• Non ci sono risultati.

Vincolatività dell'accordo e clausole di rinegoziazione. L'importanza della resilienza delle relazioni contrattuali

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Vincolatività dell'accordo e clausole di rinegoziazione. L'importanza della resilienza delle relazioni contrattuali"

Copied!
14
0
0

Testo completo

(1)

Contratto e Impr., 2016, 1, 179 (commento alla normativa)

VINCOLATIVITÀ DELL'ACCORDO E CLAUSOLE DI RINEGOZIAZIONE. L'IMPORTANZA DELLA RESILIENZA DELLE RELAZIONI CONTRATTUALI

SARA LANDINI c.c. art. 1372 c.c. art. 2932

I rapporti contrattuali, in specie quelli di durata, possono trovare nel tempo intercorrente tra la loro stipulazione e la loro esecuzione una serie di sopravvenienze idonee ad incidere sugli interessi condivisi dalle parti nella formazione del vincolo contrattuale: diviene importante introdurre clausole che consentano di adeguare il contenuto del contratto alle sopravvenienze in modo da garantire la stabilità e la durata del vincolo. L'analisi delle clausole di rinegoziazione comprende la valutazione delle condizioni che le giustificano, i criteri di equilibrio contrattuale, gli aspetti problematici della loro applicazione concreta, i rimedi alla loro violazione.

Sommario: 1. Premessa. - 2. La gestione contrattuale delle sopravvenienze. - 3. La risposta legale alle sopravvenienze e gli spazi dell'autonomia. - 4. Le clausole di rinegoziazione. - 5. Previsioni contrattuali per il caso della violazione dell'obbligo a rinegoziare. - 6. Vincolatività e clausole di rinegoziazione.

1. - Resilienza è diventata una parola chiave dei nostri tempi dominati dall'incertezza e dalla necessità di sapersi adattare agli imprevisti. La volatilità dei mercati finanziari, l'incertezza dell'andamento dell'economia, l'emersione di nuovi rischi impongono di riflettere su come gestire l'inatteso (1).

Anche le relazioni contrattuali si trovano a fronteggiare queste condizioni, in particolare le relazioni contrattuali di durata per le quali diviene importante introdurre clausole che consentano di adeguare il contenuto del contratto alle sopravvenienze in modo da garantire la stabilità e la durata del vincolo.

Il tema della rinegoziazione ha interessato vari recenti studi (2). L'attenzione è stata in vero in prevalenza rivolta al problema delle sopravvenienze e delle soluzioni che l'ordinamento generale appronta a tutela dell'economia del contratto per come disegnata dalle parti.

Intendiamo qui invece piuttosto dedicarci alle clausole di rinegoziazione ovvero a quegli strumenti negoziali di gestione delle sopravvenienze.

Il fenomeno ci dà l'occasione di rimeditare alcune categorie classiche come il principio di vincolatività del contratto, ma anche di sciogliere alcuni problemi che, nel concreto, l'inserzione di simili pattuizioni pone nella prospettiva di meditare sulla necessità di creare nuove categorie o di rivisitare le vecchie per accogliere nuove istanze.

Non ci occuperemo qui nello specifico della rinegoziazione dei mutui per come disciplinata dal TUB. Ricordiamo che la «portabilità del mutuo» è stata introdotta nel nostro ordinamento dal d.l. 31 gennaio 2007, n. 7 (noto come Bersani bis) convertito nella l. 2 aprile 2007, n. 40, denominato «Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche, la nascita di nuove imprese, la valorizzazione dell'istruzione tecnico-professionale e la rottamazione di autoveicoli», che ha disposto una nuova regolamentazione dei contratti di mutuo.

In particolare all'art. 8 del decreto si prevede la possibilità, per colui il quale abbia precedentemente ottenuto un finanziamento, di rimborsare anticipatamente il capitale residuo alla banca ovvero all'intermediario finanziario che lo aveva prestato, facendo subentrare nel contratto un nuovo finanziatore, pur in presenza di un termine a favore del debitore o della non esigibilità del credito.

L'art. 120 quater TUB disciplina la portabilità dei mutui facendo riferimento al caso di contratti di finanziamento conclusi da intermediari bancari e finanziari in cui il debitore esercita la facoltà di surrogazione di cui all'art. 1202.

Si prevede la compresenza di due opzioni per il debitore: surrogazione di un nuovo finanziatore nel rapporto originario e rinegoziazione del contratto di mutuo con l'istituto finanziatore originario (3) , attraverso la quale è possibile chiedere al mutuante la modifica delle condizioni contrattuali accordate in precedenza. Generalmente, la rinegoziazione del mutuo viene richiesta per apportare modifiche al tasso d'interesse oppure alla durata del mutuo (4). In questo caso però la rinegoziazione non nasce da vincoli contrattuali, ma piuttosto da autonome scelte dei contraenti mosse da mutamenti di valori economici che aprono a possibili modifiche in via convenzionale dell'equilibro contrattuale. Il legislatore interviene al riguardo per dettare norme a tutela del consumatore onde evitare, in particolare, che nel compimento dell'operazione venga gravato di costi e oneri non giustificati.

Altri sono i problemi che la previsione di clausole di rinegoziazione pone: la possibilità di un'esecuzione forzata dell'obbligo di rinegoziare, l'operatività del rimedio risarcitorio in caso di violazione dell'obbligo di rinegoziare, la validità di condizioni che vengono apposte a complemento dell'obbligo convenzionale di rinegoziare come la condizione di risoluzione/nullità dell'intero contratto in caso di mancato raggiungimento dell'accordo modificativo.

2. - I rapporti contrattuali, in specie quelli di durata, possono trovare nel tempo intercorrente tra la loro stipulazione e la loro esecuzione una serie di sopravvenienze che sono idonee ad incidere sulla «economia del contratto» ovvero sugli interessi condivisi dalle parti nella formazione del vincolo contrattuale.

Per sopravvenienze si intendono una serie di circostanze non previste e non prevedibili idonee ad incidere sull'esecuzione del contratto. Si è precisato «non prevedibili» in quanto le circostanze prevedibili dovrebbero trovare soluzione nelle scelte contrattuali delle parti. La stessa scelta di non porvi rimedio implica l'assunzione di un rischio che è parte dell'economia del contratto. Laddove manchi la libertà di scelta non ha neppure senso distinguere tra circostanze prevedibili e non, ma dovrà trovare applicazione la disciplina del caso (dai rimedi generali a tutela del consenso alle norme a tutela del consumatore).

(2)

Un'ulteriore precisazione richiede il termine «economia del contratto». La parola «economia» è caratterizzata da una plurivocità di significati che fanno capo all'etimologia del termine derivato da due parole greche oikeo, che significa abito ma anche amministro, e nomos, che significa norma. Si fa quindi riferimento alla gestione delle risorse da parte degli individui e dello Stato, ma anche alle regole. La parola stessa ha allora in sé un'anima giuridica. Parlare di economia del contratto non vuol dire piegare l'assetto valoriale, che riconosce, tutela e limita l'autonomia contrattuale, rispetto a ragioni efficientiste del mondo economico o ancorare la dinamica del rapporto contrattuale alle regole dell'economia. Si tratta piuttosto di far riferimento a quell'insieme di interessi, sottesi ad una data operazione, che le parti hanno ritenuto di condividere nelle regole che si sono date (5).

Riconoscere rilevanza all'economia del contratto vuol dire vincere l'immobilismo posto dal principio della vincolatività dell'accordo, che viene letto nella norma di cui all'art. 1372, in base alla quale questo ha forza di legge e produce quegli effetti e solo quelli leggibili nel testo contrattuale per come disegnato dalle parti al momento in cui si è formato il vincolo.

È infatti dubbio che un simile principio possa essere considerato presidio dell'autonomia contrattuale o non sia piuttosto un letto di Procuste che impedisce il realizzarsi degli interessi che hanno dato vita al vincolo contrattuale stesso.

Deve inoltre far pensare che proprio dalla stessa scienza giuridica e giurisprudenza francese nasce un ripensamento sulla forza di legge del contratto, declamata appunto nell'art. 1134 del code civil, da cui origina il nostro art. 1372 c.c. (6). Si dice in particolare che tale regola andrebbe riletta alla luce del principio dell'economia del contratto da impiegarsi « pour, indirectement protéger la liberté contractuelle» (7) visto che « l'autonomie de la volonté» è un « mythe» (8). Quello che conta non è la ricostruzione di una inafferrabile volontà contrattuale quanto piuttosto l'individuazione e l'attuazione degli interessi sottesi al contratto. 3. - Tra le sopravvenienze disciplinate a livello di diritto positivo ricordiamo l'impossibilità sopravvenuta, le mutate condizioni economiche di una delle parti contrattuali, la eccessiva onerosità sopravvenuta. Accanto a queste si riconosce, in via interpretativa, lo svilimento della controprestazione e la c.d. presupposizione (9). Gli interpreti sono peraltro intervenuti anche rispetto alle ipotesi testualmente disciplinate proponendo, in alcuni casi, un'estensione dell'ambito di applicazione.

