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Ernesto Nathan Rogers e le preesistenze ambientali. Itinerario teorico, 1948-1964

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DOTTORATO DI RICERCA IN

ARCHITETTURA

Ciclo XXV

Settore Concorsuale di afferenza: 08/D1 - Progettazione Architettonica

Settore Scientifico disciplinare: ICAR/14 – Composizione Architettonica e Urbana

ERNESTO NATHAN ROGERS E LE PREESISTENZE AMBIENTALI

Itinerario teorico, 1948 - 1964

Presentata da: Dott. Valeria Lattante

Coordinatore Dottorato

Relatori

Prof. Gianni Braghieri

Prof. Maristella Casciato

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Alma Mater Studiorum - Università di Bologna Scuola di Dottorato in Ingegneria Civile e Architettura Dottorato di ricerca in Architettura

Coordinatore del Dottorato: prof. Gianni Braghieri XXV ciclo

Ernesto Nathan Rogers e le preesistenze ambientali

Itinerario teorico, 1948-1964

Dottoranda: Valeria Lattante

Relatori: Prof.ssa Maristella Casciato, Prof. Valter Balducci

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INDICE

p. 3 Introduzione

Parte prima Il concetto di preesistenze ambientali

25 Le preesistenze ambientali attraverso gli scritti di Rogers

25 Il ruolo dell’architetto come artista

26 Estensione del valore di monumento al tessuto urbano 27 Tradizione e senso storico

30 L’interesse per l’architettura spontanea 32 L’ambiente come dato culturale 42 Un metodo psicologico 45 Autonomia della conoscenza

51 Il dibattito su Il Cuore della Città

55 Delimitazione del “Cuore” 59 Rapporto col tessuto residenziale

63 Permanenza, modificazione e autonomia artistica 68 Memoria, monumento e rapporto con la città storica 75 Spontaneità, psicologia e simbolismo: forma e percezione 80 Autonomia ed eteronomia delle preesistenze ambientali

Parte seconda “Andare e poi tornare”. Uno sguardo da lontano

87 “L’heure qui passé, ou l’équipement de la civilisation machiniste”: il ruolo di Rogers nei CIAM

90 Il razionalismo psicologico di Rogers 98 Una nuova simbolica monumentalità 104 La sintesi delle arti plastiche

111 Le Corbusier, Rogers e i CIAM a Buenos Aires: paradigma della nuova monumentalità

114 Il Plan Director 128 L’Estudio del Plan 130 Il Bajo Belgrano

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Parte terza “Utopia della realtà” antinomie della storia attraverso le pagine di “Casabella continuità”

153 Archetipo e architettura spontanea

153 Valori ancestrali e genius loci 155 Fenomenologia e archetipo

167 Riduzione della storia, significato e simbolicità dell’architettura 185 Dalla teoria alla prassi

197 Tradizione e ricerca di una teoria

197 Significato di tradizione in Rogers

201 Architettura e storia: un punto di vista che si precisa 206 Questioni di realismo

220 Attualità dell’architettura neoclassica illuminista e romantica ottocentesca

CONCRETEZZA URBANA PRIMATO DELL’IDEA

233 Alla ricerca della struttura urbana dell’architettura

FORMA

CITTA’ PER PARTI

ESPRESSIONE, LIMITAZIONE PERSONALE, TRASMISSIBILITA’

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Introduzione

La presente tesi indaga il significato del concetto di “preesistenze ambientali” nel pensiero dell’architetto milanese Ernesto Nathan Rogers esplorando il territorio teorico a esso corrispondente attraverso un itinerario scelto sulla base di alcuni capisaldi storici. La ricerca svolta offre una mappa per la comprensione di tale territorio e arricchisce di punti di riferimento la conoscenza di un concetto insufficientemente esplorato dalla critica architettonica.

Per chiarire il punto di vista adottato può essere utile descriverne l’analogia con quanto Franco Farinelli sostiene a proposito della logica cartografica. Essa sarebbe «innanzitutto la logica dell'esclusione e della rinuncia alla totale espressione del sensibile». In tal modo si intende dichiarare innanzitutto il limite del lavoro di ricerca perché coscienti che, come nella rappresentazione cartografica, esso «sarebbe comunque irriducibile alla giustapposizione del complesso degli elementi di cui materialmente si compone il reale». Ciò su cui si è preferito concentrare l’attenzione è piuttosto «il rapporto che si stabilisce tra questo e le coordinate delle ideologie storiche e delle componenti metafisiche che

presiedono alla sua interpretazione»1.

Pertanto, nell'inevitabile parzialità dell'itinerario proposto rispetto all'intero territorio della cultura architettonica italiana del dopoguerra in cui il concetto di preesistenze ambientali si sviluppa, si è individuata la traccia più feconda, ma anche la più astratta e forse proprio in virtù di ciò la meno parziale rispetto alla totalità del problema indagato, nel principio rogersiano secondo cui l'attività creativa – artistica in generale e dell'architetto in particolare – si comporrebbe di due tensioni. La prima è il movimento circolare ed eterno del sapere tramandato e manualistico; la seconda il suo verticale storico radicarsi alle contingenze dell'ambiente.

Rogers iniziò a scrivere in merito al problema del «costruire nelle preesistenze

ambientali»2 nel 1948. Da questo momento in poi il suo pensiero teorico assunse

1 F. Farinelli, I segni del mondo. Immagine cartografica e discorso geografico in età moderna, La Nuova Italia,

Scandicci 1992; ed. cons.: 2000, p. 20.

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progressivamente il carattere originale che lo rese un riferimento fondamentale della cultura architettonica italiana del dopoguerra: il nome dell’architetto sarà per sempre associato all’idea di preesistenze ambientali e viceversa.

Si tratta di un concetto difficile da definire, poiché ha assunto nel tempo significati diversi da quello originariamente inteso. Oggi è spesso utilizzato in architettura per riferirsi a questioni legate all’ecologia, al rapporto tra costruzione ed energia, al paesaggio, o in generale allo spazio non costruito, confondendo gli aspetti storico-culturali che ne caratterizzano la radice teorica con quelli legati alla tradizione pittoresca

inglese, alle scienze naturali o alle discipline tecnologiche3. Se non è scorretto che la

parola ambiente comprenda quest’ampio ventaglio di significati, che gli stessi siano attribuiti alle rogersiane preesistenze ambientali è tuttavia fuorviante.

È vero che le particolari accezioni di ambiente nelle scienze naturali e nel pensiero di Rogers presentano alcuni caratteri comuni. Innanzitutto l’impossibilità di isolare un organismo dal suo ambiente pena la sua morte e il conseguente rifiuto della pura astrazione che sola renderebbe possibile tale isolamento. In secondo luogo la reciprocità dei rapporti tra organismo e ambiente che, in ambito scientifico, impone all’organismo di modificare l’ambiente fisico che lo circonda così come le condizioni di vita delle altre specie. Una prospettiva analoga sembra infatti proporre l’architetto milanese, mutuando da Thomas Stearns Eliot l’idea che ogni nuova opera d’arte sia in grado di modificare, con il suo semplice avvento, l’ordine complessivo di tutte le opere d’arte del tempo e

Torino 1958, ed. cons.: Skira, Milano 1997, pp. 286-293 (dove appare come: Roma, marzo 1957) e in «Zodiac» n°3, 1990, pp.8-11.

3 Significative in tal senso sono le definizioni rintracciabili nei dizionari e nelle enciclopedie specializzate. Ne

riportiamo alcuni stralci a titolo di esempio. «Il tema del rapporto tra edificio e ambiente…muta nel corso del Novecento trasferendosi dalla relazione architettura/natura a quella tra edificio e contesto ambientale, più precisamente urbano. Venuta meno infatti “la libertà del pittoresco”, in seguito alla crescita a dismisura delle città, il rapporto tra ambiente naturale e ambiente storicamente costruito (vedi Centri storici) si è imposto nella sua emergenza, fino a divenire, nelle tendenze attuali, oggetto della architettura bioecologica. Questa tende al miglior sfruttamento delle risorse naturali e all’utilizzo di materiali ecologici in una prospettiva di rispetto dell’ambiente e di risparmio energetico». N. Zanni, voce «Ambiente» in L’arte, Utet, Torino-Milano 2002, p. 102.

