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"Sacarle he lo suyo y lo ajeno del buche". Segretezza d'amore e desiderio di vendetta nella Celestina.

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Academic year: 2021

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(1)

BAGATTO LIBRI

«Pueden alzarse

las gentiles palabras»

per Emma Scoles

(2)

Stampato con il contributo del Dipartimento di Studi europei, americani e interculturali della Sapienza - Università di Roma

In copertina: Nicola Cabibbo, L’orchidea di Emma

ISBN 

© Bagatto Libri  Via Pavia 38 - 00161 Roma

(3)

I

NDICE

 Paola CABIBBO

L’orchidea di Emma. Una storia a trama stretta

 Ines RAVASINIe Isabella TOMASSETTI

«Possono levarsi le gentili parole…»

 PUBBLICAZIONI DIEMMASCOLES  Amicizia lungamente

 Vicenç BELTRAN

Els trobadors, la política i el pensament

 Alessio BERGAMO

Per una poetica dello sguardo in macchina (ovvero sull’a parte). Secondo epi-sodio:Wile E. Coyote e Road Runner

 Lorenzo BLINI

La Celestina in versi di Juan Sedeño (1540)

 Corrado BOLOGNA

«Sancio, non più, oggi impazzir bisogna!». L’Orlando e il Chisciotte “furio-si” di Paisiello

 Giuseppina BRUNETTI

Asombro:‘stupore’. Per La voz a ti debida, LIX, 31  Pedro Manuel CÁTEDRA

La Década de la pasión de Juan Coloma (1576) y el género pasional en la encrucijada de los cambios poéticos del siglo XVI

 María Luisa CERRÓNPUGA

Los peligros de la pluma. Notas sobre Alfonso de Ulloa y la censura

 Giovannella DESIDERI

Dante, Fortuna e Francesco da Barberino

 Giuseppe DISTEFANO

L’edizione dei romances viejos. Sul testo del Gaiferos libertador de

(4)

 Anatole Pierre FUKSAS

Medicina d'amore e amplessi paradossali nella tradizione polimorfica delle conte infantili

 Antonio GARGANO

«Sacarle he lo suyo y lo ajeno del buche». Segretezza d’amore e desiderio di vendetta nella Celestina

 Francesco GENOVESI

Lungo la rotta delle navigazioni quattrocentesche. Il viaggio del veliero Tartan

 Annalisa LANDOLFI

Salinas lettore di Shelley

 Roberto MERCURI

Lieve come… Scoles

 Antonio MONTEFUSCO

Indagine su un fraticello al di sopra di ogni sospetto: il caso di Muzio da Peru-gia (con delle prime osservazioni su Tomasuccio, frate Stoppa e i fraticelli di Fi-renze)

 Gioia PARADISI

Tristano nelle Bienveillantes di Jonathan Littel

 Inoria PEPESARNO

Gli Emblemata di Alciato nella Philosophia vulgar di Juan de Mal Lara

 Blanca PERIÑÁN

Flores para Emma

 Carlo PULSONI

Dediche all’editore Vanni Scheiwiller

 Arianna PUNZI

La memoria dell’amore: il Tristan di Thomas

 Ines RAVASINI

Una glosa «rara e curiosa» di Eugenio de Salazar

 Antoni ROSSELL

La música del Amadís de Gaula: la “Leonoreta” y su tradición métrico-melódica

 Giovanna SANTINI

Il frammento manoscritto della Nuova cronica di Giovanni Villani dell’Ar-chivio Monaci

 Elisabetta SARMATI

Nubes de color de rosa en El cuarto de atrás de Carmen Martín Gaite  Isabella TOMASSETTI

Parole condivise: un episodio di imitazione poetica fra le corti iberiche del Quattrocento

 Riccardo VIEL

Edizione di frammenti inediti della Commedia dantesca

(5)

 Raffaella ZANNI

Il Tristan en prose tra Francia e Italia: note sui manoscritti Paris, BnF fr. 94 e BnF fr. 1434

 Le parole

 Paolo CANETTIERI

Il biancospino del conte

 Simone CELANI

Pura saudade da poesia. Itinerari metapoetici nella lirica di Baltasar Lopes  Francesco FAVA

Soy eco de algo: una poetica del desiderio in Luis Cernuda.Traduzioni da La realidad y el deseo (1936)

 Luisa VALMARINe Angela TARANTINO

Sguardi di donna: Eta Boeriu, Grete Tartler, Magda Cârneci, Doina Ioanid

 Sì, tutto con eccesso

 Roberto ANTONELLI

Filologia

 Fabrizio BEGGIATO

Un prologo per Emma

 Rosalba CAMPRA

Dos textos para Emma Scoles

 Gustav SIEBENMANN

¿Una endoscopia de los españoles?

 Norbert von PRELLWITZ

Fotogrammi

 Intera cade la pietra!

CANZONI

 A brisa do coração

 Conradiana

 A solidão de amar

 Desculpa a dor dos meus olhos doentes

(6)
(7)

Antonio G

ARGANO

«Sacarle he lo suyo y lo ajeno del buche».

