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STUDIO DELLE POTENZIALITA’ DIFFERENZIATIVE DI PRECURSORI MONOCITARI VERSO I LINEAGE DENDRITICO E MACROFAGICO

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(1)

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA

“TORVERGATA”

XVI CICLO DI DOTTORATO

TESI DI DOTTORATO IN IMMUNOLOGIA

“STUDIO DELLE POTENZIALITA’ DIFFERENZIATIVE DI

PRECURSORI MONOCITARI VERSO I LINEAGE DENDRITICO E

MACROFAGICO”

RELATORE DOTTORANDA

ELISABETTA MONTESORO TIZIANA FECCIA

CORRELATORE GINO DORIA

(2)

Al prof. Gino Doria per l’opportunità datami di crescere professionalmente.

Un ringraziamento particolare a Elisabetta e Cristiana per tutto il sostegno e l’affetto mostratomi.

(3)

INDICE

1 ABSTRACT... 5

2 INTRODUZIONE...7

2.1 Le cellule staminali...7

2.2Progenitori e precursori emopoietici, e relativi fattori di crescita...11

3 LE CELLULE DENDRITICHE...15

3.1 Origine e localizzazione...15

3.2Proliferazione e Differenziamento in vitro...19

3.3 Caratterizzazione fenotipica delle cellule dendritiche...23

3.4 Maturazione... 25

3.5Ruolo nell’attivazione della risposta immunitaria...30

3.5.1Captazione e processazione dell’antigene...30

3.5.2 Presentazione dell’antigene e attivazione linfocitaria...31

4 MATERIALI E METODI...34

4.1 Fattori di crescita ematopoietici e mezzi di coltura...34

4.2Purificazione delle HPCs...35

4.3Saggio clonogenetico delle HPCs...36

4.4Colture Liquide delle HPCs...37

4.5Purificazione dei monociti...38

4.6Generazione di cellule dendritiche...39

4.7Analisi morfologica e citofluorimetrica...39

4.8Sorting cellulare...41

4.9Analisi con FITC-DEXTRANO...41

4.10 Coltura mista linfocitaria MLR (Mixed Leukocyte reaction)...42

5 RISULTATI... 44

5.1 Caratterizzazione delle HPCs...44

5.2Differenziamento e maturazione dei monociti coltivati in sospensione liquida...44

5.3Analisi dell’espressione del recettore del GM-CSF e analisi antigenica...48

(4)

5.5Correlazione tra l’espressione del recettore del GM-CSF e l’induzione delle DCs

trattate con IL-4 e GM-CSF...53 5.6Attività funzionale delle cellule dendritiche derivate dai precursori Monocitari

56

6 DISCUSSIONE... 58 7 LEGENDA DELLE FIGURE...65 8 BIBLIOGRAFIA...69

(5)

1

ABSTRACT

Noi descriviamo un sistema di coltura nel quale le cellule progenitrici ematopoietiche purificate da sangue periferico, cresciute in un terreno selettivo specifico per la crescita monocitaria, M-CSF, IL-6 e FL, proliferano e subiscono una graduale maturazione/differenziazione, producendo una popolazione monocitaria virtualmente pure al 95%. A tutti gli stadi di sviluppo , i precursori monocitari vengono swicciati verso un lineage dendritico sostituendo il terreno di coltura con quello di crescita specifico per le cellule dendritiche, IL-4 e GM-CSF. Otteniamo cosi una popolazione cellulare altamente arricchita in cellule dendritiche, come dimostrato dall’acquisizione dell’analisi morfologica e fenotipica, e dalla capacità di indurre la stimolazione dei linfociti T. La potenzialità differenziativa della popolazione monocitaria di generare cellule dendritiche diminuisce alla fine del sistema di coltura, intorno al venticinquesimo giorno, quando la maggior parte delle cellule matura in senso macrofagico. Il presente studio dimostra che le cellule dendritiche di tipo mieloide possono essere generate dalle cellule del lineage monocitario a qualsiasi stadio del loro pathway differenziativo/maturativo. I nostri risultati forniscono nuovi elementi per la comprensione dello sviluppo delle cellule dendritiche, dimostrando che sia i precursori monocitari sia i

(6)

monociti circolanti possono differenziare in cellule dendritiche. I nostri risultati suggeriscono che i precursori monocitari possono rappresentare un notevole riserva di cellule dendritiche, più rapidamente disponibile delle HPC.

(7)

2

INTRODUZIONE

2.1

Le cellule staminali

Durante lo sviluppo embrionale, un singolo oocita fecondato e’ in grado di dare origine ad un organismo multicellulare con la formazione di cellule e tessuti differenziati, capaci di svolgere una particolare funzione specializzata.

Infatti le cellule, seguendo il loro particolare destino proliferativo e differenziativo , sono in grado di divenire prima tessuti e poi organi fino alla formazione dell’intero organismo. Generalmente la capacità proliferativa decresce con il progredire della differenziazione, infatti la gran parte delle cellule presenti in un organismo adulto non sono più in grado di proliferare in quanto hanno raggiunto gli stadi terminali della loro differenziazione. Tuttavia, anche quando l’organismo si è definitivamente sviluppato, in alcuni tessuti ed organi, permangono delle cellule che mantengono la capacità di rigenerarsi e di differenziarsi e che quindi sono in grado di sostituire quelle che, avendo un ciclo vitale limitato, vanno incontro a morte cellulare (Fuchs and Segre, 2000).

Le cellule deputate a tale scopo,che hanno quindi la capacita’ sia di riattivare la proliferazione sia di differenziarsi,sono chiamate cellule staminali. Le cellule staminali sono cosi definite: cellule

(8)

clonogeniche capaci di rigenerarsi e attuare una differenziazione multilineage .(Till and McCulloch,1961; Moore,1971)

Questa peculiare proprietà delle cellule staminali implica che esse sono in grado di generare delle divisioni mitotiche asimmetriche nelle quali una delle due cellule figlie acquisisce la capacita’ di differenziare, mentre l’altra rimane in uno stato indifferenziato rappresentando quindi una copia della cellula madre. Grazie a questa particolare proprieta’ il differenziamento della cellula staminale avviene senza intaccare il pool esistente di queste cellule.

L’identificazione dei segnali che regolano la differenziazione delle cellule staminali è fondamentale per la conoscenza della diversita’ cellulare. L’ identificazione dei markers intrinseci, quali i fattori trascrizionali che sono in grado di modificare e di indirizzare il programma d’espressione genica delle cellule staminali,ha fornito strumenti molecolari per esplorare i meccanismi del commitment, ossia i meccanismi che regolano la scelta della linea differenziativo delle cellule staminali. (Edlund and Jessell,1999).

Mentre la diversificazione dei differenti tipi cellulari è completata subito dopo la nascita, nell’adulto molti tessuti subiscono un lento rinnovamento e perciò devono disporre di una popolazione di cellule staminali a lunga emivita relativamente plastiche, per consentire il mantenimento del tessuto durante tutta la vita dell’individuo.

(9)

Le cellule staminali adulte sono spesso cellule con un ciclo lento che risponde a specifici segnali ambientali, generando una nuova popolazione di cellule staminali e selezionando un programma particolare di differenziamento per rimpiazzare i tipi cellulari andati incontro a morte cellulare.(Fuchs and Segre, 2000).

Quando una cellula staminale viene determinata, quindi viene indirizzata verso uno specifico differenziamento cellulare, spesso entra in uno stato transitorio di rapida proliferazione, e si divide dando luogo a due cellule figlie: una delle due differenzia, mentre l’altra rimane identica alla cellula madre, e dopo aver concluso il suo ciclo proliferativo, è ancora in grado di ritornare allo stadio di quiescenza come cellula staminale, e pronta ad eseguire un nuovo programma differenziativo e proliferativo. (Potten et al.1979).(Fig1)

Fig.1

Le nostre conoscenze sui meccanismi che controllano il programma differenziativo delle cellule staminali sono ancora molto limitate. Gli studi finora condotti suggeriscono un modello secondo il quale le

(10)

potenzialità differenziative sono una caratteristica intrinseca delle cellule staminali e sono espresse in maniera stocastica, mentre gli stimoli esterni, rappresentati da fattori di crescita o da interazioni cellulari, non svolgono un ruolo istruttivo, bensi’ solo permissivo su tale processo. Nell’organismo adulto esistono vari tipi di cellule staminali in diversi tessuti a rapido rinnovamento. Tra questi alcuni esempi tipici sono rappresentati dalle cellule staminali della cute, della mucosa intestinale, del cervello o del tessuto emolinfopoietico. (Miller et al.1999). In alcuni casi queste cellule sono localizzate in microaree anatomiche caratteristiche, come è il caso delle cellule staminali della mucosa intestinale localizzate a livello della cripta intestinale.

