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ANALISI STORICA E DELLA VULNERABILITA' DEL CHIOSTRO DELLA FORESTERIA

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Scuola di Ingegneria

Corso di Laurea in Ingegneria Edile e delle Costruzioni Civili

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

Analisi storica e della vulnerabilità sismica del chiostro della

foresteria, parte del complesso monumentale della Certosa di Pisa

presso Calci

Relatori :

Prof: Walter Salvatore

Prof: Ewa Karwacka

Candidata:

Debora Patriciello

Ing: Silvia Caprili

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Indice

1 Obiettivi. . . 1

2 La Certosa di Pisa presso Calci . . . 5

2.1 L’ordine certosino . . . 5

2.1.1 il “cammino” del certosino . . . 6

2.1.2 La giornata del certosino . . . 9

2.1.3 L’architettura delle certose . . . 9

2.2 Descrizione della Certosa di Pisa a Calci . . . .11

2.3 Storia evolutiva della Certosa di Pisa . . . .31

2.4 La storia evolutiva del chiostro della foresteria. . . ..60

3 Analisi dello stato di fatto: . . . .75

3.1 Il rilievo geometrico . . . .76

3.2 Il rilievo strutturale . . . 81

3.2.1 Strutture verticali . . . .. .81

3.2.1.1 Pareti. . . .81

3.2.1.2 Pilastri in muratura. . . 86

3.2.1.3 Colonne del chiostro. . . 88

3.2.2 Strutture orizzontali . . . 86

3.2.2.1 Solai Piani. . . 89

3.2.2.2 Orizzontamenti voltati. . . .92

3.2.2.3 Le coperture. . . .98

3.3 Caratterizzazione meccanica dei materiali . . . 99

3.3.1 Elementi in muratura . . . 99

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4 Analisi dello stato di fatto: Rilievo del degrado e del quadro fessurativo . . . .103

4.1 Rilievo del degrado . . . 103

4.1.1 Degrado del chiostro della foresteria. . . .104

4.1.2 Degrado degli ambienti interni attigui al chiostro. . . ..113

5 Modellazione della Struttura . . . .. . . 121

5.1 Quadro normativo e scelte inerenti la struttura in esame . . . .121

5.2 Schematizzazione della struttura . . . .. . . 123

5.2.1 Schematizzazione delle volte tramite piastre equivalenti . . . .. 127

5.3 Valutazione delle azioni . . . ..134

6 Analisi Strutturale . . . 149

6.1 Analisi dinamica modale. . . .. . . .149

6.2 Applicazione dell’analisi dinamica modale al caso studio. . . .151

7 Valutazione della sicurezza. . . . . . .155

7.1 Verifiche preliminari. . . .. . . . . . .155

7.2 Verifiche agli stati limite ultimi. . . 158

7.2.1 Verifica a pressoflessione nel piano della parete. . . 158

7.2.2 Verifica a pressoflessione fuori piano della parete. . . .161

7.2.3 Verifica a taglio per azioni nel piano della parete. . . .164

7.3 Risultati delle verifiche. . . .. . . ..166

7.4 Verifiche dei solai piani. . . 181

8 Meccanismi Locali. . . .187

8.1 Meccanismi locali di collasso del caso studio. . . . . . 189

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Capitolo 1

Obiettivi

l’Italia è un territorio fortemente caratterizzato dalla presenza del patrimonio monumentale. Infatti non vi è provincia e regione che non presenti una pregevole testimonianza artistica, architettonica o archeologica. Basta fare una passeggiata anche nei paesi in cui abitiamo o in quelli limitrofi per notare che viviamo in un paese in cui il patrimonio artistico e culturale è ampio.

La legislazione italiana dei beni culturali è quella parte del diritto italiano che disciplina la valorizzazione, conservazione, tutela e fruizione dei beni culturali.

L'evoluzione normativa in questo settore è risultata intensa, soprattutto negli ultimi anni, con diversi interventi che hanno modificato la legislazione in precedenza vigente, risalente alla fine degli anni trenta del XX secolo, in particolare riguardo alla definizione di "bene culturale" e all'attribuzione alle regioni e agli enti locali di alcune competenze precedentemente riservate allo Stato1.

Ad oggi ci rifacciamo alCodice dei Beni Culturali e Paesaggistici del 2004, il quale fissa i principi di tutela e di valorizzazione del nostro patrimonio. In particolare sancisce che “la conservazione del patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro.” ed inoltre “lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali [...] hanno l’obbligo di garantire la sicurezza e la conservazione dei beni culturali di loro appartenenza.” Questo permette un intervento tempestivo e consapevole, in grado ridar voce a tutto quel patrimonio di storia e conoscenza che vive tra noi e che necessita disperatamente di una seria e profonda contestualizzazione territoriale, di una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro.

In questa ottica di conservazione del nostro patrimonio culturale si inseriscono anche le problematiche di carattere sismico del nostro costruito. L’Italia, infatti, è da sempre stato un paese ad elevata sismicità e si è trovata più volte a dover affrontare le conseguenze della forza distruttiva dei terremoti. In particolare, gli eventi sismici più recenti hanno sensibilizzato la popolazione che ha assunto una maggiore consapevolezza della vulnerabilità del nostro costruito2 e data la notevole quantità di beni storici e artistici presenti nel nostro paese è

anzitutto necessario procedere ad una valutazione preliminare delle loro condizioni.3

1La prima legge nel campo dei beni culturali risale al 1º giugno 1939, n.1089 ("legge Bottai") si parlava tuttavia

di "cose d'arte", comprendendo quindi solo beni significativi dal punto di vista estetico e solo beni costituiti da oggetti materiali. Parallelamente, nella legge n.1497 dello stesso anno, che riguardava la tutela ambientale, si parlava di "bellezze naturali".

2Il principale riferimento normativo sono le Norme Tecniche per le Costruzioni del 2008, che contengono

prescrizioni in merito alla progettazione di nuove costruzioni, ed indicazioni in merito agli interventi di adeguamento sismico sulle

costruzioni esistenti.

3Nascono a tal proposito le Linee guida per la valutazione e la riduzione

del rischio sismico del patrimonio culturale del 2011 del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, redatte con l’intento di specificare un percorso di conoscenza, valutare

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In tale ambito di studio si inserisce la presente tesi focalizzata sulla Certosa di Pisa, un edificio monumentale che costituisce un patrimonio di inestimabile valore e incomparabile bellezza. Il complesso, nato nel 1366, nel corso della sua lunga vita ha visto avvicendarsi periodi fiorenti seguiti da periodi di decadenza, l’ultimo dei quali condusse al definitivo abbandono della Certosa nel 1969 da parte dei suoi monaci. Questo per Calci segnò la conclusione della sua storia monastica.

L’ordine certosino dopo un’iniziale crescita costante di vocazioni e fondazioni, che portarono l’ordine ad un periodo di massimo splendore, è passato ad un epoca in cui le certose sono quasi scomparse del tutto.

Oggi l’ordine certosino conta ventiquattro certose attive sparse in tutto il mondo; In Italia solo quattro, delle diciassette esistenti sul territorio, sono rimaste attive.4

Sfortunatamente quando un organismo non è più attivo è a forte rischio di decadimento; l’abbandono del bene e la scarsa manutenzione possono contribuire a portare il manufatto in un evidente stato di degrado, maggiore anno dopo anno, con il rischio di perdere definitivamente elementi di notevole valore artistico.

In questo ambito possiamo dire che la Certosa di Pisa ha avuto nel corso degli anni un percorso singolare: agli inizi del Novecento, la comunità certosina era ormai ridotta a poche unita e furono costretti a convivere con le istituzioni di passaggio. In questo periodo la Certosa infatti fu occupata dai militari come un ospedale per i prigionieri feriti.

Nel 1972, nonostante gli aiuti economici da parte dell’Ordine Generale di Grenoble per dare nuovo vigore alla famiglia certosina, gli ultimi due monaci lasciarono definitivamente la Certosa di Calci, che gradualmente si andò sempre più degradando, al punto che, per la sua sopravvivenza, si decise nel 1979 di destinare alcuni degli spazi dell’ala occidentale del monastero alla realizzazione del Museo di Storia Naturale e del Territorio, inaugurato nel 1986, affidandoli al dipartimento universitario pisano di Scienze della Terra.

Questo momento risulta essere molto importante per il mantenimento dell’intero complesso monastico; rimangono però alcune aree attualmente chiuse al pubblico, fortemente degradate, che necessitano di urgente restauro, sia architettonico che strutturale.

Si pongono cosi le basi per uno studio e analisi sul tema del recupero, restauro e riqualificazione del Bene, finalizzato a valutare le condizioni di conservazione e la vulnerabilità sismica evidenziando gli elementi di maggiore criticità e fornendo spunti per indagini più approfondite.

