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Per non fallire. Il percorso di accompagnamento e di sostegno psicosociale alla genitorialità adottiva. Il caso delle adozioni internazionali

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INDICE

INTRODUZIONE ... 3

CAPITOLO 1 ... 9

QUANDO UN’ADOZIONE FALLISCE: UNA PROSPETTIVA BASATA SUI BISOGNI INSODDISFATTI DEI BAMBINI ... 9

1.1 IL FALLIMENTO ADOTTIVO... 10

1.2 I FATTORI PREDITTIVI DEL FALLIMENTO ADOTTIVO ... 20

1.2.1 I fatto ri di rischio presen ti nella storia di vita del ba mbino adottato ... 20

1.2.2 I fatto ri di rischio presen ti nella coppia adottiva ... 23

1.2.3 I fatto ri di rischio presen ti nell’in tervento p rofessionale ... 25

1.3I FATTORI PROTETTIVI DAL FALLIMENTO ADOTTIVO... 28

1.3.1 I fatto ri pro tettivi presen ti nella famiglia adottiva ... 29

1.3.2 I fatto ri pro tettivi presen ti nel bambino adotta to ... 34

CAPITOLO 2 ... 37

LA FINALITÀ PREVENTIVA DEL SOSTEGNO PSICOSOCIALE NELLA FASE DI INFORMAZIONE, DI FORMAZIONE, DI VALUTAZIONE E DI ATTESA DEL PROGETTO ADOTTIVO... 37

2.1ADOTTARE LA DIVERSITÀ ... 37

2.2 L’ADOZIONE COME POSSIBILITÀ DI CAMBIAMENTO... 39

2.3LA NECESSITÀ DEL SOSTEGNO PSICOSOCIALE ALLA FAMIGLIA ADOTTIVA ... 41

2.4IL SOSTEGNO PSICOSOCIALE ALLA FAMIGLIA ADOTTIVA: I RIFERIMENTI NORMATIVI ... 42

2.5IL SOSTEGNO PSICOSOCIALE NELLE FASI DEL PERCORSO ADOTTIVO... 47

2.5.1 La fase di informazione p reliminare e di orientamento della coppia ... 48

2.5.2 La fase di preparazione e di formazione della coppia ... 50

2.5.3 Lo studio di coppia per il rilascio del decreto di idoneità ... 57

2.5.4 La fase di attesa ... 65

CAPITOLO 3 ... 74

IL POST-ADOZIONE: IL SOSTEGNO E L’ACCOMPAGNAMENTO PSICOSOCIALE ALLA FAMIGLIA ADOTTIVA DOPO L’ARRIVO DEL MINORE ... 74

3.1CHE COS’È IL POST-ADOZIONE... 76

3.2IL POST-ADOZIONE: IL PERCORSO PREVISTO DALLA LEGGE NAZIONALE SULL’ADOZIONE... 84

3.3LE RAGIONI DEL SOSTEGNO POST- ADOTTIVO DI BASE ... 88

3.4 GLI OBIETTIVI DEL SOSTEGNO POST-ADOTTIVO DI BASE ... 92

CAPITOLO 4 ... 96

I CONTENUTI DEL SOSTEGNO POST-ADOTTIVO DI BASE NELL’ADOZIONE INTERNAZIONALE: I TEMI SENSIBILI ... 96

4.1TSA1:IL DIRITTO DI SAPERE.L’INFORMAZIONE AL BAMBINO SULLO STATUS ADOTTIVO E IL RACCONTO DELLA SUA STORIA DI ADOZIONE ... 97

4.1.1 Il confron to con il passato ... 100

4.1.2 Le parole per raccontare... 103

4.1.3 I fatti da raccontare: quando sapere permette di capire ... 106

4.2TSA2:L’IDENTITÀ ETNICA NELL’ADOZIONE INTERNAZIONALE ... 109

4.2.1 La costruzione d ell’iden tità del ba mbino straniero adottato: il processo di integrazione sociale e familia re nell’adozione interetnica e interculturale ... 113

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4.2.2 Il sostegno post-adottivo di base nell’integrazione fa miliare e so ciale del bambino straniero adottato ... 118

4.3TSA3:L’INSERIMENTO A SCUOLA DEL BAMBINO STRANIERO ADOTTATO.LE DIFFICOLTÀ DEI BAMBINI, DEI GENITORI E DEL SISTEMA SCOLASTICO. ... 126

4.3.1 L’inizio della scuola per il bambino straniero adottato ... 126

4.3.2 I genitori adottivi e l’inserimento scolastico del bambino ... 130

4.3.3 La scuola e l’inserimento del bambino straniero adotta to ... 132

4.3.4 Il sostegno post-adottivo di base nell’inserimento scolastico del bambino straniero adottato ... 135

CAPITOLO 5 ...144

IL GRUPPO NEL SOSTEGNO DI BASE ALLA GENITORIALITÀ ADOTTIVA ...144

5.1IL GRUPPO NEL LAVORO SOCIALE E NELLA RELAZIONE DI AIUTO: UNO STRUMENTO DI SOCIALIZZAZIONE DEL DISAGIO E DELLE CRITICITÀ ... 145

5.2 IL GRUPPO COME STRUMENTO DI PREVENZIONE DEL FALLIMENTO ADOTTIVO.UN PERCORSO DI SOSTEGNO PSICOSOCIALE ORIENTATO ALLA RICERCA E AL POTENZIAMENTO DELLE CAPACITÀ GENITORIALI... 149

5.3 IL GRUPPO DI SOSTEGNO AGLI ASPIRANTI GENITORI ADOTTIVI ... 150

5.4 IL GRUPPO DI SOSTEGNO AI FUTURI GENITORI ADOTTIVI... 155

5.5 IL GRUPPO DI SOSTEGNO AI GENITORI ADOTTIVI ... 159

5.5.1 Le funzioni del g ruppo nel post-adozione ... 160

5.5.2 La struttura, l’organizzazione e il contenuto del g ruppo nel post-adozione ... 163

CONCLUSIONI ...170

BIBLIOGRAFIA ...175

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Introduzione

Non è detto che la famiglia in cui il bambino nasce rappresenti il posto più caldo, sicuro, felice e premuroso in cui poter crescere. E‟ certamente così quando il minore ha accanto a sé dei genitori sensibili che, nel miglior modo in cui possono, evitano che al proprio figlio manchi l‟affetto e la cura necessari per una buona vita. Quando invece la famiglia di origine non ha le possibilità, o le capacità, per offrire una genitorialità sufficientemente buona, è necessario che la giurisdizione minorile intervenga attraverso gli organi competenti affinché la cura del minore sia posta, temporaneamente o definitivamente, sotto la responsabilità di figure extrafamiliari in grado di donare al bambino un clima di accoglienza, di protezione e di sicurezza che altrimenti gli sarebbe negato.

L‟adozione è un istituto giuridico orientato alla tutela dell‟infanzia “ abbandonata” perché finalizzato a rendere concreto il diritto che ha ogni bambino di crescere all‟interno di una famiglia, anche se diversa da quella in cui è nato. La presenza della solidità e della continuità delle relazioni con le figure genitoriali e parentali è finalizzata a garantire al minore la possibilità di dare forma alla propria personalità all‟interno di un ambiente in grado di sostenerlo e di proteggerlo adeguatamente durante il suo processo di crescita e di conquista dell‟autonomia. Oltre a una famiglia, quando un bambino viene dichiarato adottabile ha altresì il diritto di trovare i suoi nuovi genitori nella terra natale. Tuttavia, ci sono circostanze in cui il principio di sussidiarietà non riesce a ess ere applicato per cui è indispensabile ricorrere all‟adozione internazionale. E‟ a questa forma di adozione che l‟elaborato vuole dedicarsi, nonostante molti dei temi trattati potrebbero non richiedere alcuna distinzione ed essere quindi ugualmente validi anche per l‟adozione nazionale. Questa scelta è stata dettata dall‟osservazione di alcuni cambiamenti socio-culturali del contesto italiano. In particolare, le ricerche presenti nella letteratura hanno registrato un numero consistente di adozioni concluse all‟estero e hanno mostrato come molte coppie italiane si rivolgano ai Paesi stranieri per soddisfare il desiderio di

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genitorialità, incompiuto o incompleto, in quanto consapevoli delle maggiori possibilità di portare a termine il progetto adottivo. La frequenza delle adozioni internazionali rappresenta dunque un fenomeno sociale ormai diffuso che richiede dei metodi e degli strumenti nuovi per interpretare i bisogni dei bambini che provengono da un contesto geograficamente e culturalmente lontano rispetto a quello di accoglienza.

