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MEGAMARKETING E OLIO DI PALMA: ISTITUZIONALIZZARE E DEISTITUZIONALIZZARE IL CONSUMO

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di Economia

CdL Magistrale in Marketing e Ricerche di Mercato

Tesi di Laurea

Il megamarketing e l’olio di palma:

istituzionalizzare e de istituzionalizzare il consumo

Relatore

Prof. Matteo Corciolani

Candidato

Marco Serafino

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SOMMARIO

1. Introduzione 3

2. Teoria 6

2.1 Il megamarketing, la NIT e la de istituzionalizzazione dei consumi 6

2.2 L’olio di palma e la nascita di nuovi mercati 26

3. Metodologia 41

3.1 Raccolta dei dati 46

3.2 Preparazione dati 48

3.3 Creazione del dizionario 49

3.4 Misurazione 52

3.5 Convalida del dizionario 54

3.6 Interpretazione 56

4. Risultati 58

4.1 Analisi basata sulla legittimità 59

4.2 Analisi basata sul tipo di fonti 64

4.3 Analisi basata sul paese e la tematica (Produzione/consumo) 71

4.4 Analisi basata sul periodo storico di riferimento 74

5. Conclusioni 80

5.1 Implicazioni teoriche 80

5.2 Implicazioni manageriali 82

3.3 Limiti e sviluppi futuri 83

Bibliografia 84

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1. INTRODUZIONE

Questa tesi si pone come obiettivo quello di interpretare e dare un senso al trattamento che l’argomento dell’olio di palma ha ricevuto dai media. Analizzando l’evoluzione degli articoli di giornale a esso dedicati e delle tematiche che a esso sono state accostate nel corso degli ultimi tre decenni, abbiamo cercato di far luce sulle dinamiche che hanno interessato questo prodotto controverso al fine di aiutarci a spiegare il concetto di Megamarketing. Quest’ultimo, introdotto nel 1986 da P. Kotler, si può descrivere come un insieme di tentativi e sforzi coordinati finalizzati a influenzare e cambiare le regole di mercato a favore o sfavore di un determinato prodotto, già presente oppure prossimo a essere immesso sul mercato. Nel nostro caso, l’olio di palma ha ricevuto nel corso degli anni numerosi attacchi, soprattutto dal punto di vista mediatico, che sono riusciti in alcuni casi a far si che ne fosse regolamentato, limitato e in alcuni casi addirittura

eliminato, il consumo.

Abbiamo deciso di organizzare il lavoro in tre capitoli, vale a dire: un capitolo teorico, un capitolo sulla metodologia utilizzata per le analisi e un capitolo dedicato ai risultati e alle rispettive

interpretazioni.

Nella prima parte del capitolo teorico abbiamo introdotto i concetti di Megamarketing e della Neo- Istitutionalism theory (NIT), cercando di spiegarne in maniera adeguata le regole e gli elementi che li costituiscono, necessari a comprendere al meglio il nesso tra i risultati forniti dai contenuti mediatici utilizzati e il prodotto in questione. Il Megamarketing, oltre ad essere quindi utilizzato da coloro che hanno interesse a sovvertire e modificare le esistenti regole di mercato a vantaggio o svantaggio di un determinato prodotto, si configura anche come uno strumento importante per coloro che invece hanno interesse a far si che le leggi e regole di mercato presenti, restino invariate e immutate.

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Nella seconda parte invece abbiamo cercato di fornire una visione più ampia riguardo all’olio di palma, dalla sua produzione e commercializzazione le quali sono state oggetto di critiche soprattutto per le conseguenze ambientali (deforestazione, inquinamento, animali) al prodotto finito e utilizzo che, soprattutto nel settore alimentari, l’ha visto fin dall’inizio giudicato, talvolta ingiustamente e addirittura demonizzato per i suoi presunti danni alla salute.

Il capitolo del metodo spiega come abbiamo svolto le nostre analisi. Si tratta di un’Automated Content Analysis basata sul conteggio delle parole (Word Count). Sviluppata da Ashlee Humphreys nell’Using Automated Content Analysis for Consumer Research (2014), questa tecnica ci permette di estrapolare informazioni da vastissimi e altrimenti indecifrabili contenitori d’informazioni, nel nostro caso, articoli di giornale in formato digitale. In base alla frequenza con cui si ripetono determinate parole all’interno dei testi, utilizzando un apposito dizionario, si cerca di individuare quindi gli argomenti più trattati, i riferimenti più assidui e regolari.

Utilizzando il software statistico SPSS, abbiamo svolto le nostre analisi che vanno a costituire il capitolo dei risultati, che abbiamo suddiviso in 4 gruppi, in base alle variabili utilizzate, vale a dire: analisi basata sulla legittimità dell’olio di palma, analisi basata sulle fonti utilizzate, analisi basata sul paese di provenienza dell’articolo/testata giornalistica e dell’argomento prevalente

(produzione/consumo) e analisi basata sul periodo storico di riferimento. Esse costituiscono le variabili fondamentali di cui ci siamo serviti per svolgere al meglio il nostro compito e ottenere gli obiettivi prefissati.

L’insieme degli argomenti trattati dai media, siano essi la salute, la deforestazione, lo sviluppo economico, l’inquinamento ecc. in relazione alle variabili appena elencate, hanno costituito le basi di partenza perché arrivassimo a ottenere, attraverso le funzioni del software, i risultati

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Più precisamente abbiamo utilizzato:

 Crosstabs: permette di misurare in che maniera 2 variabili qualitative, una dipendente (effetto) e una variabile indipendente (causa) sono collegate fra loro.

 One way ANOVA: ci consente di vedere che legame esiste tra una variabile qualitativa (indipendente) e una serie di variabili quantitative (dipendenti).

Il livello di significatività che il software ci fornisce su ciascun‟analisi svolta, ci ha dato la possibilità di filtrare ed eliminare tutte le analisi che, presentando un livello di significatività p>0.05, non mostravano nessuna associazione, e pertanto non interessante, tra le variabili causa e le variabili effetto. Per ovvie ragioni, abbiamo riportato solo le analisi significative.

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2. TEORIA

2.1 IL MEGAMARKETING, LA NIT E L’ISTITUZIONALIZZAZIONE DEI CONSUMI

Quando parliamo di Megamarketing, parliamo di uno sforzo coordinato, finalizzato ad influenzare le istituzioni a livello normativo, cognitivo e legislativo (Humphreys, Chaney e Slimane 2016). Precedentemente utilizzato per studiare la creazione e l‟evoluzione del mercato, il megamarketing e la sua correlata Neo- Istitutionalism theory sono volti a studiare il conflitto che si viene a creare tra le aziende che hanno interesse a destabilizzare le regole del mercato, le pratiche di consumo e i relativi comportamenti dei consumatori e quelle che invece hanno interesse a far sì che tutto resti invariato all‟interno di un determinato mercato. Introdotto da Philip Kotler nel 1986, che ne ha coniato il termine, il concetto di Megamarketing offre una panoramica molto utile per creare strategie di marketing che possono interessare diverse parti del mercato, quindi essere utile ai fornitori, ai distributori, ai critici, ai media ecc. Il megamarketing fornisce un valido supporto per identificare i punti su cui le aziende dovrebbero insistere per penetrare i mercati o, addirittura, a crearne di nuovi, con tutti i conseguenti ed ovvi vantaggi di cui un risultato del genere si farebbe portatore (Humphreys, Chaney e Slimane 2016).

La congiunta Neo-istitionalism theory (NIT) è una teoria sociologica che deriva dal lavoro di Meyer e Roman del 1977 e di DiMaggio e Powell del 1983 che contribuisce a chiarire e capire il processo di istituzionalizzazione che nasce sia tra le varie organizzazioni che all‟interno delle stesse. La NIT ha mostrato come l‟istituzionalizzazione crea omogeneità tra le imprese ma anche come segnali in qualche modo, gli attori di mercato che deviano da comportamenti ordinari. Come per il Megamarketing, anche la NIT nasce con finalità leggermente differenti in origine, infatti era stata concepita per spiegare la stabilità e l‟omogeneità dei fenomeni organizzativi. Più recentemente,

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invece, ha cominciato ad esplorare la nascita delle istituzioni di consumo partendo dallo studio dei processi istituzionali di pratiche sociali, così come la loro destabilizzazione.

Possiamo definire le istituzioni come l‟insieme delle regole che danno forma e standardizzano i comportamenti di mercato, distinguendo cosa è legislativamente giusto da cosa non lo è. (Di Maggio e Powell 1983; Suchman 1985).