Così con riferimento all'impossibilità sopravvenuta si ritiene, movendo dal testo della legge, che debba trattarsi di un'impossibilità della prestazione avente i caratteri della oggettività e dell'assolutezza (10). Va detto che altra parte della dottrina tende a rileggere le regole dell'impossibilità sopravvenuta temperando il carattere dell'assolutezza alla luce del requisito dello sforzo diligente esigibile per il particolare tipo di obbligazione in questione (11) . Ne segue che si avrà impossibilità solo ove l'adempimento non possa attuarsi neppure con il massimo sforzo che può essere richiesto al debitore in base al canone della diligenza nell'adempimento delle obbligazioni.

La Cassazione ha dato rilevanza anche alla inutilità sopravvenuta del risultato della prestazione. Si dice infatti che «in tema di risoluzione di contratto di appalto l'impossibilità sopravvenuta della prestazione è configurabile qualora siano divenuti impossibili l'adempimento della prestazione da parte del debitore o l'utilizzazione della stessa ad opera della controparte» (12).

Quanto all'eccessiva onerosità sopravvenuta si tende a leggere l'espressione di cui all'art. 1467 «eventi straordinari e imprevedibili» come una duplice condizione ai fini della rilevanza della sopravvenienza (13) . Oltre alla stretta delimitazione dell'ambito sembra che l'ordinamento abbia limitato gli effetti di tali sopravvenienze alla risoluzione del contratto, non lasciando spazio a meccanismi riequilibratori in sede giudiziale. La stessa offerta di riconduzione ad equità in caso di giudizio di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, nella lettura che ne dà la giurisprudenza, sembra lasciare unicamente la possibilità per il giudice, investito della questione, di dichiararla congrua rigettando la domanda di risoluzione oppure dichiararla incongrua e pronunciare la risoluzione del contratto (14).

Un maggior potere riequilibratore dell'organo giudicante sembra ammissibile in caso di impossibilità parziale in quanto ai sensi dell'art. 1464 «se la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione dovuta e può anche recedere dal contratto quando non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale». Va detto che la norma ha trovato applicazione in presenza di domande di risoluzione che richiedevano solo valutazioni circa la presenza o meno di un interesse apprezzabile all'adempimento parziale al fine di ammettere il recesso unilaterale (15). Riteniamo ascrivibile alla disciplina delle sopravvenienze anche l'art. 1461 che dispone la possibilità per il debitore, in un contratto a prestazioni sinallagmatiche, di sospendere la esecuzione della propria prestazione in caso di mutamento delle «condizioni patrimoniali» della controparte (16).

A ciò dovremmo inoltre aggiungere la disciplina speciale delle sopravvenienze. Si pensi con riferimento al contratto d'appalto alla norma contenuta nell'art. 1664 in tema di «onerosità e difficoltà dell'esecuzione». Ancora si pensi, senza pretesa di esaustività, all'art. 1898 in tema di aggravamento del rischio nel contratto di assicurazione (17).

Si ascrive generalmente alle sopravvenienze non disciplinate la presupposizione che ormai ha trovato cittadinanza nel nostro ordinamento attraverso processi ermeneutici di dottrina e giurisprudenza (18). Recentemente la dottrina si è interrogata sulla validità di tali orientamenti in quanto, nel tentativo di porre rimedio alle sopravvenienze, si introducono elementi di instabilità del rapporto contrattuale (19).

Come detto tra le sopravvenienze rilevanti vi sarebbe anche lo svilimento della controprestazione (20), che secondo parte della dottrina sarebbe un'ipotesi riconducibile alla eccessiva onerosità sopravvenuta (21). Quello che emerge, da questa breve disamina, è che il nostro ordinamento non riconosce rilevanza alle sopravvenienze in generale ma solo a talune ipotesi.

Una simile considerazione assume importanza nel momento in cui ci si chiede se gli spazi lasciati dal legislatore debbano aprire ad interventi analogici o se tali lacune debbano rimanere silenti (22).

(3)

Come già affermato in dottrina, il silenzio della legge non rappresenta necessariamente una lacuna e non apre sempre a processi analogici, potendo costituire una «consapevole assenza di disciplina da parte del legislatore» (23).

Ci sembra insomma che, nell'ambito qui considerato, i silenzi del legislatore rispondano ad una scelta di lasciare la regolazione di ulteriori sopravvenienze, rispetto a quelle disciplinate dalla legge (24), all'autonomia privata.

Le parti, inoltre, stante la natura dispositiva delle norme sulle sopravvenienze potrebbero convenzionalmente dare rilevanza a sopravvenienze ulteriori e soprattutto potrebbero prevedere conseguenze, anche per le sopravvenienze disciplinate dal legislatore, diverse da quelle di legge. Potrebbero ad esempio prevedere obblighi di rinegoziare e potrebbero ulteriormente prevedere strumenti facilitatori della rinegoziazione (ad esempio l'intervento di un mediatore) e specifiche conseguenze in caso di mancato raggiungimento della rinegoziazione ad esempio la risoluzione del contratto o l'intervento sostitutivo di un terzo.

4. - Parlando di clausole di rinegoziazione intendiamo riferirci all'ipotesi in cui le parti abbiano previsto una regola convenzionale in caso di sopravvenienze per come sin qui definite, determinatesi nel lasso di tempo intercorrente tra la conclusione dell'accordo e la sua effettiva esecuzione.

L'uso del plurale trova giustificazione nel fatto che, pur nell'unitarietà della funzione, abbiamo in realtà contenuti diversi dal punto di vista degli effetti della clausola e anche dei criteri della rinegoziazione con conseguenze rilevanti rispetto ai problemi che le stesse pongono.

Vi sono pattuizioni che si limitano a prevedere la facoltà delle parti di avviare la trattativa per rinegoziare i termini del contratto al sopravvenire di circostanze nuove, senza obbligarle neppure ad iniziare le trattative per la rinegoziazione. Vi è chi considera tali clausole prive di rilevanza giuridica (25) in quanto la loro predisposizione appare superflua perché improduttiva di effetti giuridici. La possibilità di negoziare nuovamente il contenuto contrattuale, dando vita ad accordi modificativi del contratto originario, rientra di per sé nell'autonomia delle parti senza che sia necessaria alcuna previsione contrattuale. Va detto che l'inserimento di una simile condizione importa una scelta delle parti che dovrebbe determinare, nel caso sopravvengano condizioni che possono portare allo scioglimento del contratto, orientamenti dei giudicanti volti a favorire interpretazioni integrative del contratto che ne consentano la conservazione. Non solo, ma una simile previsione importa che entrambe le parti faranno affidamento sul fatto che a ciascuna sia lasciata la facoltà di addivenire ad una negoziazione prima che sia intrapresa la via giudiziale. La condotta della parte, che agisce per la risoluzione senza offrire la possibilità alla controparte di raggiungere un accordo modificativo delle condizioni iniziali, potrà essere valutata dal giudice quanto meno sul piano della compensazione delle spese.

In altri casi è previsto un obbligo che, pur non individuando i criteri orientativi della rinegoziazione, esprime l'impegno delle parti a dar vita ad una rinegoziazione in modo da giungere ad una modifica concordata dei contenuti del rapporto originario che possa, in caso di sopravvenienze, consentire di rispettare l'economia del contratto stesso. Tali clausole contengono il dovere di ricevere e di pronunziarsi su proposte nonché, talvolta, regole disciplinanti l'avviamento della «vicenda rinegoziativa».

Infine si danno clausole che non solo prevedono l'obbligo di rinegoziare al sopravvenire di determinate condizioni, ma indicano altresì i criteri tramite i quali condure la trattativa. Altro sono le clausole che prevedono canoni dettagliati di modifica del contratto per cui, al verificarsi della sopravvenienza prevista, non si avrà alcuna rinegoziazione, bensì un adeguamento automatico dei valori delle prestazioni dedotte in contratto sulla base dei canoni suddetti. Affinché l'attività delle parti rimanga nell'alveo della rinegoziazione è necessario un apporto volitivo ordinato alla rideterminazione dell'equilibrio contrattuale e non una semplice attività ricognitiva e applicativa di criteri in via automatica la cui operatività non abbisogna di alcuna manifestazione di volontà. Quest'ultimo tipo di clausole non rientra pertanto nel genere delle clausole di rinegoziazione oggetto della presente trattazione e dei relativi problemi.

