuale è stata pari a 15°C e le precipitazioni medie del periodo estivo (giugno, luglio, agosto) di 98.3 mm.

Figura 1.5. Diagramma termo-pluviometrico di Walter e Lieth per la stazione di San Piero a Grado (PI). Tale diagramma mostra la curva annuale delle temperature medie mensili (asse di sinistra) e quella delle precipitazioni mensili (asse di destra), evidenziando anche i mesi che (barra sull'asse delle ascisse) hanno presentato una media delle temperature minime uguale e inferiore a 0°C.

0 20 40 60 80 100 120 140 160 0 10 20 30 40 50 60 70 80

GEN FEB MAR APR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV DIC

P re ci p it a zi o n i ( m m ) Te m p e ra tu ra ( °C )

(24)

2

Effetti dell'irrigazione e del tipo di suolo sulla produttività

della SRC di pioppo in ambiente mediterraneo

"Il suolo riceve l'acqua dalle precipitazioni atmosferiche, le assorbe e

la trattiene nel suo seno: è grazie a questa proprietà che i vegetali, inizialmente solo acquatici, hanno potuto adattarsi a vivere nelle terre

emerse evolvendosi nella forma delle attuali piante superiori."

(Bonciarelli e Bonciarelli 2003)

2.1

Introduzione

Tra le specie arboree coltivabili a turno breve di ceduazione (Short Rotation Coppice - SRC) il genere Populus, con il suo grande numero di cloni (di specie ed ibridi diversi), sembra essere tra i più indicati per la produzione di biomassa a destinazione energetica; e ciò grazie ad alcune sue peculiari caratteristiche: facilità di propagazione attraverso la radicazione di talee legnose, rapido accrescimento, capacità di ricacciare dopo la ceduazione (Mitchell et al. 1992, Ceulemans et al. 1996) e buona qualità della biomassa prodotta (Kauter et al. 2003, Tharakan et al. 2003, Paris et al. 2011). Valutate positivamente le potenzialità sopra ricordate, la presente ricerca ha riguardato la capacità di adattamento e la produttività di cloni diversi alle condizioni climatiche para-mediterranee che caratterizzano le aree litoranee della Toscana, alla differente tipologia dei suoli e infine alle differenti disponibilità di acqua nel terreno durante il periodo estivo.

Negli ultimi anni, anche nel nostro Paese, sono stati selezionati cloni con caratteristiche di rapida crescita, capaci di mantenere rese interessanti anche quando sottoposti a cicli di taglio molto ravvicinati e dotati di una maggiore resistenza agli agenti patogeni: fra questi, i cloni AF2 e Monviso (studiati in questa sperimentazione), insieme ad AF8, sono risultati quelli più promettenti e maggiormente impiegati nella costituzione di piantagioni da biomassa nelle diverse aree del nord-Italia (Verani et al. 2007, Picco et al. 2007, Paris et al. 2011, Mareschi et al. 2005, Mareschi 2008, Brignone 2008, Bergante et al. 2010). Tuttavia vi sono state anche esperienze negative, sopratutto negli areali tipici dell’Italia centrale (Verani et al. 2007, Paris et al. 2008, Pannacci et al. 2009, Di Matteo et al. 2012). Altre esperienze condotte in Spagna e Romania hanno permesso di valutare le loro potenzialità produttive, la resistenza a patogeni e le capacità di adattamento a diversi ambienti

(25)

pedoclimatici (Filat et al. 2010, Sixto et al. 2011 e 2013).

Se è noto che la produttività dei cloni di pioppo utilizzati in SRC presenta una forte variabilità in funzione delle caratteristiche agroclimatiche dei siti, dei sistemi di gestione (i.e. densità d'impianto e turni di taglio) e dei cloni utilizzati, è anche vero che in ambiente mediterraneo l'acqua è il principale fattore limitante e lo sviluppo della coltivazione del pioppo, come coltura da energia, è fortemente legata agli apporti naturali delle precipitazioni e della falda. Del resto, i popolamenti naturali delle principali specie spontanee, come il pioppo bianco (Populus alba L.) e pioppo nero, (Populus nigra L.) si trovano principalmente in aree prossime a corpi idrici e, ugualmente, anche le piantagioni tradizionali da legname da industria e quelle più recenti da biomassa sono state realizzate in siti golenali e in fondovalle con falda idrica alta e permanente.

