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L'insegnamento clinico nel corso di laurea in Infermieristica: strumento per garantire un'assistenza di qualità e sicura.

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Academic year: 2021

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“L’assistenza infermieristica è un’arte e, se deve essere realizzata come un’arte, richiede una devozione totale e una dura preparazione, come per qualunque opera di pittore o scultore, con la differenza che non si ha a che fare con una tela o con un gelido marmo, ma con il corpo umano il tempio dello spirito di Dio. E’ una delle Belle Arti. Anzi, la più bella delle Arti Belle.

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Indice

Introduzione

………..………pag. 5

Capitolo 1 – Curriculum Studii: documento guida per la formazione

universitaria

1.1 Mission: caratteristiche professionali dell’infermiere………...…….pag. 8 1.2 Vision: modello formativo………...………pag. 9 1.3 Progettazione formativa……….………pag. 11 1.4 Logica di sviluppo degli obiettivi educativi………..…pag. 12 1.5 Tirocinio………...pag. 12 1.6 Analisi SWOT del percorso formativo……….………….pag. 15

Capitolo 2 – Il tutor nella formazione delle professioni sanitarie

2.1 Tutor didattico………....pag. 18 2.1.1 Progettazione del lavoro in aula……….pag. 19 2.1.2 Modelli di apprendimento in laboratorio………...………pag. 21 2.2 Tutor clinico………...pag. 24 2.2.1 Insegnamento clinico……….pag. 25 2.2.2 Fasi del tutoring clinico……….pag. 27 2.2.3 Corsi di formazione………...pag. 28 2.2.4 La facilitazione diffusa………..pag. 31

Capitolo 3 - Apprendimento in ambito professionale o tirocinio

3.1 Campi dell’apprendimento clinico………pag. 35 3.2 Ciclo di apprendimento clinico………..pag. 36 3.3 Briefing e debriefing………..…pag. 39

Capitolo 4 – La ricerca

4.1 Obiettivi della ricerca……….pag. 41 4.2 Materiali e metodi………..pag. 42 4.3 Analisi e discussione risultati………...pag. 44

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4

Allegati

Questionario di ricerca……….……pag. 54

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Introduzione

Se è vero, come sosteneva Florence Nightingale cioè colei che è considerata la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna, che l’assistenza infermieristica è un’arte, come tutti gli artisti anche gli infermieri non devono avere soltanto una approfondita preparazione teorica, ma devono già durante il Corso di Studi iniziare a tradurre praticamente le proprie conoscenze.

Negli ultimi decenni in Europa e nel mondo la preparazione degli infermieri ha subito una rivoluzione che possiamo considerare ancora in atto.

Da una professione originariamente considerata come meramente pratica, oggi l’infermiere si forma con specifici corsi di studio universitari.

Già da tempo all’attività di studio è abbinata l’attività di laboratorio, dove vengono ‘simulate’ situazioni pratiche che l’infermiere incontrerà nello svolgimento della propria professione. In queste attività formative, lo studente è accompagnato dal tutor didattico, una figura che, come vedremo, è regolamentata nel nostro ordinamento e che aiuta lo studente nel raggiungimento degli obiettivi formativi universitari.

Altro tassello essenziale nella formazione infermieristica è l’attività di tirocinio che già dal primo anno di corso coinvolge gli studenti inserendoli direttamente in strutture sanitarie e assistenziali a diretto contatto con personale medico, infermieristico, con pazienti e familiari di pazienti, dove la malattia e la sofferenza non sono una teoria, ma una dolorosa realtà. Nel mondo ‘vero’ insomma.

La nostra esperienza universitaria e le prime esperienze lavorative, ci hanno portato alla convinzione che questo tassello non solo sia fondamentale, ma sia uno degli aspetti nei quali più incidere a livello di progetto formativo.

Ci riferiamo in particolare alla figura del tutor clinico, ossia una figura appositamente preparata che lavora nella struttura in cui lo studente presta il proprio tirocinio e che lo guida, lo indirizza, lo assiste in quella prima traduzione nella pratica di quanto sta imparando o ha imparato all’università.

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6 Non si tratta solo della necessità di individuare formalmente una persona adibita a tale ruolo, ma di dare piena attuazione del Decr. Leg. N. 206 del 20071 e dal Decr. Interministeriale MIUR n.119 del 20092 che istituzionalizza, rende obbligatoria questa figura professionale che aggiunge alle proprie mansioni professionali anche quella di

tutoraggio clinico. Nella pratica però vediamo che – anche per problemi di risorse

economiche ed umane – tale figura raramente viene individuata e preparata.

Alla luce dell’importanza del ruolo e della sua specificità, riteniamo anche importante che - come previsto dai decreti sopra citati - questa figura sia appositamente preparata con specifici corsi che la rendano capace di svolgere questo suo ruolo guida.

Tale necessità non deriva solo da una convinzione teorica, ma anche dalle risposte che abbiamo dagli operatori del settore. Da un recente studio dell’Università di Padova per esempio, è emerso che tra le variabili che influiscono positivamente sulla percezione e il gradimento degli studenti riguardo gli infermieri-guida all’interno dei servizi sede del tirocinio, sono proprio il titolo di studio elevato e la maggiore anzianità professionale. Anche in letteratura risulta che un’adeguata preparazione sia fondamentale, e che gli infermieri in possesso di un titolo più alto garantiscono una maggiore socializzazione e comunicazione con gli studenti.

Con la presente ricerca abbiamo voluto valutare, partendo dal vissuto degli infermieri che vi hanno partecipato, quali sono state le principali aree di criticità che i medesimi hanno dovuto affrontare nella loro prima esperienza lavorativa.

E ciò al fine non solo di confermare la necessità della presenza, già normativamente prevista, del tutor clinico, ma anche di individuare gli ambiti nei quali detta figura formativa dovrebbe maggiormente intervenire nell’accompagnamento dello studente durante il tirocinio e quindi essere preparata e formata negli appositi corsi da istituirsi sull’intero territorio nazionale.

1

Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 206 - "Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali”

2 Decreto Interministeriale 19 febbraio 2009, n. 119 – “Determinazione delle classi delle lauree delle professioni sanitarie”

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Capitolo 1

Curriculum Studii: documento-guida per la formazione

universitaria

Il percorso universitario appare oggi come lo strumento più adeguato per arricchire e articolare il campo proprio dell’assistenza infermieristica e per avviare un ulteriore significativo processo di specializzazione all’interno della professione stessa.

Si tratta di un processo necessario per rispondere in maniera sempre più competente, appropriata ed efficace ai bisogni di salute che gli individui e la collettività esprimono nei confronti degli infermieri.

Allo scopo di perseguire tali obiettivi formativi, l’Università degli Studi di Firenze, con la collaborazione del corpo docente, ha elaborato e pubblicato un Curriculum Studii che traduce le indicazioni dell’ordinamento Didattico Universitario in un documento-guida per gli studenti e i docenti stessi.