Intorno agli individui si creano abitudini, trends e fenomeni istituzionali persistenti che, proprio perché istituzionali, diventano ovvi e dati quindi per scontati. Dall‟altra parte invece, fenomeni e pratiche non istituzionali vengono rifiutate o abbandonate. Parafrasando i sociologi Berger e Luckman, l‟istituzionalizzazione da quando permette alle pratiche sociali di essere fissate in schemi mentali a livello macro-sociale, crea una sorta di “cognizione automatica” negli individui. Le istituzioni portano stabilità e continuità all‟interno dei mercati in quanto, come risulta abbastanza immediato ed evidente da quanto spiegato, rendono standardizzati e omologati comportamenti di consumo e relative pratiche sociali.

Scott (2001) individua tre strati nelle istituzioni: uno strato regolativo, uno normativo ed uno cognitivo. Lo strato regolativo comprende leggi e regole formali. Lo strato normativo comprende norme e valori, individua gli obiettivi e identifica i modi più appropriati per perseguirli. Le dimensioni cognitive sono invece connesse a strutture che conferiscono a pratiche condivise e forme sociali la qualità di essere chiare e auto evidenti, perciò incontestabili. In questo modo ogni pratica di consumo è supportata da questi tre pilastri istituzionali e ogni cambiamento influenza direttamente il modo in cui il modo in cui “si consuma” e “ci si comporta” (Scott 2001).

Le istituzioni pertanto, agiscono da intermediari fra fornitori e consumatori. Forniscono l‟ossatura per i consumatori per comprendere la pratica di consumo.

Esse creano le abitudini, i modi di pensare che ogni attore in un determinato ambiente di mercato si aspetta che seguano tutti gli altri attori. Se applicato al campo del Marketing, questa definizione

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permette al consumo di essere concepito come un istituzione, il quale studia in che modo, a che livello, la pratica di consumo è data per scontata e “assorbita” dai consumatori, fino a che punto riesce a coinvolgerli e, ancora, che conseguenze ha sul loro comportamento. (Berger and Luckman 1967; Varman and Costa 2008; Zucker 1967). Essendo il consumo, radicato nello strato cognitivo, normativo e legislativo delle istituzioni, si inserisce profondamente nelle abitudini, negli usi e nelle pratiche di tutti i giorni (Scott 1995). Al giorno d‟oggi, l‟uso di canali di distribuzione di massa è considerato come chiaro e legittimo dai consumatori, anche se, d‟altra parte, scegliere e mettere nel carrello non è una scelta istituzionalizzata, finché le persone non lo fanno istintivamente.

Un altro esempio efficace potrebbe essere, come hanno provato a dimostrare Urien e Naccache nel 2005, il tempo come istituzione. Usando l‟esempio dello Swatch e il suo tentativo di lanciare nel 1998 una nuova concezione del tempo, gli autori adottano un approccio istituzionale alla realtà sociale per mostrare come lo stesso tentativo finisca in fallimento. Infatti, GMT e UTC (coordinated universal time) funziona come un istituzione a cui la gente fa riferimento in maniera ripetitiva, rafforzandolo, in tal modo, costantemente. Malgrado il lancio sia stato preparato con grande attenzione e meticolosità, il management della Swatch ha trascurato l‟aspetto culturale e cognitivo del tempo, di un idea come il tempo. Perciò, non possiamo cambiare l‟esperienza del tempo su ordinanza.

Per far si quindi, che la pratica di consumo esista e persista, c‟è bisogno che sia radicata nei tre strati delle istituzioni. Questo significa che il consumatore accetterà una categoria di prodotto solo se ha una struttura cognitiva, regolativa e normativa. (Humphreys, Chaney e Slimane 2016). Se una pratica di consumo è, al tempo t, ritenuta essere un istituzione, significa che è supportata dai tre strati. I consumatori, in questo caso, hanno perfettamente capito e accettato questa pratica. Una pratica di consumo istituzionalizzata, è radicata nella società. La moda, per esempio, come evidenziano Scaraboto e Fischer nel 2013, è a tutti gli effetti un istituzione. Allo stesso modo, essere alla moda è stato associato anche all‟essere magri.

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Tutto questo è così comunemente accettato, che i vestiti messi in mostra per essere comprati dalle più grandi ed importanti catene di abbigliamento, sono taglie per persone magre. Viene da se, che le persone di taglia più grande vengano in qualche modo discriminate dal mercato e messe quindi ai margini dall‟ istituzione, perciò solo alle persone magre è consentito avere accesso ad una vasta scelta di capi di abbigliamento. Lo studio delle strategie, specialmente in termini di movimenti sociali usati dai consumatori, delle istituzioni, come i consumatori a basso reddito, è una promettente strada di ricerca.

Proprio perché il consumo viene considerato come un istituzione, la Neo-istitutionalism theory è in grado di mettere in luce le azioni e le strategie di questi consumatori che sono esclusi dal mercato ma che vorrebbero prenderne parte. Questa è a tutti gli effetti una sorta di anti – resistenza, perché qui le persone non sono avverse al consumo ma, al contrario, cercano invece di guadagnarvisi l‟accesso, cambiando le regole e le pratiche all‟interno del mercato. (Humphreys, Chaney e Slimane 2016).

Da quando le persone sono socializzate tra le abitudini stabilite, le persone escluse dal mercato vedono questa emarginazione come ingiusta e anormale.

In Francia il consumo del fois gras durante le vacanze invernali è un istituzione molto simile a quella del tacchino durante la festa del ringraziamento negli Stati uniti (Stern 1995). I consumatori musulmani, esclusi da un‟istituzione a cui sono stati comunque esposti, la festa del ringraziamento, hanno chiesto di poterne far parte. Così il mercato del fois gras. In casi come questo, il consumo diviene una normalità e pertanto quasi un dovere per le persone prenderne parte, a tal punto che si sviluppano strategie collettive per entrare nel mercato. Strategie alle quali le ricerche di marketing si sforzano di dare un senso. Allo stesso modo, se un‟istituzione non è supportata dai tre pilastri delle istituzioni, ad un certo punto non viene più considerata un‟istituzione (Humphreys, Chaney e Slimane 2016).

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Lo studio di queste strategie individuali e collettive appaiono molto importanti ed interessanti. La NIT in questo caso ci permette di identificare e spiegare il comportamento dei consumatori nel momento in cui esiste, appunto, una carenza a livello istituzionale. Per fare un esempio, la carenza a livello regolativo per quanto riguarda il consumo di sostanze illegali come gli stupefacenti, ha ovviamente un effetto sul consumo, nel senso che lo spinge ad essere compiuto clandestinamente. D‟altra parte, invece, proprio l‟assenza dei pilastri cognitivi e normativi, costituisce, almeno a livello teorico, una sfida interessante (Humphreys, Chaney e Slimane 2016).

Il rapido passo in avanti negli ultimi anni, in campi come quello dell‟innovazione, soprattutto in ambito tecnologico, non ha ancora permesso ai consumatori di cogliere appieno l‟offerta in quanto il livello cognitivo e normativo non sono ancora pienamente definiti. Identificare i consumatori che acquistano queste offerte sul mercato non ancora istituzionalizzate, in particolare appunto il modo attraverso cui sopperiscono alla carenza a livello istituzionale, si dimostra una valida prospettiva di ricerca che la NIT offre. Questo potrebbe fornire un nuovo punto di vista sugli innovatori e sui primi che decidono di adottare nuovi tipi di prodotti (Rogers 1995).

Come abbiamo detto quindi, è necessario che un‟impresa riesca, attraverso una serie di sforzi, a creare le condizioni necessarie, nei termini istituzionali che abbiamo già discusso, per il consumo. Abbiamo a che fare con domande relative alla nascita delle istituzioni, le quali, da un punto di vista di marketing, devono essere collegate al lancio di ogni prodotto di successo (Humphreys, Chaney e Slimane 2016). In questo caso la NIT invita il marketing ad adottare una visione dinamica che permetta all‟ impresa di carpire la maniera più giusta per legittimarne l‟offerta e promuoverne la diffusione. (Humphreys 2010b; Zelizer 1979).

