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OTTIMIZZAZIONE DEL PROCESSO DI CO-DIGESTIONE ANAEROBICA DI REFLUI VINICOLI IN MISCELA CON FANGHI SECONDARI

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(1)

Corso di Laurea magistrale

in Scienze Ambientali

Tesi di Laurea

Ottimizzazione del

processo di co-digestione

anaerobica di reflui

vinicoli in miscela con

fanghi secondari

Relatore

Prof. Cristina Cavinato

Laureando

Valentina Breda

Matricola 813054

Anno Accademico

2012/2013

(2)

SOMMARIO:

ABSTRACT ... 6

1. Introduzione ... 7

1.1 Produzione vinicola ... 7

1.1.1 Produzione vinicola in Italia ... 8

1.1.2. Produzione vinicola nel mondo ... 9

1.2 Processo produttivo del vino ... 11

1.2.1 Scarti della lavorazione del vino ... 13

1.2.2 Normativa ... 16

1.3 Trattamento delle acque reflue di cantina ... 19

1.3.1. Incentivi per il trattamento delle acque reflue di cantina ... 20

1.4 Il problema dei fanghi di depurazione ... 22

1.5 La digestione anaerobica ... 22

1.5.1. Fasi del processo ... 24

1.5.2 La co-digestione: i vantaggi ... 24

1.6 Stato dell’arte ... 25

2. Obiettivi del lavoro sperimentale ... 27

3. Materiali e metodi ... 28

3.1 L’azienda vinicola “Serena” ... 28

3.1.1 Bilancio di massa dell’azienda ... 30

3.2 Metodi analitici ... 33

3.2.1 Analisi chmico-fisiche ... 33

3.2.2 Analisi sul biogas ... 35

3.2.3 Analisi Respirometriche ... 37

3.3 Substrati utilizzati ... 41

3.4 Test in discontinuo: Biochemical Methane Potential (BMP) ... 42

3.4.1 Principi del metodo ... 42

3.4.2 Apparato strumentale ... 42

3.4.3 Preparazione del campione ... 43

3.5 Test in continuo: CSTR ... 47

3.5.1 Descrizione dell’impianto pilota ... 47

3.5.2 Parametri operativi dell’impianto ... 48

4. Risultati e discussione ... 51

(3)

4.1.1 Inoculo ... 51

4.1.2 Feccia ... 52

4.1.3 Fango ... 54

4.2 Test in discontinuo: BMP ... 54

4.2.1 Confronto tra i diversi substrati ... 54

4.3 Test in continuo: CSTR ... 57

4.3.1 Inoculo ... 57

4.3.2 Andamento dei parametri di stabilità ... 59

4.3.3 Andamento e confronto delle diverse condizioni operative ... 63

4.3.5 Bilanci di massa ... 64

4.4 Sviluppi futuri in piena scala ... 66

5. Conclusioni ... 68

6. Glossario ... 70

7. Riferimenti bibliografici ... 72

INDICE DELLE FIGURE:

Figura 1: Produzione di vino in Italia dal 2008 al 2012 (Mhl/anno). ... 9

Figura 2: Suddivisione della produzione mondiale di vino nel 2012. ... 10

Figura 3: Produzione mondiale di vino dal 2008 al 2012 (Mhl/anno). ... 11

Figura 4: Fasi del processo produttivo del vino (in verde), e i sottoprodotti del processo (in arancione). ... 13

Figura 5: Bilancio dei materiali in entrata. ... 15

Figura 6: Bilancio dei materiali in uscita. ... 15

Figura 7: Schema generale di un impianto di trattamento di acque reflue. ... 20

Figura 8: rappresentazione schematica del processo di digestione anaerobica. ... 23

Figura 9: Ingresso principale dell'azienda "Serena". ... 28

Figura 10: Schema dell'impianto di trattamento reflui dell’azienda vinicola "Serena". ... 29

Figura 11: Sollevamento ... 29

Figura 12: Grigliatura ... 29

Figura 13: Preareazione ... 29

Figura 14: Vasche di ossidazione ... 29

Figura 15: Sedimentazione secondaria ... 29

Figura 16: Stoccaggio del fango ... 29

Figura 17: Bilancio di massa dell'azienda. ... 30

(4)

Figura 19: Produzione di feccia [tonnellate]. ... 31

Figura 20: Produzione di fango di depurazione [tonnellate]. ... 32

Figura 21: Contatore volumetrico utilizzato per la misurazione del gas prodotto. .... 36

Figura 22: Misuratore portatile per la misurazione della composizione del gas. ... 36

Figura 23: Schema del frazionamento del COd totale. ... 37

Figura 24: Apparato strumentale per le analisi respirometriche. ... 38

Figura 25: Retta raffigurante l'ossigeno consumato. ... 39

Figura 26: Andamento dell'OUR nel tempo. ... 40

Figura 27: Andamento dell'OUR nel tempo, le diverse aree indicano la degradazione delle diverse frazioni di COD. ... 40

Figura 28: Feccia utilizzata durante la sperimentazione. ... 41

Figura 29: Serbatoi della cantina contenenti la feccia: ... 41

Figura 30: Fango secondario liquido (sinistra) e fango secondario pressato (destra), utilizzati nella sperimentazione. ... 41

Figura 31: Esempio schematico e reale della bottiglia. ... 43

Figura 32: Schematizzazione delle proporzioni dei volumi di substrato immessi nelle bottiglie, riguardanti il fango e la feccia. ... 45

Figura 33: Schematizzazione delle proporzioni dei volumi immessi nelle bottiglie riguardanti la SMA. ... 45

Figura 34: Alcune bottiglie conservate all’interno della stufa. ... 46

Figura 35: Schema dello strumento utilizzato per la misurazione del biogas. ... 46

Figura 36: Immagine reale dello strumento utilizzato per la misurazione del biogas. 46 Figura 37: Foto dei reattori utilizzati nella sperimentazione, a. è il reattore mesofilo e b. quello termofilo. ... 47

Figura 38: Frazionamento del COD presente nella feccia. ... 53

Figura 39: Curve cumulative raffiguranti la produzione specifica di biogas a 37°C a. e a 55°C b. ... 55

Figura 40: Curve cumulative raffiguranti la produzione specifica di metano a 37°C a. e a 55°C b. ... 55

Figura 41: Grafici raffiguranti la costante d'idrolisi del fango (azzurro) e della feccia (rosso), a 37°C (a.) e 55°C (b.). ... 57

Figura 42: andamento dell'OLR e dell'HRT durante la sperimentazione a 37°C e 55°C ... 59

Figura 43: Andamento del pH nei due reattori, in relazione al carico (OLR). ... 60

Figura 44: Andamento dell'alcalinità totale (TA) e parziale (PA) in relazione al carico (OLR) ... 61

Figura 45: Andamento della concentrazione di VFA in relazione al carico (OLR). ... 61

Figura 46: Andamento dell'ammoniaca a 37°C e 55°C in relazione al carico (OLR): .. 62

Figura 47: Grafici dell'andamento della SGP a., SMP b. e GPR c., in relazione al carico (OLR). ... 63

Figura 48: Schematizzazione dei bilanci di massa in condizioni mesofile (a.) e termofile (b.). ... 65

(5)

 

INDICE DELLE TABELLE:

Tabella 1: Produzione di vino in Italia 2008-2012. ... 8

Tabella 2: Produzione mondiale di vino dal 2008 al 2012. ... 11

Tabella 3: Bilancio materiale del processo di vinificazione. ... 14

Tabella 4: Caratteristiche chimico-fisiche dei reflui di cantina. ... 19

Tabella 5: Stato dell'arte della digestione e co-digestione anaerobica dei sottoprodotti e dei reflui di vinificazione. ... 26

Tabella 6: calcoli per la quantità dell’inoculo ... 44

Tabella 7: parametri utilizzati per il calcolo del volume di fango ... 44

Tabella 8: parametri utilizzati per il calcolo del volume di feccia ... 44

Tabella 9: Caratteristiche dell'inoculo. ... 51

Tabella 10: Caratteristiche chimico-fisiche della feccia. ... 52

Tabella 11: caratteristiche chimico-fisiche del fango ... 54

Tabella 12: Riepilogo delle rese di biogas e metano nei due regimi termici e della SMA. ... 56

Tabella 13: Tabella relativa alle caratteristiche dell'inoculo per i test in continuo CSTR. ... 58

Tabella 14: Tabella riassuntiva con i valori di COD, TKN e fosforo totale. ... 62

Tabella 15: Bilanci di massa ed efficienze di rimozione nel mesofilo (a.) e nel termofilo (b.). ... 65

(6)

ABSTRACT

Il lavoro di tesi riguarda l’applicazione del processo di co-digestione anaerobica di feccia di vinificazione e fango secondario di depurazione in condizioni mesofile (37°C) e termofile (55°C).

