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Utilizzo di soluzione per dialisi peritoneale a base di aminoacidi e modificazioni funzionali della membrana peritoneale in pazienti dializzati.

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UNIVERSITÀ DI PISA

DAI Specialità Mediche

Scuola di Specializzazione in Nefrologia

Tesi di Specializzazione

Utilizzo di soluzione per dialisi peritoneale a base di

aminoacidi e modificazioni funzionali della membrana

peritoneale in pazienti dializzati

CANDIDATO RELATORI

Dott.ssa Maria Enrica Baronti Chiar.ma Prof.ssa M. Francesca Egidi Dott.ssa Viviana Finato

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2

INDICE

1. LA DIALISI PERITONEALE pag. 3

1.1 Cenni storici pag. 3

1.2 Anatomia e fisiologia del peritoneo pag. 4

2. CINETICA DEGLI SCAMBI PERITONEALI pag. 6

2.1 Il trasporto diffusivo pag. 8

2.2 L’ultrafiltrazione pag. 9

2.3 Il trasporto convettivo pag. 11

2.4 La clearance pag. 13

3. MODALITA’ DI TRATTAMENTO DIALITICO pag. 14

4. SOLUZIONI PER DIAISI PERITONEALE pag. 15

5. ADEGUATEZZA DIALITICA E ULTRAFILTRATIVA pag. 18

6. VALUTAZIONE FUNZIONALE DELLA MEMBRANA PERITONEALE pag. 23 7. SOLUZIONI STANDARD vs SOLUZIONI BIOCOMPATIBILI: EFFETTI A LUNGO

TERMINE SULLA MEMBRANA PERITONEALE pag. 28

8. RISULTATI DELLO STUDIO pag. 33

8.1 Materiali e metodi pag. 33

8.2 Analisi statistica pag. 36

8.3 Risultati pag. 37

8.4 Discussione pag. 42

9 CONCLUSIONI pag. 48

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3

1. LA DIALISI PERITONEALE

1.1 Cenni storici

Il teorico della dialisi peritoneale può essere considerato Thomas Graham (1805-1869) un professore di chimica, noto per la sua legge dell’effusione; descrisse per primo l’ osmosi e la diffusione e introdusse il concetto di membrana semipermeabile. La scoperta della capacità del peritoneo di agire come una membrana semipermeabile si può attribuire agli studi del tedesco Wegner che nel 1877 pubblicò i risultati di una serie di esperimenti condotti tramite infusione di soluzioni saline a concentrazione glucidica crescente nella cavità peritoneale di coniglio. Venne infatti un aumento o una riduzione del volume del liquido peritoneale a seconda della tonicità della soluzione.

Questi esperimenti furono portati avanti dal noto fisiologo Inglese Frank Starling e dal suo collaboratore Alfred Tubby che alla fine dell’800 conclusero che il trasporto intraperitoneale dei soluti era bidirezionale soprattutto verso il comparto ematico piuttosto che verso i vasi linfatici 1. Nel 1923 Georg Ganter pubblicò le sue ricerche su animali e su pochi pazienti, dimostrando un netto miglioramento dell’azotemia dopo carichi di soluzioni intraperitoneali con un tempo di sosta di tre ore.

Qualche decennio dopo, nel 1946, a Boston tre medici della Mayo Clinic, Howard Frank, Arnold Seligman e Jacob Fine studiarono sistematicamente la composizione della soluzione dializzante e la velocità di infusione necessaria per assicurare, con la tecnica a flusso continuo, un'efficiente azione di rimozione dei soluti tossici e riuscirono a trattare un paziente con insufficienza renale acuta per sette giorni 2. Nel 1959 Doolan e Maxwell cominciarono ad usare soluzioni di dialisi preparate industrialmente contenute in bottiglie di vetro; il liquido in esse contenuto veniva fatto defluire per gravità nel peritoneo attraverso una connessione con il catetere, e dopo un tempo di permanenza stabilito, veniva quindi drenato.

Il sistema era semplice e facile da operare, ma vi era un'elevata incidenza di contaminazioni batteriche e conseguentemente di peritoniti; poco tempo dopo vennero introdotte sul mercato le sacche di materiale plastico, meglio accettate anche dai pazienti.

Nel 1961 Fred Boem, dopo aver lavorato ad Amsterdam sulla cinetica del trasporto peritoneale, iniziò il primo programma di dialisi peritoneale a Seattle; l’uso su larga scala della metodica era ostacolato dalla difficoltà di reperire un accesso peritoneale e dalle infezioni ricorrenti. Nonostante la collaborazione con Henry Tenckhoff, padre del catetere

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4 peritoneale più utilizzato, nel 1977 solo 800 pazienti nel mondo erano trattati con dialisi peritoneale intermittente 3.

Nel 1975 Jack Moncrief e Robert Popovich introdussero il concetto di dialisi peritoneale continua che corrisponde alla CAPD (Continuous Ambulatory Peritoneal Dialysis) e calcolarono che quattro o cinque scambi al giorno erano sufficienti a sostituire la funzione renale in persone di taglia media.

Negli anni successivi furono fatti notevoli progressi nella composizione delle soluzioni di dialisi e nella tecnica di accesso al peritoneo che portarono al successivo fondamentale passo avanti, quello della standardizzazione della tecnica.

La dialisi peritoneale è la metodica dialitica sostitutiva cui sono sottoposti circa 272.000 individui nel mondo, ovvero l’8% della popolazione dialitica globale; è un tipo di dialisi domiciliare che permette al paziente di avere autonomia nella gestione della terapia e il più delle volte di continuare a lavorare.

1.2 Anatomia e fisiologia del peritoneo

Il peritoneo viene diviso classicamente in peritoneo parietale, che ricopre la parete addominale interna e gli organi retroperitoneali, peritoneo diaframmatico che riveste il diaframma e peritoneo viscerale che riveste i visceri e forma l’omento e il mesentere viscerale che unisce le anse intestinali 4. Gli scambi di liquidi e soluti avvengono tra il sangue nei capillari peritoneali e le soluzioni di dialisi all’interno della cavità peritoneale. Quest’ultima è rivestita dalla membrana peritoneale, una complessa struttura con una superficie stimata di 1-2 m2. La membrana peritoneale è costituita dalla parete capillare, dall’interstizio (composto da una matrice di mucopolisaccaridi e da fibre collagene) e dal mesotelio; tutte le cellule mesoteliali sono coperte da microvilli che aumentano la superficie di scambio e contengono corpi lamellari che servono per la produzione del surfattante che, secreto nella cavità peritoneale, permette lo scorrimento dei due foglietti 4

I soluti si muovono tra sangue e dialisato secondo i principi della diffusione e della convezione in base al loro gradiente di concentrazione 5. Il trasporto dei soluti durante la dialisi è influenzato dalla frequenza degli scambi e dal volume di liquido caricato,

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5 dall’osmolarità del dialisato, dal flusso ematico peritoneale, dalla superficie vascolare effettiva e dalla permeabilità microvascolare 6.

Tra sangue e cavità peritoneale vi sono almeno sei “resistenze anatomiche” di cui solo tre sono quantificabili: capillari, mesotelio e interstizio.

Lo studio della cinetica dei soluti riflette lo stato del sistema vascolare della membrana peritoneale ed è noto come modello dei “tre pori” di Rippe e Stelin 7; secondo questo modello la parete capillare è il maggior sito di resistenza al trasporto di fluidi e soluti che si verifica attraverso tre tipi di pori. I pori “piccoli” (40-50 Å) sono gli spazi tra le cellule endoteliali e rappresentano il 95% della conduttanza idraulica (coefficiente di ultrafiltrazione, UF) che è il principale fattore che determina il trasporto di liquido e soluti a basso peso molecolare come urea, creatinina e glucosio. Un altro gruppo di pori, definiti “grandi”, (250 Å) corrisponde alle giunzioni tra le cellule endoteliali delle venule e rende conto del 5% del coefficiente di ultrafiltrazione; questi pori sono solo lo 0,01% del numero totale e determinano la perdita di proteine durante la dialisi.