Naturalmente tutte la attività di marketing devono contribuire a rendere l‟offerta legittima, ma considerando le dimensioni macro e sociale, la NIT suggerisce che ci siano due livelli di legittimità. Il primo riguarda la pratica di consumo in senso più generico, come la pratica di acquistare e andare in motocicletta, il secondo è più legato all‟impresa e al prodotto specifico, come nel caso dell‟

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Honda e dell‟ Harley Davidson. Questi due livelli non sono interconnessi. Al primo livello, il successo di un prodotto è strettamente legato al posizionamento degli altri prodotti della stessa categoria sul mercato e alle pratiche di consumo in senso generico. Il secondo invece, da più importanza al posizionamento di ogni prodotto relativo ai suoi competitors nella stessa categoria. (Humphreys, Chaney e Slimane 2016). I concetti tradizionali di strategie di marketing si sono indirizzati, fino ad oggi, ad essere compresi in termini del secondo livello di legittimità. (Ries and Trout 1981). In ogni caso, la NIT mette in luce l‟influenza e l‟importanza del primo livello di legittimità sulle azioni strategiche e operative.

Quando il primo livello di legittimità non è stabilito, come nel caso della creazione di un nuovo mercato, oppure quando esso è minacciato, come nel caso in cui ci sia un calo del tipo di mercato, una crisi, le operazioni di marketing delle imprese tendono a convergere e ad essere molto simili. Il motivo è che le imprese sono in una situazione di collettivo deficit in termini di legittimità, la quale le spinge sia a cercare di creare oppure a salvare il loro mercato come se fosse unico, indipendentemente dal brand di ciascuno. D‟altro canto, quando le pratiche di consumo in senso generico oppure una categoria di prodotto si istituzionalizza, le imprese possono decidere di differenziarsi ulteriormente e sviluppare genuinamente una strategia competitiva. In questo caso, la competizione e la differenziazione possono superare la tentazione di allinearsi sotto il medesimo piano operativo (Chaney and Marshall 2013; Deephouse 1999).

La fase di creazione del mercato dei minivan può fornire un valido esempio, come mostrato da Rosa et al (1999). Infatti, gli attori del settore hanno dimostrato una notevole forma di convergenza nella loro strategia di marketing, esaltando i meriti dei minivan in generale, rispetto alle berline o ai pickup, al fine di istituzionalizzare la loro nuova categoria di prodotto. Dopo un po‟, quando il consumo dei minivan cominciò a diventare evidente, e pertanto legittimato al primo livello, le imprese hanno cominciato a differenziare le loro pratiche di marketing con una più vasta varietà di posizionamenti e promozioni dei loro rispettivi prodotti (Rosa et al. 1999).

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La Nit ci fornisce una nuova griglia interpretativa che ci permette di comprendere meglio quello che è il processo di differenziazione, andando al di là dell‟approccio usato da Rosa et al., il quale rimane focalizzato sul binomio impresa – consumatore e trascura l‟influenza che possono avere altri attori, quali i media, i critici, fornitori ecc. Studiando le origini dell‟ industria automobilistica, Rao (2002) svela il ruolo fondamentale svolto dai club automobilistici e dei media nel duplice posizionamento dell‟automobile, prima di tutto in termini di automobilismo come attività accettata

e legittimata, poi nella promozione vera e propria di un particolare tipo di modello o brand. Potrebbe essere interessante, approfondire il concetto di duplice legittimità, considerando la soglia

al di sopra della quale un settore ne acquisisce a sufficienza per entrare nella successiva fase di differenziazione. Esiste una vera e propria sfida teorica per quanto riguarda identificare e misurare questo comune livello di legittimità da raggiungere, che coinvolge tutti i fornitori nel medesimo mercato, necessaria appunto per la seconda fase. Viceversa, l‟altra sfida teorica consiste nell‟identificare le conseguenze per un‟impresa che si è inoltrata nella fase di differenziazione senza aver prima raggiunto però il livello di legittimità che si può ritenere sufficiente. Questo aspetto, può essere compreso con più facilità se facciamo riferimento al mercato dei dispositivi di allarme per il controllo della velocità. Questi dispositivi infatti erano altamente innovativi e sofisticati, pertanto era importante che venissero compresi e accettati prima che i brand tentassero una differenziazione e differenti posizionamenti dei loro prodotti. Le prime pubblicità quindi si riferivano ai dispositivi di controllo della velocità in generale.

Al di là della pubblicità, queste osservazioni possono essere applicate anche ad altre variabili di marketing. Per esempio, quando si crea un nuovo mercato, le imprese sono obbligate a praticare la stessa politica di pricing al fine di fornire un punto di riferimento ai consumatori? Allo stesso modo, bisogna stabilire le stesse norme o aderire ai medesimi canoni? E, ancora più importante, fino a che punto queste regole devono essere rispettate? Più in generale, tutte queste linee di ricerca aumentano la questione cruciale relativa al trade-off tra primo e secondo livello di legittimità oltre a

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rendere ancora più interessante e rilevante anche come la fase di declino di legittimità di una specifica impresa interessa tutti gli attori di mercato in un campo determinato (Humphreys, Chaney e Slimane 2016).

In realtà, la NIT lascia chiaramente comprendere che la messa in discussione della legittimità di una determinata impresa interessa in maniera abbastanza decisa anche i suoi competitors. In un mercato emergente come in un mercato in crisi infatti, essi sono particolarmente interconnessi. Prendiamo l‟esempio Francese della Société Générale: quando è stata coinvolta nello scandalo finanziario del 2008, la legittimità di tutte le banche francesi è stata messa in discussione, anche se non ci sono studi che diano informazioni più dettagliate riguardo la portata di tale fenomeno. La questione centrale che emerge è fino a che punto i consumatori possono creare un deficit di legittimità a tutti i partecipanti in un determinato mercato. In più, lo studio delle strategie di business per recuperare il livello di legittimità attraverso i consumatori potrebbe offrire possibilità e prospettive tutt‟altro che trascurabili (Humphreys, Chaney e Slimane 2016). Vergne (2012) mostra come aziende impegnate in settori non visti di buon occhio da tutti, come il settore degli armamenti, possano riguadagnare legittimità investendo in aree che sono percepite come positive dai consumatori.

La NIT offre un importante contributo per quanto riguarda il passaggio dal concetto di marketing a quello di megamarketing. Assumendo che alcuni mercati possono essere considerati chiusi, viene da se che ci siano evidenti difficoltà per le nuove imprese riuscire ad entrare nel mercato. Il concetto di megamarketing perciò, coniato dal già citato Kotler nel 1986, prevede che, per riuscire a penetrare questi mercati “protetti” ed in qualche modo sopravvivere, le imprese devono adottare un approccio di marketing più ampio, nel senso che devono andare oltre il concetto di marketing originale che si concentra solo sui consumatori e sulla competitività (Kotler 1980). Pertanto, il marketing estende i suoi confini fino alla politica e alle relazioni pubbliche. (Coronna 1993). Mentre il marketing si orienta principalmente al soddisfacimento dei potenziali consumatori cercando di differenziarsi dai competitors, il megamarketing cerca di ottenere cooperazione da terze parti, al fine di influenzare le

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istituzioni che determinano il consumo. A titolo di esempio Mobley e Elkins mostrano come si possa applicare il concetto di megamarketing ad un settore altamente regolamentato, come quello della salute pubblica. In questo caso, il perseguimento di strategie di megamarketing risulta oltremodo necessario, vista la grande varietà di parti coinvolte, quali medici, pazienti, ospedali, compagnie di assicurazione e autorità in materia di salute.

Il megamarketing può essere definito anche come la: coordinata applicazione di strumenti di natura economica, psicologica, politica che unita al campo delle pubbliche relazioni mira a raggiungere la cooperazione tra un insieme di parti che condividono la stessa visione del mercato e quindi vogliono fare il oro ingresso utilizzando la stessa strategia (Kotler 1986).

La dimensione politica è quella che emerge come più significativa. Ad ogni modo, tale concezione delle condizioni istituzionali riguardo il consumo resta abbastanza limitata: un approccio al marketing più ampio, assume anche che il consumo sia radicato nella quotidianità dei consumatori e che stia divenendo sempre più un aspetto culturale e socialmente edificato nella conoscenza collettiva (Penaloza 2000).

Partendo dal concetto di lavoro istituzionale possiamo arricchire ed ampliare le dimensioni relative all‟idea di megamarketing aggiungendo anche ad esso, come per la NIT, quella cognitiva e quella normativa. Inoltre, per dare un ulteriore definizione, il megamarketing è l‟insieme delle strategie di marketing volte a creare, preservare o destabilizzare il pilastri cognitivi, normativi e regolativi delle istituzioni di consumo.