Le due matrici utilizzate sono state caratterizzate mediante analisi chimico-fisiche, analisi respirometriche e mediante test di biometanazione (BMP) per la valutazione della biodegradabilità.

I test BMP hanno rivelato una maggior resa in termini di produzione specifica di metano (SMP), della feccia di vinificazione in condizioni di termofilia (0,24 Nm3CH4/kgVS), con maggiori cinetiche di degradazione del substrato (kH feccia 0,50

d-1). I test BMP sul fango hanno invece confermato bassi valori di resa in metano (0,13

Nm3CH

4/kgVS).

Il processo di digestione anaerobica è stato poi sperimentato su reattori in scala pilota di tipo CSTR da 230 litri di volume utile, alimentati in regime semicontinuo. E’ stato testato un carico organico (OLR) di 2,5 kgVS/m3*d, composto da 0,55

kgVS/m3*d del fango e 1,95 kgVS/m3*d della feccia, ed un tempo di ritenzione

idraulica (HRT) di 46 giorni.

Dopo una lenta fase di start-up si sono raggiunte delle condizioni pseudo-stazionarie, caratterizzate da una buona resa sia nel reattore termofilo che mesofilo, sia in termini di biogas con valori medi di 0,42 Nm3

biogas/kgVS, che di metano (media

di 0,30 Nm3CH4/kgVS).

Le evidenze riscontrate portano quindi a dedurre che il processo è applicabile a questa tipologia di substrato, utilizzando tale carico organico, e che questo approccio consente interessanti vantaggi in termini di aumento della potenzialità energetica del processo oltre che a fornire un’alternativa all’utilizzo o smaltimento degli scarti vinicoli.

(7)

1. Introduzione

Industria vinicola e ambiente sono da sempre legati da un rapporto molto stretto: la prima, infatti, influenza inesorabilmente l’ambiente nel quale essa opera, ma, allo stesso tempo, la sua sopravvivenza è irrimediabilmente legata alle condizioni e agli impatti che genera sullo stesso (Schaltegger e Burritt, 2000). Herberger (2012) ha, infatti, suggerito come le conseguenze dei cambiamenti climatici stiano diventando sempre più acute e, nello stesso tempo, sempre più comuni, creando non pochi problemi soprattutto ai settori legati all’agricoltura. È quindi fondamentale, tanto a garanzia della sostenibilità ambientale quanto di quella economica, che vengano sviluppate delle opportune valutazioni riguardanti l’impatto ambientale, le quali possano quindi concorrere a formulare efficaci soluzioni ai problemi ed agli impatti che l’industria scarica sull’ambiente.

In questo capitolo sarà analizzato l’andamento della produzione vinicola nel mondo e in seguito in Italia, descrivendo poi il processo di produzione del vino e i relativi sottoprodotti e rifiuti da essa derivanti e infine una possibile soluzione per il recupero e riutilizzo di questi.

1.1 Produzione vinicola

Quello della produzione del vino è senz’altro uno dei settori più antichi al mondo: la sua origine si perde infatti nella notte dei tempi. Nonostante ciò, l’industria vinicola è rimasta per molto tempo indifferente alle tematiche ambientali (Barber et al., 2009; Marshall et al., 2005): essa, infatti, è sinora stata soggetta, per quanto riguarda l’impatto ambientale, a politiche di regolamentazione meno severe e ad una minore attenzione dei media rispetto ad altre industrie, come ad esempio quella chimica o estrattiva (Ene et al., 2013; Marshall et al., 2005). Ciò è principalmente dovuto al fatto che il vino, nell’immaginario collettivo, è considerato un prodotto sicuro a livello ambientale (Russel e Battaglene, 2007; Ruggieri et al., 2009) ed è facilmente associabile ad immagini riguardanti la natura: al di là di tali apparenze, esso, tuttavia, è lungi dall’essere enviroment friendly (Gabzdylova et al., 2009).

(8)

Per capire esattamente come si stia evolvendo il mercato dei vini, si può fare riferimento ai paragrafi successivi che illustreranno il panorama vinicolo in Italia e nel mondo.

1.1.1 Produzione vinicola in Italia

Secondo dati ISTAT (Istituto nazionale di statistica), nell’anno 2012 sono stati prodotti in Italia 42 milioni di ettolitri di vino (Tabella  1).

Tabella 1: Produzione di vino in Italia 2008-2012. (Fonte: ISTAT)

Dal confronto fra i diversi anni presi in esame, emerge un calo netto della produzione, come osservato in Figura   1. Le condizioni climatiche, che in questi ultimi anni sono state molto instabili (cambiamento della temperatura, del tasso d’umidità, improvvisi temporali e grandinate, ecc.), possono essere una delle possibili cause di tale calo, andando a colpire direttamente la produzione di uva (ANPA, 2001). Inoltre l’aumento della temperatura potrebbe portare a breve ad uno slittamento nella distribuzione di alcune aree vitivinicole mondiali (Tomasi, 2009).

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Figura 1: Produzione di vino in Italia dal 2008 al 2012 (Mhl/anno). Fonte: elaborazione dati ISTAT

Analizzando la Tabella   1, e scendendo nel dettaglio per quanto riguarda le singole regioni, possiamo notare come l’andamento della produzione di vino risulti essere molto variabile all’interno del territorio nazionale. Nonostante le regioni del nord ed in particolare il Veneto, continuino a detenere il primato (il Friuli-Venezia-Giulia ha incrementato la produzione media del 63%), si può notare una lieve flessione nell’andamento della produzione vinicola totale di queste regioni ed, al contrario, un lieve incremento per quanto riguarda il complesso delle regioni meridionali, rispetto al 2011. La produzione delle regioni del centro Italia risulta invece pressoché stazionaria rispetto al 2011. Dando uno sguardo ai valori medi, si può notare, in accordo con quanto detto sopra, come il trend di produzione italiano risulti complessivamente in netto calo, soprattutto nelle regioni del centro-sud (-11%), registrando una flessione del 7% rispetto al valore medio.

1.1.2. Produzione vinicola nel mondo

Le grandi potenze mondiali del vino sono principalmente: Italia, Francia e Spagna, in secondo luogo USA, Argentina, Australia, Cile e Sud Africa (Figura   2); il 29% di tale produzione è dato dall’insieme di altri stati minori.

(10)

 

Figura 2: Suddivisione della produzione mondiale di vino nel 2012. Fonte: OIV (Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino)

La Figura  3 ci illustra come, anche la produzione vinicola mondiale sia in calo; con riferimento alla Tabella  2, si possono ricavare i dati di tale produzione, che, per l’anno 2012, ammonta a 251 Mhl (milioni di ettolitri): tale dato risulta essere il più basso che sia stato registrato dal 2000 ad oggi (OIV, 2012).

Analizzando in dettaglio, vediamo che la produzione totale mondiale risulta essere ripartita in: 131,7 milioni di ettolitri in Europa (in calo del 9% rispetto all’anno precedente), e 119 milioni di ettolitri nel resto del mondo (in calo del 3%).

Confrontando i dati riguardanti tali produzioni riferite ai singoli Paesi, si possono determinare le percentuali di crescita o riduzione della produzione. L’insieme dei tre paesi storici, Italia-Francia-Spagna, registra un trend negativo: -12% per Italia e Francia e -10% per la Spagna; anche la Germania non sta affrontando una situazione positiva. In sintesi l’Europa sta attraversando un periodo “grigio”, dovuto probabilmente, oltre che a cause legate ai cambiamenti climatici, anche alla repentina diminuzione delle aree coltivate a vigneti: dal 2000 al 2012, tale superficie si è ridotta di 319 ettari ovvero 3,19 km2

(Fonte OIV).

L’unico trend positivo lo si vede in Cile ed oltre a questo paese, stanno emergendo anche Australia, Chile, Asia e Portogallo. Si vedrà se in futuro, questi paesi riusciranno a conquistare un ruolo importante nel mercato mondiale dei vini o se resteranno dei piccoli partecipanti.