Tuttavia, in altri casi, le cellule staminali non hanno una localizzazione fissa nell’ ambito del tessuto d’origine. E’ stato supposto, ma non dimostrato con certezza, che le cellule staminali, ed in particolare le cellule staminali emopoietiche, possono risiedere in nicchie speciali nelle quali esse siano schermate in maniera adeguata nei confronti di stimoli microambientali. (Fuchs et al. 2000).

(11)

2.2

Progenitori e precursori emopoietici, e relativi fattori di

crescita

La cellula staminale meglio caratterizzata e la più studiata è lacellula staminale emopoietica (HSCs Hematopoietic Stem Cell). Studi recenti dimostrano che le HSC sono importanti per lo sviluppo del sistema emolinfopoietico e che sono in grado anch’esse di rigenerarsi..

Si è dimostrato inoltre che le HSC possono dividersi in sottopopolazioni a lunga emivita ( “long-term subset”, LT-HSC), capaci di rigenerarsi indefinitamente durante tutta la vita; e in popolazioni a emivita breve ( “short-term subset”, ST-HSC), con capacità differenziative più limitate. ( Morrison and Weissman, 1994, Weissman, 2000).

La linea di differenziazione delle cellule multipotenti è : LT-HSC  ST-HSC  progenitori multipotenti (MPP)

Le cellule multipotenti, ad ogni stadio differenziativo, evolvono in uno step di maturazione funzionalmente irreversibile.

Le HSC, in seguito a differenziazione sono in grado di generare le cellule delle diverse linee emopoietiche. Durante il loro processo differenziativi le HSC generano inizialmente due tipi di progenitori emopoietici multipotenti:

(12)

a) un progenitore linfoide in grado di generare tutte le cellule di tipo linfoide (linfociti T, B, NK);

b) un progenitore mieloide in grado di generare le quattro linee di tipo mieloide (eritrociti, megacariociti, monociti e granulociti). Il progenitore T linfoide migra nell’abbozzo del timo, ed in questa sede progressivamente si differenzia nei vari tipi di linfociti attraverso un processo che è caratterizzato da eventi molecolari specifici, e che è sotto controllo del microambiente timico.

Il progenitore mieloide invece differenzia progressivamente nelle diverse linee ematopoietiche caratterizzate , da un punto di vista sperimentale, in base alla capacità di formare colonie (CFU, Colony Forming Units) o “burst” (Burst Forming Unit) in mezzo semisolido sotto lo stimolo di fattori di crescita ematopoietici specifici, denominati “Colony Stimulating Factors” (CFS) e interleuchine, che sono rilasciati fisiologicamente da vari tipi cellulari ( cellule staminali del midollo, monociti-macrofagi, linfociti T e NK).

Si distinguono così cellule progenitrici della serie eritroide (BFU-E e CFU-E progenitori iniziali e più differenziati rispettivamente); della serie granulo-macrofagica (CFU-GM, CFU-G e CFU-M) e della serie megacariocitaria (BFU-MK, CFU-MK). (Andrews et al. 1990 ; Guerriero et al. 1995).

(13)

progenitori iniziali (BFU-E e CFU-GM), mentre l’eritropoietina, l’interleuchina 5 (IL-5), il GM-CSF ed il macrophage colony stimulating factor (M-CSF) agiscono essenzialmente sulla proliferazione e\o differenziazione dei progenitori più avanzati (CFU-E, CFU-G, CFU-M, rispettivamente) e sull’attivazione delle cellule terminali mature. (Clark et al. 1987). Questi progenitori poi nel micro-ambiente midollare maturano progressivamente nei vari elementi emopoietici.(Fig2)

(14)

Hematopoiesis

(15)

3

LE CELLULE DENDRITICHE

3.1

Origine e localizzazione

L’evoluzione ha fornito all’uomo due distinti, e altamente sofisticati, meccanismi di difesa immunitaria nei confronti degli agenti patogeni ambientali: 1) il sistema dell’immunità innata, deputato a reagire rapidamente (da pochi minuti a poche ore) in modo piuttosto semplice, nei confronti degli attacchi patogeni; 2) il sistema dell’immunità acquisita, caratterizzato da un tipo di risposta difensiva altamente specifica, che si conforma alle strutture estranee all’organismo (non-self). Questo sistema è in grado anche di attuare uno stato di tolleranza nei confronti delle strutture proprie (self). I meccanismi che sono alla base dell’immunità acquisita implicano diverse fasi di riconoscimento e reazioni nelle quali vengono impegnati molti tipi di cellule. Infatti, inizialmente intervengono le cellule che presentano l’antigene (APC “Antigen Presenting Cell”), ossia cellule in grado di internalizzare l’antigene, processarlo e riesprimerlo sulla membrana cellulare modificato in modo tale da renderlo riconoscibile alle cellule immunocompetenti deputate ad innescare la risposta immunitaria specifica. Tra le cellule in grado di presentare l’antigene, le cellule dendritiche

(16)

esplicano una funzione cardine nel fornire informazioni sugli agenti patogeni invasivi ad altri partners cellulari (cellule effettrici) del sistema immunitario. Dal punto di vista morfologico, le DC sono caratterizzate da numerosi e sottili processi citoplasmatici, che conferiscono loro un aspetto a vela. Esse appaiono come cellule metabolicamente attive con mitocondri dispersi, apparato di Golgi riconoscibile, alcuni lisosomi, fagolisosomi , gocciole lipidiche, e un reticolo endoplasmatico ben sviluppato. Le cellule dendritiche sono provviste di un grande nucleo, con numerose dentature e con eterocromatina generalmente depositata a livello della membrana nucleare. (Nestel et al. 1995) (Fig 3)

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Le DC sono cellule specializzate nella cattura degli antigeni e altamente efficienti nella stimolazione immunitaria T-dipendente. Sono ritenute, infatti, le APC maggiormente coinvolte nell’ induzione della risposta immunitaria. (Young et al., 1999).

Nonostante rappresentino una popolazione estremamente eterogenea, le DCs possono essere divide in due gruppi con origine, caratteristiche e funzioni differenti :

 DC di derivazione midollare, appartenenti alla linea mieloide o linfoide;

 DC che non derivano da precursori ematopoietici midollari, ma secondo studi recenti da elementi stromali.

I progenitori delle DC presenti nel midollo osseo passano nel sangue e si distribuiscono nei vari organi, localizzandosi negli epiteli e negli spazi interstiziali. In queste sedi i progenitori acquisiscono le caratteristiche tipiche delle DC che le rendono particolarmente adatte a svolgere il ruolo di sorveglianza immunitaria. Dopo l’esposizione a stimoli antigenici o infiammatori le DC interstiziali presenti negli organi solidi migrano nei linfonodi regionali o nella milza attraverso la via linfatica o ematica rispettivamente, mentre le DC presenti negli epiteli migrano, attraverso i vasi linfatici afferenti, nei linfonodi regionali. In questa fase le DC acquisiscono la loro peculiare morfologia e modificano il loro metabolismo esprimendo sulla membrana le molecole costimolatorie necessarie

(18)

per l’attivazione dei linfociti T. Infine, una volta giunte negli organi linfatici, le DC possono localizzarsi nell’area parafollicolare, dove si differenziano in cellule interdigitate in grado di attivare i linfociti T “naive”, o nel centro germinativo dove presentano l’antigene a linfociti T della memoria, avviando risposte immunitarie di tipo secondario. In ogni caso le DC esplicano il loro ruolo di APC entrando in stretto contatto con i linfociti deputati alla risposta immunitaria specifica e provocandone l’attivazione sia attraverso l’espressione del complesso antigene-Complesso Maggiore di Istocompatibilità (MHC, Major Histocompatibility Complex), che attraverso le molecole costimolatorie.

Al gruppo mieloide appartengono le DCs presenti nei tessuti interstiziali di molti organi, nella cute o nelle mucose epiteliali dove sono conosciute come cellule di Langerhans (LCs).