Infine i pori “ultra piccoli” definiti acquapori, localizzati sulle cellule endoteliali sono responsabili dell’1-2% della conduttanza idraulica, essendo permeabili all’acqua ma non ai soluti e mediano circa la metà dell’ultrafiltrazione e sono ritenuti responsabili del fenomeno del “sieving del sodio” cioè la rapida riduzione della concentrazione di sodio nel dialisato a seguito del rapido passaggio di acqua dal sangue alla cavità peritoneale durante un carico con soluzione ipertonica 7, 8. L’identificazione delle acquaporine, una famiglia di proteine di membrana conservate in batteri, piante e mammiferi, ha permesso di comprendere i meccanismi di trasporto dell’acqua attraverso le membrane biologiche; il primo membro ad essere identificato è stato l’acquaporina-1 (AQP1), una proteina di 28 K-Da espressa in grande quantità sulla superficie dei globuli rossi. Dal punto di vista funzionale alcuni di questi canali di membrana sono permeabili solo all’acqua mentre altre isoforme (AQP3,AQP7, AQP9 e AQP10, chiamate “acquagliceroporine”) permettono il passaggio anche di glicerolo e urea. L’AQP1 è espressa sulle membrane apicale e basolaterale delle cellule endoteliali dei capillari fenestrati di molti tessuti compreso il peritoneo oltre che nel tubulo contorto prossimale e nel tratto discendente dell’ansa di Henle dei reni dei mammiferi 9. La distribuzione delle AQP1 sull’endotelio dei capillari peritoneali coincide con la topografia dei pori ultra piccoli, ad indicare che queste proteine ne sono l’espressione molecolare.

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2. CINETICA DEGLI SCAMBI PERITONEALI

I principi che regolano la dialisi peritoneale sono identici a quelli dell’emodialisi. Le sostanze contenute nel liquido di dialisi e nel sangue tenderanno all’equilibrio attraverso la membrana peritoneale nella direzione delle più bassa concentrazioni.

In particolare la diffusione permette il movimento di fluidi e soluti secondo un gradiente di concentrazione mentre la convezione (filtrazione o UF) è mediata dai gradienti di pressione idrostatica o osmotica; la parete capillare rappresenta la barriera principale al passaggio di soluti di grandi dimensioni e di fluidi, l’interstizio invece permette la diffusione dei piccoli soluti.

In condizioni normali il movimento di sostanze avviene attraverso i piccoli pori; solo il 2% del trasporto dell’acqua avviene mediante le AQP1. Durante la dialisi invece la rimozione di fluidi è stimolata dall’infusione nella cavità peritoneale di un liquido iperosmolare: il tipo di agente osmotico utilizzato influenza il tipo di trasporto che viene attivato. Il glicerolo, ad esempio, è un agente osmotico piccolo, che ha un effetto scarso a livello dei piccoli pori ma piuttosto esercita la sua azione sulle AQP1. Al contrario il glucosio induce un passaggio di fluidi attraverso le AQP1 (40%) e i piccoli pori (60%) mentre l’icodestrina, un polimero del glucosio, agisce spostando fluidi attraverso i piccoli pori (90%). Quindi l’effetto osmotico del glucosio si traduce in una rapida diluizione del dialisato con una riduzione della concentrazione del sodio (sieving del sodio) durante le prime 2 ore di sosta del liquido a seguito del trasporto di acqua in massima parte attraverso le acquaporine. In questo caso il trasporto diffusivo è nullo; il coefficiente di sieving è un parametro di permeabilità convettiva:

S=D/P

S=0 il soluto è troppo grande per un trasporto convettivo

S=1 la membrana non oppone resistenza al trasporto convettivo S=0,7 è quello per le piccole molecole

Il coefficiente di riflessione invece rappresenta la resistenza che la membrana esercita sul

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7 =0 il soluto non ha effetto osmotico, attraversa la membrana senza opposizione.

=1 il soluto non attraversa la membrana e questa è la membrana semipermeabile ideale.

In dialisi peritoneale il  del glucosio dipende dal sodio e dalla funzionalità dei canali

acquosi.

Il glucosio è un agente osmotico di medie dimensioni con una bassa efficienza osmotica (= 0,03) attraverso i pori piccoli mentre il maggior effetto osmotico si manifesta attraverso AQP1 (=1). Per questa ragione il glucosio aumenta di 30 volte il trasporto di fluidi attraverso le acquaporine spostandolo dai piccoli pori in direzione delle AQP1, con conseguente sieving del sodio; per esempio, con un carico di glucosio al 3,86% la concentrazione di sodio passa da 132 a 123 mmol/l in 60-100 minuti, con un aumento più tardivo della concentrazione plasmatica. D’altra parte l’icodestrina, con un peso molecolare di 17 Kda, ha un’alta efficienza osmotica attraverso i piccoli pori piuttosto che attraverso le acquaporine (0,5).

Il sieving del sodio non dipende solo dalla dimensione dell’agente osmotico, ma anche dalla quantità e dalla distribuzione delle AQP1, dal tasso netto di ultrafiltrazione e dalla capacità diffusiva del sodio stesso.

In assenza di un agente osmotico nel liquido di dialisi, il dialisato tende ad essere riassorbito spinto dalla differenza di pressione colloido-osmotica tra plasma e peritoneo. Questo riassorbimento avviene in massima parte attraverso i piccoli pori mentre un 30% è mediato dai vasi linfatici.

I pazienti con un alto coefficiente di diffusione del sodio, definiti alti trasportatori, hanno più difficoltà a rimuovere fluidi rispetto ai bassi trasportatori; nei primi l’ultrafiltrazione si riduce rapidamente e c’è un più alto riassorbimento nell’ultima fase della sosta. Il problema del passaggio dei fluidi dal peritoneo desta comunque controversie; alcuni autori infatti ritengono che nell’ultima fase del carico un ruolo centrale sia svolto dai vasi linfatici 10.

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2.1 Il Trasporto Diffusivo

L’area funzionale del peritoneo riflette la superficie “efficace” dei capillari peritoneali 11. Il trasporto dei piccoli soluti come urea, creatinina e glucosio è parzialmente limitata dal grado di perfusione di questi capillari, quindi è direttamente proporzionale all’area della superficie e inversamente proporzionale alle resistenze incontrate. La vasodilatazione arteriolare comporta un aumento dei capillari perfusi mentre la vasocostrizione ha un effetto opposto senza peraltro modificare la permeabilità, ovvero la conduttanza idraulica LpS del peritoneo.

Durante la vasodilatazione o la vasocostrizione c’è una dissociazione tra i cambiamenti del prodotto tra Permeabilià e Area della Superficie (MTAC coefficiente globale del trasporto di

massa) per i piccoli soluti e quelli della conduttanza idraulica della membrana, LpS. Secondo la legge di Fick:

(1) J(s)=-DA x dC/dx

D= costante di diffusività dx= spessore della membrana A= area disponibile per gli scambi

dC= differenza di concentrazione della sostanza ai due lati della membrana

il flusso (J) di un soluto (s) attraverso una membrana permeabile è proporzionale alla differenza di concentrazione del soluto stesso ai due lati della membrana (dC), all’area disponibile per gli scambi (A), alla costante di diffusività (D) propria del soluto-solvente ad una certa temperatura ed espressa in cm2/sec, alla temperatura assoluta (T), mentre è inversamente proporzionale allo spessore della membrana stessa (dx).

In condizioni normali dx è abbastanza costante così come D, pertanto D/dx=K o MTAC; K rappresenta una costante di proporzionalità, quindi:

(2) J=-K x A x dC

1/K=R che è la resistenza diffusiva trovata dal soluto nel passaggio da un comparto

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9 Come già detto, i siti di resistenza sono sei: strati di plasma stagnante (R1), endotelio capillare (R2), membrana basale del capillare (R3), interstizio (R4), mesotelio peritoneale (R5) e strati di fluido stagnante nel cavo peritoneale (R6).

Quindi:

K=1/R=1/R1+R2+R3+R4+R5+R6 Dalla formula 2 si ricava:

J/A=-dC/R dove R=1/K

Tale relazione dimostra che l’aumento del trasporto di massa per unità di superficie può essere ottenuto o con l’incremento del gradiente di concentrazione del soluto (influenzato dai flussi ematici e del liquido di dialisi), o con la diminuzione delle resistenze.

Come riferito da Nolph, i soluti più grossi trovano il maggior ostacolo al passaggio a livello dei pori intercellulari dell’endotelio capillare, mentre i soluti più piccoli troverebbero una maggiore resistenza a livello dei films di fluido interstiziale e del liquido endoperitoneale 12. D’altra parte l’interstizio del peritoneo sembra avere una complessa struttura intrinseca di fibre e stroma mucopolisaccaridico il cui grado di idratazione può variare a tal punto da modificare lo spessore e la resistenza dell’interstizio stesso.

2.2 L’ultrafiltrazione

Il trattamento dialitico comporta un passaggio di fluidi dal sangue al cavo peritoneale, necessario per il controllo del volume ematico e del peso corporeo.