Il curriculum ha essenzialmente le seguenti finalità:

 Esplicare il modello di infermiere cui la formazione di base deve tendere

 Definire le finalità educative

 Stabilire il programma dell’insegnamento teorico-pratico

 Stipulare un contratto formativo esplicito tra docenti e studenti.

Per la stesura del curriculum è stato fatto riferimento alle Linee guida per un progetto di

formazione di base dell’infermiere, redatte a cura della Federazione Nazionale IPASVI

(ottobre 1999) e alla Guida Pedagogica, di J. J. Gilbert (novembre 2011). Da queste è stata tratta la classificazione delle funzioni e delle attività dell’infermiere a partire dall’analisi dei problemi prioritari di salute della collettività e dei problemi prioritari dei servizi. Tale imposizione ha garantito la pertinenza della formazione infermieristica rispetto alle esigenze attuali della società italiana e del più ampio cospetto internazionale.

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1.1 Mission: caratteristiche professionali dell’infermiere

Il Corso di Laurea in Infermieristica ha come scopo la formazione di un professionista che, avvalendosi di conoscenze tratte dalla propria disciplina e da altre, interpreta in senso olistico la persona, contribuendo al processo di prevenzione, assistenza ed educazione.

I contenuti del Profilo Professionale, del Codice Deontologico e dell’Ordinamento Didattico Universitario rappresentano il punto di partenza per la definizione del campo di attività e responsabilità dell’infermiere.

Da questi emerge che, l’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale ed educativa, che l’infermiere opera nel rispetto della persona e che le sue principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili di ogni età, e l’educazione sanitaria nell’ambito territoriale, domiciliare e ospedaliero.

L’esplicazione del modello di professionista a cui si tende e del curriculum formativo assume quindi particolare rilevanza in conseguenza alla Legge 26 febbraio 1999 n. 42 in tema di “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” e alla successiva Legge 1° febbraio 2006, n.433.

Tali normative oltre ad individuare funzioni e attività infermieristiche, delinea un rapporto tra le diverse professioni medico-sanitarie non più rigidamente separato e regolamentato, ma basato sul confronto e la dialettica, nel rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali con grande responsabilizzazione della figura dell’infermiere che assume anche formalmente un rilevante livello di autonomia.

Principio questo, richiamato anche dalle Legge n. 251 del 20004 che disciplina, tra le altre, le professioni sanitarie infermieristiche, sottolineando l’autonomia professionale nello svolgimento delle funzioni individuate dal Profilo Professionale. All’art. 1 infatti si legge che l’infermiere “svolge con autonomia professionale attività dirette alla

prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva.”

3

Legge 26 febbraio 1999, n. 42 - Disposizioni in materia di professioni sanitarie

4 Legge 10 agosto 2000, n. 251 - "Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonchè della professione ostetrica"

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9 Tra le attività infermieristiche sussiste pertanto anche quella di supporto all’iter diagnostico e terapeutico stabilito dal medico e per questo occorre tornare a riflettere sulle forme di collaborazione tra medico e infermiere per la cura delle malattie, allo scopo di valutare il ruolo di quest’ultimo come accompagnatore del malato nel corsi di salute-malattia.

La più ampia ed accessibile disponibilità di procedure diagnostiche e terapeutiche e di tecnologie biomediche ad elevato impatto caratterizzano la medicina odierna e pongono agli operatori sanitari la questione della qualità della vita, che riguarda non solo la guarigione o la cura, quanto la tutela del benessere della persona in ordine all’impatto della malattia e degli stessi trattamenti sul suo equilibrio fisico, psichico e sociale. Sono queste le premesse del contributo specifico dell’assistenza infermieristica nel sostegno delle attività di diagnosi e cura: come già dichiararono le colleghe nordamericane negli anni Ottanta, la mission del nursing risiede non tanto nella cura della malattia quanto nella gestione delle sue conseguenze sulla persona e sulla qualità della vita.

In questa ottica, una chiara definizione delle funzioni e delle attività che il Corso di Laurea mette in grado di svolgere è un passo fondamentale verso la formazione di coscienza, conoscenza e tecniche professionali che permettano di rispondere ai bisogni degli utenti e di confrontarsi con gli altri professionisti, con autonomia e responsabilità.

1.2 Vision: modello formativo

I Principi e le scelte metodologiche che ispirano e caratterizzano questo modello prevedono:

che la formazione sia orientata sui problemi prioritari di salute e sui problemi

prioritari dei servizi. In questa logica il sistema formativo infermieristico si

fonda sulle competenze e sulle responsabilità che la professione infermieristica direttamente si assume nella risposta complessiva dei bisogni di salute della popolazione;

che la formazione sia concentrata sull’apprendimento e in tal senso lo studente

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che il progetto formativo si fondi sulla definizione di obiettivi educativi e formativi tramite l’individuazione di quelle attività professionali che lo studente

deve essere in grado di esercitare al termine del periodo di studi attraverso esperienze formative integrate che superino la frammentarietà disciplinare;

che il progetto formativo utilizzi validi metodi di valutazione.

La tabella seguente (Tab. 1) riassume gli obiettivi e i presupposti su cui si fonda tale impostazione.

OBIETTIVI PRESUPPOSTI

 Ridurre la distanza tra momento

formativo e momento

dell’esercizio professionale, consentendo il pronto utilizzo delle competenze acquisite nell’ambito del sistema sanitario.

 Facilitare i formatori nel garantire la pertinenza della

formazione alle attività

professionali necessarie per affrontare i problemi prioritari di salute; attività professionali che si costituiscono, nel processo formativo, come obiettivi educativi intermedi.

 Precisare i concetti considerati essenziali per la comprensione e la risoluzione dei problemi e per l’esercizio delle attività professionali; concetti che si costituiscono, nel processo

La presenza di docenti e tutor preparati a pianificare, gestire e valutare progetti formativi centrati sull’apprendimento.

 La presenza di settori per l’apprendimento clinico che offrano allo studente situazioni

assistenziali complesse e

diversificate nei vari ambiti.

 La disponibilità di accesso a testi, banche dati e a letteratura nazionale ed internazionale aggiornata.

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11 formativo, come obiettivi

educativi contributivi.

Tabella 1 Obiettivi e presupposti del modello formativo

1.3 La progettazione formativa

Perché lo studente sviluppi le competenze necessarie per assolvere le funzioni professionali e affinchè la struttura formativa garantisca un percorso centrato sull’apprendimento è necessario sviluppare per ogni anno di corso di studi le seguenti tappe metodologiche:

 La scelta dei problemi prioritari di salute e dei problemi prioritari dei servizi;

 La definizione delle attività professionali;

 L’identificazione per ogni attività del corrispondente livello di formazione del primo, secondo, terzo anno di corso, da cui scaturisce il livello di competenza esercitabile dagli studenti nei tre anni di corso;

 L’identificazione per ogni attività delle componenti prevalenti da sviluppare (intellettuali, comunicative, gestuali);

 La scelta dei metodi didattici.