«Nel De re edificatoria L. B. Alberti (ante 1452) parla dell’A. come del luogo che circonda gli edifici; la parola latina è regio; e il luogo avvolge anche le persone e i loro costumi. In questo senso la parola assume significati complessi e insieme vaghi, per quanto concerne la figura dell’artista. L’A. che circonda l’artista, e l’uomo, può infatti identificarsi spazialmente con la natura, con il paesaggio, con la città e i personaggi di un determinato periodo storico. Allora l’A. comprende, nell’ordine temporale, estensivamente la società, la cultura, la dinamica vitale intorno all’artista: tutti motivi fondamentali per intendere la sua formazione, gli influssi su di lui di correnti figurative, di scuole, di maestri, di persone della classe intellettuale». L. Grassi,

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dello spazio4. Ecologia e architettura condividono infine i risultati della cosiddetta «crisi

dell’ambiente»5, se si pensa che il rapporto di dominazione del centro industrializzato

rispetto al territorio periferico sottosviluppato indotto da uno sfruttamento delle materie prime a basso costo ha condotto a fenomeni di squilibrio dal punto di vita della salute fisica degli organismi e dell’economia sociale, così come della qualità spaziale dell’urbanizzazione. Non a caso è possibile riconoscere all’interno dell’itinerario proposto nella presente dissertazione il leitmotiv della ricerca di una teoria architettonica capace di affrontare la questione del rapporto tra arte e produzione industriale, dall’Ottocento alla seconda metà del XX secolo.

Tuttavia, per quanto riguarda l’opera d’architettura viene a mancare la possibilità di giudicare l’evoluzione dell’organismo sulla base della sua capacità di adattamento alle modificazioni ambientali. Il problema specifico del periodo in cui si formò la coscienza di un’attenzione del progetto alle preesistenze ambientali era caratterizzato proprio dalla constatazione dell’incapacità della cultura architettonica di mettere in atto i cambiamenti che le modificazioni della città richiedevano. Le possibili analogie tra natura e architettura per quanto riguarda il rapporto con l’ambiente si fermano quindi alla possibilità di traslitterare alcune proprietà dell’oggetto di studio, ma non sono in grado di scambiarsi indicazioni sulla metodologia di controllo del rapporto individuo-ambiente. Per fare un esempio concreto basterà pensare a come lo studio delle conoscenze tecniche costituisca una fonte d’informazione sui fenomeni ecologici ai quali un gruppo si adatta e sulle forme di questo adattamento, mentre non fu possibile derivare dall’analisi dell’ambiente socioeconomico dell’Italia post-bellica un metodo adeguato alla soluzione dei problemi architettonici e urbani che ne emersero. È proprio sulla base di questa tesi che la ricerca riconosce l’importanza del contributo rogersiano in un’idea di tradizione come strumento di controllo della produzione architettonica sulla base di un confronto con gli esempi della storia e le teorie dei maestri.

Si può dire che la forma fisica dell’ambiente sia da sempre contenuto essenziale dell’architettura e se è possibile rintracciare l’uso della nozione di preesistenza fin dalla

4 Si veda: B. Brun, P. Lemmonier, J-P Raison, M. Roncayolo, voce «Ambiente», in Enciclopedia Einaudi, vol.

1, Einaudi 1977, pp. 393-416 e T. S. Eliot, Tradition and the individual talent, in Id., The sacred wood; essays on poetry and criticism, Methune, London 1920, tr. it.: Tradizione e talento individuale, in Id., Il bosco sacro; saggi di poesia e critica, Bompiani Milano 1967. Le relazioni tra il pensiero di Rogers e quello di Eliot in merito al concetto di tradizione sono state approfondite all’interno del primo e del sesto capitolo della presente tesi.

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settecentesca riscoperta del culto dell’antichità, con il sorgere degli studi archeologici, è precisamente a partire dal secondo dopoguerra che si intensifica la necessità di soffermare l’attenzione delle riflessioni teoriche sulle relazioni tra ambiente e progetto. Il problema fu inteso come la ricerca di un linguaggio adeguato all’era macchinista e di un ordine formale per lo sviluppo urbano recente da costruire in funzione del suo rapporto con la città consolidata.

Diverse furono, tuttavia, le declinazioni di tale interessamento: dal problema della ricostruzione dei brani urbani devastati dal conflitto bellico all’attenzione verso la conservazione dei centri storici e del paesaggio rurale, dall’esperienza della costruzione di nuovi insediamenti di edilizia sociale all’esperimento delle new town inglesi, dal problema della crescita della periferia alle riflessioni sul townscape in continuità con la tradizione inglese del pittoresco. Tutte sono state documentate negli articoli della rivista “Casabella continuità”, di cui Rogers fu direttore dal 1953 al 1965.

In generale il discorso fu sempre legato a una riflessione sull’eredità del Movimento Moderno. Così, da un articolo divulgativo apparso su “Epoca” nel 1953, possiamo notare come il problema cui all’inizio fu più generalmente ricondotto il rapporto tra progetto e ambiente era: «in quale stile è preferibile costruire un fabbricato in una piazza ove vi

siano in maggior parte monumenti antichi?»6.

La declinazione italiana del problema del rapporto tra vecchio e nuovo, nel secondo dopoguerra, si è costruita intorno a due punti di vista prevalenti. Il primo, proveniente dall’ambito del restauro e della conservazione architettonica e urbana, riguardava il problema della tutela del patrimonio storico architettonico e alimentò il dibattito che si concretizzò nello spostamento dell’attenzione dalla difesa del singolo manufatto monumentale alla salvaguardia complessiva dei centri storici e del paesaggio. Il secondo implicava più strettamente una riflessione sull’adeguatezza del linguaggio ereditato dal Movimento Moderno alla progettazione di edifici che tenessero conto del rapporto tra architettura moderna e tradizione.

L’idea di preesistenza ambientale si delineò inoltre come complementare e necessaria a quella di “continuità”. Se da un lato – passando attraverso la definizione di tradizione per Thomas S. Eliot – Rogers affermava la necessità di una rinnovata visione della

6 Una domanda sempre attuale: come costruire una casa nuova in un ambiente monumentale antico, Risposte

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lezione del Movimento Moderno, che rilevasse una costanza di obiettivi disciplinari, dall’altro tradusse la stessa necessità nei termini di una più generale teoria dell’architettura, in cui continuità significava non solo confronto con i maestri, ma con tutta la storia e la tradizione dei luoghi e del costruire.

Riportando il concetto di preesistenze ambientali alla sua accezione originale, da un lato attraverso la ricostruzione delle relazioni intellettuali instaurate da Rogers con il Movimento Moderno e i CIAM, dall’altro mediante l’approfondimento del progetto editoriale costruito durante la direzione della rivista “Casabella continuità”, la tesi intende conferire alla nozione il valore di un contributo importante alla teoria della progettazione architettonica urbana.

Rispetto alle consolidate trattazioni del concetto, l’impostazione data al tema di ricerca permette inoltre l’ampliamento delle prospettive interpretative del suo lascito. Indicativo a tale proposito è il confronto dei risultati raggiunti con la posizione di Ezio Bonfanti e

Marco Porta7. Nell’importante contributo del 1973, i due architetti limitavano il discorso

sulle preesistenze ambientali a un ragionamento imperniato sul progetto per la Torre Velasca, rinunciando a portare alle estreme conseguenze una preziosa intuizione sul ruolo urbano svolto dal progetto attraverso l’inserimento della questione all’interno di più precisi rapporti con la teoria architettonica moderna precedente e successiva. Ciò che in definitiva si può considerare il contributo più fecondo dell’esperienza rogersiana è infatti la dialettica contrapposizione, nel suo pensiero sul senso delle preesistenze ambientali, tra intuizione e trasmissione del sapere, contingenza e universalità. Si tratta, come vedremo, di una dialettica capace di animare, con ricche connessioni culturali, un discorso unitario che va dall’insegnamento del Movimento Moderno alle ricerche tipologiche e urbane della cultura italiana degli anni Sessanta.