Alla linea linfoide appartengono le DCs interdigitate che mediano processi di selezione negativa e sono localizzate nel timo, nelle tonsille, negli organi linfatici periferici e nel sangue.

Il secondo gruppo di DC non deriva da precursori midollari e non presenta caratteristiche fenotipiche che potrebbero indicare un’origine ematopoietica. Sono denominate cellule dendritiche follicolari e appaiono nei centri germinativi dei follicoli linfatici linfonodalii, nonché nei tessuti associati alle mucose. Il loro ruolo è

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aproteine d’attivazione del complemento e, dopo averlo processato, esporlo sulla superficie offrendolo al riconoscimento da parte dei linfociti B della memoria che, a loro volta, stimolano ulteriormente la risposta T linfocitaria.

La migrazione delle DC dai siti periferici agli organi linfatici è un fenomeno strettamente correlato sia al loro differenziamento che alla maturazione funzionale che ancora non è stato completamente chiarito. Alcune molecole, dette chemo-attrattanti, quali SDF-1 e MIP1 -, nonché le citochine tumor necrosis factor  (TNF-) e IL-1 sembrano svolgere un ruolo fondamentale in tale processo (Melchers et al., 1999).

3.2

Proliferazione e Differenziamento in vitro

Le DC sono localizzate in gran parte dei tessuti, tranne il cervello, ma la loro bassa percentuale ( 0,1 % in tonsille, timo, milza;  1% nel sangue; 1-3% nell’epidermide) ne rende difficile l’isolamento.

Fin dalla prima dimostrazione dell’origine midollare delle DC (Katz, 1979), sono stati fatti numerosi tentativi per identificare i loro precursori e i precursori delle cellule di Langerhans, nel midollo osseo e nel sangue. A tal fine, negli anni passati, sono state seguite due strategie principali. La prima, descritta da Caux nel 1992 (Caux

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et al., 1992), prevede un sistema in grado di generare cellule dendritiche simili alle cellule di Langerhans CD1a+, a partire da

cellule staminali CD34+, in presenza di GM-CSF e TNF-.

La generazione di cellule dendritiche venne perfezionata in esperimenti successivi aggiungendo Stem Cell Factor/c-kit ligand (SCF/KL) e/o FLT-3 ligando (FL), che portavano a una maggiore produzione di cellule CD1a+, con la tipica struttura dendritica, e forte espressione di antigeni di istocompatibilità di classe II, CD4, CD40, CD54, CD58, CD80, CD83 e CD56 (Novak N, 1999). Fatto importante, queste cellule avevano una grande capacità di stimolare la proliferazione di cellule T vergini e di presentare antigeni solubili a cloni di linfociti CD4+. In altri studi, Sallusto e Lanzavecchia (Sallusto , Lanzavecchia . 1994), hanno dimostrato che monociti maturi isolati da sangue periferico coltivati in presenza di GM-CSF e interleuchina 4 (IL-4), sono in grado di differenziarsi in DC. Infatti, dopo 7 giorni di coltura si ottengono cellule assimilabili, dal punto di vista fenotipico a cellule dendritiche interstiziali che esprimono i marker CD1a+, CD11b, CD68 e il fattore XIIIa della coagulazione. .

Tuttavia, per raggiungere il pieno stadio maturativo e diventare cellule dendritiche altamente stimolatorie.necessitano di una ulteriore stimolazione con il ligando di CD40 (CD40L), con endotossina, o con TNF-.

(21)

Inoltre frazioni cellulari numericamente abbondanti e altamente arricchite in DC si ottengono da espianti di pelle, da monociti purificati dal sangue periferico trattati con GM-CSF e IL-4, o da progenitori ematopoietici CD34+ isolati da midolo osseo, sangue di cordone ombelicale o sangue periferico (tab. 1 ; Cameron et al. 1996)

Progenitori CD34+ DC dei tessuti periferici DC degli Organi linfoidi Funzione Origine in vitro Mieloidi LC DC interdigitate Presentazione dell’antigene a linfociti T Precursori CD34+ (no via CD14+) DC interstiziali, incluse le DCs del derma DC del centro germinativo Presentazione dell’antigene a linfociti T Mo CD14+, precursori CD34+(via CD14) Linfoidi Non definite Dc CD11c- in timo e linfonodi Selezione negativa di cellule immunocompetenti Precursori CD11c- e

TABELLA 1: Caratteristica delle DC di derivazione midollare

Le popolazioni di DC mature che si ottengono risultano eterogenee per fenotipo e funzione. Le citochine attive coinvolte nella proliferazione, differenziamento e maturazione dendritica sono:

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 KL/SCF e/o FL sono fattori di crescita necessari per l’espansione dei progenitori mieloidi CD33+.

 GM-CSF e TNF-a necessari per la loro differenziazione in precursori CD14- e CD14+. Da questi ultimi,in presenza di GM-CSF, TNF-a e IL-4 si ottengono DC interstiziali immature che perdono il marcatore CD14 eaumentano l’espressione del MHC di classe II; dai precursori CD14- in presenza di GM-CSF, TNF-a-b si ottengono le LC.

 FL e IL3 sono richiesti rispettivamente per l’espansione e la differenziazione dei precursori linfoidi CD33-, mentre per la loro successiva maturazione viene richiesto IL-3e CD40L. (Bancherau et al.1998).

E’ importante sottolineare che per la differenziazione/maturazione dendritica vengono riportate in letteratura condizioni di coltura diverse: in particolare sono descritte varie combinazioni delle tre citochine più comunemente usate, GM-CSF, IL-4 e TNF-a che possono anche essere aggiunte in quantità e tempi diversi. Infine, in alcuni studi è stato descritto che KL e FL sono in grado di potenziare la capacità proliferativi delle DC (Siena S. et al 1995; Rosenzwajg et al. 1996)

(23)

3.3

Caratterizzazione fenotipica delle cellule dendritiche

Come si è detto le DC costituiscono un sistema cellulare molto eterogeneo, pertanto il loro fenotipo varia in base all’origine cellulare, dai mezzi usati per la purificazione, e dallo stato di attivazione. Inoltre la loro caratterizzazione fenotipica è ulteriormente complicata dall’assenza di marcatori specifici espressi esclusivamente su questa linea cellulare e quindi si basa principalmente sulla associazione di una serie di marker di membrana che, presi individualmente, sono espressi anche su altri tipi cellulari. Membri della famiglia delle molecole CD1, che hanno somiglianze strutturali con le molecole di classe I del MHC vengono espressi dai timociti corticali e in maniera differenziata da alcune sottopopolazioni di DC: le cellule dendritiche dermiche o migranti esprimono CD1b (Richters CD, 1996); CD1b e CD1c sono probabilmente espressi dalle cellule dendritiche interdigitate delle aree T degli organi linfatici; l’espressione di CD1c è stata segnalata su cellule dendritiche ematiche, ma tale dato rimane controverso (Kohrgruber, 1999, McKenzie, 1995). Inoltre le cellule dendritiche ematiche e tonsillari non esprimono CD10 e una sottopopolazione di cellule dendritiche fresche attivate, ma non le cellule dendritiche tonsillari, esprime CD11c .

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Gli anticorpi monoclonali CMRF-4, CMRF-56 e CD83, riconoscono antigeni primariamente espressi su cellule dendritiche umane attivate o coltivate. L’anticorpo monoclonale CMRF-44 si lega a un antigene ad alta densità espresso su cellule dendritiche ematiche coltivate, su cellule dendritiche fresche e su cellule di Langerhans isolate (Fearnley 1997.) e identifica un altro marker di attivazione. In comune con altri leucociti, le cellule dendritiche esprimono isoforme di CD45 (Hart 1997).

Altri antigeni relativi alla linea di appartenenza di comune riscontro, sono associati alla migrazione e alla funzione delle cellule dendritiche. Questi marcatori, inutili per la purificazione cellulare, possono agevolarne la caratterizzazione fenotipica. In ultima analisi, l’espressione delle molecole di superficie nelle popolazioni dendritiche è un evento molto dinamico. L’esposizione a piccole quantità di sostanze diverse e i tempi di coltura, possono influenzare drammaticamente il fenotipo della popolazione cellulare risultante.

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Nonostante la loro notevole eterogeneità le DC rappresentano una popolazione estremamente eterogenea ma, nonostante le differenze, esistono delle importanti proprietà in comune: la morfologia, particolarmente il profilo citoplasmatico, la motilità, una particolare associazione di marcatori di membrana, che, nel loro insieme, permettono di distinguerle dai rimanenti leucociti. Tuttavia tutte queste caratteristiche variano notevolmente in relazione allo stadio maturativo.