Diventare i genitori di un minore nato in un Paese straniero presenta un grado di complessità superiore perché invita il nucleo familiare, e per estensione la società, a conciliare la diversità con la necessità di integrazione. Un progetto adottivo di questo tipo richiede di prestare particolare rilievo alla promozione di una progettualità in cui risultino coinvolti tutti i soggetti che intervengono nell‟adozione: la famiglia, la scuola, le associazioni presenti sul territorio, gli operatori sociali e sanitari e tutti coloro che in qualche modo sono responsabili della crescita fisica, psicologica e sociale del bambino adottato. Inoltre, nell‟adozione internazionale l‟età media dei bambini tende a essere più elevata per cui il minore arriva in famiglia quando una parte della sua identità si è già formata, dunque con esigenze specifiche che sono già chiaramente definite nella sua personalità.

Nell‟adozione internazionale la collaborazione tra le istituzioni e le professionalità diverse può garantire al bambino proveniente da un Paese lontano di trovare il suo spazio di accoglienza e di crescita all‟interno della nuova cornice familiare e sociale, senza per questo dover necessariamente dimenticare chi è e da quale luogo del mondo proviene. Tra gli attori coinvolti nel progetto adottivo, gli operatori psicosociali svolgono un‟azione di sostegno e di accompagnamento che è di fondamentale importanza per la formazione della genitorialità adottiva e per impedire che il progetto adottivo possa concludersi con un fallimento. L‟obiettivo della tesi è dunque quello di considerare i bisogni e le difficoltà di un bambino straniero adottato al fine di potenziare la genitorialità adottiva come risorsa sociale così che al minore, già segnato da lla sofferenza e dalle separazioni precoci, si possa evitare di fare ulteriori esperienze di distacco e di privazione affettiva.

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Nella stesura della tesi si è scelto di percorrere un cammino a ritroso: si parte dunque dal fallimento adottivo, non in quanto evento certo dell‟esperienza ma come possibile risultato se, nel tentativo di un‟eccessiva “normalizzazione” della famiglia adottiva, si lascia che la formazione dei legami importanti, al suo interno e al suo esterno, siano affidati all‟accadere degli eventi.

Nel primo capitolo è dunque messa in evidenza la necessità di affrontare la distanza che separa la genitorialità biologica da quella adottiva. Con l‟intento di evidenziare come il prendersi cura di un figlio adottato possa essere paragonato solo per certi aspetti al prendersi cura di un figlio biologico, si è fatto riferimento ai bisogni che i bambini adottati portano con sé nella loro nuova famiglia. I comportamenti problematici che solitamente vengono agiti da chi è stato adottato sono spesso la causa più evidente del fallimento della relazione adottiva e della seguente espulsione del bambino dal nuovo nucleo familiare. In questa sede, al fine di individuare le motivazioni profonde che si nascondono dietro a un pianto improvviso e disperato, dietro al fastidio causato da una carezza e da un‟attenzione, dietro a un bambino “emotivamente di ghiaccio”, si propone l‟osservazione delle problematicità dei minori adottati attraverso un riferimento diretto alla teoria dell‟attaccamento di Jhon Bowlby. Il rischio di fallimento per una famiglia adottiva può essere presente anche a causa delle caratteristiche della coppia e soprattutto può dipendere dal modello di genitorialità che gli adottanti conservano nella loro mente; una parte del capitolo è dedicata dunque anche a questo aspetto e al ruolo che la professionalità degli operatori psicosociali può avere nell‟avvicinare o allontanare l‟ombra della sconfitta genitoriale. Attraverso questa prima parte dell‟elaborato si è voluto quindi guardare in fondo al fallimento adottivo per individuare l‟esistenza di elementi predittivi o protettivi che possano essere adeguatamente considerati in un progetto adottivo al fine di allontanare dal bambino il rischio di essere nuovamente senza una famiglia.

Dopo aver affrontato l‟epilogo drammatico con cui può concludersi un percorso di adozione, è utile compiere qualche passo indietro nella storia adottiva per focalizzare l‟attenzione sull‟importanza del sostegno psicosociale alla famiglia adottiva, inteso come valido strumento di protezione nei confronti delle

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crisi del nucleo e come azione valida a individuare il disagio e la criticità sul nascere. Nel secondo capitolo le fasi che compongono il percorso adottivo vengono osservate nella loro finalità preventiva in quanto sono pensate e realizzate per dare ai neo genitori, e agli aspiranti tali, la possibilità di essere avvicinati ai bisogni dei bambini stranieri adottati. La partecipazione delle coppie a ciascuno dei momenti di sostegno è intesa, in questo contesto, come una reale opportunità di crescita che permette di acquisire e di potenziare una forma di genitorialità che sia disponibile a promuovere un cambiamento e ad adottare la diversità e l‟unicità del bambino. L‟attenzione e il sostegno dedicato alla formazione della genitorialità adottiva è dunque presentata come valido strumento per allontanare il rischio del fallimento della relazione genitoriale e filiale.

Nel terzo capitolo si propone di osservare più da vicino il progetto di accompagnamento e di sostegno alla genitorialità adottiva dopo l‟arrivo del minore nella sua nuova famiglia. Attraverso i riferimenti normativi previsti dalla legge nazionale sull‟adozione, sono state messe in rilievo le ragioni di fondo che orientano l‟azione degli operatori psicosociali e gli obiettivi che gli strumenti utilizzati intendono perseguire. La riflessione in questa parte della tesi isola il post-adozione dalle precedenti fasi del progetto adottivo e lo tratta singolarmente per un motivo preciso: a differe nza degli altri momenti, in questa fase il bambino non fa più parte di una fantasia ma è realmente presente all‟interno del nucleo familiare. La sua presenza fisica implica il confronto con ciò che effettivamente significa costruire una famiglia capace di amare un bambino concepito da altri, vittima di un vissuto abbandonico e proveniente da un contesto culturale differente. Il sostegno post-adottivo è dunque pensato per evitare che la famiglia sia lasciata da sola con se stessa ad affrontare le sfide del percorso e a battersi per realizzare l‟attaccamento necessario a dare solidità ed equilibrio alla relazione adottiva.

Il quarto capitolo affronta da vicino i contenuti del sostegno post-adottivo. Attraverso i colloqui con la famiglia, le visite domiciliari e soprattutto attraverso la formazione di gruppi dedicati alla genitorialità adottiva, l‟obiettivo della relazione di aiuto, dopo l‟arrivo del minore, diventa quello di affrontare i Temi Sensibili dell‟Adozione. I Temi Sensibili ricoprono un posto particolare nel sostegno post-adottivo di base

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in quanto rendono possibile un‟azione preventiva sulla formazione del disagio e un‟azione necessaria a sostenere la formazione della genitorialità adottiva e ad accompagnare la famiglia nelle situazioni e nelle scelte quotidiane che possono destare più preoccupazione. Tra i Temi proposti dalla letteratura si è scelto di selezione quelli che maggiormente mettono in rilievo la specificità dell‟adozione internazionale. L‟attenzione è principalmente rivolta al diritto del minore a conoscere lo status di figlio adottivo ma anche la necessità che il racconto del passato avvenga nel rispetto della sua sensibilità. L‟altro Tema Sensibile dell‟Adozione che viene discusso è la formazione dell‟identità del bambino stranie ro adottato. Nell‟adozione internazionale il minore proviene da un contesto culturale ed etnico differente e, allo stesso tempo, porta dentro di sé i valori, le abitudini e gli stili di vita che ha appreso durante il periodo trascorso con la propria famiglia di origine oppure all‟interno delle strutture di accoglienza. La costruzione della sua personalità è dunque un percorso che induce a un confronto con il doppio legame: la realtà prima dell‟adozione e la realtà dopo di questa. L‟ultimo Tema Sensibile che viene discusso è l‟inserimento scolastico del bambino straniero adottato. In questa sede si mette in evidenza l‟importanza del percorso scolastico per la formazione di una personalità consapevole e integrata. Si è cercato, inoltre, di rilevare le difficoltà che il bambino, i genitori e la stessa organizzazione del sistema scolastico incontrano nella quotidianità dell‟esperienza. In particolare si è sottolineata la necessità che il tema adottivo trovi il suo posto tra i banchi di scuola, promuovendo attività didattiche e ludiche all‟insegna della solidarietà, dell‟educazione all‟amore e dell‟accettazione della diversità come elemento che arricchisce.