Per il raggiungimento degli obiettivi del processo intellettivo risultano preferibili i metodi che facilitano l’apprendimento di capacità prettamente intellettive, quali ad esempio l’apprendimento per problemi, lavori di gruppo, la lezione.

Per la sfera della comunicazione saranno da privilegiare le simulazioni e i giochi di ruoli che permettono di apprendere in ambito protetto le abilità comunicative.

Per le abilità gestionali dovranno, invece, essere considerate le situazioni che permettono un apprendimento graduale di gesti e tecniche infermieristiche.

Nel campo della scelta dei metodi un posto particolare è riservato al tirocinio che facilita l’apprendimento integrato di competenze intellettive, comunicative e tecniche. Quanto affermato per la scelta dei metodi di apprendimento/insegnamento vale anche per l’identificazione dei metodi di valutazione (esame orale, esame scritto, valutazione

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12 di valutazione è la validità, ovvero la capacità dello strumento di valutazione di misurare effettivamente le capacità considerate.

1.4 Logica di sviluppo degli obiettivi educativi

Il Curriculum è strutturato per obiettivi educativi, che permettono al docente, per la parte disciplinare, al tutor, per la parte applicativa, di guidare lo studente verso il raggiungimento delle competenze del professionista infermiere.

Allo scopo di consentire un monitoraggio dei livelli di apprendimento e abilità acquisiti dallo studente, gli obiettivi generali (Tab. 2) del curriculum sono suddivisi in:

 Obiettivi di anno

 Obiettivi di semestre

 Obiettivi di corso integrato

 Obiettivi di settore scientifico disciplinare

1° SEMESTRE: lo studente è in grado di comprendere i fenomeni bio–fisio-psicologici e sociali che governano le persone e i gruppi al fine di orientarsi rispetto alle risposte assistenziali possibili.

2° SEMESTRE: lo studente è in grado di riconoscere il funzionamento e la regolazione dei processi biologici e organici, nonché le possibili cause e manifestazioni delle alterazioni, al fine di valutare i livelli di autonomia-dipendenza della persona assistita.

Tabella 2 Obiettivi educativi di semestre: 1° anno

1.5 Il tirocinio

Il percorso formativo del Corso di Laurea in Infermieristica (CdL) prevede un periodo di tirocinio clinico distribuito su tutti e tre gli anni previsti dall’attuale ordinamento didattico.

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13 L’impegno richiesto nell’apprendimento pratico è notevole, sia in termini quantitativi (ben 62 Crediti Formativi Universitari, CFU, previsti dal Piano di Studi), che qualitativi, in quanto l’attività clinica richiede una buona dose di responsabilità e impegno e la vera formazione infermieristica professionalizzante di qualità è costruita con i professionisti delle sedi di tirocinio. Le sedi di tirocinio rappresentano il luogo privilegiato di sinergie tra organizzazione sanitaria e formativa.

“Il tirocinio professionale è una strategia formativa che prevede l’affiancamento dello studente ad un professionista esperto e in contesti sanitari specifici al fine di apprendere le competenze previste dal ruolo professionale. L’apprendimento in tirocinio avviene attraverso la sperimentazione pratica, l’integrazione professionale, l’integrazione dei saperi teorico-disciplinari con la prassi operativa professionale ed organizzativa, il contatto con membri di uno specifico gruppo professionale; ha come finalità quelle di sviluppare competenze professionali, l’identità e appartenenza professionale e rappresenta anche una presocializzazione al mondo del lavoro” (Principi e standard del

tirocinio professionale nei Corsi di Laurea delle professioni sanitarie – Conferenza permanente dei Corsi di Laurea delle professioni sanitarie- Settembre 2010).

A riguardo il regolamento didattico del CdL in Infermieristica (DR 29300-373 del 16 Giugno 2004) si esprime in questi termini all’interno dell’articolo 10: “L’attività di

tirocinio e laboratorio ha lo scopo di far conseguire competenze professionali rivolte all’individuazione, pianificazione, attuazione e valutazione dell’assistenza infermieristica, nei vari ambiti professionali. (…) Tali attività devono svolgersi attraverso forme di didattica a piccoli gruppi, sotto la supervisione e la responsabilità di un tutor, che deve avvalersi di infermieri qualificati per la guida dello studente allo scopo di favorire l’apprendimento clinico di competenze intellettive, comunicative, gestuali necessarie al raggiungimento di un’autonomia professionale, decisionale e operativa adeguate allo svolgimento delle funzioni e attività dell’infermiere”.

Ciò denota come l’impostazione stessa del CdL si basi sull’individuazione di ruoli didattici pertinenti, non solo nella didattica frontale, ma soprattutto all’interno del percorso clinico finalizzato all’apprendimento pratico.

Durante l’anno accademico sono previste più esperienze di tirocinio, ciascuna delle quali composta da tre fasi:

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14 1. Orientamento e preparazione dello studente ad affrontare l’esperienza clinica di tirocinio. Questa fase si realizza prevalentemente nella struttura formativa; gli studenti, guidati dai tutor didattici, sperimentano in laboratorio le attività programmate per quell’esperienza o attività propedeutiche agli obiettivi formativi dell’esperienza stessa.

2. Realizzazione dell’esperienza clinica durante la quale lo studente esercita l’attività professionale e, oltre all’esercizio gestuale e relazionale, sviluppa anche il senso della responsabilità. Questa fase richiede una accurata scelta delle sedi di tirocinio, il coinvolgimento di tutor clinici in grado di progettare, realizzare, indirizzare e valutare percorsi di tirocinio congruenti con gli obiettivi formativi e, infine, richiede di realizzare un’effettiva integrazione tra programmi teorici e clinici.

3. Rielaborazione dell’esperienza, verifica e autovalutazione dello studente. Si realizza prevalentemente presso la struttura formativa e ha come scopo l’elaborazione con lo studente dei vissuti emozionali di quell’esperienza, di concretizzare l’avanzamento formativo con la verifica e l’autovalutazione dello studente.

La sede di tirocinio è il luogo di convergenza degli interessi dell’assistenza e della formazione, il luogo di mediazione culturale nel processo di socializzazione anticipatoria alla professione da parte dello studente ed il luogo di negoziazioni strategiche tra due organizzazioni: quella sanitario-assistenziale e quella formativa. Il tirocinio, per il suo rilevante valore formativo, deve svolgersi in servizi accreditati che garantiscano progetti tesi al miglioramento continuo della qualità assistenziale e prestazioni infermieristiche qualificate. L’accreditamento diviene pertanto presupposto strategico per garantire la qualità della formazione.

Lo studente deve essere guidato nelle attività pratiche e di tirocinio da una figura esperta che contribuisca alla valutazione di ciascun periodo di tirocinio, nonché alla formulazione del giudizio finale. Egli è il responsabile del progetto di tirocinio per il singolo studente e risponde al Coordinatore Tecnico-Pratico del conseguimento degli obiettivi previsti in relazione al settore di tirocinio, al semestre e all’anno di corso dello studente.

