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Malaussène, di nuovo capro espiatorio per il rapimento di un affarista

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Academic year: 2021

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Daniel Pennac, Il caso Malaussène. Mi hanno mentito, Feltrinelli, p. 288, euro 18,50 Traduzione di Yasmina Melaouah

Mai dire mai. Diciotto anni fa circa, mettendo il punto finale all’ultimo tomo della serie, Daniel Pennac aveva detto che la saga terminava lì. Ma con quel suo consueto sorrisetto aveva aggiunto: “Se poi mi verrà un’altra idea, la farò ricominciare”. Ed ecco che, venuta l’idea, il Capro Espiatorio è tornato, e pure in pompa magna: Il caso Malaussène, di cui esce ora il primo volume – Mi hanno mentito – si annuncia sin da subito come una nuova serie, o per lo meno come una dilogia. A 72 anni, dopo una lunga pausa fatta di altri libri, e di teatro, e di performances, Pennac è tornato ai suoi antichi amori, la banda sciamannata della famiglia di Belleville.

Continua dunque la storia, come ogni volta con tumulti di vicende che mettono insieme la favola e il noir – perché così è la vita. E in effetti, nel mirino della narrazione questa volta ci sono un manipolo di romanzieri, i vévé, ovvero gli adepti della verità vera, quelli che praticano la finzione ma sono fissati con la verità. In testa al manipolo, la ben nota Regina Zabo, la tiranna che dirige le Edizioni del Taglione e che tiene i suoi autori al laccio ingozzandoli ben bene perché producano romanzi belli grassi. Nel ruolo di colui che deve occuparsi dell’incolumità oltre che della resa di uno di costoro, Alceste (toh, che soprannome… dopo l’uscita del suo ultimo libro, la famiglia – che non lo ha preso bene trattandosi di autofiction – l’ha aggredito malamente, il titolo del libro era, guarda caso, Mi hanno mentito, sì, siamo in piena mise en abîme), il notissimo Benjamin, il capostipite, il Malaussène della prima ora, il Capro Espiatorio per antonomasia, pronto a capro-espiare per l’intera durata della nuova serie. Il tempo è passato per tutti, per i piccoli come per lui, ed eccolo quindi trasportato da Belleville al Vercors, l’impressionante massiccio simbolo della resistenza francese da cui prese nome nel 1942 l’autore del Silenzio del mare venendo a incarnare la letteratura clandestina di opposizione all’Occupante (“resistere ai fatti di cronaca non farà di lei un resistente!”, urla allusivo Alceste a Malaussène a un certo punto: quasi inutile sottolineare che Alceste risulta essere, nella sua fedeltà alla mimesi, una sorta di anti-Malaussène).

Lì, tra le montagne del Vercors, prende le mosse la storia. Non senza che prima, come antefatto, venga rapito un uomo, Georges Lapietà, affarista ex-ministro liquidatore d’imprese (la cui moglie è sosia della Claudia Cardinale di C’era una volta il West), intercettato mentre va a riscuotere un assegno di 22.807.204 euro, la sua buonuscita a quel che pare. Si tratta di un rapimento caritatevole: la stessa cifra che avrebbe dovuto percepire dovrà essere versata al centesimo come riscatto per la sua liberazione e verrà poi devoluta in beneficienza. Se si considera che gli ex-piccoli Malaussène ora cresciuti lavorano, a quel che pare, per delle ONG (con base lontana, meno male che c’è skype) e la vocazione per il terzo settore, il quadro della storia è praticamente fatto. Un’altra sintesi efficace di questo ritorno dei Malaussène potrebbe del resto essere “la tribù di Benjamin nell’era della Rete”: rispetto alla serie primigenia infatti il reale è molto cambiato per via del digitale.

Ma poiché di tutta la storia e dei suoi numerosi anfratti fino alla fine Benjamin Malaussène non capisce nulla, non informato o meglio tenuto rigorosamente all’oscuro a scopo protettivo, ecco che si ritrova ancora una volta a fungere, secondo copione, da Capro Espiatorio. E la faccenda diventa, come recita il titolo, il caso Malaussène, ovvero quello che sarebbe un bell’errore giudiziario se non intervenisse il meccanismo del romanzo. Come dire che le apparenze ingannano, e che le cose non sono mai come sembrano, checché ne pensino gli irriducibili sostenitori della vévé (verità vera). Insomma, rispetto all’ex-vita della banda, sono subentrati global e no global, ma rigorosamente senza riuscire a far diventare Benjamin diverso. René Girard veglia dall’al di là affinché ciò non avvenga.

Quanto alla mamma nostrana dei Malaussène, ovvero Yasmina Melaouah – così di recente l’ha definita Pennac –, la traduttrice, senza di lei i Malaussène sarebbero diversi: ha individuato la voce italiana, una e molteplice, per tutta la tribù. Chapeau.

Gabriella Bosco

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