Il quinto e ultimo capitolo dell‟elaborato è dedicato per intero al gruppo di auto mutuo aiuto in quant o ritenuto uno dei più efficaci strumenti per garantire il sostegno e l‟accompagnamento necessario alla famiglia durante il percorso adottivo. L‟argomento è introdotto a partire dal ruolo svolto dal gruppo in generale, nel lavoro sociale e in particolare nella relazione di aiuto, per cui si è ritenuto necessario fare riferimento alle dinamiche che permettono alla dimensione associativa di trasformarsi in un‟esperienza di condivisione e di crescita tra persone che affrontano una situazione simile. Il capito lo procede concentrando l‟attenzione sui gruppi dei genitori organizzati nella fase di formazione, durante il periodo di

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attesa e nella fase successiva all‟arrivo del minore in famiglia. Per ciascuno di essi si è cercato di individuare le caratteristiche organizzative principali ma soprattutto si è voluto mettere in evidenza la finalità di “socializzazione” dell‟esperienza adottiva affinché le emozioni vissute, soprattutto quelle legate a difficoltà e problematiche, diventino dicibili e non si limitino a esistere nella dimensione privata della cornice familiare. Anche il gruppo assume dunque una finalità preventiva importante perché permette alle coppie di sperimentare uno spazio e un tempo liberi in cui i sentimenti possono essere espressi senza la paura della disapprovazione sociale oppure del giudizio. I genitori adottivi, quelli che lo sono diventati, quelli che lo diventeranno e quelli che vorrebbero diventarlo, nel gruppo si incontrano e incontrano se stessi per cui insieme provano a non sentirsi soli davanti alle sfide e a restare in ascolto della sensibilità che la genitorialità adottiva presuppone. I genitori adottivi nel gruppo si svestono delle loro emozioni più forti senza la paura di scoprirsi, a un tempo, fragili e determinati.

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Capitolo 1

Quando un’adozione fallisce: una prospettiva basata sui

bisogni insoddisfatti dei bambini

Nell‟anno 2013, 2.825 bambini provenienti da 56 Paesi diversi hanno trovato accoglienza adottiva presso le famiglie italiane1 . Se confrontati con i dati relativi all‟anno precedente2, i numeri attuali mettono certamente in evidenza un calo nelle adozioni internazionali ma si tratta di una percentuale di diminuzione che è stata registrata a livello internazionale e che resta comunque più bassa rispetto a quella di altri Stati. Il numero di adozioni internazionali effettuate in Italia è tale da poter ancora affermare che il nostro Paese è tra quelli maggiormente impegnati e disponibili all‟accoglienza di bambini provenienti da lontano. Le famiglie italiane si dimostrano quindi aperte ad accettare il confronto con il tema dell‟ integrazione culturale e interraziale per cui è necessario che sia garantita loro la disponibilità di strumenti e interventi per facilitare la formazione di veri e propri nuclei familiari multiculturali. Nel progetto adottivo internazionale diventa allora indispensabile riservare la giusta attenzione a tutti gli aspetti collegati con la difficoltà di inserimento e di adattamento di un bambino adottato in altri Paesi.

L‟analisi dei fascicoli riguardanti i minori stranieri che vengono autorizzati all‟ingresso e alla residenza permanente nel nostro Paese, mette in evidenza un altro dato significativo, vale a dire l‟ età media che i bambini presentano quando l‟iter adottivo è portato a conclusione: il 43, 8 % degli adottati ha un‟età compresa tra i 5 e i 9 anni e solo il 5% di loro giunge all‟interno della nuova famiglia quando ha meno di un anno di età3. Si tratta di una questione di rilevanza principale,

1 “Dati e prospettive nelle adozioni Internazionali - Rapporto sui fascicoli dal 1° Gennaio al 31 dicembre 2013”

CAI Commissione per le Adozioni Internazionali, Autorità centrale per la Convenzione de L‟Aja

www.commissioneadozioni.it 2

Nel 2012 sono state 3.106 le adozioni internazionali concluse in Italia

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perché maggiore è l‟età in cui il bambino viene accolto all‟interno del nuovo nucleo, più aumenta la probabilità che lo stesso sia vittima di un vissuto drammatico difficile da integrare all‟interno della sua nuova realtà. Se il minore è stato esposto per un lungo periodo di tempo all‟incuria di una famiglia incapace di accudire, o al clima non sufficientemente educativo e affettivo delle diverse strutture di accoglienza, è molto elevata la possibilità che possa mettere in atto strategie difensive e comportamenti evitanti o aggressivi che diventano spesso difficili da gestire da parte dei genitori. Lo stesso può dirsi per quanto riguarda gli effetti dell‟abbandono: un bambino che ha vissuto per più tempo nella propria famiglia, o in uno stesso istituto, avrà instaurato co munque un tipo di attaccamento con le figure di riferimento molto forte, e dunque sarà molto più difficile affrontare l‟esperienza di separazione che l‟adozione stessa comporta. Inoltre si deve considerare che i bambini esposti per un lungo periodo a mancanza di cure e di protezione, sviluppano progressivamente un‟autonomia precoce e assumono comportamenti difensivi che, ormai consolidati nella propria personalità, vengono agiti come strategia di riparo dal dolore anche dopo il loro inserimento all‟interno di contesti protettivi.

1.1 Il fa llime nto adott ivo

I due dati, la disponibilità di sempre più famiglie italiane ad aprirsi ad un percorso di adozione internazionale e l‟età più elevata in cui il minore diventa parte della nuova realtà, confermano l‟inevitabilità di comprendere il nuovo scenario in cui si inserisce l‟adozione. La necessità principale è quella di riconoscere che alcuni percorsi nell‟adozione internazionale presentano specificità che li rendono più complicati rispetto ad altri. Per alcuni di questi, le difficoltà possono manifestarsi in maniera così radicale da rendere impossibile la costruzione di un rapporto solido di genitorialità e di filiazione. In determinati casi si arriva anche a parlare di un fallimento del progetto adottivo, un fenomeno che può spingersi ben oltre qualsiasi tentativo di riparazione e risolversi con l‟ espulsione del minore dal nucleo familiare attraverso la sua restituzione ai Servizi Sociali del

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territorio e al Tribunale per i minorenni competente oppure attraverso il suo inserimento all‟interno di strutture educative residenziali.

Il fallimento adottivo nell‟adozione internazionale4

, è un fenomeno complesso da qualificare e, di conseguenza, anche da quantificare. Nel tentativo di definirlo, la maggior parte delle ricerche italiane fa riferimento alla mancata realizzazione del progetto genitoriale e quindi alla presenza di una consistente problematicità relazionale tra il minore adottato e i suoi genitori adottivi. Notevoli sono però le imprecisioni che vengono rilevate: la prima riguarda il criterio utilizzato per la valutazione del fallimento. Non vi è molta chiarezza sull‟utilizzo del termine per cui generalmente si parla di fallimento adottivo per riferirsi alle adozioni che si interrompono con la restituzione del minore alle autorità competenti. Spesso, però, si utilizza lo stesso concetto per intendere tutte quelle situazioni in cui di fatto non vi è alcuna separazione definitiva tra genitori e figlio adottivo ma all‟interno del nucleo si sono ugualmente creati legami disfunzionali che determinano la sofferenza di tutte le parti coinvolte e non permettono all‟adozione di avere alcuna funzione riparativa ed evolutiva.

Nella rilevazione dei dati, la mancanza di una definizione precisa del fenomeno si trad uce nella difficoltà di elaborare statistiche capaci di dare un‟ immagine autentica del problema. Se un‟adozione è considerata fallita solo quando il rapporto tra genitori e figlio è carico di tensione e sofferenza, tale da non lasciare altra scelta se non l‟uscita del minore dalla casa adottiva e la sua collocazione in strutture di accoglienza, le poche statistiche a disposizione rilevano un fenomeno che in Italia è presente in percentuali molto basse. Dall‟analisi dei fascicoli dei minori stranieri autorizzati alla permanenza in Italia, effettuata da diversi Tribunali per i Minorenni a livello territoriale, è emerso che su 20.000 adozioni internazionali realizzate in Italia tra il 2000 e il 2007 , 200 di queste si sono trasformate in fallimento.5 Questo numero certamente conferma che la

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Si tratta di un concetto valido anche per l‟adozione nazionale.