La questione è concentrarsi, attraverso le strategie di marketing, sulla creazione delle condizioni necessarie alla gente per consumare, considerando lo sviluppo del mercato come un processo politico e un complesso sociale (Buzzel 1999). Il megamarketing come viene presentato qui attinge dallo sviluppo della NIT e, si dirama in due differenti concetti: quello del megamarketing inteso come lavoro istituzionale e quello inteso come visione dinamica del campo. In questo modo,

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andiamo al di là di Kotler, portando avanti l‟idea che il megamarketing, sebbene certamente attinente alla questione dei mercati sbloccati, può essere altamente rilevante per quanto concerne il creare nuovi mercati intorno ad una nuova offerta, mantenere un‟offerta in un mercato maturo, per destabilizzarlo oppure chiamare in causa una nuova offerta al fine di rimpiazzarlo. Ad ogni livello, è importante agire in maniera simultanea sui tre pilastri istituzionali (Humphreys, Chaney e Slimane 2016).

Nei mercati emergenti, ad esempio, come nel campo dell‟innovazione, la teoria insiste tanto sula necessità di definire l‟offerta, quanto su quella di legittimarla e chiarirla anche dal punto di vista cognitivo (Suchman 1995) quindi collegarla a istituzioni esistenti così che i consumatori non la trascurino, per accrescere l‟accettabilità dell‟offerta da parte della comunità (Lawrence and Philips 2004). Per di più, la standardizzazione del comportamento del consumatore in relazione alla nuova offerta potrebbe includere volantini, opuscoli o vere e proprie dimostrazioni all‟interno del punto vendita e la creazione di nuove categorie attori di mercato che diventeranno i punti di riferimento agli occhi dei consumatori, affinché questi apprendano come consumare, in accordo con gli standard sviluppati (Woolgar et al. 2009).

Riguardo invece alla conservazione della pratica di consumo, il megamarketing potrebbe includere un processo di ritualizzazione presupponendo che la perpetuazione di tali pratiche contribuirebbe a mantenere vivi alcuni importanti simboli della società. Preservare invece il pilastro normativo, potrebbe prevedere attività mirate a ricompensare comportamenti conformi alle istituzioni esistenti e punendo comportamenti devianti o “sovversivi”. Il pilastro regolativo infine, si potrebbe proteggere attraverso una cooptazione politica per difendere le regolamentazioni vigenti (Dacin et al. 2010).

Nel campo della musica registrata, le grandi majors hanno tentato di mantenere le istituzioni esistenti per far fronte alle pratiche di scaricamento illegale cercando di introdurre sanzioni per la pirateria e introducendo dei diritti digitali (Blanc and Huault 2014).

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In ultimo, le istituzioni posso essere soggette a tentativi di destabilizzazione (Delacour and Leca 2011). Quello che qui la NIT cerca di sottolineare è che quando scompare un prodotto, un comportamento oppure un‟azione sociale, si tratta di un processo che socialmente coinvolge tutti e tre i pilastri su cui si fonda l‟istituzione (Maguire and Hardy 2009).

Per coloro che provano ad entrare nel mercato, per fare un esempio, il processo di demonizzazione, che spiegheremo fra poco insieme alle altre strategie di destabilizzazione, fa leva su una giustizia sociale e retorica dipingendo il consumatore come vittima delle esistenti istituzioni (Hensman 2003). Ovviamente, coloro che sfidano queste istituzioni, si definiscono parte della soluzione ai problemi presenti. La letteratura in questo caso incoraggia i consumatori a infrangere, in maniera individuale o collettiva, le regole vigenti, riducendo i costi legali e cognitivi sostenuti dai nuovi entrati ed introducendo nuovi criteri relativi alla qualità del prodotto (Garud et al. 2002). Alcuni tipi di azioni illegittime ripetute, possono far si che in seguito tutto sia legalizzato (Hensman 2003). Negli anni ‟70 l‟emergenza della radio FM in Francia ha portato all‟indipendenza delle stazioni radio. Queste stazioni illegali hanno continuato a sfidare i divieti fino a che non sono state legalizzate e istituzionalizzate (Humphreys, Chaney e Slimane 2016).

Come abbiamo visto, la NIT offre una visione più ampia e articolata del marketing rendendo più ricco e dettagliato quello che è il concetto di megamarketing.

Come lavoro istituzionale perciò il megamarketing, non contempla la fase di segmentazione e il processo di individuazione del target. Infatti, è solo dopo aver individuato i clienti che la società necessita di allargare la propria visione del mercato cercando di creare le migliori condizioni possibili al fine di servire tutti i potenziali clienti target nel più efficace dei modi. Indagando per esempio, sul successo della Red Bull in Francia, non è sufficiente concentrarsi unicamente sul target precedente e sulla loro percezione del brand, poiché si andrebbe a trascurare la complessità del mercato. Risulta perciò quanto mai necessario, prendere in considerazione gli altri attori, quali medici e attivisti, per cercare di comprendere al meglio quelle che possono essere le barriere

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cognitive costituite dalla cattiva reputazione di questa tipologia di bevanda e le barriere legali relative ai prodotti contenenti sostanze come la taurina, che la Red Bull ha dovuto introdurre. Un approccio istituzionale al mercato degli Energy drink rivelerebbe la generale strategia portata avanti dalla bevanda in questione per far si che venisse accettata. (Humphreys, Chaney e Slimane 2016).

Nel caso di un nuovo mercato, tener conto dell‟integrazione sociale di un prodotto innovativo per cercare di prevederne il successo o il fallimento è una delle prime fasi della ricerca.

Più che la qualità dei nuovi prodotti, sarebbe interessante esplorare, analizzare la maniera in cui le società si occupano di definire, chiarire ed ancorare le nuove pratiche di consumo nella mente dei consumatori, per creare comportamenti standardizzati ed ottenere una regolamentazione favorevole. La ricerca di mercato ha lavorato rigorosamente sui fattori relativi all‟adozione di un innovazione, ma si è sempre concentrata su un aspetto specifico ed ha trascurato la complessità dei mercati. Alcuni studi hanno infatti adottato un approccio cognitivo per spiegare il successo di un innovazione. Questa analisi, in ogni caso, è legata agli aspetti cognitivi senza studiare i pilastro regolativo e quello normativo che comunque danno un contributo tutt‟altro che trascurabile nel rendere un prodotto un‟istituzione.

Munir e Phillips (2005) descrivono come, per promuovere la sua pellicola per le foto, la kodak ha costruito nuove identità per nuovi clienti, basate su Edonismo, memoria e avventura. Kodak ha offerto viaggi gratis ai suoi primi clienti, esortandoli a fare fotografie che avrebbero poi mostrato ad amici e parenti. Questo ha aiutato a legittimare l‟attività di fare fotografie personali e ha conferito una nuova identità ai consumatori. Kodak ha anche creato degli studi per togliere le pellicole dalle fotocamere al fine di rendere standard la nuova pratica che si è venuta a sviluppare. Tutte queste sono state delle mosse indirizzate ai tre pilastri istituzionali che hanno contribuito al successo della Kodak.

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Un‟altra linea di ricerca è quella che si concentra sul ruolo dei leader di opinione per la diffusione dell‟innovazione. Il ruolo dei leader di opinione è un argomento ampiamente affrontato e discusso nel marketing (Bertrandias and Vernette 2012). Adottare una visione neo-istituzionalista delle opinioni dei leader comporterebbe la necessità di valutarne il ruolo nella diffusione di nuovi prodotti innovativi. La questione centrale in questo caso è se queste hanno un ruolo educativo che agisce sul pilastro cognitivo oppure se hanno un ruolo di standardizzazione, agendo invece sul pilastro normativo. In altre parole, cercano di spiegare come e in che situazioni l‟innovazione andrebbe utilizzata. Questo punto assume fondamentale importanza perché permetterebbe alla società di scoprire attraverso quali azioni complementari si riuscirebbe a supportare le attività dei leader d‟opinione (Humphreys, Chaney e Slimane 2016).

Nel caso di mercati in fase matura, l‟uso della NIT risponderebbe a numerose ed interessanti domande per il marketing. Ad esempio: come alcuni brand potrebbero gestire il perpetuarsi di una pratica di consumo? In base a cosa alcune di queste divengono veri e propri rituali, come bere champagne per festeggiare alcuni tipi di eventi? o ancora, come gli attori adattano il loro processo di ritualizzazione di una determinata pratica e cosa porta invece ad un cambiamento di valori? In maniera più specifica, l‟idea di mantenere vivo un determinato mercato fa rima con quella di fedeltà di marketing.