Tutto questo nell’ottica finalizzata al reinserimento nella vita culturale, con il risultato di riconsegnare al nostro manufatto architettonico un ruolo attivo nella società attuale.

Come primo passo è stato necessario acquisire una conoscenza il più possibile completa ed approfondita sulla Certosa; la conoscenza della costruzione storica in muratura, delle sue

la sicurezza sismica e progettare gli eventuali interventi.

4 Le certose ancora attive sono la Certosa di Farneta, la Certosa di Serra di San Bruno, la Certosa della Trinità e

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trasformazioni e della sua evoluzione è un presupposto fondamentale ai fini di una attendibile valutazione della sicurezza sismica, dell'individuazione delle criticità rilevanti nei confronti della sicurezza strutturale e dei corrispondenti criteri d'intervento di miglioramento sismico efficaci e rispettosi delle esigenze della tutela del bene.

È importante conoscere le caratteristiche originarie e le modifiche intercorse nel tempo dovute sia a trasformazioni antropiche sia ad eventi naturali. Lo studio prosegue con un dettagliato rilievo della geometria del fabbricato, degli elementi strutturali, dei materiali costituenti l’ossatura portante dell’edificio, del loro stato di degrado e del quadro fessurativo, testimoniante i cinematismi attivi od estinti. Le informazioni ricavate dalla lettura dello stato di fatto costituiscono la base delle elaborazioni numeriche svolte a livello globale ed a livello locale. I risultati ottenuti permetteranno di condurre valutazioni inerenti l’effettivo rischio sismico del manufatto e studiare l’opportunità di intervenire sulla struttura con determinati provvedimenti.

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Capitolo 2

La Certosa di Pisa presso Calci

2.1 L’ordine certosino

Elemento essenziale per la comprensione morfologica di una Certosa è la conoscenza dei principi dell’ordine e dello stile di vita che vi si svolgeva al suo interno.

L'Ordine certosino è uno dei più rigorosi ordini monastici della Chiesa cattolica. La sua nascita è riconducibile alla volontà del suo fondatore, San Bruno da Colonia, a cui si deve la creazione del primo monastero, la Grande Chartreuse, nel 1084. (Figura 2.1)

« A lode della gloria di Dio, Cristo, Verbo del Padre, per mezzo dello Spirito Santo, si scelse fin dal principio degli uomini per condurli nella solitudine e per unirli a sé in intimo amore . Seguendo tale chiamata, nell’anno 1084, Maestro Bruno entrò con sei compagni nel deserto di Certosa e vi si stabilì. »5

Il nome è dovuto ai boschi del Massiccio della Certosa (Massif de la Chartreuse) nelle prealpi francesi, dove San Bruno e sei compagni cercarono la solitudine per dedicarsi alla vita contempla. Questo fu possibile grazie alla concessione del sito da parte del Vescovo di Grenoble, che, secondo la storia, la notte precedente l’arrivo di Bruno e dei suoi compagni, sembra aver sognato sette stelle che indirizzavano sette pellegrini in un luogo dove Dio fabbricava un tempio.

5 Statuti dell’ordine certosino; https://www.chartreux.org/

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2.1.1 Il “cammino” del certosino

Per quel rigore che caratterizza ogni aspetto della vita e del costume certosino, Bruno non è detto il “fondatore”, ma semplicemente “il primo degli eremici di certosa”. Non risulta infatti che egli, al momento della sua scelta per l’eremo, abbia inteso fondare un nuovo ordine monastico, ma ai compagni che condivisero quella scelta si limitò a proporre un modo tutto suo di vita eremtica. Per il gruppo dei suoi seguaci Bruno non fornì alcuna regola scritta, ma offrì l’esempio di quel vivere quotidiano che lui riteneva il modo più idoneo d’accordarci a Dio. Andiamo quindi a delineare le caratteristiche principali della vita di questo gruppo di eremiti e successivamente anche della vita certosina stessa; possiamo definirla come unione di uomini solitari che vivono in una piccola comunità. La volontà di Bruno era infatti di ricondursi alla chiesa delle origini, mediante il distacco dal mondo e la ricerca di Dio nella solitudine. Il ritorno al “deserto” è vissuto come rimedio contro i mali derivanti dalla commistione tra vita religiosa

ed affari temporali. Questa caratteristica si è conservata attraverso i secoli. I certosini sono dei "solitari riuniti

come fratelli"; la comunità che formano è piccola a causa della loro scelta eremitica, tanto che si parla di "famiglia certosina".

Gli occupanti del monastero erano distinti in Padri e Conversi o Fratelli, i cui stili di vita erano molto diversi. I Padri erano monaci ordinati o novizi, vivevano nel silenzio e nella solitudine

della loro cella completamente separati dal resto del mondo. I Conversi erano monaci laici che affiancano alla vita di preghiera il lavoro manuale; anch’essi

condividevano l’ideale della solitudine ma non praticavano la clausura. A loro era demandata la conduzione materiale della casa certosina, in modo da permettere ai monaci di vivere la loro spiritualità eremitica senza affanni. Figure rilevanti erano il Priore, il monaco eletto alla guida dell’intero complesso monastico e sottoposto al controllo del Capitolo Generale, ed il Procuratore, monaco incaricato di coordinare l’attività dei conversi, oltre ad avere il compito dell’amministrazione temporale del monastero.

Tutte le certose furono, nel tempo furono ispirate da questo ritorno alle origini anacoretiche ed eremitiche della Grande Chartreuse; il motivo è da ricercarsi storicamente negli anni successivi alla sua creazione.

Trascorsi sei anni nella Grande Chartreuse, San Bruno dovette abbandonare il deserto e i suoi fratelli per trasferirsi a Roma, su convocazione del Papa Urbano II, una volta suo alunno alla scuola di Reims. I suoi confratelli in Certosa soffrirono molto l’allontanamento del fondatore e vacillando senza una guida finirono con il disperdersi;

San Bruno da Roma, indicò quindi come superiore uno dei compagni che con lui si erano ritirati per primi sull’eremo e riuscì a ristabilire l’ordine tra i suoi seguaci ripopolando il monastero oramai in abbandono.

La realtà pontificia, tuttavia, non era quello a cui aspirava Bruno, che aveva come unico desiderio quello di ritirarsi in solitudine e vivere in contemplazione il suo rapporto con Dio; Egli senti crescere in se la nostalgia del suo monastero situato in un luogo desertico e silenzioso declinando così la mitra da arcivescovo di Reggio Calabria.

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Successivamente Bruno riuscì a dar vita ad una nuova esperienza eremitica, grazie alla concessione del conte Ruggiero d’ Altavilla, conquistatore di una terra calabra, chiamata La Torre.

Bruno fondò in questi territori l’eremo certosino di Santa Maria e, poco più a valle, il monastero di Santo Stefano del Bosco per i fratelli conversi.

Dopo circa trenta anni dalla fondazione della prima certosa nel 1084, nei quali fu la sola ad esistere, ben presto, il numero delle certose crebbe notevolmente. Tutte le certose furono, quindi, ispirate da quel ritorno alle origini anacoretiche ed eremitiche della cristianità orientale.

Con l’aumentare delle case monastiche diventò necessario trascrivere una regola comune della vita eremitica, secondo gli insegnamenti di San Bruno.

Per ripetuta richiesta di altri eremi, fondati ad imitazione della Certosa tale compito fu affidato al quinto priore della Grande Chartreuse, Guido, il quale tra il 1121 e il 1127 mise per iscritto le “Consuetudines Cartusiae” di quella vocazione, che tutti accettarono per seguirle ed imitarle, come regola delle loro osservanze e vincolo di carità della nascente famiglia avvertendo il bisogno di unirsi con un vincolo giuridico in vista della costituzione di un Ordine. Le Consuetudini si imposero quasi come norma di legge per le altre comunità monastiche e ne costituirono la prima regola.

Egli tuttavia non assunse la veste o il tono del legislatore, ma spinto dalla necessità pratica, in considerazione del moltiplicarsi dei monasteri in tutta l’Europa, si limitò a redigere, come in un promemoria, quelle che chiamò le consuetudini. Queste non erano altro che gli usi e le osservanze di San Bruno o ispirate alla sua mentalità, che avevano regolato i primi anni della vita certosina: “ecco quel che siamo soliti a fare” è l’umile, ricorrente espressione usata da Guido.