5 Cfr. F. VADILONGA(a cura di), Curare l‟adozione. M odelli di sostegno e presa in carico della crisi adottiva, M ilano, Raffaello

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maggior parte delle famiglie italiane desiderose di accogliere un bambino in adozione, si rivela poi adeguata a garantire uno spazio di accoglienza e di accettazione. Allo stesso tempo però, è necessario guardare alla percentuale dei fallimenti adottivi con la consapevolezza che si tratta di un dato che non riflette la situazione reale delle adozioni perché comunque non comprende i fallimenti statisticamente invisibili.6 Fanno parte di questa categoria tutti i casi in c ui i genitori adottivi, nonostante i rilevanti ostacoli incontrati nelle relazioni intrafamiliari, sono reticenti nel chiedere aiuto ai servizi territoriali. La loro fermezza, dettata dalla mancanza di una buona relazione di fiducia o dalla paura di essere giudicati, determina un situazione di conflittualità che non favorisce l‟interesse di nessuno, tanto meno del minore. Possono dirsi fallimenti invisibili anche le situazioni in cui i genitori adottivi decidono, in autonomia, di collocare il proprio figlio all‟interno di strutture residenziali e, non richiedendo il contributo dei servizi territoriali, celano le difficoltà intercorse nel percorso di adozione.

In questa sede si è cercato di osservare il fallimento adottivo in relazione a quello che si cons idera l‟obiettivo primario dell‟adozione. Accantonando l‟opinione socialmente diffusa in base alla quale la scelta adottiva includerebbe in sé la funzione salvifica e la risoluzione di tutte le difficoltà di un bambino abbandonato definitivamente, nel tempo si è riconosciuta la reale difficoltà che le coppie adottive incontrano durante il percorso di costruzione della genitorialità. L‟approccio maggiormente centrato sulle necessità di chi è stato privato di un ambiente sano di crescita e di educazione, ha permesso di affermare che l‟adozione non ha il solo scopo di fornire al bambino i genitori mai avuti, ma ha la funzione, più importante , di provocare un cambiamento. L‟adozione è un intervento di protezione dell‟infanzia unico nel suo genere poiché è po tenzialmente in grado di offrire un ambiente caldo e affettivo all‟interno del quale le ferite dolorose del passato possono essere realmente curate. Per il minore che ha vissuto un‟ esperienza traumatica, che è stato trascurato o che non ha mai realizzato un legame di attaccamento solido con le figure di riferimento, la mancanza di

6 Cfr. Ibidem

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una cornice familiare accudente e protettiva rende più difficile la scoperta e la disponibilità delle condizioni di vita che promuovono la sua crescita e che gli consentono di immaginare un epilogo diverso a un futuro che sembra già scritto. E‟ importante infatti che, durante il processo di crescita, i punti di forza del bambino siano valorizzati così come le sue difficoltà e problematicità siano affrontate e superate. La mancanza di questa possibilità incide notevolmente sulla capacità di esprimere le proprie risorse e di relazionarsi con gli altri all‟interno del più ampio contesto sociale. L‟impegno che viene richiesto alle nuove famiglie non è semplice da garantire. Ai genitor i adottivi è domandato di realizzare i normali compiti necessari a soddisfare i bisogni dei più piccoli in modo da fornire una cura e una protezione sicura. Al tempo stesso la scelta adottiva chiede la maturazione delle capacità necessarie ad affrontare e comprendere il passato difficile del bambino adottato cosicché il figlio possa essere accettato così come è. La finalità “terapeutica” dell‟adozione comprende dunque anche la necessità di accompagnare e sostenere il bambino nella scoperta della sua storia in modo tale da consentire un‟unione dei ricordi e delle parti sconnesse del passato e di dare un senso e una continuità agli eventi della sua vita.7 Nella famiglia adottiva il passato del bambino assume la sua reale importanza, viene perciò pensato e compreso al fine di costituire il punto di partenza per la realizzazione di una genitorialità sensibile e disponibile nei confronti delle esigenze del minore. Quando al bambino adottato è inoltre concessa l‟opportunità di esprimere e di interpretare i suoi sentimenti rispetto agli episodi passati che lo hanno emozionato positivamente oppure turbato, si gettano le basi per un cambiamento della percezione che ha di stesso e degli altri. Le ragioni che rendono l‟adozione una sfida complessa spesso risiedono proprio nelle difficoltà di comprensione e di gestione che i genitori adottivi incontrano di fronte ad alcuni comportamenti problematici messi in atto dal proprio figlio. Atteggiamenti oppositivi, aggressivi o provocatori oppure il riscontro dell‟iperattività o di una scarsa concentrazione nello svolgimento dei compiti richiesti, possono sicuramente mettere a dura prova la capacità di resistenza degli adottanti. Quando

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i genitori iniziano a sentirsi sopraffatti dal comportamento del minore e totalmente incapaci di gestire i loro sentimenti e quelli del bambino, il nucleo familiare entra a far parte di una modalità relazionale che lo espone a situazioni altamente stressanti e a un rischio di fallimento del progetto adottivo. Non è raro che l‟adozione comporti un cambiamento totale nella vita dei coniugi e li esponga a difficoltà di fronte alle quali le capacità genitoriali vengono seriamente messe in dubbio. Soprattutto nelle prime fasi successive all‟inserimento è possibile riscontrare alcune caratteristiche comuni ai bambini adottati8 quali:

 l‟ansia derivante dall‟esperienza di perdita e di separazione  una scarsa autostima

 la mancanza di fiducia verso persone e situazioni sconosciute seppure protettive e confortanti

 un sentimento di rabbia

 la necessità di mantenere il controllo di ciò che accade intorno e la conseguente incapacità di rilassarsi alle cure e alle attenzioni delle nuove figure parentali

Un bambino adottato è infatti un bambino che ha vissuto l‟esperienza dell‟abbandono e in molti casi proviene da contesti caratterizzati da incuria, trascuratezza, maltrattamento e assenza di legami sicuri con una o più figure di attaccamento. E‟ dunque molto probabile che i suoi bisogni primari non siano stati ascoltati in maniera continuativa e adeguata, che le sue emozioni non siano state accolte, che non sia stato confortato nei suoi momenti di paura. E‟ inevitabile dunque che la sua personalità si sia strutturata su una base insicura e che le sue esperienze pregresse negative, non ancora elaborate, influiscano sulla visione che il bambino ha di sé e del mondo che lo circonda. Per comprendere meglio come i legami con i caregiver nella primissima infanzia e l‟esperienza della perdita e della separazione dalle relazioni precoci siano capaci di influire sui co mportamenti futuri, e quindi anche sulla relazione con i genitori adottivi, è possibile richiamare la teoria

8 Cfr. G. SCHOFIELD, M . BEEK, Adozione, affido, accoglienza. L‟attaccamento al centro delle relazioni familiari, M ilano,

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dell‟attaccamento di Jhon Bowlby. Bowlby ritiene che l‟infante, sin dalla nascita, presenti il bisogno primario innato di sentirsi al sicuro rispetto a ciò che percepisce come un pericolo. Il suo istinto lo spinge dunque a ricercare la vicinanza con un adulto in grado di proteggerlo e, a tal fine, mette in atto alcuni comportamenti che richiamino l‟attenzione della figura di accudimento e gli forniscano la prossimità e il contatto di cui necessita. Generalmente nei primi mesi di vita il pianto, il sorriso oppure le braccia tese verso il caregiver sono considerati “comportamenti di attaccamento”9

. Una madre sufficientemente adeguata è una figura sensibile e responsiva per cui riconosce i bisogni del bambino e risponde in maniera costante alle sue richieste. Tra il neonato e la figura che si prende cura di lui si realizza un legame sincronico all‟interno del quale il neonato avverte un bisogno (la sensazione di fame, di sete, di sonno, di paura, di fastidio) che provoca in lui uno stato di agitazione. La vocalizzazione e la gestualità vengono utilizzate per richiamare l‟attenzione dell‟adulto che corrisponde alle sue richieste e determina il ritorno a uno stato di tranquillità del bambino che, sentendosi soddisfatto fisicamente ed emotivamente, può sentirsi nuovamente rilassato. La disponibilità dimostrata dalla figura di accadimento non è importante solo per il benessere apportato momentaneamente al bambino. La sua funzione diventa rilevante per la fiducia che trasmette e dunque per la possibilità riconosciuta all‟infante di sviluppare in sé delle aspettative e la sicurezza che di fronte a un “pericolo” avvertito esiste una figura capace di comprenderlo e di prestare la cura necessaria . E‟ sulla base di queste previsioni che nel neonato si costruiscono i modelli operativi interni, immagini interiori attraverso le quali il bambino percepisce le esperienze che vive, se stesso, i genitori e più in genera le, le persone con le quali instaura un legame di affetto. Accade infatti che il bambino sicuro della presenza di un caregiver, attento e disponibile nei suoi confronti, è in grado di sviluppare la capacità di “tenere in mente” la figura di attaccamento senza il distacco momentaneo da questa lo turbi o gli impedisca di esplorare con serenità gli oggetti ma anche le persone e i sentimenti che lo circondano.