Con riferimento alle clausole di rinegoziazione contenenti le condizioni e i criteri secondo cui condurre la trattativa, si potrebbe pensare che la scelta di modelli specifici possa comportare degli inconvenienti in quanto si rende tassativa la "lista" delle circostanze che attiveranno l'obbligo di rinegoziazione e si tende a vincolare le opzioni modificative delle parti. Occorre comunque non dimenticare che il contenuto del contratto è comunque suscettibile di interpretazione (26). Sarà quindi possibile anche integrare il novero delle condizioni e dei criteri di rinegoziazione in attuazione dell'interesse delle parti. Inoltre, come ricordato da altri autori, nel caso di trattativa per la rinegoziazione siamo pur sempre in presenza di un'attività di esecuzione di un obbligo contrattuale da compiersi secondo il precetto generale della buona fede ex art. 1375 che può portare ad individuare obblighi aggiuntivi rispetto a quanto testualmente previsto nel contratto al fine di attuare l'interesse alla esecuzione del contratto stesso (27).

Le clausole che prevedono obblighi di rinegoziare, presentano una criticità al momento della loro esecuzione in sede giudiziale ove una delle parti sia inadempiente. Nulla quaestio relativamente al fatto che in caso di inadempimento sorga un'obbligazione risarcitoria in capo alla parte inadempiente a meno che questa non dimostri di essere stata impossibilitata ad adempiere per causa a lei non imputabile. Si pensi al caso in cui le parti si siano impegnate a rinegoziare i termini del contratto in ipotesi di aumento dei costi di una delle due prestazioni, laddove comunque il contratto sia nullo e quindi la rinegoziazione anche ove compiuta sarebbe inutiliter data in quanto idonea a riequilibrare il contratto ma non a sanarne l'invalidità. Il problema relativo all'operatività del «rimedio» risarcitorio riguarda piuttosto la determinazione del quantum. Tale criticità potrebbe essere superata in via convenzionale con l'apposizione di una penale che potrà dirsi equa se proporzionata alla perdita subita dalla parte che agisce per il rifiuto della controparte di addivenire alla rinegoziazione a seguito delle mutate circostanze. Si tratta però di una previsione negoziale relativa alle conseguenze della mancata rinegoziazione di cui parleremo nel paragrafo successivo più diffusamente (28). Un altro aspetto problematico nel riconoscere l'obbligo risarcitorio consiste nel fatto che, come preciseremo nel prosieguo del discorso, l'attività rinegoziativa è un'attività discrezionale anche ove siano individuati dei parametri. Pure in tal caso non si ha una mera esecuzione di una condotta obbligata (29). La discrezionalità

(4)

lascia la possibilità che non si riesca a raggiungere un accordo per quanto si sia operato diligentemente e in maniera corretta ovvero secondo canoni riconducibili alla buona fede oggettiva, come detto l'obbligo di rinegoziazione è pur sempre un obbligo contrattuale da eseguirsi secondo buona fede ex art. 1375. In tal caso non riteniamo che il mancato raggiungimento dell'accordo di rinegoziazione possa dirsi un caso di responsabilità per inadempimento contrattuale e, come tale, possa essere fonte di obblighi risarcitori ove la mancata rinegoziazione non sia frutto di condotte scorrette.

In dottrina taluno ha ritenuto la clausola di rinegoziazione coercibile giudizialmente nelle forme previste dall'art. 2932 c.c. Il giudice, quindi, potrebbe pronunziare l'adeguamento del contratto, allorché il fallimento della rinegoziazione appaia contrario a buona fede (30).

Va detto che l'art. 2932 si riferisce ad un obbligo a contrarre e non ad un obbligo a trattare, come l'obbligo di rinegoziazione in cui non si prevede l'obbligo di dar vita ad un contratto definitivo avente un certo contenuto. Il discorso vale sia per le clausole di rinegoziazione che prevedano il mero obbligo di iniziare la trattativa sia per quelle che dettano criteri sufficientemente specifici e tali da consentire l'emissione di una sentenza costitutiva che esegua in forma specifica l'obbligo di contrarre. L'obbligo a rinegoziare è altro dall'obbligo a contrarre che presuppone un contenuto contrattuale di riferimento (31). Perché sia ammissibile una sentenza costitutiva occorre che siano previsti dei criteri di adeguamento automatico del contratto alle conseguenze individuate senza alcuno spazio di discrezionalità lasciato alle parti. Ma in questo caso, come detto, non si hanno autentiche clausole di rinegoziazione. La rinegoziazione autentica è un'attività fondata su un potere di scelta delle parti circa i contenuti dell'accordo rinegoziato pur nel rispetto, ove previsti, dei criteri individuati. Manca insomma un contenuto contrattuale definitivo predeterminato di riferimento ai fini dell'emissione della sentenza che ne tenga il luogo.

È vero che ormai la giurisprudenza e la dottrina riconoscono la possibilità per il giudice di emettere sentenza ex art. 2932 integrando, ove necessario, il contenuto del preliminare. Si potrebbe allora ammettere che il giudice possa emettere sentenza ex art. 2932 anche in ipotesi di violazione all'obbligo di rinegoziare appunto esercitando un simile potere integrativo e andando a costruire il contenuto dell'accordo modificativo. Va però detto che nel caso del preliminare il potere integrativo del giudice al fine di addivenire ad una sentenza costitutiva che tenga il luogo del definitivo ex art. 2932 è giustificato dalla dottrina e dalla giurisprudenza dal fatto che con esso le parti si obbligano a giungere ad un definitivo che è il vero e unico obbiettivo. «Il preliminare obbliga a concludere il contratto cioè a far ciò che è necessario e sufficiente a produrre quei determinati effetti» (32).

Nel caso dell'obbligo di rinegoziare un simile intervento del giudice risulterebbe in contrasto con quanto previsto dalle parti che si sono impegnate a trattare e non ad addivenire ad un dato accordo definitivo modificativo del contratto originario.

Verrebbe da chiedersi se davvero l'inapplicabilità delle norme sull'esecuzione in forma specifica delle obbligazioni nel caso di specie, finisca per escludere la vincolatività delle clausole di rinegoziazione anche quando prevedano testualmente un obbligo a rinegoziare magari dettando anche i criteri della rinegoziazione. Nel rispondere a tale interrogativo si potrebbe osservare che non ogni obbligazione è soggetta a esecuzione in forma specifica.

Lo sono le obbligazioni di consegnare una cosa determinata, e non quelle aventi ad oggetto cose generiche pur riconosciute dal legislatore; lo sono le obbligazioni aventi ad oggetto un fare fungibile e non quelle aventi ad oggetto un fare infungibile.

La «coercibilità in via giudiziale» non rappresenta una consacrazione dell'esistenza del vincolo che risulta piuttosto impressa dall'autonomia delle parti e da come la clausola è stata pensata e redatta.

La via che è preferibile percorrere, nell'individuazione delle conseguenze in caso di violazione dell'obbligo a rinegoziare, è allora piuttosto quella convenzionale che individui conseguenze diverse da quelle prospettabili in via legislativa.

5. - Nel parlare delle possibili conseguenze secondo legge in caso di violazione degli obblighi di rinegoziazione, ovvero esecuzione forzata e risarcimento del danno, abbiamo già preso in considerazione un possibile intervento sul punto in via di autonomia privata: la determinazione della penale finalizzata a risolvere il problema della quantificazione dell'obbligo risarcitorio. L'autonomia delle parti al riguardo non può dirsi illimitata posto che secondo l'art. 1384 c.c. il giudice può intervenire su una penale eccessiva per ridurla e ciò non tanto sulla base di un principio di giustizia contrattuale quanto piuttosto in funzione della natura della penale la quale rappresenta una predeterminazione dell'obbligo risarcitorio e come tale deve essere parametrata al danno conseguente all'inadempimento (33). Come detto il danno in particolare potrà essere rappresentato dalle perdite conseguenti alle sopravvenienze subite dalla parte che agisce per violazione dell'obbligo di rinegoziazione della controparte.

Il risarcimento è una sanzione pecuniaria che si distingue dalla pena, pur condividendone la funzione preventivo-deterrente, perché la sua quantificazione non è determinata su basi legali, ma su basi reali ovvero tenuto conto del detrimento in concreto patito (34).

Il risarcimento del danno è definito, in dottrina, come uno strumento di tutela per la violazione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante attraverso il quale si opera la ricostituzione della sfera del soggetto leso mediante la prestazione di un'utilità equivalente al detrimento da questi patito (35).

L'obbligazione risarcitoria trova, quindi, nella presenza di un pregiudizio della sfera giuridica del danneggiato suscettibile di compensazione il suo stesso presupposto.

Ci sia dato evidenziare come, pur con alcune dissonanze, la giurisprudenza da tempo ha recuperato il "danno-centrismo" della responsabilità civile collegando l'obbligazione risarcitoria al determinarsi di un pregiudizio in concreto patito anche in ipotesi di danni non patrimoniali (36).

In conclusione può dirsi che, ove sia prevista una penale per tale inadempienza all'obbligo di rinegoziazione, non sarà escluso il ricorso al giudice per rideterminarne l'entità in ragione del danno che può essere patito a seguito della violazione dell'obbligo in questione.

