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TRATTAMENTO ENDOSCOPICO DEI LATERAL SPREADING TUMORS:ESPERIENZA DI UN CENTRO DI RIFERIMENTO DAL 2014 AD OGGI

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FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN GASTROENTEROLOGIA Direttore: Prof. SANTINO MARCHI

IL TRATTAMENTO ENDOSCOPICO DEI LATERAL

SPREADING TUMOR: ESPERIENZA DI UN CENTRO DI

RIFERIMENTO DAL 2014 AD OGGI

Relatore: Chiar.mo Prof. Santino MARCHI Correlatore: Chiar.mo Prof. Mario MARINI

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SOMMARIO

PARTE 1 – LATERALLY SPREADING TUMOR – CONSIDERAZIONI GENERALI ... 3

1. Introduzione e definizione ... 4 2. Diagnosi endoscopica ... 6 3. Classificazione endoscopica ... .12 3.1 Morfologia ... 12 3.2 Pit-pattern ... 18 3.3 Pattern microvascolare ... 21

4. Diagnosi e classificazione istologica ... 24

4.1 Lesioni non serrate ... 25

4.2 Lesioni serrate ... 26

4.3 Definizione del grado di displasia ... 28

4.4 Il polipo cancerizzato ... 31

5. Tecniche di trattamento endoscopico ... 34

5.1 EMR tecnica standard (Lift-and-Cut/Injection Assisted EMR) ... 35

5.2 EMR cap-assisted ... 36

5.3 ESD ... 37

6 Complicanze e loro gestione ... 40

6.1 Complicanze sedazione-correlate ... 41

6.2 Sanguinamento ... 41

6.3 Perforazione ... 42

6.4 Sindrome elettro-coagulativa post-polipectomia ... 43

6.5 Complicanze infettive ... 44

6.6 Gas explosion ... 44

7 Linee Guida Internazionali ... 45

PARTE 2 – L’ESPERIENZA SENESE DAL 2014 AD OGGI ... 49

1. Introduzione ... 50

2. Pazienti e metodi ... 51

3. Strumenti e tecniche utilizzate ... 53

4. Risultati ... 55

5. Discussione ... 62

6. Conclusioni ... 65

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PARTE 1

LATERALLY SPREADING TUMOR:

CONSIDERAZIONI GENERALI

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1.

Introduzione e definizione

Il carcinoma colo-rettale rappresenta la seconda neoplasia maggiormente diagnosticata nelle donne e la terza negli uomini. Al giorno d’oggi la colonscopia risulta essere lo strumento più valido per la diagnosi precoce del carcinoma colorettale e la resezione delle lesioni pre-neoplastiche.

E’ ormai noto come il 95% delle neoplasie colo-rettali derivi da adenomi e il fine dei programmi di screening e della sorveglianza endoscopica è quello di interrompere la sequenza “adenoma-carcinoma”.

Negli ultimi anni hanno suscitato un interesse crescente le lesioni non-polipoidi del colon (Colorectal non-polypoid neoplasm – NPT) ed in particolare quelle lesioni definite come Laterally Spreading Tumor (LST).

Per definizione si intende per LST una neoformazione piatta con tendenza alla crescita laterale sulla superficie della mucosa colica e diametro superiore ai 10 mm (71).

I Lateral Spreading Tumor e i polipi sessili possiedono una maggiore frequenza di sviluppare un grado elevato di displasia e di possedere caratteristiche di invasività locale superiori ai polipi peduncolati a parità di dimensioni.

Secondo la classificazione di Parigi, che verrà descritta in maniera più approfondita in seguito, vengono classificate come LST quelle lesioni superiori ai 10 mm con caratteri 0-IIa, 0-IIb e 0-IIc.

Il trattamento endoscopico dei LST rappresenta un sfida per l’endoscopista, sia per la scelta della tecnica in base alle caratteristiche della lesione, alla sede e al tipo di paziente, sia in termini di complessità attuativa. La resezione endoscopica di questo tipo

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di lesioni resta però la prima scelta terapeutica, con ottimo risultato e basso rischio di complicanze. Le tecniche terapeutiche (che verranno descritte dettagliatamente in seguito) hanno subito un’evoluzione nel corso degli anni. In particolare nell’ultimo periodo alle tecniche già in uso si sono associate varianti attualmente al vaglio, come la EMR cap-assisted che potrebbe essere una valida alternativa alla EMR tecnica standard.

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Diagnosi endoscopica

Le innovazioni tecniche in campo endoscopico hanno permesso un potenziamento della qualità di immagine tale da rendere possibile uno studio più accurato delle lesioni del colon-retto grazie al perfezionamento di metodiche atte alla identificazione e la caratterizzazione delle lesioni neoplastiche precoci, consentendo di effettuare uno studio sia di superficie (visione magnificata della mucosa) che di profondità (valutazione della trama vascolare e di eventuali anomalie). Queste nuove metodiche di elevata performance consentono all'operatore di effettuare una endoscopia potenziata, con possibilità di discriminare le lesioni neoplastiche e non neoplastiche e di poter prevedere il loro grado di infiltrazione. A tale proposito sono stati messi a punto sistemi classificativi basati sulle metodiche di ultima generazione, che verranno di seguito descritte.

2.1 Endoscopia zoom e con magnificazione di immagine

Esistono due tipi di apparecchiature endoscopiche che consentono questo tipo di procedura: gli strumenti zoom e gli strumenti a magnificazione.

Gli endoscopi zoom sono in grado di produrre un ingrandimento ottico fino a 150 x attraverso un sistema di lenti mobili controllate dall'operatore e sono provvisti di un sistema di messa a fuoco regolabile, alla stessa stregua di un'apparecchiatura fotografica. Tale ingrandimento viene prodotto prima che il sistema di Charge Coupled Device (CCD) dell'endoscopio lo traduca in pixel (1).

Gli endoscopi a magnificazione d'immagine, invece, si avvalgono di un sistema elettronico di ingrandimento: l'immagine viene registrata dal CCD nelle sue reali dimensioni e successivamente viene ingrandita.

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La tecnologia zoom ha come vantaggio la produzione di immagini con risoluzione maggiore, mente gli strumenti a magnificazione riproducono immagini più sgranate.

Tali tecnologie, sia la zoom che la magnificazione, risultano utili nella definizione del pit-pattern, ovvero la microstruttura superficiale delle lesioni e la disposizione delle strutture e degli orifizi ghiandolari (classificazione di Kudo, vedi capitolo successivo) (1, 23). Queste metodiche necessitano di una preparazione, ovvero è necessario un adeguato lavaggio della mucosa, con acqua con o meno aggiunta di simeticone, oppure l'utilizzo di prodotti come la n-acetil-cisteina per detergere il muco o l'utilizzo di coloranti, come l'indaco di carminio o il cristal violetto. L'indaco di carminio è un colorante di contrasto (cioè non vitale né reattivo) che si stratifica sulla mucosa colica e mette in risalto l'architettura ghiandolare. Il cristal violetto è un colorante vitale che viene captato dal sistema del Golgi dalle cellule delle cripte del Lieberkuhn, in particolare dalle cellule con sintesi proteica attiva, dando un idea dell'indice mitotico cellulare (12).

2.2 Computed Virtual Chromoendoscopy (CVC)

La CVC è una tecnica di imaging endoscopico real-time ed on-demand capace di modificare le caratteristiche spettroscopiche del sistema video in modo da esaltare il network vascolare sottomucoso e la trama mucosale di superficie.

Le maggiori case produttrici hanno messo a punto sistemi diversi sistemi di cromoendoscopia virtuale, sia mediante l'utilizzo di filtri ottici che elettronici.

Nella fattispecie sono disponibili:

Narrow Band Imaging (NBI) – Olympus Medical Systems Corp©. Questo tipo di tecnologia ottica filtra la luce in specifiche lunghezze d'onda che vengono assorbite dall'emoglobina e penetrano la superficie tissutale. Nella fonte di luce di

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questa apparecchiatura un filtro NBI è posizionato tra la lampada allo xeno e un filtro rosso-blue-verde rotante. La luce attraversa l'asse ottico e lo spettro di illuminazione può essere trasformato dal blu, rosso e verde a banda larga in blu e verde a banda stretta (narrow band). L'immagine prodotta mostra il network capillare più sottile della

superficie mucosa con aspetto brunastro mentre i vasi di dimensione maggiore hanno un colore blu.