9 Cfr. Ibidem

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Nel caso di bambini cresciuti senza il supporto di un maternage adeguato, come può accadere prima di un‟eventuale adozione sia nella famiglia di origine che in una struttura ospitante, i modelli operativi interni sono costruiti sulla base della privazione e del non riconoscimento delle necessità fisiche ed emotive. Di conseguenza, la mancanza di responsività o la responsività incostante, conferiscono al bambino la convinzione di essere un infante non amabile e non meritevole di un genitore affidabile. Durante il processo di crescita la stessa rappresentazione viene estesa con facilità anche al mondo che lo circonda e ai successivi legami relazionali.10 Il minore arriva dunque nella famiglia adottiva con una sfiducia nei confronti delle relazioni affettive, tale da non permettere la formazione di alcuna aspettativa riguardante la possibilità che le nuove figure parentali possano comprendere i suoi bisogni e la sua sofferenza interiore. Ai minori adottati è mancata spesso la possibilità di individuare la propria base sicura, il punto di partenza e di ritorno per ogni passo compiuto verso l‟evoluzione. La base sicura è strutturata sul tipo di accudimento che il genitore è in grado di garantire al proprio figlio sin dai primi momenti dopo la sua nascita. L‟infante è un soggetto vulnerabile e dipendente dalle cure genitoriali. Affinché possa acquisire una concezione di sé come persona che ha un suo valore necessita che la relazione con i caregiver sia fonte di disponibilità, di sensibilità, di accettazione e di cooperazione. Gillian Schofield e Mary Beek11, nelle riflessioni condotte relativamente alla possibilità di creare la base sicura all‟interno del legame adottivo, ritengono che queste componenti debbano essere assolutamente presenti se si vuole che il progetto adottivo raggiunga la sua finalità terapeutica e permetta a genitori e al figlio di stabilire un legame di attaccamento solido. E‟ possibile dunque affermare che la mancanza di disponibilità, di sensibilità, di accettazione e di cooperazione costituisca l‟elemento che ha impedito all‟adottato di sperimentare un legame affettivo di qualità con i suoi genitori ma anche con i caregiver che si sono presi cura di lui all‟interno delle strutture ospitanti. Senza una base sicura è stato impossibile per il minore crescere nella tranquillità e nella sicurezza che gli adulti al suo

10 Cfr. J. BOWLBY, Una base sicura, M ilano, Raffaello Cortina Editore, 1989 11 Cfr. G. SCHOFIELD, M . BEEK, Adozione ,affido, accoglienza, op. cit.

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fianco sono capaci di ascoltare e di soddisfare le sue esigenze, di proteggerlo dall‟insorgere di qualsiasi tipo di pericolo. La sensazione di non essere meritevole di cura e dunque di amore non ha posto le basi per una relazione di reciprocità per cui il bambino non ha potuto acquisire la capacità di “tenere l‟altro dentro di sé” per provare a mettersi nei suoi panni e capire le sue emozioni e le sue necessità. La mancanza di un‟attenzione e di una cura costante è all‟origine di una scarsa autostima e della difficoltà di sviluppare un sentimento di autoefficacia che faccia sentire il bambino sicuro delle proprie capacità. Se nessun caregiver ha mai dedicato il suo tempo e il suo spazio alla stimolazione intellettiva del bambino attraverso giochi o altre modalità interattive, è difficile che il minore abbia avuto l‟occasione di sperimentare le sue capacità e i suoi limiti. Di conseguenza, le risorse restano inesplorate senza che il bambino conosca il suo potenziale e senza che la stima che ha di sé possa essere accresciuta. Si può comprendere che la mancanza di una base sicura alla quale fare riferimento e alla quale tornare ogni volta che si avverte l‟incapacità di proseguire da soli, comporta un grosso limite per l‟evoluzione della personalità e per la creazione di legami interni ed esterni al contesto familiare.

Quando un bambino viene adottato e accolto all‟interno di una nuova famiglia non ha ancora fatto esperienza di una base sicura o comunque non in maniera esclusiva perché anche l‟accudimento di un caregiver particolarmente premuroso nei suoi confronti, all‟interno di una struttura di accoglienza per esempio, è stato comunque condiviso anche da altri minori con esigenze simili; per tanto i comportamenti utilizzati per difendersi dagli eventi dolorosi o, spesso, dal sentirsi non voluto e non amato, vengono ri-attualizzati nel nuovo contesto di vita e ciò impedisce ai genitori adottivi di stabilire l‟empatia necessario per un legame sintonico. Il pericolo più grande che può derivarne è l‟impossibilità di creare un rapporto genitoriale e filiale così da decidere per l‟interruzione della convivenza. Può realmente accadere, e rientra nella normalità, che la madre e il padre adottivo si sentano delusi e incapaci di reagire dinanzi all‟ennesimo rifiuto o opposizione del figlio, specie se hanno compiuto la scelta adottiva con la speranza di essere risarciti rispetto al lutto

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procreativo oppure per l‟impegno e l‟amore che investono nella crescita di un bambino che non hanno concepito .

Sulla base di questa premessa si può allora prova re a comprendere le difficoltà e i traumi che il bambino porta con sé nella sua adozione e si può provare a capire il motivo per cui non è sufficiente che il percorso adottivo sia finalizzato solo al reperimento di una casa e di una famiglia. Il fine più importante a cui l‟adozione deve tendere è un fine terapeutico che coincide con la necessità di trasformare i modelli operativi interni del bambino abbandonato, trascurato, maltrattato. E‟ necessario dunque che i genitori adottivi siano aiutati ad avere la consapevolezza che il loro ruolo deve essere anche quello di promuovere una dimensione riparativa ed elaborativa dell‟adozione. Affinché sia raggiunto un obiettivo riparativo è necessario che i genitori adottivi accolgano, e non respingano malgrado ne sia no spaventati, le disfunzioni che possono rilevare nel comportamento del figlio, con la certezza che alcuni atteggiamenti aggressivi o evitanti fanno parte di strategie difensive che il bambino ha dovuto elaborare per sopravvivere nel suo precedente contesto di appartenenza. I cambiamenti correttivi, che pure vanno apportati, devono essere proposti senza rigidità e gradualmente in modo tale che il bambino stesso possa comprenderne l‟importanza e la necessità. Allo stesso tempo è fondamentale che l‟adozione abbia anche un obiettivo elaborativo e dunque abbini il bambino a genitori capaci di donargli il tempo e lo spazio necessario per esprimere i disagi collegati al trauma del passato. E‟ importante che i vissuti di sofferenza, i sensi di colpa e le paure provate siano finalmente verbalizzate. I genitori adottivi hanno perciò il dovere di accogliere e di valorizzare le emozioni del figlio perché è solo in questo modo che il bambino può essere riconosciuto nella sua storia e nella sua interezza e ha la possibilità di essere aiutato nella comprensione di ciò che è avvenuto e nella costruzione di un sé intero e non più frammentato.12 Se le immagini interne del passato vengono invece confermate all‟interno della famiglia adottiva è possibile che i comportamenti problematici siano riproposti

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anche nel presente e che alcuni genitori, spaventati e incapaci di offrire un contenimento, sentano il prevalere del disagio e della sofferenza. Quando il dolore prende il sopravvento può succedere che crescere insieme non sia più avvertito come un piacere né dai genitori, né dal bambino per cui è facile che l‟adozione si concluda con il fallimento.13