La sottrazione idrica viene resa possibile da un gradiente osmotico. La quota di ultrafiltrazione attiva (UF) può essere quantificata:

UF=Kf(pb-pi)-(Pb-Pi)

p= pressione idrostatica P= pressione osmotica b= sangue

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10 i= interstizio

Kf= coefficiente di ultrafiltrazione

Aggiungendo la p e la P del bagno di dialisi:

UF=Kf(pb-pi)-(Pb-Pi) + (Pd-Pi)+(pi-pd)

Poiché:

(pb-pi)-(Pb-Pi) + (Pd-Pi)+(pi-pd)=TMP

TMP= pressione transmembrana

La precedente equazione può essere riscritta:

UF=Kf x TMP

Da ciò deriva la definizione del coefficiente di ultrafiltrazione (Kf) come rapporto tra ultrafiltrazione e pressione transmembrana (TMP).

Kf=UF/TMP

Mentre l’osmolarità della soluzione all’inizio dello scambio è costante, il gradiente pressorio transperitoneale non lo è a causa di una modificazione dei vari parametri che influenzano la TMP globale; la pressione arteriosa media, la proteinemia totale, l’ematocrito, l’osmolalità plasmatica e la viscosità ematica sono infatti in grado di alterare la TMP e la modificazione dell’ultrafiltrazione istantanea che ne deriva risulta parallela a tali variazioni 13, 14 .

Se si calcola il valore di Kf correttamente, come UF/TMP globale, il valore del coefficiente di ultrafiltrazione risulta costante nel tempo (da 0,01 a 0,0097).

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11 Dal punto di vista pratico nell’esecuzione di un bilancio idrico in dialisi peritoneale, la quota di ultrafiltrazione si ricava dalla formula:

Uf (ml)=Vdu-Vde

Vdu= volume di liquido drenato Vde= volume di liquido infuso

Dividendo la stessa equazione per la durata di un singolo scambio (min), si può calcolare l’entità dell’UF nel tempo (UF/t=Qf)

Qf (ml/min)=(Vdu-Vde)/(durata scambio in min)

2.3 Il Trasporto Convettivo

Se nella diffusione il passaggio dei soluti attraverso la membrana è legato al loro casuale movimento con tendenza ad annullare il gradiente di concentrazione, nel trasporto convettivo il movimento dei soluti, talvolta anche contro gradiente di concentrazione, dipende strettamente dal grado di ultrafiltrazione. Il fluido trascina con sé da un comparto all’altro una certa quota di soluti, generando il cosiddetto solvent drag. I fenomeni di tipo convettivo sono influenzati da un coefficiente di viscosità. L’interazione molecolare tra soluto e solvente e il movimento di volumi adiacenti di fluido regolano la convezione.

La migrazione convettiva dei soluti non è inversamente correlata con il peso molecolare almeno fino a valori di cut-off della membrana; in alcuni casi, anzi, il trasporto convettivo favorisce il passaggio di soluti a più alto P.M limitando allo stesso tempo la diffusione di quelli con taglie minori.

In sintesi si può affermare che per le piccole molecole il trasporto è pressochè diffusivo, mentre per le molecole medio-grandi la migrazione attraverso la membrana è dovuta per almeno 2/3 a fenomeni di tipo convettivo. Paradossalmente il trasporto convettivo degli elettroliti è inefficiente per il probabile effetto limitante delle cariche elettriche sulla superficie.

I parametri principali della convezione sono: -grado di ultrafiltrazione

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12 -coefficiente di riflessione della membrana 

il rapporto tra la concentrazione del soluto nell’ultrafiltrato ottenuto e la concentrazione del soluto stesso nell’acqua plasmatica, esprime, in assenza di gradiente per la diffusione, il coefficiente di sieving (S).

Pertanto:

S= sf/sp

S= sieving coefficient

s= concentrazione del soluto f= ultrafiltrato

p= plasma

l’estrazione di un soluto J(s) con peso molecolare al di sotto del cut-off della membrana durante l’ultrafiltrazione e in assenza di diffusione sarà pertanto:

J(s)= sp x S x UF

Ricordando che il trasporto convettivo dipende essenzialmente dall’entità dell’ultrafiltrazione (UF) e dall’interazione soluto/membrana (S) ad una certa concentrazione plasmatica del soluto stesso sp 13.

Rispetto alle membrane dialitiche usate in dialisi extracorporea la membrana peritoneale ha un comportamento intermedio, presentando valori di sieving bassi per molecole a peso relativamente basso e mostrando valori di sieving più elevati del cuprophan per soluti a peso molecolare oltre i 20.000 daltons.

I due tipi di trasporto e i relativi coefficienti sono spesso considerati per semplicità indipendenti; in realtà essi intervengono nel trasporto dei soluti in modo associato anche se la percentuale con cui il trasporto convettivo agisce in dialisi peritoneale è direttamente legata alle quote di ultrafiltrazione, che sono generalmente limitate.

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2.4 La Clearance

Definisce il volume di plasma depurato dal soluto nell’unità di tempo ad opera della membrana peritoneale; nella valutazione complessiva della depurazione di un soluto dall’organismo, la clearance globale risulta dalla somma di quella dialitica (Cd) e di quella renale residua (Cr). La clearance rappresenta un indice riproducibile nella pratica clinica che è indipendente dalla concentrazione ematica del soluto in esame. Risente però di altri fattori:

 Area peritoneale effettiva

 Flusso ematico e del liquido di dialisi  Tipo di soluzione dialitica

 Caratteristiche fisico-chimiche del soluto

 Resistenze fisiologiche a livello della membrana peritoneale  Valore dell’ultrafiltrazione

 Farmaci  Temperatura

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3. MODALITA’ DI TRATTAMENTO DIALITICO

La dialisi peritoneale è una metodica dialitica domiciliare che può essere eseguita con modalità manuale o automatizzata mediante una macchina (cycler).

Entrambe le metodiche si sono dimostrate equivalenti in termini di outcomes clinici 15 e se necessario, possono essere usate insieme nello stesso paziente.

-CAPD (Continous Ambulatory Peritoneal Dialysis): è caratterizzata generalmente da tre o quattro scambi al giorno con soluzioni a varie concentrazioni di glucosio che possono o meno essere seguiti da un carico notturno con icodestrina. Dato il lungo tempo di carico, l’adeguatezza dialitica si misura in termini di quantità di volume drenato piuttosto che per le caratteristiche della membrana. Per aumentare la dose dialitica, quindi, l’unica soluzione è aumentare il volume di carico e arrivare fino a cinque scambi al giorno. Si può ridurre il carico di glucosio utilizzando la soluzione a base di aminoacidi e, qualora fosse necessario incrementare l’ultrafiltrazione, per la sosta più lunga si può utilizzare l’icodestrina.

Fino ad oggi le strategie volte a ridurre il carico glucidico non hanno però dato i risultati previsti sulla prevenzione del danno della membrana peritoneale 16 o sul controllo glico-metabolico nel pazienti diabetici 17.

-APD (Automated Peritoneal Dialysis): prevede l’utilizzo di una macchina (cycler) che effettua carico e scarico delle soluzioni (10-20 L) più volte nel periodo di tempo stabilito, generalmente notturno (8-10 ore). Durante il giorno il paziente può tenere in addome l’ultimo carico, generalmente icodestrina, e scambiarlo all’inizio del ciclo dialitico successivo (CCPD1, Continuous Cycler-assisted Peritoneal Dialysis); in alternativa se l’addome di giorno è vuoto, la dialisi automatizzata si chiama NIPD (Nocturnal Intermittent

Peritoneal Dialysis).

Un’altra variante è la CCPD2 che affianca ai 4-5 scambi notturni, due cicli diurni con un cambio sacca a metà giornata. La CCPD può anche essere praticata con una sola stasi diurna, della durata di 3-5 ore, seguita da drenaggio e da parte del giorno ad addome vuoto (CCPD3);

-Tidal (da tide=marea). È un’APD, nella quale è ricambiato, ad ogni ciclo, solo il 30-70% del volume d’infusione iniziale, per ridurre i tempi morti ed incrementare l’efficienza dialitica. Le abbreviazioni internazionali delle tecniche tidal prevedono analogamente a quanto sopra esposto NTPD, CTPD1 e CTPD2 per le varianti di prescrizione.

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4. SOLUZIONI PER DIALISI PERITONEALE

Il primo esempio di soluzione per dialisi peritoneale risale al XIX secolo ad opera di un ricercatore tedesco, Wegner, che descrisse come una soluzione ipertonica salina instillata nella cavità peritoneale di animali aumentasse di volume dopo un certo periodo di tempo. Seguirono diversi studi circa la possibilità di utilizzare la cavità peritoneale come filtro per dialisi utilizzando liquidi da infondere con caratteristiche peculiari. Nella prima metà del ‘900 ci fu la svolta; infatti Heusser aggiunse il destrosio alle soluzioni inventate fino a quel momento per aumentarne la capacità ultrafiltrativa e nel 1938 Rhoads aggiunse il lattato come tampone.