(5)

In altri casi si ha la previsione contrattuale di una nullità totale del contratto in caso di mancata rinegoziazione. Si potrebbe osservare che la nullità, secondo quanto previsto dall'art. 1418 c.c., è di fonte esclusivamente legale. Va detto che le clausole in esame prevedono qualcosa di diverso da una nullità convenzionale sancendo piuttosto che, nel caso in cui una o più determinate clausole contrattuali risultino nulle e non si riesca ad accordarsi per modificarne il contenuto rendendole valide, non si potrà avere nullità parziale. Piuttosto che una nullità convenzionale si ha l'espressione dell'interesse per certe clausole che potrebbero essere colpite da dichiarazione di nullità per cui l'eventuale dichiarazione di invalidità di queste non consente la conservazione del contratto.

Si tratta di una clausola presente soprattutto nei contratti internazionali in cui le parti possono aver scelto la legge di una di esse oppure la legge di un Paese terzo, per cui si teme di non avere considerato la possibile contrarietà di alcune clausole rispetto alla legge applicabile con conseguente nullità delle stesse.

Si può anche prevedere che, al sopravvenire di un dato evento, che fa scattare l'obbligo di rinegoziazione, il mancato adempimento rispetto a questo determini la risoluzione degli effetti contrattuali. L'inadempimento rispetto all'obbligo di rinegoziazione potrebbe essere previsto come condizione risolutiva del contratto. Non si tratterebbe di valutare l'inadempimento all'obbligo di rinegoziare ai fini dell'applicazione della disciplina sulla risoluzione del contratto, con i problemi che abbiamo considerato con riferimento alla discrezionalità dell'attività rinegoziativa, ma il verificarsi della condizione che fa scattare l'obbligo di rinegoziazione, unitamente all'assenza di un accordo modificativo in grado di superare le sopravvenienze, verrebbe a costituire un evento complesso futuro e incerto (almeno con riferimento alla sopravvenienza) cui sarebbero condizionati in via risolutiva gli effetti del contratto.

Questa tipologia di clausole potrebbe evocare il problema della validità della deduzione in condizione dell'adempimento contrattuale in quanto momento essenziale del contratto.

Sul punto recentemente la giurisprudenza ha rivisto la propria posizione (37), ammettendo la validità di simili pattuizioni in attuazione del principio di autonomia privata e del resto queste condizioni rappresentano piuttosto una variante della clausola risolutiva espressa in cui, ai fini della risoluzione, si richiede, oltre all'inadempimento ad un preciso obbligo contrattuale, anche la manifestazione dell'intenzione di risolvere il contratto da parte del contraente che intende avvalersene.

Deducendo l'adempimento in condizione si avrebbe un automatismo nell'effetto risolutorio che potrebbe essere di interesse per le parti e che non risulta contrario a legge, all'ordine pubblico o al buon costume. Concludendo la previsione della risoluzione per il mancato raggiungimento dell'accordo rinegoziativo presenta i caratteri della condizione risolutiva essendo l'evento dedotto in condizione un evento, come detto, complesso e, nella sua complessità (sopravvenienza e mancata rinegoziazione), presenta i caratteri della estrinsecità e della incertezza. Più in generale va detto che anche la cosiddetta condizione di adempimento pare piuttosto inquadrabile come una variazione in via convenzionale della clausola risolutiva espressa ammissibile in attuazione del principio di autonomia privata non risultando illecita.

Caso mai, con riferimento a simili clausole, si può notare che le stesse danno vita allo scioglimento del vincolo e non alla sua conservazione.

Per quanto da tempo sia riconosciuta l'importanza di clausole di adeguamento del contenuto del contratto a circostanze sopravvenute (38), per dare esecuzione coattiva a simili obblighi occorrerebbe, come detto, ammettere interventi dirigistici del giudice in sostituzione dell'autonomia delle parti (39), il che risulterebbe contrario alla funzione della clausola di rinegoziazione portando, ove una simile impostazione prenda consistenza negli orientamenti interpretativi, alla progressiva eliminazione di tali pattuizioni nei rapporti tra i privati.

Ove poi le parti abbiamo previsto la risoluzione del contratto in caso di fallimento della rinegoziazione, la clausola di rinegoziazione potrà rappresentare un escamotage per sciogliersi da un vincolo non più desiderato. Si introdurrebbe una insidiosa caducità del vincolo contrattuale che la clausola di rinegoziazione voleva evitare imponendo alle parti di gestire convenzionalmente le sopravvenienze proprio per evitare la risoluzione del contratto.

Forse l'unica risposta, anche in questo caso, si ha sul piano convenzionale. Occorrerà che le parti prevedano un rinvio ad un terzo che risolva il contrasto, sia esso un conciliatore, sia esso, nei casi di estremo e irresolubile conflitto, un arbitro così come è nelle clausole negoziali di buona fede proprie in particolare dei contratti internazionali. Il riferimento in quelle condizioni contrattuali in base alle quali in caso di conflitti emergenti nell'esecuzione del rapporto le parti si impegnano a negoziare in buona fede una soluzione. Ove poi l'accordo non risulti raggiungibile, le parti rinviano la soluzione ad un lodo arbitrale (40).

Del resto il rinvio ad organismi di conciliazione e a procedure arbitrali ci pare in linea con un'idea di «contratto flessibile», ovvero di un accordo suscettibile di adattamenti concordati in funzione conservativa del vincolo e di attuazione in concreto degli interessi condivisi dalle parti, introdotta dall'uso di clausole di rinegoziazione, la quale trova rispondenza non in interventi autoritativi della legge e del giudice statuale, bensì in quella «giustizia privata» intrisa di sostanzialismo e quindi più vicina ai concreti interessi delle parti contraenti (41). 6. - Come detto in premessa, l'introduzione di una clausola di rinegoziazione all'interno del tessuto contrattuale potrebbe far sorgere il dubbio che il contratto manchi di completezza e quindi anche di vincolatività compiuta.

Sul punto occorre compiere due ordini di considerazioni. Il primo riguarda le differenti letture che possono darsi dello stesso principio di vincolatività del contratto.

In alcuni casi è tradotto in una generale inammissibilità del potere di sciogliersi unilateralmente dal vincolo contrattuale. La dottrina ha da tempo messo in discussione l'attualità di tale principio stante la presenza di disposizioni del codice civile che prevedono il recesso unilaterale e stante il proliferare di ipotesi di ius poenitendi di fonte comunitaria (42).

Collegato al problema dello scioglimento per volontà unilaterale vi è il problema del conflitto tra principio di vincolatività del contratto e ius variandi unilaterale ovvero il potere di una delle parti di modificare il

(6)

contenuto del contratto. Si dice che un simile diritto potestativo entrerebbe in frizione con la bilateralità del contratto (43). Resta in ogni caso la ammissibilità di modifiche concordate.

In altri casi la vincolatività è stata letta come «forza di legge» seguendo l'espressione usata dal nostro legislatore all'art. 1372. Va detto che la dottrina da tempo considera l'espressione come una «metafora» di «carattere enfatico» (44), a meno che non la si declini come «serietà del volere», come tener fede agli impegni presi (45) o piuttosto come attualità del volere ovvero come possibilità per il volere di tradursi in azione (46).

Muovendo da queste ultime osservazioni si può dire che l'introduzione di vincoli di rinegoziazione dovrebbe rappresentare allora piuttosto espressione del principio di vincolatività dell'accordo in quanto attraverso la sua attuazione si riesce a conferire stabilità al vincolo nel tempo.

La seconda considerazione annunciata riguarda la stessa idea di completezza contrattuale.

Il concetto di «contratto incompleto» muove da una terminologia importata dal linguaggio economico dove per contratto incompleto si intende quella transazione che non collega tutte le azioni delle parti a tutti i possibili stati del mondo e che, ad esempio, non tiene conto di una circostanza che poteva incidere sui guadagni attesi dalle parti (47).

Di incompletezza giuridica si parla invece rispetto alla regola del rapporto che non essendo stata sufficientemente definita dalle parti si presta ad integrazioni (48). Dovremmo però interrogarci sul fatto che vi sia spazio per parlare di contratti giuridicamente incompleti. In dottrina in particolare si rileva come il problema del contratto incompleto, per come posto dalla dottrina italiana, sia un problema di rappresentazione dell'oggetto del contratto. La possibilità di riconoscere validità a contratti incompleti è allora segnatamente legata ad una concezione stretta di determinabilità dell'oggetto (49).

Alla luce di tali considerazioni non risulta che l'introduzione di clausole di rinegoziazione incida sull'accordo privandolo di efficacia vincolante e quindi privandolo della sua stessa essenza, ma anzi, ove siano introdotti strumenti facilitativi della rinegoziazione, tali clausole sono in grado di consolidare il vincolo consentendogli di durare nel tempo pur nel mutare delle circostanze.

(1) Tra i testi più significativi Walker and Salt, Resilience Thinking, Washington, 2006; Chandler, Resilience. The governance of complexity, London, 2014.