Le DCs immature, presenti nella cute e nei tessuti interstiziali di molti organi, sono cellule piccole con dendriti molto sottili e lunghi al massimo 10 m che permettono di catturare gli antigeni che verranno poi internalizzati e processati (Bancherau et al 1998). Caratteristica comune di tutte le DC immature è l’espressione sulla membrana cellulare di alti livelli di recettore per il frammento Fc delle immunoglobuline (FcR) e di recettori per le chemochine CCR1, CCR5, CCR6 che poi vengono persi in seguito alla maturazione. Caratteristica peculiare invece delle solo cellule LC immature è la presenza di organelli citoplasmatici denominati granuli di Birbeck che vengono persi durante il processo maturativo e la cui funzione è ancora

La maturazione delle DC è un evento cruciale per l’ inizio della risposta immunitaria. Essa può essere indotta da batteri o da componenti della loro parete come l’ LPS, da stimoli infiammatori,

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da citochine quali TNF-a, IL-1b, IFNa-b e prostanglandine mentre viene inibita da VEGF e da IL-10 (Oyama et al. 1998).

Una volta attivate, le DC migrano nei linfonodi dove presentano un incremento dell’espressione del MHC di classe II, delle molecole costimolatorie, quali CD40, CD80 e CD86 (Derek et al 1999) CD83 e p55 (Steimann et al 1999) considerati i marcatori d’identificazione delle DC mature. Teorie contrastanti riguardano l’espressione dell’antigene CD1a: secondo alcuni autori è caratteristico delle DC immature (Steinman et al., 1997; Young et al., 1999), mentre secondo altri compare solo in seguito alla maturazione (Derek, 1997; Weissman, 1997).

Qui di seguito vengono elencati i recettori di membrana delle DC in relazione al loro stadio maturativo:

MARKER DC IMMATURE DC MATURE

P55(fascina) - ++ CD1a -+ + -CD4 + -\+ CD11a ++ ++ CD13 + + CD14 - -CD54(ICAM-1) + +++ CD50(ICAM-2) + + CD102(ICAM-3) +++ +++

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CD33 + + CD40 +\- ++ CD80 - ++ CD83 - + CD86 - ++ CD45RO - ++ CCR1 + -CCR5 + -CCR6 + -CCR7 - + CXCR4 - + HLA-ABC(MHC-I) ++ +++ HLA-DP(MHC-II) + +++ HLA-DQ(MHCII) ++ +++ HLA-DR(MHC-II) ++ +++

Oltre al cambiamento fenotipico le DC mature presentano una variazione nel profilo morfologico, dovuta allo sviluppo di lunghi processi citoplasmatici, acquisiscono la capacità di secernere diverse citochine tra cui la IL-12, che favorisce la presentazione antigenica, la loro migrazione nei linfonodi e quindi l’attivazione linfocitaria (Mulè et al. 2000). (Tab.2)

DC IMMATURE DC MATURE Localizzazione Epidermide e tessuti

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Funzione Cattura, processazione

Ed esposizione dell’Ag Attivazione dei linfociti Morfologia Corti dendriti Lunghi dendriti Citochine prodotte - IL-12, IL-8, MIP1

Caratteristiche Alta capacità proliferativi Alta motilità Localizzazione citoplasmatica di molecole MHC di classe I e II Bassa espressione di molecole costimolatorie Bassa capacità proliferativi Bassa motilità Localizzazione sulla superficie cellulare di molecole MHC di classe I e II Alta espressione di molecole costimolatorie Tabella 2: Caratteristiche delle DC immature e mature

(29)

(Fig. 4)

3.5

Ruolo nell’attivazione della risposta immunitaria

3.5.1 Captazione e processazione dell’antigene

Nella maggior parte dei tessuti sono presenti DCs in forma immatura, incapaci di stimolare linfociti T ma altamente specializzate nel catturare l’antigene. Le DC possono legare diverse proteine dotate di scarsa o nulla affinità per molecole di superficie,

(30)

e internalizzarle mediante un processo di fagocitosi o pinocitosi. Esistono, tuttavia, casi particolari in cui molecole di superficie mediano il legame e la successiva internalizzazione dell’antigene in vescicole rivestite di clatrina attraverso un processo di endocitosi recettore-mediata: è questo il caso dei recettori specifici per la porzione Fc delle immunoglobuline e dei recettori per il mannosio. Gli antigeni internalizzati vengono compartimentati in vescicole intracellulari chiamate endosomi e quindi nei lisosomi (Rescigno et al 1997); sia gli endosomi che i lisosomi costituiscono i siti intracellulari dove si verifica la processazione degli antigeni. Le proteine processate negli endosomi danno origine a peptici che si legano a molecole MHC di classe II. I complessi risultanti MHC-II/peptide sono, infini, indirizzati verso la superficie della cellula attraverso la fusione delle vescicole esocitiche, nelle quali sono contenuti, con la membrana cellulare, i complessi sono cosi esposti e riconosciuti dai linfociti T CD4+.

Diverso è il percorso dei peptici derivati da antigeni proteici sintetizzati endogenamente come le proteine virali. Tali peptici sono generati proteoliticamente nel citoplasma quindi trasportati nel reticolo endoplasmatico dove si legano alle molecole MHC di classe I; i complessi che si formano migrano attraverso le vescicole esocitiche del golgi alla superficie cellulare dove sono riconosciute

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3.5.2 Presentazione dell’antigene e attivazione linfocitaria.

Le DC in seguito alla captazione ed esposizione dell’antigene migrano nei linfonodi dove completano la maturazione. In questo distretto possono localizzarsi nell’area parafollicolare, nei centri germinativi o nella zona midollare e attrarre linfociti T o B attraverso il rilascio di citochine specifiche.

La presentazione dell’antigene attiva specifiche risposte funzionali dei linfociti T, quali la proliferazione e la differenziazione in cellule effettrici. I linfociti T helper CD4+ attivati esprimono nuove

molecole di membrana, tra queste CD40L, Fas e il recettore per IL-2, inoltre producono citochine che favoriscono la proliferazione dei linfociti T, inducono la produzione di anticorpi da parte dei linfociti B e attivano cellule dell’immunità naturale. La presentazione dell’antigene ai linfociti T citotossici (CTL) CD8+ ne induce la

maturazione e l’attivazione delle capacità litiche.

Gli eventi di attivazione linfocitaria hanno inizio quando i complessi MHC-peptide presenti sulle APC si legano al TCR (T Cell Receptor) (Young et al. 1999). Oltre al complesso TCR, numerose molecole accessorie costimolatorie svolgono un ruolo importante nell’attivazione linfocitaria; tali molecole interagendo con i ligandi espressi sulle APC, forniscono forze stabilizzanti l’adesione e

(32)

permettono la trasduzione dei segnali. Tra queste un ruolo rilevante è svolto da CD4 e CD8, molecole accessorie corecettoriali, che stabilizzano il legame tra TCR e MHC: il CD4 è espresso sui linfociti T helper ristretti a MHC di classe II, mentre il CD8 è espresso sui CTL ristretti a MHC di classe I. La molecola CD28, espressa sui linfociti T, in seguito a legame con la molecola CD80 e CD86 espresse sulle DC, trasduce segnali costimolatori necessari alla completa attivazione linfocitaria. Le integrine LFA-1 e VLA-4 espresse sulle cellule T legano, rispettivamente, ICAM e VCAM-1 presenti sulla superficie delle cellule dendritiche. Ai segnali stimolatori delle molecole accessorie si uniscono quelli dei fattori solubili secreti dalle APC in seguito all’interazione con i linfociti. Il principale fattore che induce rilascio di citochine è il CD40 ligando (CD40L)che è espresso dai linfociti T attivati. Il legame del CD40L con il suo recettore (CD40) espresso sulle DC induce queste ultime a secernere IL-12 e favorisce la produzione di IFN da parte dei linfociti T. L’ IFN, infine, favorisce la risposta immune verso antigeni virali o patogeni endocellulari (Banchereau et al., 1998).