Successivamente furono sviluppate altre soluzioni a base di glucosio, gelatina, xilitolo, mannitolo, polimeri del glucosio (icodestrina), aminoacidi e molti altri 18, 19. La Baxter mise in commercio le prime soluzioni nel 1959 e da allora non ci sono stati cambiamenti significativi di composizione, ma solo nei materiali che le contengono (plastica vs vetro). La soluzione ideale dovrebbe avere una clearance dei soluti stabilita, con il minimo assorbimento dell’agente osmotico; dovrebbe inoltre garantire il mantenimento dell’equilibrio acido-base senza interferenze con gli altri soluti ed essere sterile e apirogena, priva di metalli pesanti e inerte 20.

Le soluzioni per dialisi peritoneale contengono acqua, agenti osmotici, elettroliti e possono essere addizionate con diverse sostanze.

Le prime soluzioni per dialisi erano saline, ma dal 1940 l’agente osmotico più usato è stato il destrosio che , essendo iperosmolare, permette la rimozione netta di fluidi attraverso un aumento della pressione osmotica; sono stati fatti tentativi con altri agenti osmotici, ma nessuno ha mostrato una performance migliore.

Attualmente a disposizione ci sono agenti ad alto peso molecolare e a basso peso. Tra i primi i polimeri del glucosio (icodestrina), i polipeptidi, il destrano, i policationi, hanno un peso molecolare tra i 20.000 e i 35.000 Daltons; per ottenere un buon effetto osmotico devono essere presenti in elevate concentrazioni e comunque possono comportare un aumento della viscosità dei fluidi con problemi al carico e allo scarico. Tra i composti a basso peso molecolare si considerano il destrosio, gli aminoacidi, lo xilitolo, il glicerolo che hanno un peso molecolare tra i 90 e 200 Daltons; come già detto, il destrosio è il più utilizzato.

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16 (1,36%, 2,27%, 3,86% per la Baxter e 1,5%, 2,3%, 4,25% per la Fresenius) e sono tamponate con lattato o con bicarbonato; in quest’ultimo caso il sistema tampone non è direttamente miscelato alla soluzione, ma viene addizionato solo al momento dell’utilizzo (bicaVera Fresenius 1,5%-2,3% e 4,25% e Physioneal Baxter 1,36%, 2,27% e 3,86%). La concentrazione di calcio, cloro, sodio e magnesio è simile a quella plasmatica all’equilibrio; il gradiente di diffusione è basso, più o meno completamente dipendente dalla convezione.

Per ogni decilitro di fluido rimosso dopo un carico di quattro ore, sono rimossi circa 10 mmol/L di sodio e 0,1 mmol/L di calcio con livelli di sodiemia e calcemia nei limiti 8.

La concentrazione di calcio nelle soluzioni per dialisi peritoneale va da 1,25 a 1,75 mmol/L ma siccome la cinetica del calcio è dominata dall’ultrafiltrazione, la concentrazione minima di 1,25 mmol/L è appropriata solo per le sacche all’1,36% di glucosio altrimenti con sacche così al 2,27% o al 3,86% si avrebbe avere una riduzione del calcio plasmatico; attualmente, quindi, si preferisce utilizzare il calcio a 1,25 mmol/L se il paziente usa chelanti del fosforo a base di calcio;

Il più noto polimero del glucosio è l’icodestrina, una miscela di oligo-poli saccaridi con catena di lunghezza variabile con un peso di 20.000 Daltons 21; per l’elevata polidispersività in realtà il 70% delle molecole hanno un peso molecolare di 3 kDa o meno; in commercio si trova una soluzione al 7,5% chiamata Extraneal che ha un’osmolarità simile o leggermente più bassa di quella del plasma a differenza delle soluzioni di glucosio all’1,36%. Il fatto che non venga assorbita l’ha resa utile nei diabetici, nei pazienti che richiedono soste più lunghe e quando è necessario incrementare l’ultrafiltrazione 22.

Il ridotto carico di glucosio comporta inoltre dei vantaggi a lungo termine dal punto di vista metabolico come dimostrato da Li et al17; dal confronto tra pazienti diabetici trattati con soluzioni a base di destrosio e a basso carico di destrosio nel gruppo di intervento, dopo sei mesi si osservava una riduzione dell’emoglobina glicata nel gruppo di intervento ma non nel gruppo di controllo oltre che una riduzione dei trigliceridi, delle VLDL e dell’apolipoproteina B. Dal punto di vista pratico si utilizza una volta sola al giorno con un tempo di sosta di 8-12 ore.

Tra gli osmoli alternativi al glucosio ci sono gli aminoacidi; le soluzioni per dialisi contenenti aminoacidi all’1,1% (Nutrineal) e prive di glucosio sono state introdotte per migliorare lo stato nutrizionale dei pazienti in dialisi peritoneale; Una sacca di Nutrineal, contiene 22 gr di aminoacidi che corrispondono a 0,3 g/Kg di peso corporeo/die per un

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17 paziente di 70 Kg (circa il 30% del fabbisogno proteico giornaliero).

Durante uno scambio di quattro-sei ore il 70-80% degli aminoacidi infusi diffonde dalla cavità peritoneale al compartimento ematico, garantendo un apporto pari al 20-25% del fabbisogno giornaliero. Da ricordare che l’anabolismo avviene solo in presenza di un adeguato apporto calorico (35 Kcal/Kg peso corporeo) mentre in caso contrario gli aminoacidi sono catabolizzati verso la neoglucogenesi e l’azoto rimosso aumenta la formazione di urea. Dal punto di vista dell’ultrafiltrazione la soluzione si comporta come una soluzione all’1,36% di glucosio 23. Dal punto di vista pratico è raccomandato uno scambio al giorno con 2-2,5 L di Nutrineal per un paziente di 70 Kg di peso.

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5. ADEGUATEZZA DIALITICA E ULTRAFILTRATIVA

Quando si parla di adeguatezza dialitica bisogna tenere presente che l’unica condizione sostitutiva della funzione renale è il trapianto. Detto questo, una dialisi è adeguata se permette la sopravvivenza del paziente riducendone la mortalità, se corregge segni e sintomi derivanti dall’uremia, quindi se riduce la morbidità e infine se comporta un tasso di sopravvivenza sovrapponibile tra dializzati e non dializzati.

L’adeguatezza dialitica tiene conto della depurazione e dell’ultrafiltrazione 24.

In dialisi peritoneale gli indici di depurazione sono la clearance dell’urea e della creatinina normalizzati rispettivamente per il contenuto d’acqua corporeo e per la superficie corporea.

Generalmente ci si riferisce alla Clearance Totale, comprensiva di clearance peritoneale e di clearance renale;

La Clearance dell’urea (K, ml/min), normalizzata per il contenuto d’acqua corporeo, che è il suo volume di distribuzione (V), è definita Kt/V ed è espresso su base settimanale in unità numeriche (adimensionale) con uno o due decimali, rappresentando il contenuto corporeo di urea depurato nell’arco di sette giorni.

Bisogna fare attenzione, così come in emodialisi, quando si tratta di pazienti obesi in cui il Kt/V può essere sottostimato a causa di una sovra stima del volume e nei pazienti iperidratati in cui è sovrastimato a causa di una sottostima del volume 25. Lo stesso vale per i soggetti sotto peso, in cui il volume è sottostimato. Per questo, sia le NKF-DOQI del 1997 che le linee guida Canadesi del 2007, raccomandano di riferirsi al peso ideale 26.

La Clearance della creatinina, CrCl è normalizzata per 1,73 m2 di superficie corporea anche se è generalmente accettato che la creatinina sia distribuita nell’acqua corporea;la CrCL totale, espressa in L/settimana, è generalmente calcolata sommando la CrCL peritoneale con il filtrato glomerulare (GFR) in modo da considerare solo la CrCL renale dovuta al GFR ed escludendo la secrezione tubulare della creatinina che sovrastima il GFR 27. Poiché la clearance residua dell’urea sottostima il GFR, a causa del riassorbimento tubulare, il GFR può essere calcolato dalla media tra clearance renale dell’urea e della Cr 28.

La CrCL totale calcolata in questo modo è stata utilizzata in alcuni dei più importanti studi sull’outcome in PD adottati per stilare le linee-guida NKF-DOQI e correla meglio col Kt/V totale della CrCL che include la secrezione tubulare (CrCL non corretta).

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19 Per quanto riguarda il calcolo della superficie corporea la formula di du Bois è la più utilizzata ed è da preferire ad altre due formule, di Gehan-George and Haycock, in accordo con il lavoro di Monsteller 29. Per quanto riguarda invece il dosaggio della creatinina, bisogna tenere in considerazione che le elevate concentrazioni di glucosio nel dializzante e nel dialisato possono aumentare in modo artificiale il suo valore 30; ogni Centro di DP dovrà quindi calcolare il proprio fattore di correzione (FC) per il glucosio al fine di non sovrastimare la CrCL peritoneale.