Nel 1141, 57° anno dopo la fondazione, al primo Capitolo Generale tenuto a Chartreuse, sotto Sant’Antelmo, fu stabilito che l’ordine di San Bruno, chiamato fino ad allora dei “Poveri di Cristo”, assumesse il nome di “Certosino” e Certosa dovevasi chiamare ogni eremo di qualunque posto, dove si praticasse quel costume di vita ascetica ispirato a San Bruno. Una sola, e per tutti uguale sarebbe stata “la Regola”, e Charteuse diveniva la Casa Madre di tutte le Certose.

Gli scritti di Guido furono completati nel 1181. Per capire ancora meglio il pensiero e le necessità di questo ordine andiamo a parlare del loro contenuto; in essi si accentua particolarmente l'obbligo del silenzio quasi perpetuo, dell'astinenza quasi completa dalle carni e della partizione del tempo tra preghiera e lavoro, quest'ultimo costituito principalmente da giardinaggio e trascrizione di libri.

Scopo esclusivo della vita certosina è la contemplazione: rimanere il più possibile, in forza dello Spirito, ininterrottamente nella luce dell’amore di Dio che si è manifestata in Cristo. La tradizione monastica chiama questo scopo anche preghiera pura e continua.

I frutti della contemplazione sono: la libertà, la pace, la gioia. Ma l’unificazione del cuore e il raggiungimento della pace contemplativa richiedono un lungo cammino che gli Statuti così descrivono :

“Chi dimora stabilmente in cella e da essa è formato, mira a rendere tutta la sua vita un'unica e incessante preghiera. Ma non può entrare in questa quiete, se non dopo essersi cimentato nello sforzo di una dura lotta, sia mediante le austerità nelle quali persiste per la familiarità

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con la Croce, sia mediante quelle visite con le quali il Signore lo avrà provato come oro nel crogiolo. Così, purificato dalla pazienza, consolato e nutrito dall'assidua meditazione delle Scritture, e introdotto dalla grazia dello Spirito nelle profondità del suo cuore, diverrà capace non solo di servire Dio, ma di aderire a lui.” 6

Tutta la vita monastica consiste nel cammino verso il luogo del cuore e tutti i valori della sono volti al raggiungimento di questo scopo. Aiutano il monaco ad unificare la propria vita nella carità e lo introducono nell’intimo del proprio cuore.

Ciò che distingue i monaci certosini dagli altri monaci contemplativi (Cistercensi, Benedettini…), è il tipo di cammino intrapreso, le cui caratteristiche essenziali sono la solitudine, la vita comunitaria come complemento di quella solitaria, una liturgia propria.

La prima caratteristica essenziale della loro vita è la vocazione alla solitudine, alla quale sono chiamati in modo speciale. Il monaco certosino segue la sua vocazione cercando Dio nella solitudine, nel rigore della clausura e nell’interiorità della loro cella;

“Il nostro impegno e la nostra vocazione consistono principalmente nel dedicarci al silenzio e alla solitudine della cella. Questa è infatti la terra santa e il luogo dove il Signore e il suo servo con versano spesso insieme, come un amico col suo amico. In essa frequentemente l’anima fedele viene unita al Verbo di Dio, la sposa è congiunta allo Sposo, le cose celesti si associano alle terrene, le divine alle umane”.7

La comunione tra i monaci va compresa attraverso la confessione e l’ammissione della verità a se stessi e al Signore conducono ad una liberazione spirituale carica di pace:

solitudine e vita fraterna coesistono nel desiderio di Dio e nella ricerca dell’amore divino e del prossimo;

“sono separate le celle, ma sono uniti gli spiriti; ciascun monaco abita a parte e nessuno opera di propria iniziativa; vivono tutti isolatamente ma ciascuno agisce con la comunità; sono soli ma in una solitudine nella quale vivono un gran numero di confratelli, assorti in un medesimo ideale, animati da una comune speranza ”.8

6 Statuti dell’ordine certosino; https://www.chartreux.org/ 7 Ibidem.

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2.1.2 La giornata del certosino

La giornata del monaco è scandita dalla regolarità temporale: nei giorni feriali il monaco esce di cella soltanto tre volte per gli uffici comuni in chiesa: nel cuore della notte per l’Ufficio notturno, al mattino per l’Eucarestia e verso sera per i Vespri.

La domenica ed i giorni festivi cantano in coro tutto l’ufficio, e pranzano insieme in refettorio. Durante il pranzo comune i monaci non parlano mai: dal pulpito, uno dei monaci legge brani tratti dalla Sacra Scrittura. I pasti giornalieri venivano invece portati dai conversi presso le celle di ogni monaco, e consegnati mediante appositi passavivande.

Le ore liturgiche minori (Prima, Terza, Sesta, Nona e Compieta) sono celebrate in solitudine nella propria cella.

Tutte le Ore liturgiche sono normalmente precedute da un breve Ufficio della Madonna che il monaco recita in solitudine

Un giorno alla settimana è concessa una passeggiata, detta spaziamento: durante queste tre/quattro ore i monaci possono parlare liberamente tra di loro. Il resto del tempo viene trascorso nella propria cella a pregare, fare lavori manuali e curare il proprio orto da cui i padri traevano sostentamento.

Anche le piccole attività personali erano regolate dagli ordini del Priore che le indicava su uno speciale “albo delle prescrizioni” contrassegnando i compiti spettanti a ciascun monaco.

2.1.3 L’architettura delle certose

Sebbene non esistano regole esplicitamente descritte nei trattati dell’ordine, tutte le Certose costruite in Europa a nel corso dei nove secoli di storia, hanno generalmente un simile assetto morfologico. Il loro impianto è scandito da tre unità funzionali: il nucleo dei conversi, la zona del cenobio ed infine il nucleo dei padri. La tripartizione in nuclei ben distinti ma allo stesso tempo connessi tra loro e distribuiti secondo l’idea di un graduale distacco dal mondo, riflette l’idea di una scala spirituale ascetica che conduce alla salvezza e alla purezza. Questo tipo di ripartizione degli spazi caratterizza anche la completa autosufficienza della vita all’interno del monastero.

Gli spazi più esterni sono infatti destinati al lavoro e messi in diretto contatto con le celle dei conversi. In queste aree si trovano orti e frutteti, mulini, forni, granai, frantoi, cantine, magazzini, piccoli laboratori artigiani necessari per eseguire riparazioni e quant’altro fosse richiesto per soddisfare le esigenze della comunità certosina. Essendo pensato per essere completamente autosufficiente dal punto di vista economico il monastero diviene anche un punto di riferimento per la città. Sorgono quindi sul perimetro più esterno luoghi destinati a ricevere il pubblico come la spezieria, in cui venivano distribuiti i farmaci, ed edifici adibiti all’ospitalità dei viandanti. Nascono a questo scopo le foresterie, spesso suddivise in aree

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distinte in funzione del ceto: ospiti importanti, altri monaci o pellegrini e poveri viaggiatori. Nelle vicinanze delle foresterie, posizionate dove meno interferivano con la discrezione e il silenzio del monastero, era collocata una cappella ad uso dei forestieri; agli estranei non era consentito l’ingresso nella chiesa dei monaci.

Procedendo con la descrizione degli spazi più interni, entrando nel complesso ci troviamo nel cortile d’onore, spazio di unione tra i luoghi spirituali e quelli terreni. Sul cortile si affacciano la chiesa e gli edifici del cenobio. La Chiesa è l’elemento dominante dell’intero complesso e a dimostrazione del suo grande rilievo veniva riccamente decorata.

Proseguendo l’ideale percorso di ascesa al cielo si giunge infine al chiostro dei padri attorno al

quale si distribuiscono le singole celle. Il grande chiostro è un grande quadrilatero di oltre sessanta metri per lato. Il chiostro è

generalmente aperto e sostenuto da colonne nei paesi caldi, oppure chiuso con aperture di finestre nei paesi a clima freddo. La sua funzione principale è di consentire di recarsi, al riparo delle intemperie, nei luoghi di vita comune. Attorno al grande chiostro sono situate le celle dei Padri, le cui porte s'affacciano, ad intervalli regolari, lungo i suoi corridoi. Le casette o celle possono raggiungere un numero che va da un minimo di dodici ad un massimo di trenta. Il chiostro è ben collegato con gli ambienti della vita comunitaria come la chiesa, la sala del capitolo (locale deputato alle riunioni della comunità monastica), il refettorio (sala comune dove i monaci si riunivano per consumare i loro pasti festivi), la biblioteca (dove venivano raccolti numerosi testi antichi, permettendo la trasmissione della conoscenza), e anche un piccolo cimitero della comunità.