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1.6 L’analisi SWOT del percorso formativo

L'analisi SWOT è uno strumento di pianificazione strategica usato per valutare i punti di forza (Strengths), i punti di debolezza (Weaknesses), le opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats) di un progetto o in un'impresa o in ogni altra situazione in cui un'organizzazione o un individuo debba svolgere una decisione per il raggiungimento di un obiettivo.

Grazie a questo strumento si ha quindi la possibilità di analizzare obiettivamente il nostro percorso formativo.

Lo scopo dell’analisi, come descritto nella figura 1,è quello di definire le opportunità di sviluppo di un settore o ambito di intervento, che derivano da una valorizzazione dei punti di forza e da un contenimento dei punti di debolezza alla luce del quadro di opportunità e rischi, provenienti dall’esterno.

Figura 1 Le caratteristiche peculiari dell’analisi SWOT. In blu gli elementi positivi, punti di forza ed opportunità, in rosso quelli negativi, punti deboli e minacce.

Applicando questo modello di analisi al nostro CdL abbiamo così individuato notevoli punti di forza (o “strenghts”).

Analizzando per esempio il nostro piano di studi di fronte alle delegazioni europee è emerso che le conoscenze teoriche di base che apprendiamo nel nostro sistema

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16 formativo sono assolutamente superiori alla media. I nostri programmi d’esame sono decisamente più corposi con l’obiettivo di una completa padronanza delle basi formative infermieristiche.

Tra i punti deboli (o “weakness”) possiamo viceversa individuare una certa insufficienza nel rapporto tra discipline teoriche e pratica infermieristica.

Dal confronto con le esperienze straniere si rende palese un minor ricorso alle simulazioni, ai laboratori, alle prove pratiche d’apprendimento. Ma una delle criticità che riteniamo di maggiori rilevanza riguarda la figura e il ruolo del tutor clinico.

A fronte di una normativa regolamentare infatti che ne prevede l’individuazione e la formazione, nelle realtà sanitarie del Paese si tratta di una figura la cui istituzione è lasciata allo spontaneismo spesso condizionato dall’esistenza di risorse finanziarie ed umane.

Riteniamo che questa lacuna nell’ordinamento italiano, anche alla luce della diversa esperienza e dei diversi standard dei principali paesi europei sul tutoraggio clinico, possa rappresentare una minaccia (o “threat”).

Mantenendo elevati gli standard sulla formazione teorica, riteniamo importante esplorare le potenzialità del tutoraggio clinico e per aggiungere all’elevata preparazione teorica un altrettanto elevata preparazione pratica.

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Capitolo 2

Il tutor nella formazione delle professioni sanitarie in Italia

L’origine della parola tutor ha radici lontane. Il termine deriva dal latino tueri che significa proteggere, difendere, sostenere.

Oggi, come in passato, il tutor è la persona che protegge e guida un singolo studente o un piccolo gruppo di studenti con l’obiettivo di facilitare l’acquisizione di competenze intellettive, pratiche, relazionali e gestuali per gestire competenze in ambito professionale.

Nell’era moderna, la funzione tutoriale proviene originariamente dalla cultura anglosassone nella quale il tutor era l’insegnante o precettore privato che si incaricava personalmente dell’educazione, dell’istruzione e della formazione dei giovani appartenenti alla nobiltà inglese.

Nell’ordinamento universitario italiano, tale funzione viene istituita con la legge 19 Novembre 1990, n. 341, Riforma degli ordinamenti didattici universitari. All’articolo 13, secondo comma, si precisa che il tutorato è finalizzato a:

 Orientare e assistere gli studenti lungo tutto il percorso di studi

 Renderli attivamente partecipi del processo formativo

 Rimuovere gli ostacoli a una proficua frequenza ai corsi, anche attraverso iniziative rapportate alle necessità, alle attitudini e alle esigenze dei singoli. Le esperienze incontrate e analizzate nelle varie università italiane fanno emergere due tipologie di tutor, definite con termini diversi a seconda delle realtà, della tradizione e della cultura esistenti: il turo didattico e il tutor clinico.

Emergono quindi due differenti modalità di tutorato:

Il tutor d’aula come facilitatore dell’acquisizione di competenze intellettive Il tutor clinico quale facilitatore dell’acquisizione delle competenze in ambito professionale.

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2.1 Il tutor didattico

Il tutor didattico o d’aula o di primo livello, con funzioni che ricordano quelle svolte dal monitore o caposala didattico nei corsi di formazione professionale gestiti dalle Regioni usualmente è una persona assegnata a tempo pieno alle sedi formative, si preoccupa di tutte le problematiche legate alla pianificazione dei corsi, alla gestione dei calendari delle lezioni, dei tirocini e degli esami. Hanno sviluppato competenze nel campo della formazione e delle metodologie didattiche o come autodidatti o seguendo percorsi formativi.

La didattica tutoriale opta per un lavoro cooperativo, sulla responsabilità data agli studenti riguardo al programma di lavoro, vasta gamma di valutazioni, compresa l’autovalutazione e, soprattutto, il lavoro a piccoli gruppi.

Tale approccio favorisce lo sviluppo di una mentalità critica, essenziale nel quadro della formazione continua ed opera per obiettivi per i quali sia prevalente l’acquisizione di una metodologia, piuttosto che di nozioni.

Il tutor didattico è una figura esperta di formazione che cerca di rispondere alle esigenze espresse dallo studente dall’inizio al termine del percorso, mettendolo anche in contatto con il tutor clinico, ove esistente.

Questa figura viene riconosciuta all’interno del CdL in Infermieristica e viene definita dal regolamento universitario vigente all’articolo 5, il quale recita: “le funzioni di tutor

disciplinate dal Consiglio di Corso di Laurea, sono attribuite al personale appartenente al profilo professionale di Infermiere, con esperienza professionale di almeno tre anni e in possesso del più elevato livello di formazione infermieristica (…)”.

La funzione di tutorato didattico richiede l’espletamento delle seguenti attività:

• Collaborare alla definizione di percorsi di insegnamento e di apprendimento in ambito tecnico e pratico, in riferimento agli obiettivi dell’anno di Corso

• Attuare interventi formativi nell’ambito dell’insegnamento tecnico pratico nelle sedi di tirocinio

• Definire percorsi individualizzati di apprendimento o miglioramento della performance laddove si rilevi uno scarto tra obiettivi e risultati conseguiti

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19 • Contribuire alla valutazione delle esperienze di tirocinio, nonché alla formulazione del giudizio finale.

Il tutor didattico svolge la sua attività al servizio della struttura universitariaed è spesso coadiuvato nelle attività cliniche da soggetti che lavorano come infermieri presso la struttura sede del tirocinio.

Detta figura, priva di regolamentazione e di un condiviso percorso formativo, svolge un’essenziale attività di tutoraggio clinico e dovrebbe avere il compito di garantire la continuità didattica stabilendo una stretta e coerente connessione tra lezione frontale e pratica clinica.