Esistono diverse formule di stima della CrCl che si possono utilizzare in dialisi peritoneale; Il razionale dell’uso delle equazioni sviluppate originariamente per stimare il GFR (eGFR) sta nella stazionarietà dello stato metabolico con una concentrazione di Cr sierica (sCr) stabile con variabilità mediana nello stesso giorno di circa il 2% 31.

A questo scopo la formula di Cockcroft-Gault è stata giudicata poco affidabile per la sua tendenza alla sovrastima della CrCL totale e, comunque, rispetto alla 4-MDRD, meno idonea. Quest’ultima infatti, applicata ai pazienti appartenenti al gruppo di controllo dello studio ADEMEX ha dimostrato una sovrastima media di soli 1.81 L/week rispetto alla CrCL totale misurata 32. In un confronto tra 12 equazioni sCr-based comprendenti anche la 4-MDRD, la formula di Gates si è dimostrata la più accurata 33. La raccolta dei fluidi rappresenta ovviamente il gold standard per la valutazione dell’adeguatezza dialitica, ma la stima della CrCL totale mediante l’uso di una formula basate sulla sCr ne rende più il monitoraggio. Il rapporto medio tra Kt/V e CrCL è 26 cioè 1.7=44 L ma per un’ incoerenza tra Kt/V e CrCL/1.73 m² è possibile che si verifichino valori compatibili con l’adeguatezza dialitica solo in uno dei due indici. Una correlazione (r) imperfetta tra Kt/V e CrCL/1.73 m² come 0.7 e 0.67 è stata riportata in CAPD. Le cause di discrepanza sono soprattutto matematiche, come la differente normalizzazione dei due indici per volume (V) e superficie corporea (m²), e la relazione non lineare tra volume e superficie corporea; nei pazienti obesi quindi, l’aumento di V risulterà sproporzionatamente più elevato dell’aumento della superficie corporea con relativo maggiore declino del Kt/V rispetto alla CrCL/1.73 m2. Due altre cause di incoerenza sono fisiologiche cioè la presenza di una funzione renale residua non trascurabile e la permeabilità peritoneale. La prima spesso comporta che i valori di CrCL/1.73 m² totale risultino adeguati anche senza un ottimale valore di Kt/V perché sommando la Clearance peritoneale alla funzione renale residua, il rapporto CrCL/Kt/V aumenta poiché la CrCl renale è superiore al Kt/V renale anche se è il GFR, e non la CrCl renale non corretta, ad essere aggiunto alla CrCL peritoneale34. La permeabilità peritoneale

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20 più è bassa, più limita il trasporto della creatinina in relazione a quello dell’urea. Questa condizione può implicare un adeguato Kt/V con una ridotta CrCL/1.73 m² come dimostrato da Tzamaloukas et al.35 nei pazienti anurici in CAPD, il cui rapporto CrCL/Kt/V aumentava quanto più era elevata la permeabilità peritoneale. In CAPD, una relazione media tra Kt/V peritoneale e CrCL/1.73 m² è stata stimata teoricamente 2.0-56 L, 2.0-53 L e dimostrata clinicamente essere 2.0-53 L e 1.68-50 L. In APD i brevi tempi di sosta e la bassa permeabilità peritoneale riducono il rapporto CrCL/Kt/V. In breve, la funzione renale residua e l’elevata permeabilità peritoneale tendono a far aumentare il rapporto CrCL/Kt/V mentre gli scambi rapidi e la bassa permeabilità peritoneale lo riducono 36.

Per il calcolo delle clearances in CAPD si utilizza un prelievo di sangue dove la concentrazione del soluto è uguale a quella del compartimento corporeo nel quale è distribuito (steady state); L’approccio matematico è simile a quello utilizzato per la clearance renale nella pratica nefrologica ed è corretto poiché è accettato il concetto di stato stazionario in CAPD che significa equivalenza in ognuno dei compartimenti acquosi (acqua plasmatica, acqua interstiziale, acqua intracellulare) rispetto ai soluti considerati.

In APD invece, sia nei trattamenti intermittenti (nocturnal intermittent peritoneal dialysis NIPD, nocturnal tidal peritoneal dialysis NTPD) che nei continui (continuous cycling peritoneal dialysis CCPD, continuous tidal peritoneal dialysis CTPD) non è stato dimostrato lo stato stazionario 37, 38. I rapidi trasporti di soluti durante l’APD inducono un ritardo nel raggiungimento dell’equilibrio nei diversi compartimenti corporei come avviene in grado maggiore nell’emodialisi. Questo fenomeno è sufficiente ad indurre un errore nel calcolo delle Clearances poiché esso si basa su un modello di stato-stazionario incompleto. In NIPD per esempio, l’intermittenza della terapia causa una fluttuazione nelle concentrazioni plasmatiche di urea prima e dopo la dialisi con conseguente effetto compartimentale; l’azotemia quindi si riduce dalla sera alla mattina con la NIPD ma non con la CAPD 38.

Dai dati di Friedlander 38 e di Amici 37 risulta che in APD l’uso del valore post-dialitico (più basso di quello pre-dialitico) comporta una sovrastima del Kt/V dal 6.3% al 14% con una differenza statisticamente significativa; in CTPD anche la CrCL mostra una differenza significativa (+6.3%) quando calcolata usando il valore sierico post-APD invece del pre-APD. La variabilità delle sovrastima è dovuta alla differente efficienza dell’APD e conseguentemente al diverso effetto compartimentale. Se il prelievo ematico è ottenuto al mattino, subito dopo aver terminato la seduta di APD, il Kt/V verrà sistematicamente sovrastimato così come la CrCL anche se quest’ultima in misura minore. Questo è il motivo

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21 per cui è buona norma prelevare il campione di sangue durante il giorno in un momento equidistante dalla precedente e successiva seduta di APD; Con tale campionamento ci si assicura anche un corretto confronto tra CAPD e APD riguardo il Kt/V e la CrCL 36.

Per quanto riguarda l’ultrafiltrazione, è noto come il sovraccarico idro salino in dialisi peritoneale rappresenti un fattore di rischio di mortalità aumentata nei pazienti anurici e in quelli con funzione renale residua 39. Gli indicatori di adeguatezza ultrafiltrativa sono l’ultrafiltrazione netta peritoneale (UF) e la rimozione totale di fluidi (UF+diuresi residua) espressi in ml/24 ore. Un indicatore di accompagnamento è la rimozione di sodio (Na) peritoneale (Mass Transfer, MT) e totale (peritoneo + diuresi) espressa in mEq/24 ore. La rimozione di acqua in DP (ultrafiltrazione, UF, espressa il mL/24 ore) è calcolata come la differenza tra il volume di drenaggio (VOLout) e il volume di carico (VOLin):

UF (mL/24 ore)= VOLout (mL/24 ore) - VOLin (mL/24 ore)

All’UF va sommato il volume di diuresi.

La rimozione netta di Na nelle 24 ore (Mass Transfer, MT, espressa in mEq/24 ore o mMol/24 ore) ottenuta con la DP può essere calcolata come:

MTNa= (VOLout*Naout) - (VOLin*Nain)

dove VOLout è il volume di dialisato drenato e Naout la concentrazione di sodio nel VOLout mentre VOLin è il volume di dialisato caricato e Nain la concentrazione di sodio nel VOLin . Alla rimozione si sodio attraverso la dialisi, va sommata l’eliminazione di sodio con la diuresi delle 24 ore (sodiuria, mEq/L).

Secondo le Linee Guida Europee il valore minimo di target per l’UF giornaliera nei pazienti anurici è 1.0 L/die anche se la presenza della funzione renale residua può compensare quando questo target peritoneale non è raggiunto 24.

Utilizzando i dati riportati in letteratura per la CAPD 40, 41, è possibile studiare la stretta associazione (r= 0.998) tra UF netta e rimozione dialitica del Na (mEq/die)= 0.133*UF (mL/die) -7.9 .

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22 Una UF di 1000 in CAPD corrisponde ad una rimozione di sodio di 125 mEq mentre 750 ml ottengono una mass transfer di 92 mEq.

La rimozione dialitica media di Na è generalmente inferiore in APD rispetto alla CAPD e lo è anche a parità di ultrafiltrazione; Questa differenza è massima se si considera la modalità NIPD a causa dei tempi brevi di sosta che condizionano il sieving del Na e producono un dialisato a concentrazione sodica ridotta, mentre si riduce utilizzando APD con uno scambio diurno per quasi annullarsi con l’APD con due scambi diurni 42.