7 I due curarono la prima e più ampia raccolta di progetti dei BBPR con un considerevole apparato storico

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I limiti temporali della ricerca vanno dal 1948, data di inizio del soggiorno di Rogers in Sud America, al 1964, ovvero la fine della direzione della rivista “Casabella continuità”. Fu infatti nel 1948, in occasione della conferenza Il dramma dell'architetto tenuta presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Universidad Mayor de San Marcos di Lima, che

Rogers affrontò per la prima volta la questione delle preesistenze ambientali8. Questa fu

descritta come il problema della traduzione di principi ideali in concretezza storica attraverso la messa in atto della conoscenza teorica nella contingenza degli interessi pratici.

Le relazioni con l’Argentina cominciarono durante il CIAM di Bridgewater del 1947. Lì Rogers fu avvicinato da Jorge Ferrari Hardoy e Jorge Vivanco – delegato argentino per lo sviluppo del Piano di Buenos Aires, il primo, e per la sede dell’Università di Tucumán il secondo. Questi invitarono il collega milanese a unirsi ai progetti da loro intrapresi in America Meridionale dando inizio così un procedimento per il quale, attraverso l’ufficio municipale Estudio del Plan de Buenos Aires, veniva offerta a tecnici stranieri l’occasione di partecipare a un’opera professionale a grande scala, mentre la docenza a Tucumán dava loro la possibilità di prendere parte a un avanzatissimo progetto educativo. Sigfried Giedion, allora segretario dei CIAM, rimarcò a Rogers «l’importanza dell’America Latina nella ricerca architettonica di quegli anni e nello sviluppo insieme locale e internazionale del CIAM», sancendo l’importanza che il viaggio di Rogers si svolgesse entro «una serie di rapporti improntati dalla comunanza nel CIAM e a

favorirne l’ingresso nei Congressi di Architettura Moderna»9.

Grazie quindi all’attività svolta come membro del consiglio dei CIAM, Rogers soggiornò a Tucumán e a Buenos Aires, rispettivamente impegnato nell’insegnamento presso la Facoltà di Architettura e nella collaborazione al progetto per il piano regolatore presso l’Estudio del Plan. É in tale occasione che si ipotizza l’inizio delle riflessioni di Rogers sull’importanza delle preesistenze ambientali nel progetto d’architettura, mentre si

8 S. Maffioletti. La lingua parlata. Appunti su Ernesto N. Rogers, in Id., a c. d., Ernesto N. Rogers, Architettura,

misura e grandezza dell'uomo, scritti 1930-1969, Il Poligrafo, Padova 2012, p. 43. Il paragrafo 1948-1953 del testo ripercorre, per la prima volta in maniera estesa, le vicende che portarono Rogers in Argentina e Perù, grazie all'attività svolta nei CIAM. Notizie sull'esperienza sudamericana erano già state riportate da Molinari nel 1998, ma la chiave di lettura politica lì adottata lasciava inesplorata la più ampia prospettiva aperta dai rapporti culturali con i CIAM. L. Molinari, Milano – Tucuman - Buenos Aires - New York – Milano, 1947-1949. Circolarità dei saperi e delle relazioni: il carteggio E.N. Rogers – BBPR, in P. Bonifazio, S. Pace, M. Rosso e P. Scrivano, a. c. d., Tra guerra e pace, società, cultura e architettura nel secondo dopoguerra, Franco Angeli, Milano 1998, pp. 155-164.

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riconosce nel periodo corrispondente all’attività redazionale per “Casabella continuità” (dicembre 1954 – gennaio 1965), svolta al ritorno a Milano, il momento di messa a punto di tali riflessioni in una teoria formalizzata.

Durante il periodo individuato, sollecitato dall’indifferenza nei confronti del territorio dello sviluppo produttivo post-bellico, maturò in Italia l’interesse verso i temi della costruzione architettonica nei centri storici e del rapporto tra vecchio e nuovo. Se non si può mostrare una derivazione diretta del tema delle preesistenze ambientali dai problemi della ricostruzione post-bellica – che infatti in altra maniera impegnarono Rogers sulle pagine di “Domus” – è sicuramente grazie alla possibilità che la ricostruzione offrì di applicare in maniera estensiva e spesso riduttiva le sperimentazioni del moderno, che nasce l’esigenza di affinare alcuni paradigmi teorici di quella che lo

stesso Rogers chiamerà «generazione dei maestri»10.

Adrian Forty nel suo Vocabolario per l’architettura moderna colloca il discorso di Rogers sulle preesistenze ambientali in apertura alla sua definizione di “contesto” e ne stabilisce

l’origine negli editoriali di “Casabella continuità”di metà anni Cinquanta11. Lo storico

britannico, tuttavia, precisa immediatamente come il senso delle preesistenze ambientali differisca da quello dell’anglosassone “context” – da cui gli architetti italiani avrebbero derivato “contesto” negli anni Settanta – per via dell’importanza che in esso assume la continuità storica esibita dalla città e presente nella mente dei suoi abitanti. Anche Forty rileva l’importanza della critica alla prima generazione di architetti moderni per la formazione del pensiero dell’architetto milanese e mette in primo piano il ruolo svolto dalla storia, per la sua definizione di ambiente. Non possiamo tuttavia accettare la traduzione inglese “surrounding pre-existences” [preesistenze circostanti] proposta da Forty per via della sua totale elisione, in favore di un diretto riferimento al tessuto urbano, dell’importanza che le idee di archetipo e spontaneità e il confronto con le opere e i maestri del passato, indifferentemente al luogo, assunse in maniera progressivamente chiara nel progetto editoriale di “Casabella continuità”.

10 E. N. Rogers, L’architettura moderna dopo la generazione dei Maestri (University of California, Berkeley,

maggio 1956), in Id., Esperienza dell'architettura, cit.

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Il ruolo giocato dalla riflessione sulle preesistenze ambientali nella definizione di una nozione più ampia di ambiente emerge in maniera chiara nell’approfondimento condotto da Marina Lathouri. Un paragrafo della sua tesi di dottorato si concentra infatti sulla storica importanza del contributo rogersiano nella definizione di un nuovo modo di vedere il rapporto tra progetto e città, a partire da una riflessione sul valore dell’immagine urbana come luogo della sedimentazione delle memorie e della carica immaginifica legata a uno specifico luogo. Non a caso il riferimento principale della Lathouri è lo scritto The Image: The Architect’s Inalienabile Vision, una versione più estesa dell’editoriale Necessità dell’immagine nel quale Rogers contrappose la proposta di un’immagine unitaria della città, per come appare nella memoria grazie alla stratificazione delle sue storiche rappresentazioni, agli strumenti quantitativi dilaganti

nelle contemporanee soluzioni di pianificazione12.

Secondo Vittorio Gregotti, la problematica delle rogersiane preesistenze ambientali nacque in occasione dell’VIII CIAM di Hoddesdon su Il Cuore della città al quale i due

architetti ebbero occasione di partecipare insieme13. Gregotti sintetizzò il contenuto del

congresso come una riflessione sui modi di agire nei centri storici europei e in relazione a quelli e ne rilevò l’importanza nell’evoluzione del pensiero moderno dell’architettura. Tuttavia non si trova altra bibliografia che approfondisca ulteriormente tale collegamento.

Nel 2010 Serena Maffioletti arricchisce la pubblicazione degli scritti di Rogers con un’introduzione e alcune schede di approfondimento che attraversano i legami intessuti dall’architetto con i CIAM. L’importante lavoro di raccolta antologica condotto le permette di indicare come occasione della comparsa del concetto di preesistenze

ambientali in Rogers, la conferenza Il dramma dell’architetto tenutasi a Lima nel 194814.