Fujinon Intelligent Chromo Endoscopy (FICE) – Fujifilm Europe GmbH©. La tecnologia FICE si basa sulla Spectral Estimation Technology che mediante un processo aritmetico stima e produce un'immagine di lunghezza d'onda dedicata. Nei processori Fuji l'immagine catturata viene inviata ad un circuito di riprocessamento, lo Spectral Estimation Matrix, in cui viene stimato lo spettro dei pixel catturati. Una volta determinato tale spettro, è possibile implementare l'immagine su una singola lunghezza d'onda. Mediante vari setting dell'apparecchio è possibile determinare una hyper-sharpness, ovvero l'enfatizzazione del pattern dell'immagine, un hyper-tone, che aumenta la luminosità di sezioni dell'immagine più scure senza alterare le porzioni più brillanti, ed un color-emphasis che rende più manifeste le differenze tra i colori.

iScan/Optical Enhancement (OE) – Pentax Medical©. La tecnologia iScan si avvale della modificazione dei pixel dell’immagine a luce bianca. I più moderni processori dotati di questa tecnologia si avvalgono di 3 parametri: 1) Surface Enhancement (SE – iScan1), che rende più evidenti le strutture di superficie

mantenendo il colore naturale e permettendo una maggiore identificazione delle lesioni piatte sottolineandone le anomalie; 2) Tone enhancement (TE – iScan2) che esalta le strutture vascolari modificando i toni del sistema RGB scomponendolo e ri-sintetizzandolo 3) Optical Enhancement (OE – iScan3) che esalta le strutture vascolari, gli orifizi ghiandolari permettendo una caratterizzazione sia del pattern di superficie che vascolare. Mentre la SE e TE si avvalgono di modificazioni digitali dell’immagine,

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l’OE è invece una tecnologia di tipo ottico, ovvero vi è l’interposizione davanti alla sorgente luminosa di un apposito filtro che modifica la lunghezza d’onda della luce. La letteratura ha dimostrato come le tecnologie CVC abbiano livelli di sensibilità e specificità compresi tra 72 e 94%, sia per la valutazione del pit-pattern che della trama microvascolare. Il primo lavoro (Sano et al.) effettuato sulla tecnologia CVC si basava sull'osservazione del pattern microvascolare (Meshed Capillary Pattern) mediante l'utilizzo della tecnologia NBI e della magnificazione per la diagnosi differenziale tra polipi sessili e lesioni non-polipoidi di calibro inferiore a 10 mm, con percentuali di accuratezza del 95.3%, sensibilità 96,4% e specificità 92.3% (5,6,7,8). Tale metodica è di facile riproducibilità, più semplice e più rapida rispetto alla tradizionale cromoendoscopia con l'uso di coloranti. Gli stessi autori hanno dimostrato come la CVC sia utile nella caratterizzazione del pattern capillare per differenziare polipi adenomatosi con displasia di alto grado da lesioni neoplastiche in fase precoce. In altri studi è stato dimostrato come la CVC, combinando la valutazione del pattern vascolare e del pit-pattern, abbia accuratezza maggiore rispetto all'endoscopia ad alta definizione (1).

Il vantaggio della CVC è la più semplice e rapida valutazione semplicemente premendo un tasto sul pad dell'endoscopio.

Tuttavia altri studi hanno dimostrato l'inefficacia dello studio con CVC, in particolare con NBI, nello studio degli adenomi serrati, la cui diagnosi di certezza risulta essere ancora prettamente istologica.

Un altro vantaggio della tecnologia CVC è la capacità di predizione del grado di infiltrazione sottomucosa delle lesioni neoplastiche precoci. Le evidenze in letteratura hanno dimostrato che mediante l'utilizzo della classificazione di Sano-Emura, le lesioni con pattern CP IIIA (pSM1) risultavano essere adenomi, neoplasie limitate alla mucosa o modicamente infiltranti, mentre le lesioni con pattern CP IIIB avevano un grado di

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infiltrazione nettamente maggiore (pSM2-3). I valori di sensibilità, specificità ed accuratezza diagnostica erano nell'ordine rispettivamente del 84,8%, 88.7% e 87.7% (1,16).

2.3 Autofluorescenza

La AutoFluorescence Imaging (AFI) si basa sul meccanismo dell'autofluorescenza, ovvero sottoponendo un tessuto alla luce blu (luce a corta frequenza d'onda) si ha come risultato l'eccitazione di particolari sostanze, i fluorofori, con conseguente emissione di una luce a maggiore lunghezza d'onda.

Alcuni processi patologici, come la flogosi o le neoplasie, modificano le distribuzioni di fluorofori nel tessuto, modificandone di conseguenza la fluorescenza. I processori endoscopici creano questo effetto applicando un filtro verde su una luce bianca: il sistema rielabora l'immagine visualizzando la mucosa colica normale di tessuto blu e la mucosa patologica di colore rosso.

Tale metodica è risultata utile nella caratterizzazione delle lesioni precoci e nell'identificare aree di displasia in pazienti con RCU. Tuttavia la AFI utilizzata singolarmente non è utile nella classificazione delle lesioni del colon se non combinata con altre tecnologie, come le sistema Endoscopic Trimodal Imaging di Olympus che combina AFI con NBI (1,42,43).

2.4 Endomicroscopia Confocale Laser

La Confocal Laser Endomicroscopy (CLE) è una tecnica endoscopica che permette di indentificare in vivo le microstrutture cellulari consentendo una diagnosi istologica real-time. Inizialmente era stato messo a punto uno strumento ibrido, dove l’endoscopio era provvisto di sistema CLE, generando entrambe le immagini

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contemporaneamente, ma il progetto è stato chiuso. Attualmente è disponibile la probe-based confocal endomicroscopy (p-CLE), ovvero una sonda che può essere inserita all’interno del canale operativo dello strumento. L’unità confocale è collegata ad una sorgente di laser monocromatica blu di lunghezza d’onda 488-600 nm, Le immagini sono visualizzate per piani paralleli e non ortogonali come nei preparati istologici, e sono generate dall’uso di un agente di contrasto fluorescente. Durante l’uso, la sonda CLE deve essere poggiata delicatamente sulla mucosa da indagare e va tenuta ben ferma. L’uso di coloranti prima di tale indagine non determina artefatti. La sonda ha un piano di immagine fisso (variabile tra 55 e 130 µm) con una risoluzione laterale di circa 1 µm. Il sistema p-CLE acquisisce 12 immagini per secondo, generando un video della mucosa esplorata. Come precedentemente accennato, le immagini endomicroscopiche sono generate dall’uso di un agente di contrasto fluorescente. Il mezzo più usato è la fluoresceina sodica al 10%. La sostanza permette la differenziazione del tessuto vascolare e connettivo, è ben tollerata ed è completamente escreta a livello renale. Altri agenti usati sono l’acriflavina (che può essere usata contemporaneamente alla fluoresceina, rende più evidenti i nuclei cellulari) e il cresil violetto (rende più evidente il citoplasma), che possono essere usati entrambi per via topica. Le principali indicazioni allo studio endomicroscopico sono tutte quelle condizioni in cui è possibile riconoscere un’alterazione della morfologia cellulare o vascolare degli strati superficiali della mucosa, in particolare le lesioni displastiche dei vari distretti dell’apparato gastroenterico, compresi i dotti biliari (21,22).

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3. Classificazione endoscopica

Una corretta scelta terapeutica è indirizzata da una altrettanto attenta caratterizzazione delle lesioni. Nel corso degli anni sono state messe a punto delle precise classificazioni per lesioni polipoidi e non-polipoidi del colon, che tengono conto delle caratteristiche prettamente “endoscopiche” (aspetto macroscopico, pattern ghiandolare e vascolare) oltre che istologiche.

In primis è necessario riconoscere se la lesione individuata è suscettibile di trattamento

endoscopico, ovvero se siamo di fronte ad una lesione di tipo superficiale o localmente avanzata, quest’ultimo tipo non aggredibile endoscopicamente.

A loro volta, possiamo suddividere le lesioni superficiali in pre-invasive precoci, ovvero limitate alla sola mucosa, e invasive precoci, ovvero lesioni che hanno superato la mucosa e invaso la sottomucosa. Questo tipo di lesioni viene definito “Early cancer”, tuttavia nonostante la definizione queste neoformazioni possiedono potere

metastatico proprio per l’interessamento della sottomucosa, ricca di vasi linfatici ed ematici.

3.1 Morfologia

La morfologia delle lesioni coliche dipende dalla “direzione” della crescita proliferativa.