Al di là di considerazioni relazionali e affettive, la NIT considera la fedeltà del consumatore in una veste più ampia, nel senso che esso viene considerato fedele al brand se questo è socialmente, culturalmente e dal punto di vista cognitivo integrato nella sua vita di tutti i giorni. (Litchlè and Plichon 2008). Arnold et al. (2001) usa la prospettiva neo-istituzionalista per spiegare, a questo proposito, il successo del Wal-Mart, il quale ha fatto leva sull‟idea del Mito americano intorno alla famiglia, la nazione e la comunità. Un approccio di questo tipo potrebbe essere riproposto per spiegare la fedeltà del consumatore a brand che sono basati su valori istituzionalizzati (Meyer and

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Rowan 1977). Sarebbe interessante però analizzare in che maniera, attraverso quali processi tali miti e valori sono stati trasmessi attraverso campagne pubblicitarie o dai punti vendita.

Un‟altra linea importante per mantenere solidi i pilastri delle istituzioni, riguarda il ruolo delle comunità di consumo. Le teorie di marketing hanno seriamente studiato negli anni le comunità che stanno dietro ad alcuni tipi di marche, concentrandosi su due aspetti fondamentali: da una parte la relazione instaurata dal consumatore tra il brand e il relativo gruppo; dall‟altra, gli effetti della comunità sul brand in termini di fedeltà e co-produzione (Cova and Dalli 2009).

Ma che ruolo giocano questi gruppi sociali nel preservare i pilastri del brand, come l‟integrazione sociale? Fino a che punto le brand community possono aiutare un‟impresa ad affermarsi e sopravvivere? E invece, i gruppi che contrastano il brand, che impatto possono avere sulla legittimità del brand?

Infine, nel caso di una destabilizzazione del mercato, una ricerca futura potrebbe concentrarsi di più nello spiegare il successo di determinati brand, i quali cercano di penetrare il mercato sostituendosi ai colossi dominanti (Garud et al. 2002). Il punto cruciale in situazioni di questo genere sta nell‟identificare quale dei tre pilastri viene chiamato in causa per primo. Adottando un approccio neo-istituzionalista col fine di destabilizzare i mercati, la ricerca di mercato può identificare il processo sociale, i nuovi attori di mercato, una nuova offerta, da cui il mercato può sentirsi minacciato, oppure, nel caso di prodotti che danneggiano la salute, da azioni poste in essere direttamente dallo stato, col fine di de istituzionalizzare una determinata pratica di consumo, come alcool e sigarette (Humphreys, Chaney e Slimane 2016).

Destabilizzare un mercato saturo e chiuso, come è facilmente intuibile, è una delle poche armi nelle mani di coloro che hanno interesse ad entrarne a far parte e cercare di ritagliarsi così una fetta di quota di mercato. Oppure, nel caso dei più ambiziosi, sovvertirne completamente l‟ordine naturale e le regole presenti e rimpiazzarne i protagonisti. Il megamarketing, a questo proposito, offre

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un‟analisi molto importante sia per quanto riguarda appunto i modi attraverso i quali si può rovesciare lo status quo di mercato quanto, naturalmente, i modi per difenderlo.

Come abbiamo già accennato, le istituzioni sono sostenute da un livello cognitivo,da uno normativo e da uno legislativo, pertanto, una eventuale destabilizzazione deve per forza passare da forme di contestazione che attaccano i fondamenti di questi tre livelli. Elenchiamo 8 diverse strategie a disposizione dei nuovi concorrenti.

Per destabilizzare le istituzioni dal punto di vista cognitivo, possiamo seguire tre differenti linee guida: Demonizzazione, Idealizzazione e Esonero.

Demonizzazione: le strategie di demonizzazione, come mostra Hensmans (2003), puntano a raffigurare i consumatori come vittime soltanto di un egemonia delle istituzioni dominanti. Infatti, sempre secondo lo stesso Hensmans, gli sfidanti istituzionali adottano spesso, quando interpretano e sviluppano strutture cognitive riguardanti lo status quo in un determinato campo, discorsi sociali e di giustizia, sollevando questioni e problematiche attribuite appunto a questa che possiamo quasi definire tirannia delle istituzioni dominanti. Rachel Carson‟s ad esempio, a propostito del DDT, è riuscita a trasformare quello che era un buon pesticida, efficiente contro le minacce dei parassiti, in un pessimo pesticida, veleno per l‟ambiente, dati i suoi effetti collaterali di distruttore naturale (Hensman 2003).

Idealizzazione: il lavoro di demonizzazione può essere accompagnato da un secondo tipo di lavoro a livello cognitivo, il quale raffigura gli sfidanti istituzionali come parte della soluzione ai problemi causati dall‟ordine prestabilito. Parliamo in questo caso di Idealizzazione.

Esonero: la deinstituzionalizzazione di alcune pratiche si può perseguire anche spingendo i consumatori ad abbandonare alcune pratiche in favore dell‟adozione di nuove (Munir 2005). Questo cambiamento ha un gran costo in termini cognitivi, si tratta sempre di abbandonare una pratica a cui si è stati abituati probabilmente per lungo tempo, e non di meno, molti rischi (Carpenter and

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Nakamoto 1989; Schmalensee 1985). L‟esempio portato da Rogers nel 1962, cioè quello degli abitanti di un villaggio in Perù, può essere d‟aiuto. Qui infatti, la pratica di bollire l‟acqua per sanitizzare non verrebbe mai adottata poiché contrasta con i loro schemi culturali riguardo a caldo e freddo. I nuovi concorrenti dovrebbero lavorare proprio per ridurre il costo cognitivo che l‟abbandono di una pratica istituzionalizzata inevitabilmente comporta. Se le persone avvertono che il rischio vale la pensa, allora saranno più propense a correrlo.

La destabilizzazione invece dal punto di vista normativo, prevede il cambiamento di pratiche e comportamenti e preparare la strada alla trasformazione. Distinguiamo anche in questo caso, 3 strategie: Federazione, Dissociazione tra punizione e ricompensa e Creazione di un discorso alternativo

Federazione: prevede la dimostrazione e promozione di nuovi modelli di comportamento, differenti dalle pratiche esistenti, attraverso l‟influenza sociale. L‟istituzione dei salon in Francia, nel campo dell‟arte, può esserne un valido esempio. L‟arrivo di nuovi critici, collezionisti d‟arte, distributori e altri ha affrettato la deinstituzionalizzazione dei salons (Delacour and Leca 2011). Una volta che questi sono scomparsi, critici e collezionisti hanno definito il processo di sviluppo delle norme che regolassero il mondo dell‟arte francese, fossero in grado di stabilire la qualità di un opera e che prezzo dovesse essere venduta. A volte la deinstituzionalizzazione porta alla creazione di nuovi canali e spazi sociali per incoraggiare comportamenti che deviano dalle pratiche standard, finchè non raggiungano una soglia che gli permetta di diventare stabili all‟interno di un determinato campo (Humphreys 2016).

Dissociazione tra punizione e ricompensa: poiché le istituzioni possono essere preservate attraverso una strategia di penalità e premi, si può destabilizzare un istituzione proprio riducendo le penalità relative a comportamenti sovversivi e offrendo nuovi meccanismi per i compensi. Il rischio di incompatibilità ad esempio del sotware Sun con Microsoft, per gli sviluppatori del software, era

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controbilanciato dalle nuove opportunità di libertà fornite dagli utenti che hanno modificato ed adattato il software (Garud, Jain and Kamaraswamy 2002).

Creare un discorso alternativo: un discorso alternativo può essere sviluppato per stimare la qualità dell‟offerta, con l‟obiettivo di creare e seminare nuovi criteri per valutare la qualità di un prodotto. Ad esempio, i nuovi indicatori di stampo ecologico o i nuovi modi di misurare l‟impatto ambientale di alcuni prodotti e pratiche di consumo (Hoffman 1999). Lo sviluppo di indicatori che fanno riferimento ad ambiente e sostenibilità possono essere usati dai consumatori nelle loro scelte d‟acquisto e possono quindi addirittura modificare la pratica stessa in un determinato campo. Allo stesso modo, movimenti nati in difesa di pratiche alimentari più sane, comunità che supportano l‟agricoltura, promozione di prodotti locali e via discorrendo (Thompson and Coskuner-Balli 2007).