Con l‟interruzione del legame genitoriale, il tema del fallimento si ri-attualizza in ciascuno dei soggetti coinvolti: nella famiglia adottiva, negli operatori che hanno accompagnato la coppia lungo tutto il percorso adottivo ma soprattutto nel bambino, costretto a fare i conti con un ulteriore abbandono e con un probabile ritorno all‟ istituzionalizzazione. Con la coscienza che l‟adozione, a volte, può presentarsi come un percorso fatto più di salite che di discese, è cresciuta la consapevolezza che per garantire la tutela dell‟infanzia abbandonata sia necessario preparare e sostenere la famiglia adottiva alle sfide che la scelta comporta. Per questa ragione è compito degli operatori dei servizi territoriali, e degli enti autorizzati in caso di adozione internazionale, intervenire preventivamente affinché il fallimento adottivo non si concretizzi nella realtà di un bambino che con la separazione dai legami affettivi ha già sperimentato la solitudine e il vuoto interiore. La possibilità che il legame tra i genitori e il figlio non si crei e che nella relazione adottiva possano manifestarsi periodi di crisi devono diventare argomenti di discussione e di confronto con le famiglie ancora prima che la dichiarazione di disponibilità sia inoltrata al Tribunale per i Minorenni. L‟obiettivo non è quello di spaventare la coppia di coniugi e di contrastare il desiderio di genitorialità ma è quello di diffondere una cultura dell‟adozione per accrescere la consapevolezza sulla complessità del percorso e ammonire il tentativo di soddisfare attraverso di essa una mera esigenza personale.

Nella letteratura riguardante l‟adozione è comune l‟ipotesi che il fallimento adottivo non sia mai legato alla presenza di un‟unica componente ma sia il risultato di una combinazione di più elementi. Attraverso alcune ricerche, effettuate soprattutto in ambito internazionale, sono stati individuati una

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serie di fattori che potrebbero essere considerati predittivi del fallimento adottivo e sui quali si potrebbe agire in anticipo. Si deve subito precisare, però, che si tratta di caratteristiche che, qualora siano presenti, non necessariamente conducono all‟insuccesso. Spesso la loro capacità di incidere in maniera rilevante e di determinare la crisi o la rottura del patto adottivo, dipende dai fattori protettivi presenti all‟interno del nuovo nucleo familiare.

1.2 I fatto ri pre ditt iv i del fallimento adott ivo

In un‟adozione che fallisce è possibile isolare alcune caratteristiche dei bambini, dei genitori adottivi e dell‟intervento professionale che, incrociandosi, potrebbero trasformarsi in veri e propri fattori di rischio. Nella ricerca condotta da Palacios, Sànche z-Sandoval, Leòn14 nel 2005, 20 casi di adozione fallita (con separazione definitiva tra il minore e i suoi genitori adottivi) in Spagna sono stati confrontati con 181 casi di adozione internazionale conclusi sempre all‟interno di questo contesto. L‟obiettivo è stato quello di individuare i fattori predittivi della sconfitta adottiva, tenendo conto che nessuno di questi conduce sicuramente al fallimento perché molto dipende dalla specificità del singolo caso.

1.2.1 I f at t ori di rischio p resent i nel la st oria d i v it a del bambino adot t at o

E‟ possibile individuare una serie di caratteristiche che il bambino adottato può presentare e che potrebbero rendere più complessa la realizzazione del progetto adottivo. E‟ importante sottolineare che la presenza di questi criteri non è assolutamente indicativa di una personalità che non presenta alcuna possibilità di intervento. Saper individuare alcune esigenze specifiche del minore significa soltanto prendere atto della complessità della sua situazione, tenere bene a me nte i suoi bisogni ed evitare che l‟impreparazione ad affrontarli possa condurre a un ulteriore abbandono.

 L‟età elevata al momento dell‟adozione

14 Cfr. J. PALACIOS, M anuale degli interventi professionali nell‟adozione internazionale, Quaderno n. 29 –Servizio politiche

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Rappresenta una circostanza che, se non adeguatamente considerata né dagli adottanti né dai servizi che si occupano del sostegno al nucleo, può aumentare la possibilità che un progetto adottivo fallisca. In particolare, la problematicità di questa compone nte può incrementare la complessità dell‟adozione quando è legata ad un secondo fattore di rischio, vale a dire

 La presenza di problemi di comportamento gravi

Un bambino che, prima di essere adottato, ha trascorso molto tempo della sua infanzia all‟inter no di un ambiente dominato dalla paura, dalla rabbia, dal pericolo, dalla trascuratezza, dalla carenza di affetto e di cure vitali, è un bambino che non ha fatto esperienza di una base sicura dunque risulta fortemente disorganizzato dal punto di vista psicologico. L‟età assume una valenza fondamentale perché più è lunga l‟esposizione a contesti inadeguati, o non sufficientemente adeguati, più la sicurezza e la fiducia in sé vengono fortemente compromesse. Se un bambino viene adottato all‟età di 6 anni, è perfettamente consapevole del suo passato per cui faticherà maggiormente a cambiare atteggiamenti e convinzioni sedimentate da più tempo. Il suo arrivo in una realtà nuova e sconosciuta, inizialmente può essere caratterizzato da un‟ inibizione di alcuni tratti problematici della personalità ma questi sono destinati a implodere inevitabilmente nel corso dell‟adozione, producendo una serie di comportamenti disfunzionali (regressivi, ribelli, aggressivi) legati alla mancanza di una fiducia di base. Può succedere, per esempio, che il bambino provenga da una famiglia di origine o da una struttura di accoglienza dove non è stato possibile individuare figure di riferimento attente ai suoi bisogni e stimolanti per la sua crescita. Nel momento in cui è inserito all‟interno di un ambiente fortemente stimolante, il cambiamento può essere così intenso da provocare un sentimento di inadeguatezza del bambino rispetto agli impulsi che gli vengono offerti , per cui la sua risposta può consistere in un rifiuto, nell‟ostilità oppure nella chiusura in se stesso.15 Può accadere, inoltre, che un bambino trascurato presenti una forte componente di autonomia e la propensione ad autogestirsi. Questi aspetti caratteriali mal si conciliano con l‟ingresso nella loro

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vita di figure accudenti che con le loro attenzioni mettono in evidenza le differenze tra adulti e bambini, difficili da accettare perché mai sperimentate prima di allora. Bisogna poi considerare anche la possibilità che il bambino adottato, nel suo passato, sia stato vittima di maltrattamento. Aver lasciato quei contesti quando si è già più grandi per essere adottati, significa aver subito danni maggiori e ferite più difficili da sanare. Molto spesso la famiglia che adotta in un Paese straniero ha poche informazioni riguardo a questo aspetto per cui se un maltrattamento c‟è stato, può essere rivelato dalle cicatrici presenti sul corpo del bambino, può essere spontaneamente rivelato nel tempo dopo aver acquisito abbastanza fiducia, oppure può emergere attraverso comportamenti problematici. E‟ molto frequente che un minore sottoposto a violenza fisica, e per un periodo di tempo prolungato, abbia interiorizzato l‟ aggressività come un aspetto caratterizzante la relazione con gli adulti. Una volta accolto nel nuovo nucleo, la ricerca di un contatto fisico con le figure genitoriali può, quindi, essere espressa attraverso modalità aggressive. Accade anche che il bambino cerchi lui stesso la punizione fisica perché abituato, nel tempo, a quel tipo di trattamento. Per ultima, ma non meno importante, è l‟eventualità che determinati comportamenti problematici possano essere una diretta conseguenza della difficoltà di adattamento di un bambino che proviene da una realtà geografica e culturale completamente differente rispetto al contesto adottivo. Soprattutto nelle adozioni internazionali di bambini più grandi, è più forte il sentimento di distacco avvertito nei confronti del luogo di crescita, così come è più forte la sensazione di estraneità e di diversità rispetto al nuovo ambiente di vita.

 La difficoltà del bambino nella costruzione di un nuovo legame affettivo

Ancora una volta è di fondamentale importanza fare riferimento alla “teoria dell‟attaccamento” e al concetto di “base sicura” di Jhon Bowlby. Il periodo di vita trascorso ne lla trascuratezza e nella scarsa attenzione emotiva e relazionale determina la formazione di modelli operativi interni in base ai quali il bambino percepisce se stesso come un bambino non degno di ricevere amore. I n modo particolare nei bambini adottati in età avanzata, questi sentimenti possono ostacolare la

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possibilità che insieme ai genitori adottivi si possa realizzare un rapporto fondato sulla fiducia, sulla stabilità e sulla certezza. Naturalmente il fatto di non essere più un infante, come accade spesso nelle adozioni internazionali, determina l‟espressione delle esigenze attraverso modalità relazionali e comunicative più complesse che richiedono una maggiore capacità interpretativa da parte dei genitori16. Può accadere infatti che il minore assuma un atteggiamento oppositivo di fronte a qualsiasi proposta oppure un atteggiamento di disprezzo e di non riconoscimento che può lasciare delusi e scoraggiati. Si tratta spesso di comportamenti provocatori, agiti da un minore che soffre e che vuole sfidare o misurare la capacità delle figure di accudimento di sopportare il anche il suo dolore.