Segretezza d’amore e desiderio di vendetta nella Celestina

1. Nella Celestina la tematica della segretezza attraversa da un capo all’altro il testo della tragicommedia, facendo riferimento, peraltro, a fatti o motivi assai diversi l’uno dell’altro: l’opera si apre con l’irriverente dichiarazione di Calisto a Melibea, un concentrato di luoghi comuni che attingono al codice d’amore cortese, tra i quali – con l’eloquente ricorso all’antitesi – compare quella perti-nente al celar («que mi secreto dolor manifestarte pudiese»1); e si chiude con

l’epigrafe di una delle ottave del componimento di Alonso de Proaza, che allu-de analogamente alla rivelazione di un segreto, sebbene di natura affatto diffe-rente («Declara un secreto que el autor encubrió en los metros que puso al principio del

libro»2) o, se si preferisce restare all’interno del testo teatrale in senso stretto,

escludendo cioè le parti paratestuali, con l’estremo racconto di una Melibea stremata dal dolore che, nell’annunciare all’attonito padre l’imminente sua morte, gli svela spietatamente la storia di passione che l’ha condotta alla tragica decisione, senza occultargli il ruolo che vi ha svolto Celestina, «la cual, de su parte [de Calisto] venida a mí, sacó mi secreto amor de mi pecho»3.

In effetti, se circoscriviamo il discorso ai due protagonisti della vicenda amo-rosa, la tematica della segretezza finisce per interessare esclusivamente codici cul-turali e modelli di comportamento che godevano di ampio prestigio nella comunità del tempo, giacché essa rimanda – in una prospettiva maschile, per quel che riguarda Calisto – a una norma fondamentale del codice d’amore cor-tese, mentre – dal punto di vista femminile, per quel che concerne Melibea – essa tocca una norma morale e comportamentale delle giovani donne di rango elevato.Va da sé che il carattere prestigioso delle regole e dei rispettivi codici, ai quali esse norme fanno capo, dipende dal fatto che, in entrambi i casi, sono sempre esponenti del ceto aristocratico che quelle regole coinvolgono. È anche

1F. de Rojas (y «antiguo autor»), La Celestina.Tragicomedia de Calisto y Melibea, edición y

estu-dio de F. J. Lobera y G. Serés, P. Díaz-Mas, C. Mota y Í. Ruiz Arzálluz, y F. Rico, Barcelona 2000, p. 27.

2Ibid., p. 353. 3Ibid., p. 333.

(8)

vero, però, che nella Celestina le norme menzionate si danno unicamente per essere infrante, con effetti distinti e, al tempo stesso, convergenti, a seconda che si tratti dell’amante maschile o di quello femminile, come ho cercato di mostrare in due precedenti scritti4, ai quali non posso che rimandare il lettore, ma le cui

sole conclusioni mi sia consentito di esporre ora in estrema sintesi, all’unico scopo di porre l’indispensabile base dalla quale partire per esaminare la tematica della segretezza in una nuova direzione che l’opera di Rojas esplora con risultati non meno interessanti per la lettura della tragicommedia.

In più di un episodio il «bisogno di pubblicità del momento amoroso» o il «curioso esibizionismo» di cui dà prova Calisto – per ricorrere alle espressioni usate da due grandi lettori e interpreti della Celestina5– costituisce un chiaro

esempio d’infrazione a una delle regole fondamentali dell’ideologia cortese dell’amore, precisamente quella che prescrive il dovere del celar, con la precisa-zione che l’imperativo della discreprecisa-zione amorosa era confluito nella tematica di due generi letterari coevi della tragicommedia: la lirica cancioneril e il romanzo sentimentale, i due generi che più profondamente avevano raccolto l’eredità lirico-amorosa dei trovatori nella Spagna tardo quattrocentesca. Ebbene, nei quattro maggiori episodi nei quali Calisto contravviene alla norma del codice cortese, che si dispongono lungo il testo con una sorta di

crescendo, l’infrazione all’obbligo della segretezza è all’origine di un effetto

comico di cui è vittima lo stesso protagonista maschile, poiché – asserivo – «Calisto si rende comico sbagliando, e sbaglia perché non rispetta una regola fondamentale di quel codice cortese, al quale per altri versi pretende di ade-guarsi»6. Al tempo stesso, però, in virtù di un modello teorico che ha il suo

principio nel concetto di formazione di compromesso7, sostenevo che dietro

la facciata comica prodotta dalla trasgressione era da riconoscere un desiderio d’esibizione, nel quale – in contrapposizione a un’ideologia amorosa come espressione di un’aristocratica e individuale esperienza d’isolamento – trovava espressione «una concezione dell’esperienza individuale aperta alla

comunica- Antonio Gargano

4A. Gargano, «Son joi celar»: segretezza d’amore e desiderio d’esibizione nella Celestina, in «Rivista di

Filologia e Letterature Ispaniche» 1 (1998), pp. 9-46; Id., «Sacó mi secreto amor de mi pecho»: la confessione

amorosa di Melibea (Celestina X), in «Medioevo Romanzo», 32 (2008), pp. 116-134.

5Le citazioni sono tratte, rispettivamente, da C. Samonà, Aspetti del retoricismo nella «Celestina»,

Roma 1953, p. 127; M. R. Lida de Malkiel, La originalidad artística de «La Celestina» (1962), Buenos Aires 19702, p. 349 e n. 2.

6Gargano, «Son joi celar» cit., p. 19.

7Per il concetto di «formazione di compromesso», si rimanda al ciclo di studi letterari freudiani di

Francesco Orlando, che l’autore ha idealmente riunito sotto il sistematico titolo di Letteratura, ragione e

represso; per la nozione teorica che presiede all’intero ciclo, cfr. in particolare Per una teoria freudiana della letteratura (1973),Torino 1987, dove si legge la seguente formulazione: «Definiamo formazione di

com-promesso una manifestazione semiotica-linguistica in senso lato – che fa posto da sola, simultaneamente, a due forze psichiche in contrasto diventate significati in contrasto» (p. 211).