Una destabilizzazione a livello cognitivo e normativo non può far altro che influenzare anche le strutture appartenenti al pilastro regolativo. In questo caso, distinguiamo 2 strategie: Mobilizzazione e Disobbedienza.

Mobilizzazione: come per la creazione di nuove istituzioni, esse possono essere destabilizzate da movimenti sociali e lobby politiche. Da quando sono comparsi per la prima volta, molti prodotti che avrebbero potuto destabilizzare lo status quo sono stati proibiti e il loro uso soggetto a sanzioni. Per esempio, la bicicletta e l‟automobile e addirittura il segway (Rao 2008). L‟entrata in scena di attivisti può essere fondamentale per rimuovere alcuni ostacoli di natura legale. Molte autorità locali si sono dimostrate molto abili nell‟ottenere l‟abolizione del divieto sull‟utilizzo del segway in strada.

Disobbedienza: questo tipo di attività punta a distruggere deliberatamente le leggi esistenti attraverso la disobbedienza. Azioni illegittime possono davvero aiutare sia gli attivisti, che le cause per cui si battono (Hensman 2003). Come hanno dimostrato i sostenitori della libertà nella battaglia per il conseguimento dei diritti civili cominciata nel 1961 negli Stati Uniti, la disobbedienza può

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svolgere un ruolo fondamentale nel cambiamento delle politiche esistenti, anche indirettamente, accrescendo l‟attenzione sociale e attirando quella dei media.

Come per le strategie finalizzate a destabilizzare il mercato, anche quelle per mantenere il più possibile invariate le pratiche attive in un determinato mercato, agiscono sui pilastri cognitivo, normativo e regolativo delle istituzioni.

Per mantenere le istituzioni a livello cognitivo, i conservatori di mercato possono servirsi di tre strategie, ovvero: Ritualization, Narration e Mithologization.

Ritualizzazione: i rituali sono delle espressioni sociali che consolidano il valore di una determinata istituzione, preservandone i simboli e il loro impatto sulla società. Attraverso la ripetizione e la ritualizzazione di un atto di consumo, le organizzazioni contribuiscono a supportare il pilastro cognitivo e garantire il perpetuarsi di una pratica di consumo. Prendiamo l‟esempio del vino in Francia, che è considerato parte integrate dello stile di vita Francese. L‟abitudine di utilizzare lo champagne per celebrare eventi oppure regalare bottiglie di vino, che ha un valore rituale, ha contribuito a proteggere questo tipo di pratiche dalle contestazioni da parte un movimento di igiene sociale alla metà del diciannovesimo secolo (Jorland 2010).

Narrazione: creare una cornice storica ad un‟organizzazione aiuta a preservarne l‟esistenza (Lounsbury and Glynn 2001). E‟ importante che gli attori spieghino e riformulino le problematiche, gli eventi, attraverso strutture narrative. Dopo lo scandalo sweatshop , i brand di abbigliamento occidentali hanno fortemente investito in strategie di storytelling, richiamando ai valori occidentali di sport e libertà (Khan, Munir and Willmott 2007). Usare referenze storiche nella comunicazione può anche aiutare a mantenere il pilastro cognitivo e fondere l‟attività di consumo a valori istituzionali.

Mitologizzazione: anche i miti possono aiutare a preservare un istituzione e le relative pratiche di consumo. I miti, intesi come simboli associati a determinate pratiche sociali, aiutano i consumatori

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a dare un senso a ciò che li circonda (Holt 2004; Levy 1981; Stern 1995). I miti romantici riguardanti purezza della natura oppure miti gnostici sull‟abilità dell‟uomo di avere dominio, risultano funzionali a legittimare il mercato per rimedi naturali per la salute( Thompson 2004). Se esaminiamo i messaggi pubblicitari che esaltano i meriti dell‟acqua in bottiglia, per esempio, la salute appare come un mito fondante che in parte aiuta a far sì che si continui a comprare e consumare questo prodotto. Stern (1995) sostiene che la festa del ringraziamento negli Stati Uniti non solo contribuisca a sostenere il consumo di tacchino, ma anche i valori della famiglia americana, che si identificano con l‟immagine della mamma che prepara la cena. Grazie alla loro natura duratura, i miti sono difficili da sfidare e le imprese che riescono a crearli e a mantenerli attorno ai loro prodotti possono riuscire a difendersi dall‟assalto dei nuovi competitors.

Per preservare il pilastro normativo, occorre orientarsi verso i valori, le norme e i ruoli delle istituzioni di consumo. Esistono qui, 2 differenti strategie: Rafforzamento delle istituzioni e Sviluppo delle routines.

Rafforzamento delle istituzioni: l‟obiettivo è principalmente quello di spingere le istituzioni a standardizzare e normalizzare alcuni tipi di comportamenti (Humphreys 2016). Per sopravvivere, le istituzioni devono mantenere la propria capacità di ricompensare le pratiche che sono in linea con i loro precetti e censurare invece quelli che non lo sono. Controllo qualità, certificazioni, possono aiutare a rinforzare il pilastro normativo delle istituzioni. Nei settori più maturi, rankings o competizioni che ricompensino offerte e aziende possono essere considerati sforzi volti a rinforzare il pilastro normativo (Rao 2002).

Sviluppo delle routines: nella strategia istituzionale, norme e valori possono anche essere rafforzati attraverso un processo di routinizzazione dei comportamenti. Questo implica stabilire collegamenti tra diverse pratiche e comportamenti dei consumatori (Lawrence and Suddaby 2006). Quando il consumo di un prodotto occupa un posto importante nella mente del consumatore, viene garantito il perpetuarsi di atti di acquisto e incoraggia le persone a restare legate ad un determinato

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universo di consumo. Google, ad esempio, ha trasformato la sua home page in una piattaforma che rende facilmente disponibili anche le altre applicazioni. Questo per rendere la pratica di ricerca una routine per gli utenti (Humphreys 2016).

In ultimo, analizziamo le strategie di cui un impresa può servirsi per difendere il pilastro regolativo. In questo caso, elenchiamo Coercizione e Cooptazione.

Coercion: il pilastro regolativo comprende leggi che autorizzano, regolano e proteggono le pratiche e gli accordi sociali nell‟universo del consumo. Questo pilastro può essere di valido aiuto per difendere gli interessi degli attori di mercato contro i nuovi arrivati e le minacce portate da comportamenti devianti. In uno stabile e maturo universo di consumo istituzionalizzato, gli attori presenti beneficiano di un preventivo diritto sull‟uso delle risorse e un quasi esclusivo diritto di crescere in quel campo. Le misure legali possono anche essere utili a proteggere questi vantaggi. Prendiamo, ad esempio, la reazione dei banditori contro la crescita delle vendite all‟asta online, come eBay, che dimostra come la legge può essere usata per mantenere un determinato universo di consumo (Humphreys 2016).

Co-optation: coinvolge uno sforzo continuo per garantire che gli attori abbiano accesso facile alle risorse politiche a difendere un insieme di regolamentazioni a proprio favore (Dahan 2005). Il supporto alle compagnie petrolifere del presidente G. W. Bush ha significativamente eclissato l‟industria delle auto elettriche negli Stati Uniti (Rao 2008). Allo stesso modo Hardy and Mcguire (2010) hanno spiegato come i paesi africani hanno evitato il divieto su pesticidi come il DDT grazie ad una negoziazione in parallelo con i canali tradizionali dove venivano presi accordi internazionali. Pertanto, continuano ad usare i pesticidi. Avere accesso a canali paralleli e stringere legami stretti con attori influenti aiuta a mantenere questi universi di consumo (Humphreys 2016).

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Vediamo ora, analizzando una questione fortemente al centro di dibattiti negli ultimi anni, come l‟olio di palma, i suoi aspetti controversi e le ragioni che hanno portato alla nascita di nuovi mercati, dovuti al tentativo di regolamentarne, limitarne o addirittura eliminarne il consumo.

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2.2 L’OLIO DI PALMA E LA NASCITA DI NUOVI MERCATI

L'olio del frutto della palma e l'olio di semi di palma (quest'ultimo detto anche olio di palmisto) sono degli oli vegetali, prevalentemente costituiti da trigliceridi con alte concentrazioni di acidi grassi saturi, ricavati dalle palme da olio, principalmente Elaeis guineensis.