(11)

Figura 3: Produzione mondiale di vino dal 2008 al 2012 (Mhl/anno). Fonte: elaborazione dati OIV

Tabella 2: Produzione mondiale di vino dal 2008 al 2012. Fonte: OIV

1.2 Processo produttivo del vino

Il vino, è definito, dal Regolamento CE n.1493/1999, come il prodotto ottenuto dalla fermentazione alcolica totale o parziale dell’uva fresca, pigiata o no, o del mosto d’uva. Si tratta di un prodotto strettamente legato ad alcuni fattori, quali: la tipologia di vitigno, la zona e il terreno di produzione e il segmento commerciale cui esso sarà destinato. Il controllo del processo produttivo è molto importante, poiché l’uva va in contro a complesse trasformazioni chimico-fisiche, enzimatiche e microbiologiche.

(12)

Premettendo che esistono due processi leggermente differenti qualora si voglia trattare uva rossa o uva bianca, in seguito sarà illustrato il processo che riguarda l’uva bianca. La Figura  4 riassume tale processo, che ha inizio con l’arrivo del carico d’uva nell’azienda vinicola: qui l’uva viene scaricata in apposite vasche a seconda della varietà, e per ogni scarico, si procede con la pesata, la classificazione fitosanitaria e con la stima del grado zuccherino e d’acidità.

La fase seguente è la pigiatura, durante la quale si ha la rottura meccanica degli acini, facendone fuoriuscire il mosto; successivamente si opera la separazione dei raspi (diraspatura); infatti da questa prima fase si ottengono come prodotto di scarto i raspi e le vinacce.

L’uva pigiata, che si trova sotto forma di mosto, prosegue il suo cammino alla fase successiva che è la fermentazione alcolica: essa è operata da una classe di microrganismi chiamati Saccharomyces, dei quali il più comune è il S. cerevisiae, presente nella buccia dell’uva.

C6H12O6 → 2 CO2 + 2 CH3CH2OH + energia

La reazione complessiva è data dalla trasformazione di uno zucchero esoso in etanolo e anidride carbonica con liberazione di energia.

In questa fase si procede con l’aggiunta di: anidride solforosa, in quantità diverse secondo le caratteristiche dell’uva; bentonite per rendere la feccia più compatta; e lieviti selezionati con lo scopo di migliorare la qualità del vino. Se la fermentazione è condotta secondo i giusti criteri e le giuste quantità di sostanze aggiunte, non si avrà la formazione di sottoprodotti quali acido citrico e acido acetico.

Si procede con il travaso e la torchiatura ovvero l’estrazione di una frazione del mosto che rimane impregnata alle vinacce. Durante questa fase si prevede l’aggiunta di un correttore di acidità: acido tartarico. I sottoprodotti della torchiatura sono la vinaccia fermentata e la feccia di fermentazione.

Ora che si ha un vino giovane, si può procedere con la maturazione e con la successiva filtrazione: quest’ultima è necessaria poiché si verifica la formazione della feccia di vinificazione che deve essere rimossa. Si può procedere quindi all’imbottigliamento del prodotto finale.

(13)

Figura 4: Fasi del processo produttivo del vino (in verde), e i sottoprodotti del processo (in arancione).

1.2.1 Scarti della lavorazione del vino

Nel paragrafo precedente sono già stati individuati gli scarti derivanti dal processo produttivo del vino. In particolare:

§ la vinaccia, è tutto ciò che rimane dell’acino d’uva, eliminata la sua polpa. Solitamente, essa è inviata alle distillerie per la produzione di grappa.

§ i raspi;

§ la feccia; deriva dalla fermentazione e dalla vinificazione ed è il residuo che si deposita, formato principalmente da lieviti esausti, tartrati, e residui derivanti dall’uva ( frammenti di buccia, vinaccioli, foglie, ecc.).

§ le acque reflue derivanti dai processi di vinificazione, travaso, lavaggio di attrezzature (pigiatrici, torchi, ecc.), dei locali (pavimenti, piazzali, ecc.) e delle

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vasche di raccolta (Vlyssides et al., 2005), tali acque verranno discusse con maggior dettaglio nei capitoli successivi.

§ i Fanghi di depurazione, derivanti dal trattamento delle acque reflue.

Tali fanghi contengono un elevato contenuto di macronutrienti come ad esempio azoto, fosforo e potassio; e micronutrienti, quali: ferro, magnesio, zinco, cromo; utili allo sviluppo delle piante. Tali caratteristiche, infatti, rendono il fango adatto per lo spargimento sui suoli come fertilizzanti ed ammendanti organici (European Commission, 2012), a patto che rispettino i limiti imposti dalla legge.

Nella Tabella  3 è possibile osservare la composizione del flusso in entrata e in uscita di un processo di vinificazione.

 

Tabella 3: Bilancio materiale del processo di vinificazione. Fonte: ANPA, 1999

Dall’elaborazione dei dati contenuti nella tabella sovrastante, sono stati creati due grafici (Figura 5 e Figura  6) che saranno ora discussi.

Partendo dalla materia prima, ovvero l’uva, che corrisponde al 41% dell’intero flusso in entrata, si ha l’utilizzazione di un volume d’acqua pari a 141 Kg ovvero il 59% (fonte: ANPA,1999).

Durante la fase della lavorazione dell’uva si ha la produzione di: 13 Kg di vinacce (5%), 2,2 Kg di raspi (1%), 5 Kg di vino di torchiatura (2%), 3,6 Kg di fecce e fanghi di filtrazione (2%), 74 Kg di vino (31%) e 143 Kg di acque reflue (59%).

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Figura 5: Bilancio dei materiali in entrata. Fonte: elaborazione dati ANPA

Figura 6: Bilancio dei materiali in uscita. Fonte: elaborazione dati ANPA

Si può affermare quindi, che la produzione di vino comporta un impatto significativo sulla quantità e qualità della risorsa idrica attuale (Gabzdylova et al., 2009); l’elevato consumo idrico è dovuto principalmente ai processi di riscaldamento, raffreddamento, impiego di attrezzature di facile pulizia, uso di scambiatori termici, ecc..

Da studi di Bonari et al. (2007), emerge che per la produzione di un litro di vino si ha un consumo medio di 2,3 litri di acqua, con una produzione media di acque

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reflue pari a circa 1,8 litri per litro di vino prodotto; quindi per ogni quintale di uva lavorata, si generano circa 144 litri di acque reflue.

1.2.2 Normativa

Lo scopo di questo paragrafo è quello di fornire una breve panoramica sull’evoluzione delle normative di maggior rilievo per questa tesi ed, in particolare, di quelle inerenti la feccia di fermentazione, le acque reflue e i fanghi di depurazione.

Feccia di fermentazione

Il Decreto Ministeriale 5396 del 27 Novembre 2008, successivamente modificato attraverso il DM 7407 del 4 Agosto 2010, emana le disposizioni attuative del regolamento comunitario CE 479/2008 del Consiglio e CE 555/2008 della Commissione, fornendo quindi le norme in materia di eliminazione dei sottoprodotti della vinificazione e, quindi, anche della feccia di fermentazione.

In particolare esso introduce, a favore dei produttori di vino, l’esenzione all’obbligo di consegna in distilleria dei sottoprodotti della vinificazione (tra cui le fecce), ma non solo. Per i produttori che rispondono a determinati criteri, infatti, esso introduce anche l’esenzione all’obbligo del ritiro sotto controllo di tali sottoprodotti. In particolare, sono esenti da entrambi gli obblighi, i produttori:

− che producono, nei propri impianti, un quantitativo di mosto o di vino non

superiore ai 25 hl;

− di vini spumanti di qualità del tipo aromatico (VSQA) e di vini frizzanti e

spumanti di qualità prodotti in determinate regioni ed elaborati con mosti di uve o con mosti di uve parzialmente fermentati, acquistati e sottoposti a trattamenti di stabilizzazione per eliminare le fecce.

Per tutti gli altri produttori, invece, rimane l’obbligo solamente del ritiro sotto controllo dei sottoprodotti della vinificazione, anche per i produttori che praticano il metodo di produzione biologico delle uve da vino. Il ritiro sotto controllo deve inoltre essere effettuato secondo modalità ben precise:

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− la comunicazione deve essere effettuata attraverso un modello ben preciso,

introdotto dal DM 7407/2010, il quale dev’essere trasmesso all’Ufficio Periferico dell’ICQRF del territorio di competenza (salvo quanto previsto dall’articolo 15 del DM 5396/2008), almeno 4 giorni prima dell’inizio delle operazioni di ritiro ed attraverso vie brevi (posta elettronica certificata o fax);

− tale comunicazione, oltre ai dati del sottoscrittore e quelli dell’azienda

produttrice, dovrà contenere anche la natura e la quantità dei sottoprodotti, la data e l’ora del giorno in cui verrà effettuato l’uso alternativo, il luogo in cui verrà effettuata l’operazione ed il tipo di destinazione dei sottoprodotti. Per le fecce vanno inoltre comunicati, oltre ai quantitativi destinati ai vari usi, anche la quantità di alcol anidro (tot/100 Kg) che mediamente è di 4 e l’umidità, che mediamente è del 45%;

− il termine per il ritiro sotto controllo delle fecce è di 30 giorni, al massimo,

dal loro ottenimento e comunque non oltre il 31 luglio di ciascuna campagna.