(2) Cfr. Alpa, Le stagioni del contratto, Bologna, 2012, p. 175; L opilato, Le clausole di rinegoziazione nei contratti ad evidenza pubblica, in Giust. Amm., 2006, p. 9. Si veda altresì Cesaro, Clausole di rinegoziazione e conservazione dell'equilibrio contrattuale, Napoli, 2000, p. 13; Gallo, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992; I d., voce Revisione del contratto, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVII, Torino, 1998, p. 431 ss.; Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996; Id., Rischio contrattuale e rapporti di durata nel nuovo diritto dei contratti: dalla presupposizione all'obbligo di rinegoziare, in Riv. dir. civ., 2002, p. 63 ss.; Grande Stevens,

Obbligo di rinegoziare nei contratti di durata, in Diritto privato europeo e categorie civilistiche, a cura di Lipari, Napoli, 1998, p. 193; De Mauro, Principi di adeguamento nei rapporti giuridici privati, Milano, 2000; D'Arrigo, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, in Sopravvenienze e dinamiche di riequilibrio tra controllo e gestione del rapporto contrattuale, a cura di Tommasini, Torino, 2002, p. 491 ss.; Sicchiero, La rinegoziazione, in questa Rivista, 2002, p. 774 ss.; Gentili, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione,

rinegoziazione del contratto, ivi, p. 701-724; Gambino, Problemi del rinegoziare, Milano, 2004; Zaccaria, L'adattamento dei contratti a lungo termine nell'esperienza giuridica statunitense: aspirazioni teoriche e prassi giurisprudenziali, in questa Rivista, 2006, p. 478 ss.; Ambrosoli, La sopravvenienza contrattuale, Milano, 2002, p. 405; Al Mureden, Le sopravvenienze contrattuali, tra lacune normative e ricostruzione degli interpreti, Padova, 2004, p. 160 ss.

(3) Come osservato in dottrina «Il fenomeno della c.d. "rinegoziazione" ha origine e sviluppo soprattutto nell'ambito del commercio internazionale, dove ha raggiunto livelli di "istituzionalizzazione", identificando l'operazione attraverso la quale le parti ridefiniscono il contenuto del regolamento contrattuale a seguito di sopravvenienze idonee ad incidere sull'equilibrio economico-giuridico prefissato al momento della stipulazione del contratto. Più precisamente, si tratta di una tecnica di gestione del rischio legato al

mutamento delle circostanze intervenuto nella fase di esecuzione del vincolo contrattuale, che permette di conservare il rapporto "modificato", evitando il ricorso a rimedi risolutori. La ragione di questa diffusione deriva essenzialmente dai caratteri che connotano le relazioni in ambito internazionale e che possono indurre le parti a preferire, in presenza di determinati presupposti e circostanze concrete , modelli di adeguamento e modificazione del contenuto del contratto rispetto ad interventi mirati allo scioglimento del vincolo negoziale.

In sintesi, le caratteristiche delle suddette relazioni sono le seguenti: a) lunga durata del rapporto, derivante dalla normale rilevanza degli interessi economici gestiti nelle operazioni internazionali (…) b) natura complessa dei rapporti - che non si esauriscono in quanto tali in relazioni contrattuali isolate ed occasionali - presupponendo il più delle volte una serie numerosa di contratti finalizzati al raggiungimento di un obiettivo economico di portata generale (…). La prassi contrattuale maturata in ambito internazionale è stata nel tempo importata nei mercati "interni" (anche) italiani per la regolamentazione soprattutto dei contratti di durata e ha ricevuto una discreta diffusione applicativa. Il nostro legislatore non ha, però, inteso disciplinare, con norma di carattere generale, l'istituto della rinegoziazione, optando, sul piano civilistico, per la gestione delle sopravvenienze nei limiti consenti dalla regola contenuta nell'art. 1467 c.c.»: così L opilato, op. cit., p. 9. Si vedano altresì gli autori citati nella nota 1.

(7)

(4) In base all'art. 8 del d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (in G.U., 13 maggio 2011, n. 110). - Decreto

convertito, con modificazioni, in l. 12 luglio 2012, n. 106. La materia della «rinegoziazione dei contratti di mutuo ipotecario» è regolata come segue:

« a) fino al 31 dicembre 2012 il mutuatario che - prima dell'entrata in vigore del presente decreto e - ha stipulato, o si è accollato anche a seguito di frazionamento, un contratto di mutuo ipotecario di importo originario non superiore a 200 mila euro, per l'acquisto o la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione, a tasso e a rata variabile per tutta la durata del contratto, ha diritto di ottenere dal finanziatore la rinegoziazione del mutuo alle condizioni di cui alla lettera b), qualora al momento della richiesta presenti un'attestazione, rilasciata da soggetto abilitato, dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) non superiore a 35 mila euro e non abbia avuto ritardi nel pagamento delle rate del mutuo;

b) la rinegoziazione assicura, in funzione delle esigenze del cliente, per un periodo pari alla durata residua del finanziamento o, con l'accordo del cliente, per un periodo inferiore, l'applicazione di un tasso annuo nominale fisso non superiore al tasso che si ottiene in base al minore tra l'IRS in euro a 10 anni e l'IRS in euro di durata pari alla durata residua del mutuo ovvero, se non disponibile, la quotazione dell'IRS per la durata precedente, riportato alla data di rinegoziazione alla pagina ISDAFIX 2 del circuito Reuters, maggiorato di uno spread pari a quello indicato, ai fini della determinazione del tasso, nel contratto di mutuo;

c) il mutuatario e il finanziatore possono concordare che la rinegoziazione di cui alle precedenti lettere comporti anche l'allungamento del piano di rimborso del mutuo per un periodo massimo di cinque anni, purché la durata residua del mutuo all'atto della rinegoziazione non diventi superiore a venticinque anni; d) le garanzie ipotecarie già prestate a fronte del mutuo oggetto di rinegoziazione ai sensi del presente comma continuano ad assistere il rimborso, secondo le modalità convenute, del debito che risulti alla originaria data di scadenza di detto mutuo, senza il compimento di alcuna formalità o annotazione. Resta fermo quanto previsto dall'art. 39, comma 5 del d.lgs. 385/1993».

L'art. 120 quater, comma 5, TUB prevede ora che «Nel caso in cui il debitore intenda avvalersi della

facoltà di surrogazione di cui al comma 1, resta salva la possibilità del finanziatore originario e del debitore di pattuire la variazione senza spese delle condizioni del contratto in essere, mediante scrittura privata anche non autenticata».

In merito ai rapporti tra surrogazione e rinegoziazione la dottrina ha osservato «Da un punto di vista economico, la surrogazione (nell'ambito della portabilità) e la rinegoziazione (pure e semplice), hanno la stessa natura e le stesse caratteristiche, in quanto entrambe consentono di stabilire nuove condizioni, nell'ambito di una medesima operazione finanziaria caratterizzata dallo stesso margine di rischio

finanziario. Per portabilità, pertanto, si intende la possibilità di procedere, per un nuovo istituto di

credito, alla rinegoziazione di una specifica operazione finanziaria, in senso più favorevole, per il soggetto finanziato, operando sulla base di un livello di rischio economico e finanziario consolidato, avendo riguardo alla originaria operazione economica (il che si ottiene con il subentro in tutte le garanzie e in tutti i mezzi di tutela del credito pregresso), il tutto senza costi e spese aggiuntive»: così Baratteri, Surrogazione e portabilità dei mutui. Funzione, struttura, efficacia e validità della fattispecie, Torino, 2011, p. 198.

Sul punto in particolare si veda F arace, Portabilità del mutuo e atto di surrogazione, in Riv. dir. civ., 2012, p. 617 ss.; M ucciarone, Sulla surroga nei finanziamenti bancari non perfezionata nel termine, (art. 120 quater , co. 7, T.U.B., modificato dalla l. n. 27/2012), in www.ilcaso.it; Mucciarone e Sciarrone Alibrandi, Il recesso del cliente dai contratti bancari dopo il d. lgs. n. 141/2010: questioni di coordinamento, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, I, p. 48; P. Sirena, La « portabilità del mutuo» bancario o finanziario, in Riv. dir. civ., 2008, p. 449; B usani, L a portabilità dell'ipoteca: tecnica redazionale, AA.VV., Il contributo del notariato per l'attuazione delle semplificazioni in tema di mutui ipotecari. Atti del convegno, I quaderni della fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2008, p. 154 ss.; D olmetta, Questioni sulla surrogazione per volontà del debitore ex art. 8 legge n. 40/2007 (c.d. portabilità del mutuo), in Banca, borsa, tit.

cred., 2008, p. 395; G entili, Teoria e prassi nella portabilità dei contratti di finanziamento bancario, in Contratti, 2007, p. 453 ss.; F alcone, Le operazioni di credito fondiario ala luce delle disposizioni del decreto legge n. 7 del 2007, convertito nella legge n. 40/2007, in Dir. fall., 2007, p. 722; G iampieri, Il decreto sulle liberalizzazioni. La portabilità del mutuo, le intenzioni del legislatore e gli effetti (forse indesiderati) della norma, in Nuova giur. civ. comm., 2007, p. 467 ss.; B usani, L a portabilità dell'ipoteca: tecnica redazionale, in Aa.Vv., Il contributo del notariato per l'attuazione delle semplificazioni in tema di mutui ipotecari. Atti del convegno, I quaderni della fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2008, p. 154 ss.