(9)

zione con gli altri esseri umani e capace, pertanto, di essere assunta a fonda-mento della costruzione dei legami tra gli individui»8. Insomma, una

conce-zione che, se da un’angolatura socio-economica trova un plausibile sostegno nella «crisis de la sociedad señorial del siglo XV», secondo una ben nota inter-pretazione del capolavoro di Rojas9, dal punto di vista strettamente culturale

da me assunto, si giustifica «nell’assegnare il primato alla parola come valore fondante dei legami sociali nonché dell’umano piacere o felicità, finendo col rivelarsi straordinariamente vicina a un caposaldo – quanto mai serio, invero – della cultura umanistico-rinascimentale»: «la valorizzazione della comunica-zione verbale, come autentica discriminante dell’uomo rispetto al bruto ani-male»10, perfino «en las cosas de amores», fino a capovolgere l’antico precetto

cortese in una, per così dire, norma anticortese, stando alla quale – come difende la vecchia mezzana – «El deleite es con los amigos en las cosas sensua-les, y especial en recontar las cosas de amores y comunicarlas»11.

Quanto alla protagonista femminile, la già citata rivelazione di Melibea al vec-chio genitore: «Sacó mi secreto amor de mi pecho» allude all’episodio dell’atto decimo, con il lungo colloquio con Celestina, alla fine del quale la giovane donna arriva a confessare il suo amore per Calisto. L’atto, del resto, si apriva col «torturado soliloquio» nel quale la stessa Melibea si abbandonava all’intima prote-sta contro un codice di comportamento che prescriveva alle donne di rango ele-vato l’inopportunità di manifestare il proprio amore e desiderio: «¡O género femíneo, encogido y frágile! ¿Por qué no fue también a las hembras concedido poder descobrir su congojoso y ardiente amor, como a los varones?»12. Costruito

fondamentalmente intorno a due coppie oppositive: coprire / scoprire e malattia /

guarigione, l’atto decimo, con la sua efficace parodia sia della tradizione medica sia

della letteratura amorosa, il cui effetto comico è assicurato – in prima istanza – dalla presenza della mezzana che agisce in conformità al paradigma scientifico del medico guaritore, segna un totale ribaltamento dei valori costitutivi del nobile comportamento femminile dell’epoca, che l’opera presuppone. Al termine del-l’atto, e in conseguenza del colloquio con Celestina, la guarigione di Melibea consiste nell’affrancamento dal proprio codice morale, tramite la rinuncia alla

honra e a tutti i valori ad essa connessi (honestidad, vergüenza, castidad, fama) a

van-taggio del solo deleite, e nella cura della parola, che sottrae il desiderio al silenzio repressivo per portarlo alla luce della piena coscienza e del consenso. Così, nella chiusura del dialogo tra le due donne, grazie al generale sovvertimento dei valori,

 «Sacarle he lo suyo y lo ajeno del buche».

8Gargano, «Son joi celar» cit., p. 27.

9Mi riferisco, naturalmente, al noto libro di J. A. Maravall, El mundo social de «La Celestina»

(1964), Madrid 19763.

10La doppia citazione in Gargano, «Son joi celar» cit., rispettivamente, alle pp. 28 e 31. 11La Celestina cit., p. 77.

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a risultare euforico è il termine della coppia su cui prima pesava la condanna morale, descobrir, col risultato che, da parte di Melibea, il desiderio e il suo oggetto (Calisto) emergono nella piena accettazione della parola diretta.

In conclusione, nei lavori che ho qui ricapitolato con la massima rapidità, l’at-tenzione era rivolta essenzialmente ad esaminare le due diverse infrazioni alla norma della segretezza, alle quali nella Celestina è concesso ampio spazio: «mentre gli uomini potrebbero essere tentati, contro l’obbligo del celar, dal desiderio di esi-bire pubblicamente la propria “felicità in amore” – per riprendere l’espressione di Bernart de Ventadorn [«es foli’ et efansa, / qui d’amor a benanansa / ni.n vol so cor ad

autre descobrir»] –, alle donne non è estranea la voglia –contro i vincoli della honra –

di riconoscere se stesse come soggetto di desiderio e, di conseguenza di dare libe-ro sfogo al plibe-roprio sentimento amolibe-roso»13. Ma, come osservavo all’inizio di

que-ste pagine, nei casi finora considerati, segreto e segretezza, per quanto risultino rappresentati in ragione della loro trasgressione, rimandano pur sempre a norme di elevati codici morali e modelli comportamentali, come componenti integranti il patrimonio culturale di classi sociali alte. Sennonché, ci sono altre circostanze testuali nelle quali la medesima tematica subisce un processo di ulteriore degrada-zione: mantenere segreta la passione non riguarda più nobili norme di comporta-mento, siano esse votate al rapporto con gli altri o con sé stessi, ma attiene vilmen-te alla relazione amorosa illecita, nella sua qualità di vera e propria tresca. Chiarirò subito ciò a cui intendo riferirmi col ricorso a due esempi con i quali questa variante degradata del tema della segretezza si affaccia nei primi dieci atti della tra-gicommedia, comparendo in entrambi i casi in occasione dei decisivi colloqui che Celestina intrattiene con Melibea negli atti quarto e decimo.