2.1.1. La progettazione del lavoro in laboratorio

Come abbiamo visto nella premessa, l’aspetto relativo alla preparazione pratica e comportamentale dell’infermiere assume una rilevante importanza tale da rendere indispensabile l’affiancamento alla preparazione teorica di una attività pratica che anticipi le esperienze di intervento e relazionali che lo studente, divenuto infermiere, avrà nella realtà lavorativa.

Per questo oltre all’apprendimento teorico garantito dalle lezioni frontali, un ruolo essenziale nella formazione infermieristica è rivestito dall’attività di laboratorio che può essere considerata il ponte tra parte teorica e parte pratica, preparando così lo studente all’esperienza assistenziale.

Le caratteristiche del laboratorio infermieristico sono simili a quelle del laboratorio scientifico in quanto coinvolge gli studenti nell’attività pratica attraverso:

 L’analisi del loro retroterra teorico

 L’utilizzo e la sperimentazione di strumenti e metodi

 L’interpretazione della teoria ed il suo legame con la pratica

 Lo sviluppo di abilità pratiche, relazionali e intellettive.

Non possiamo pertanto considerare l’attività di lavoro in laboratorio come pura esercitazione, ma soprattutto come possibilità di apprendimento per lo studente, come opportunità per scoprire autonomamente le cose, per sviluppare tutte le proprie abilità, per risolvere in modo autonomo i problemi.

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20 Naturalmente in questo ambito tutto è controllato e protetto grazie alla presenza dei

tutor che orientano, guidano e sostengono il discente. Si prepara così il futuro

infermiere al “vero mondo” dell’assistenza infermieristica.

Insegnare agli studenti come conoscere attraverso la pratica è uno degli obiettivi essenziali per l’apprendimento in aula. Infatti in questa situazione si possono veramente integrare concetti e teorie con abilità pratiche, intellettive e comportamentali fino a quando non si è raggiunta l’autonomia. Apparirà quindi più efficace il rapporto con il paziente quando si è padroni dell’attività da svolgere e del modo di rapportarsi.

Per fare tutto ciò riteniamo importante orientarsi secondo i seguenti punti:

 Dare motivazione allo studente per diventare padrone di quelle abilità necessarie per erogare assistenza

 Aiutare a far capire allo studente i legami esistenti tra abilità percettive e conoscenze

Dare opportunità di pratica e di feedback

 Migliorare le abilità acquisite nella pratica anche attraverso una riflessione continua

Quest’ultima caratteristica deve essere sempre stimolata anche attraverso metodi didattici di scoperta guidata e di problem solving. In questo modo si acquisirà pensiero critico necessario per riuscire poi a decidere in ambito assistenziale. Inoltre la possibilità di avere accesso alla letteratura e alla ricerca permetterà allo studente di aumentare il proprio bagaglio di conoscenze e abilità.

In ogni caso gli studenti necessitano di una guida assidua da parte di tutor e docenti perché li rendano capaci di pensare e riflettere durante la loro attività. Il laboratorio sarà organizzato con un’attrezzatura simile a quella che gli studenti adoperano nella pratica. Se l’apprendimento deve sviluppare il pensiero critico, è anche utile avere spazi per ricerca, letteratura e visione di materiale scientifico per esercitazioni su problematiche sia assistenziali sia organizzative e per incontri con pazienti simulati.

A questo proposito un punto di riferimento è lo skills-lab dell’Università dei Maastricht (Olanda) costituito quasi vent’anni fa, in cui sono state allestite molte stanze per esercitazioni a tema. Vi è per esempio la stanza per i prelievi venosi, quella per la rianimazione, fino ad avere stanzette per l’incontro con i pazienti standardizzati: qui

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21 sono riprodotte alcune camere ospedaliere dove lo studente può incontrare un paziente simulato e sperimentare non solo manovre assistenziali ma anchetecniche di colloquio ed esame obiettivo.

2.1.2 Modelli di apprendimento in laboratorio

Secondo molti autori per acquisire abilità sia gestuali che intellettive è necessario un lavoro in aula con un basso rapporto studenti/insegnanti. Per tale ragione è necessario dare priorità ad un impiego di modelli e strategie per valorizzare al massimo l’insegnamento della pratica infermieristica anche attraverso il coinvolgimento attivo dello studente e l’utilizzo del problem solving.

Vari sono gli approcci adottabili, tra questi ricordiamo il “Piano Keller” o sistema di istruzione personalizzato. Questo metodo prevede laboratori indipendenti dove il singolo studente segue il proprio ritmo di lavoro in modo da acquisire competenza e velocità nelle abilità pratiche. Lo studente può fare da solo questa esperienza con la supervisione di un tutor. Naturalmente questa tipologia di laboratorio prevede una disponibilità di risorse strutturali ed umane che nella maggior parte dei casi è difficile avere.

Altri metodi possono essere quelli audio-tutoriali e quelli assistiti da computer. Nel primo caso sono necessarie attrezzature audiovisive e guide che permettano lo studio individuale del discente. Infatti qui si possono utilizzare filmati oppure si può seguire, attraverso una registrazione, un manuale esplicativo e rispondere alla fine a un questionario di autovalutazione delle abilità. Questo tipo di metodo può essere utilizzato prevalentemente per l’acquisizione di abilità gestuali.

Per l’approccio assistito da computer, lo studente vive virtualmente una situazione di pratica infermieristica alla quale deve rispondere con una serie di alternative da lui suggerite ricevendo un feedback. Può essere coinvolto anche in una situazione di tipo relazionale: in questo caso si devono indicare i comportamenti adeguati da tenere in determinate situazioni. Se il risultato non è soddisfacente, verrà comunque commentato attraverso soluzioni più appropriate.

Il laboratorio di aiuti per l’apprendimento è invece il modello in cui si presentano quelle opportunità di apprendimento necessarie per conoscenze e abilità specifiche in

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22 determinati contesti che normalmente non sono comprese nei normali programmi. Questo tipo di approccio viene anche chiamato seminario clinico.

In questa esperienza è indispensabile la presenza di infermieri esperti nella tematica affrontata nei seminari che dovranno prevedere una lunga durata affinchè lo studente possa osservare, esercitarsi, fare domande per poi ricevere una valutazione sulle conoscenze e le abilità.

Possono essere anche organizzati seminari in ambito assistenziale quando soprattutto si ricorre all’utilizzo di attrezzature sofisticate. In questo tipo di esperienza si ha l’obiettivo di raggiungere abilità complesse: attenuazione dell’ansia per l’imminente assunzione del ruolo di infermiere, capacità di collaborazione tra equipe multidisciplinare, ecc…

Esiste inoltre il laboratorio modulare che è quello che più collega la teoria alla pratica. Infatti in questa esperienza si approntano pacchetti di apprendimento su tematiche già affrontate in campo teorico per definire meglio nella realtà di laboratorio i ruoli, le funzioni, le abilità più idonee. Questo può essere fatto anche con l’utilizzo di un caso clinico.