Le linee guida in genere concordano sui target di adeguatezza dialitica; infatti il valore minimo di target per il Kt/V peritoneale settimanale totale consigliato è pari ad 1.7 (cfr

Tabella 1). In APD, secondo le Linee Guida Europee, un target di CrCL peritoneale

settimanale di 45 litri/1.73 m² dovrebbe essere raggiunto in aggiunta ad un Kt/V di 1.7 ricordando che la presenza della funzione renale residua può compensare quando questi target peritoneali non sono raggiunti.

Riferimento Kt/V CrCL/1,73 m2 UF Europa  1,7  45L* 1.00L USA  1,7 ---- ---- Australia  1,6  50-60L ---- UK  1,7  50L 0,75L ISPD  1,7  45L* ---- Italia  1,8  54L ---- Canada  1,7 ---- ---- Giappone  1,7 ---- ----

Tabella 1. Target per Kt/V e CrCL settimanali oltre a UF giornaliera secondo le varie Linee Guida (*target addizionale in APD).

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6. VALUTAZIONE FUNZIONALE DELLA MEMBRANA PERITONEALE

La valutazione funzionale della membrana peritoneale fornisce informazioni per la corretta prescrizione della dose dialitica e permette di monitorare le variazioni di funzione della membrana nel tempo; viene effettuata attraverso alcuni test.

Il più importante è il test di equilibrazione peritoneale o PET, sviluppato e descritto da Twardowski nel 1987. Il test dà una stima del trasporto peritoneale dei piccoli soluti e della capacità di ultrafiltrazione. Dal PET classico sono derivati numerosi altri test più complessi, mentre altri non sono basati sui principi fondamentali del PET .

Il PET si basa sul principio che la concentrazione di soluti presenti nel sangue tenderà ad equilibrarsi con quella del dialisato dopo un periodo di tempo più o meno lungo; in base a tale velocità di equilibrazione è possibile classificare i pazienti in categorie di trasportatori. Il trasporto dei soluti dipende dall’area della superficie peritoneale disponibile, cioè dal numero dei capillari effettivamente perfusi disponibili per gli scambi; il volume ultrafiltrato in quattro ore dipende dalla conduttanza osmotica al glucosio così come la rapidità di dissipazione del gradiente osmotico che corrisponde alla capacità di trasporto dei piccoli soluti. In generale quindi, quando il riassorbimento del glucosio è alto e causa una veloce riduzione del gradiente osmotico, l’UF è bassa.

Dal punto di vista pratico dopo un carico notturno di 10-12 ore, si scarica il dialisato e, con il paziente in posizione supina, si caricano 2 litri di una soluzione di glucosio al 2,27% in dieci minuti. Al tempo zero, cioè alla fine del carico, si drenano 200 ml di dialisato e si invia al laboratorio. Dopo 4 ore il paziente viene scaricato. A questo punto si conosce il volume netto di scarico; si misurano le concentrazioni di glucosio e creatinina nel dialisato e nel plasma previo prelievo ematico. I risultati sono espressi come rapporto tra concentrazioni di soluto tra dialisato e plasma (D/P) e come rapporto tra concentrazione di glucosio nel dialisato ad un certo tempo e quella all’inizio del test (D/D0). Tanto più elevato sarà il D/P per un soluto e tanto più velocemente verrà raggiunto l’equilibrio tra dialisato e plasma e quindi maggiore sarà la permeabilità peritoneale per quel soluto.

Il D/P può essere determinato per qualsiasi soluto; poiché il glucosio è presente in elevate concentrazioni nel dialisato (fino a 3860 mg/dl) e viene quindi assorbito dal plasma attraverso la membrana peritoneale, e rapidamente metabolizzato, non ha senso utilizzare il D/P per il glucosio perché le sue concentrazioni rimangono invariate durante il PET.

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24 Piuttosto, come accennato prima, si usa il rapporto D/D0 che è espressione della velocità di assorbimento del glucosio.

Dall’analisi dei D/P Creat e dei D/D0 durante il PET è possibile tracciare delle curve di permeabilità della membrana peritoneale e in base ai valori di D/DCreat alla fine del PET i pazienti possono essere classificati in quattro categorie: alti trasportatori (H, da High), medio alti (H-A, da High-Average), medio bassi (L-A, da Low-Average) e bassi trasportatori (L, da Low). Le quattro classi si ottengono sommando e sottraendo al valore medio di D/PCreat e del D/D0 una deviazione standard (DS); i pazienti con valori di D/PCreat superiori alla media più una DS sono classificati come H; quelli con valori di tali parametri compresi tra la media e la media meno una DS sono classificati come L-A e, infine, i pazienti con valori inferiori alla media meno una DS sono classificati come L.

Le caratteristiche della membrana tendono a stabilizzarsi poco tempo dopo l’inizio della dialisi peritoneale 43; le linee guida NKF-DOQI consigliano quindi di effettuare la prima valutazione funzionale dopo circa 4-8 settimane ed entro tre mesi dall’inizio della dialisi e di ripeterla tutte le volte che sia presente un problema clinico. Altri autori, tra cui Mujais 44, raccomandano l’esecuzione del PET almeno una volta l’anno o tutte le volte che vi sia un’indicazione clinica.

Il test non va effettuato durante un episodio di peritonite ed è consigliabile aspettare almeno un mese dopo la risoluzione completa dell’episodio infettivo.

Il test funzionale di prima scelta dovrebbe essere il PET eseguito con soluzione di glucosio al 3,86%, detto “PET modificato” 45. Questo test serve per valutare il sieving del sodio nel dialisato dopo 60’ dall’inizio del test (Na a 60’) e per valutare l’ultrafiltrazione attraverso le acquaporine 46.

Infatti vi è un notevole interesse riguardo lo stato di idratazione dei pazienti in dialisi peritoneale e sulle capacità ultrafiltrativa della membrana. Paniagua et al 47 hanno dimostrato che un aumento della depurazione, peraltro già adeguata (Kt/v = 1,9 e CrCl = 60), non si associa ad un aumento della sopravvivenza e la rimozione di fluidi resta un punto cardinale per la sopravvivenza dei pazienti; questo vale per gli alti trasportatori a causa del rapido dissipamento del gradiente osmotico con perdita della capacità ultrafiltrativa della membrana 48, ma soprattutto per i pazienti anurici 39, 49.

L’esecuzione del test deve essere standardizzata; sono da tenere in considerazione come fattori principali: a) la durata dello scambio precedente l’esame che deve essere di almeno 8 ore e possibilmente con soluzione di 1,36% glucosio; b)non utilizzare l’icodestrina la sera

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25 prima dell’esame, c) il volume di infusione deve essere di 2000 ml; d) il paziente deve essere in posizione supina durante il carico e seduta durante lo scarico; e) l’infusione non deve durare più di 10 minuti e il drenaggio non più di 20; f)adeguare la tempistica dei prelievi dei campioni al test utilizzato.

Grazie al PET modificato è possibile quantificare meglio l’UF della membrana individuando i pazienti con ultrafiltrazione minore di 400 ml (UFF, ultraltrafiltration failure). A questo proposito il 2,27%-PET è più esposto agli errori di una corretta valutazione dell’UF perché ha un coefficiente di variazione del 50% 50 rispetto al 10% del 3,86%-PET 51 che è quindi più facilmente riproducibile.

E’ possibile inoltre studiare il sieving del sodio durante la prima parte del test attraverso la riduzione della concentrazione del sodio (Na) nel dialisato dopo 60 minuti 44. Secondo la teoria dei tre pori, il Na è espressione indiretta del trasporto di acqua libera da parte della membrana peritoneale. Un adeguato trasporto di acqua libera indica un buona ultrafiltrazione. Il Na a 60’ è normale per valori >5 mmol/L, ridotto per valori <5 mmol/L ad indicare una riduzione o perdita della capacità di trasporto dell’acqua libera 52; in questo caso, la riduzione del trasporto di acqua libera contribuisce all’UFF in quanto rappresenta il 50% dell’UF peritoneale nella prima parte di uno scambio.

In base ai risultati del PET è possibile ottimizzare la terapia dialitica peritoneale. Inizialmente l’obiettivo era quello di ottenere una migliore depurazione (in termini di Kt/V e/o clearance della creatinina) ed era facilmente raggiungibile nei pazienti alti trasportatori, a scapito però di una maggiore mortalità e morbidità dovute alla tendenza alla ritenzione idrosalina per il rapido dissipamento del gradiente osmotico 53. In questi pazienti quindi è indicato il trattamento dialitico automatizzato (APD) con tempi di sosta brevi, con o senza addome vuoto diurno 54. L’icodestrina infatti si è rilevata utile per aumentare l’UF nei rapidi trasportatori attraverso un lungo carico diurno con un incremento considerevole anche della depurazione. E’ utilizzata anche in caso di riduzione del Na a 60’ cioè in caso di ridotto trasporto di acqua libera attraverso le acquaporine; in questo caso infatti, venendo meno il gradiente osmotico creato dal glucosio, l’utilizzo di soluzioni più concentrate non aumenta l’UF ed è utile servirsi dell’icodestrina 51.