(5) Si veda Pimont, L'économie du contrat, Aix En Provence, 2004, p. 25.

(6) Pimont, op. loc. citt., sottolinea attraverso un'attenta indagine giurisprudenziale « une tendance utilitaire et pragmatique qui, prenant en compte la réalité de l'opération économique formant le substrat de la convention, protège les intérêts trés concrets attendus par les parties».

(8)

Così la Cassazione in Francia con la sentenza 6 luglio 1996, in R.T.Civ., 1996, p. 901 ha affermato che «l'esecuzione del contratto deve essere conforme all'economia voluta dalle parti» ispirandosi all'idea di causa voluta da Capitant, La causa des obligations, Paris, 1923, p. 31. Ancora, sempre con riferimento alla giurisprudenza francese, la Cassazione con sentenza 3 gennaio 1996, in R.T.Civ., 1997, p. 901 ha identificato la legge che lega le parti con l'economia del contratto.

(7) Pimont, op. cit., p. 13.

(8) Pimont, op. cit., p. 21. Si veda anche Chabas , Obligations. Théorié Générale, Paris,

(9) Al Mureden, Le sopravvenienze contrattuali tra lacune normative e ricostruzioni degli interpreti, Padova, 2004, p. 17 ss.

(10) Osti, voce Clausola rebus sic stantibus, in Noviss. Dig. it., III, Torino, 1958, p. 353; Mosco, voce Impossibilità sopravvenuta, in Enc. dir., XX, Milano, 1970, p. 426 ss.

(11) Giorgianni , L'inadempimento, Milano 1975, p. 228 ss.; Cottino, L'impossibilità sopravvenuta della prestazione e la responsabilità del debitore, Milano, 1955, p. 413 ss. Altri contempera la impossibilità alla luce del criterio della buona fede che dovrebbe delimitare la prestazione esigibile. Vedi Bessone, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1969, p. 160; Gallo, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992, p. 96.

In giurisprudenza tende a permanere il requisito dell'assolutezza, ma a ben vedere si coordina con i requisiti della imprevedibilità e inevitabilità da valutarsi secondo il canone della diligenza. Cass., 9 settembre 1988, n. 5116, in Mass. Giust. civ. 1988, fasc. 8/9 e più recentemente Cass., 15 novembre 2013, n. 25777, in D&G, 2014, 5 febbraio. Per la giurisprudenza di merito Trib. Roma, 17 settembre 2014; Trib. Milano, 12 febbraio 2014.

Il requisito dell'assolutezza rimane per le obbligazioni pecuniarie. Afferma Cass., 15 novembre 2013, n. 25777, cit.: «In materia di obbligazioni pecuniarie, l'impossibilità della prestazione deve consistere, ai fini dell'esonero da responsabilità del debitore, non in una mera difficoltà, ma in un impedimento obiettivo ed assoluto che non possa essere rimosso, non potendosi ravvisare nella mera impotenza economica derivante dall'inadempimento di un terzo nell'ambito di un diverso rapporto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso che configuri l'impossibilità obiettiva ed assoluta di adempiere la maturata prescrizione del diritto della medesima parte ad ottenere, a sua volta, la ripetizione di importi corrisposti a terzi a titolo transattivo)».

(12) Cass., 2 ottobre 2014, n. 20811, in Mass. Giust. civ., 2014. Dovrà però trattarsi di una inutilità oggettiva. In tal senso Cass. 9 dicembre 2014, n. 25902, in D&G, 2014.

(13) Così Tartaglia, voce Onerosità eccessiva, in Enc. dir., XXX, Milano, 1980, p. 174. La dottrina precedente tendeva a leggere nella espressione suddetta un semplice pleonasmo. Cfr. Boselli, La

risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, Torino, 1952, p. 140; Pino, L'eccessiva onerosità della prestazione, Padova, 1952, p. 74.

(14) Cfr. Cass., 11 gennaio 1992, n. 247, in Vita not. 1992, p. 548: «In tema di eccessiva onerosità sopravvenuta, nel caso in cui il convenuto, nell'esercizio della facoltà di disporre liberamente dei propri interessi, anziché chiedere di rimettere al giudice la determinazione del contenuto delle modifiche da apportare al contratto per ricondurlo ad equità propone egli stesso il contenuto di dette modifiche, tale proposta, ove non accettata dalla controparte, perde il carattere di proposta negoziale rivolta a

quest'ultima ed assume il connotato di una specifica domanda processuale con la conseguenza, in tal caso, che il giudice ex art. 112 c.p.c. può soltanto pronunciarsi sull'efficacia di questa ad impedire l'accoglimento della contrapposta domanda di risoluzione, non anche ridurre la somma offerta dal convenuto ritenendola eccessiva, perché così facendo deciderebbe ultra petita invadendo la sfera dispositiva delle parti».

Sul punto si veda però la dottrina Gabrielli, Poteri del giudice ed equità del contratto, in questa Rivista, 1991, p. 479; Macario, Eccessiva onerosità, riconduzione ad equità e poteri del giudice, nota a Cass. 18 luglio 1989, n. 3347, in Foro it., 1990, I, c. 567.

(15) L'art. 1464 ha trovato in particolare applicazione in ambito giuslavoristico con riferimento alla sopravvenuta mancanza dei requisiti per svolgere una data professione. Si veda ex plurimis Cass., 7 novembre 2013, n. 25073, in Mass. Giust. civ., 2013: «L'impossibilità parziale della prestazione lavorativa (nella specie, di esercente professione sanitaria di fisioterapista), sussiste anche nel caso di sopravvenuta insufficienza, rispetto all'instaurazione del rapporto di lavoro (quale massofisioterapista) di un titolo di abilitazione professionale a causa del mutamento della legislazione. Ne consegue che la mancanza di valido titolo abilitativo in capo al prestatore di lavoro, unitamente all'incertezza del tempo necessario per conseguirlo, o per adeguare quello posseduto alla mutata disciplina della professione sanitaria, radica l'interesse del datore alla risoluzione del contratto in forza dell'art. 1464 cod. civ., dovendosi tenere conto del nesso tra il possesso di idoneo titolo abilitativo e lo svolgimento della relativa attività professionale».

(9)

(16) La giurisprudenza tende ad estendere l'ambito di applicazione della norma dando rilevanza al momento della conoscenza della modifica delle condizioni patrimoniali da parte del creditore. V. Cass., 20 febbraio 2008, n. 4320, in Foro pad., 2008, 2, I, p. 312: «Per l'applicabilità dell'art. 1461 c.c. non è necessario che la modificazione patrimoniale dell'altro contraente sia sopravvenuta dopo la stipula del contratto, essendo a tal fine sufficiente che il contraente, che oppone la sospensione della sua prestazione, ne sia venuto a conoscenza successivamente e che egli non l'abbia conosciuta o potuta conoscere con la normale diligenza e che il deterioramento sia di natura tale da porre in evidente pericolo il conseguimento della prestazione cui ha diritto il contraente in bonis».

(17) In base all'art. 1898 «Il contraente ha l'obbligo di dare immediato avviso all'assicuratore dei mutamenti che aggravano il rischio in modo tale che, se il nuovo stato di cose fosse esistito e fosse stato conosciuto dall'assicuratore al momento della conclusione del contratto, l'assicuratore non avrebbe consentito l'assicurazione o l'avrebbe consentita per un premio più elevato.

2. L'assicuratore può recedere dal contratto, dandone comunicazione per iscritto all'assicurato entro un mese dal giorno in cui ha ricevuto l'avviso o ha avuto in altro modo conoscenza dell'aggravamento del rischio».

Con riferimento all'ipotesi di cui all'art. 1898, così come per la riduzione del rischio di cui all'art. 1896, la dottrina ha tentato di ricondurre la disciplina, specialmente dettata per il contratto di assicurazione, all'interno del sistema degli istituti civilistici: il mutamento dell'oggetto (S alandra, Dell'assicurazione, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1966 , p. 245), la presupposizione (Così D onati, Trattato del diritto delle assicurazioni private: il diritto del contratto di assicurazione, i principi generali del contratto di assicurazione, II, 2, Milano, 1954, p. 40), la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (Cfr. Pasanisi, Aggravamento del rischio, in Assicurazione infortuni e responsabilità civile: VIII convegno per la trattazione dei temi assicurativi, Milano, 1968, p. 93 ss.; Mungari, L'aggravamento ed altre modificazioni del rischio, in Assicurazioni, 1986, I, p. 346 ss.).