(33)

4

MATERIALI E METODI

4.1

Fattori di crescita ematopoietici e mezzi di coltura

I fattori di crescita ematopoietici utilizzati per le colture cellulari sono: interleuchina-3 ricombinante umana (rhIL-3; 2x106 U/mg);

fattore stimolante colonie granulomonocitiche (rhGM-CSF) e interleuchina-6 (rhIL-6; 2x106 U/mg) che sono stati forniti da

(34)

1,2x105 U/mg) acquistata da Amgen (Thousand, CA,USA);flt-3

ligando (rhFL; 1,9x106 U/mg) fornito da Immunex(Seattle,WA,usa).

RhG-CSF (1x108U/mg) e rh M-CSF (6x107 U/mg) acquistati da R&D

System Inc. (Minneapolis, MN, USA). Trombopoietina (rhTpo; 1x106

U/mg), c-Kitl (rhKL; 1x105 U/mg) e interleuchina-7 (rhIL-7; 2x106

U/mg) sono stati forniti da Prepotech Inc.(Rocky Hill; NJ,USA). L’interleuchina-4 (rhIL-a; 1x105U/mg) è stata acquistata da

Schering-plought(Medison,NJ). Inoltre siero fetale di vitello (FCS) e RPMI sono stati forniti da Hyclone (Logan, UT). Iscove’s modified Dulbecco’s medium (IMDM) (GIBCO) è stato preparato settimanalmente prima di ogni purificazione.

4.2

Purificazione delle HPCs

Negli esperimenti da noi effettuati sono stati utilizzati progenitori emopoietici umani (HPC) purificati a partire da sangue periferico (PB), ottenuto da donatori tra i 20 e i 40 anni, in buono stato di salute, dopo aver ottenuto precedentemente il consenso scritto dal donatore stesso. I HPCs sono stati purificati mediante microbiglie magnetiche coniugate con l’anticorpo monoclonale anti-CD34 (CD34

(35)

MultiSorter Kit, Mylteni Biotech, Germany). Dopo aver diluito il campione di sangue con soluzione fisiologica e stratificato su di un gradiente di Ficoll o Lymphoprep, si centrifuga a 1600rpm per 30 minuti a temperatura ambiente, al fine di separare le cellule mononucleate da globuli rossi e granulociti. Lo strato di cellule mononucleate è cosi recuperato e lavato due volte in soluzione fisiologica contenente EDTA 2mM, centrifugate due volte per dieci minuti a 20 C a 1400 rpm e una volta a 800 rpm per eliminare le piastrine.

100 milioni di cellule vengono marcate con 0,1 ml del kit MultiSorter contenente microbiglie magnetiche coniugate con un anticorpo monoclonale murino diretto contro anticorpi anti CD34 umani, in presenza di 0,1 ml di FcR per inibire il legame aspecifico di reazione, e incubate per 30 minuti a 4°C. Le cellule sono poi risospese in 4 ml di tampone e separate mediante passaggio su una colonna magnetica che trattiene la popolazione CD34+ che ha legato

le microbiglie. Tali cellule vengono poi fatte eluire dalla colonna e analizzate per il loro grado di purezza tramite marcatura con un anticorpo monoclonale anti-CD34 coniugato con ficoeritrina (PE) e successiva analisi citofluorimetrica. La popolazione di cellule purificate risulta costituita dal 96-98% di cellule CD34+. In alcuni

esperimenti per ottenere una popolazione CD34+ virtualmente pura

(36)

anticorpo monoclonale anti-CD34 (clone 536) e fatte passare al FACSVantageSE o al FACSDIVA (Becton-Dickinson).

Le cellule CD34+ sono contate, ne viene valutata la vitalità e vengono

infine piastrate in mezzo semisolido per il saggio clonogenetico.

4.3

Saggio clonogenetico delle HPCs

Per il saggio clonogenetico (Guerriero et al., 1995), le HPC vengono piastrate (1x102 cell/ml per pozzetto) e messe in coltura con 0,9% di

metilcellulosa, in presenza o in assenza di siero fetale di vitello (FCS). Alle colture FCS+ vengono aggiunti IMDM, -tioglicerolo (10-4

mol/L), ammonio ferrico citrato (10 g/ml) e transferrina umana (0,7 mg/ml). Alle colture FCS- vengono aggiunti: albumina bovina,

lipidi a bassa densità (LDL, Low Density Lipid) (40 g/ml), insulina (10 g/ml), sodio piruvato (10-4 mol/L), glutamina (2x10-3 mol/L),

elementi inorganici rari, solfato ferroso (4x10-8 mol/L) e nucleosidi

(10 g/ml ciascuno).

Entrambe le colture (FCS+ e FCS-) sono supplementate con, FL (100

ng/ml), KL (100 ng/ml), IL-3 (100 U/ml), Tpo (100 ng/ml), GM-CSF (10 ng/ml), Epo (3 U/ml), M-CSF (250 U/ml) e G-CSF (500 U/ml) (Testa et al. 1996 ). La lettura dei vari tipi di colonie avviene a tempi diversi; infatti le CFU-MK vengono osservate intorno alla

(37)

decima-dodicesima giornata, le colonie CFU-GEMM e BFU-E dopo 14-15 giorni, per colonie CFU-GM, invece, intorno al sedicesimo giorno.

4.4

Colture Liquide delle HPCs

Le colture in fase liquida dei progenitori ematopoietici CD34+

purificati sono state effettuate in presenza di fattori di crescita specifici che consentono il differenziamento selettivo verso ciascun lineage. Per il differenziamento del lineage monocitario, le cellule sono state incubate in IMDM in presenza del 20% FCS, IL-6 (1 ng/ml), FL (100 ng/ml) e M-CSF (250 U/ml). Le colture sono mantenute in condizioni di ossigeno controllato a 5% di CO2, 5% di

O2 e 90% di N2. A diversi giorni della coltura le cellule sono state

prelevate, colorate con Trypan blue per verificare la vitalità cellulare, e, quando necessario, diluite con terreno di coltura fresco contenente i fattori di crescita appropriati. Dopo 7-20 giorni di coltura, le cellule erano o mantenute nel terreno monocitario, o indotte a differenziare in cellule dendritiche.

(38)

I monociti sono stati purificati da sangue periferico, ottenuto da donatori sani, utilizzando microbiglie magnetiche coniugate con l’anticorpo monoclinale anti-CD14 (Miltenyi Biotec). Il campione di sangue è stato diluito con soluzione fisiologica e stratificato su un gradiente di Ficoll, quindi centrifugato a 1600 rpm per 30 minuti a temperatura ambiente, al fine di separare da globuli rossi e granulociti le cellule mononucleate. Queste ultime sono state recuperate, lavate in soluzione fisiologica contenente 2mM EDTA e centrifugate per 10 minuti a 20°C due volte a 1400 rpm e una volta a 800 rpm. Dopo un’incubazione di 30 minuti a 4-6°C con microbiglie magnetiche coniugate con un anticorpo monoclonale murino anti CD14 umano, le cellule sono state risospese e quindi separate per selezione positiva mediante passaggio su colonna. La frazione risultante è stata ulteriormente purificata con un secondo passaggio e quindi, dopo rimozione del magnete, eluita e monitorata per il suo grado di purezza mediante marcatura con anticorpo monoclonale anti CD14 coniugato con ficoeritrina e successivamente analizzate al citofluorimetro. La popolazione di cellule purificate risulta costituita per il 90% da cellule CD14+. In alcuni esperimenti le popolazioni

CD34+14+ e CD34+14- sono state sortate utilizzando anticorpi

(39)

4.6

Generazione di cellule dendritiche

Le colture monocitarie derivate da HPC e i monociti maturi isolati da sangue periferico sono stati indotti a differenziare in DC mediante coltura in RPMI 1640 supplementato con il 10% di FCS, in presenza di GM-CSF (50 ng/ml) e IL-4 (50 ng/ml). Dopo 6 giorni di coltura le DC sono state indotte alla maturazione con un’incubazione di 16 ore con LPS (1 g/ml) (Sigma-Aldrich).

4.7

Analisi morfologica e citofluorimetrica

 Analisi morfologica : aliquote di circa 1x104 cellule sono state

prelevate dalle colture a diversi giorni di differenziamento, centrifugate su vetrini, colorate con May-Grùnwald Giemsa (Sigma) e identificate attraverso l’analisi morfologica al microscopio.