La richiesta globale per l‟olio di palma ne sta accrescendo i bisogni mondiali come ingrediente per prodotti alimentari, biocarburante, sapone e altro. La produzione si sta espandendo rapidamente insieme alla crescita economica di paesi produttori ma, parallelamente, si assiste anche a problemi ambientali e sociali seri come la distruzione di foreste tropicali, cambiamenti climatici e minacce ai sostentamenti di piccoli proprietari terrieri. Per queste ragioni, la produzione e gli impieghi dell‟olio di palma sono oggetto di controversie. Comunque, la dimensione globale di produzione di olio di palma ed il consumo, il numero di attori diversi che coinvolge ed i suoi usi multipli fanno della sua sostenibilità una questione estremamente complessa. Stati nazione individuali non riescono più a controllare e regolare il flusso globale di un prodotto come l‟ olio di palma e sembra sia sempre più necessario coinvolgere alternativi canali governativi (Oosterveer 2015).

L‟olio di palma è un olio vegetale largamente utilizzato per cucinare, cibo trattato, cosmetica, produzione chimica e combustibili. Con una produzione stimata intorno ai 55 milioni di tonnellate nel 2012,l‟olio di palma rappresenta il 30% della produzione totale mondiale di oli vegetali. Il 75% della produzione totale è soggetta a negoziati internazionali (Mondo Bank & IFC 2011).

Oggi, l‟ olio di palma è presente in un prodotto su due di quelli in vendita nei supermercati , anche se pochi consumatori ne sono consapevoli. Questi dati illustrano come l‟olio di palma sia divenuto una merce di agro-cibo tipicamente globalizzata, paragonabile a granturco e soia come esempi che dominano il mondo contemporaneo dell'agricoltura e del cibo. Tuttavia, più di tutti gli altri prodotti agro-cibo globalizzati, l‟olio di palma è divenuto anche oggetto di controversie a causa di conseguenze ambientali e sociali legate alla sua produzione, lavorazione e commercializzazione

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(Oosterveer 2015). Molte analisi sulla fornitura globale di olio di palma sono basate su una concezione piuttosto singolare del potere, inteso come potere economico nelle mani di grandi attori economici che lo usano per dirigere la produzione, il commercio perseguendone interessi personali a spese dell‟ambiente e di fasce più povere della popolazione. Ciò nonostante, secondo Osteerveer (2015), un‟analisi di questo tipo è piuttosto inadeguata per capire realmente le correnti dinamiche globali che interessano la questione dell‟olio di Palma e i relativi canali di approvvigionamento in quanto le preoccupazioni di natura sociale ed ambientale che lo riguardano dovrebbero tenere in considerazione anche la dimensione economica.

Indonesia e Malaysia si impongono come, con ampio scarto sulle altre nazioni, le più grandi produttrici di olio di Palma nel mondo. In Indonesia, la produzione è addirittura triplicata tra il 2000 e il 2012, mentre in Malaysia, nello stesso periodo, è aumentata di più del 50%. Oltre alla produzione, ovviamente, è aumentata anche l‟area della superficie coltivata necessaria, che in indonesia passa dai 6,58 milioni di ettari nel 2010/2011 al 7,28 milioni nel 2012/2013 (USDA Foreign Agricultural Service, 2012)

La crescita dell‟area necessaria alla sua coltivazione e la sua produzione, vanno di pari passo con la crescita della sua esportazione: da 41 MT nel 2008/2009 a più di 50 MT nel 2011/2012. Molti studiosi credono che la crescita sia destinata ad aumentare ancora negli anni successivi. Tra le ragioni che ne giustificano un così rapido aumento vi è il grande profitto che se ne trae, per ettaro, dall‟esportazione rispetto alla coltura di altri tipi di oli vegetali. Dal canto suo, l‟olio di palma ha contribuito anche allo sviluppo agricolo dei territori e, non di meno, a ridurre la povertà di alcune popolazioni. Per tutti questi motivi quindi, riceve grande appoggio da parte dei governi nei paesi maggiori esportatori, vale a dire Indonesia e Malaysia. La crescita dell‟industria dell‟olio di palma può rivelarsi una strategia promettente per il progresso economico di alcuni paesi, soprattutto di quelli in via di sviluppo. Inoltre, la sua coltura, non conosce stagione, quindi viene coltivata per tutto l‟anno. Anche durante la lavorazione, l‟olio

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di palma mostra una notevole flessibilità nell‟essere trasformato in dozzine di prodotti alimentari, chimici, biodiesel e cosmetici (Thoenes 2006).

Un‟espansione di questo tipo, è coincisa, soprattutto dagli anni ‟90, con la sempre più rapida riduzione della superficie delle foreste tropicali. Questo intenso processo di disboscamento ha visto ampiamente crescere le proteste e le preoccupazioni per l‟impatto ambientale e sociale che un‟attività di questo tipo avrebbe potuto generare. Soprattutto il vasto incendio che ha interessato la foresta in Indonesia e Papu Nuova Guinea nel 1997 che ha indignato l‟opinione pubblica e ha innescato un acceso dibattito nel mondo sulla pratica di devastazione delle foreste tropicali (Teoh 2010).

Oggi, le principali preoccupazioni riguardo all‟ambiente interessano la questione relativa alla biodiversità, all‟ecosistema e alla fauna che abita questi ambienti naturali. Fra le maggiori questioni che formano l‟opinione pubblica, troviamo la progressiva erosione del suolo, l‟impatto sui cambiamenti climatici, il rischi derivante dall‟utilizzo di pesticidi e l‟inquinamento che deriva dalla produzione, dal processo di lavorazione e dal trasporto dei frutti dell‟olio di palma. Le preoccupazioni sociali invece, riguardano l‟avanzamento su larga scala della superficie dedita alla coltivazione a discapito delle popolazioni indigene, i conflitti sociali che si sono generati fra comunità per l‟accesso e il possesso delle terre e la marginalizzazione dei piccoli proprietari sulla gestione della produzione del prodotto in questione (Thoenes 2006).

Per questi motivi, gli anni ‟90 hanno visto la nascita di numerose organizzazioni, in difesa dei diritti dell‟ambiente e delle popolazioni, dalle piccole organizzazioni di agricoltori fino al WWF (Colchester and Chao 2013). Numerose associazioni non governative internazionali come Greenpeace, che hanno lanciato una campagna contro banche e altri tipi di società finanziarie che investono nell‟espansione degli spazi dedicati alla coltivazione, contro venditori di prodotti contenenti olio di palma, come Friends of the hearth e contro produttori di beni

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contenenti olio di palma e relativi processi di produzione di alimenti, cosmetici, combustibili, saponi ecc. contenenti olio di palma.

Sono state avviate numerose iniziative per promuovere la sostenibilità all‟interno di questo settore, evitare il negativo impatto sociale e ambientale che si sta verificando e la progressiva deforestazione. Iniziative di alto livello sono la Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO), e la Indonesian Initiative for Sustainable Palm Oil (ISPO) (Cheyns 2011), ma anche aziende governative ed individuali hanno sviluppato e delineato alcune strategie per la sostenibilità. In particolare, RSPO e ISPO sono state criticate per non essersi adeguatamente dedicate alle cause reali dell‟incontrollata espansione dell‟olio di palma, le quali hanno causato una non equa distribuzione del potere nella catena di fornitura (Mccarthy 2012). Comunque, questa concezione semplicistica delle dinamiche di potere è piuttosto inadeguata per quanto riguarda la fornitura mondiale dell‟olio di palma, poiché non considera il ruolo delle NGO, degli esperti in materia che danno vita ai principi che regolano questa sostenibilità e le nuove fonti di potere che emergono dagli intenti di dedicarsi anche ad interessi non economici (Oosterveer 2015). Possiamo distinguere 4 differenti tipi di mercato che sono emersi, ognuno dei quali prevede diverse pratiche di scambio e diverse norme finalizzate a promuoverne un consumo ed una produzione più sostenibile. Il mercato RSPO è regolamentato dallo Standard RSPO e, come abbiamo già visto, è mosso per lo più da interessi di natura ambientale e sociale. Il secondo è il POIG, che sta per Palm Oil Innovation Group Market Initiative, può essere vista come una versione più regolamentata e avanzata della RSPO. Una terza tipologia di mercato, Free Palm Oil Market, prevede la totale eliminazione dell‟olio di palma ed infine la quarta, Fair Palm Oil market, proclama una temporanea riduzione delle attenzioni per la questione ambientale in favore di un maggior riguardo per le problematiche sociali, soprattutto la povertà di alcuni paesi produttori.