Secondo questo principio, come già precedentemente indicato, sono state individuate due tipologie macroscopiche: le lesioni superficiali (tipo 0) e le lesioni localmente

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avanzate (tipo 1-5). Questa nomenclatura è figlia della classificazione di Borrmann per la caratterizzazione macroscopica della neoplasie gastriche.

La classificazione di Parigi, messa a punto durante la consensus conference tenutasi nella capitale francese nel 2002 e revisionata successivamente nel 2003 e 2008, deriva proprio da questo presupposto, suddividendo le lesioni superficiali in polipoidi e non-polipoidi (23).

Secondo la classificazione di Parigi le lesioni superficiali possono essere suddivise in lesioni polipoidi, o protrudenti, e lesioni non polipoidi.

Tipo 0-I – Lesioni polipoidi o protrudenti o Tipo 0-Ip – lesione peduncolata

Figura 1 - Classificazione di Parigi - Holt, Bourke - ResearcheGate o Tipo 0-Is – lesione sessile

Figura 2 - Classificazione di Parigi - Holt, Bourke - ResearcheGate

o Tipo 0-Isp – lesione con caratteristiche intermedie – lesione semipeduncolata

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Figura 3 - Classificazione di Parigi - Holt, Bourke - ResearcheGate

Tali lesioni per essere definite protrudenti o polipoidi hanno come caratteristica l’elevazione sul piano della mucosa di almeno 2,5 mm con tendenza alla crescita verticale (25,26,27).

Tipo 0-II – Lesioni non polipoidi

Le lesioni non polipoidi caratteristicamente hanno altezza inferiore ai 2,5 mm. La soglia dei 2,5 mm è arbitraria in quanto molte lesioni non presentano aspetto omogeneo ed è corrispondente alle dimensioni di una pinza da biopsia con valve chiuse.

Questo tipo di lesioni ha tendenza alla crescita orizzontale con l’eccezione delle lesioni depresse in cui la crescita cellulare progredisce attraverso gli strati sottostanti in profondità con aumentato rischio di invasione della sottomucosa anche per lesioni di dimensioni inferiori (SMI).

o 0-IIa – Lesione non polipoide rilevata. In questo caso la lesione risulta elevata rispetto al piano della mucosa per un’altezza non superiore ai 2,5 mm.

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o 0-IIb – Lesione piatta. In questo caso non è apprezzabile un piano di elevazione della lesione rispetto alla mucosa.

Figura 5 - Classificazione di Parigi - Holt, Bourke - ResearcheGate

o 0-IIc – Lesione depressa, non ulcerata.

Figura 6 - Classificazione di Parigi - Holt, Bourke - ResearcheGate

Nel colon-retto le lesioni piatte o leggermente elevate tendono ad essere classificate insieme in quanto la distinzione non è sempre agevole. Tuttavia la tipologia 0-IIa risulta essere la più frequente. Le lesioni piatte o depresse sono più comuni nel colon sinistro.

Le lesioni non-polipoidi possono assumere caratteri di tipo misto, ovvero presentare, spesso a causa delle grandi dimensioni della lesione, caratteristiche morfologiche diverse nell’ambito della stessa lesione. Più nello specifico possiamo trovare:

 Lesioni tipo 0-IIa + IIc, dove la componente rilevata è maggiore di quella depressa.

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Figura 7 - Classificazione di Parigi (25)

 Lesioni tipo 0-IIc + IIa, dove la componente depressa è maggiore di quella rilevata (23, 25,26,27)

Come precedentemente indicato, lesioni con estensione orizzontale superiore a 10 mm vengono classificate come Laterally Spreading Tumors (LST) (23,25,30).

Figura 8 - Classificazione LST - Facciorusso et al (71) Gli LST vengono suddivisi in due categorie:

LST a pattern granulare (LST-G), caratterizzati dalla presenza di nodularità organizzate in aggregati. Possiamo trovare LST-G con aspetto omogeneo o nodulare misto. Le caratteristiche di questa tipo di lesione da un punto di vista di

classificazione sono di tipo misto.

LST a pattern non granulare (LST-NG), laddove manchino le caratteristiche precedentemente descritte.

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Figura 9 - Classificazione LST – Iannetti.it

La classificazione di Parigi permette una descrizione universale delle lesioni individuate a livello del colon-retto permettendo anche una unificazione del linguaggio dei centri endoscopici. Inoltre con tale classificazione è possibile correlare l’aspetto endoscopico della lesione con il grado di infiltrazione della sottomucosa. Infatti le lesioni rilevate O-IIa, le più comunemente riscontrate, presentano una bassa percentuale di trasformazione neoplastica infiltrante la sottomucosa, pertanto suscettibili di trattamento endoscopico eradicante, mentre le lesioni depresse (0-IIc), hanno una percentuale di infiltrazione della sottomucosa maggiore, pertanto il trattamento endoscopico potrebbe non risultare risolutivo. In maniera analoga gli LST-NG presentano una maggiore tendenza all’infiltrazione (14%), contrariamente agli LST-G (7%), questi ultimi inoltre con minore probabilità di cancerizzazione (32,7% contro 57,7%) (30).

Per le lesioni protrudenti il diametro è un criterio abbastanza attendibile per la predizione dell’invasione dello strato sottomucoso, raggiungendo percentuali del 30% qualora superi i 2 cm (23).

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18 3.2– Pit Pattern

Il management endoscopico ideale delle lesioni pre-cancerose del colon è determinato da due step:

1. Ogni lesione deve essere individuata;

2. Ogni lesione deve essere correttamente definita in base alle caratteristiche ghiandolari e vascolari che possono indirizzarci verso una diagnosi di lesione neoplastica o non neoplastica.

La sola endoscopia a luce bianca non è sufficiente per la corretta caratterizzazione delle lesioni coliche, laddove altri strumenti si rendono necessari, quali la cromoendoscopia e la magnificazione. Le ultime tecnologie, Narrow Brand Imaging (NBI) prima fino ad arrivare al più recente Optical Enhancement (OE), hanno permesso un maggiore dettaglio nella definizione delle lesioni ed in particolare nella caratterizzazione delle strutture ghiandolari.

I primi a sottolineare l’importanza della definizione del pit-pattern, inteso come l’aspetto degli orifizi ghiandolari e delle strutture superficiali della mucosa associato alle caratteristiche della trama capillare, sono stati Kudo et al. come carattere predittivo del grado di atipia istologica.

Kudo et al. proposero una classificazione ormai largamente accettata ed utilizzata, composta da 5 diverse categorie. Tale classificazione è stata successivamente validata da Fuji et al (23).

Secondo la classificazione di Kudo possiamo trovarci di fronte ai seguenti scenari:

A – Pit-pattern non neoplastico

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19 regolari, piccole e circolari.

Tipo II: le aperture ghiandolari hanno aspetto stellato, ampio e regolare, con dimensioni di poco superiori al tipo I. Questo tipo di pit-pattern è caratteristico delle lesioni iperplastiche e serrate è possibile incontrarlo anche in alcuni LST ma che all’istologia depongono per adenomi serrati o misti.

Figura 10 - Classificazione di Kudo - Dabizzi et al (23) B – Pit-pattern adenomatoso (non invasivo)

Tipo III: questo tipo di pattern a sua volta è suddiviso in due sotto-categorie:

III-S (short): le aperture ghiandolari sono piccole, spesso tondeggianti e compatte. Anche questo pattern è caratteristico di lesione non invasiva, risulta essere di raro riscontro, tuttavia è presente in circa il 46% delle lesioni depresse.

III-L (large): gli orifizi ghiandolari hanno dimensioni maggiori del normale, allungate e leggermente ricurve. Questo tipo di pattern è spesso presente nelle lesioni polipoidi e non-polipoidi rilevate o piatte e generalmente non rappresenta rischio di neoplasia infiltrante.

Tipo IV: le aperture ghiandolari appaiono ramificate, larghe e tortuose, con aspetto cerebroide.

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Figura 11 - Classificazione di Kudo - Dabizzi et al (23) C – Pit-Pattern neoplastico (invasivo)

Tipo V: le aperture ghiandolari risultano essere irregolari, completamente destrutturate, rendendo irriconoscibile il pattern regolare. A sua volta il tipo V può essere suddiviso in:

Tipo Vi (irregular): orifizi ghiandolari completamente irregolari

Tipo Vn (non-structural): orifizi ghiandolari non rilevabili

Questo tipo di pattern viene definito invasivo, con rischio di neoplasia avanzata di circa il 33,7 % (23, 28,30).