È un dettaglio importante, grazie al quale la presente ricerca ha assunto le relazioni con i

12 M. Lathouri, Reconstructng the topographics of the modern city: the late CIAM debates, tesi di Dottorato

discussa nel 2006 presso la University of Pennsylvania. E. N. Rogers, The Image: the Architect’s Inalienable Vision, in G. Kepes, a c. d., Sign Image and Symbol, Studio Vista, London 1966, pp. 242-251. E. N. Rogers, Necessità dell’immagine, in «Casabella Continuità», n. 282, dicembre 1963, pp. 2-3.

13 J. Otero-Pailos, The role of phenomenology in the formation of the Italian Neo-Avant Garde. Interview with

Vittorio Gregotti, in «Thresholds» n. 21, autumn 2000, pp. 40-46. Vittorio Gregotti lavorò nello studio BBPR prima ancora di laurearsi nel 1952. Fece parte della redazione di “Casabella continuità” fin dal primo numero della direzione Rogers e ne diventò capo dal 1957 alla metà del 1963, quando passò al comitato di redazione.

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CIAM – entro cui era maturato il viaggio in Sud America di quegli anni – come specifica direzione da indagare.

Di quest’ultimo, infatti, esistono poche notizie. Se ne da nota nella curatissima biografia dell’architetto all’interno dell’opera di Bonfanti e Porta e viene approfondito solamente

in un articolo di Luca Molinari del 199615. Quest’ultimo si concentra su

un’interpretazione delle ragioni politiche che avrebbero condotto Rogers ad allontanarsi dall’Italia senza tuttavia approfondire il contenuto dell’attività didattica e progettuale condotta in America meridionale dall’architetto milanese.

Obiettivo della ricerca è dimostrare che il concetto di preesistenze ambientali sia in grado di sintetizzare le diverse questioni teoriche maturate nel corso della carriera di Rogers per mostrarne il contributo nella comprensione della teoria architettonica moderna. Parlare di preesistenze ambientali significa parlare del problema del progetto urbano nel momento di esplosione della periferia, della proposta di un’ipotesi risolutiva a partire da un ripensamento della nozione di monumento e del suo costruirsi attraverso la precisazione del rapporto tra architettura e urbanistica e tra storia e progetto. La tesi costituisce, inoltre, un punto di vista privilegiato per indagare il contributo che le riflessioni dell’architetto portano al dibattito internazionale sull’eredità del Movimento Moderno e sulle modalità di rifondazione dell’architettura dopo la seconda guerra mondiale.

Ipotesi strumentale all’obiettivo proposto è il riconoscimento delle collaborazioni didattiche e professionali condotte da Rogers in Sud America come stimolo alle prime riflessioni sul problema di costruire nelle preesistenze ambientali, mentre il periodo della direzione di “Casabella continuità” corrisponde alla formalizzazione teorica della questione e alla sua divulgazione. Secondo la presente tesi, infatti, il lascito teorico di Rogers, più che nella costruzione fisica dei progetti, si esplicita negli scritti e trova il suo maturo compimento nel progetto editoriale per la rivista. All’interno di tale edificio teorico, la questione delle preesistenze ambientali rappresenta la possibilità di

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riconoscere un nucleo problematico che, coerentemente alla maieutica rogersiana, appare portatore di fertili dubbi più che di certezze.

Rogers partecipò ai CIAM fin dal 1935 maturando parallelamente un’affinità intellettiva con Le Corbusier, Giedion e Gropius. Le posizioni di tale schieramento, in opposizione al gruppo tedesco più orientato verso un atteggiamento manualistico, erano caratterizzate dalla proposta di un’architettura evocativa di un passato archetipico, dalla ricerca di un’origine mitica dell’architettura e dall’attenzione al carattere emozionale della forma, come strumenti per restituire sintesi alla disgregazione della razionalità illuminista in crisi.

Rogers può essere inoltre incluso tra gli esponenti dell’architettura moderna che, nel dopoguerra, delusi dall’impoverimento dell’esperienza individuale conseguente al processo di industrializzazione, hanno profondamente segnato la loro attività con

l’esigenza di rifondare il futuro dell’architettura moderna nel passato premoderno16. Egli

costruì la sua teoria a partire da una riflessione sul valore della stratificazione storica e culturale della città esistente nel progetto del nuovo. Si è sostenuto che tale necessità si sia concretizzata, in generale, nello spostamento del concetto guida del pensiero del Movimento Moderno dalle idee astratte di spazio e forma delle avanguardie a nuove, più

concrete nozioni di storia e tradizione17. Tuttavia, lo studio del lascito teorico di Rogers

consente di individuare la continua apertura verso entrambe le direzioni, messa in luce, in particolare, dal progetto editoriale di “Casabella continuità” e portata alle estreme conseguenze nel più noto e discusso risultato delle riflessioni sulle preesistenze ambientali: la Torre Velasca.

La ricerca delle radici del pensiero di Rogers nei CIAM, mette in luce alcuni concetti chiave attorno a cui egli costruì la propria posizione: il concetto di nuova monumentalità, il rapporto tra permanenza e modificazione nella città, le nozioni di storia, tradizione e memoria e l’attenzione psicologica alla spontaneità e al simbolismo delle forme. Il confronto del progetto editoriale di “Casabella continuità” con questi ultimi, permette di ipotizzare la chiave interpretativa della struttura della rivista, traslitterando i principi della sua teoria architettonica in scelte editoriali. Gli argomenti

16 Si accoglie qui un’interpretazione dello storico spagnolo Jorge Otero-Pailos, in J. Otero-Pailos,

Architecture’s historical turn: phenomenology and the rise of the postmodern, University of Minnesota Press, Minneapolis – London 2010.

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trattati, i progetti presentati, il contenuto e la frequenza delle rubriche, traducono infatti un pensiero che, per quanto contraddistinto dalla maieutica apertura verso le diverse posizioni assunte dai redattori, instaura una continuità con alcune questioni della modernità postbellica.

Lo studio degli articoli della rivista, fa emergere un antinomico modo di concepire la relazione tra storia e progetto, definito dal tentativo di radicare l’architettura a un archetipo immediato e senza tempo, parallelamente all’introduzione, attraverso i concetti di tradizione e confronto con l’antico, di una temporalità stratificata.

I due atteggiamenti nei confronti della storia individuati dalla ricerca corrispondono alle

tensioni che Rogers ritiene indispensabili all’opera d’arte per essere tale18.

L’interpretazione della direzione di “Casabella continuità” attraverso tale chiave riconduce il ricco itinerario intellettuale ricostruito a un coerente rapporto con la struttura concettuale più essenziale del suo pensiero.

Da un lato, testimoniata dall’interesse verso l'architettura spontanea come matrice entro cui ricercare l'origine archetipica e istintiva dell'architettura, l'energia creativa che guida la sintesi intuitiva delle prime fasi del progetto. Al carattere spontaneo e istintivo di questo fattore dell’architettura è assimilabile il primo schizzo ideativo, come quello di Le Corbusier per Buenos Aires: [immagine] un'idea essenziale, dal punto di vista fenomenologico, in grado di conferire al progetto il necessario grado di adesione alla realtà concreta dei fenomeni, al di là di qualsiasi astrattismo di principi. Dall’altro le ricerche sulla storia urbana e sul rapporto architettura - città condotte nella rivista costruiscono il sapere ciclico della tradizione: la sedimentazione manualistica delle nozioni, costruibile a partire dal confronto di risposte diverse, nello spazio e nel tempo, a problemi analoghi. [immagini]

La struttura della tesi è divisa in tre momenti: la definizione del significato del concetto di preesistenze ambientali con l’individuazione delle questioni teoriche a essa sottese e del loro rapporto col dibattito in atto nei CIAM; la ricostruzione dell’influenza dei

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CIAM nel pensiero di Rogers e, infine, l’approfondimento del periodo più maturo della sua teoria attraverso gli articoli di “Casabella continuità”.

La prima parte della ricerca individua le questioni intorno alle quali si incardina il discorso di Rogers sulle preesistenze ambientali.

Il primo capitolo le rintraccia attraverso gli scritti dell’architetto e mostra come si fondino sulla riflessione in merito alle responsabilità dell’architetto come artista, sulla necessità di estendere l’accezione di monumento dal singolo edificio al tessuto urbano, sull’importanza della tradizione e dell’architettura spontanea, sull’interpretazione dell’ambiente come insieme di dati culturali e, infine, sull’importanza degli aspetti psicologici dell’architettura.