Per quanto riguarda invece i pazienti bassi trasportatori, il trattamento indicato è quello manuale (CAPD) con volumi tendenzialmente elevati del singolo scambio (High-dose CAPD) perché hanno minori capacità depurative rispetto alle altre categorie di trasportatori;

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26 recentemente alcuni studi hanno dimostrato che questi pazienti hanno una migliore sopravvivenza in CAPD rispetto all’APD 55.

L’esecuzione seriata del PET serve per monitorare nel tempo le variazioni della funzione della membrana peritoneale e per individuarne l’ ”esaurimento” funzionale.

Con l’aumentare dell’età dialitica infatti, può essere necessario modificare lo schema dialitico o passare all’emodialisi a causa di cambiamenti nel trasporto dei piccoli soluti e/o nell’ultrafiltrazione 56, 57. Di solito c’è la tendenza a diventare alti trasportatori, con riduzione dell’UF e necessità di prescrivere l’icodestrina e/o passare all’APD 50 procrastinando lo shift all’emodialisi come avveniva in passato. In questo caso però, i pazienti vanno attentamente controllati sia con test di permeabilità peritoneale, sia con esami strumentali onde evitare complicanze tardive come la sclerosi peritoneale e la peritonite incapsulante, la cui frequenza ha una relazione diretta con l’età dialitica.

Il PET ha contribuito enormemente alla conoscenza della fisiopatologia della membrana peritoneale con il vantaggio di essere molto semplice nella sua esecuzione e interpretazione.

La necessità di misurare l’ultrafiltrazione nelle sue varie componenti e di comprenderne la genesi, ha portato all’elaborazione di altri test facilmente eseguibili.

Il Mini-PET 58 permette di quantificare il trasporto di acqua libera separatamente dalle altre componenti dell’UF peritoneale e di valutare la sua variazione nel tempo, ripetendo periodicamente il test con l’impiego di una sola ora utilizzando una soluzione al 3,86%. Dai pochi dati riportati in letteratura, un paziente ha deficit di trasporto di acqua libera quando questa è inferiore a 100 ml 59.

Il Doppio Mini-PET consiste nell’esecuzione di due Mini-PET consecutivi della durata ciascuno di un’ora, il primo con soluzione all’1,36%e il secondo con 3,86%; questo test permette di misurare anche la conduttanza osmotica al glucosio cioè la capacità di generare UF con lo stimolo osmotico del glucosio a diversa tonicità: indica la quantità di UF ottenibile se si aumenta la concentrazione di glucosio nella soluzione di DP. La riduzione marcata della conduttanza osmotica (<1,5 l/min/mmHg) è espressione di una riduzione della capacità dei piccoli e piccolissimi pori di rispondere allo stimolo osmotico del glucosio 59 e di conseguenza della funzione ultrafiltrativa del peritoneo. Anche in questo caso è necessario usare l’icodestrina.

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27 L’UF misurata con il Mini-PET o con il Doppio Mini-PET con la soluzione di glucosio al 3,86%, dopo un’ora rappresenta la quantità di UF peritoneale “precoce” ed individua i pazienti che possono beneficiare di soste brevi.

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7. SOLUZIONI STANDARD vs SOLUZIONI BIOCOMPATIBILI: EFFETTI A

LUNGO TERMINE SULLA MEMBRANA PERITONEALE

La dialisi peritoneale si basa sul funzionamento della membrana peritoneale, per cui è fondamentale ai fini di una terapia a lungo termine preservare questa struttura.

Con il passare del tempo si assiste ad un deficit dell’ultrafiltrazione (UFF) dovuto ad alterazioni anatomiche della membrana come la fibrosi, la vasculopatia ialinizzante e la neoangiogenesi 60; sebbene i meccanismi patogenetici della fibrosi siano poco chiari, si ritiene che alla base vi siano i ripetuti episodi infiammatori associati alle peritoniti e l’esposizione per lungo periodo a soluzioni bio-incompatibili a base di glucosio. Queste soluzioni hanno un basso ph per evitare che lo zucchero caramelli durante il processo di sterilizzazione a caldo e hanno come tampone il lattato. Proprio durante il processo di sterilizzazione si generano i prodotti di degradazione (GDP, Glucose Degradation Products) come la formaldeide, l’acetaldeide, il gliossale, il metilgliossale (MGO) che, insieme al glucosio, legando il gruppo aminico libero di proteine e lipidi, portano alla formazione dei prodotti di glicazione avanzata (AGE Advanced Glication Products)61 .

Le alte concentrazioni di zucchero e i prodotti di degradazione del glucosio danneggiano la membrana attraverso la produzione locale di citochine che inducono infiammazione e portano alla fibrosi. Gli AGE infatti promuovono in vitro l’espressione del fattore di crescita dell’endotelio62 (VEGF, Vascular Endothelial Growth Factor) e la loro presenza si associa ad un aumento del trasporto di alcuni soluti63 e ad una riduzione del volume di ultrafiltrazione64.

Un interessane studio di Mortier et al.65 dimostra come l’esposizione cronica della membrana peritoneale di ratti a soluzioni standard di glucosio comporta un danno mesoteliale, lo sviluppo di fibrosi sub mesoteliale e interstiziale e un aumento dell’angiogenesi; per quanto riguarda l’uomo, è da notare che già il peritoneo dei pazienti uremici non in dialisi presenta un aumento dello spessore sub mesoteliale e un certo grado di vasculopatia che non sono invece presenti nella membrana dei soggetti sani66. Queste alterazioni si riscontrano anche nei soggetti diabetici e sono maggiormente espresse se coesiste lo stato uremico; d’altra parte è anche vero che il divario tra uremici e diabetici si appiana con l’inizio della dialisi peritoneale, a confermare un ruolo patogenetico della metodica60.

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29 Dal punto di vista funzionale mano a mano che si prolunga il tempo di dialisi si registra una variazione nello status di trasporto della membrana e una riduzione dell’ultrafiltrazione sia nei modelli animali che nell’uomo67, 68. La riduzione dell’ultrafiltrazione però, così come le alterazioni strutturali, sono minime se il peritoneo è esposto a soluzioni a base di aminoacidi o a soluzioni a basso contenuto di glucosio; dai dati di Mortier et al. infatti risulta come i livelli di GDP siano minimi nelle soluzioni con aminoacidi così come nelle sacche bicompartimentate delle soluzioni tamponate con bicarbonato e lattato che permettono una sterilizzazione a pH molto basso, tale da impedire la formazione di questi prodotti65. L’autore ha poi dimostrato che l’esposizione cronica a soluzioni ricche di glucosio promuove un’aumentata espressione del VEGF, un incremento della densità della vascolarizzazione e una riduzione dell’ultrafiltrazione; sebbene non sia espresso un rapporto causale, queste osservazioni confermano l’ipotesi che il VEGF medi l’angiogenesi e il deficit di ultrafiltrazione69.

Un altro interessante studio di Yung et al.61 valuta e confronta i livelli di biomarkers prodotti a livello peritoneale e recuperati dall’effluente (Ca125, VEGF, ialuronano HA, IL-6 e TNF) in pazienti esposti a soluzioni a basso contenuto di glucosio e tamponate con bicarbonato-lattato (Physioneal, Nutrineal e Extraneal) con quelli di pazienti che seguono un regime di dialisi con sacche tradizionali (gruppo controllo).

Dall’analisi dei dati emerge che l’utilizzo di sacche a basso contenuto di glucosio aumenta i livelli di molecole anti fibrosi e di adiponectina con una concomitante riduzione dei markers di infiammazione; anche i livelli di Ca125, una proteina prodotta dalle cellule mesoteliali, espressione della loro massa e funzione, aumentano mentre invece si riducono del 40% se la membrana peritoneale viene ad essere esposta alle più alte concentrazioni di glucosio del regime standard rimanendo comunque più elevati di quelli dei controlli61. I livelli di del fattore di crescita degli epatociti (HGF Hepatocyte Growth Factor) si riducono nelle cellule mesoteliali esposte al glucosio portando ad una riduzione della loro vitalità; Lo studio conclude che il regime a basso contenuto di glucosio preserva la membrana peritoneale, la massa cellulare mesoteliale, riduce l’infiammazione e l’evoluzione verso la fibrosi.

Queste modificazioni strutturali determinano un cambiamento della funzione della membrana nel tempo; pochi studi hanno analizzato cosa effettivamente succede nei primi anni di dialisi; alcuni autori hanno osservato un aumento del trasporto dei soluti durante i primi mesi70, 71, mentre altri riportano una certa stabilità fino a 1857-2472 mesi.