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21 3.3– Pattern microvascolare

Con l’ausilio della cromodendoscopia virtuale, ormai strumento costantemente presente nelle moderne apparecchiature endoscopiche, ed in particolare dell’NBI, Sano et al. proposero una classificazione del pattern vascolare (meshed capillary pattern) delle lesioni superficiali del colon con buona capacità di predizione

dell’infiltrazione del piano sottomucoso. Gli studi di Sano hanno dimostrato una percentuale di accuratezza diagnostica nell’ordine del 95,3%, con sensibilità del 96,4% e di specificità del 92,3%. Tale sistema prende il nome di classificazione di Sano-Emura (23, 31):

Tipo I: pattern capillare regolare, assenza di capillari intrecciati

Tipo II: capillari intrecciati che circondano gli orifizi ghiandolari

Tipo III: capillari a fondo cieco, ramificati. Questo tipo è ulteriormente distinto in:

o Forma A: alta densità di capillari

o Forma B: scarsa capillarizzazione tissutale ed aree vascolari.

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Oltre alla classificazione di Sano-Emura, esiste un ulteriore sistema descrittivo per la valutazione del pattern microvascolare: parliamo della classificazione di Kanao (32). Kanao et al. infatti distinsero le lesioni del colon in 3 categorie:

o Tipo A: normale, con aperture ghiandolari rotonde

o Tipo B: degenerazione limitata alla mucosa, caratterizzata da presenza di microvascolarizzazioni intorno alle aperture ghiandolari, che appaiono chiaramente visibili

Figura 14- Classificazione di Sano Emura - Magno et al (1) o TIpo C: ulteriormente distinto in

o C1: associato ancora a lesioni superficiali, in cui i capillari disegnano una rete irregolare ma presentano ancora diametro e distribuzione omogeni;

o C2: rete capillare irregolare, vasi che presentano diametro e distribuzione eterogenea ma con aperture ghiandolari ben definite;

o C3: associato a lesioni infiltranti, in cui le aperture ghiandolari non sono riconoscibili, i capillari presentano un calibro maggiore e in cui sono riconoscibili aree avascolari.

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Figura 15- Classificazione di Sano Emura - Magno et al (1)

Sulla stessa falsariga, Wada et al (33). proposero una classificazione basata sulla trama microvascolare suddivisa in 6 classi, descrivendo un pattern normale caratterizzato da una rete vascolare “ad alveare”, un pattern faint, tipico delle lesioni iperplastiche, un pattern network, tipico degli adenomi tubulari, ed un pattern dense, caratterizzato da rete vascolare regolare, più fine per gli adenomi villosi e più spessa per i tubulo-villosi. In questa classificazione, inoltre, la struttura vascolare degli adenomi di alto grado varia in base alla morfologia con cui si sviluppa la lesione: le lesioni protrudenti che si estendono alla sottomucosa hanno un pattern cosiddetto irregular, con decorso tortuoso dei vasi.

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4 - Diagnosi e classificazione istologica

Generalmente i carcinomi colo-rettali seguono la sequenza adenoma-carcinoma, ovvero da un precursore benigno si verifica la trasformazione in neoplasia invasiva. Diverso è il meccanismo di trasformazione delle lesioni “serrate”, la cui degenerazione è legata a mutazioni genetiche.

Istologicamente una lesione maligna presenta alterazioni strutturali peculiari, con disorganizzazione della struttura ghiandolare che appare “ammassata”, atipie cellulari con perdita della polarità, incremento dimensionale del nucleo e stratificazione delle cellule in file multiple.

La “direzione” di proliferazione cellulare caratterizza la morfologia delle lesioni: una proliferazione prevalentemente verticale darà alla luce lesioni polipoidi o comunque rilevate, mentre una proliferazione orizzontale o spostata verso le lamine tissutali più profonde darà come risultato lesioni tipo LST, depresse o infiltranti.

La sequenza degenerativa delle lesioni coliche prende origine da un precursore ben preciso, le “cripte cellulari aberranti”, ovvero foci cellulari delle cripte ghiandolari con alterato meccanismo di omeostasi proliferativa.

Da un punto di vista prettamente istologico, le lesioni del colon possono essere suddivise in lesioni serrate e non serrate (23).

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25 4.1 - Lesioni non serrate

Le lesioni non serrate del colon possono essere suddivise in base all’architettura ghiandolare che le contraddistingue. Gli adenomi possono pertanto essere catalogati come:

o Tubulare: se vi è architettura tubulare > 80% o Villoso: se vi è architettura villosa > 80 %

o Tubulo-villoso: se è rappresentata ciascuna delle due componenti in misura minore all’80%.

Più nello specifico:

o Adenoma tubulare. L’architettura delle ghiandole risulta essere conservata, sebbene ve ne sia un aumentato numero per unità di area e possano essere presenti atipie cellulari di diverso grado. Le cellule sono ammassate e possiedono nuclei ipercromici con aumentata mitosi. In caso di atipie, queste si presentano inizialmente nella porzione più superficiale della ghiandola. Il grado di displasia di queste lesioni può essere da lieve a severa, fino al carcinoma in situ. Nelle lesioni peduncolate, generalmente l’aspetto adenomatoso si limita alla porzione superiore, mentre il peduncolo risulta generalmente libero da adenoma e costituito da muscolaris mucosae e sottomucosa.

o Adenoma villoso. L’epitelio presenta lunghe frange di tessuto villoso che si proietta direttamente dalla superficie mucosa, con aspetto digitiforme e nucleo fibrovascolare.

o Adenoma tubulo-villoso. Sono presenti entrambi gli istotipi con percentuali variabili. In particolare la componente villosa può variare tra il 25% e il 75%.

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Le lesioni di dimensioni maggiori tendono a presentare un tipo istologico di tipo villoso o tubulo-villoso, mentre gli adenomi dimensioni inferiori a 1 cm presentano più spesso istologia di tipo tubulare (34, 35, 37, 38).

Figura 17: 1) Adenoma tubulare 2) Adenoma villoso 3) Adenoma tubulo-villoso (Saragoni et al. (35)

4.2 – Lesioni serrate

La configurazione serrata, sebbene derivante da una incorretta trascrizione linguistica, indica il profilo seghettato ed affastellato tipico delle cripte di Lieberkuhn, cioè quando un improprio accumulo di cellule in seguito a sovvertimento dell’omeostasi si organizza in salienze endoluminali. L’effetto che ne deriva è un’alterazione del flusso di scorrimento delle cellule epiteliali dalla base della cripta di Lieberkhun alla superficie mucosa che garantisce il fisiologico turn-over delle mucosa e il suo trofismo.

La configurazione serrata, unita a minime alterazioni architetturali (come l’allungamento delle cripte), è caratteristica dei polipi iperplastici del grosso intestino, che presentano il caratteristico profilo a “dente di sega” nel terzo intermedio e superficiale della cripta, con cripte allungate, rettilinee, parallele, tappezzate da epitelio lineare. L’epitelio mostra nuclei piccoli, ovali, regolari, monostratificati a ridosso della membrana basale ed appare privo di alterazioni displastiche.

I polipi iperplastici sono tradizionalmente ritenuti non-neoplastici con casi di progressione neoplastica riportati solo in maniera aneddotica.

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Per quanto riguarda le lesioni serrate con displasia, ovvero quelle lesioni che possono essere considerate condizioni pre-neoplastiche, esistono evidenze di un percorso morfogenetico che conduce dalla configurazione serrata alla neoplasia intraepiteliale di alto grado passando per fasi intermedie, distinte, di sequenziale estrinsecazione architetturale e cito-cariologica della displasia (41).

Gli adenomi serrati (adenoma serrato tipo superficiale, adenoma serrato tipo 2, polipo serrato con anomalie proliferative, SSA/P), sono prevalenti in sede prossimale al sigma-retto, per lo più di dimensioni maggiori a 1 cm, e sono caratterizzati da cripte che, focalmente o in distretti più o meno estesi, mostrano minime distorsioni dell’organizzazione o franche alterazioni displastiche architetturali (microgemmazioni, ramificazioni e dismetrie del diametro delle cripte, arborizzazioni, estensione del profilo serrato alla base della cripta, crescita orizzontale a ridosso della muscolaris mucosae – cripte a T o a L). Gli adenomi serrati senza displasia tendono a crescere lateralmente con aspetto generalmente non-polipoide o in combinazione prendendo caratteristiche tipo LST (IIa o IIa+Is), mentre gli adenomi serrati con displasia hanno crescita prevalente in profondità ed in altezza, anch’essi con caratteri polipoidi o non-polipoidi (Ip, Is, IIa). Gli adenomi serrati senza displasia presentano generalmente pit-pattern tipo II e bassa intensità di pattern vascolare, mentre gli adenomi con displasia hanno pit-pattern variabile tra II per quelli di minori dimensioni e IIIL-IV per gli adenomi di dimensioni maggiori.