Nel primo dei due atti menzionati, ormai al termine del colloquio, Melibea, credendo – o più probabilmente – fingendo di credere al pretesto del «dolor de muelas» addotto dalla mezzana, dopo essersi giustificata, dicendosi addolorata per la reazione iraconda in cui è incorsa quando Celestina le ha incautamente pronunciato il nome di Calisto, («¡Oh cúanto me pesa con la falta de mi pacien-cia”!»), acconsente a soddisfare sul momento una delle due richieste della vec-chia («quiero complir tu demanda y darte luego mi cordón»), mentre, per quel che concerne l’orazione di Santa Polonia, ne dilaziona la consegna all’indomani:

Y porque para escribir la oración no habrá tiempo sin que venga mi madre, si esto no bastare, ven mañana por ella muy secretamente14.

La raccomandazione fatta da Melibea a Celestina che all’indomani la sua venuta avvenga segretamente, ossia di nascosto, e, pertanto, all’insaputa dei

 Antonio Gargano

13Gargano, «Sacó mi secreto amor de mi pecho» cit., p. 116. 14La Celestina cit., p. 134.

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genitori della fanciulla, presenta il tema in una luce affatto nuova, non più par-tecipe dei prestigiosi codici morali e comportamentali di cui si è detto, ma offuscata dal contatto con qualcosa di turpe: nella maliziosa esortazione della figlia disubbidiente si lasciano scorgere, sia pure nell’imbeccata del solo avver-bio, la resa al desiderio e la complicità con la mezzana e, insieme a ciò, l’identi-ficazione del segreto con l’amorazzo o intrigo amoroso. Se ne accorge subito la serva Lucrecia che ha assistito al colloquio, e che, nel sentire pronunciare alla sua giovane padrona l’accorto consiglio, dice fra sé:

¡Ya, ya: perdida es mi ama! Secretamente quiere que venga Celestina. Fraude hay. ¡Más querrá dar que lo dicho!15

Una preoccupata riflessione, nella quale il sintomatico avverbio risulta in diretta connessione col sostantivo fraude, a riprova del fatto che la segretezza dal-l’ambito dei valori, in quanto norma morale e comportamentale, è passata a far parte dalla sfera dei disvalori, coincidendo, cioè, con l’atteggiamento di chi tiene nascosto agli altri qualcosa di riprovevole, che la collettività condanna. Ma ciò su cui ricade il biasimo della società corrisponde alla realizzazione del desiderio, per cui l’altra occorrenza della variante degradata del motivo della segretezza si trova, non per caso, nell’atto decimo, alla fine del secondo colloquio con Celestina, quando Melibea, dopo aver concertato con la mezzana l’appunta-mento notturno che le consentiva d’incontrare Calisto, si rivolge questa volta a Lucrecia per ingiungerle col tono di chi parla, più che al domestico sottomesso, al compagno confidente e depositario dei propri segreti, del quale si ricerca la connivenza o, addirittura, ci si premura di comprare la fedeltà e il silenzio:

Amiga Lucrecia, mi leal criada y fiel secretaria, ya has visto como no ha sido más en mi mano: cativome el amor de aquel caballero. Ruégote por Dios se cubra con secreto sello por que yo goce de tan suave amor. Tú serás de mí tenida en aquel grado que merece tu fiel servicio16.

Le parole di Melibea istituiscono un nuovo nesso, in ragione del quale la segretezza, in questa circostanza, si fa garanzia della soddisfazione del desiderio. Proposta in funzione del compimento dell’inganno nel passo del quarto atto, e a tutela della realizzazione del piacere in quello dell’atto decimo, la segretezza finisce per dare origine a una terna di fattori, tra i quali è stabilita una doppia equivalenza che mette alla pari il secreto con il fraude, da un lato, e col gozo, dal-l’altro. Con questa duplice equiparazione siamo molto lontani da

quell’univer- «Sacarle he lo suyo y lo ajeno del buche».

15Ibid. 16Ibid., p. 229.

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so di valori e di significati, in cui la segretezza, in quanto norma costitutiva di codici morali e comportamentali che godevano di assoluto prestigio sociale, nonché di ampio riconoscimento letterario, rappresentava una virtù o un nobile ideale, per quanto i due giovani protagonisti della tragicommedia, non riuscendo a tenervi fede, con la loro condotta finissero per rovesciarne il con-tenuto nel parodistico desiderio d’esibizione di Calisto e nell’irrefrenabile bra-mosia di piacere di Melibea, con un effetto in entrambi i casi d’indiscussa comicità, provocata dalla loro inadeguatezza rispetto ai rispettivi archetipi sia sociali che letterari. Non è un caso, d’altronde, che con la nuova accezione, portatrice della variante bassa e degradata del nostro tema, la segretezza, svuo-tata di ogni contenuto nobilitante, e trasformatasi nell’opportuno e necessario provvedimento per la perpetuazione degli incontri amorosi, al quale viene contrapposto il tentativo perpetrato da altri di carpire il segreto, vale a dire di scoprire tempi e luoghi della tresca; non per caso – dicevo – questa nuova accezione del tema conquista il massimo spazio di presenza negli atti aggiunti alla commedia che si è soliti designare come Tratado de Centurio.