La necessità di comprendere i reali fabbisogni idrici della coltura è stata affrontata attraverso ricerche mirate alla stima del coefficiente colturale (Kc) condotte su piante coltivate in lisimetro (Guidi et al. 2008, Pistocchi et al. 2009). I risultati di tali studi hanno evidenziato fabbisogni decisamente alti rispetto a quelli di altre specie agrarie come sorgo, girasole e mais (Paris et al. 2013). Anche con misure di sap-flow sono stati osservati alti valori di traspirazione (Hinckley et al 1994, Hall et al. 1998, Fisher et al. 2013a, Trnka et al. 2013), significativamente maggiori rispetto alle stime basate su metodi micro-metereologici come BREB (Browen ratio/energy balance -Fisher

et al. 2013b) o eddy covariance (Migliavacca et al. 2009). Secondo Deckmyn et al. (2004),

l’ottenimento di rese economicamente sostenibili in ambienti caratterizzati da periodi estivi di forte deficit idrico, come quello Mediterraneo, é fortemente condizionato dalla possibilità di supportare le piantagioni con interventi irrigui da programmarsi soprattutto nei primi anni dall'impianto. Tuttavia al fine di individuare i sistemi irrigui più appropriati, di ottimizzare i quantitativi di acqua fornita nei vari periodi dell’anno e di ridurre i costi energetici e l’impatto ambientale dell'intera filiera della coltura (Pérez‐Cruzado et al. 2013) si ritengono necessari ulteriori accurate ricerche anche tramite sperimentazioni di lungo periodo.

Varie esperienze di irrigazione su piantagioni di pioppo in SRC hanno mostrato un aumento della produzione proporzionale agli apporti idrici (Deckmyn et al. 2004, Karačić e Weih 2006): tanto più questi si avvicinano a colmare il deficit estivo, tanto più risultano efficaci gli interventi irrigui (Paris et al. 2013). Inoltre, la produzione della biomassa risente positivamente dell’effetto dell’irrigazione anche dal punto di vista qualitativo (Yin et al. 2005, Guo et al. 2010, Paris et al. 2013). Altri autori hanno evidenziato l'importanza di individuare cloni di pioppo capaci di adattarsi a periodi di deficit idrico (Tschaplinski et al. 1998, Karačić e Weih 2006) o a condizioni ambientali al di sotto dell'optimum per la specie (Guo et al. 2010), pur mantenendo una buona produttività.

(26)

fortemente i tipi di vegetazione e i sistemi agricoli nei diversi ambienti. Il suolo, in base alle sue caratteristiche fisiche, instaura con l'acqua rapporti alquanto complessi che ne determinano le caratteristiche idrologiche (Bonciarelli e Bonciarelli 2003). Ed è per questo che il tipo di terreno, insieme alla disponibilità idrica, è ritenuto un importante fattore che influisce sulla crescita e sulla produttività delle SRC di pioppo (Deckmyn et al. 2004, Pérez‐Cruzado et al. 2013). Alcuni studi - che mettono a confronto i risultati di impianti realizzati con lo stesso materiale, sesto d'impianto e tipo di gestione - riportano che su suoli a medio impasto le prestazioni di tale coltura risultano migliori (Bergante et al. 2010, Paris et al. 2011) rispetto a suoli sabbiosi, dove in caso di deficit idrico la pianta è sottoposta a forti stress di crescita (Deckmyn et al. 2004).

L'obiettivo di questa ricerca è stato quello di quantificare la risposta in termini biometrici e produttivi e di efficienza d'uso dell'acqua di due cloni di pioppo, in SRC a ciclo biennale, in condizioni di differente disponibilità idrica, considerando tre diversi livelli irrigui su due diverse tipologie di suolo in condizioni di pieno campo. I fattori analizzati, tramite una sperimentazione di 4 anni (2 cicli biennali) , sono stati quindi i seguenti:

- due cloni, AF2® e Monviso®

- due tipologie di suolo, caratterizzate da tessitura franco (Fr) e sabbioso-franco (SF);

- tre livelli di approvvigionamento idrico, 100% e 50% dell'evapotraspirazione potenziale (I100 ed I50) e nessuna irrigazione (I0).

2.2

Materiali e metodi

2.2.1 Descrizione della prova e gestione dell'impianto

La sperimentazione, iniziata nella primavera del 2009, é stata condotta su due appezzamenti del Centro Interdipartimentale in Ricerche Agro-Ambientali "Enrico Avanzi" (CIRAA) di San Piero a Grado (PI), caratterizzati da suoli profondamente diversi. Le principali caratteristiche chimico-fisiche dei due suoli sono riportate in Tabella 2.1, mentre per una descrizione più dettagliata del sito di studio si rimanda al Paragrafo 1.4.