1.2.2 I f at t ori di rischio p resent i nel la coppia adot t iv a

Nella ricerca realizzata in Spagna, Palacios individua anche nella coppia genitoriale determinate caratteristiche che possono favorire il rischio di fallimento adottivo. Tra queste possono essere citate:

 il livello di istruzione della coppia adottiva

Nell‟adozione internazionale, più che in quella nazionale, i genitori adottivi sono in possesso di un elevato titolo di studio e, spesso, di un impegno lavorativo che non permette di conciliare facilmente il tempo del lavoro con quello dedicato alla casa e alla famiglia. Nel percorso adottivo, quando il rapporto tra i genitori e il figlio è tutto da costruire, il fatto che il bambino durante la quotidianità sperimenti un‟ assenza prolungata delle nuove figure di riferimento, rappresenta un ostacolo per la realizzazione di un solido legame di attaccamento. A questa ragione se ne aggiunge poi un‟altra, più attinente alle aspettative che un genitore con un buon livello di istruzione può avere nelle capacità del figlio, soprattutto in ambito scolastico. L‟aspirazione del genitore ad avere un figlio perfetto, se non attentamente confrontata con le reali capacità di un ba mbino che ha comunque vissuto la parte iniziale della sua vita in contesti poco stimolanti, può incrementare il

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rischio di idealizzazione e il pericolo che sia amato non il figlio reale ma l‟immagine di lui che è stata creata. La delusione conseguente all‟asimmetria tra la fantasia e la realtà non appartiene però solo ai genitori. Anche l‟adottato continua ad alimentare quella rappresentazione di sé che lo ritrae come un bambino non adeguato e non meritevole di essere amato perché anche in un nuovo contesto di vita è incapace di corrispondere alle aspettative dei genitori.

 Le gravi discrepanze della coppia in merito al progetto adottivo

Il desiderio di adottare un figlio deve appartenere a entrambi i componenti della coppia ed entrambi devono poter sviluppare, prima interiormente e poi concretamente, un progetto adottivo condiviso e sulla base del quale poter realizzare una genitorialità armoniosa. Può accadere che il coinvolgimento nel percorso verso l‟adozione sia invece sentito solo da un membro della coppia e che l‟altro abbia accettato per evitare una delusione. Quando una tale circostanza si verifica, è probabile che le divergenze possano prendere il sopravvento e riversare sofferenza sul minore stesso. In questi casi la realizzazione di un legame genitoriale e filiale è ostacolata dalla formazione di tensioni che non permettono al bambino di vivere in un contesto armonioso. Ancora più gravi sono le conseguenze che si riversano sul progetto adottivo quando il minore è ritenuto responsabile della rottura dell‟equilibrio di coppia. L‟incapacità di riflettere sulle problematiche che hanno condotto a una crisi del legame coniugale e l‟impossibilità di sostenere le conseguenze di una rottura del rapporto possono portare i genitori adottivi a desiderare l‟espulsione del figlio dal nucleo familiare pur di ristabilire la stabilità perduta.

 Le caratteristiche personali che rendono difficile la costruzione del legame adottivo e la risoluzione delle problematiche educative.

Essere figli e genitori adottivi non è una realtà semplice da costruire. Quando l‟iter burocratico previsto dalle normative in materia di adozione si è concluso, quando ter mina il viaggio fisico e mentale nel Paese estero, il bambino reale entra a far parte del nuovo nucleo familiare e al suo interno rivela tutta la sua personalità complessa e frammentata, sopravvissuta all‟abbandono, alla

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trascuratezza, all‟incuria quando non al maltrattamento fisico oppure psicologico. L‟essere diventato figlio di genitori differenti rispetto a quelli biologici non significa aver garantita la cura e la tutela di cui si necessita, così come non cancella la disorganizzazione interiore e i comportamenti apparentemente irrazionali e difficili da contenere. Di fronte alle particolar i esigenze di un bambino adottato, figure di riferimento particolarmente rigide nell‟impartire le nuove abitudini di vita e i nuovi stili educativi, rappresentano infatti un ostacolo alla costruzione di un legame di filiazione. E‟ considerato ugualmente un fattore di rischio, una personalità genitoriale particolarmente fragile, non preparata ad affrontare il vissuto doloroso del figlio e a immedesimarsi nella sofferenza subita. Queste considerazioni aiutano a comprendere la necessità che il bambino adottato trovi, all‟interno della sua famiglia, persone disposte e capaci d i accoglierlo nella sua imperfezione e adatte ad aiutarlo a riparare quelle parti del se che ris ultano frammentate e confuse.

 Il desiderio di essere risarciti rispetto alla sofferenza determinata dall‟impossibilità di procreare. Se il percorso adottivo nasce da un‟esigenza di consolazione, difficilmente riesce a realizzarsi attraverso la creazione di una genitorialità adeguata per un bambino che ha già una storia e un percorso probabilmente travagliato. L‟esistenza di questi presupposti determina nei genitori adottivi un rifiuto del bambino adottato perché la necessità di occuparsi delle sue esigenze e delle sue problematiche contribuisce alla riaperture di quelle ferite che l‟adozione aveva il compito di alleviare.17

1.2.3 I fattori di rischio p resenti nell’interv ento professionale

Un ruolo fondamentale nell‟allontanare il rischio di fallimento adottivo è senz‟altro svolto dall‟intervento professionale ideato e progettato sulla specificità del caso. Nelle diverse realtà territoriali italiane è ormai prevista, per prassi, la formazione di un équipe specializzata nell‟orientare, valutare, sostenere e monitorare la coppia adottiva. Le professioni più direttamente

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coinvolte sono uno/a assistente sociale, uno/a psicologo e, trattandosi di adozione internazionale, le diverse professioni che svolgono la loro attività all‟interno degli enti autorizzati18

. La loro presenza nelle diverse fasi del percorso adottivo può dirsi costante per cui il successo dell‟adozione dipende anche dalla qualità degli interventi promossi. Palacios indica quindi anche una serie di fattori di rischio presenti nell‟intervento professionale.

 L‟assenza di formazione dei professionisti coinvolti nell‟iter adottivo.

Per la realizzazione di un solido legame genitoriale e filiale, è importante che le energie, le capacità e le risorse dell‟équipe adozioni siano investite in maniera efficace già a partire dalla fase di orientamento, sulla base del presupposto che una buona adozione nasce da una buona informazione. Gli aspiranti genitori adottivi devono esser messi al corrente del significato dell‟adozione quindi delle difficoltà che si possono incontrare, delle necessità che presenta un bambino adottato, della problematicità dei comportamenti che possono essere agiti, della necessità che insieme al bambino debba essere accolto anche il suo passato, a volte molto doloroso. Convinzioni ingenue spesso portano a credere che l‟amore sia sufficiente per poter garantire una crescita sana del figlio adottivo, oppure che prendersi cura di un figlio adottivo non sia diverso dal prendersi cura di un figlio biologico. Tutte queste credenze devono essere affrontate dagli operatori che si occupano della formazione delle coppie adottive per evitare che una volta divenuti genitori si dimostrino impreparati e incapaci ad affrontare le sfide che il percorso propone. Nel caso dell‟adozione internazionale deve essere affrontato anche il tema della diversità culturale e della possibile difficoltà di integrazione sociale del bambino all‟interno di un contesto molto diverso rispetto a quello di nascita e di crescita. L‟obiettivo di una formazione basata sulla realtà, e non sull‟ immaginazione, non è assolutamente quello di scoraggiare chi aspira a diventare un genitore adottivo ma è quello di tutelare il minore, che ha già attraversato un‟ esperienza di abbandono, dal danno insanabile che potrebbe derivare dal fallimento adottivo. L‟adozione è un percorso che dura

18 L‟ Art. 31 L. n. 184/83. così co me modificata dalla L. n. 476/98, ha reso obbligatoria la presenza e l‟intermediazione degli enti

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tutta la vita, la sua imprevedibilità è tale da non poter stabilire, in termini precisi, quando l‟intervento professionale possa dirsi concluso. Le normative vigenti in ambito nazionale lasciano trasparire incertezza: la Legge nazionale n.184 del 1983 e le successive modifiche19, non fanno riferimento a un ruolo di accompagnamento e di sostegno da parte dei servizi socio-assistenziali fino al conseguimento dell‟autonomia e dell‟indipendenza del minore. E‟ certo però che, ai fini di un intervento professionale, un‟ adozione non si conclude nel momento in cui il minore entra a far parte del nuovo nucleo familiare perché è a partire da questo evento che la famiglia necessita maggiormente di una presenza continuativa ed esperta in grado di sostenerla. Se tra i genitori adottivi e i componenti dell‟équipe adozioni non si è creata una solida relazione di fiducia, la possibilità che un‟adozione fallisca può aumentare. Questo dipende soprattutto dall‟inesiste nza di una buona comunicazione e dunque dall‟impossibilità di individuare sul nascere il disagio e le criticità esistenti.