2. Che ciò avvenga non per caso nel Tratado de Centurio merita qualche parola di giustificazione, prima di concentrare di nuovo l’attenzione sul nostro tema per ricostruirne la presenza negli atti annessi nella redazione finale del-l’opera. Definita, come si ricorderà, «una intriga episódica e inútil, que no conduce a ninguna parte ni modifica en nada el desenlace»17, col tempo

l’in-terpolazione è stata valutata dalla critica più favorevolmente, anche per quel che attiene alla coerenza e al carattere unitario dell’opera nella sua forma ulti-ma, come riconobbe la Lida, per la quale «el autor – o autores – de los cinco actos interpolados ha recogido con habilidad suma los hilos de la versión pri-mitiva»18, anche se ciò non vuol dire affatto che essa non presenti alcune sue

peculiarità. Naturalmente, non è questa la sede, né ci sarebbe lo spazio suffi-ciente, per discutere nei dettagli dell’intera questione, per cui ci si limiterà, più in generale, a sottolineare come le proprietà particolari e caratteristiche del-l’interpolazione siano legate a un incremento di comicità con il quale è in perfetta sintonia la variante bassa e degradata del tema della segretezza.

Sebbene non sia del tutto condivisibile l’opinione di Stephen Gilman, secondo la quale «la verdadera diferencia que existe entre el arte de los quince actos originales de Rojas y los cinco que añadió en 1502 es de orden genéri-co», nel senso che «Rojas se ha alejado fatalmente de su posición creadora

ori- Antonio Gargano

17M. Menéndez Pelayo, Orígenes de la novela («Edición Nacional de las Obras Completas de

Menéndez Pelayo»), Santander 1943, III, p. 269. Su Menéndez Pelayo e il capolavoro di Rojas, cfr. ora G. Serés, Menéndez Pelayo y La Celestina, in «Orígenes de la novela». Estudios, dir. por R. Gutiérrez Sebastián y B. Rodríguez Gutiérrez, Santander 2007, pp. 381-405.

(13)

ginal [quella del ‘dialogo puro’] y de ese modo nos ha permitido presenciar el nacimiento […] de los dos géneros principales del siglo que entraba [“comedia”

e “novela”]»; tuttavia, nella presunta alterazione della «relación genérica

autor-obra» ipotizzata dall’illustre studioso19, troviamo la conferma del carattere

peculiare degli atti aggiunti nel fatto che alla trama principale del Tratado, costi-tuita dal motivo della vendetta si accompagna un incremento di comicità. Su quest’ultimo fattore, gli studiosi che negli anni successivi al libro di Gilman si sono occupati in forma, più o meno specifica, del Tratado, pur nella diversità – persino nel contrasto – delle posizioni assunte nei confronti delle varie que-stioni che l’aggiunta pone (identità dell’autore di essa, coerenza e unità d’argo-mento e di stile in relazione ai precedenti quindici atti, ecc.), hanno unanime-mente insistito nel ribadire il prevalente carattere comico degli atti interpolati, in particolare di quelli dedicati al resoconto dell’intrigo ordito da Areúsa. Tuttavia, una tale convergenza di vedute nel sottolineare l’aspetto particolar-mente comico degli atti aggiunti nella Tragicomedia rischia di lasciare nell’om-bra un dato fondamentale del problema, vale a dire che, essendo la comicità un elemento ugualmente costitutivo degli atti che formavano la Comedia, perché l’unanime consenso segnalato abbia una giustificazione occorre che la comicità dell’interpolazione presenti una sua peculiarità, una proprietà particolare che non si limiti alla sola dimensione quantitativa dell’incremento, ma – sebbene quest’ultima componente non vada affatto trascurata – implichi una parziale difformità nella natura degli oggetti e nell’impiego dei mezzi con cui si ottiene la provocazione del riso. In effetti, non sono mancati tentativi in tale direzione, come, per esempio, il contributo di Françoise Maurizi che, interamente dedi-cato a mostrare come «cette addition est placée sous le signe du rire», dopo aver passato in rassegna gli atti che la compongono analizzandoli sotto questa luce, termina affermando che, rispetto alla redazione rappresentata dalla

Comedia, «la recherche des effects comiques apparaît dans la grande

interpola-tion sans grande subtilité. Les ficelles sont bien plus grosse, bien plus systémati-ques»20. In realtà, questo risultato, che alla studiosa citata appare come assenza o

riduzione di sottigliezza o finezza nella realizzazione dell’effetto comico, ha la sua ragion d’essere nella logica con cui l’autore operò nell’amplificazione e, pertanto, nel disegno medesimo che presiede all’esecuzione della Tragicomedia. Ebbene, ciò che si verifica negli atti intercalati è che l’incremento di comicità va di pari passo con l’incremento di protagonismo dei personaggi di bassa con-dizione, come Amanda J.A.Tozer ha avuto il merito di segnalare in un recente

 «Sacarle he lo suyo y lo ajeno del buche».

19St. Gilman, The Art of La Celestina (1956), trad. sp. La Celestina: arte y estructura di M. Frenk de

Alatorre, Madrid 1974, pp. 314, 318 e 320, rispettivamente.

20F. Maurizi, Le Tractado de Centurio, in La Célestine. Comedia o Tragicomedia de Calisto y Melibea,

Actes du Colloque International du 29-30 janvier 1993, organisé par F. Maurizi, Caen s. d. [1995], pp. 87-109. Cito dalle pp. 90 e 108, rispettivamente.