Per quanto riguarda le fecce di vino destinate ad uso agronomico, inoltre, esse devono essere denaturate con solfato ferroso per uso agricolo (almeno 100 grammi ogni 100 litri di feccia), al posto del cloruro di litio (sale pastorizio): tali operazioni devono essere annotate nei relativi registri ufficiali di cantina, entro i termini indicati.

Le sanzioni per chi non rispetta l’obbligo di ritiro sotto controllo sono pecuniarie e vanno dai 100 ai 15.493 Euro, di cui al D. Lgs 290/2000 e alla Legge 82/2006.

Acque reflue

La normativa relativa alla gestione delle acque reflue è disciplinata dal D.Lgs 152/2006 (Codice dell’ambiente) ed in particolare dalla sua parte terza. Attraverso tale decreto il legislatore ha voluto imporre, ai soggetti interessati, che i reflui vinicoli, derivanti dai processi di vinificazione, travaso e lavaggio dei macchinari e delle vasche, vengano trattati in maniera adeguata prima di essere immessi nei corpi idrici o dispersi al suolo.

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L’articolo 74 del decreto, in particolare, definisce come “acque reflue industriali” qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici o impianti in cui vengono svolte attività commerciali o di produzione di beni. La tabella 3 dell’allegato 5 alla parte terza del decreto, impone i limiti di legge per lo scarico di acque reflue industriali nella rete fognaria e nelle acque superficiali, fissando appunto i limiti di emissione di diversi parametri potenzialmente nocivi. Tali limiti sono inderogabili, possono essere più stringenti a seconda del recettore, sono posti a piè d’impianto e possono essere controllati automaticamente e continuamente.

Fanghi di depurazione

Sempre attraverso il D.Lgs 152/2006, ma stavolta attraverso la parte IV dello stesso, vengono trasmesse le norme riguardanti i fanghi di depurazione. Attraverso l’articolo 127 del decreto, infatti, tali fanghi vengono assoggettati alla disciplina dei rifiuti. Esso ordina altresì che, ove possibile, tali fanghi debbano essere riutilizzati ogniqualvolta il loro impiego risulti appropriato. L’articolo tuttavia fa salva la disciplina del D.Lgs 99/1992 (il quale rispose alla direttiva 86/278 CEE) in materia di riutilizzo dei fanghi di depurazione a scopo agricolo. Tale disciplina da un lato cerca di incentivare e stimolare il recupero e l’utilizzo dei fanghi in agricoltura e, dall’altro, attraverso il divieto di spargere sul terreno fanghi non trattati (tranne se vengono utilizzati metodi particolari), tenta di prevenire i rischi ambientali (e non solo) che deriverebbero, dalla presenza di inquinanti all’interno di tali fanghi, sul tutto l’ecosistema, compreso l’uomo. La direttiva 86/278 CEE discrimina i fanghi trattati da quelli non trattati, dicendo che i fanghi possono essere definiti “trattati” solo se sottoposti a trattamento biologico, chimico o termico, messi a depositi a lungo termine o attraverso un altro opportuno procedimento. Essa afferma altresì che il contenuto di nutrienti all’interno dei fanghi deve essere idoneo a soddisfare le richieste dei vegetali, ma che allo stesso tempo deve lasciare inalterata la qualità del suolo e delle falde. Ci sono poi altre restrizioni, come ad esempio quella relativa al divieto di utilizzo dei fanghi sui vegetali in crescita o cresciuti e comunque a meno di dieci mesi dalla loro raccolta e quella relativa al divieto di pascolo nei terreni su cui sono stati sparsi fanghi da meno di tre settimane.

Tale direttiva europea comprende altresì i limiti di concentrazione per quanto riguarda i metalli pesanti, le cui concentrazioni, contenute nelle tabelle

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in allegato alla stessa, vengono costantemente aggiornate, comprendendo anche nuovi parametri, come ad esempio i microinquinanti organici prioritari e i patogeni (Braguglia et al., 2012).

1.3 Trattamento delle acque reflue di cantina

Le sostanze contenute nell’uva stessa (acini, semi, polpa, raspi), andranno a caratterizzare la composizione chimica delle acque reflue di cantina.

In generale un refluo di cantina, presenta le seguenti caratteristiche chimico-fisiche (Tabella 4):

Tabella 4: Caratteristiche chimico-fisiche dei reflui di cantina. Fonte: Marchetti, 1994.

Nella Figura 7 sono illustrati i diversi step di trattamento che le acque reflue devono

affrontare, cominciando dai pre-trattamenti che hanno principalmente lo scopo di rimuovere: i solidi di dimensioni elevate, le sabbie ed altri inerti fini, gli oli e grassi, tutto ciò avviene attraverso il processo di grigliatura, di dissabbiatura e di equalizzazione. I trattamenti primari prevedono invece una sedimentazione primaria: il fango proveniente da essa, viene chiamato fango primario, contiene principalmente acqua (97-99%) ed è caratterizzato da sostanza organica molto putrescibile (Appels et al., 2008).

Nel trattamento secondario avviene il processo biologico di rimozione dei nutrienti e della sostanza organica; in seguito, nella sedimentazione secondaria, si ha la separazione della frazione liquida dal fango, quest’ultimo si deposita sul fondo della vasca: una sua parte è ricircolata a monte del sedimentatore e un‘altra parte (fango secondario), prosegue il trattamento insieme al fango primario nella linea fanghi dove avvengono i processi di: pre-ispessimento, digestione anaerobica e post-ispessimento con lo scopo di ridurre il volume ed aumentare la concentrazione dei

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solidi; disidratazione per ridurre ulteriormente il volume ed infine lo smaltimento. Nel trattamento terziario, le acque depurate che escono dal sedimentatore secondario, subiscono un processo di filtrazione e disinfezione fino ad avere l’effluente finale trattato.

Figura 7: Schema generale di un impianto di trattamento di acque reflue. Fonte: “Trattamento reflui e rifiuti di cantina”, Docente F. Fatone, 2011-2012.

1.3.1. Incentivi per il trattamento delle acque reflue di cantina

Sono molti gli incentivi, siano essi economici o ambientali, a disposizione degli attori dell’industria vinicola per migliorare la gestione delle acque reflue di cantina.

Ovviamente in primis, forse fra i più scontati, ma non meno importanti, sono vantaggi riguardanti l’ambiente in generale (di cui si è già potuto parlare). Un’azienda vinicola che inquina l’ambiente dal quale ottiene profitto, infatti, mina il cuore della propria sostenibilità ambientale ed, automaticamente, anche quello della propria sostenibilità economica di medio-lungo termine. Al contrario, ci sono evidenze empiriche, di come la riduzione stessa dei cosiddetti “rifiuti” derivanti dall’attività dell’azienda, potrebbe addirittura portare ad una riduzione dei costi totali di produzione, come evidenziato in alcuni studi (Enviromental Protection Authority, 2004; Pullman et al. 2009).

In ogni caso, anche a livello normativo, in Italia, sono previsti incentivi per le aziende che pongono un particolare accento sul risparmio idrico. Già nel 1994, attraverso gli articoli 5 e 6 della Legge 36, il legislatore si era posto il problema

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del risparmio idrico e del riutilizzo delle acque. La cosiddetta “Legge Galli” infatti, puntava molto su tali concetti (quelli del risparmio idrico e del riutilizzo delle acque), indicando come fosse necessaria sia la modernizzazione delle reti di adduzione e di distribuzione, che la promulgazione di nuove norme sul riutilizzo dei reflui depurati, al fine di applicare effettivamente tali principi.

Da qualche anno sono stati fatti dei passi avanti, sul fronte legislativo, per incentivare il riutilizzo delle acque reflue e per far si che le aziende attraverso tale pratica, ne possano ricavare una convenienza economica diretta.