Gli adenomi serrati tradizionali (adenoma serrato polipoide, adenoma serrato tipo 1, TSA) hanno crescita prevalentemente polipoide, con tendenza all’estensione in altezza e profondità, con dimensioni che spesso raggiungono i 10 mm. In questo tipo di adenomi serrati persiste un riconoscibile profilo serrato che diffusamente presenta caratteri riconducibili alla displasia. Displasia di alto grado è presente nel 25% dei casi,

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mentre per circa l’8% dei rilievi sono presenti aree di adenocarcinoma intramucoso Si localizzano più frequentemente in sede colica distale, con pit-pattern variabile tra II (adenomi piccoli) a IIIL e IV (adenomi maggiori).

Esistono inoltre delle forme indeterminate o miste, in cui coesistono caratteri di displasia serrata con aree di displasia adenomatosa tubulare o tubulo-villosa (polipi serrati misti) (41,42).

4.3 – Definizione del grado di displasia

La stratificazione del rischio di degenerazione degli adenomi del colon-retto viene effettuata mediante la definizione del grado di displasia.

Per displasia si intende un’alterazione morfologica identificabile all’esame istologico indicativa di processo neoplastico ma ad uno stadio non invasivo.

Secondo le ultime classificazioni il grado di displasia che in passato veniva definita come lieve, moderata e grave, è stata accorpata in due categorie, ovvero la displasia di alto grado e di basso grado, che a sua volta configura il grado di displasia moderato e lieve

L’unificazione in un unico sistema di classificazione si rese necessario tra le fine del 1990 e il 2000 per appianare le discrepanze tra i patologi, in particolare tra gli autori occidentali e giapponesi. Le differenza nei criteri di diagnosi aveva infatti creato considerevoli problemi interpretativi. Per tale ragione il 5-6 settembre del 1998 si tenne a Vienna un workshop tra 31 patologi provenienti da 12 paesi per sviluppare una terminologia unica che diede vita alla Classificazione di Vienna, successivamente revisionata nel 2000.

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Secondo la classificazione di Vienna, il grado di displasia viene quindi suddiviso in:

Displasia di basso grado: architettura generale relativamente conservata, tubuli ghiandolari solo lievemente allungati o tortuosi, iniziali aspetti di gemmazione; perdita del gradiente di differenziazione cellulare dalla base della cripta alla superficie; nuclei allungati, ingranditi, polarizzati e stratificati.

Displasia di alto grado: cripte con ramificazioni e gemmazioni irregolari, variamente coalescenti. Nuclei frammentati ipercromici, tondeggianti ed ovali, marcatamente ingranditi, nucleolati, nella maggior parte con perdita dell’orientamento polare. Le cellule stratificate hanno citoplasma denso e omogeneo, senza differenziazione mucipara. Nei “carcinomi in situ” vi sono inoltre strutture epiteliali di aspetto complesso, costituite da cellule meno differenziate e maggiormente polimorfe. Nel caso del “carcinoma intramucoso” è presente infiltrazione neoplastica limitata tuttavia alla tonaca propria o che dissocia senza superarla la muscolaris mucosae (34,37).

Da tale presupposto istologico sono state create ulteriori categorie per meglio definire il grading della lesione:

Categoria Diagnosi/Definizione

1 Negativo per displasia 2 Indefinito per displasia

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Neoplasia mucosa di basso grado Adenoma di basso grado

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30 4

4.1 – Adenoma o displasia di alto grado

4.2 – Carcinoma non invasivo (carcinoma in situ) 4.3 – Sospetto di carcinoma invasivo

4.4 – Carcinoma intramucoso

5 Carcinoma con invasione della sottomucosa

Anomalie architetturali nella displasia

Criteri Basso grado Alto Grado

Ghiandole e cripte di forma irregolare +/- ++ Aumento della densità delle ghiandole + ++

Ponti intraepiteliali +/- ++

Aspetto di fusione delle ghiandole - +/-

Aspetto cribriforme delle ghiandole - +/-

Aspetto villoso o papillare - +/-

Frequentemente si osserva la presenza di differenti gradi di displasia nel contesto di un singolo adenoma. In questo caso il grado viene determinato dalla componente con displasia di grado più elevato, indipendentemente dal livello di estensione del tessuto adenomatoso. Da quanto descritto è evidente come la corretta conoscenza della tipizzazione e del grado istologico della lesione indirizzi la scelta terapeutica e determini la radicalità dell’intervento endoscopico.

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Criteri Basso grado Alto Grado

Aumento del rapporto nucleo/citoplasma + ++

Basofilia del citoplasma +/- ++

Pseudo-stratificazione nucleare +/- +

Pluristratificazione epiteliale - +/-

Nuclei vescicolosi e nucleoli prominenti - +/-

Perdita della polarità cellulare - +/-

Anomalie della differenziazione + ++

Mitosi + ++

Mitosi atipiche - +

Anomalie citologiche della displasia

4.4 Il “polipo cancerizzato”

Viene definito come polipo maligno del colon o adenoma cancerizzato la forma più precoce di carcinoma del colon-retto.

La diagnosi di polipo cancerizzato ad oggi ha assunto una maggiore frequenza soprattutto per la maggiore diffusione dei programmi di screening e risulta essere di difficile approccio sia da un punto di vista terapeutico che etico. Infatti non esiste ad oggi uno statement unanime sul trattamento dei polipi cancerizzati.

La definizione di polipo cancerizzato è riservata a quelle lesioni su cui vi è certezza istologica di invasione della sottomucosa. Tale tipo di lesione è provvista di potenziale metastatico nell’ordine del 8-37%. La corretta definizione istologica e stadiazione indirizza la scelta terapeutica (37, 47).

In primo luogo è necessario definire il grading istologico. Gli adenomi cancerizzati vengono definiti come ben differenziati (grado I), moderatamente differenziati

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(grado II) e indifferenziati (grado III). Ai fini terapeutici si suddividono ulteriormente in basso grado (G1 e G2) e alto grado (G3).

E’ inoltre necessario valutare se vi è embolizzazione neoplastica, che può essere assente, focale, discreta o massiva, e la presenza del cosiddetto budding tumorale, ovvero la presenza di cellule carcinomatose isolate o disposte in gruppi di 5 elementi nello stroma del margine di avanzamento tumorale. Anche in questo caso si parla di basso grado (0-9 focolai) ed alto grado (10 o più focolai) (37).

Qualora si optasse per un approccio endoscopico, è necessario valutare lo stato del margine di resezione, che si definisce positivo se sono presenti cellule carcinomatose a meno di 1 mm dal margine di escissione.

La microstadiazione consente di riconoscere lesioni a diverso potenziale metastatico linfonodale. Qualora sia presente almeno uno dei seguenti criteri possiamo parlare di adenoma cancerizzato. A tal proposito si considera:

 Il rapporto percentuale tra tessuto adenomatoso e adenocarcinoma

 Il livello di infiltrazione secondo i livelli di Haggit per i polipi peduncolati e di Kikuchi nelle lesioni sessili. L’interessamento della sottomucosa viene definito come Sm1 se interessa lo strato superiore (tasso di metastatizzazione linfonodale 0-3%, a distanza 0.3%), Sm2 in caso di infiltrazione dello strato medio (tasso di metastatizzazione linfonodale 5-10%, a distanza3%) e Sm3 qualora venga interessato lo strato inferiore (tasso di metastatizzazione linfonodale 10-15%, a distanza 4%).

 Misurazione microscopica della massima profondità e dell’ampiezza dell’infiltrazione.

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Fig. 18 Livelli di Haggitt Classificazione di Kikuchi (Williams, Pullann, Hill – ResearcheGate) La microstadiazione ci consente di definire quali sono le lesioni a maggior rischio di metastatizzazione.

Il trattamento di questo tipo di lesioni è sovente chirurgico ed è caratterizzato, in caso di trattamento radicale, da una sopravvivenza a 5 anni tra il 90 e il 97%. Il trattamento endoscopico ha caratteri di trattamento solo per le lesioni Sm1, mentre l’utilizzo dell’endoscopia per lesioni Sm2 ha solo carattere diagnostico (37).