Il secondo capitolo ricostruisce le relazioni che tali questioni intrecciano con i contenuti

dell’VIII CIAM intorno al Cuore della città19. Il congresso si svolse a Hoddesdon nel

1951 e Rogers fu tra i sostenitori del tema, nonché curatore della pubblicazione degli atti, insieme a José Lluis Sert e a Jacqueline Tyrwhitt. Giedion spiegò come la scelta del tema Il Cuore della città fosse il risultato dell’impressione che il precedente congresso di Bergamo, organizzato da Rogers e dal socio Peressutti, aveva suscitato nei membri dei CIAM.

19 Rogers, insieme agli altri BBPR, è membro dei CIAM dal 1935 e intensifica i rapporti con gli ambienti e i

membri dei Congressi in particolare dal 1937, anno in cui Alfred Roth pubblica il progetto per la colonia elioterapica a Legnano. Durante l’esilio svizzero, dal 1943 al 1945, Rogers ha occasione di rinsaldare i rapporti con Afred Roth, Sigfried Giedion, Max Bill, Elène de Mandrot. Nel 1947 è eletto membro del Council (con incarichi di nomina dei delegati e dei membri CIAM, riconoscimento dei gruppi CIAM, indirizzo delle attività direttive e congressuali, rappresentanza pubblica dei principi CIAM) e ricopre la carica di vice-presidente della commissione internazionale permanente dei CIAM per la riforma dell’insegnamento dell’architettura di cui Walter Gropius è presidente.

Dal 1944 al 1959 principali preoccupazioni dei Congressi sono la pianificazione delle modalità di ricostruzione delle città colpite dalla guerra e la messa a punto dei principi della Carta d’Atene in esperienze concrete. E’ in questi anni che alle quattro attività della città funzionalista, formulata prima della seconda guerra mondiale, comincia ad affiancarsi quella del centro civico. Tale concetto - formalizzato nel tema Il Cuore della città in occasione dell’VIII CIAM di Hoddesdon nel 1951 - ha le sue origini nel tentativo di fronteggiare i bisogni emersi dai risultati delle strategie urbanistiche del tempo. A partire dagli anni ’50, infatti, l’atteggiamento disinvolto nei confronti della città consolidata in occasione dei progetti di ricostruzione e di espansione urbana, comincia a mostrare risultati concreti. Emerge pertanto in maniera urgente il problema di una moderna idea di monumentalità con cui rispondere, da un lato, alla necessità di conservare la memoria di una comunità sedimentata nelle pietre degli edifici che abita, dall’altro, a quella di celebrare la nascita di una nuova società democratica attraverso la progettazione dei centri civici dei nuovi

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Il congresso si svolse, quindi, nel momento di massimo coinvolgimento di Rogers nell’associazione, dovuto anche alla fiducia che i colleghi riponevano nella capacità dell’architetto milanese di affrontare l’argomento trattato. L’importanza attribuita da Rogers alle relazioni tra edificio e tessuto urbano come strumento di giudizio del valore monumentale dell’architettura corrisponde alla messa a punto di una posizione originale rispetto alla discussione condotta in seno all’VIII CIAM. Qui si discusse ampiamente la possibilità di definizione del Cuore della città a partire dal valore monumentale dell’architettura e dal suo ruolo di tramite con la memoria storica della città. Il dibattito si costruì attraverso l’analisi del rapporto tra edificio collettivo e tessuto residenziale, fino a concepire il Cuore come piano urbano anziché semplice edificio. Durante il congresso emerse anche l’importanza di un atteggiamento psicologico che sosteneva l’importanza della simbolicità dell’architettura come strumento di introduzione della memoria e della spontaneità nel progetto.

Svelare le relazioni tra il discorso sul Cuore della città e quello sulle preesistenze ambientali ha permesso di tracciare la mappa concettuale necessaria a riconoscere, da un lato, l’influenza dell’attività svolta nei CIAM sul pensiero di Rogers, dall’altro, le relazioni che tale influenza mostra con la formalizzazione di una teoria matura nel progetto editoriale di “Casabella continuità”.

La seconda parte della ricerca esplora i rapporti che intercorrono tra il pensiero di Rogers e i CIAM attraverso l’approfondimento delle questioni dibattute nei congressi da un lato, e la ricostruzione delle circostanze che hanno portato all’esperienza sudamericana dall’altro. Il discorso svolto nei due capitoli si conclude nel momento di inizio delle riflessioni dell’architetto in merito al problema delle preesistenze ambientali. “Uno sguardo da lontano” significa quindi una distanza temporale nel terzo capitolo e una distanza geografica nel quarto, ma il discorso mira invece a mettere in luce la prossimità concettuale delle due vicende con la teoria più matura dell’architetto.

Nel terzo capitolo si riconosce come contributo principale delle riflessioni condotte da Rogers nei CIAM il dibattito intorno all’esigenza di una “nuova monumentalità”. Essa indicò il carattere che l’architettura moderna doveva recuperare a partire da un ripensamento del suo rapporto con la storia. Parallelamente i congressi valutarono la possibilità del riconoscimento di un’autonomia disciplinare dell’architettura

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discutendone all’interno di una “Commissione per la sintesi delle arti pratiche” di cui Rogers fu vice-presidente .

Il quarto capitolo documenta la vicenda sudamericana e l’intensità dei rapporti culturali che Rogers mantenne con gli esponenti dei CIAM fin dalla sua elezione a membro del Council nel 1947, rintracciando le relazioni tra le esperienze di quegli anni e l’inizio dell’interesse per le preesistenze ambientali. La ricostruzione del progetto per il piano regolatore di Buenos Aires nelle sue diverse fasi – da quello di Le Corbusier del 1938 alla partecipazione di Rogers del 1949 – si presenta come un originale punto di vista attraverso cui leggere l’origine della teoria rogersiana. Da un lato, infatti, mostrando l’esemplarità del progetto lecorbuseriano per la Ciudad de negocios rispetto al concetto di “nuova monumentalità” se ne mette in luce il carattere anticipatore rispetto alla più matura attenzione nei confronti dell’archetipo e della tradizione che Rogers mostrerà in “Casabella continuità”. Dall’altro lo studio delle questioni affrontate dall’Estudio del Plan in merito al problema della crescita disordinata della periferia urbana e, in particolare, il dibattito avvenuto tra i membri dei CIAM a tale proposito, anticipa i problemi riguardanti la teoria urbana e il rapporto tra architettura e città che caratterizzeranno il taglio editoriale della rivista al ritorno di Rogers in Italia.

La terza parte della ricerca prende in esame e descrive il progetto redazionale di “Casabella continuità” come la matura traduzione della teoria di Rogers in opera concreta. Lo studio del progetto redazionale, condotto attraverso gli articoli della rivista, mette in luce il costruirsi di tale teoria su un duplice modo di concepire il rapporto tra architettura e storia. Da un lato propone una storia fenomenologicamente ridotta nella ricerca di un’immediata relazione con l’origine archetipica ed essenziale dell’architettura. Dall’altro fa appello a una storia intesa come il diacronico deposito di tutte le esperienze che costruiscono il suo infinito succedersi, confrontabili proprio grazie alla loro storica e concreta declinazione formale di problemi architettonici analoghi a quelli ancora affrontati nell'Italia del dopoguerra, con cui ogni opera deve misurarsi per determinare il proprio grado di verità. Si tratta, pertanto, di due prospettive apparentemente antinomiche, come si indica nel titolo della terza parte: “Utopia della realtà” antinomie della storia attraverso le pagine di “Casabella continuità”.

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Tuttavia, coerentemente alla natura del suo pensare, Rogers tenterà verso la fine del suo lavoro nella rivista – molto vicino alla fine della sua vita, spentasi nel 1969 dopo una lunga malattia neurodegenerativa – una paradossale sintesi tra i due punti di vista attraverso una certa apertura nei confronti dell'approccio tipologico all'architettura che stava prendendo piede nella giovane generazione di architetti italiani. Quest'ultimo momento è sintetizzato dall'editoriale Metodo e tipologia (1964) che chiude l'ultimo capitolo e giustifica la scelta del termine antinomia – per via della paradossale compresenza di due affermazioni contraddittorie – e della citazione "Utopia della realtà" – dove utopia allude all'atteggiamento descritto nel V capitolo e realtà a quello descritto

nel VI20.