La Legge 36/1994 è stata infatti successivamente modificata ed aggiornata dal D.Lgs 152/99 (integrato poi a sua volta dal D.Lgs 258/00), il quale ha ribadito i principi promossi dalla Legge Galli, conferendogli però nuovo vigore ed introducendo delle novità. In primo luogo viene dato il compito a coloro che gestiscono ed utilizzano la risorsa idrica, di adottare le misure necessarie all’eliminazione degli sprechi ed alla riduzione dei consumi e ad incrementare il riciclo ed il riutilizzo della stessa, anche mediante l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili. È stato poi dato incarico alle regioni, di prevedere norme e misure volte a favorire la riduzione dei consumi e l’eliminazione degli sprechi, intervenendo in particolare sulla manutenzione delle reti di adduzione e di distribuzione, sulla promozione e la diffusione delle informazioni inerenti i metodi e le tecniche di risparmio idrico e sull’installazione di contatori per il consumo dell’acqua.

Inoltre, attraverso l’articolo 26 del Decreto, la norma discute le tecniche per incentivare il riutilizzo delle acque reflue, delegando alle regioni il compito di adottare misure volte a favorire il riciclo dell’acqua ed il riutilizzo delle acque reflue depurate, indicando le migliori tecniche disponibili per la progettazione e l’esecuzione delle infrastrutture, le modalità di coordinamento interregionale (per servire vasti bacini d’utenza, ove siano presenti grandi impianti di depurazione delle acque reflue) e prevedendo incentivi e agevolazioni alle imprese che adottano impianti di riciclo e di riutilizzo. Il punto centrale della nuova normativa riguarda proprio tali incentivi: infatti, allo scopo di favorire il riutilizzo di acqua reflua o già utilizzata nel ciclo produttivo, per le utenze industriali (come nel caso delle cantine) viene ridotta la tariffa in funzione dell’utilizzo, all’interno del processo produttivo, di acqua reflua o già usata.

La riduzione stessa viene calcolata applicando alla tariffa un correttivo che tiene conto della quantità di acqua riutilizzata e della quantità delle acque primarie impiegate, cercando di rendere quindi conveniente per le aziende il riutilizzo delle acque reflue.

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1.4 Il problema dei fanghi di depurazione

I fanghi derivanti dalla depurazione dei reflui, necessitano di numerosi trattamenti per essere resi stabili, infatti, dopo essere usciti dalla linea trattamento dei fanghi, sono inviati ad ulteriori lavorazioni, come: ispessimento (per ridurre il contenuto di acqua), ossidazione aerobica o digestione anaerobica e disidratazione. La quantità di fanghi prodotta, aumenta sempre di più ed è, per questo evidente che lo smaltimento in discarica non può più essere l’unica soluzione considerata “di successo”; l’obiettivo si sposta verso il loro recupero con lo scopo quindi, di essere riutilizzati in agricoltura qualora i loro valori chimico-fisici rientrassero nei limiti imposti dalla normativa, altrimenti possono essere destinati ad impianti di compostaggio o a discariche autorizzate, inceneriti da soli o con altri rifiuti, o infine essere inseriti nella produzione di asfalti e calcestruzzi. Il problema principale quindi, riguarda proprio lo smaltimento finale di tali fanghi. I dati conferiti dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ci dicono che in Italia è stata raggiunta una percentuale di riutilizzo dei fanghi pari al 32% nel 2003; tali dati sono trasmessi alla Commissione Europea, in accordanza degli obblighi derivanti dalla Direttiva 86/278/CEE, riguardante l’utilizzazione dei fanghi di depurazione. Tale Direttiva è stata recepita dal D. Lgs. N. 99 del 27 Gennaio 1992 e fissa i valori limite delle concentrazioni di: metalli pesanti nei suoli e nei fanghi, di carbonio organico, fosforo, azoto totale; i valori massimi di salmonella ed infine le quantità massime dei fanghi che possono essere usati sui terreni agricoli. La soluzione maggiormente apprezzata è proprio il riutilizzo agronomico ma deve essere praticata con molto attenzione per preservare l’ambiente e la salute da possibili rischi di contaminazione.

1.5 La digestione anaerobica

Uno dei principali processi di stabilizzazione dei fanghi è la digestione anaerobica (Figura  8): si tratta di un processo biologico che, in condizioni anaerobiche, implica la trasformazione della sostanza organica in biogas, composto principalmente da metano e anidride carbonica. Si tratta di un processo estremamente delicato, che coinvolge diversi gruppi di batteri: batteri mesofili e termofili che presentano un rispettivo range di temperatura ottimale di 37°- 41° e di 50°- 55°. Essi sono molto sensibili a diversi parametri, quali pH, VFA (acidi grassi volatili), alcalinità, idrogeno, ammoniaca; questi parametri possono fungere da inibitori per alcuni gruppi di

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batteri. Infatti, a pH sotto a 7, posso accumularsi acido acetico e butirrico mentre a pH superiori a 8 sempre acido acetico ma anche propionico (Appels et al., 2008). Un ruolo importante è affidato anche alla temperatura: essa influenza il tasso di crescita dei microrganismi e quindi le reazioni all’interno del reattore anaerobico (Appels et al., 2008).

Nonostante la digestione anaerobica dei rifiuti organici sia una tecnologia molto affermata in Europa, con 120 impianti realizzati in piena scala, essa rappresenta soltanto il 27,5% di tutti i processi biologici di trattamento dei rifiuti (De Baere, 2006).

Figura 8: rappresentazione schematica del processo di digestione anaerobica. Fonte: Manuale APAT per la digestione anaerobica, 2005.

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1.5.1. Fasi del processo

§ Idrolisi: i polimeri complessi come ad esempio i polisaccaridi e le proteine sono idrolizzati, grazie a batteri idrolitici (Chlostridium, Bacillum), a molecole più semplici: monosaccaridi, acidi grassi e amminoacidi.

Questa prima fase è considerata da molti autori come il processo limitante per l’intera digestione anaerobica poiché potrebbero verificarsi degli accumuli di amminoacidi o di altri elementi.

§ Acidogenesi: i composti derivanti dalla fase d’idrolisi, vengono ulteriormente metabolizzati da parte di batteri acidogenici fermentativi (Chlostridium, Desulfovibrio), per formare acidi organici e acidi grassi volatili, quali: acetico, butirrico, isobutirrico, propionico, isopropionico, pentanoico, isopentanoico, capronico, isocapronico e eptanoico. Essi sono strettamente correlati al pH: se il pH scende al di sotto del 7, può significare la presenza di un accumulo di acidi grassi volatili probabilmente dovuto ad una sovralimentazione del reattore.

§ Acetogenesi: gli acidi grassi volatili e gli alcoli vengono convertiti, grazie a batteri acetogenici (Chlostridium, Acetogenium), principalmente in acido acetico, H2 e CO2 (Appels et al., 2008).

§ Metanogenesi: i substrati sono convertiti a CH4 e CO2 dai batteri

metanigeni; se il substrato di partenza è H2 e CO2 allora intervengono i batteri

idrogenofili, mentre nel caso in cui si parta dall’acetato, si avrà l’intervento di batteri acetoclastici.

1.5.2 La co-digestione: i vantaggi

I fanghi secondari, considerando la parziale stabilizzazione che avviene in linea acque, presentano una bassa produzione di biogas che si attesta tra i 0,15 e 0,2 m3/kgTVS. Per sfruttare le volumetrie disponibili degli impianti esistenti o per aumentarne le rese è possibile impiegare matrici altamente biodegradabili

L'Enea - Ente per le Nuove Tecnologie, l'Energia e l'Ambiente in un rapporto (Report RSE/2009/182), afferma che «Nonostante l’applicazione di questo sistema sia agli albori, la letteratura riporta i vantaggi che talvolta esso

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offre: effetto di diluizione dei composti tossici; effetti sinergici sugli organismi; migliori rese per unità volumetrica di digestione; riduzione dei costi di investimento e di esercizio».

La difficoltà maggiore è quella di riuscire a bilanciare la miscela di co-digestione in modo tale da creare le giuste condizioni per lo svolgimento del processo, considerando per esempio parametri come pH, alcalinità, solidi totali e solidi totali volatili, macro e micronutrienti e rapporto C:N (Hartmann et al., 2003),

1.6 Stato dell’arte

Dalla Tabella   5, che riassume lo stato dell’arte relativo a sperimentazioni effettuate mediante digestione o co-digestione anaerobica, è possibile notare come non esistano studi relativi alla co-digestione di feccia e fanghi di depurazione che sono i substrati utilizzati invece in questa sperimentazione.

Fountolakis et al., 2008 hanno utilizzato le vinacce sia per test discontinui, andando quindi a determinare il potenziale di biometanazione, che in test continui riportando valori di produzione specifica di metano rispettivamente di 0,219-0,301 m3CH

4/kgCOD e 0,163-0,191 m3CH4/kgCOD. Anche Dinuccio et al. (2010) hanno

utilizzato le vinacce in digestione anaerobica in test discontinui riportando un valore di produzione specifica di biogas pari a 0,250 m3biogas/kgTVS e di 0,116

m3CH4/kgTVS di metano. Le stesse prove sono state condotte usando i raspi come

substrato per la digestione anaerobica, con un valore di produzione specifica di biogas simile a quella ottenuta tramite le vinacce (0,225 m3biogas/kgTVS).