Al riguardo sembra difficile adottare un'interpretazione in chiave sistematica e pare in vero preferibile la tesi che individua nella normativa de qua una disciplina speciale del controllo dell'equilibrio economico del contratto di assicurazione che rileva, nelle modificazioni dei propri assetti, di per sé in modo oggettivo [A. Gambino, voce Assicurazione (contratto di assicurazione: profili generali),in Enc. giur., III, Roma, 1988]. (18) Roppo, Orientamenti tradizionali e tendenze recenti in tema di "presupposizione", in Giur. it., 1972, I, 1, p. 213; Bessone, Adempimento e rischio contrattuale, cit., p. 84 ss.; Gentili, Presupposizione, eccessiva onerosità sopravvenuta e sopravvenienza, nota Cass., 9 maggio 1981, n. 3074, ivi, 1983, I, 1, 1739; Camardi, Economie individuali e connessione contrattuale. Saggio sulla presupposizione, Milano, 1997, p. 275 ss. Da ultimo Maggiolo, Presupposizione e premesse del contratto, in Giust. civ., 2014, p. 867. Per la giurisprudenza Cfr. Cass., 18 settembre 2009, n. 20245, in Mass. Giust. civ. 2009, 9, 1336: «In materia contrattuale, affinché sia configurabile la fattispecie della c.d. "presupposizione" (o condizione inespressa), è necessario che dal contenuto del contratto si evinca l'esistenza di una situazione di fatto, considerata, ma non espressamente enunciata dalle parti in sede di stipulazione del medesimo, quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, il cui successivo verificarsi o venire meno dipenda da circostanze non imputabili alle parti stesse; il relativo accertamento, esaurendosi sul piano propriamente interpretativo del contratto, costituisce una valutazione di fatto, riservata, come tale, al giudice del

merito ed incensurabile in sede di legittimità se immune da vizi logici o giuridici»; Cass., 25 maggio 2007, n.12235, in Rass. dir. civ., 2008, 4, p. 1134, con nota di Pennanzio: «La presupposizione, non attenendo all'oggetto, né alla causa, né ai motivi del contratto, consiste in una circostanza ad esso "esterna", che pur se non specificamente dedotta come condizione ne costituisce, specifico ed oggettivo presupposto di efficacia, assumendo per entrambe le parti, o anche per una sola di esse - ma con riconoscimento da parte dell'altra - valore determinante ai fini del mantenimento del vincolo contrattuale, il cui mancato verificarsi legittima l'esercizio del recesso». Sull'evoluzione delle interpretazioni intorno all'istituto si veda Degli Innocenti, Teoria della presupposizione e rimedi contrattuali alla luce di nuovi orientamenti ermeneutici, in Giust. civ., 2009, p. 79.

(19) Maggiolo, op. cit., p. 878-879. (20) Al Mureden, op. cit., p. 17

(21) Tra i primi in tal senso Pino, op. cit., p. 84; Boselli, op. cit., p. 99.

(22) La dottrina nota come il giurista «per troppo tempo ha messo in vetrina il problema della lacuna senza mai parlare di un significato del silenzio, così come invece parla di un significato della

dichiarazione»: così Sacco, in Alpa, Guarnieri, Monateri, Pascuzzi e Sacco, Le fonti del diritto italiano, 2, Le fonti non scritte e l'interpretazione, in Tratt. Sacco, Torino, 1999, p. 220.

(23) L'espressione tra virgolette è di Pawlowski, Introduzione alla metodologia giuridica, a cura di

Mazzamuto e Nivarra, Milano, 1993, p. 132, per il quale l'ammissibilità dell'analogia e dell'interpretazione estensiva, strumenti della giurisprudenza dei valori, "deriva dalla connessione della singola norma con tutte le altre e perciò dalla sistematica dei diversi rami del diritto dalla quale emerge l'ambito applicativo di ciascuna disposizione" (p. 130). Va detto peraltro che la dottrina più recente tende a ricondurre

(10)

analogia e interpretazione estensiva ad un processo interpretativo essenzialmente unitario. Cfr. Caiani, voce Analogia (teoria generale), in Enc. dir., II, Milano, 1958, p. 349; Carcaterra, voce Analogia, I) Teoria generale, in Enc. giur. Trecc., II, Roma, 1988, p. 8, il quale, pur ammettendo una distinzione in astratto tra l'interpretazione, che dall'enunciato produce la norma, e l'analogia, che da una norma produce un'altra norma, conclude rilevando come in concreto tali distinzioni risultino sfumate. Da ultimo la dottrina ha evidenziato la difficoltà di dominare la complessità del fenomeno giuridico attraverso procedimenti analogici. Cfr. Perlingieri, Complessità e unitarietà dell'ordinamento giuridico vigente, in Rass. dir. civ., 2005, p. 105 ss.; Femia, Applicare il diritto al caos. Teoria riflessiva delle fonti e unità dell'ordine, in Diritto privato comunitario, a cura di Perlingieri e Ruggeri, Napoli, 2009, p. 39 ss.; Lipari, Morte e trasfigurazione dell'analogia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, p. 1 ss.; Carusi, L'analogia come misura del giuridico, in Riv. crit. dir. priv., 2011, p. 276. Per verificare se una lacuna è realmente tale occorrerebbe indagare per trovare "l'intima struttura e la realtà profonda della legge". L'espressione tra virgolette è di Bobbio, L'analogia nella logica del diritto, Torino, 1938, p. 114. Si veda più recentemente pure Tullio, Analogia implicita e meritevolezza dell'estensione nel giudizio di costituzionalità, in Interpretazione a fini applicativi e legittimità costituzionale, a cura di Femia, vol. 7, Collana Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana, Napoli, 2006, p. 129 ss.

(24) La dottrina italiana (v. Al Mureden, op. cit., p. 55) ricorda come in altri ordinamenti vi sia una più generale rilevanza delle sopravvenienze. Si pensi all'istituto della « frustration of contract» introdotto nella common law inglese col caso Taylor v Caldwell [1863] EWHC QB J1 .Se ne parla con riferimento alla risoluzione del contratto a causa di circostanze non previste che impediscono il raggiungimento degli obbiettivi contrattuali o che rendono la sua esecuzione illegale o in concreto impossibile. La frustration può essere determinata da eventi imprevedibili, cambiamenti della legge, malattia, interferenza di un terzo. In caso di frustration le parti non sono tenute ad adempiere e il contratto si risolve salvo diversa previsione contrattuale.

(25) Di Camillo, La rinegoziazione nei contratti tra privati, in www.altalex il quale richiama a sostegno della sua tesi Gentili, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, in questa Rivista, 2003, p. 701.

(26) Con particolare riguardo alla interpretazione si parla talvolta di interpretazione integrativa. In

giurisprudenza è corrente l'uso dell'espressione «interpretazione integrativa» riferita agli artt. 1366-1371 intendendo con ciò indicare che le norme contenute nei suddetti articoli concernono ipotesi in cui

all'interprete non è richiesta la mera ricognizione del senso della regola, ma è dato di intervenire nel senso di creare la regola da applicare. Così per tutte Cass. 11 marzo 1996, n. 2001 in Mass. Giust. civ., 1996. In dottrina si è parlato anche di funzione correttiva. Cfr. Bigliazzi Geri, L'interpretazione del contratto: artt. 1362-1371, in Commentario al codice civile Schlesinger, Milano, 1991, p. 197.

Diversamente la dottrina osserva come "l'esigenza propria dell'interpretazione integrativa è già soddisfatta dall'interpretazione senza aggettivi": così R odotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1970, p. 96.

Altro è il caso della ergänzende Auslegung, categoria concettuale elaborata dalla dottrina tedesca la quale precisa « ist nicht Auslegung einzelner Willenserklärung, sondern Auslegung der durch den Vertrag geschaffenen objektiven Regelung»: così L arenz, Allgemeiner Teil des Bürgelichen Rechts, München, 1997, p. 562 ss. A riguardo occorre precisare che nell'ordinamento tedesco la funzione dell'istituto è da individuare nell'assenza di una norma in materia di integrazione degli effetti del contratto che presenti la stessa ampiezza dei nostri artt. 1374 e 1375 c.c.

(27) Di Camillo, op. loc. cit. Ricordiamo che l'art. 1375 ha portata integrativa. Nell'esecuzione dei contratti «assumono particolare importanza i doveri di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., contribuendo essi ad individuare obblighi, ulteriori o integrativi di quelli tipici del rapporto stesso, il cui inadempimento è patrimonialmente valutabile, ai sensi dell'art. 1174 c.c., e tale da giustificare una richiesta di risarcimento danni, purché siano specificati e provati i comportamenti pregiudizievoli e i loro concreti effetti lesivi»: così Cass., 8 aprile 2014, n. 8153, in Mass. Giust. civ., 2014.