Il quinto capitolo si occupa così di mostrare l’interesse delle scelte editoriali per l’origine archetipica dell’architettura e la sua concezione fenomenologica e dimostrare la presenza di una contrazione del tempo nel concetto di storia attraverso cui si è costruito il progetto di Rogers. Esso prende forma grazie a ricerche sull’architettura spontanea e popolare e all’influenza degli articoli di Enzo Paci, esponente della filosofia fenomenologica italiana e ufficialmente membro del comitato editoriale della rivista dal

195721. Si tratta di un filone del quale si può riconoscere la genealogia nelle

argomentazioni dei CIAM più rivolte agli aspetti psicologici e sociologici dell’architettura, nonché l’eredità della carica utopica che caratterizzava il contributo dei membri più influenti. Attraverso riferimenti agli scritti di Norberg-Schulz, Husserl e Paci, si evidenzia come il valore di genius loci conferito da Rogers alle preesistenze ambientali coincida con un’impostazione fenomenologica della sua teoria. A tale influenza filosofica è ricondotto il ricorso all’archetipo come strumento di introduzione della storia nel progetto. L’archetipo, così come l’architettura spontanea, infatti, corrisponde a un concetto di storia che, assunta all’interno di una ricerca delle essenze a partire dai dati oggettivi della realtà, è costretta a sopprimere la memoria della genealogica sedimentazione di esperienze dall’origine all’oggi, in favore di una conoscenza intuitiva della verità. Così, all'interno dell'approccio fenomenologico

20 E. N. Rogers, Utopia della realtà, in «Casabella Continuità» n. 259, gennaio 1962, p. 1.

21 Per Casabella Continuità Enzo Paci ha scritto i seguenti articoli: Il cuore della città, n. 202,

agosto-settembre 1954, pp. VII-X; Problematica dell’architettura contemporanea, n. 209, gennaio-febbraio 1956, pp. 41-46; L’architettura e il mondo della vita, n. 217, 1957, pp. 53-55; Wright e lo “spazio vissuto”, n. 227, maggio 1959, pp. 9-10; mentre dal n. 215 dell’aprile-maggio 1957 entra ufficialmente del Comitato di Redazione insieme a Carlo Giulio Argan, Roberto Guiducci, Pier Luigi Nervi, Ludovico Quaroni, Giuseppe

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all'architettura è possibile ricomprendere le questioni relative all'origine istintiva dell'ispirazione del primo atto creativo, alla caratterizzazione particolare dell'opera in base all'ambiente in cui si opera (“nuovo regionalismo”) e in generale a quel movimento verticale del pensiero rogersiano che radica l'opera al luogo e al tempo.

L’idea si concretizzò in scelte linguistiche costruite a partire da un’impostazione semantica e percettiva dell’architettura in cui si riconosce il rischio di una perdita del controllo della forma a favore di giustificazioni eteronome della stessa. Il ragionamento è pertanto utile a ricondurre alla concezione fenomenologica ridotta della storia l’origine del carattere iconico della Torre Velasca così come la possibilità di una critica a quello che fu chiamato Neoliberty italiano.

Allo stesso tempo, nelle ricerche condotta in “Casabella continuità” attraverso la raccolta di documenti storici e analitici sulle città e sulle opere della tradizione, teoricamente descritta dal riferimento all'idea di tradizione mutuata da Eliot, prende forma il rogersiano movimento circolare della trasmissione del sapere. Il sesto capitolo si occupa, quindi, di chiarire la traduzione nel progetto editoriale di una concezione della storia corrispondente a una tradizione che si costruisce a partire dalla sedimentazione di esperienze analoghe e confrontabili. In tale accezione trovano posto gli articoli sulle eterogenee proposte di soluzione al problema del progetto urbano e dell’espansione della periferia che, raccolte sotto uno sguardo complessivo, si configurano come il tentativo di far emergere, attraverso il confronto, le linee guida di un’urbanistica intesa come disegno urbano.

Il primo capitolo è stato affrontato prevalentemente attraverso lo studio degli editoriali di “Casabella continuità”, corredati da alcuni ulteriori scritti resi solo recentemente

accessibili22.

Il secondo, il terzo e il quarto capitolo sono stati costruiti sulla base di approfondimenti bibliografici e documenti provenienti dell’archivio CIAM dell’Institut für Geschichte und Theorie der Architektur (gta) di Zurigo e delle Special Collections CIAM, Josep Lluis Sert, Ferrari Hardoy e Le Corbusier presso la Loeb Library della Graduate School of Design (GSD) di Harvard.

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Le fonti del quinto e del sesto capitolo sono invece costituite prevalentemente dagli articoli di “Casabella continuità” e dalla bibliografia critica.

L’esplorazione dei documenti depositati a Parigi preso la Fondation Le Corbusier relativi alla corrispondenza fra i due architetti, infine, se non ha aperto nuove strade all’interno dell’itinerario ipotizzato, è stata utile a corroborare le relazioni teoriche tra il pensiero dei due architetti, delle quali la ricerca ha messo in luce il proficuo contributo al chiarimento del significato del concetto rogersiano di preesistenze ambientali.

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Parte prima

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L’indagine sul significato del concetto di preesistenze ambientali nel pensiero di Ernesto Nathan Rogers parte da un approfondimento condotto attraverso quegli scritti in cui l’architetto ha affrontato la questione più direttamente che altrove. Rogers parlò per la prima volta di preesistenze ambientali nel 1948, in occasione di un soggiorno in America meridionale. In seguito il concetto diventò

fondamento dei ragionamenti svolti nel corso di Caratteri stilistici e costruttivi dei monumenti al Politecnico di Milano (1952-1962) e degli editoriali scritti per la rivista “Casabella continuità” (1954-1965).

Gli scritti analizzati permettono di individuare le questioni intorno alle quali si incardina il discorso teorico dell’architetto e di costruire, grazie ad esse, una mappa concettuale. Quest’ultima è necessaria ad attraversare il ricco territorio dell’esperienza culturale di Rogers percorrendo l’itinerario intellettuale che ricostruisce l’influenza della nozione di preesistenze ambientali nella sua successiva teoria dell’architettura.

Ciò permette di riconoscere alcune corrispondenze tra le questioni ricomprese nel discorso sulle preesistenze ambientali e quelle attorno a cui ruotò l’VIII CIAM, la cui organizzazione fu curata da Rogers e coincise con un periodo in cui il ruolo di Rogers in seno al consiglio del gruppo aveva assunto particolare importanza. Approfondire quindi il dibattito che si svolse in tale occasione contribuisce a corroborare la mappa concettuale ipotizzata e a precisare le più ampie relazioni che il pensiero di Rogers instaura nel dibattito teorico a lui contemperano. Così, il tentativo di stabilire i confini del Cuore a partire della relazione che gli edifici instaurano col resto della città si configura come il terreno fertile che consente a Rogers di maturare una personale posizione a riguardo e di introdurla, come estensione del valore di monumento al tessuto urbano, nella definizione del

problema del «costruire nelle preesistenze ambientali»1.

(26)

L’interesse per l’architettura spontanea rientra nell’ambito di un’impostazione teorica che conferisce particolare importanza agli aspetti psicologici e sociologici dell’architettura. Si tratta di aspetti molto discussi all’interno dei CIAM e che assunsero, nel congresso del 1951, il ruolo di contributi alla ricerca dell’identità degli insediamenti attraverso il rapporto del progetto con la storia. Anche in questo caso emergono importanti analogie con la teoria rogersiana, con le riflessioni sull’importanza della tradizione e della storia nel progetto e con la propensione per un metodo progettuale, mutuato da Gropius, la cui scientificità si basa su premesse di tipo psicologico.