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2.2 Descrizione della certosa di Pisa a Calci

La Certosa di Pisa, più nota come, Certosa di Calci, si trova in provincia di Pisa, nel comune di Calci, in una zona pianeggiante alle pendici dei monti pisani chiamata Val Graziosa, a poche centinaia di metri dal centro abitato calcesano. (fig. 2.2)

La Certosa di Calci è costituita da numerosi edifici con funzioni specifiche, che coprono un area di circa 12.000 m2 e dalle vaste aree destinate a giardini, orti, frutteti, uliveti e vasche per la

pesca, per una superficie complessiva di 6,5 ettari.

Figura 2.2: Certosa di Pisa a Calci – foto presa dal sito: http://www.ottavioviaggi.com

Al momento della sua fondazione nell'anno 1366, in Toscana erano già fiorite altre cinque certose;

Maggiano (Siena) 1314, Farneta (Lucca) 1340, Galluzzo (Firenze) 1341, Pontignano (Siena) 1343, Belriguardo (Siena) 1345.

Il ricco mercante pisano Piero Mirante, nel testamento del 16 marzo 1365, aveva nominato erede della più grossa parte del suo patrimonio, il cognato ed amico prete Nino Pucci, cappellano del Duomo, santo uomo che teneva corrispondenza epistolare con Santa Caterina da Siena e che le cronache dicono dimorante in Mezzana nella casa di San Giovanni Battista di Spazzavento.

Prete Nino, secondo la volontà del testatore, decise di fondare una certosa, ubicandola nella valle di Calci che il popolo chiamava Buia e che per l’espressione usata dall’arcivescovo Francesco Moricotti “nunc vero Vallis gratiosa”, da allora si prese a chiamare “graziosa”, cioè benedetta dalla benevolenza di Dio.

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Il 30 Maggio 1366, durante con una cerimonia solenne a cui parteciparono i priori delle certose di Maggiano e Lucca, il prete Nino, il clero della Vallata e il popolo, i l’arcivescovo Francesco Moricotti poneva la prima pietra del Monastero.

Due anni dopo la costruzione poteva accogliere la prima famiglia certosina proveniente da Lucca: due monaci e un convesso, Rettore Don Francesco, già Padre Vicario della certosa lucchese.

La Certosa pisana seguì il tipico impianto dei complessi dell'ordine certosino, scandito da:

• il nucleo dei conversi

• la zona del cenobio

• nucleo dei padri.

Questi spazi sono ben distinti ma allo stesso tempo sono connessi tra loro e distribuiti secondo l’idea di un graduale distacco dal mondo.

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13 1 chiesa, cappelle

2 foresterie, stanze procura 3 chiostro della foresteria 4 foresteria granducale 5 cucine, dispense 6 refettorio

7 cappella del capitolo 8 cappella del colloquio 9 chiostro del capitolo 10 campanile

11 resti dell’antico

campanile

12 fontana

13 cimitero dei monaci 14 cimitero dei convessi 15 grande chiostro e celle 16 passaggio alla vigna 17 vigna

18 cella del p. maestro 19 cucina e refettorio odierno

20 abitazione del priore 21 sale

22 segreteria

23 cappella delle reliquie 24 piccoli cortili 25 loggiato, granai 26 lavanderia 27 loggiato 28 29 edifici rurali 30 vasca, canale 31 cortile d’onore 32 foresterie 33 spezieria

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Nel seguito si riporta una breve descrizione degli ambienti più rilevanti della Certosa di Pisa.

Il vestibolo di accesso e il piazzale

L’accesso alla Certosa avviene tramite un portale a serliana con colonne di ordine tuscanico, in pietra serena (fig. 2.3).

Sulla vetta spicca la statua di San Bruno, fondatore dell’ordine, con l’aforisma riassuntivo dei precetti certosini “O beata solitudo, o sola beatitudo”, e l’iscrizione commemorativa della fondazione del monastero “Cartusia Pisarum fundata an.r.s. MCCCLXVI ”. (fig 2.4)

L’attuale vestibolo risale al 1642, quando venne qui spostato per allinearlo con il fronte della chiesa; originariamente si trovava in corrispondenza della spezieria.

A sinistra del vestibolo sorge la foresteria delle donne, mentre a destra la cappella di San Sebastiano destinata ad offrire gli uffici religiosi alle donne che non potevano entrare nel recinto cenobitico.

Figura 2.3: vestibolo di accesso alla certosa – f.d.A.

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Attraverso il vestibolo si entra nel grande cortile d'onore che, così come si presenta oggi, fu realizzato nella seconda metà del settecento. È un rettangolo che misura 140 m di lunghezza e 32 di larghezza.

La facciata della chiesa fu modificata alla forma attuale dall’architetto Nicola Stassi, il quale ampliò il fronte marmoreo con l’aggiunta delle campate laterali e rendendola nel suo insieme simmetrica. Le ali vengono rese armoniche l’una con l’altra grazie all’omogeneità dei materiali, al tessuto regolare delle aperture ed all’apparato decorativo dei coronamenti sommitali.

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Figura 2.6: facciata principale – f.d.A

Nel lato destro del piano terra si trovano quelli che erano gli alloggi dei Monaci Procuratori, un piccolo chiostro con magazzini ed in fondo al lungo corridoio l’archivio del monastero. Sempre sul lato destro, al primo piano fu collocata la Foresteria comune e quella nobile o Granducale; al piano soprastante si trovavano le stanze dei fratelli convessi.

Questa parte della facciata era sormontata da un orologio con le parole: “irreparabile tempus”.

Nel lato sinistro, al piano terreno si trovano stanze adibite a deposito, al piano superiore varie cappelle e al di sopra di queste gli alloggi per il personale di servizio al convento.

La facciata di questa ala era sormontata da una mostra la cui lancetta, mossa da un ingegnoso congegno indicava la direzione dei venti, con le parole: “Ventus est vita hominis”

I lati minori del cortile sono delimitati, a Sud, da un muro di separazione con l’orto riccamente decorato con grotteschi e scene in bassorilievo di monaci, mentre a Nord si trovano gli edifici rustici fronteggiati da un loggiato anch’esso fregiato con grotteschi, entrambi realizzati da

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Angiolo Somazzi e Cassio Natilli. Queste decorazioni sono eseguite con una grande di varietà di materiali: frammenti di marmo, calcari, pietre, stalattiti e stalagmiti, ceramiche, conchiglie, vetri, tutti abilmente disposti in modo da ottenere illusioni prospettiche.

La farmacia

Fu instituita nel 1942 per la distribuzione gratuita dei medicinali ai poveri ed aveva ingresso indipendente dall’esterno. La primitiva sede si trova dove adesso si trova l’archivio, qui fu traslocata nel 1703. Al soffitto possiamo ammirare l’affresco dove Espulapio offre un erba medicinale ad un’anziana ammalata. Fu una delle ultime opere realizzate dal Priore Maggi. Successivamente alla soppressione napoleonica la farmacia fu venduta a Filippo Viola di Montemagno, che cessò la sua gestione nella prima decade del secolo. Negli anni Venti, i Certosini in collaborazione con la Soprintendenza, riacquistarono il mobilio (banchi e scaffali settecenteschi intarsiati e lavorati ad intaglio, opera di artigiani Pisani). fig.2.7

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L’archivio

Fu realizzato nel 1770 dopo in trasferimento dell’antica spezieria; si articola in tre stanze con grandi armadi settecenteschi intarsiati in radica di olivo. Questi contenevano migliaia di pergamene, Bolle pontificie, antichi corali liturgici, e molte memorie storiche riguardanti la vita della Certosa e del territorio circostante. Il pezzo più importante era una Bibbia del XI secolo, composta da tre grandi volumi. L’opera preziosa è nota al mondo come La Bibbia di Calci, attualmente custodita nel museo di San Matteo a Pisa.

Sulle porte sono dipinte vedute di Livorno e dell’isola di Gorgona.

La foresteria granducale

L’ala destra del fronte del monastero era destinata alle abitazioni dei monaci procuratori e alle foresterie; l’edificio fondato già agli albori della costruzione dell’intero complesso fu ampiamente ristrutturato nel corso del Settecento.

A fianco alla porta di ingresso si trova uno scalone che conduce ai vari piani, realizzato dall’architetto Michele Fossi alla fine del XVIII sec., a cui si deve anche la scala con apertura ovoidale sul corridoio del secondo piano9. (fig 2.8)

La prima foresteria, situata presso la chiesa, è ricordata nei documenti d'archivio già nel 1392. Negli anni avvenire ne furono realizzate altre tre; la prima nel 1412 con accesso direttamente dall’esterno del monastero e la seconda nel 1606 situata a destra della chiesa e detta foresteria della Madonna. Questa prende il nome dal dipinto della Vergine con il Bambino sulla lunetta della porta della chiesa attribuito al Poccetti, del quale sono anche le decorazioni

9 Il dipinto sulla volta, realizzato dal Giarrè, raffigura la visione di Giacobbe. Dello stesso autore è anche la

donna con il bambino dipinta a chiaroscuro al caposcala.