(28) Ved. infra paragrafo successivo.

(29) In tema di discrezionalità amministrative scrive Shapiro, voce Discrezionalità, in Enc. Scienze Sociali, Roma, 1993, p. 1: «Una persona dotata di "discrezione" è una persona equilibrata, saggia, che pondera attentamente le sue decisioni alla luce di avvenimenti passati, circostanze attuali e sviluppi futuri. Un pubblico funzionario investito di potere discrezionale viene giudicato non soltanto in base alla legittimità delle azioni da lui poste in essere, ma altresì in base alla saggezza o buon senso da lui utilizzati per compiere quelle azioni. Il diritto amministrativo italiano riconosce esplicitamente che il giudice deve considerare questi aspetti degli atti di discrezionalità amministrativa nel determinare la loro legittimità». (30) Gentili, op. loc. cit.

(31) Si tratta insomma in primo luogo di definire cosa si intende per «obbligo a rinegoziare». Osserva Gambino, Problemi del rinegoziare, Milano, 2004, p. 79 come «il lemma rinegoziare significhi negoziare nuovamente e cioè rinnovare l'esercizio del potere di darsi delle regole. L'oggetto delle iterazione consiste

(11)

in un facere il cui contenuto risiede in varie e innumerevoli libertà. Si menzionano in estrema sintesi, la libertà di compiere l'atto, consisterebbe nella decisione id porre in essere o meno l'atto, la libertà di agire mediante sostituti, la libertà di determinare il contenuto dei negozi, la libertà di concludere negozi che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, la libertà circa il modo di manifestare la volontà dell'impegno e, ancora, la libertà di apporre al negozio elementi accidentali». Ci si chiede se sia possibile imporre l'esercizio di una libertà. Si osserva che la rinegoziazione non è creazione di regola nuova ma attuazione delle regola posta in cui si è estrinsecata l'autonomia privata. p. 81.

(32) Sacco , Il contratto, parte II, Torino, 1993, p. 273.

È importante distinguere il contratto preliminare da altre pattuizioni preparatorie al raggiungimento di un accordo. Sul punto si veda in particolare R icciuto, La formazione progressiva del contratto, in I contratti in generale, a cura di Gabrielli (volume del Trattato dei contratti, diretto da Rescigno e Gabrielli), Torino, 1999, p. 151 ss.; D i Majo, Vincoli, unilaterali e bilaterali, nella formazione del contratto, in Istituzioni di diritto privato, a cura di Bessone, Torino, 1997, p. 562 ss.; S acco, La preparazione del contratto, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, vol. X, 2, Torino, 2 ed., 1995; S peciale, Contratti preliminari e intese precontrattuali, Milano, 1990; R oppo, Contratto, II, Formazione del contratto, in Enc. giur., IX, Roma, 1988, p. 4 ss.; G abrielli, Il rapporto giuridico preparatorio, Milano, 1974; Cesaro, Il contratto e l'opzione, Napoli, 1969, p. 29 ss.; Rascio, Il contratto preliminare, Napoli, 1967, p. 66; Realmonte, Introduzione, in I rapporti giuridici preparatori, a cura di Realmonte, Milano, 1966, p. XV.

La giurisprudenza ha ammesso l'applicazione dell'art. 2932 anche in presenza di un preliminare avente ad oggetto un bene non conforme alle prescrizioni edilizie in pendenza di sanatoria. Cfr. Cass., 7 aprile 2014, n. 8081, in Mass. Giust. civ., 2014. Viene comunque escluso l'intervento giudiziale in esame qualora nel contratto preliminare non siano contenuti tutti gli elementi essenziali. Cfr. Gabrielli, Il contratto

preliminare, Milano, 1970, p. 54-55. In giurisprudenza cfr. Cass. 4 maggio 1982, n. 2761, in Mass. Giust. civ., 1982; Contra Mazzamuto, L'esecuzione forzata, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, vol. XX, Torino, 1985, p. 328 ss.

(33) Sul punto Cass., sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128, in Foro it. 2006, 1, I, c. 106 con nota di Palmieri: «Nel disciplinare l'istituto [della clausola penale] la legge ha ampliato il campo normalmente riservato all'autonomia delle parti, prevedendo per esse la possibilità di predeterminare, in tutto o in parte, l'ammontare del risarcimento del danno dovuto dal debitore inadempiente (se si vuole privilegiare l'aspetto risarcitorio della clausola), ovvero di esonerare il creditore di fornire la prova del danno subito, di costituire un vincolo sollecitatorio a carico del debitore, di porre a carico di quest'ultimo una sanzione per l'inadempimento (se se ne vuole privilegiare l'aspetto sanzionatorio), e ciò in deroga alla disciplina positiva in materia, ad esempio, di onere della prova, di determinazione del risarcimento del danno, della possibilità di istituire sanzioni private. Tuttavia, la legge, nel momento in cui ha ampliato l'autonomia delle parti, in un campo normalmente riservato alla disciplina positiva, ha riservato al giudice un potere di controllo sul modo in cui le parti hanno fatto uso di questa autonomia. Così operando, la legge ha in sostanza spostato l'intervento giudiziale, diretto al controllo della conformità del manifestarsi dell'autonomia contrattuale nei limiti in cui essa è consentita, dalla fase formativa dell'accordo - che ha ritenuto comunque valido, quale che fosse l'ammontare della penale - alla sua fase attuativa, mediante l'attribuzione al giudice del potere di controllare che la penale non fosse originariamente manifestamente eccessiva e non lo fosse successivamente divenuta per effetto del parziale adempimento. Un potere di tal fatta appare concesso in funzione correttiva della volontà delle parti per ricondurre l'accordo ad equità (…). In tale senso inteso, il potere di controllo appare attribuito al giudice non nell'interesse della parte ma nell'interesse dell'ordinamento, per evitare che l'autonomia contrattuale travalichi i limiti entro i quali la tutela delle posizioni soggettive delle parti appare meritevole di tutela, anche se ciò non toglie che l'interesse della parte venga alla fine tutelato, ma solo come aspetto riflesso della funzione primaria cui assolve la norma. Può essere affermato allora che il potere concesso al giudice di ridurre la penale si pone come un limite all'autonomia delle parti, posto dalla legge a tutela di un interesse generale, limite non prefissato ma individuato dal giudice di volta in volta, e ricorrendo le condizioni previste dalla norma, con riferimento al principio di equità. (…) [Dunque] il potere del giudice di ridurre la penale [può] essere esercitato d'ufficio, e ciò sia con riferimento alla penale manifestamente eccessiva, sia con riferimento all'ipotesi in cui la riduzione avvenga perché l'obbligazione principale è stata in parte eseguita, giacché in quest'ultimo caso, la mancata previsione da parte dei contraenti di una riduzione della penale in caso di adempimento di parte dell'obbligazione, si traduce comunque in una eccessività della penale se rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta». In tal senso si veda in particolare in dottrina Bozzi, La clausola penale tra risarcimento e sanzione: lineamenti funzionali e limiti dell'autonomia privata, in Europa e dir. priv., 2005, n. 4, p. 1087. Collegato vi è il problema della rilevabilità d'ufficio. Cfr. Cass., 28 settembre 2006, n. 21066, in Mass. Giust. civ., 2006; «In tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall'art. 1384 c.c., essendo previsto a tutela dell'interesse generale dell'ordinamento, al fine di ricondurre l'autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare effettivamente meritevole di tutela, e, dunque, connotandosi come potere esercitabile anche d'ufficio, può essere esercitato anche qualora le parti abbiano contrattualmente convenuto l'irriducibilità della penale». Sempre in tal senso Cass. 28 marzo 2008, n. 8071, ivi, 2008: «In tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, ex art. 1384 c.c., può essere esercitato d'ufficio, ma l'esercizio di tale potere è subordinato all'assolvimento degli oneri di allegazione e prova, incombenti sulla parte, circa le circostanze rilevanti per la valutazione dell'eccessività della penale, che deve risultare " ex actis", vale a dire dal

Riferimenti

Documenti correlati

- il compito e' stato rinormalizzato a 36, tenuto conto del notevole numero di domande rispetto al

[r]

[r]

- :l (A.T.R.) Alluvioni sciolte di rocce palcozoichc delle sponde occidcutu li della rossa tcuonica, sopra banchi sino a 40150 metri di spessore di argille plastiche bianche o grigie

[r]

Lazio Innova si riserva la facoltà di interrompere in qualsiasi momento il contratto a causa di inadempienze da parte dell’Operatore Economico circa il

Lazio Innova si riserva la facoltà di interrompere in qualsiasi momento il presente incarico a causa di inadempienze da parte dell’Incaricato circa il contenuto dell’attività

L’Incaricato si impegna altresì a dare immediata comunicazione a Lazio Innova ed alla prefettura-ufficio territoriale del Governo della provincia della notizia