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I Le preesistenze ambientali attraverso gli scritti di Rogers

«Due forze essenziali compongono la tradizione: una è il verticale, permanente radicarsi dei fenomeni ai luoghi, la loro ragione oggettiva di consistenza; la seconda è il

circolare, dinamico connettersi di un fenomeno all’altro, tramite il mutevole scambio

intellettuale fra gli uomini; la tradizione è il miele pregnante che le api elaborano cogliendo il succo dai diversi fiori, quando lo trasportano nella loro remota officina.

Ogni artista e, anzi, ogni opera d’arte, sono all’incrocio di queste due forze che

collaborano al processo storico e ne sono la vera essenza»1.

Il ruolo dell’architetto come artista (1)

L’espressione preesistenze ambientali comparve per la prima volta negli scritti di Rogers

in occasione della lezione El drama del Arquitecto2 che egli tenne alla Facoltà di lettere e

filosofia della Universidad Mayor de San Marcos di Lima nel 1948. L’intervento ruotava

intorno a una sola, importante, questione: il ruolo dell’architetto come artista3. La

risposta di Rogers passava attraverso l’analogia tra il compito che l’architetto ha di tentare la sintesi di utilità e bellezza e quello che ogni artista ha di fissare l’obiettivo del suo avanzamento – «la scoperta dell’intima Verità» - all’interno della contrapposizione dialettica tra «le forze istintive» – «le forze che sono in noi fin dal primo respiro …

1 E. N. Rogers, Le responsabilità verso la tradizione, in «Casabella Continuità», n. 202, agosto-settembre

1954, pp. 1-3; poi in E. N. Rogers, Esperienza dell'architettura, Einaudi, Torino1958; ed. cons.: Skira, Milano 1997, p. 274-279.

2 Poi come E. N. Rogers, Il dramma dell’architetto, in Id., Esperienza dell'architettura, cit. (Introduzione,

nota 2), pp. 165-171.

3 «“Che l’architettura sia un’arte” sta bene, ma chi può assicurarmi che io sia un architetto e cioè un artista?

(28)

l’essenza della propria umanità» – e «quelle acquisite» – «la conoscenza, e cioè non solo … [l’]apprendere freddamente per mezzo dell’intelletto e…[il] mandare a memoria delle informazioni», ma il «porre ordine al proprio sistema interiore, alimentare i sentimenti e poterli tradurre in azioni». E’ attraverso lo scontro della sensibilità artistica con gli interessi pratici che, secondo Rogers, si realizzerebbe la moralità dell’estetica, cioè la traduzione di un principio ideale in concretezza. «La questione fondamentale per l’architetto (e non solo per l’architetto, ma per ogni condizione umana) è di sapere quale sia il limite di accordo fra l’idealità e la possibilità storica» e ancora «dobbiamo aspirare all’universale dando valore alle energie latenti nella contingenza; dobbiamo mirare al presente come emanazione viva del passato e come viva scoperta del futuro». Attraverso tali parole prendeva forma un’idea di storicità intesa come lo strumento necessario a radicare i principi ideali alla materialità del costruire, perchè attraverso di essa l’essere umano raggiunge la consapevolezza dei limiti – del prima e del poi – entro cui dare forma all’infinitezza dell’astrazione.

«Se un’intuizione architettonica è giusta, essa può subire, dalla fase di progetto alle successive fasi della sua realizzazione, quelle modifiche necessarie alla più precisa determinazione dei problemi che affiorano durante il processo di elaborazione: essa dovrà radicarsi sempre più profondamente nella realtà: nel tema specifico e nelle preesistenze ambientali in cui questo s’inserisce»4.

Per Rogers, le preesistenze ambientali erano, quindi, innanzitutto un problema d’impostazione filosofica dell’opera, umana prima e artistica poi. Si potrebbe quindi dire che tale nozione sintetizzi la sua concezione estetica dell’architettura.

Estensione del valore di monumento al tessuto urbano (1)

Dalle parole di Rogers emerge un secondo aspetto del concetto di preesistenza ambientale cioè quello legato allo spazio costruito architettonico e urbano.

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Nel 1952, in occasione della lezione introduttiva al corso di Caratteri stilistici e

costruttivi dei monumenti5, l’architetto si soffermò sulla spiegazione del significato

etimologico della parola “monumento”. Per lui era importante acquisire consapevolezza in merito al cambiamento di prospettiva che la mutata struttura sociale imponeva alla struttura della cultura. Pertanto non era più possibile pensare il monumento come il singolo edificio – «le opere d’eccezione delle classi dominanti» – ma monumento, ovvero oggetto degno di memoria e considerazione estetica, diventava tutta l’opera dell’uomo «dove sia raggiunta la sintesi tra l’utilità e la bellezza». Ciò che da senso alla singola opera

era, infatti, l’orizzonte culturale e fisico in cui sorge6. É in tale orizzonte, infatti, che si

costruisce il «gioco di rapporti» che il singolo edificio instaura con gli altri e che gli conferisce valore, al di là della sua propria qualità, in quanto elemento della

composizione architettonica della città7.

Tradizione e senso storico

In Pretesti per una critica non formalistica - poi riedito all’interno di Esperienza

dell’architettura col titolo Tradizione e talento individuale8 - Rogers ricorreva a T. S. Eliot

per spiegare che, per apprezzare l’opera di un architetto facilmente tacciabile di formalismo come Oscar Niemeyer, era necessario un senso storico che permettesse di «collocare i fatti nella giusta posizione rispetto alle coordinante dello spazio e del tempo». Qui, per la prima volta, egli suggerì l’analogia tra la sua idea di tradizione e quella del

5 Poi pubblicata come Carattere e stile in E. N. Rogers, Esperienza, cit., p. 163-165.

6 «E ogni altro oggetto bisogna considerarlo nel suo inserimento ambientale (culturalmente e fisicamente). |

Più vasto diventa subito il nostro orizzonte, più vivo, più ricco, più palpitante, più umano. | Bisogna saldare la tradizione colta con quella popolare in una sola tradizione. All’estensione dello spazio architettonico corrisponde, per analogia, l’estensione nelle coordinate del tempo». Ibid., p. 164.

7 É così che il «grande concerto» di Venezia è capace di ricomprendere il progetto di Wright per la Casa

Masieri senza che il giudizio sulla qualità architettonica dell’edificio influisca sul carattere della città. E. N. Rogers, Polemica per una polemica, in «Casabella continuità» n. 201, maggio-giugno 1954, poi in Id., Esperienza, cit., pp. 115-120.

8 E.N. Rogers, Pretesti per una critica non formalistica, in «Casabella continuità» n. 200, febbraio-marzo

1954; in forma ridotta come Report on Brazil, in «The Architectural Review» n. 694, 1954; poi come Tradizione e talento individuale in Id., Esperienza, cit., pp. 260-267 e in Maffioletti, a c.d., Ernesto N. Rogers, Architettura, misura e grandezza dell'uomo, cit., pp. 505-510.

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poeta e critico letterario inglese. Lo stesso titolo dello scritto ricalcava, in Esperienza dell’architettura, quello del saggio in cui Eliot chiariva il significato attribuito al concetto

di senso storico e la sua importanza nella creazione dell’opera d’arte9. Se interpretiamo il

riferimento di Rogers al saggio Tradizione e talento individuale di Eliot come l’adesione dell’architetto all’idea di tradizione espressa dal critico, sarà utile riportare alcune parti del testo nel tentativo di approfondire il punto di vista di Rogers in merito.

Lungi dal ridursi alla mera adesione ai risultati raggiunti dalla generazione precedente, la tradizione è un patrimonio di cui ci si impossessa con la conquista. Perché ciò sia possibile occorre avere «senso storico»:

«Avere senso storico significa essere consapevole non solo che il passato è il passato, ma che è anche presente; il senso storico costringe a scrivere non solo con la sensazione fisica, nel sangue, di appartenere alla propria generazione, ma anche con la coscienza che tutta la letteratura europea da Omero in avanti, e all’interno di essa tutta la letteratura del proprio paese, ha una sua esistenza simultanea e si struttura in un suo ordine simultaneo. Il possesso del senso storico, che è senso dell’a-temporale come del temporale, e dell’a-temporale e del temporale insieme: ecco quello che rende tradizionale uno scrittore. Ed è nello stesso tempo ciò che lo rende più acutamente consapevole del suo posto nel tempo, della sua contemporaneità.