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interne delle sale. La terza fu realizzata nella seconda metà del XVIII secolo nella parte dell’edificio che si estende verso destra e fu denominata “foresteria granducale”(fig2.9 e fig2.10). Questa fu adeguata al tenore degli illustri personaggi che vi ricevevano ospitalità. Si distinguono rappresentazioni allegoriche delle tre sale, dovute al pittore Pietro Giarrè ed Luigi Pochini.10

10 Nella stanza principale al centro della volta vengono raffigurate le Virtù Teologali, nei medaglioni

angolari le Virtù Cardinali, mentre gli affreschi parietali in chiaroscuro rappresentano le allegorie della Pace, Pietà, Solitudine, Castità, Penitenza, Orazione. Nello spessore del muro divisorio dalla camera

viene dipinto un dialogo grafico tra la Pittura e la Scultura. Sulle volte della stanza da letto viene allegorizzato il Sonno, nella stanza l’ingresso la Vigilanza, mentre sul soffitto della sala antecedente le stanze granducali viene dipinta una Donna che addita al viandante la Certosa, per omaggiare l’ospitalità certosina.

Figura 2.9: foresteria granducale – f.d.A.

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Il chiostro della foresteria

Il chiostro delle foresteria, realizzato su due livelli, funziona da spazio filtro tra l’appartamento granducale e l’abitazione del priore. Nel piano terra sono conservate le tracce dell’originaria struttura in laterizio risalente al 1384; vi si aprono le cantine, il forno per la panificazione e vari magazzini. La parte superiore fu costruita nel 1471 da Lorenzo di Salvatore di Settignano. Nel 1614 fu costruito il passaggio aereo da Paolo Cambi; simbolicamente questo collega il potere terreno del granduca con quello spirituale del priore.

Il passaggio aereo è composto da volte a crociera poggianti su colonne in muratura; gli archi in muratura sono dipinti a finto laterizio. Le volte sorreggono la balaustra marmorea e l’imponente cisterna in stile ionico opera di Orazio Bergamini di Carrara, che incide sull’architrave la data An. D.ni MDCXIIII. (fig. 2.11 e fig 2.12)

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Figura 2.13: il chiostro delle foresterie; passaggio aereo – f.d.A. Figura 2.12: il chiostro delle foresterie; balaustra marmorea – f.d.A.

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Il refettorio

La prima struttura risale all’epoca della fondazione del monastero11. Restauri e modifiche

furono eseguiti agli inizi del XVII secolo. Sul grande Cenacolo che occupa tutta la parete di fondo è riprodotta l’Ultima cena realizzata da Bernardino Poccetti al finire del XVI secolo, unica testimonianza delle più antiche decorazioni12.L’aspetto attuale corrisponde all'intervento del

1776, voluto dalil priore Alfonso Maria Maggi; le pareti e le volte furono affrescate da Pietro Giarrè a fine settecento (fig 2.14).

Il chiostro del capitolo

Da una porta laterale a sinistra del refettorio si accede al chiostro piccolo; detto anche chiostro del capitolo o del colloquio, perché vi si aprono due cappelle così nominate.

Ha una pianta quadrangolare, su tre lati è presente il porticato. Probabilmente in origine il porticato si estendeva su tutti e quattro i lati, tesi avvalorata dall’uniformità delle volte a crociera e dai medesimi capitelli di imposta che si riscontrano sia nel porticato che all’interno della Cappella del Colloquio, posta sul quarto lato e delimitata dalla parete.È un’interessante costruzione realizzata nel 1471 da Lorenzo di Salvatore da Settignano. Il colonnato di pietra

11 Fu costruito nel 1378 con finanziamento di Priamo Gambacorta.

12 L’artista fiorentino mise la sua firma sullo sgabello sul quale siede Giuda. (Be. Po. Fi)

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serena su basamento continuo sostiene le arcate e si stende sui tre lati. Sempre dello stesso autore sono anche delle finestre a croce del quarto lato. I capitelli sono di ordine composito. La cisterna centrale con colonne ed architrave in marmo bianco di Carrara fu scolpita, come si legge dalla data incisa sulla balaustra nel 1608 da Orazio Bergamini. (fig 2.15 e fig.2.16)

Figura 2.15: il chiostro del capitolo – f.d.A.

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La cappella del capitolo è stata così detta perché qui si riunivano i monaci in determinati giorni, ed ogni volta fosse necessario, per trattare e deliberare su necessità di ordine religioso o amministrativo.13

E’ stata edificata nel 1386. Fu dedicata a San Gorgonio quando nel XV sec. il monastero della Gorgona fu annesso in modo definitivo a quello di Calci.

Ristrutturata nel 1774, quando il Priore Maggi volle sostituire l’antica copertura con una volta a vela, fu affrescata la pittore Pietro Giarrè (fig. 2.17).

L’altare qui presente è l’antico altare della chiesa, trasferito in questa cappella nel XVII sec.

La cappella del fu chiamata così perché i monaci vi si riunivano quando la concessione per i loro incontri collettivi capitava in giorni di pessima stagione, e per le conferenze di carattere spirituale. La cappella è intitolata a S, Caterina da Siena, che è raffigurata dallo sconosciuto autore nella pala dell’altare nel mistico sposalizio con il redentore.

13 Il monaco Scriba redigeva il verbale delle adunanze che era raccolto nel volume detto dei <<Trattati

Capitolari>>. In questa circostanza i monaci facevano pubblica confessione di eventuali mancanze all’osservanza della regola e dal Priore ricevevano l’adeguata penitenza.

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La chiesa

L’imponente facciata marmorea della chiesa è l’elemento dominante su tutto il complesso; essa è fronteggiata da una scala in marmo a doppia rampa realizzata nel 1718 da Gabriele Cambi.

Sopra il portale è presente lo stemma del monastero con ai due lati le statue della fede e della speranza che lo sorreggono. Nelle due nicchie abbiamo invece le statue dei santi vescovi certosini Ugo (vescovo di Grenoble) e Antelmo (vescovo di Belley).

La magnificenza della facciata è accresciuta anche dalle composizioni scultoree realizzate da Iori e Franchi: risalta immediatamente il gruppo triangolare di angeli e nubi da cui assorge in cielo la Vergine, coronata dalle sette stelle dell’ordine certosino. Sempre sul timpano sono disposte le statue di San Giovanni Evangelista a sinistra e San Gorgonio a destra, compatroni e protettori della Certosa, disegnate da Pietro Giarrè ed eseguite dal Pelliccia e dal Maratta di Carrara.

La chiesa fu realizzata grazie al lascito del mercante pisano Lorenzo Ciampolini. La struttura originaria, completata nel 1386, è stata modificata nel corso del XVII secolo, con la realizzazione delle odierne volte a crociera cordonate che coprono l’antica travatura a cavalletti, e occludono in parte le preesistenti finestre archiacute; di queste ne rimangono tracce solo sui muri esterni. Nella zona del presbiterio, che non ha subito invece cambiamenti, si trova una cupola impostata su volta a vela. In tale zonasi conservano le testimonianze più antiche della chiesa: il pavimento marmoreo di fine XVI sec. e gli affreschi risalenti al 1685, opera di Don Stefano Cassiani.

Questi raffigurano la Vergine Assunta nella gloria della Trinità, mentre sui pennacchi

le Quattro Virtù Cardinali. Sulle pareti laterali invece possiamo ammirare le opere dei quadraturisti Giovanni Battista e Gerolamo Grandi che rappresentano il Martirio dei Santi Gorgonio e Donato e il Martirio di San Giovanni Evangelista; dietro l’altare i santi certosini Ugo e Antelmo.

L’altare è opera seicentesca realizzata dalla bottega di Bergamini: il basamento in marmo è sormontato da quattro colonne di broccatello che sorreggono un timpano ad arco spezzato in cui trova posto un edicola con iscrizione dedicatoria (fig2.18). Il ciborio ha la forma di un tempietto quadrangolare ed è realizzato in marmi di vario colore. La pala dell’altare,realizzata da Baldassarre Franceschini detto il Volterrano nel 1681, ritrae la Vergine a cui San Bruno offre la Certosa: questo dipinto costituisce un importante documento storico in quanto raffigura la certosa prima dei mutamenti settecenteschi.

La navata venne decorata nei primissimi anni del XVIII sec. dai pittori bolognesi Giuseppe e Pietro Rolli ed i quadraturisti Paolo e Rinaldo Guidi. Le pareti delle tre campate vengono affrescate con scene tratte dall’Antico Testamento (fig2.19); 14

Il traverso in marmo policromo che suddivide la zona dei fratelli conversi e dalla zona dei padri, fu realizzato all’inizio del XVIII sec. da Giuseppe Bambi da Settignano, mentre gli stalli lignei del coro risalgono al XV sec. e sono opera del maestro Iacopo di Marco da Lucca, abile intagliatore.