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30 Lo et al.73 hanno dimostrato che quello che succede nel primo periodo di dialisi dipende dal punto di partenza, cioè pazienti alti trasportatori mostrano una tendenza a diventare bassi trasportatori e viceversa; la spiegazione di questi cambiamenti potrebbe essere nello stimolo infiammatorio delle soluzioni per dialisi poco biocompatibili, oppure lo stato di alto trasportatore ab initio potrebbe essere espressione esso stesso di infiammazione60.

L’utilizzo delle nuove soluzioni per dialisi, più biocompatibili, è associato a una ridotta capacità di ultrafiltrazione e alla caratteristica di alto trasportatore come dimostrato da Williams et al nell’Euro-Balance Trial74; recentemente però una revisione sistematica dei trials clinici non ha mostrato grandi differenze nel trasporto di acqua e soluti con i due tipi di soluzioni75.

Nei primi anni di dialisi i pazienti senza alterazioni della funzione di membrana non mostrano significativi cambiamenti istologici a parte una perdita del foglietto di cellule mesoteliali con duplicazione della membrana basale e aumento della matrice extracellulare60. Dal punto di vista della vascolarizzazione si osserva un aumento dell’area vascolare che può giustificare la tendenza nel tempo alla riduzione dell’ultrafiltrazione a causa di un aumento della permeabilità76.

Dopo i cambiamenti delle fasi iniziali, le caratteristiche di trasporto rimangono stabili per quattro o cinque anni di dialisi peritoneale e dopo questo periodo il 20-30% dei pazienti sviluppa un progressivo aumento del trasporto dei piccoli soluti con una riduzione sproporzionata della capacità di ultrafiltrazione50: si parla di HT acquisito. Questa fase si pensa sia dovuta, come detto, ad un aumento della vascolarizzazione a causa dell’angiogenesi che però non è presente in tutti i pazienti. Una delle prime modificazioni riscontrabili istologicamente è la transizione da cellule epiteliali a mesenchimali (EMT

Epithelial-to- mesenchymal Transition) che contribuisce sia all’angiogenesi che alla fibrosi

inducendo l’espressione di VEGF e di TGF- (Transforming Growth Factor); il VEGF a sua volta stimola la proliferazione vascolare e l’aumento della permeabilità di membrana, entrambe presenti nello stato di alto trasportatore acquisito60; a questi fattori va aggiunta la cronica esposizione al glucosio nelle prime fasi della dialisi77.

Quindi per ridurre le alterazioni legate all’uso di soluzioni ricche di glucosio sono state sviluppate soluzioni a pH neutro tamponate con bicarbonato-lattato a basso contenuto di GDP e soluzioni con aminoacidi e icodestrina; l’utilizzo di queste soluzioni almeno una volta al giorno porta ad un aumento delle molecole anti fibrogeniche e preserva più a lungo la membrana peritoneale61.

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31 Sulla stessa linea sono i dati del baIANZ trial78, un trial randomizzato controllato che ha analizzato i benefici clinici delle soluzioni biocompatibili; con queste si osservava una riduzione del 33% del tasso di peritoniti e si assisteva ad una più lenta riduzione della funzione renale residua.

E’ stato anche proposto di mettere a riposo il peritoneo dei pazienti HT acquisiti con un periodo di emodialisi per permettere una parziale regressione delle alterazioni funzionali; questo è tanto più efficace quanto più precocemente è attuato dopo il cambiamento dello stato di trasportatore79. Recentemente De Sousa et al. hanno riportato che nei pazienti con funzione peritoneale normale, cambiare metodica dialitica mettendo a riposo il peritoneo non ha effetti sulla membrana80.

Oltre alle modificazioni strutturali e quindi funzionali della membrana peritoneale, l’utilizzo di soluzioni ad alta concentrazione di glucosio ha un impatto sistemico; nei pazienti in dialisi peritoneale ai fattori di rischio cardiovascolare caratteristici del paziente con ESRD come l’infiammazione, la malnutrizione (PEW Protein Energy Waisting syndrome), la disfunzione endoteliale, le calcificazioni vascolari, l’insulino resistenza e a quelli della popolazione generale come il fumo, l’ipertensione arteriosa e la sindrome metabolica, se ne aggiungono altri che sono peculiari della metodica. Il carico delle soluzioni nella cavità peritoneale comporta un aumento della pressione intra cavitaria ma anche un aumento della pressione arteriosa a causa di un aumento delle resistenze periferiche e un incremento dei livelli plasmatici di peptide natriuretico atriale (ANP); non è stato però ad oggi dimostrato se questi fattori siano direttamente responsabili di un aumento del rischio cardiovascolare81.

Le soluzioni per dialisi standard inoltre contengono un’alta concentrazione di glucosio (>200 mmol/L) e di prodotti di degradazione dello stesso; in media, il 65% del glucosio presente nelle sacche è riassorbito durante le prime quattro ore di sosta indipendentemente dalla concentrazione iniziale nel dialisato82; nel 1989 Lindholm e Bergstrom hanno calcolato che durante una sosta di sei ore la quantità di glucosio assorbita è 45-60 gr per le sacche al 3,86%, 24-40 gr per le sacche al 2,27% e 15-22 gr per quelle all’1,36%83. In condizioni particolari quindi, si arriva ad avere un carico aggiuntivo giornaliero di carboidrati che ammonta a più di 500 gr che può portare nel tempo all’obesità, all’insulino resistenza e all’alterazione del profilo lipidico84.

La continua esposizione del peritoneo al glucosio favorisce, come detto, la formazione degli AGEs che hanno concentrazioni plasmatiche simili nei pazienti in dialisi peritoneale e in

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32 emodialisi ma in entrambi i casi più elevate rispetto ai soggetti sani; queste molecole sono citotossiche in vitro e siccome sono molto piccole, sono assorbite completamente durante una sosta85. Le soluzioni biocompatibili contengono una minima di prodotti di degradazione del glucosio e il loro utilizzo è associato ad una ridotta produzione di AGEs; la rilevanza clinica di queste soluzioni sulla mortalità cardio vascolare non è nota; dai dati presenti in letteratura, derivanti però da studi con bias metodologici, sembrano avere un effetto positivo sulla funzione renale residua e un miglioramento del tasso di sopravvivenza rispetto alla popolazione che non le utilizza74, 86. Non sembrano però avere una effetto diretto sulla riduzione dei fattori di rischio cardiovascolare87.

Infine, il deficit di ultrafiltrazione, che colpisce circa 1/3 dei pazienti in dialisi peritoneale88, può portare a ipertensione arteriosa e ad uno stato di sovraccarico volemico che porta a sua volta ad un aumento dello spessore delle pareti del ventricolo sinistro e ad un’aumentata produzione di peptidi natriuretici; questi sono usati come markers di mortalità nei pazienti con ESRD89; le elevate concentrazioni di ANP e BNP nei pazienti in dialisi peritoneale sono associate ad un aumento di otto volte del rischio di mortalità90.

Sicuramente lo stato di iperidratazione, associato ad una riduzione della funzione renale residua è il principale fattore di rischio di mortalità cardiovascolare nei pazienti in dialisi peritoneale87; molti dei fattori di rischio analizzati fino ad ora però dipendono dalle alterazioni metaboliche e funzionali proprie dell’utilizzo di sacche ad alto carico di glucosio.

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8. RISULTATI DELLO STUDIO

Lo scopo di questo lavoro è quello di analizzare gli effetti di una soluzione a base di aminoacidi, senza glucosio, e di confrontarla con le soluzioni per dialisi peritoneale di comune utilizzo per quanto riguarda i parametri ematochimici di rilievo e quelli dialitici; l’analisi comprende inoltre la valutazione nel tempo dei cambiamenti funzionali della membrana peritoneale e del loro rapporto con il Ca125.

8.1 Materiali e metodi

Abbiamo analizzato in maniera retrospettiva i dati di 76 pazienti incidenti afferenti all’ambulatorio di Dialisi Peritoneale dell’UOC di Nefrologia e Dialisi di San Miniato tra l’aprile 2010 e il dicembre 2016.

La tabella che segue riassume le caratteristiche della popolazione in esame (cfr Tabella 2);

Età (anni) 65±15

Sesso 28 XX

48XY

Peso (Kg) 72±17

BMI (kg/m2) 25±4

BSA sec Du Bois 1.8±0.23

Età dialitica(mesi) 24±16

Causa fine dialisi

12 TX 17HD 24 X 23 In corso Malattia renale Diabete 5 Nefroangiosclerosi 25 Glomerulonefrite 15 APKD 4 Calcolosi 2 Non nota 16 Altro 9 Comorbidità Ipertensione arteriosa 73 (96%) NO 3 (4%) Diabete 17 (22%) NO 59 (78%)

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