Le lavorazioni per la preparazione del terreno sono iniziate nell'autunno del 2008, con l'aratura a 50 cm, mentre a partire dalla primavera 2009 è stato realizzato l'impianto di irrigazione a goccia sotterraneo, e quindi si è proceduto con l'affinamento del terreno tramite estirpatore ed erpice rotante. Per il controllo delle infestanti è stato effettuato un diserbo chimico con glifosate (Roundup®), erbicida sistemico non selettivo, prima del trapianto.

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Tabella 2.1. Principali caratteristiche dei suoli (0-30 cm di profondità) delle due aree sperimentali, analisi realizzate prima del trapianto (inizio 2009).

Suolo Sabbioso Franco (SF) Suolo Franco (Fr). Argilla (%) 7.2 23.4 Sabbia (%) 88.4 50.2 Limo (%) 4.4 26.4 Capacità di campo (%) 4.8 12.2 Sostanza organica (%) 1.2 2.6 pH 5.4 7.4 N tot (‰)* 0.83 1.51 P assimilabile (ppm)** 3.6 22.15 K scambiabile (mg/Kg K2O)*** 98.40 413.20

*metodo Kjeldahl **metodo Bray per suolo SF e Olsen per suolo Fr *** metodo Dirks e Scheffer

Prima del trapianto delle talee di pioppo, è stata effettuata la fertilizzazione di fondo apportando 48 Kg ad ha di N e 144 Kg ad ettaro di P2O5 e K2O.

Per l’impianto sono state utilizzate talee non radicate dei cloni Monviso e AF2 (Tabella 2.2). Il trapianto è stato effettuato all'inizio di aprile 2009 (vedi cronologia di Figura 2.1), con una densità di 7400 talee ad ettaro scelta in funzione di un turno di taglio biennale. Il trapianto è stato effettuato in parcelle delle dimensione di 70 x 12 m, con sesto di impianto 2.7 x 0.5 m, per una densità media pari a circa 7400 piante ha-1. Le talee, sezioni di fusto della lunghezza di 20-30 cm e di diametro 10 mm, sono state messe a dimora utilizzando una trapiantatrice a cingolo Rotor (Manzone et al. 2006).

Tabella 2.2. Cloni utilizzati nella sperimentazione, iscritti al Registro Nazionale dei Materiali Forestali di Base (RNMFB) appositamente per la produzione di biomassa e protetti da brevetto europeo per la novità vegetale (CPVO, Comunity Plant Variety Office).

Clone Sezione Specie ed incroci nella selezione Selezionatore

AF2 Aigeiros Populus x canadensis Moench

(P. deltoides x P. nigra) Alasia Franco (CN)

Monviso Tachamahaca x Aigeiros Populus x generosa A. Henry x P.nigra L.

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Figura 2.1. Schema cronologico dei cicli di taglio per ciascuno dei due tipi di suolo. Indicazione dei rilievi effettuati durante gli anni della sperimentazione: biometrici e produttivi (quest'ultimi in corrispondenza del taglio).

I due impianti sperimentali hanno

3 blocchi, uno per ogni livello irriguo. Ogni blocco è composto da dieci file (cinque per clone) della lunghezza di 146 m ed all'interno di ognuno di essi si trovano quattro

sfalsato per i due cloni (Figura 2.

Figura 2.2. Disegno sperimentale dei due impianti di p

scritti i nomi dei due cloni scelti ed in alto si trova la legenda per i tre livelli irrigui.

Schema cronologico dei cicli di taglio per ciascuno dei due tipi di suolo. Indicazione dei rilievi effettuati durante gli anni della sperimentazione: biometrici e produttivi (quest'ultimi in corrispondenza del taglio).

I due impianti sperimentali hanno una superficie di circa 11600 m2 ciascuno e sono costituiti da 3 blocchi, uno per ogni livello irriguo. Ogni blocco è composto da dieci file (cinque per clone) della lunghezza di 146 m ed all'interno di ognuno di essi si trovano quattro parcelle

.2).

Disegno sperimentale dei due impianti di pioppo su suolo franco (SF) e sabbioso-scritti i nomi dei due cloni scelti ed in alto si trova la legenda per i tre livelli irrigui.