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5 – Tecniche di trattamento endoscopico

La resezione mucosa endoscopica o mucosectomia è l'opzione terapeutica per il trattamento delle lesioni precancerose del colon. Tali tecniche si distinguono dalla polipectomia tradizionale sia nell'intento di rimuovere in maniera radicale il tessuto patologico fino negli strati profondi della mucosa sia anche per la possibilità di trattare le lesioni piatte, depresse o addirittura sottomucose in casi selezionati. Le tecniche attualmente in uso sono la resezione mucosa endoscopica (Endoscopic Mucosal Resection – EMR) e la dissezione endoscopica sottomucosa (Endoscopic Submucosal

Dissection – ESD), quest'ultima più ampiamente utilizzata nel tratto digestivo superiore

ma che sta assumendo un ruolo sempre più importante per le lesioni coliche.

5.1 – EMR tecnica standard (Lift-and-cut/Injection Assisted EMR)

La EMR è stata sviluppata per la rimozione di neoformazioni di tipo sessile e piatto confinate agli strati più superficiali (mucosa e sottomucosa) del tratto gastroenterico. Le tecniche utilizzate possono essere suddivise in injection-assisted, cap-assited e ligation-assisted (60) .

La EMR con tecnica standard fu introdotta nel 1955 mediante endoscopio rigido e nel 1973 con endoscopio flessibile e prevede l'infiltrazione sottomucosa di una soluzione atta a sollevare la lesione dai piani sottomucosi. (60,64) Tale tecnica è anche una modalità diagnostica, in quanto il sollevamento della lesione (Lifting sign) indica l'assenza di infiltrazione della stessa nei piani sottostanti, parametro che ne modifica in positivo la prognosi. Varie soluzioni per l'infiltrazione sono state studiate nel tempo.

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L'agente di infiltrazione ideale deve essere economico, facilmente disponibile, atossico, facile da iniettare e long-lasting, ovvero permettere un mantenimento del pomfo il più a lungo possibile. Le soluzioni saline sono sicuramente le più accessibili, tuttavia sollevano la lesione per un tempo di pochi minuti. Efficacia maggiore è ottenuta mediante soluzioni con acido ialuronico, idropropil metilcellulosa, gelatine succinilate, glicerolo o fibrinogeno. Tuttavia ad oggi non esiste uno specifico e standardizzato agente per il lifting della lesione. Il volume della soluzione da iniettare dipende dall'entità della lesione. Spesso viene aggiunta alla soluzione adrenalina diluita (1:100.000, 1:200.000) in modo da ridurre il rischio di sanguinamento ed è considerato come un metodo scevro da particolari complicanze (60, 62). Spesso vengono utilizzate soluzioni con adrenalina a concentrazione maggiore (1:10.000). Inoltre è consuetudine aggiungere un colorante alla soluzione, blu di metilene o indaco di carminio, in modo da migliorare il riconoscimento del tessuto patologico e determinare i margini di resezione. Inoltre la colorazione diminuisce i rischi di perforazione perché permette di riconoscere meglio i piani muscolari ed eventuali danni inferti (60, 62,64).

Dopo aver sollevato la mucosa, la resezione avviene mediante ansa diatermica, le cui caratteristiche vengono di volta in volta scelte dall'operatore. La EMR non consente per le lesioni di grandi dimensioni la resezione en-bloc, ma il tessuto viene rimosso a più riprese, modalità definita piece-meal.

La EMR sostanzialmente è una variante della polipectomia standard. In base alla sede della lesione e alle sue dimensioni può risultare di difficile effettuazione e time-consuming, tuttavia risulta essere più semplice rispetto alla ESD. La EMR a tecnica

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36 5.2 – EMR Cap-assisted

La EMR cap-assisted è una variante della EMR standard che condivide l'utilizzo dell'iniezione sottomucosa per il sollevamento della lesione. Per questo tipo di tecnica sono stati sviluppati kit dedicati che prevedono l'utilizzo di un cappuccio di vari calibri da inserire sulla punta dello strumento endoscopico (EMR kit; Olympus). Questo dispositivo monouso prevede l'utilizzo di un'ansa, generalmente tipo crescent, che viene aperta e si adatta alla circonferenza interna del cappuccio. L'endoscopio viene posizionato nell'immediata prossimità della lesione che viene aspirata all'interno del cappuccio mediante il dispositivo di suzione dello strumento. Una volta retratta la lesione all'interno del cap, l'ansa viene chiusa intorno ad essa e quindi sezionata mediante elettrocauterizzazione, così come nella tecnica standard. I cappucci si presentano in varie soluzioni, sia di calibro (da 12.9 mm a 18 mm) che di rigidità, e sono composti di plastica trasparente.

Nel corso di una EMR cap-assisted il posizionamento della lesione o porzione di essa all'interno del cappuccio può essere di difficile approccio. Tale manovra può essere facilitata dall'apertura dell'ansa all'interno del cappuccio in prossimità di una porzione di mucosa normale in modo da garantire il corretto posizionamento per poi approcciare la lesione (62, 68, 69).

Figura 19 - EMR cap Assisted (UOC Gastroenterologia ed Endoscopia Operativa - AOUS

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37 5.3 - ESD

Descritta per la prima volta nel 1988, la ESD differisce dalla EMR in quanto permette una dissezione più profonda e più ampia attraverso dei dispositivi ad-hoc. La ESD viene effettuata in maniera sequenziale:

1) Marcatura del perimetro della lesione

2) Sollevamento della lesione mediante infiltrazione sottomucosa

3) Incisione e sezione circonferenziale della mucosa mediante specifico elettrobisturi;

4) Iniezione e scollamento della sottomucosa fino a completa resezione

5) Trattamento di eventuali sanguinamenti intra-procedurali.

L'elettrobisturi è lo strumento più importante nel trattamento mediante ESD che fondamentalmente la differenzia dalla EMR, con la quale condivide gli altri device utilizzabili durante la procedura (61,62).

Esistono diverse tipologie di bisturi (Knives – vedi figura a pagina 39):

ITKnife e ITKnife 2 (Olympus): una sfera di ceramica di 2.2 mm è montato alla punta di un bisturi di 4 mm di lunghezza. Il modello ITKnife 2 possiede inoltre un elettrodo triangolare al di sotto della sfera di ceramica che facilita il taglio. Questo tipo di dispositivo permette sia l'incisione circonferenziale che la dissezione della sottomucosa. Esiste inoltre una variante più piccola, ITKnife nano, in cui la sfera misura 1,7 mm alla sommità di un bisturi di 3,5 mm (rispettivamente figura A, B e C).

Triangle-tip Knife (Olympus): in questo caso alla sommità del dispositivo vi è un elettrodo triangolare alla sommità di un bisturi di 4,5 mm di lunghezza. L'elettrodo

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triangolare misura 1,6 mm per lato e si estende a 0,7 mm dalla porzione centrale di taglio del bisturi. E' il dispositivo meno usato (figura D).

HookKnife (Olympus): l'elettrobisturi è piegato con un angolo di 90° dandogli

una forma ad L. Il bisturi ha una lunghezza di 4,5 mm con un uncino di 1,3 mm. Sia la direzione dell’ che la lunghezza possono essere modificati. Questo tipo di dispositivo è appunto studiato per uncinare il tessuto in retrazione facilitandone la dissezione e può essere utilizzato sia per la marcatura che la resezione circonferenziale e la dissezione sottomucosa (figura E).

DualKnife (Olympus): sulla punta dell'elettrobisturi è presente un elettrodo a

forma di cupola di 2 o 1,5 mm (rispettivamente per gastroscopio e colonscopio). Utilizzabile per tutte le fasi della procedura (figura F).

FlexKnife (Olympus): il dispositivo è provvisto di un bisturi di 0,8 mm

intrecciato con una punta circolare e può essere esteso a varie lunghezze. Utile soprattutto nella fase di dissezione (figura G).

HybridKnife (ERBE): l''HybridKnife possiede una parte centrale capillare

all'interno dell'elettrobisturi che può produrre un jet di acqua ultrafine (120 um) attivato attraverso un pedale. Questo dispositivo può quindi essere utilizzato anche nella fase di iniezione sottomucosa, dato che il getto di acqua pressurizzato può penetrare la mucosa e separarla dalla sottomucosa (Figura H e I) (61).