In ordine: il Sacrificio di Noè, Mosè che indica il serpente di bronzo, Mosè che riceve le tavole della legge, la Caduta della manna dal cielo, l’Adorazione del vitello d’oro, Mosè che fa scaturire l’acqua con la verga, il Profeta Elia che compie il sacrificio dinnanzi ai sacerdoti di Baal.

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Figura 2.18: altare della chiesa – f.d.A.

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Le cappelle

A fianco della chiesa e lungo tutta l’ala sinistra del fabbricato si trovano numerose cappelle realizzate nel corso degli anni. Grazie a delle iscrizioni epigrafiche si possono individuare le fabbriche più antiche risalenti all’epoca di fondazione del monastero.15

Con l’ampliamento del fronte voluto dal Maggi negli anni 70 del XVIII secolo si aggiunsero le quattro cappelle più settentrionali. A questo periodo risale anche la Cappella delle Reliquie, che venne completamente ricostruita assieme alla cella sovrastante.

Ogni cappella è riccamente affrescata e decorata con stucchi: numerosi artefici vi lavorarono nel corso del tempo, talvolta andando a coprire talvolta modificando in minima parte l’opera dei predecessori.

Tra i numerosi artisti che vi hanno lavorato quelli che hanno svolto le opere maggiori sono senz’altro lo stuccatore Angiolo Maria Somazzi e il pittore Giuseppe Maria Terreni.

La settecentesca Cappella delle Reliquie dei Santi è decorata a stucchi, e sono presenti armadi a muro in legno intagliato. In questo luogo fino al 1973 è stato custodito il dito anulare di Santa Caterina da Siena, proveniente dalla soppressa Certosa di Pontignano. La reliquia è custodita in un prezioso reliquiario moderno in Argento, ad opera dell’oreficeria fiorentina. Oggi è custodita nella certosa di Vedana.

Il grande chiostro

Un breve corridoio, alla cui destra si apre il campanile, conduce al chiostro grande.

È una splendida vista d'insieme che suscita meraviglia, per l'imponente vastità, per l'eleganza e per l'armonia della costruzione che infonde un senso di raccoglimento e di pace.

L'opera fu iniziata nel 1618 e si compì nel 1651. La struttura originaria dell’antico chiostro in laterizi era stata realizzata per successive aggiunte di porticati davanti alle porte delle celle man mano che queste venivano costruite. Nel XVII sec. con la sopraelevazione del piano delle celle si ebbe l’occasione di ricostruire completamente tutta la struttura, rendendola omogenea.

Le ultime celle a completamento perimetrale dell'area furono costruite all'inizio del seicento. Il progetto dell'opera fu elaborato dal certosino Don Feliciano Bianchi, procuratore del monastero e direttore dei lavori.Il progetto iniziale prevedeva un corridoio coperto ed una terrazza con balaustrata, ma l'enorme spesa che una tale architettura avrebbe comportato impose di ridurlo.

Il chiostro ha una forma rettangolare (82x56m), ed è delimitato da un basamento continuo su cui poggiano le colonne marmoree di ordine tuscanico (fig. 2.20 e fig 2.21).

15 Cappella di San Ranieri (già di Santa Maria Maddalena), Cappella del Santissimo Crocifisso, Cappella di San

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Figura 2.21: porticato del chiostro dei padri nel 1911- http://artesalva.isti.cnr.it

Sempre a Don Feliciano Bianchi è attribuito il disegno della monumentale fontana compiuta nel 1672. La base della fontana ha una forma ottagonale e si articola su tre vasche sovrapposte; dal centro della prima tazza emergono quattro delfini che sorreggono con la coda una seconda tazza dalla quale parte un basamento che sostiene un globo sul quale si leva una figura femminile che regge sopra la testa le sette storiche stelle simbologia dell'ordine certosino. La fontana è ornata da aquile, teste di toro e di leone, simboli degli Evangelisti. Allo

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stato attuale non sono conservati gli angeli fusi in bronzo, decapitati all’epoca della soppressione napoleonica (fig. 2.21).

Sul chiostro dei padri si affacciano le celle destinate ai padri certosini. La loro costruzione, finanziata dai lasciti di benefattori, avvenne durante il XIV e XV sec. In alcune di esse sono presenti iscrizioni che indicano la data di costruzione ed il nome dei donatori.

Possiamo ritrovare segni dell’organismo primordiale delle celle nei seminterrati, dove ne restano visibili solo alcune tracce, in quanto, nel 1634 si decise di sopraelevarle per ovviare ai problemi di umidità presenti nelle fabbriche originarie. Le decorazioni sopra le porte delle celle ed intorno alle finestrine furono realizzate dal Natilli e dal Guidetti sul finire del Settecento.

Le celle si configurano come unità abitative uniformi tra loro: hanno una forma ad “L” e si sviluppano su due piani. L’ingresso dal chiostro dei padri avviene su un loggiato interno alla cella dal quale si accede al giardino/orto del monaco. Lo spazio interno è suddiviso in tre ambienti, dedicati al lavoro manuale, alla preghiera, ed all’abitazione del certosino ove dormire, pranzare e studiare. (fig 2.22)

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I giardini sono organizzati in aiuole geometriche dove venivano coltivate piante aromatiche e medicinali, oltre che essenze arboree, a discrezione del monaco. Ogni orto è corredato da un proprio pozzo e da una fonte di acqua.

Molto più complessa è invece l’articolazione della cella del Priore, che comprende un giardino organizzato su due livelli culminante in una vasca ornata a grotteschi. Gli ambienti interni, a differenza delle austere celle dei padri, sono decorati con affreschi realizzati dalle medesime maestranze che operavano nelle zona del cenobio e nelle foresterie.

Dalla cella priorale si accede alla biblioteca ed all’archivio realizzati nel 1770: si tratta di tre sale affrescate dotate di armadi in cui erano conservate tutte le pergamene del monastero.

Sul limite occidentale del chiostro si trova il cimitero, ripartito in due riquadri recinti da balaustre in marmo di San Giuliano. In quello a destra si trovano le sepolture dei monaci sacerdoti, in quello a sinistra quelle dei fratelli conversi. L'unico ornamento funebre prescritto dalla regola è la croce. Né un nome, né una iscrizione. Anche sulle tombe dei trapassati il silenzio certosino è eloquente.

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2.3 La storia evolutiva della certosa di Pisa

La conoscenza del susseguirsi dei lavori che nel tempo hanno portato alla realizzazione dell'attuale manufatto architettonico, è il presupposto fondamentale per un’accurata analisi delle caratteristiche originarie del costruito,delle trasformazioni, dell’evoluzione funzionale e delle sue articolazioni. L’ analisi evolutiva ottenuta tramite lo studio delle fonti bibliografiche e archivistiche, permette di delineare un quadro utile per la comprensione del complesso. Nella seconda parte della nostra ricerca questa ci aiuterà ad individuare i punti più critici della struttura in esame.

Per agevolare la consultazione, l’analisi cronologica l'analisi cronologica è stata divisa in quattro fasi: mediovale, rinascimentale, epoca di ammodernamenti prima del priorato del Maggi e priorato del Maggi. a seconda degli eventi costruttivi che hanno dato origine e, successivamente, modificato la configurazione planimetrica del Monastero.

La prima fase dell’evoluzione della Certosa in epoca medievale:

Anno Opere realizzate Fonte originaria Riferimenti bibliografici

1370

Fu per decisione dell'Arcivescovo di Pisa Francesco Moricotti che con un atto datato il 30 maggio del 1366 venne fondata la Certosa, nella Val Graziosa di Calci. In tale data con una cerimonia solenne l’Arcivescovo poneva la prima pietra del Monastero, permettendo la realizzazione delle mura di clausura del chiostro, concluso nel 1377. Si lavorò anche alla realizzazione delle celle dei padri e del portico del chiostro grande, per il lato che guarda il cimitero dei padri; gli altri tre lati vennero realizzati in seguito contestualmente alle celle dei monaci.

ACCa, Memorie dei fondatori e dei benefattori della Certosa di Pisa, 1365-1829 A.Bandinelli, La Certosa di Calci, analisi storica, rilievo e proposte di recupero strutturale, tesi di laurea in

Ingegneria edile-architettura, Università di

Pisa, 2015, Cap.3 p. 34.