 Analisi citofluorimetrica: lo studio fenotipico di alcuni marcatori di membrana è stato effettuato mediante marcatura con anticorpi monoclonali specifici direttamente coniugati con ficoeritrina (PE) o con isiotiocianato di fluoresceina (FITC). Per la caratterizzazione fenotipica delle DC sono stati usati i seguenti anticorpi monoclonali: CD1a, CD11c, CD14, CD34, CD40, CD80, CD83, CD86, CD123, MHC classe I, MHC classe II (Pharmingen). Per

(40)

verificare la presenza del recettore del GM-CSF è stato utilizzato anti-GMCDFR (CD116, Serotec). Come controllo sono state utilizzate delle IgG di identico isotipo. Per l’immunofenotipizzazione un aliquota di circa 1x104 cellule è stata lavata due volte in PBS

(Hyclone) e incubata per 30 minuti a 4°C con una quantità saturante di anticorpo monoclonale, coniugato con fluorocromo. Dopo tre lavaggi con PBS contenente 2 mg/ml di BSA, le cellule sono state fissate con una soluzione di formaldeide tamponata al 4%, quindi analizzate mediante citofluorimetro FACScan (B&D) al fine di determinare la percentuale di cellule positive nonché l’intensità di fluorescenza.

In altri esperimenti invece si sono prese aliquote da 5x104 di cellule

transdotte con GFP, sono state lavate con PBS/BSA, risospese e fissate in 0,2 ml di 0,1% di formaldeide in PBS e in seguito analizzate al FACScan.

4.8

Sorting cellulare

Al dodicesimo giorno di coltura aliquote di cellule monocitarie sono state prelevate, marcate con anticorpi monoclonali anti-CD86-FITC e anti-GM-CSFR-PE, e sortate al FACSVantage o FACSDIVA (Becton-Dickinson). Sono state separate 3 sottopopolazioni CD86

(41)

-GM-CSFR-, CD86- GM-CSFR+, CD86+ GM-CSFR+, che sono risultate

pure al 98%.

4.9

Analisi con FITC-DEXTRANO

Per saggiare la capacità funzionale delle cellule dendritiche di internalizzare l’antigene è stato allestito un esperimento in cui molecole di destrano coniugate con FITC fungevano da antigene. Sono state prelevate aliquote di 5x104 cellule e sono state incubate

con 1mg/ml di FITC-destrano per 30 minuti sia a 37°C che a 4°C come controllo negativo. Dopo abbondanti lavaggi con PBS/BSA freddo, le cellule sono state analizzate al citofluorimetro per poter misurare l’intensità di fluorescenza e quindi la quantità di antigene incorporato. L’attività pinocitosica era indicata dalla differenza di fluorescenza tra il test effettuato a 37°C e il controllo negativo a 4°C.

4.10

Coltura mista linfocitaria MLR (Mixed Leukocyte reaction)

L’abilità delle DC di attivare i linfociti T è stata saggiata mediante il test MLR, in cui linfociti T (cellule “responder”) sono coltivati in presenza di DC (cellule “stimulator”). Se le cellule “responder” e

(42)

“stimulator” appartengono a diversi individui, e quindi presentano differenze negli alleli MHC, una considerevole frazione di linfociti T andrà incontro a proliferazione in 4-7 giorni: tale saggio viene chiamato MLR allo genico. La proliferazione dei linfociti attivati è misurata in vitro determinando la quantità di timidina triziata incorporata nel DNA neosintetizzato delle cellule stimolate. L’incorporazione di timidina fornisce una misura quantitativa del grado di sintesi del DNA, che è di solito proporzionale all’attività proliferativa delle cellule.

I linfociti T sono stati ottenuti da un campione di sangue diluito con soluzione fisiologica e stratificato su di un gradiente di Ficoll come già descritto. Le cellule mononucleate sono state messe in coltura in flak di plastica per consentire l’adesione dei monociti e il prelievo dei linfociti in sospensione. La popolazione linfocitaria è stata ulteriormente purificata mediante gradiente di Percoll dalle frazioni a 45-50% di densità.

I linfociti T (1x105/50l) sono stati dispensati in una piastra da 96

pozzetti con fondo tondo in IMDM 10% FCS. Sono state poi aggiunte le DC in modo tale che i rapporti tra le cellule “stimulator” e i linfociti T fossero 1:70, 1:220, 1:660 e 1:2000. Dopo 5 giorni d’incubazione a 37°C, in un’atmosfera umidificata in presenza di 5% di CO2, è stato aggiunto ad ogni pozzetto 1Ci di timidina [H]3 e,

(43)

mediante cell harvester, e la quantità di radioattivo incorporato dalle cellule, indicata come cpm, è stata misurata al -counter. Monociti derivati da sangue periferico, incubati con i linfociti alle stesse condizioni delle DC sono stati utilizzati come popolazione di riferimento. Dai valori di cpm misurati vien sottratto il background, che corrisponde alle cpm incorporate dai linfociti T e dalle DC coltivati da soli.

(44)

5

RISULTATI

5.1

Caratterizzazione delle HPCs

Le HPC isolate secondo la metodica descritta vengono successivamente caratterizzate dal punto di vista morfologico, fenotipico e funzionale. L’analisi morfologica, dopo colorazione con May-Grünwald Giemsa, indica che tale popolazione è costituita quasi esclusivamente (>95%) da blasti, concordemente con l’analisi fenotipica che dimostra che il 96-98% delle cellule sono CD34+. Il

saggio clonogenetico, infine, evidenzia che circa il 90% delle cellule sono in grado di generare colonie appartenenti alle varie linee differenziative: CFU-GEMM, BFU-E e CFU-GM.

5.2

Differenziamento e maturazione dei monociti coltivati in

sospensione liquida

È stato possibile ottenere delle colture virtualmente pure (›99% delle cellule totali) di cellule monocitarie a partire da progenitori emopoietici purificati coltivati in presenza di IMDM, 20% FCS, IL-6, FL e di M-CSF. Le colture erano mantenute in condizioni di ossigeno controllato a 5% di CO2, 5% di O2 e 90% di N2. Questo tipo di

(45)

coltura consentiva di ottenere lo sviluppo selettivo di monociti percorrendo tutti gli stadi differenziativi e maturativi a partire dai progenitori monocitari (BFU-Mo) fino agli stati maturativi terminali rappresentati dai monociti maturi.

Attraverso la caratterizzazione morfologica abbiamo valutato i vari stadi differenziativi (Fig. 5A-D):

1) al giorno zero le cellule erano essenzialmente composte da piccoli blasti indifferenziati;

2) al settimo giorno comparivano dei monoblasti caratterizzati da un citoplasma blu, un nucleo largo, eccentrico e contenente 1 o 2 nucleoli; inoltre si osservavano anche dei promonociti, cellule larghe con un nucleo lobato e un citoplasma più chiaro contenente dei granuli azzurrofili. La percentuale relativa di questi tipi cellulari cambia dal primo al settimo giorno di coltura, in correlazione con il diverso stadio differenziativi;

3) al quattordicesimo giorno, si osservavano monociti maturi, riconosciuti da un nucleo reniforme, che occupa metà del volume cellulare, e da un citoplasma finemente granulare;

4) al venticinquesimo giorno erano presenti cellule con nucleo piccolo e un citoplasma abbondante e altamente vacuolato. Si riconoscevano così i magrofagi. (Fig 5)

(46)

(Fig 5)

Attraverso l’analisi fenotipica abbiamo visualizzato una progressiva downmodulazione dell’antigene CD34 associato alle HPC (si passa da ≥ 95% di cellule CD34+ al primo giorno a ~ 20% al

settimo giorno) e un concomitante aumento dell’antigene di membrana CD14 specifico dei monociti. Infatti, mentre ai primi giorni di coltura le cellule CD14+ erano virtualmente assenti, al

settimo giorno si osservava ~60% di cellule positive al CD14. Durante la seconda settimana l’espressione del CD34 era completamente persa (meno del 4% di cellule positive) mentre c’era un graduale incremento di cellule positive al CD14; infatti al

(47)
(48)

Fig 6.

5.3

Analisi dell’espressione del recettore del GM-CSF e analisi

antigenica

L’analisi dell’espressione del recettore del GM-CSF ha rilevato che questo era gia presente sui precursori monocitari, sebbene in misura modesta, a partire dal quarto-quinto giorno di coltura e continuava ad aumentare durante tutto lo stadio differenziativo e maturativo. Durante la seconda settimana circa il 90% delle cellule era GM-CSFRhi.

Inoltre abbiamo allestito una serie di analisi citofluorimetriche per misurare l’espressione degli antigeni di membrana presenti sulla superficie dei precursori monocitari.