Lo and Liao (1986) invece, è l’unico autore che ha utilizzato la feccia (stoccata e fresca) in co-digestione però con letame bovino, mediante reattori a film fisso a 35°C. Quello che è risultato da tali prove è una maggiore produzione specifica di metano con fecce fresche (1,048 m3CH

4/kgTVS) e quindi inferiori con quelle stoccate

(0,367 m3CH4/kgTVS); questo può essere giustificato con il fatto che durante tale

stoccaggio sia avvenuta una continua fermentazione con un conseguente abbassamento del rapporto COD/VS.

La particolarità di questo lavoro di tesi è proprio il fatto di essere qualcosa di nuovo che può arricchire e completare la letteratura riguardo all’utilizzo di substrati agricoli o agro-industriali in co-digestione per la produzione di biogas.

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Tabella 5: Stato dell'arte della digestione e co-digestione anaerobica dei sottoprodotti e dei reflui di vinificazione.

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2 Obiettivi del lavoro sperimentale

Il lavoro di tesi affronta l’aspetto legato al trattamento e smaltimento degli scarti provenienti dalla lavorazione del vino, in particolare delle fecce di vinificazione, con l’obiettivo di verificare la possibilità di recupero energetico mediante co-digestione anaerobica con i fanghi da depurazione.

La fattibilità del trattamento della feccia mediante questo approccio verrà analizzato attraverso:

§ quantificazione dei flussi provenienti dall’Azienda Vinicola;

§ caratterizzazione chimico-fisica della feccia di vinificazione e dei fanghi da depurazione;

§ test di bio-metanazione per la valutazione del potenziale di produzione di biogas, sia in regime mesofilo (35°C) che termofilo (55°C);

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3. Materiali e metodi

3.1 L’azienda vinicola “Serena”

L’azienda (Figura   9) è situata tra le colline di Conegliano Veneto, in provincia di Treviso. Si occupa, sin dal 1881, della lavorazione avanzata di prodotti vinicoli:

Creazione di nuovi blend1; • Affinamento dei prodotti grezzi; • Imbottigliamento;

• Confezionamento finale.

Figura 9: Ingresso principale dell'azienda "Serena".

L’azienda “Serena” occupa un posto molto rilevante del mercato del vino mondiale, infatti, esporta i propri prodotti in tutto il mondo. Ciò che, dal punto di vista ambientale, contraddistingue l’azienda è la presenza in loco di un impianto di trattamento dei reflui provenienti principalmente dai processi di lavorazione del vino, dal lavaggio delle vasche e pavimentazione; tale impianto è schematicamente illustrato alla Figura   10, mentre nelle immagini sottostanti sono rappresentate singolarmente alcune fasi del processo (Figura 11 – 16).

                                                                                                               

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Figura 10: Schema dell'impianto di trattamento reflui dell’azienda vinicola "Serena".

 

Figura 11: Sollevamento Figura 12: Grigliatura Figura 13: Preareazione

Figura 14: Vasche di ossidazione Figura 15: Sedimentazione secondaria Figura 16: Stoccaggio del fango

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3.1.1 Bilancio di massa dell’azienda

Andiamo ora ad analizzare le produzioni dell’azienda vinicola Serena. Il bilancio di massa è principalmente costituito da 3 categorie di “prodotti” in uscita (Figura   17): il vino, la feccia e le acque reflue, dalle quali poi si generano, mediante specifici trattamenti, anche i fanghi.

 

Figura 17: Bilancio di massa dell'azienda.

Per quanto riguarda il vino, in base ai dati dell’anno 2012 fornitici dall’azienda, la quantità totale prodotta si assesta a 31.579.881 litri, suddivisi fra vini bianchi, rossi e rosati. Scendendo nel dettaglio, per quanto riguarda i vini bianchi la produzione è stata di 23.634.206 litri (il 74,8% del totale), per ciò che concerne i vini rossi è stata di 7.513.684 litri (il 23,8% del totale) ed infine 431.991 litri (l’1,4% del totale) per i vini rosati (Figura  18).

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Si può notare chiaramente la predominanza, per l’azienda, del mercato dei vini bianchi (tranquilli, frizzanti e spumanti), che da solo genera quasi i tre quarti della produzione aziendale, mentre l’altro quarto della produzione è garantito dai vini rossi (soprattutto tranquilli) e la parte residuale dai vini rosati.

Per quanto concerne la feccia invece (Figura   19), la quantità totale annua prodotta si assesta a 63,41 tonnellate, il che significa, facendo un rapido calcolo, 173,7 kg al giorno di feccia prodotta. Da calcoli, si può affermare che tale azienda produce mediamente 2 g di feccia per litro di vino e se confrontiamo questo dato con quello che riportato da ANPA (1999), il quale afferma che per un litro di vino si producono 49 g di feccia, vediamo che l’azienda presenta una bassa produzione di tale matrice. Bisogna comunque dire che il confronto non è così semplice e immediato, in quanto non si conoscono le caratteristiche chimico-fisiche della feccia che ANPA ha preso in considerazione: le caratteristiche della feccia sono influenzate dal tipo di processo di produzione del vino (Bustamante et al., 2008). Il costo per il trasporto di tale prodotto è di 100 €/ton, ne consegue che il costo annuo totale per trasporto della feccia ammonta a € 6.341. Infine, il destino di tale matrice è quello di essere prelevata dall’azienda e trasportata in distilleria: questo è in accordo con il Regolamento Comunitario 1493/1999 dell’ organizzazione comunitaria del mercato del vino (Bustamante et al., 2007).

Figura 19: Produzione di feccia [tonnellate].

Infine, considerando le acque reflue prodotte dall’azienda, si può rilevare come la quantità totale prodotta ammonti a 170 metri cubi al giorno, ossia 62.050 m3/anno. Prendendo in esame i dati fornitici, riguardanti i m3 di acqua reflua

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m3, sempre in questo periodo sono stati consumati 12.090 m3 di acqua prelevata

dal pozzo e dall’acquedotto. Il rapporto tra i m3 di acqua trattata e i m3 di acqua

consumata è pari a 1,3. Dato che l’azienda non si occupa delle fasi di vendemmia, torchiatura, fa sì che il loro consumo di acqua sia minore rispetto alle aziende che effettuano anche le suddette fasi. Da calcoli, risulta che l’azienda produce 1,96 litri di acque reflue per litro di vino e confrontando questo dato con quello riportato da ANPA (1999), ovvero 1,8 litri di acque reflue per litro di vino, vediamo come tali valori non si discostino molto.

Dal trattamento di tali acque reflue vengono prodotti i cosiddetti fanghi di depurazione (paragrafo 1.2.1). La Figura   20 descrive l’andamento della produzione dei fanghi di depurazione da parte dell’azienda vinicola Serena, dal 2012 fino a fine 2013. La quantità totale di fango prodotta ammonta a 197,93 tonnellate l’anno, il che significa 542,3 kg al giorno con un tenore di secco medio del 15%. Con un rapido calcolo, poiché il costo per il recupero del fango ammonta a 101 €/ton, se ne ricava che il costo totale annuo per il recupero di tale sottoprodotto ammonta a € 19.990. Il fango rientra attualmente, nella categoria R3 ed è quindi destinato al recupero mediante processo biologico aerobico del compostaggio.

Figura 20: Produzione di fango di depurazione [tonnellate].

 

Visti i costi abbastanza elevati per il trattamento di queste matrici, il loro impiego nel processo di digestione anaerobica con la finalità di produrre biogas e in seguito energia, potrebbe essere una buona soluzione su cui investire.

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3.2 Metodi analitici

3.2.1 Analisi chmico-fisiche

Le analisi chimico-fisiche effettuate settimanalmente, sulle matrici riguardanti sia i test batch che i test in continuo, fanno riferimento agli Standard Methods (ALPHA-AWWA_WEF,1998), e verranno di seguito illustrate:

§ Solidi totali (TS; gTS/kg): sono rappresentati dalla frazione organica più la frazione inerte che vanno a costituire il totale della sostanza secca presente nel campione. Si determinano dopo aver messo i campioni in stufa a 105°C per 24-48 ore.