Schema cronologico dei cicli di taglio per ciascuno dei due tipi di suolo. Indicazione dei rilievi effettuati durante gli anni della sperimentazione: biometrici e produttivi (quest'ultimi in corrispondenza del taglio).

ciascuno e sono costituiti da 3 blocchi, uno per ogni livello irriguo. Ogni blocco è composto da dieci file (cinque per clone) della parcelle, disposte in modo

(29)

La dimensione dei blocchi ha permesso di simulare condizioni di pieno campo e di minimizzare l'effetto margine (Kauter et al. 2003, Paris et al. 2011).

I due terreni sono posti poco al di sopra del livello del mare, con 1.7 m s.l.m per il suolo sabbioso-franco e 1.3 m s.l.m per quello franco ed hanno una giacitura pianeggiante.

Nel 2010 sono stati posizionati 5 pieziometri (Figura 2.3), costituiti da tubi di PVC verticali inseriti fino alla profondità di 3 metri e fessurati nel fondo. Tramite freatimetro (Figura 2.3) sono state monitorate le variazioni di livello della falda acquifera nel corso degli anni della sperimentazione in diverse fasi dell’anno. Il freatimetro è costituito da un cavo piatto con un’anima di acciaio e due conduttori in rame che entrano in contatto elettrico quando toccano l’acqua. Il circuito elettrico, chiudendosi, attiva un segnale acustico ed ottico. La misura della profondità raggiunta viene letta su una graduazione in millimetri.

Figura 2.3. Posizione dei pieziometri nelle due aree sperimentali, suolo franco (sinistra) e suolo sabbioso-franco (al centro). Monitoraggio del livello della falda con il freatimetro (destra).

La tecnica colturale impiegata è stata la medesima nei due impianti.

Per l’irrigazione è stato adottato un sistema a goccia sotterraneo con ali gocciolanti auto compensanti (del diametro di 1.5 pollici) posizionate in corrispondenza di ogni filare alla profondità di circa 40 cm. La portata nominale dei gocciolatori (con passo a 50 cm) era di circa due litri l'ora al momento della messa in opera. Una centralina di automazione gestiva l’apertura e la chiusura di una elettrovalvola per settore irriguo. L’irrigazione è stata effettuata con turno giornaliero ed i volumi irrigui sono stati stimati in base all’evaporazione potenziale (ET0) media giornaliera, calcolata ad intervalli di 10 giorni attraverso la formula Penman-Montheith (Allen et al. 1998), utilizzando i dati meteo della stazione UCEA di San Piero a Grado. Sono state considerate quindi tre tesi irrigue in

1

2

5

3

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entrambe le tipologie di suolo: 100% (I100) e 50% (I50) del reintegro dell’evapotraspirazione potenziale e nessun apporto irriguo (I0) secondo lo schema mostrato in Figura 2.2.

Le due piantagioni sono state gestite con turno di ceduazione biennale, di seguito, per indicare l'età della pianta si terrà conto sia degli anni delle radici (R) che dei fusti (F); per esempio, con R4F2 si intenderanno piante che hanno apparato radicale di 4 anni e fusto di 2 anni (Figura 2.4).

Durante il primo anno, il controllo delle infestanti è stato meccanico nell'interfila (fresatura) e manuale sulla fila. Negli anni successivi è stato effettuato solo quello di tipo meccanico, dopo ogni ciclo di taglio. La cadenza delle concimazioni (Figura 2.5) ha seguito quella delle ceduazioni, provvedendo con una fertilizzazione esclusivamente azotata (100 Kg N ad ettaro).

Figura 2.4. Immagini dell'impianto su suolo franco. Si mostrano la conformazione dei fusti e le caratteristiche delle piante alla fine del 1° ciclo biennale (a sinistra), R2F2 e alla fine del 2° (a destra), R4F2.

Nella primavera 2011, per limitare i danni provocati dalla crisomela (Chrysomela populi) sui giovani ricacci, successivi alla prima ceduazione, sono stati effettuati due trattamenti a soglia (almeno un individuo, immagine o larva, per pianta) per ogni area sperimentale con deltametrina (Decis®), piretroide che agisce prevalentemente per contatto e secondariamente per ingestione sia sugli stadi larvali che immaginali.

I due tagli produttivi sono stati effettuati nel periodo febbraio - marzo (Figura 2.5), prima della ripresa vegetativa.

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