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1) Mercato RSPO

Lo standard RSPO mira a guidare la fornitura dell‟olio di palma verso una maggiore sostenibilità. Per riuscire in questa impresa,ha sviluppato, attraverso una serie di incontri con vari stakeholders, uno schema certificato di sostenibilità, contenente un insieme di regole e principi che interessano per lo più l‟ambiente e questioni di natura sociale. In questo modo punta a creare uno standard di sostenibilità a livello mondiale (D‟Antone and Spencer 2014).

Lo sviluppo del mercato RSPO comincia nel 1998, quando il WWF e la Migros, la più grande catena di distribuzione svizzera al dettaglio, hanno cominciato a collaborare su un progetto di acquisto responsabile al fine di promuovere una coltivazione più sostenibile dell‟olio di palma. Al momento non esiste alcun criterio specifico a cui far riferimento per stabilire la sostenibilità della produzione di nessun tipo di olio, nemmeno dell‟olio di palma. Inoltre, secondo il WWF, nessuna NGO da sola, è stata in grado di fornire indicazioni specifiche e consigli alle industrie riguardo il modo migliore è più sostenibile per coltivare le palme (D‟Antone and Spencer 2014).

Collaborare con altre imprese al fine di aiutarli a trovare il modo più appropriato di operare sul mercato rappresenta una delle attività principali portate avanti da questa organizzazione per proteggere il più possibile gli interessi dell‟ambiente. Al centro degli interessi c‟è senz‟altro quello per la protezione delle foreste (D‟Antone and Spencer 2014).

Il mercato dell‟olio di palma e la pratica di deforestazione che ne consegue, di cui abbiamo già parlato, è considerata una delle pratiche più ad alto rischio per l‟ambiente, secondo il WWF.

Alla fine del 2000 Migros e il WWF hanno stilato, insieme, una lista di sette criteri per una la produzione più sostenibile dell‟olio di palma e hanno chiesto ai due fornitori di olio della Migros, di far parte della loro iniziativa (D‟Antone and Spencer 2014).

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Nel 2001, dopo che il WWF ha dichiarato di non avere risorse sufficienti per completare da solo il progetto iniziale, la Migros ha accettato di aggiungere Proforest, una NGO con sede a Oxford, come consulente di sostenibilità. Due altre NGO hanno in seguito sposato la causa del WWF, con l‟obiettivo di aumentare la diffusione delle campagne promozionali riguardanti il tema della deforestazione: Greenpeace e Friends of the Heart (Hamphrecht and Corsten 2007). Tra il 2002 e il 2005 altri attori si sono aggiunti al gruppo, fino a formare, nel 2004, la RSPO, registrata poi ufficialmente nel 2005 a Zurigo. Una prima bozza dei criteri di sostenibilità sono stati postati online ed è stata modificata sulla base dei commenti ricevuti, i quali sono stati più di 800. La versione finale dei “Principles and criteria for sustainable palm oil production” (P&C) è stata adottata dalla RSPO nel novembre del 2005 ed ha ricevuto una prima modifica nel 2007 dopo un periodo di prova di due due anni, e più recentemente, nel 2013 (D‟Antone and Spencer 2014).

Nel 2012 la RSPO registra 617 membri ordinari che salvaguardano gli interessi di tutti e sette i settori dell‟industria dell‟olio di palma. Varie procedure e strumenti sono stati creati e organizzati per quanto riguarda il processo di trasformazione per un mercato sostenibile dell‟olio di palma.

Da quando è stato introdotto, lo standard della RSPO è stato adottato da diversi coltivatori di olio di palma e l‟area certificata è notevolmente aumentata, passando dai 125 mila ettari nel 2008 ai 2424 nel 2013, mentre la produzione certificata RSPO è cresciuta da 200 MT nel 2008 a più di 8 milioni nel 2012. Anche l‟olio di palma certificato è molto più richiesto dalle imprese di lavorazione in Europa sebbene gli Stati Uniti comprino solo poco più della metà dell‟olio di palma certificato (D‟Antone and Spencer 2014).

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Principi e criteri costituiscono la base per valutare la sostenibilità. Il tutto attraverso un sistema di certificazione. Due tipi di processi di certificazione passano attraverso il sistema di certificazione RSPO.

In pochi anni la RSPO si è guadagnata un ruolo fondamentale all‟interno della rete di fornitura mondiale dell‟olio, fungendo da canale per i flussi di informazioni tra i coltivatori, produttori e organizzazioni non governative e anche per il programma “Olio di palma sostenibile”. Questo programma è stato raggiunto attraverso negoziazioni tra i membri della RSPO, i quali usano il loro potere economico o l‟opinione pubblica oppure collegamenti con altri canali per influenzare il dibattito nella “roundtable”. Allo stesso tempo, il ruolo del programma RSPO è stato oggetto di critiche per la sua inefficacia nel promuovere realmente la sostenibilità e per imporre standard occidentali alle economie in via di sviluppo (D‟Antone and Spencer 2014).

Lo standard RSPO è stato anche accusato di agevolare alcuni attori del mercato, questione che ha dato vita ad un secondo tipo di mercato, il POIG.

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2) Mercato POIG

Il primo passo per la nascita di questo tipo di mercato, è stata la collaborazione raggiunta nel Maggio del 2010 tra la multinazionale Nestlè, e la TFT (The forest trust), organizzazione no-profit nata nel 1999 e che si occupa di proteggere le foreste, finalizzata a sviluppare un‟insieme di linee guida per un‟approccio responsabile complementari alla sua appartenenza RSPO. Oggi, questa collaborazione arriva a includere anche produttori di olio di palma come Agropalma, GAR, NBPOL, Daabon Organic, NGO sociali, come Forest People Program, e NGO ambientali, come RAN, WWF e Greenpeace. La parola “innovative” presente nella sigla sta ad indicare che si sono cercate nuove soluzioni alternative al modello RSPO. In effetti, si proclama una versione migliorata della RSPO, promuovendo la sua intenzione di allargare i confini, in termini di requisiti correnti, stabiliti da quest‟ultima (D‟Antone and Spencer 2014). Tra gli aspetti contestati, c‟è il non aver trattato in maniera adeguata il problema della deforestazione che in questo modo ha generato il problema di una conversione sostenibile del territorio; lo scarso interesse per gli interessi dei piccoli proprietari terrieri, che ha portato quindi alla loro esclusione dal mercato; un modello programmato di differenziazione dell‟olio responsabile da quello non responsabile, che però prevede delle pratiche molto costose e non adatte ad un prodotto liquido come l‟olio di palma; ancora, compensi inadeguati per gli sforzi dei coltivatori (D‟Antone and Spencer 2014).

Questo tipo di critiche si trovano particolarmente d‟accordo con la posizione di Greenpeace, la quale considera il modello offerto dalla RSPO come una soluzione imperfetta, e che si sta battendo attivamente, attraverso numerose campagne contro l‟avanzamento progressivo delle terre destinate alla coltivazione dell‟olio di palma. Greenpeace, in contrasto col WWF, è molto più attenta agli interessi dei produttori e ai temi sociali. Sono invece d‟accordo, quando si tratta di aiutare le aziende ad ottenere una rappresentanza approfondita e sviluppare una posizione chiara sulla tematica dell‟olio di palma. Il POIG ha anche proposto una misura alternativa che

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ha come scopo principale quello di mappare le aree dovrebbero essere oggetto di politiche di protezione per prime, la HCS (High Carbon Stock). Questa divide le aree in sei classi differenti, conformemente ai loro depositi di carbone, distinguendo le foreste da aree degradate caratterizzate dalla presenza di scarsa vegetazione, e suggerendo che le attività agricole dovrebbero svilupparsi in queste ultime aree con una bassa riserva di carbonio (D‟Antone and Spencer 2014).

Un altro punto importante è che per distinguere un olio sostenibile da uno non sostenibile, invece di investire in un complesso sistema di tracciabilità a valle, sarebbe meglio eliminare queste ultime dal flusso e sottoponendo il controllo tracciabilità solo agli attori di mercato convalidati a monte della catena di fornitura. Semplificare il processo si tradurrebbe in una maggiore efficienza, liberando le risorse per supportare la diretta trasformazione delle aree in piantagioni per piccoli proprietari terrieri. Inoltre, l‟approccio si distingue per essere “open source” perché facilmente riproducibile e non si basa sugli interessi di una sola organizzazione, ma su valori universali ed imparziali, quali la deforestazione e la tracciabilità. I maggiori punti di forza sono perciò la sua ambizione, sostenibilità economica, rapida scalabilità ed esclusività (D‟Antone and Spencer 2014).

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