§ Solidi totali volatili (TVS; gTVS/kg): indice della frazione organica, determinabile per differenza tra il valore del residuo secco e quello dei solidi totali fissi. Tale calcolo viene effettuato dopo aver messo il campione in muffola a 550°C per 24 ore.

§ pH: la parola pH sta ad indicare "pondus Hydrogenium", che letteralmente significa il peso dell'idrogeno. E’ un indice della stabilità del mezzo di reazione, tale stabilità dipende dalla capacità tampone del sistema. Viene determinato tramite l’utilizzo di un pH-metro.

§ Alcalinità: rappresenta la capacità del sistema, di tamponare gli ioni H+. E’

dovuta principalmente alla presenza di ioni carbonati ed è infatti espressa come mgCaCO3/l. Viene determinata per titolazione con acido cloridrico a

concentrazione nota. Si può distinguer tra alcalinità parziale e totale: la prima è riferita alla titolazione fino a pH 6.0, la seconda a pH 4.0.

§ Acidi grassi volatili (VFA): il valore finale, espresso come mgCOD/l, è dato dalla somma dell’acido acetico, propionico, pentanoico, isopentanoico, isopropionico, butirrico, isobutirrico, capronico, isocapronico, ed eptanoico. Valori alti di questo parametro, stanno ad indicare l’accumulo di composti intermedi della digestione anaerobica con una conseguente inibizione della fase metanogenica. Importante è il rapporto VFA/TA ovvero mgCH3COOH/mg CaCO3, che ci può indicare una possibile instabilità,

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La determinazione avviene filtrando dapprima il campione a 0,45 μm e poi si procede con la determinazione attraverso via gascromatografica. Il campione filtrato viene iniettato in una colonna capillare, utilizzando l’idrogeno come carrier. Lo strumento è collegato ad un computer che integra automaticamente il cromatogramma e determina, sulla base di una retta di calibrazione, la concentrazione di VFA nel campione.

§ Domanda chimica di ossigeno (COD; mgO2/kg): è la richiesta chimica

di ossigeno che serve per ossidare chimicamente tutta la sostanza organica presente nel campione. Il metodo consiste nell’ossidazione della sostanza organica, tramite una soluzione di bicromato di potassio e aggiunta di acido solforico 96% che crea la condizione acida necessaria. Alcune sostanze ossidabili quali cloruri, ferro ridotto e urea, possono creare un’interferenza con tale analisi, quindi, vanno aggiunti: solfato d’argento e solfato di mercurio. Il bicromato in eccesso è titolato con una soluzione di solfato ferroso ammonico. Il COD può essere determinato sia per la frazione solubile, avendo in precedenza filtrato il campione su filtro a 0,45 μm, sia sulla frazione particolata.

§ sCOD (mgCOD/l): il COD solubile comprende il COD non biodegradabile e la frazione di COD biodegradabile, viene determinato per campioni con basso contenuto di solidi sospesi. Per la determinazione si procede ponendo in una cuvetta una concentrazione nota di campione, e aggiungendo una soluzione ossidante e una catalizzante. Dopo una digestione di 2 ore a 150°C, si procede con la lettura spettrofotometrica a 600nm.

§ Azoto ammoniacale (mgN-NH4/l): l’ammoniaca è disciolta in acqua come

ammonio o ammoniaca libera; a elevati pH e temperature, volatilizza come NH3, quindi la determinazione deve essere eseguita sul campione fresco,

attraverso la distillazione (in ambiente fortemente basico), di un volume noto di campione e l’aggiunta di idrossido di sodio. Il campione deve essere precedentemente centrifugato a 4000 giri al minuto e filtrato su filtro a maglia nera. Dopo l’aggiunta di un reattivo (reattivo di Nessler) si esegue una misura spettrofotometrica.

§ Azoto totale di Kijendhal (TKN; mgN/gTS): il metodo si basa su una preliminare trasformazione di tutti i composti dell’azoto organico in azoto ammoniacale, quindi è la somma di questi due, ciò avviene attraverso una

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digestione. Ad una quantità nota di campione, vengono aggiunti: acido solforico, solfato di potassio (serve per innalzare il punto di ebollizione a 370°C) e ossido di mercurio che agisce come catalizzatore della reazione. Si procede poi, alla distillazione del campione con aggiunta d’idrossido di sodio. Infine si determina l’assorbanza tramite misura spettrofotometrica dopo aver aggiunto il reattivo di Nessler.

§ Fosforo totale (Ptot; mgP-PO43-/gTS): il fosforo deve essere

preventivamente trasformato in ortofosfato mediante un attacco ossidante per i composti organici e con un’idrolisi acida per i polifosfati. Gli ioni fosfato vengono fatti reagire con il potassio antimonil tartrato e con il molibdato di ammonio, in ambiente acido. Si viene a formare un eteropoliacido che, tramite acido ascorbico a blu di molibdeno (intensamente colorato), viene ridotto. Si legge poi, l’assorbanza alla lunghezza d’onda di 710 nm.

§ Polifenoli solubili totali (mg equivalenti di Acido Gallico/l): si tratta di molecole organiche naturali, presenti nel mondo vegetale, caratterizzati da molteplici gruppi fenolici. Sono degli antiossidanti naturali presenti nelle piante e possono inibire l’attività batterica, durante i processi biologici. Per la loro determinazione si utilizza il reattivo Folin-Ciocoltau che reagisce con i fenoli: il campione centrifugato e filtrato a 0,45 μm, viene fatto reagire con il reattivo e con Na2CO3, al buio per un’ora. Successivamente si passa alla

determinazione spettrofotometrica a 750 nm.

§ Composizione del biogas, che sarà di seguito descritta.

3.2.2 Analisi sul biogas  

Nei test in continuo tramite reattori CSTR, la determinazione della produzione e della composizione del biogas è avvenuta tramite dei contatori volumetrici di precisione (Ritter company, drum-type west-test volumetric gas meter) (Figura  21), che misurano la produzione di biogas (GP l/d) in continuo. Lo strumento è in PVC e presenta un volume totale di 1 litro, con una portata massima di 120 litri/h e una portata minima di 2 litri/h.

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Figura 21: Contatore volumetrico utilizzato per la misurazione del gas prodotto.

   

Per determinare la composizione del biogas, invece, è stato utilizzato uno strumento portatile, chiamato Geotech GA2000 Plus Infrared Gas Analyser (Figura  22): i parametri misurati sono CH4, CO2, N2 e O2. Il biogas, presente nel

reattore, viene prelevato grazie ad una pompa presente nello strumento, qui attraverso delle celle a infrarossi viene letta la composizione: la misura viene effettuata quando la lettura si stabilizza.

Monitorare la composizione del biogas è importante poiché, percentuali basse di metano dimostrano una possibile instabilità del sistema, che può essere dovuta ad esempio, a un accumulo di acidi grassi volatili.

Figura 22: Misuratore portatile per la misurazione della composizione del gas. Fonte: http://www.geotechuk.com

Nei test in discontinuo di biometenazione (BMP) invece, la composizione del biogas è stata analizzata mediante gascromatografo GC 6890N Agilent

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Tecnologies, dotato di colonna HP-PLOT-MOLESIEVE (30 x 0,53 mm ID x 25 μm film), e rilevatore di conducibilità termica (TCD). Viene utilizzato argon come gas carrier, e una temperatura costante di 40°C. Il biogas viene prelevato mediante siringa a tenuta e iniettato nello strumento, questo è collegato Vengono determinati i tempi di ritenzione ma anche le concentrazioni di O2, CH4 e N2.

3.2.3 Analisi Respirometriche

Il COD presente all'interno delle matrici organiche può essere suddiviso in frazioni in base alla forma chimico-fisica: solubile e particolato. A sua volta si può distinguere in biodegradabile (bCOD) e non biodegrdabile (nbCOD). Come risulta schematizzato in Figura   23, il bCOD solubile si classifica in rapidamente biodegradabile (rbCOD), rapidamente idrolizzabile (rhCOD) e lentamente biodegradato (sbCOD). Questo ultimo frazionamento si basa sulla velocità con cui i composti organici vengono degradati e si ottiene sfruttando le tecniche respirometriche.

Figura 23: Schema del frazionamento del COd totale. Fonte: Bertanza e Collivignarelli, 2012  

Le respirometrie sono definite come la misura e l'interpretazione del consumo di ossigeno (OUR, Oxygen Uptake Rate) da parte di fanghi attivi. Il consumo dell’ossigeno deriva da due tipi di processi:

1. respirazione endogena, da cui deriva l’energia necessaria per garantire le funzioni cellulari degli organismi,

2. respirazione esogena, legata alla degradazione di substrati aggiunti al fango attivo, detto appunto substrato esogeno.