Otre alla strumentistica dedicata per facilitare la procedura possono essere utilizzati diversi accessori. L'utilizzo del cappuccio può essere particolarmente utile per mantenere la visione durante la dissezione in quanto permette una migliore visione dell'area di dissezione favorendo anche il drenaggio di liquidi come sangue e acqua. Il cappuccio inoltre favorisce la retrazione del tessuto, anche se l'effetto è subottimale. Per la procedura è consigliato l'uso dell'insufflazione con CO2 (61,62,64).

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6 – Complicanze e loro gestione

Le complicanze in corso di colonscopia si aggirano intorno al 2,8% di tutti gli esami effettuati. Il tasso di complicanza naturalmente aumenta in caso di una procedura operativa, con un tasso di complicanza che aumenta di circa 7 volte.

Le complicanze possono essere legate alla procedura in sé, alla sedazione che viene praticata nella maggior parte dei centri o alla preparazione.

Le complicanze inoltre possono essere catalogate come “intraprocedurali”, “precoci” (entro 48 ore dalla procedura) o “tardive” (dopo 48 ore dalla procedura).

6.1 - Complicanze sedazione-correlate

Le complicanze cardiopolmonari sedazione-correlate includono l'ipossiemia, le alterazioni del ritmo cardiaco fino all'infarto del miocardio, l'arresto respiratorio e lo shock. Il tasso generale riportato in letteratura di complicanze cardiopolmonari si attesta intorno allo 0,9%. L'ipossiemia transitoria è stata riportata in 230 casi su 100.000 procedure, mentre solo 0,78 esami su 100.000 sono stati complicati da ipossiemia prolungata. Fenomeni ipotensivi si sono verificati su 480 su 100.000 pazienti.

Le cause principali di ipossiemia sono legate all'eccessiva sedazione, procedure di lunga durata, la presenza di comorbidità associate, l'insorgenza di fenomeni di ab-ingestis.

L'aritmia cardiaca più frequente risulta essere la tachicardia sinusale, più rare sono le artimie più severe.

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La prevenzione delle complicanze cardiopolmonari si basa su un'accurata valutazione del rischio anestesiologico, un accurato monitoraggio pulsiossimetrico prima, durante e dopo la procedura, attento dosaggio della sedazione in pazienti con patologica polmonare (es. BPCO), sospensione della procedura in caso di ipotensione e/o infusione di atropina e liquidi.

6.2 - Sanguinamento

Il sanguinamento durante EMR o ESD può verificarsi immediatamente o anche a distanza di giorni (in genere entro i primi 7). L'utilizzo di correnti di taglio miste è generalmente correlato al rischio di sanguinamento immediato (correnti di uso più comune), mentre l'utilizzo di correnti a esclusivo effetto coagulativo si associa a sanguinamento di tipo ritardato.

Il tasso complessivo di sanguinamento in corso di manovra operativa si attesta intorno all'1% per polipectomie di lesioni sotto i 2 cm, mentre nell'asportazione di lesioni di dimensioni maggiori può arrivare al 10%. La dimensione della lesione è uno dei fattori di rischio per sanguinamento, a cui si aggiungono la presenza di comorbidità, tra cui coagulopatie o anche patologie cardiovascolari, e l'assunzione di terapie anti-aggreganti o anti-coagulanti.

L'aggiunta di adrenalina alla soluzione per effettuare il lifting della lesione riduce l'incidenza di sanguinamento, tuttavia non influenza la ricorrenza di eventi ritardati.

Più in generale, l'uso di endoloop e l'utilizzo di correnti prevalentemente di coagulazione con chiusura lenta dell'ansa riduce il tasso di sanguinamento in caso di grossi polipi peduncolati. Inoltre per le lesioni di dimensioni inferiori ai 10 mm è consigliabile l'utilizzo dell'ansa “a freddo”.

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Per quanto riguarda il trattamento, i sanguinamento di piccola entità possono essere controllati mediante infiltrazione con adrenalina 1:10.000. Nei sanguinamenti di entità maggiore si predilige l'utilizzo dell'emostasi meccanica con il posizionamento di endoclip, fino all'utilizzo delle OTSC (Over-The-Scope Clip) per eventi di entità maggiore e di natura arteriosa. L'emostasi termica va utilizzata con cautela, in particolar modo nel colon destro. Per i sanguinamenti in corso di EMR o ESD, qualora le endoclip dovessero interferire con la procedura, è preferibile l'utilizzo di correnti monopolari o pinze diatermiche (CoaGrasper) bipolari.

6.3 - Perforazione

La perforazione è sicuramente la complicanza più temibile per le manovre operative sul colon, e può essere conseguenza di un trauma meccanico, barotrauma o di danno iatrogeno.

Favoriscono l'insorgenza di perforazione la presenza di aderenze, di malattia diverticolare severa, flogosi idiopatiche, infettive, attiniche o ischemiche di natura severa, stenosi, età avanzata, comorbidità, lo scorretto utilizzo delle correnti di taglio e coagulazione.

Il tasso di perforazione è variabile in base alla procedura effettuata. In generale il tasso di mortalità per perforazione per tutte le manovre endoscopiche del colon si aggira intorno allo 0,65%.

Molto dipende dall'esperienza dell'operatore, soprattutto nell'introduzione dello strumento e nell'accorto utilizzo dell'insufflazione. E' consigliato l'utilizzo della CO2 nelle manovre operative, riducendo sia il rischio di perforazione con miglioramento della prognosi in caso di avvenuta complicanza. In caso di EMR, l'ansa diatermica deve

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essere posizionata in modo da favorire lo scollamento della mucosa dai piani sottostanti, limitando la quantità di tessuto “catturata” a massimo 2 cm. Il lifting della lesione oltre a ridurre il rischio di sanguinamento, ha effetto anche sul pericolo di perforazione, riducendo la possibilità di danno elettrocaogulativo.

La diagnosi di perforazione è generalmente immediata e ha un esito prognostico favorevole soprattutto se avviene nelle prime 24 ore. Solitamente è possibile documentare il cosiddetto “target sign”, cioè la presenza di un tratto di strato muscolare sul pezzo asportato. La diagnosi tardiva espone il paziente a rischio di peritonite generalizzata, sepsi o instabilità emodinamica fino allo shock. Qualora la breccia sia troppo estesa è indicato il trattamento chirurgico. Il sospetto di perforazione è confermato dallo studio RX e TC.

Il trattamento endoscopico varia in base all'entità della perforazione. In caso di brecce di piccole dimensioni il trattamento con endoclip di tipo “classico” a due valve permette la chiusura per prima intenzione della lesione, con percentuale di successo variabile tra il 60 e il 100% in casi di perforazioni non superiori ai 12 mm. Le OTSC (Ovesco, GmbH Tuebingen, Germany), permettono di chiudere brecce anche oltre i 20 mm, con

percentuale di successo che si attesta intorno al 95%. L'utilizzo degli stent endoscopici parzialmente o totalmente ricoperti può essere considerato per lesioni di dimensioni maggiori, tuttavia il risultato è gravato dall'alta percentuale di migrazione delle protesi.

6.4 - Sindrome elettrocoagulativa post-polipectomia

La sindrome post-polipectomia è una conseguenza del “passaggio” della corrente elettocoagulativa attraverso la parete muscolare del viscere. Ciò comporta l'irritazione localizzata del peritoneo e non è associata a evidente perforazione. Ha

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un'incidenza estremamente bassa, con un tasso compreso tra lo 0,003 e lo 0,1%. I sintomi generalmente si risolvono in pochi giorni dopo adeguata terapia antibiotica, digiuno e osservazione clinica.

6.5 - Complicanze infettive

La batteriemia transitora dopo colonscopia, con o senza manovre operative, insorge in circa il 4% delle procedure, generalmente senza dare chiari segni di infezione. Non esiste tuttavia nessuna correlazione sul beneficio della profilassi antibiotica, infatti non è raccomandata per procedure a basso rischio infettivo. Sono stati descritti sporadici casi di endocardite, pertanto nei pazienti con valvulopatie severe è suggerita la profilassi antibiotica.

ASGE ha stabilito come la maggior parte delle infezioni dopo manovre endoscopiche sia la conseguenza di un non corretto riprocessamento degli strumenti o una scarsa aderenza alle linee guida. Pertanto la prevenzione delle complicanze infettive si basa sulle corrette misure di alta disinfezione degli strumenti.

6.6 - Gas explosion

Estremamente rara ma riportata in letteratura, è l'esplosione dovuta alla combustione dei gas endoluminali colici. Per evitare tale complicanza è sconsigliato l'uso di preparazioni a base di zuccheri come il mannitolo, lattulosio o sorbitolo, mentre è raccomandato lavorare in condizioni di buona toilette, soprattutto se si rende necessario l'utilizzo dell'argon o di correnti di coagulazione, oltre che l'utilizzo della CO2, dove disponibile, per l'insufflazione (65).