L’analisi non ha rilevato nessuna espressione sui precursori monocitari e sui monociti maturi degli antigeni CD40, CD80, e CD83, normalmente presenti sulle DC, mentre il CD1a era espresso sul 10% delle cellule.

(49)

5.4

Generazione di cellule dendritiche da precursori monocitari

A diversi giorni di coltura, i precursori monocitari sono stati prelevati, lavati e messi in coltura in IMDM contenente IL-4 e GM-CSF, citochine specifiche per l’induzione del differenziamento dendritico, e attivate con l’aggiunta di LPS.

Attraverso l’analisi morfologica si è rilevato che già due/tre giorni dopo aver risospeso le cellule nel terreno specifico per le cellule dendritiche, si avevano le prime modificazioni morfologiche. Dopo altri tre giorni le cellule acquisivano chiaramente un aspetto dendritico caratterizzato da un nucleo monocitoide, da un abbondante citoplasma basofilo contenente una granulazione azzurofila e da margini irregolari spesso polarizzati (Fig. 7 )

(

Fig. 7)

Per una miglior caratterizzazione della popolazione dendritica ottenuta abbiamo anche effettuato l’analisi fenotipica. I dati

(50)

indicavano che l’antigene di membrana CD14 era significativamente, se non completamente, down-modulato e che l’intensità di fluorescenza (MFI) delle DC CD14+ era più bassa di quella dei

monociti CD14+ (30 e 70 rispettivamente). Inoltre il marker CD1a si

up-regolava dal 30% al 65% delle cellule totali, mentre il marker CD83 era soltanto marginalmente indotto dalla coltura con IL4 e GM-CSF, ma era marcatamente up-regolato dopo il trattamento con LPS. L’espressione di tutti i marker di superficie tipici cellule dendritiche, come ad esempio CD80, CD40, CD86, HLA-DR, era fortemente incrementata dopo la maturazione indotta da LPS. L’antigene CD11c espresso in modo variabile sulla popolazione monocitaria di partenza, era virtualmente presente su tutta la popolazione di cellule dendritiche ottenute, mentre il CD123 risultava presente sul 30-40% delle cellule (Fig. 8)

(51)

(Fig. 8)

Per determinare se la capacità differenziativa dei precursori monocitari verso la linea dendritica si manteneva durante tutte le fasi differenziative/maturative cellule monocitarie a diversi giorni di coltura sono state indottea differenziare in DC. I risultati delle analisi morfologiche e fenotipiche indicavano che tale capacità era conservata fino a circa il ventesimo giorno di coltura, dopo di che diminuiva fino a scomparire quasi completamente al venticinquesimo giorno, quando le cellule cominciavano ad apparire aderenti e

(52)

assumevano le tipiche caratteristiche macrofagiche. Per confermare questo risultato la coltura primaria è stata divisa in cellule aderenti e non aderenti che sono state messe in coltura per sei giorni con terreno specifico per la crescita dendritica (IL-4 e GM-CSF). L’analisi morfologica e fenotipica hanno dimostrato che la popolazione derivata dalla frazione aderente non era in grado di differenziarsi in DC, infatti era CD14+ per l’85% e CD1a+ per meno

dell’ 1%. Al contrario, la popolazione derivata dalla frazione non aderente aveva acquisito le caratteristiche delle DC e il 55% delle cellule era diventata CD1a+, mentre solo il 25% aveva conservato

l’espressione del CD14. (Fig. 9)

Fig. 9

(53)

5.5

Correlazione tra l’espressione del recettore del GM-CSF e l’

induzione delle DC trattate con IL-4 e GM-CSF

Poiché era stato rilevato che i precursori monocitari più precoci richiedevano tempi più lunghi di coltura in condizioni dendritiche, per diventare DC, rispetto ai precursori monocitari più tardivi, si è ipotizzato che tale dato fosse correlato all’espressione del recettore per il GM-CSF sulla superficie cellulare.

Come descritto precedentemente, il GM-CSFR appariva precocemente su una frazione di cellule in coltura monocitaria, definendo così due sottopopolazioni: GM-CSFR+ e GM-CSFR-. Dopo

aver monitorato costantemente la cinetica d’espressione di questo recettore, al quattordicesimo giorno di coltura, le cellule sono state marcate con un anticorpo monoclonale anti-CD86, un antigene altamente espresso sui macrofagi, ed uno anti-GM-CSFR. I risultati mostravano la presenza di tre sottopopolazioni cellulari: CD86-

GM-CSFR-, CD86- GM-CSFR+, CD86+ GM-CSFR+. I risultati mostravano la

presenza di tre popolazioni cellulari: CD86- GM-CSF-, CD86-

(54)

CD86-GM-CSF+ CD86+ GM-CSF+ CD86- GM-CSF -Fig 10

Queste frazioni cellulari sono state sortate e sottoposte ad analisi morfologica che ha rilevato una maggiore percentuale di promonociti nella frazione doppia negativa rispetto a quella CD86

-GM-CSFR+ composta sia da promonociti che da monociti, mentre la

frazione doppia positiva risultava consistere quasi esclusivamente di cellule di tipo macrofagico.

Dopo cinque giorni di trattamento con IL4 e GM-CSF, l’analisi fenotipica delle tre sottopoplazioni dimostrò che virtualmente tutte le cellule derivate dalla frazione CD86- GM-CSF+ erano CD1a+ e

CD14-, mentre la maggior parte di quelle derivate dalla frazione

(55)

immature, che per iniziare a differenziarsi in cellule dendritiche necessitavano di almeno tredici giorni di trattamento con IL-4 e GM-CSF.

Sfortunatamente non si potè esaminare l’ espressione del CD1a su queste popolazioni cellulari al venticinquesimo giorno perché cominciavano a morire. (Fig. 11)

(56)

5.6

Attività funzionale delle cellule dendritiche derivate dai

precursori Monocitari

L’uptake dell’antigene è una caratteristica funzionale prerogativa delle cellule dendritiche immature che diminuisce con l’induzione della maturazione. Le cellule dendritiche derivate dai precursori monocitari, indotte a differenziare con IL4 e GM-CSF, sono state testate per la loro capacità di macropinocitosi, utilizzando come antigene molecole di destrano coniugate con FITC. Dall’analisi citofluorimetrica si è rilevato che il 90% delle cellule dendritiche immature catturavano il FITC-destrano, dimostrando la loro buona funzionalità. Le cellule dendritiche derivate da monociti da sangue periferico sono state usate come controllo positivo.

(Fig. 12)

(57)

Altra caratteristica peculiare delle cellule dendritiche è quella di presentare l’antigene ai i linfociti T inducendone l’attivazione in termini di proliferazione e differenziazione in cellule effettrici. Questa capacità delle DC è stata saggiata mediante il test MLR che ha dimostrato che le cellule dendritiche derivate da precursori monocitari inducevano una efficiente stimolazione delle cellule T allo geniche, similarmente a quanto si osservava con cellule dendritiche

(58)

derivate da monociti maturi circolanti (Fig. 13)

(59)

6

DISCUSSIONE

Il presente studio dimostra che le cellule dendritiche di tipo mieloide possono essere generate dalle cellule del lineage monocitario a qualsiasi stadio del loro pathway differenziativo/maturativo. I nostri risultati forniscono nuovi elementi per la comprensione dello sviluppo delle cellule dendritiche, dimostrando che sia i precursori monocitari sia i monociti circolanti possono differenziare in cellule dendritiche.

Prima di tutto abbiamo individuato le condizioni di coltura ottimali per generare una progenie virtualmente pura di cellule monocitarie a partire da una popolazione di cellule CD34+ altamente purificate. In

un preliminare report (Gabbianelli M., 1995), realizzato nel nostro laboratorio, si dimostrava l’effetto sinergico di FL e M-CSF sulle HPC per stimolare la loro differenziazione monocitaria, abbinata ad una moderata proliferazione, pari ad una amplificazione di 28 volte del numero iniziale di cellule.