1375

Bartolomeo e Giovanni delle Brache, fecero edificare la cella del priore, come testimoniato dall’iscrizione sopra la porta di accesso “HANC CELLA FECIT FIERI BARTOLOMEIS ET JOANNIS DE BRACHIS PROSALUTE ANIME SUE ET SUORUM A.D. MCCCLXXV”

Lodovico e Tommasa degli Orselli fecero edificare una cella nel chiostro dei padri (quarta cominciando dal cellino di fianco alla barberia)

Idem Idem

1376

Nel chiostro viene fabbricata una cella ad opera di Ugolino de Malpighi, e un’altra ad opera di Pietro d’Albizio dei Visconti di Vicopisano (quinta dalla parte del priore, attualmente chiamata del Beato Stefano).

La fabbrica del tempio fu conclusa grazie alle donazioni di Lorenzo della famiglia Ciampolini. Priamo Gambacorti contribuì alla realizzazione delle altre cappelle al lato della chiesa, consentendo l’accesso di una di queste cappelle alla chiesa stessa; oltre a ciò negli anni successivi dono denari per la realizzazione degli altri edifici necessari a completare la fabbrica del Monastero.

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1378

Giovanni e Lorenzo Marrighi contribuirono all’edificazione di un’altra cella nel chiostro.

Priamo Gambacorti, fece edificare una cella nel chiostro ed altri edifici che servivano per condurre la vita all’interno del Monastero.

Benedetto Gambacorti nobile pisano fece fabbricare una cella nel chiostro grande dei frati (situata di verso tramontana e veniva assegnata al maestro dei novizi date le maggiori dimensioni rispetto alle altre).

Priamo Gambacorti, dono denari per la fabbricazione del refettorio.

Originariamente il refettorio era grande circa la meta di quello attuale, ma a causa di un incendio avvenuto per negligenza dei monaci, venne ricostruito due volte piu grande del precedente (1390).

Idem

A.Bandinelli, La Certosa di Calci, analisi storica, rilievo e proposte di recupero strutturale, tesi di laurea in

Ingegneria edile-architettura, Università di

Pisa, 2015, Cap.3 p. 35.

1379 L’Arciprete del duomo di Pisa aiuto nella costruzione di una

nuova cella nel chiostro. Idem Idem

1380

Monsignore Lotto di Gherardo Gambacorti nuovo Arcivescovo di Pisa fece edificare una cella nel chiostro, situata nell’angolo di settentrione.

Andrea Buonconti e Ludovico di Buonagiunta da Cascina realizzarono un’alta cella nel chiostro grande in testa al chiostro, verso tramontana, chiamata la cella del Beato Pietro Petronio.

Donna Madonna Lappa fece edificare una cella nel chiostro a proprie spese.

Bartolomeo e Jacopo Rossi fecero fabbricare le due celle di fronte al refettorio dove oggi vi sono le cucine e le dispense. Contribuirono inoltre alla realizzazione della tomba grande che conduce al chiostro dei padri. Arrigo Bocci fece fabbricare la cappella di San Giovanni.

Ceo di Bolso dono denari per consentire la realizzazione della vetrata della sagrestia insieme con la parte di portico che corrisponde, nel chiostro grande, alla sagrestia. Donna Simona del Polta fece edificare una cella nel chiostro. Donna Lagia, moglie di Francesco di Coscio Gambacorti fece edificare la cella del padre Vicario nel chiostro grande. Donna Tommasa moglie di Benedetto Gambacorti, volle contribuire all’edificazione di una cella, ma non e riportato nelle memorie se tale cella fosse situata nel chiostro o altrove.

Idem Idem

1382

Grazie alle donazioni di Donna Giovanna figlia di Pietro Gambacorti fu realizzata la prima cappella a fianco della sagrestia.

Pietro d’Albizio Gambacorti, fece fabbricare due celle, e la stanza ad esse attigua, situate di fronte alla porta di clausura del Monastero; la prima per l’anima di sua madre e la seconda per quella di suo padre (le celle si affacciano sull’odierna foresteria della Madonna).

Idem

A.Bandinelli, La Certosa di Calci, analisi storica, rilievo e proposte di recupero strutturale, tesi di laurea in

Ingegneria edile-architettura, Università di

(41)

33

Fu per decisione dell'arcivescovo di Pisa Francesco Moricotti che con un atto datato il 30 maggio del 1366 venne fondata la Certosa, nella Val Graziosa di Calci. 16

16 Come già accennato nel paragrafo precedente, questo economicamente fu possibile grazie all’impegno dei

beni del ricco mercante pisano Pietro Mirante della Vergine, che a temine della sua vita volle mettere a disposizione le sue ricchezze nominando suo erede il cognato ed amico Prete Nino di Puccetto. Prete Nino, secondo la volontà del testatore, decise di fondare una certosa, ubicandola nella valle di Calci che il popolo chiamava Buia e che per l’espressione usata dall’arcivescovo Moricotti “nunc vero Vallis gratiosa”, da allora si prese a chiamare “graziosa”, cioè benedetta dalla benevolenza di Dio. Il 30 Maggio 1366, con una cerimonia solenne l’Arcivescovo Moricotti, assistito dai priori delle certose di Maggiano e Lucca, con Prete Nino ed alla

1384

Bartolomeo delle Brache fece edificare il portico antistante la cella del padre priore.

Andrea otto Galletti, realizzo la tomba davanti alle foresterie realizzate dal padre Carlo Galletti per la salvezza dell’animo di Lippo della nobile famiglia degli Agliata. I fratelli Marrighi donarono denari per la realizzazione di una buona parte del portico del chiostro grande che si affaccia sulla cella priorale; i fratelli Bartolomeo e Giovanni delle Brache allo stesso tempo contribuirono alla realizzazione del portico antistante a quello realizzato per beneficienza dei Marrighi.

Il nobile pisano Andrea Galletti, si dedico alla realizzazione dell’acquedotto sotterraneo che conduceva al centro del chiostro grande completandolo con una fontana. Donò inolte i denari per la realizzazione delle foresterie situate nella tomba che comincia dalla porta del coro dei frati fino alla tomba grande che conduce al chiostro grande. Lippo degli Agliata fece edificare una cella nel chiostro dei padri ACCa, Memorie dei fondatori e dei benefattori della Certosa di Pisa, 1365-1829 A.Bandinelli, La Certosa di Calci, analisi storica, rilievo e proposte di recupero strutturale, tesi di laurea in

Ingegneria edile-architettura, Università di

Pisa, 2015, Cap.3 p. 36.

1391

Donna Moccia moglie di Giovanni di Ser Cecco Coli fece edificare una nuova cella di cui non abbiamo la precisa

ubicazione.

Idem Idem

1392

Andrea Buonconti fece edificare il Capitolo “PRO SALUTE ANIME SUE ET ALBERGATE UXORIS EIUS” la cui ubicazione coincide con l’odierna; la cappella del capitolo presente fin dal 1376 all’interno del Monastero, di cui parliamo era ubicata dove ora vi e la porta che conduce alla chiesa; inoltre, il passaggio che prima serviva per accedere alla chiesa si trovava dove adesso e ubicata la cappella prima intitolata a San Bruno ed ora a Santa Caterina.

In questa data e confermata la terminata edificazione degli edifici necessari a condurre la vita certosina.

Idem

A.Bandinelli, La Certosa di Calci, analisi storica, rilievo e proposte di recupero strutturale, tesi di laurea in

Ingegneria edile-architettura, Università di

Pisa, 2015, Cap.3 p. 37.

1402 Realizzazione di una cappella di fianco alla chiesa.

ACCa, Memorie dei fondatori e dei benefattori della Certosa di Pisa, 1365-1829 Idem

1403 Giovanni di Ser Cecco Coli fece edificare una cella nel

chiostro dei padri. Idem Idem

1417

Il signor Pietro D’Albizio dei Visconti di Vicopisano obbligo i propri figli ad edificare una cella nel chiostro grande del Monastero.

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34

L'impianto generale della Certosa rispecchia le regole monastiche dell’ordine, le quali prevedevano, come già detto sopra, la suddivisione in tre zone principali secondo il principio di progressiva separazione dal mondo.17

La costruzione del complesso avvenne per tutto il XIV secolo con l’aggiunta progressiva di nuclei, ogni qualvolta si ricevevano donazioni dai nobili pisani.

Grazie alle fonti bibliografiche e archivistiche, nonché per merito delle lapidi commemorative disposte in vari luoghi è possibile ricostruire una cronologia dello sviluppo del complesso architettonico.

Il recinto claustrale a contenimento delle future celle dei padri venne eretto nel 1370, ed a partire dal 1375 iniziarono a sorgere le prime celle, tra cui l’abitazione priorale con portico anteriore.