Infine abbiamo il laboratorio integrato, così definito proprio perché si apprendono concetti teorici partendo dalla pratica. Ad esempio il concetto della fisica come la gravità, può essere applicato alla attività pratica attraverso il posizionamento, sollevamento, la trazione del paziente.

In ambito infermieristico il sistema di simulazione per l’acquisizione di abilità durante l’attività in aula è quello più utilizzato. La strategia da utilizzare in questo campo, secondo gli autori, è il sistema a coppie che consiste, appunto, nel coinvolgimento diretto degli studenti che assumono, alternandosi, sia il ruolo di paziente che quello di infermiere. Prima di fare ciò, gli studenti ricevono materiale audiovisivo e scritto. Dopo di che procedono con la pratica del modulo assegnato loro, con la guida del tutor per conoscere l’esito della simulazione.

Secondo Infante (1985) il laboratorio simulato offre eccellenti opportunità per fruire di un ambiente il più possibile vicino alla realtà. Questo tipo di esperienza può avvenire con analisi dei casi, giochi, simulazioni scritte. E’ evidente che la scelta dell’approccio metodologico per il laboratorio è essenzialmente dettata dall’impostazione curriculare

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23 che delinea il percorso formativo infermieristico. Infatti in un curriculum fondato sul

problem based learning, l’acquisizione di qualsiasi abilità sarà centrata

sull’integrazione delle materie utilizzate sia in laboratori modulari sia integrati, sviluppando anche al loro interno la tecnica della simulazione. Mentre per un

curriculum basato sulle competenze potrebbe essere molto utile utilizzare i metodi di

apprendimento prima descritti, riservando comunque uno spazio maggiore ai seminari clinici.

Rimane evidente che non esiste un unico approccio di apprendimento per insegnare qualsiasi abilità o metodo indispensabile per permettere allo studente di assumere poi il ruolo di infermiere.

E’ importante quindi includere all’interno dell’attività di laboratorio tutti quei metodi che fanno dello studente il protagonista principale ed attivo del proprio percorso formativo.

Il tutor e il docente devono sempre e comunque assicurare alcuni aspetti importanti, quali il supportare e sostenere l’inesperienza dello studente, l’inclusione del paziente nella triade di apprendimento, correzione o feedback sull’esperienza pratica del discente, l’applicazione dalla teoria alla pratica, colmare il divario tra apprendimento e pratica attraverso un continuo confronto tra realtà formative e lavorative.

Inoltre il tutor e tutto il personale infermieristico che ruota intorno alla formazione deve continuamente incentivare la motivazione ad apprendere, in laboratorio come in campo clinico, attraverso un atteggiamento che rafforzi i successi, che incoraggi la correzione dell’errore, che soddisfi le loro aspettative per determinare nello studente quella sicurezza e quella autostima che sono indispensabili per migliorare continuamente la propria performance.

Il ciclo dell’apprendimento infermieristico per uno studente non è rappresentato dall’insegnamento della parte teorica, dall’attività di laboratorio e dall’esperienza pratica, ma prima di quest’ultima dovremmo avere una sessione di briefing e dopo l’attività di tirocinio dovrebbe essere tenuta quella di de-briefing per poi concludere con una valutazione finale.

La sessione di briefing ha lo scopo di stabilire le basi per l’esperienza clinica fornendo obiettivi e presentando il contratto formativo tra studenti e tutors. Viceversa l’attività di

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24

debriefing è un momento importante di riflessione sull’esperienza di tirocinio. In questa

sessione il fulcro di interesse sono gli studenti stessi, il loro comportamento e la loro esperienza.

Il ciclo di apprendimento del percorso infermieristico appare dunque complesso ma in realtà la sua sequenzialità garantisce allo studente un apprendimento significativo non solo in termini di conseguenze dirette sull’assistenza al paziente, ma anche come crescita personale del discente. Infatti diventare infermieri oggi richiede conoscenze, acquisizione di abilità e impegno personale, per dotarsi di una forte identità professionale.

2.2 Il tutor clinico

Da quanto detto in precedenza, risulta a nostro avviso di tutta evidenza logica l’istituzione, accanto al tutor didattico, di un’altra figura non meno importante cioè il

tutor clinico. E quindi è corretta la preoccupazione recepita dal Ministero nel Decreto

Legislativo del 6 Novembre 2007, n. 206 - "Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali”, che sottolinea la necessità che l’insegnamento venga impartito sotto la responsabilità di personale infermieristico insegnante con la cooperazione e l’assistenza di altri infermieri qualificati e che con il Decreto Interministeriale 19 febbraio 2009, n. 119 – “Determinazione delle classi delle lauree delle professioni sanitarie” - si propone di garantire che sia presente per gli studenti una figura con un ruolo di supervisione e guida che sia appositamente assegnata e coordinata da un docente appartenente al più elevato livello formativo previsto per ciascun profilo professionale.

Possiamo quindi definire il tutor clinico, o di reparto o di secondo livello, come quella figura professionale in ambito sanitario che, senza tralasciare lo svolgimento delle proprie mansioni professionali, si dedica anche alla formazione degli studenti in sede di tirocinio.

Tuttavia il decreto ministeriale sopra citato attualmente non ha avuto piena esecuzione, infatti spesso il tutor non è individuato o comunque non ha una specifica formazione didattica.

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25 Attualmente il tutor clinico infatti non ha in genere una formazione didattica specifica e, laddove istituito, viene individuato in base alla propria disponibilità volontaria, al proprio interesse personale, al livello di anzianità di servizio, ai ruoli di responsabilità che riveste all’interno dell’organizzazionenella quale lo studente è chiamato a svolgere il proprio tirocinio universitario.

In alcune realtà i tutor clinici vengono contattati esclusivamente per stabilire i periodi e le modalità di tirocinio, in altre vengono instaurate collaborazioni e attività integrate, percorsi formativi finalizzati all’attività tutoriale in ambito clinico. Infine i tutor clinici sono coinvolti e prendono parte al processo di valutazione certificata degli studenti. Per altro in talune esperienze, più virtuose, l’azienda sanitaria ha accreditato quale tutor

clinico personale infermieristico in possesso di alcuni requisiti, quali l’esperienza

professionale, l’esperienza tutoriale e la frequenza di almeno un corso di formazione specifico.

2.2.1 L’insegnamento clinico

Sebbene ci siano diversi modi per esprimere cos’è l’insegnamento clinico, le definizioni contengono sempre dei riferimenti al trasferimento nella pratica delle conoscenze teoriche di base.

Schweer (1972) lo definisce come “il mezzo che dà agli studenti l’opportunità di

trasferire le conoscenze teoriche di base nell’apprendimento di una varietà di abilità intellettive e psicomotorie necessarie per offrire un’assistenza infermieristica di qualità centrata sul paziente”.5

Una definizione più completa include le fasi da completare prima e dopo il trasferimento dei principi di base alla performance clinica. Secondo Meleca et al. (1978) l’insegnamento clinico consiste nel “preparare gli studenti ad integrare le informazioni

scientifiche di base precedentemente assimilate con capacità orientate all’attività e con competenze associate alla diagnosi, al trattamento e all’assistenza dei pazienti, e ad acquistare quelle capacità professionali e personali, quegli atteggiamenti e quei comportamenti ritenuti indispensabili per entrare nel sistema sanitario e per essere coinvolti nella formazione permanente”.