Nessun poeta, nessun artista di nessun’arte, preso per sé solo, ha un significato compiuto. La sua importanza, il giudizio che si da di lui, è il giudizio di lui in rapporto ai poeti e agli artisti del passato. Non è possibile valutarlo dal solo; bisogna collocarlo, per procedere a confronti e contrapposizioni, tra i poeti del passato. Questo è per me un principio di critica estetica, e non di semplice critica storica. La necessità che si inserisca in modo coerente, che si adatti al passato, non riguarda soltanto lui, poeta del presente; quel che avviene quando si crea una nuova opera d’arte, avviene contemporaneamente a tutte le opere d’arte precedenti. I monumenti esistenti compongono un ordine ideale che si modifica quando vi sia introdotta una nuova (veramente nuova) opera d’arte. L’ordine esistente è in sé concluso prima che arrivi l’opera nuova; ma dopo che l’opera nuova è comparsa, se l’ordine deve continuare a sussistere, deve tutto essere modificato, magari di pochissimo; contemporaneamente tutti i rapporti, le proposizioni, i valori di ogni opera d’arte trovano un nuovo equilibrio; e questa è la coerenza tra l’antico e il nuovo. Chiunque approvi questa idea di un ordine, di una forma che è propria della letteratura europea, della letteratura inglese, non troverà assurda l’idea che il passato sia modificato dal presente, come non lo è che il presente trovi la propria guida nel passato. Il

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poeta che sia consapevole di questo, sarà anche consapevole delle grandi difficoltà e responsabilità che lo attendono»10.

«Il poeta dev’essere consapevole dell’ovvia verità che l’arte non migliora mai, anche se il materiale dell’arte non è mai completamente lo stesso. […] Tale movimento, chiamiamolo forse processo verso una maggiore raffinatezza, o comunque certamente chiamiamolo processo verso una maggiore complessità, dal punto di vista dell’artista non è vero progresso; e progresso forse non è neppure dal punto di vista dello psicologo o almeno non nella misura che ci immaginiamo; forse, tutto considerato, esso consiste solo un una maggiore complessità di implicazioni pratiche e di strumenti usati. Ma la differenza tra il presente e il passato sta in questo: che il presente, quando sia consapevolezza, è consapevolezza del passato in un senso e in una misura mai raggiunta, come consapevolezza di sé, dal passato»11.

Parafrasando Eliot, continuità significava allora il conseguimento, da parte dei maestri del Movimento Moderno, di un grado di maggiore consapevolezza rispetto alle conquiste dell’Art Nouveau così come, per Rogers e i suoi contemporanei, il perseguimento di una maggiore consapevolezza rispetto ai principi del Movimento Moderno.

«Ciò facendo, il poeta procede a una continua rinuncia al proprio essere presente, in cambio di qualcosa di più prezioso. La carriera di un artista è un continuo autosacrificio, una continua estinzione della personalità.

[…] In questo processo di spersonalizzazione si può dire che l’arte si avvicini alla condizione della scienza»12.

La costruzione dell’architettura era, quindi, un’opera d’arte collettiva grazie alla quale assumono valore le caratteristiche dell’opera di un architetto in cui egli assomiglia ad altri architetti e così dimostra «con maggiore vigore…l’immortale vitalità dei suoi

antenati»13.

10 Ibid., pp. 69-70. 11 Ibid., pp. 71-72. 12 Ibid., p. 73. 13 Ibid., p. 68.

(32)

L’interesse per l’architettura spontanea

Nell’editoriale Le responsabilità verso la tradizione14 Rogers approfondì la declinazione

della sua moralità estetica in composizione architettonica. Egli partiva dalla constatazione positiva del nuovo interesse della cultura architettonica verso l’arte e

l’architettura spontanee15. L’inclusione della cultura popolare nell’attenzione rivolta alla

tradizione sarebbe stata, infatti, non solo il segno della maturazione di una coscienza politica sociale, ma della disposizione ad ampliare le possibilità di comunicazione a un pubblico più vasto. Arginare le scelte linguistiche nel folklore era però altrettanto rischioso che aderire all’anodino manuale del formalismo antico o moderno. L’opera d’arte si collocava, pertanto, all’incrocio delle due esigenze: da un lato quella di sperimentare l’eterno sapere della tradizione architettonica, dall’altro quello di precisarlo attraverso le esigenze contingenti del luogo in cui lo si applica.

Prende così chiaramente forma la struttura attorno alla quale si giocano i rapporti che governano la sintesi tra utilità e bellezza: lungo un orizzonte circolare si muovono le forze istintive e umane del genio artistico e la concatenazione dei fenomeni che si tramandano attraverso lo scambio intellettuale tra gli uomini. In questo campo era ricompresa la manualistica e l’insieme dei saperi della tradizione che condizionano la formazione dell’individuo come essere umano e dell’architetto come artista. Tale orizzonte astratto delle idee si radica nella concretezza del reale attraverso una forza verticale formata dalle conoscenze acquisite, dagli interessi pratici, dalle contingenze culturali e fisiche in cui l’uomo agisce e in cui sorge l’opera d’arte, dalle ragioni consistenti dei fenomeni. Si ritrova, all’intersezione di tale movimento, la consapevolezza, descritta da Eliot, di un luogo in cui la circolarità di «tutta la letteratura europea da Omero in avanti» coincide con le radici di «tutta la letteratura del proprio

14 E. N. Rogers, Le responsabilità verso la tradizione, cit.

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paese»16. All’incrocio di tale struttura si trova la vera opera d’arte e il gioco di rapporti a essa sotteso costituiva, per Rogers, la composizione architettonica. I due sistemi di forze descritti sono anche quelli che compongono la tradizione: da un lato quella del sapere e dall’altro quella dell’esperienza spontanea se «la tradizione è il miele pregnante che le api elaborano cogliendo il succo dai diversi fiori, quando lo trasportano nella loro remota

officina»17.

I fenomeni che l’idea progettuale astratta incontra nelle preesistenze ambientali la condizionano perché diventi opera d’arte concreta.

Estensione del valore di monumento al tessuto urbano (2)

Lo stesso editoriale fu ripreso da Rogers in Esperienza dell’architettura e corredato da immagini che aiutavano a comprendere meglio il contenuto del testo. In particolare ci interessa porre l’attenzione sugli esempi di inserimento all’interno delle preesistenze ambientali che egli riportava come buone esperienze. Insieme ai recenti progetti del La Martella di Agati, Gorio, Lugli, Quaroni e Valori (1952), alla sala dei sindacati a Linköping di Markelius (1953), alla Borsa Merci di Michelucci (1949), agli uffici e negozi Rautatalo di Aalto (1952-1954), agli uffici per l’INA di Albini (1953), all’edificio di Samonà a Treviso (1950), alla casa in via Borgonuovo dei BBPR (1946-1947) e agli studi di Asplund per l’inserimento dell’ampliamento del Municipio di Göteborg (1920-1937), Rogers proponeva una vista della piazzetta S. Marco a Venezia. Quest’ultima era descritta unicamente attraverso l’indicazione delle soglie storiche del Palazzo Ducale – secolo XIV – e della Libreria sansoviniana – 1536. La scelta delle immagini, un testo che corre parallelo a quello scritto, sembra riferirsi ad un unico sintetico principio: il valore della città come stratificazione di intenzioni progettuali, indipendentemente dall’epoca storica in cui queste sono state costruite. A ribadire l’idea, il progetto di Piacentini per la via della Conciliazione di fronte a San Pietro, questa volta esempio di cattiva pratica. Non compariva, nelle didascalie descrittive, alcuna critica ai progetti, ma le immagini –

16 T. S. Eliot, Tradition and the individual talent, cit., p. 69. 17 E. N. Rogers, Le responsabilità verso la tradizione, cit.

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