Negli stessi anni si lavorava anche nel nucleo centrale, realizzando la chiesa, le tre cappelle e a suo fianco, la sagrestia18. La chiesa, alla quale si accedeva con una scalinata esterna in

laterizio, fu terminata nel 1392 con la realizzazione della facciata.

Nel 1378 furono costruiti il refettorio ed i corridoi che mettevano in comunicazione il chiostro del capitolo e il chiostro della foresteria, la cella priorale e gli altri fabbricati costituenti l’antica linea frontale del monastero.

Al 1383 risale l’edificazione degli edifici rustici.

La cappella del Capitolo venne compiuta invece solo successivamente al 1386.

Già alla fine del XIV secolo si possono ritenere eretti i principali edifici: il monastero aveva acquisito la tipica forma delle case certosine che non verrà deformata dalle aggiunte e modificazioni successive. (fig. 2.22 e fig. 2.23).

presenza del clero della Vallata e la compartecipazione del popolo in festa, poneva la prima pietra del Monastero.

I lavori procedettero molto velocemente tant’è che nel 1368 si insediò la prima famiglia certosina proveniente da Lucca: due monaci e un convesso, Rettore Don Francesco, già Padre Vicario della certosa lucchese.

17 Un chiostro destinato agli edifici rustici e le abitazioni dei fratelli conversi, il nucleo del cenobio con chiesa,

sagrestia e cappelle, ed infine l’area claustrale costituita dal cortile su cui si affacciano le celle.

18 Una lapide attesta al 1376 la costruzione della cappella di Santa Maria Maddalena, oggi di San Ranieri,

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La seconda fase dell’evoluzione della Certosa in epoca rinascimentale:

Anno Opere realizzate Fonte originaria Riferimento

bibliografico

1457 Realizzazione della scalinata marmorea di fronte alla

chiesa, pagata direttamente dalla stessa Certosa.

ACCa, Memorie dei

fondatori e dei benefattori della

Certosa di Pisa, 1365-1829

A.Bandinelli, La Certosa di Calci, analisi storica, rilievo e proposte di recupero strutturale, tesi di laurea in

Ingegneria edile-architettura, Università di

Pisa, 2015, Cap.3 p. 65. 1462

La chiesa venne ornata di marmi e furono realizzati gli stalli del coro in legno riccamente intarsiato, giunti in buono stato fino ai giorni nostri.

Idem Idem

1471

Furono adornati i chiostri del Capitolo e delle foresterie con delle colonne in pietra serena realizzate da Lorenzo di Salvatore da Settignano, autore anche delle finestre crociate della cappella del Colloquio.

Iniziarono a manifestarsi anche i primi cedimenti strutturali dell’antico campanile che si trovava in aderenza al muro destro della chiesa, sul quale si iniziò ad intervenire già a partire dal 1457 con interventi di consolidamento delle fondazioni.

ASPi, Inventario 14,

Corp. rel. sopp., LibroMaestro segnato di lettera C, n.87, 1457-1483;

Aristo Manghi, Storia della Certosa di Pisa fino al 1911, Pacini Editore, Pisa,

1911.

Idem

1479

Maestro Banco lavorava alle vetrate della cappella del colloquio e nel piccolo chiostro attiguo, ma l’esame della muratura laterale a sinistra dell’altare della cappella del colloquio rivela l’esistenza di colonnine murate e lascia supporre che gli intercolumni della cappella e quelli del chiostrino fossero chiusi da tali vetrate tolte poi per essere sostituite da una muratura che ricopri l’architettura quattrocentesca.

Idem Idem

1489 Lavori al refettorio, alla tomba e al corridoio vicino, in piu

e riportata la “ristrutturazione” di una cella.

ASPi, Inventario 14,

Corp. rel. sopp., LibroMaestro segnato di lettera E, n.88, 1460-1483;

Aristo Manghi, Storia della Certosa di Pisa fino al 1911, Pacini Editore, Pisa,

1911.

Idem

1494 Fu posta la croce sopra il campanile della Certosa che fu

distrutta da un fulmine venti anni prima.

ACCa, Memorie dei

fondatori e dei benefattori della Certosadi Pisa, 1365-1829 Idem 1494

In questi anni veniva restaura la “foresteria nova” ad opera di Mariano de Gasparo, e veniva eseguita la ”conzatura” del campanile che, secondo quanto riportato nelle “Memorie” era stato danneggiato insieme all’abside della chiesa da un fulmine abbattutosi sulla Certosa.

ASPi, Inventario 14,

Corp. rel. sopp., Libro Meastro segnato di lettera

E, n.88, 1460-1483

Idem

1552

Il monastero si ritrovò in gravi ristrettezze economiche, infatti i documenti del tempo sono di stampo per lo più amministrativo e lasciano quindi supporre che le opere di

Aristo Manghi,

Storia della Certosa di Pisa fino al 1911,

(46)

38

costruzione e decorazione della fabbrica monastica fossero d’un tratto state interrotte.

Pacini Editore, Pisa, 1911

Il patrimonio della Certosa aumentò notevolmente nei primi anni del XV secolo grazie a donazioni di beni ed ad una considerevole eredità lasciata dalla famiglia Gambacorti che comportò l’acquisizione di vastissime proprietà fondiarie ed immobiliari19.

Il monastero di Gorgona, eremo insulare al quale competevano numerosi possedimenti in Sardegna, Corsica e lungo il litorale italiano, venne abbandonato alla fine del XIV secolo a causa delle numerose incursioni piratesche. L’ordine certosino assegnò il monastero della Gorgona alla Certosa di Calci affinché tornasse ad abitarvi una famiglia certosina. Tuttavia i continui assalti dei corsari ridussero in breve tempo il monastero in grave miseria e i monaci furono costretti ad abbandonare nuovamente l’isola.

Nel 1425 fu riconosciuto l’abbandono del monastero gorgonese e la sua annessione a quello di Calci: per celebrare questo fatto la cappella del Capitolo venne dedicata a San Gorgonio, il quale insieme a San Bruno divenne compatrono della Certosa di Calci.

Questo fatto ebbe anche un riscontro di carattere economico e organizzativo, poiché andò a incrementare il patrimonio della comunità pisana con l’acquisizione dei relativi possedimenti. Dei lavori svolti nella fabbrica della Certosa nella prima metà del XV secolo si hanno solo poche e frammentate notizie, le quali narrano solamente la realizzazione di alcune celle.

Nuovo impulso alla costruzione della Certosa si ebbe nella seconda metà del XV sec.

Nel 1456 è testimoniato l’arrivo in certosa di due artisti comanici; maestro Giovanni de lo Chontado di Como e maestro Andrea del detto Chontado. Questi sostituirono l’antica scala d'accesso alla chiesa, realizzata in laterizi, con una nuova eseguita in marmo. Nel 1462 la facciata della chiesa venne rivestita con marmi, e furono realizzati gli stalli del coro in legno riccamente intarsiato, giunti in buono stato fino ai giorni nostri.

A partire dal 1471 furono realizzate da Lorenzo di Salvatore da Settignano le colonne in pietra serena dei chiostri del Capitolo e delle foresterie. 20

In quel periodo iniziarono a manifestarsi anche i primi cedimenti strutturali dell’antico campanile che si trovava in aderenza al muro destro della chiesa, sul quale si iniziò ad intervenire già a partire dal 1457 con interventi di consolidamento delle fondazioni.

Nei primi anni del XVI sec. Pisa, dopo estenuanti lotte, dovette soccombere al dominio di Firenze. Questi avvenimenti portarono grave miseria in tutto il territorio pisano, ed anche la Certosa si trovò in gravi ristrettezze economiche, tant’è che il Priore fu condotto in prigione per l’impossibilità di far fronte alle tasse imposte dai fiorentini. In questo clima furono sospese tutte le opere di costruzione e decorazione del complesso monastico. Però, grazie ai vasti possedimenti della Certosa, passò poco tempo prima che le casse fossero rimpinguate e si potesse riprendere le opere di abbellimento delle fabbriche.

Nella seconda metà del XVI sec. si ha testimonianza di opere decorative nel tempio, della realizzazione delle loggette delle celle dei padri otre che ad un generale risanamento del chiostro claustrale completato con una nuova fontana (fig. 2.24 e fig 2.25).

19 Le tenute con castelli di Alica e di Montecchio, alcune abitazioni in Pisa, svariati terreni e case sparse nel

proprio contado e nei vicini.

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Inoltre, sino a quando fui a Milano (fino alla fine del 1983) lavorai molto anche per collaborare nella fondazione di Chiese Locali: mi aggregavo sempre a chi voleva fondare

 dalla ricerca sull’uso delle vecchie varietà di frumento, in particolare dei grani ricchi di storia coltivati in Sardegna;.  dalla necessità di risolvere le criticità