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8 – Linee Guida Internazionali

Le più recenti linee guida internazionali riguardo la EMR sono state messe a punto dalla European Society of Gastrointestinal Endoscopy (ESGE) proprio nell'anno corrente, delle quali analizziamo le raccomandazioni inerenti alle lesioni catalogate come laterally spreading.

Per quanto concerne la catalogazione, La ESGE raccomanda che la morfologia macroscopica dei polipi debba essere descritta utilizzando la classificazione di Parigi sottolineando che la descrizione delle lesioni classificate come LST sia sempre accompagnata dalla definizione del pattern morfologico.

Scorrendo le linee guida inerenti la tecnica EMR per la resezione degli LST, la ESGE raccomanda di indagare approfonditamente le cause che possono generare uno scarso outcome. Caratteri associati con incompleta resezione o recidiva includono le lesioni al di sopra dei 40 mm, la localizzazione ileocecale, un precedente tentativo di resezione fallito e SMSA (Size-Morphology-Site-Access) di livello 4 (vedi tabella sottostante) (92).

Grado SMSA

Fattore Valore Punteggio Dimensione (Size) <1 cm 1-19 cm 2-2.9 cm 3-3.9 cm >4 cm 1 3 5 7 9 Tipologia (Morphology) Peduncolato Sessile Piatto 1 2 3 Localizzazione (Site) Colon sinistro Colon destro 1 2 Accessibilità (Access) Facile Difficile 1 3

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Lo scopo della EMR deve essere la completa resezione della lesione con il minor numero di pezzi possibili, con margini adeguati e senza l'utilizzo di tecniche ablative aggiuntive.

ESGE inoltre suggerisce l'iniezione sottomucosa con soluzioni a maggiore viscosità rispetto alla soluzione salina semplice (succinilgelatina, amido idrossietilico, glicerolo) in quanto migliorano l'outcome e riducono i tempi di procedura. Inoltre i coloranti blu inerti come l'indigo carmine devono essere incorporati alla soluzione da iniettare, in modo da facilitare l'identificazione dell'estensione del cuscinetto fluido, dei margini della lesione e della profondità di resezione in modo da riconoscere danni della parete del viscere.

ESGE raccomanda che la EMR en-bloc deve essere limitata a lesioni di dimensioni inferiori a 20 mm nel colon e 25 mm nel retto. Inoltre è raccomandata la resezione completa con ansa, in quanto tecniche di ablazione aggiuntive (APC) non risultano efficaci ed aumentano il tasso di recidiva. Anche l'utilizzo del trattamento termico sui margini della lesione dopo completa resezione necessità di ulteriori studi per definirne la reale efficacia. Se la completa resezione con ansa non è possibile, allora la lesione va studiata in maniera più approfondita. Qualora la lesione presentasse scarso lifting sebbene suscettibile di EMR, la procedura va affidata a centri di riferimento.

ESGE raccomanda fortemente di recuperare tutti i pezzi asportati.

Per quanto riguarda più nello specifico il lato tecnico, ESGE sconsiglia l'utilizzo di correnti di coagulazione a bassa potenza a causa del maggior rischio di sanguinamento post-procedura. E' fortemente raccomandato l'uso della CO2 durante la procedura e l'utilizzo di una pompa di lavaggio dedicata, sia per la migliore visione del campo che

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per il controllo di eventuali sanguinamenti. Non vi sono raccomandazioni particolari sul tipo di ansa da utilizzare, che dipendono dalla preferenza e dal grado di conoscenza dell'operatore.

In caso di sanguinamento intraprocedurale, ESGE raccomanda il trattamento endoscopico termico o meccanico con o senza iniezione di adrenalina diluita. Non è raccomandato la chiusura della breccia mediante endoclip o altri metodi di profilassi del sanguinamento ritardato. Il ruolo della profilassi “meccanica” è limitato solo ai pazienti ad alto rischio. I pazienti che manifestano sanguinamento tardivo e che presentano parametri emodinamici stabili vanno inizialmente trattati in maniera conservativa. Se si rende necessario l'intervento chirurgico, è comunque raccomandata una colonscopia prima dell'operazione. Qualora il punto di sanguinamento dovesse essere determinabile, ESGE raccomanda il trattamento termico o meccanico, con o senza iniezione di adrenalina.

ESGE raccomanda l'accurata ispezione del sito di resezione in modo da identificare possibili rischi di perforazione. Qualora fossero evidenti, è raccomandato l'uso delle clip a chiusura della breccia. Tali fattori predittivi, o “target signs”, sono determinati dalla presenza di sezione parziale o a tutto spessore della muscularis propria ed indicano rischio di immediata perforazione. In questi casi la chiusura con l'utilizzo delle clip deve essere immediata. Per coadiuvare il riconoscimento delle aree a rischio di perforazione è utile incorporare alla soluzione da iniettare dei coloranti che risaltano le fibre muscolari (cromoendoscopia). Segni endoscopici come l'esposizione dello strato della muscolaris propria, la presenza di fibrosi sottomucosa o la visione di grasso sottomucoso sono da indagare con l'uso della cromoendoscopia. Aree scarsamente colorate a causa di fibrosi sottomucosa vanno chiuse immediatamente.

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I pezzi asportati vanno raccolti in contenitori separati, uno per lesione. La fissazione deve essere effettuata in formalina al 10%. Le lesioni rimosse en-bloc vanno orientate.

Per quanto concerne l'ESD, più nello specifico nel trattamento delle lesioni coliche, le linee guida ESGE più recenti risalgono al 2015 (66).

ESGE sottolinea che la maggior parte delle lesioni retto-coliche superficiali può effettivamente essere efficacemente rimossa mediante EMR. Tuttavia la ESD va considerata nei casi con sospetta infiltrazione limitata alla sottomucosa, se è presente morfologia depressa (Parigi 0-IIa-IIc, 0-III) o irregolare della lesione o se la lesione presenta pattern superficiale non-granulare. Nel retto l'indicazione alla ESD può essere estesa a tutte le lesioni con caratteristiche LST per il rischio di carcinoma precoce, la complessità delle tecniche chirurgiche alternative e un profilo di sicurezza maggiore rispetto alle altre sedi coliche. La ESD ha anche il vantaggio di una maggiore accuratezza istopatologica data dalla resezione en-bloc. La ESD può essere presa in considerazione per tutte quelle lesioni che non possono essere adeguatamente rimosse con tecnica EMR. La valutazione preliminare è essenziale, sia con tecniche endoscopiche che di imaging. L'approfondimento con EUS o RMN va considerato nelle lesioni rettali con sospetto di infiltrazione sottomucosa. Il profilo di safety (tasso di sanguinamento 13,9%, tasso di perforazione 12%, che si riduce drasticamente nei centri di maggiore esperienza) è risultato essere sovrapponibile alla EMR e il trattamento delle complicanze risulta essere il medesimo, sebbene sia preferibile l'uso dell'emostasi meccanica in caso di sanguinamento in modo da evitare il danno termico sullo strato muscolare (67).

Per quanto riguarda la sorveglianza, ESGE raccomanda un controllo a 3-6 mesi dalla procedura di resezione. Se non vi sono segni di recidiva, il successivo esame di follow-up può essere effettuato a distanza di un anno. In caso di resezione piecemeal con

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presenza di margini laterali “positivi” e senza indicazione alla chirurgia, una colonscopia con biopsie va effettuata entro 3 mesi.

PARTE 2:

L’ESPERIENZA SENESE

DAL 2014 AD OGGI

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1 –

Introduzione

La presente tesi prende in considerazione l’esperienza maturata presso l’Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia Operativa del Policlinico “Santa Maria alle Scotte di Siena” diretta dal Prof. Mario Marini, nel trattamento delle lesioni non polipoidi di grandi dimensioni relativa al quadriennio 2014-2017.

Sono stati raccolti i dati relativi alle procedure operative effettuate su lesioni con dimensioni superiori a 2 cm e sono state messe a confronto le variabili relative ai pazienti, al tipo di procedura e al follow-up.

Lo scopo della tesi oltre a confrontare le caratteristiche prettamente tecniche e demografiche dei pazienti considerati è sottolineare la sicurezza e l’efficacia del trattamento endoscopico sulle lesioni di grandi dimensioni e l’importanza dello screening nella ricerca e trattamento delle lesioni precancerose del colon-retto.

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