5

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26 In altre parole l’insegnamento clinico, incentrandosi sul rapporto tra teoria e pratica, è l’aspetto della formazione infermieristica attraverso il quale gli studenti, facenti parte di un gruppo ed in contatto diretto con persone sia sane sia malate e/o una collettività, apprendono la capacità di pianificare, fornire e valutare l’assistenza infermieristica globale richiesta sulla base delle conoscenze e delle capacità acquisite.

Riteniamo che il tutor clinico, che concorre alla formazione professionalizzante dello studente, deve essere preparato per svolgere tale funzione, in particolare deve sviluppare capacità di:

 sostegno

 osservazione

 guida

 facilitazione

Il sostegno si può esercitare con varie modalità, dalla più semplice che è lo “stare accanto”, affiancare lo studente durante la pratica clinica, soprattutto quando è la prima volta che esegue la procedura o quando non si sente sicuro delle sue capacità. La necessità di sostegno può essere manifestata esplicitamente dagli studenti o evidenziata dal tutor durante l’incontro di assegnazione delle attività. Nel contratto di tirocinio vanno chiariti con gli studenti i momenti di presenza necessaria, i limiti delle sue prestazioni in autonomia, gli accordi sul feedback reciproco.

L’insegnante clinico può manifestare sostegno nei confronti dello studente: dandogli tempo di lavorare prima con ciò che gli è familiare e poi con ciò che conosce meno, assicurandogli la presenza nel secondo caso, riflettendo poi con lui dopo aver svolto un’attività, rafforzando i comportamenti non ritenuti interessanti dagli stessi studenti, rassicurandogli quando sono in difficoltà, mostrando fiducia per le loro capacità di risolvere le situazioni difficili, discutendo sulle decisioni da prendere accettando il loro parere e gratificandoli nei progressi.

Per quanto riguarda l’osservazione anche per questa attività occorre che lo studente sappia che il tutor clinico lo osserverà durante la pratica clinica, a volte in situazione definita, altre in attività complesse, qualora l’insegnante lo ritenga opportuno per non permettere che la situazione evolva in modo inaspettato creando problemi sia per l’assistito che per lo studente.

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27 L’osservazione è molto importante nella gestione dei probabili errori che i tirocinanti possono commettere nella pratica, errori spesso non determinanti, ma che se non corretti danno origine a procedure sbagliate.

La guida si attua quando gli studenti hanno già conoscenza teorica del problema da affrontare ed occorre solo che qualcuno li indirizzi nell’esecuzione. Si tratta di guidarli soprattutto all’osservazione di ciò che stanno facendo per aiutarli a comprendere non solo il contenuto della prestazione, ma anche la complessità della situazione assistenziale e organizzativa nella quale quella prestazione viene eseguita.

Guidare gli studenti alla risoluzione dei problemi (problem solving) e quindi guidarli all’osservazione, alla ricerca di connessioni di ipotesi e di soluzioni verificate significa aiutarli a porsi domande più che fornire risposte.

Il tutor clinico quindi lavora a fianco degli studenti o li osserva all’opera per prestare loro un aiuto nei momenti di difficoltà, per trovare le risorse necessarie e appropriate, per fornire loro un ambiente sicuro entro il quale possano sperimentare, imparare e accettare l’insicurezza tipica dell’ambiente clinico.

La facilitazione si attua con un continuo mettere alla prova le loro affermazioni e le loro conoscenze.

Nella facilitazione, il facilitatore riconosce i propri sentimenti, approfondisce i concetti con cui lo studente è alle prese e infine evidenzia nuove mete quando le precedenti sono state raggiunte. Tutto questo adottando uno stile che si interessi allo studente in quanto persona, ne riconosca gli sforzi, gli dia fiducia e lo sostenga nel dubbio.

2.2.2 Le fasi del tutoring clinico

All’interno del processo metodologico del tutoring clinico, applicato al modello formativo infermieristico, possiamo individuare le seguenti fasi:

Pre-arrival task. Il tutor clinico e gli studenti si presentano. Il primo fornisce informazioni riguardo il percorso di tirocinio previsto, l’Unità Operativa assegnata e le modalità di apprendimento e valutazione. Gli studenti invece illustrano i loro bagagli di esperienze, indicando ciascuno i propri punti di forza e di debolezza;

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28

In placement task. Il tutor clinico accompagna gli studenti a conoscere l’Unità Operativa assegnata loro dal tutor didattico, illustrando la struttura e presentandoli all’intero staff. Subito dopo il tutor clinico descrive le caratteristiche salienti del dipartimento, e la tipologia maggiore dei pazienti. Inoltre illustra agli studenti qual è il modello di pianificazione assistenziale utilizzato e le prestazioni maggiormente necessarie;

Assessment task. Il tutor clinico supporta la fase di apprendimento di ciascun studente durante la clinica quotidiana, affronta vari obiettivi previsti, individuando i punti di forza di ogni discente e risanando quelli di debolezza, attraverso la formulazione di un giudizio intermedio che conceda allo studente la possibilità di sistemare la propria condizione formativa.

Evaluation task. Il tutor clinico formula la valutazione finale degli studenti che ha quotidianamente seguito, in base al percorso affrontato con ciascuno di questi. Istituisce un momento di confronto per la consegna e la spiegazione di tale valutazione al singolo studente e, nel caso in cui quest’ultimo lo richiedesse, o egli stesso lo ritenesse opportuno, si mette a disposizione per un incontro con il tutor didattico.

2.2.3 Corsi di formazione

Come detto, al momento non esiste un percorso formativo strutturato e condiviso, univoco e regolamentato a livello nazionale, per formare i tutor di tirocinio che seguono gli studenti durante l’apprendimento clinico.

Vi è la necessità che, in esecuzione del Decreto Legislativo del 6 Novembre 2007, n. 206 - "Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali”, vengano istituiti con un programma omogeneo su tutto il territorio nazionale, standardizzato e riconosciuto, dei corsi di formazione appositi (che si interessino della componente didattica, tecnica e pedagogica) per la figura di tutor

clinico.

Può essere utile e interessante esaminarela programmazione e la struttura di due corsi organizzati per formare la figura di tutor clinico.

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29 A.A. 2008/2009, all’interno dell’Università di Bologna, è stato indetto un bando per il Corso di Alta Formazione per “Tutor clinico nell’organizzazione sanitaria”, il quale si allarga alle professioni sanitarie tutte, in modo da formalizzare la necessità di un percorso formativo specifico verso l’acquisizione di competenze indispensabili per sostenere la didattica in reparto. Il programma del corso, di 80 ore complessive, ha previsto i moduli descritti nella tabella 3.