 La professionalità dello studio di coppia

E‟ necessario che i professionisti coinvolti in questa fase, l‟assistente sociale e lo psicologo dei servizi territoriali, centrino la loro osservazione sulla capacità della coppia di prendersi cura del bambino, di accoglierlo nella sua interezza e di crescere insieme a lui. Se l‟indagine è svolta da operatori che non hanno una conoscenza approfondita dei significati dell‟adozione, può succedere che la loro attenzione si focalizzi su aspetti non determinanti. La stabilità economica della coppia, la sua condizione psicologica, la conformità della casa in termini di spazi di accoglienza, sono elementi che vanno certamente considerati ma non sono sufficienti affinché l‟adozione svolga la sua funzione terapeutica. L‟intervento professionale introduce un importante fattore di rischio quando valuta la coppia adottiva e la ritiene idonea senza aver valutato la sua reale capacità di interpretare l‟adozione come un percorso in cui i bambini presentano dei bisogni specifici, che si estendono durante tutta la crescita e che necessitano di essere relazionati alla loro storia precedente l‟adozione.

19L. n. n.° 476/98 e L. n. n.° 149/01

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 La mancanza di professionalità nella fase di abbinamento.

Rispetto al passato, nell‟iter adottivo è più diffusa la consapevolezza che un bambino dichiarato in stato di adottabilità non possa essere adottato da una famiglia tra tante. Per l‟adozione internazionale sono gli enti autorizzati a svolgere il compito di conoscere la storia del bambino, valutare le sue specifiche esigenze ed abbinarlo alla famiglia che, tra quelle proposte, è considerata la più adeguata alla sua accoglienza. Alla base dell‟abbinamento deve perciò essere presente una corrispondenza tra i bisogni dell‟adottato e le reali competenze degli adottanti. Non si tratta di una scelta facile da compiere soprattutto quando le informazioni sul passato del bambino non sono numerose oppure sono poco attendibili.

 La mancanza di attenzione verso il progetto adottivo della coppia.

Una particolare attenzione deve essere rivolta anche al progetto adottivo che, con il tempo, gli aspiranti genitori hanno costruito dentro di loro. E‟ fondamentale che nell‟indagine psico-sociale finalizzata a valutare l‟idoneità all‟adozione, sia dato spazio all‟espressione del “bambino immaginato”. Se esiste una distanza eccessiva tra il modo in cui i genitori hanno immaginato di concretizzare il percorso adottivo e le rea li necessità del bambino, si rischia di donare al minore una famiglia inadatta alla sua accoglienza.

1.3 I fatto ri protett ivi dal fallimento a dott ivo

In un progetto adottivo non esiste alcun rapporto consequenziale diretto tra la presenza di fattori di rischio e il fallimento dell‟adozione, specie se ai fattori predittivi possono essere affiancati validi fattori protettivi. Come per il fallimento adottivo, gli elementi che possono incrementare l‟opportunità che il progetto adottivo possa avere una buona riuscita appartengono alle caratteristiche delle coppia genitoriale, ad alcuni aspetti del bambino adottato e alle qualità dell‟intervento professionale.

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Gloriana Rangone e Francesco Vadilonga20 hanno individuato alcuni fattori protettivi che possono essere definiti contestuali al percorso adottivo.

1.3.1 I f at t ori prot ett iv i present i nella f amiglia adot t iv a Sono considerati fattori protettiti del fallimento adottivo:

 La capacità della coppia di mentalizzare.

E‟ una componente di fondamentale importanza, soprattutto per la costruzione di un legame d i attaccamento sicuro tra i genitori e il figlio adottivo. Davanti a reazioni messe in atto dal minore che sono difficili da comprendere e da gestire, è molto importante che i genitori abbiano imparato a riflettere sui motivi che possono averle prodotte. Per il genitore adottivo mentalizzare significa avere la capacità di contenere il bambino dentro di sé e quindi di pensare a lui come a un individuo che ha una sua storia e dei precisi stati d‟animo. La mentalizzazione favorisce la comprensione empatica dei sentimenti di paura, di rabbia, di incomprensione che si celano dietro i comportamenti disarmonici e apparentemente agiti senza motivazione. In questo modo si attenua la sensazione degli adottanti di non essere dei buoni genitori, derivante, in alcuni casi, proprio dall‟incapacità di capire e di controllare i comportamenti problematici del figlio. Allo stesso tempo, è il bambino a ottenere conforto dalla capac ità di mentalizzare degli adulti. Avverte, infatti, i suoi genitori capaci, e non spaventati, nel contenere i suoi stati d‟animo per cui intuisce che esiste una ragione a reazioni per lui stesso poco comprensibili, e per questo spaventanti. E‟ notevole la capacità riparativa della mentalizzazione: il minore sperimenta legami relazionali importanti in cui avverte la capacità dei genitori di comprenderlo anche negli aspetti più problematici della sua personalità. In questo modo impara ad avere fiducia nelle figure adulte d i riferimento e coltiva la speranza che a queste lui possa affidare la sofferenza del passato e affidarsi nei momenti in cui si sente maggiormente scoraggiato e vulnerabile.

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30  La capacità della coppia di fare gioco di squadra.

L‟adozione può essere la strada da percorrere per soddisfare un desiderio che nasce in entrambi i membri della coppia. Partendo da questa consapevolezza, gli aspiranti genitori adottivi possono immaginare un progetto di genitorialità intonato e che tenga conto delle specificità di ognuno. Una volta diventati il padre e la madre di un figlio adottivo, è allo stesso modo importante che tra i due sia rafforzata l‟armonia in modo tale da garantire un contesto affettivo ed educativo privo d i relazioni dannose. Se questi presupposti sono presenti all‟interno del nuovo ambiente in cui è accolto il minore, è probabile che la coppia possiede la capacità di fare un buon gioco di squadra specie nell‟eventualità in cui il bambino metta in atto giochi relazionali disfunzionali che possono minacciare la stabilità del rapporto. Può succedere, per esempio, che il bambino si relazioni in modo differente a seconda che si tratti dell‟uno o dell‟altro genitore, o che sviluppi uno stile d i attaccamento diverso per ciascuno di essi. Di fronte a queste evenienze la coppia, se solida, ha la capacità di rimanere alleata e di unire le forze per cercare una spiegazione e avanzare una possibile strategia, senza così arrendersi all‟impossibilità di restare insieme oppure all‟impossibilità di portare avanti il progetto adottivo.

 La presenza di relazioni extrafamiliari ricche e articolate.

L‟adozione è una scelta che nasce dal desiderio della coppia. Quando si realizza diventa un percorso che non può essere vissuto in una dimensione privata. Può s uccedere che nei moment i più difficili, specie se il bambino ha problematiche comportamentali, i genitori adottivi avvertano il desiderio di chiudersi all‟interno delle mura domestiche perché attraversati dalla vergogna o dalla sensazione di non poter essere compresi da parenti, amici, colleghi che non vivono una situazione simile e che conoscono poco le esigenze di un bambino adottivo e le difficoltà che la scelta adottiva comporta. Spesso con la paura di essere giudicati, preferiscono quindi risolvere le loro difficoltà in isolamento mettendo in pericolo la buona riuscita dell‟adozione. Al contrario, quando la coppia può contare sulla comprensione e il supporto di buone relazioni sociali, anche

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