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scritto, non per la novità dell’assunto, bensì per la forma sintetica non meno che perentoria con cui l’argomento è esposto:

Following the deaths of Celestina, Pármeno and Sempronio in Act XII, the world of servants, prostitutes and pimps begins to take centre stage: Areúsa and Elicia become avengers, Tristán and Sosia become fictional pseudo-narrators, and Centurio developed in Acts XV, XVII and XVIII, thereby completing the burlesque picture with a sizeable helping of verbal incongruity and ridiculous exaggeration21.

Servi, prostitute e mezzani conquistano, dunque, il centro della scena, come non accadeva negli atti della Comedia, con il conseguente e inevitabile aumento di comicità, sebbene all’origine del dato quantitativo vi sia – ripeto – la bassa natura di una comicità che, in luogo di poggiare sull’infrazione da parte di risi-bili eppur norisi-bili personaggi nei confronti di aristocratici codici culturali e com-portamentali, degni forse di miglior considerazione e di più adeguati interpreti, come avveniva nella Comedia, si alimenta ora della presenza di squallidi protago-nisti, per la grettezza d’intenti o – nel migliore dei casi – per l’eccessiva sempli-cità d’animo e limitatezza d’ingegno, nonché della messa in opera dei più mise-rabili motivi che spronano l’agire umano, come il rancore e l’inganno, l’invidia e il desiderio di vendetta.

In tale prospettiva possiamo condividere l’osservazione di Heusch, secondo la quale «dans le passage de la Comedia à la Tragicomedia il [Rojas] soit moins intéressé para l’“histoire”, c’est-à-dire par la volonté de “creuser” ce qui existe déjà»22, a patto d’intendere con ciò che l’intrigo ordito da Areúsa e le

macchi-nazioni messe in opera dalle due orfane della vecchia mezzana consentano di ‘scavare’ più a fondo in un universo umano e sociale, che si manifesta in tutta la sua degradazione, senza che a tale abiezione facciano velo ormai le mistifi-cazioni ideologiche che il lettore trovava nella Comedia – e, naturalmente, trova tuttora nella Tragicomedia – nei discorsi con cui i due giovani e nobili amanti, Calisto e Melibea, si richiamano costantemente a norme e precetti dei codici culturali e comportamentali che dicono di voler osservare, ma a cui vengono meno risolutamente; e perfino nelle giustificazioni con cui Celestina, da un lato, e i due servi, Sempronio e Pármeno, dall’altro, coprono la loro sete di denaro e la richiesta di autonomia sociale.

Con la conquista del centro della scena da parte dei personaggi bassi, insomma, il gioco si fa del tutto scoperto, nel senso che la realtà umana si mostra nel suo nudo stato di vergognosa degradazione, senza alcuna mediazione ideologica in

 Antonio Gargano

21A. J. A. Tozer, Tristán, Sosia and Centurio as burlesque figures, in «La Corónica», 32 (2004), 2, pp.

151-170, la cit. a p. 152.

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grado di alterarne la natura, mistificandola. Così, in quella «creación nueva, basada en la observación de la realidad social coetánea»23, che è il personaggio di

Centurio, la nobile etica guerriera risulta indecorosamente mortificata nei vanilo-qui di uno sgherro di professione al servizio di una prostituta; analogamente, nella coppia pur leale dei nuovi servi,Tristán e Sosia, tra l’ingenuità dell’uno e la cautela dell’altro, le formule codificate del discorso cortese si sostanziano visibilmente l’impeto sensuale che spinge quel «simple rascacavallos» di Sosia a farsi vittima del-l’inganno di Areúsa, come i saggi consigli che elargisce al suo meno giovane com-pagno non sottraggono il sottile Tristán a fantasie scandalosamente licenziose, se non inducessero al più franco riso del lettore («aunque soy mochacho, que diese tan buena cuenta como mi amo»24); e, infine, nelle figure di Elicia e Areúsa, il

motivo tragico della vendetta si vede svilito al ridicolo malanimo di due prostitu-te, risentite di non poter godere dello stesso piacere riservato alla coppia di nobili amanti, più che offese e addolorate per la perdita della comune guida e maestra.

È in un simile contesto dunque, che anche la dote di riserbo e di discrezione, in cui consiste il dettame che prescrive la segretezza, intesa sia come norma cortese che come precetto morale, subisce a sua volta lo svuotamento di ogni contenuto nobilitante, a cui ho già accennato, e che ora possiamo più da presso ricostruire, seguendone le tracce negli atti intercalati.

3.Al centro del colloquio dell’atto XV, che si realizza tra le due donne rima-ste orfane della comune protettrice e vedove dei rispettivi amanti, c’è, come si ricorderà, il tema della vendetta, che l’intraprendente Areúsa non esita a suggeri-re alla compagna in lacrime, persuasa che «quien lo comió, aquél lo escote»25e,

pertanto, decisa a far pagare il fio delle sventure subite ai due giovani amanti, «causadores de tantas muertes». Ma per poter punire Calisto e Melibea, soggiun-ge la giovane ultrice, bisognerà prima appurare «cuándo se veen y cómo, por dónde y a qué hora»26, di modo che il tema della vendetta finisce per saldarsi

con quello del segreto, come, del resto, risulta esplicito dalle parole di Elicia, nella cui replica alla proposta della compagna e complice non tarda a fare la sua comparsa il termine-chiave, che è all’origine delle presenti riflessioni:

Yo conozco, amiga, otro compañero de Pármeno, mozo de caballos, que se llama Sosia, que le acompaña cada noche; quiero trabajar de se lo sacar todo el secreto, y éste será buen camino para lo que dices27

 «Sacarle he lo suyo y lo ajeno del buche».