Non biodegradabile Rapidamente biodegradabile RBCOD Rapidamente idrolizzabile RHCOD Biodegradabile Solubile Lentamente biodegradabile SBCOD Biodegradabile Non biodegradabile Biomassa attiva Particolato COD totale

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Il valore di OUR è rappresentato dalla pendenza della retta che interpola l'andamento decrescente dei valori di ossigeno disciolto nel tempo (Bertanza e Collivignarelli, 2012).

Se l'OUR endogeno è caratteristico del fango utilizzato, quello esogeno dipende dalla tipologia di substrato. Infatti ad ogni frazione di bCOD solubile è associabile una differente velocità di ossidazione. Un substrato è rapidamente biodegradabile o rapidamente idrolizzabile, se viene rimosso in un tempo pari a qualche ora o alla frazione di ora, quindi caratterizzato da elevati OUR. E’ lentamente biodegradabile e per la sua degradazione è necessario un tempo da diverse ore ad uno o più giorni, quindi OUR bassi. Per la determinazione della velocità di consumo di ossigeno ci si avvale di un respirometro costituito da un contenitore agitato per mantenere il fango attivo in sospensione, un compressore per poter assicurare un apporto di ossigeno al mezzo, un ossimetro per il monitoraggio della concentrazione di ossigeno, una sonda di temperatura e un sistema automatico per acquisire i dati (Figura  24).

Figura 24: Apparato strumentale per le analisi respirometriche.

Per assicurarmi che il consumo di ossigeno sia dovuto solo al dosaggio di COD esterno è necessario che il fango si trovi in condizioni endogene e che siano stati inibiti i batteri autotrofi azoto-ossidanti mediante aggiunta di AllilTioUrea (ATU).

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Determinazione del COD rapidamente biodegradabile

L’ipotesi fondamentale su cui si basa questo metodo è che la biomassa assimila la frazione rapidamente biodegradabile del COD nello stesso modo in cui assimila l’acido acetico, quindi l’rbCOD viene quindi calcolato sulla base di una curva di calibrazione costruita correlando la dose di acetato di sodio aggiunto ed il relativo consumo di ossigeno da parte del fango attivo. In realtà l'rbCOD comprende una serie di molecole di piccole dimensioni che possono essere direttamente metabolizzate come gli acidi grassi volatile e gli alcoli (etanolo e metanolo).

Dosando il substrato da testare è possibile determinare l'ossigeno consumato ΔOD (Figura   25) e mediante la retta di calibrazione calcolare il corrispondente valore di rbCOD.

Figura 25: Retta raffigurante l'ossigeno consumato. Fonte: “Metodi respirometrici” di Bolzonella

Determinazione del frazionamento del COD biodegradabile

Per la determinazione di tutte le frazioni del COD solubile è necessario determinare la dinamica dell'OUR esogeno dopo l'aggiunta del substrato. Per fare questo è necessario mantenere un sufficiente contenuto di ossigeno disciolto nel fango alternando fasi di aerazione e di non-aerazione, nelle quali si osserva il consumo di ossigeno. L'andamento dell'OUR nel tempo è detto respirogramma (Figura  26).

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Figura 26: Andamento dell'OUR nel tempo.

L'ossigeno necessario a ossidare la materia organica aggiunta è rappresentato dall'area sottesa alla curva dell'OUR, al netto del consumo endogeno. L'integrare quindi rappresenta il COD dosato nel fango.

Ricordando che ad ogni frazione di COD è assimilabile un valore di OUR è facile comprendere che rapide variazioni di OUR nel tempo (vedi Figura   27) indicano la degradazione di diverse frazioni di COD. In questo caso è quindi possibile determinare anche il frazionamento integrando periodi con valori omogenei di OUR. Al diminuire dei valori di OUR decresce la biodegradabilità del substrato.  

 

   

Figura 27: Andamento dell'OUR nel tempo, le diverse aree indicano la degradazione delle diverse frazioni di COD.

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3.3 Substrati utilizzati

La feccia di vinificazione utilizzata in questa sperimentazione, viene conservata presso la cantina “Serena”, all’interno di serbatoi (Figura   29) e viene prelevata settimanalmente presso l’azienda e portata nell’impianto di Treviso dove vengono svolti i test in discontinuo (BMP) e quelli in continuo (CSTR). La feccia si presenta in forma molto densa e di colore rosso rubino come si può vedere dalla Figura  28.

Figura 28: Feccia utilizzata durante la

sperimentazione. Figura 29: Serbatoi della cantina contenenti la feccia:

Anche il fango secondario disidratato viene prelevato settimanalmente dalla cantina “Serena”; esso deriva dal trattamento dei reflui provenienti dalle attività della cantina (Figura  30). Nei casi di malfunzionamento del sistema di disidratazione è stato utilizzato il fango secondario tal quale.

Figura 30: Fango secondario liquido (sinistra) e fango secondario pressato (destra), utilizzati nella sperimentazione.

Nei capitoli successivi saranno riportati i parametri analizzati regolarmente (settimanalmente) su tali matrici e in seguito sarà discussa anche la loro caratterizzazione (4.1  Caratterizzazione).

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3.4 Test in discontinuo: Biochemical Methane Potential (BMP)

 

3.4.1 Principi del metodo

Tramite questi test è possibile determinare il potenziale di metanizzazione biologica (BMP): ovvero la produzione massima di biogas di un determinato substrato, che avviene grazie al processo di digestione anaerobica, ad opera di microrganismi che producono biogas mediante la degradazione della materia organica. Da questi test si possono ricavare, inoltre, informazioni molto rilevanti sul grado di biodegradabilità del substrato e quindi sulla potenzialità di quest’ultimo di ottenere biogas: esso è ritenuto uno dei parametri decisivi per lo sviluppo successivo in piena scala (Angelidaki et al., 2009; Raposo et al., 2011). Inoltre, è possibile calcolare la velocità d’idrolisi, i tempi di residenza e l’eventuale presenza d’inibitori del sistema. Il BMP stechiometrico a condizioni standard (273,15 K e 1 atm), è di 0,350 litri di metano a partire da 1 g di COD, mentre a 35°C e sempre a 1 atm, risulta essere 0,395 litri ( Raposo et al., 2011).

In questo progetto di tesi, tali test sono stati utilizzati per poter fare delle previsioni relative alle produzioni di biogas riguardanti i test in scala pilota e decidere le condizioni operative da adottare per quest’ultimi.

3.4.2 Apparato strumentale

Per questi test sono utilizzate delle bottiglie di vetro, aventi un volume pari a 1,2 litri, che presentano una chiusura con un tappo di gomma sigillato da una ghiera di alluminio (Figura  31).

In esse vengono inseriti: l’inoculo, il substrato da biodegradare ed eventualmente acqua per diluire il campione, tutto con concentrazioni determinate mediante calcoli, che verranno riportati in seguito.

Si tratta di test in discontinuo, ciò significa che, dopo aver inserito i substrati, si chiudono le bottiglie e non si hanno più scambi di massa fino alla fine del test.

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Figura 31: Esempio schematico e reale della bottiglia.

3.4.3 Preparazione del campione

La sperimentazione è stata eseguita in doppio e alle due temperature di riferimento (37°C e 55°C): per ogni substrato sono state realizzate due prove in modo da poter avere un confronto finale. Quindi, sia per la termofilia che in mesofilia, sono state realizzate le seguenti prove i doppio, per un totale di 16 bottiglie:

§ bianco;

§ fango prelevato dall’azienda; § feccia;

§ test di attività metanogenica specifica dell’inoculo (SMA).

Analizziamo ora, con più dettaglio, come sono stati preparati i campioni di tali prove: per quanto riguarda l’inoculo, che come già affermato deriva da una sperimentazione precedente, la quantità necessaria per le prove, è stata calcolata in base al contenuto in solidi totali e volatili dei digestati (Tabella  6): è stato preso il contenuto di solidi totali e da esso è stata calcolata la concentrazione di solidi volatili; i 6,3 gVS/kg presenti nell’inoculo, sono stati calcolati moltiplicando i gVS/kg per il volume dell’inoculo (dividendo per 1000 per convertire da kg a litri), risultando essere di 500 ml per quanto riguarda.

L’inoculo termofilo però, è risultato avere una concentrazione di solidi voltatili maggiore (come si può vedere dalla Tabella  6) e per questo motivo si è deciso di diluirlo con acqua: tramite opportuni calcoli è stato deciso di immettere 436,8 ml di inoculo e di diluirlo con 63,2 ml di acqua, raggiungendo così il volume desiderato di 500 ml.

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