In questo studio dimostriamo che l’aggiunta di IL-6, conosciuta come induttore della proliferazione di cellule di mieloma e della differenziazione dei macrofagi in diverse linee di mieloma ( Van Snick., 1990; Hirano, 1992; Hirano., 1998), aumenta fortemente la proliferazione delle cellule monocitarie con un amplificazione del

(60)

numero iniziale di cellule di 400 volte. Inoltre, il nostro studio ha permesso di dimostrare la maturazione dei monociti in macrofagi, come si è potuto rilevare dall’analisi morfologica e fenotipica. Quindi la metodologia descritta consente di ottenere un’ampia popolazione cellulare omogenea appartenente al lineage monocitico-macrofagico, il che permette di svolgere approfonditi studi per determinare il meccanismo molecolare e cellulare della monocitopoiesi.

Il percorso differenziativo del lineage monocitario è caratterizzato da una graduale diminuzione dell’espressione antigenica del CD34 ed un progressivo incremento del CD14. E’ interessante notare che non si osserva una popolazione doppiamente positiva CD34+CD14+ nella

coltura differenziativa, indicando che questi due antigeni di membrana sono mutuamente esclusivi. In letteratura è stato riportato che in circolo esiste una simile popolazione doppiamente positiva, capace di differenziare in cellule dendritiche se coltivata in presenza di GM-CSF, (Ferrero E., 1998) ed è stato ipotizzato che essa rappresenti uno stadio intermedio di differenziazione tra HPC e monociti o cellule dendritiche maturi Apparentemente, le nostre condizioni di coltura per il differenziamento monocitario impediva la crescita di questa popolazione cellulare doppiamente positiva, ma ulteriori studi potrebbero identificare un cocktail di citochine e di fattori di crescita permissivo per la sua produzione in vitro,

(61)

consentendo cosi lo studio del loro ruolo nel pathway differenziativo sia delle cellule dendritiche che dei monociti.

In una seconda fase abbiamo indotto i precursori monocitari a diversi stadi di differenziazione (dal settimo al ventesimo giorno di coltura) a differenziare in cellule dendritiche coltivandoli in presenza di IL-4 e GM-CSF. Dopo cinque giorni, le cellule acquisivano tutte le caratteristiche di cellule dendritiche in termini di morfologia, di fenotipo e di funzionalità. Infatti,esprimevano CD1a e HLA-DR ad alti livelli e, dopo stimolazione con LPS, anche CD83, CD86 e CD40. Come atteso, il CD11c era presente virtualmente su tutte le cellule , mentre il CD123 era espresso soltanto sul 30-40% delle cellule e con una MFI abbastanza bassa se comparata con quella generalmente descritta per le DC plasmacitoidi (Olweus J, 1997; MacDonald 2002).

Inoltre, come già descritto per le dendritiche immature, queste cellule erano capaci di internalizzare un antigene solubile e, una volta completata la maturazione, mostravano una forte attività di presentazione dell’antigene nel saggio di MLR allogenico.

La capacità bipolare dei precursori monocitari di generare sia monociti/macrofagi sia cellule dendritiche era mantenuta fino al ventesimo giorno di coltura, dopo di che, i monociti raggiungevano lo stadio terminale di macrofagi e la loro capacità di transdifferenziare in cellule dendritiche era completamente persa.

(62)

In letteratura è stata descritta una grande varietà di citochine in grado di indurre, in combinazione o da sole, i monociti maturi o le HPC a differenziare in cellule dendritiche: IL-2, IL-3, IL-6, IL-7, IL-12, IL-13, CD40L, FL e TGFb,. Tuttavia la maggior parte dei report indica il GM-CSF e l’ IL-4 come fattori essenziali per la differenziazione dendritica.

A tale scopo abbiamo studiato l’eventuale correlazione tra la suscettibilità dei precursori monocitari a differenziare in senso dendritico e l’espressione del GM-CSFR sulla loro superficie. Durante la coltura monocitaria è stata saggiata la presenza di questo recettore sulla superficie cellulare ed è stato rilevato che già a partire dal settimop giorno si osservava la presenza di due sottopopolazioni cellulari GM-CSFRlo e GM-CSFRhi. Dopo averle

sortate , entrambe le frazioni cellulari sono state messe in coltura in presenza di IL4 e GM-CSF. I risultati ottenuti hanno dimostrato una più alta suscettibilità della popolazione cellulare GM-CSFRhi di

differenziare in cellule dendritiche, rispetto alla popolazione GM-CSFRlo che richiedeva un tempo più lungo di coltura per poter

compiere la differenziazione. Deve essere precisato che la maturazione/differenziazione dei precursori monocitari non era perfettamente sincrona, come indicato dalla graduale modulazione di tutti i marker di membrana analizzati (per esempio CD34, CD14,

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GM-tutti i precursori monocitari differenziavano in cellule dendritiche alla stesso tempo.

Ad uno stadio di coltura tardivo, le cellule acquisivano le proprietà morfologiche e fenotipiche dei macrofagi e perdevano la loro potenzialità transdifferenziativa verso il lineage dendritico. Questa osservazione veniva confermata con una serie di esperimenti effettuati su popolazioni purificate in base all’espressione del marker macrofagico CD86, o in base alla loro forte capacità di aderire alla plastica. La coltura di entrambe queste sottopopolazioni in presenza di IL-4 e GM-CSF non induceva alcun differenziamento verso il lineage macrofagico, al contrario le cellule mantenevano un’elevata espressione del CD14 e mostravano una tipica morfologia macrofagica.

Caux e collaboratori (1996) hanno dimostrato che i precursori monocitari CD14+ derivanti da cellule CD34+ possiedono una

bipotenzialità differenziativa in quanto possono generare colture monocito/macrofagiche o dendritiche a seconda delle citochine presenti nel mezzo di coltura. I nostri studi, anche se in linea con queste osservazioni, forniscono nuovi approcci metodologici, in quanto diverse sono le popolazioni cellulari di partenza sottoposte allo stimolo differenziativo e diverse sono le condizioni di coltura, in termini di citochine aggiunte per indurre la differenziazione in senso dendritico. Infatti, noi induciamo in primo luogo le HPC a

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differenziare in precursori monocitari e successivamente questi a differenziare in DC, mentre Caux et al. indirizzano i progenitori CD34+ direttamente verso un pathway dendritico usando un cocktail

di citochine diverso da quello da noi descritto. Cosa più importante, i precursori CD14+ descritti da Caux perdono la capacità proliferativa,

mentre nelle nostre condizioni di coltura l’acquisizione dell’antigene CD14 non era associata ad alcuna diminuzione della proliferazione. Sulla base di questi risultati, suggeriamo che i monociti immaturi potrebbero rappresentare una riserva di precursori delle cellule dendritiche che, dopo un’appropriata stimolazione, generano cellule dendritiche mature. In aggiunta ai risultati in vitro sopra menzionati, studi in topi dimostravano che monociti circolanti potrebbero differenziare in cellule dendritiche (Radolph GJ, 1999). In altri studi, si è osservato che lo stress chirurgico induce un rapido incremento delle cellule dendritiche circolanti ma non di cellule monocitarie mature, indicando così che il numero delle DC circolanti e dei monociti potrebbe essere regolato differentemente (Ho CSK, 2001). Questo incremento delle DC era ipoteticamente spiegato dall’esistenza di precursori localizzati in siti di “deposito”, che potrebbero essere rapidamente mobilizzati per rispondere ad un trauma attivando una risposta immunitaria. (Ho CSK, 2001). I nostri risultati suggeriscono che i precursori monocitari, presenti

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principalmente nel midollo osseo, possono rappresentare un notevole riserva di cellule dendritiche, più rapidamente disponibile delle HPC.

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7

LEGENDA DELLE FIGURE

Figura 1.

La cellula staminale spesso entra in uno stato transitorio di rapida proliferazione, e si divide dando luogo a due cellule figlie: una delle due differenzia, mentre l’altra rimane identica alla cellula madre, e dopo aver concluso il suo ciclo proliferativo, è ancora in grado di ritornare allo stadio di quiescenza come cellula staminale, e pronta ad eseguire un nuovo programma differenziativo e proliferativi

Figura 2

: I progenitori nel micro-ambiente midollare maturano progressivamente nei vari elementi emopoietici

Figura 3

: Aspetto morfologico di una cellula dendritica

Figura 4

: Maturazione delle cellule dendritiche

Figura 5:

Analisi morfologica della popolazione monocitaria e delle cellule dendritiche da essa derivate. (A) popolazione monocitaria derivanti dalle colture primarie al secondo giorno; (B) all’ottavo giorno; (C) al dodicesimo; (D) tipiche caratteristiche macrofagiche apparse dopo 25-30 giorni di coltura con terreno monocitario.

Riferimenti

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