23Lida de Malkiel, La originalidad artística cit., p. 693. 24La Celestina cit., p. 274.

25Ibid., p. 290. Sul proverbio cfr. la nota 290.59 a p. 712 e anche Anonimo / Fernando de Rojas,

Tragicomedia de Calisto y Melibea, edición de F. Cantalapiedra Erostarbe, Kassel 2000, III, pp. 1087-1088.

26La Celestina cit., p. 291. 27Ibid.

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dove risulta che la rivelazione del segreto funge da viatico per il compimento della vendetta. Tuttavia, è Areúsa che si offre di sacar il segreto al malcapitato Sosia, il quale – sappiamo dal colloquio con cui termina l’atto precedente – non doveva essere insensibile alle grazie fisiche della «enamorada, medio ramera», da lui indicata a Tristán come «una hermosa mujer muy graciosa y fresca», la cui compagnia farebbe la fortuna di chi la possiede specie se a basso costo («no se tiene por poco dichoso quien la alcanza a tener por amiga sin gran escote»28).

Subito, nelle parole di Areúsa, il proposito di estorcere il segreto al giovane servo di Calisto si presenta in una forma assai ripugnante, perché l’atto della rivelazio-ne vierivelazio-ne assimilato a quello del vomito. Non appena rivelazio-ne avrà l’occasiorivelazio-ne, dichia-ra con spavalderia la donna, «yo le [Sosia] halagaré y diré mil lisonjas y ofreci-mientos, hasta que no le deje en el cuerpo cosa de lo hecho y por hacer. Después a él y a su amo haré revesar el placer comido»29. Rivelazione del

segre-to da parte del servo e punizione nei confronti del suo signore vengono fatti coincidere in un unico atto di disgustosa emissione vomica.

All’atto XVII è rimandata la scena nel corso della quale, come anticipa

l’ar-gumento, «a casa de Areúsa, adonde viene Sosia, al cual Areúsa con palabras

fic-tas saca todo el secreto que está entre Calisto y Melibea»30.

Interrottosi per l’arrivo di Sosia il breve colloquio tra le due amiche, ormai entrambe decise a smettere per l’avvenire «el hábito de tristeza», ad Elicia che nel frattempo si è occultata dietro una tenda o una parete della casa, Areúsa, senza farsi sentire dal nuovo arrivato, rivela l’intenzione di voler approfittare del-l’occasione per carpire al servo di Calisto il segreto sugli incontri amorosi del suo padrone. Lo fa ricorrendo a un paragone non meno degradante di quanto lo fosse l’uso metaforico del verbo revesar, di cui si era servita precedentemente:

Y sacarle he lo suyo y lo ajeno – sussurra all’amica nascosta – del buche con halagos, como él saca el polvo con la almohaza a los caballos31.

Sebbene il contesto induca a considerare «buche» nell’eccezione metaforica di «el pecho, o el secreto del corazón» e, di conseguenza, a interpretare l’intera espressione nel significato testimoniato da Autoridades sulla base della frase di Areúsa: «se dice cuando con maña y artificio se le obliga a propalar, y descubrir algún secreto»; tuttavia, il paragone bestiale che immediatamente segue e che

 Antonio Gargano

28Ibid., p. 283. 29Ibid., p. 291.

30Ibid., p. 299. Sugli «argumentos» che introducono i singoli atti, si ricordi quanto denuncia lo

stesso Rojas nel prologo aggiunto nella Tragicomedia: «Que aun los impresores han dado sus punturas, poniendo rúbricas o sumarios al principio de cada acto, narrando en breve lo que dentro contenía; una cosa bien escusada según lo que los antiguos escritores usaron» (p. 20).

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attinge ai servizi che presta Sosia come «mozo de caballos», fa pensare piuttosto al significato letterale del sostantivo, con riferimento cioè al gozzo in cui gli uccelli trattengono il cibo. Del resto, in fatto di degradazione a livello animale, poco dopo nel testo, sorpresa dalla maniera di esprimersi di Sosia nel rivolgersi ad Areúsa, con uno stile che ridicolmente ricalca una retorica cortese del tutto inappropriata in bocca a un mozzo di stalla che corteggia una prostituta di nome, Elicia, nel suo nascondiglio, non può evitare di formulare fra di sé una riflessione, nella quale agguaglia il servo alle bestie di cui egli stesso si prende cura in casa del padrone:

(¡Oh hideputa el pelón, y cómo se desasna! ¡Quién le ve ir al agua con sus caballos en cerro, y sus piernas de fuera, en sayo, y agora, en verse medrado con calzas y capa, sálenle alas y lengua!)32.

Il raffinamento di Sosia, asceso forse da mozzo di stalla a servitore da camera, come fanno credere gli abiti che indossa, avviene comunque nel segno di una bestialità asinina, perché, nonostante il valore metaforico di desasnar, «desbastar y hacer perder la rudeza y torpeza de alguno», nella riflessione di Elicia, Sosia non sembra essersi spinto oltre la condizione di un equino ben ripulito, come gli animali che egli stesso provvede a strigliare e come sancirà il commento finale che la stessa Elicia pone a suggello della scena del colloquio tra Areúsa e Sosia.

Cosicché, per tornare alla frase da cui eravamo partiti, all’espressione «sacarle del buche» non è estranea la connotazione degradante che avevamo già riscon-trato nell’uso del verbo «revesar», dal momento che, nell’uno come nell’altro caso, colei che li pronuncia finisce per assimilare il segreto che intende estorcere e l’operazione con cui si appresta a farlo, rispettivamente, al ripugnante contenuto rigettato, per un verso, e all’asportazione di un prodotto non dissimile racchiuso nel gozzo di un giovane e ingenuo servo, che si lascia giudicare alla stregua della bestie a cui bada, per altro verso.

D’altronde, la nostra espressione ricorda quella con cui Melibea si riferisce all’esito del colloquio da lei avuto con Celestina nell’atto X, alla conclusione del quale – confesserà la giovane sventurata al padre – la mezzana «sacó de mi pecho mi secreto amor», con l’effetto che gli episodi contenuti negli atti X e XVII si svolgono entrambi all’insegna della volontà apparentemente comune di estorcere un segreto, ma laddove l’intento di Celestina era stato quello di portare in super-ficie, perché fosse accolto e soddisfatto, il desiderio illegittimo che Melibea occultava dentro di sé, ora, da parte di Areúsa si tratta di sottrarre con ingannevoli lusinghe ciò che Sosia sa, e incautamente custodisce, sugli incontri clandestini del suo padrone con Melibea.

 «Sacarle he lo suyo y lo ajeno del buche».

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Dopo averlo lusingato quanto basta, e dopo essersi resa conto che Sosia è alla sua mercé («no quiera Dios que yo te haga cautela», replica alle allettanti promes-se di lei), Areúsa porta a compimento l’attacco in modo sorprendente, consi-gliando alla malcapitata vittima della sua scaltrezza di non fare ciò che, invece, vuole che egli faccia, vale a dire che gli raccomanda di custodire gelosamente quel segreto che lei brama di strappargli. Lo fa ricorrendo a un triplice avverti-mento che si alimenta di famose sentenze e di luoghi comuni che risalgono alle tradizione misogina:

Cata, amigo, que no guardar secreto es propio de las mujeres; no de todas, sino de las bajas y de los niños. Cata que te puede venir gran daño, que para esto te dio Dios dos oídos y dos ojos y no más de una lengua, por que sea doblado lo que vieres y oyeres, que no el hablar. Cata no confíes que tu amigo te ha de tener secreto de lo que le dije-res, pues tú no le sabes a ti mismo tener33.

Ma è quando la stessa Areúsa si serve dello stratagemma del «falso testimo-nio», al quale mette in bocca notizie non vere sulle uscite notturne che Calisto compie in compagnia dei suoi servi, che Sosia cade definitivamente nel tranello e, nella foga di ripristinare la verità dei fatti, sconsideratamente finisce per svelare quanto avrebbe dovuto mantenere nel più stretto riserbo. Così, poco a poco, la verità dei fatti è resa manifesta, e Areúsa, nello spazio di poche battute, viene prima a sapere che gli incontri amorosi avvengono a notte inoltrata, quando «descansen todos en el dulzor del primer sueño», e che non sono stati più di otto nel mese; per poi apprendere il giorno, l’ora e il luogo in cui gli amanti si sono dati il prossimo appuntamento («Para esta noche en dando el reloj las doce está hecho el concierto de su visitación por el huerto»); e, infine, avere precisa notizia da uno dei diretti interessati persino del percorso che la combriccola compirà nottetempo («Por la calle del Vicario gordo, a las espaldas de tu casa»34).

La campana ha dato tanti e tali rintocchi da rimetterci addirittura il battaglio («¡Qué desgoznarse hace el badajo!»35), è il silenzioso e crudo commento di

Elicia, che dal recesso dov’è nascosta ha ascoltato tutto il colloquio tra la sua compagna e il povero Sosia. Non a caso, perciò, a chiosare le brusche parole di commiato con le quali Areúsa congeda l’innocente giovane la cui presenza in casa è di troppo ormai («Vete con Dios, que estoy ocupada en otro negocio y heme detenido mucho contigo»36), è di nuovo un breve e mordace giudizio

dell’invisibile Elicia, la quale, ammirata per la destrezza della sua complice, non

 Antonio Gargano

33Ibid., p. 304. 34Ibid., pp. 304-305. 35Ibid., p. 305. 36Ibid.

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rinuncia a svillaneggiare il mozzo di stalla, reiterando nei suoi confronti l’inso-lente riferimento asinino:

(¡Oh sabia mujer! ¡O despediente propio, cual le merece el asno que ha vaciado su secreto tan de ligero!)37.

Il mozzo di stalla che, nel precedente commento di Elicia, sembrava essersi liberato del carattere asinino («y cómo se desasna!»), col nuovo e definitivo ver-detto è restituito alla sua natura animale: un asino sorpreso nell’atto di ‘liberarsi’. E l’autore s’impegna ancora una volta nell’uso di un vocabolo ambiguo perché il verbo vaciar, come testimonia Autoridades, ha sia il significato di «decir lo que se debía callar, sin reparo, ù no observando el secreto», sia quello più grossolano di «vaciar el vientre». Con le ultime parole di Elicia, tanto più intense perché taciute, il tema del segreto ha raggiunto, davvero, il massimo livello della degra-dazione comica: l’atto della rivelazione di un segreto, che era già stato da Areúsa paragonato al vomito e al suo disgustoso prodotto espulso, termina con l’assimi-lazione alla defecazione e alla non meno ripugnante materia escrementizia.

 «Sacarle he lo suyo y lo ajeno del buche».

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