MODULI ORE OBIETTIVI

1° modulo 8 ore L’organizzazione nelle Aziende Sanitarie

2° modulo 8 ore Il tutorato nella formazione universitaria italiana

3° modulo 16 ore Conseguenze delle teorie e dei modelli di apprendimento sulla didattica tutoriale

4° modulo 16 ore I campi di apprendimento e le competenze del tutor

5° modulo 16 ore Il ruolo del tutor nell’apprendimento nell’ambito professionale (tirocinio)

6° modulo 16 ore Il tutor nel processo di valutazione: valutazione del potenziale e valutazione delle competenze.

Tabella 3 Programma del “Corso di alta formazione per tutor clinico” dell’Università degli Studi di Bologna

Anche la sede di Imola, facente parte dello stesso CdL di Bologna, si è avvalsa di questa possibilità, sviluppando un “Corso base per Tutor di tirocinio” come premessa necessaria all’evolversi della nuova struttura universitaria.

Gli obiettivi riconosciuti in maniera ufficiale sono:

 Analizzare l’evoluzione formativa e normativa delle professioni sanitarie

Esaminare le funzioni del tutor di tirocinio

 Definire come si caratterizza l’apprendimento nell’adulto

 Trasferire i contenuti dei Profili Professionali di riferimento in competenze attese e quindi in obiettivi formativi (competenza intellettiva, gestuale e relazionale)

 Distinguere i metodi e gli strumenti che sostengono l’acquisizione delle competenze delle tre diverse aree tassonomiche

 Utilizzare le strategie dell’ascolto per l’individuazione delle esigenze latenti degli studenti

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30

 Modificare le esigenze in risposte adeguate alle attese

 Sviluppare una capacità espositiva accattivante per facilitare l’apprendimento

 Valutare la potenza dei messaggi comportamentali trasmessi agli studenti

 Descrivere le caratteristiche specifiche metodologiche ed organizzative del CdL di riferimento

I contenuti vengono affrontati all’interno di tale corso con metodologia frontale, lavori di gruppo, role playing, per un totale di 20 ore.

Da soli due anni l’Azienda USL Toscana Nord Ovest (territorio ex Azienda USL 5 di Pisa) organizza il corso “Funzione di tutoraggio studenti CdL infermieristica, OSS e/o Master perfezionamento”. L'obiettivo del corso è fornire agli infermieri che tradizionalmente svolgono il ruolo di tutor clinico la capacità di trasferire agli studenti il "pensiero critico" insieme ad abilità di “problem solving”, strategie di comunicazione terapeutica, strumenti di autovalutazione, capacità di integrazione nel lavoro in equipe e processi di autonomia professionale applicata ai percorsi assistenziali.

E’ un corso organizzato in cinque giornate, per la durata complessiva di 23 ore che ha il seguente programma:

Prima Giornata- Parte propedeutica

Ore 9.00 – 13.00

Ore 14.00 – 17.00

Finalità della didattica

Abilità di trasferimento dei contenuti didattici Stili di conduzione di gruppi

Tassonomie di obiettivi didattici

Principali tecniche didattiche impiegate nella formazione di adulti

Seconda giornata – Parte propedeutica.

Ore 9.00 – 13.00

Ore 14.00 – 17.00

Finalità dell’insegnamento-apprendimento affidato al metodo tutoriale

Tecniche di progettazione dell’attività di tutorship Conduzione di gruppi

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31 di tutor

Terza giornata – (Letture guidate sui profili e ordinamenti didattici

14.30-15.30 Il percorso di professionalizzazione dell’infermiere e dell’ostetrica 15.30-16.30 Il contributo del Codice di deontologia nel CDL in Infermieristica

ed il regolamento applicativo dei Corsi OSS 16.30-17.30 Il ruolo del tutor di tirocinio

Quarta giornata – Lavoro di gruppo/discussione in plenaria - (Prima incontro) –

14.30-17.30 Lavoro di gruppo con presentazione in plenaria per la condivisione di strumenti procedurali a supporto della didattica e del tirocinio nel CDL in infermieristica e Corsi OSS

Quinta giornata – Lavoro di gruppo/discussione in plenaria / (Secondo incontro)

14.30-17.30 Lavoro di gruppo con presentazione in plenaria per la condivisione di strumenti procedurali a supporto della didattica e del tirocinio nel CDL in infermieristica e Corsi OSS

2.2.4 La facilitazione diffusa

Ancora oggi però vi sono molti CdL italiani in cui la figura del tutor clinico infermieristico non è stata riconosciuta ufficialmente.

Gli studenti vengono così indirizzati al servizio sede di tirocinio dal tutor didattico, accolti dal Coordinatore di ciascun reparto ed affiancati dall’intera equipe infermieristica senza distinzioni. Il personale ovviamente in questo caso presenterà una notevole variabilità nella preparazione: a seguire gli studenti ci saranno infermieri professionali, infermieri laureati, altri in possesso di diploma universitario, alcuni addirittura con un master o una laurea specialistica (vedi tabella 4).

Elisabetta Paoletti, in un’indagine del 2009 rivolta a studenti tutor del CdL di Firenze, dove la facilitazione diffusa rappresenta il modello di tirocinio applicato, rivela la mancanza percepita da entrambi i campioni di una guida di tirocinio appositamente formata e competente, ovvero del ruolo che questa tesi riconosce al tutor clinico.

Lo stesso studio indica al contempo come il ridotto investimento in tale settore formativo, e la mancanza costante di risorse, porti all’insoddisfazione sia degli studenti

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32 che degli stessi tutor, e di come ciò incida e provochi la mancanza di un continuum tra l’affiancamento ottenuto nella struttura formativa rispetto a quello trovato nelle strutture accreditate come sedi di tirocinio.

Paoletti inoltre rivela con chiarezza l’esigenza di “personalizzazione di questo percorso

in modo da favorire un positivo punto d’incontro tra le caratteristiche e gli obiettivi del soggetto e le richieste e le logiche di funzionamento dei contesti e delle organizzazioni con cui si trova ad interagire”.

1976 Corso professionale di 3 anni al quale si poteva accedere con una scolarità di 10 anni (biennio di scuola media superiore)

Infermiere professionale

1990 Viene istituito il “diploma universitario di 1°

livello in Scienze Infermieristiche”

Infermiere diplomato 1992 Viene sancito il definitivo passaggio alla

formazione universitaria. Diventa requisito obbligatorio il diploma di scuola secondaria superiore di secondo grado. Il titolo rilasciato

al termine del corso è “diploma

universitario”

2001 Il diploma universitario per infermiere è stato trasformato in laurea triennale e viene inoltre prevista la laurea specialistica nelle Scienze Infermieristiche ed Ostetriche

Infermiere laureato

Tabella 4 I diversi livelli formativi dell’attuale categoria degli infermieri riscontrabili nelle sedi di tirocinio.

Corso di studi Periodo Crediti Titolo

Laurea in

Infermieristica

3 anni 180 CFU Dottore in

Infermieristica

Master di I livello Variabile 60 CFU \

Laurea Magistrale 2 anni 120 CFU Dottore magistrale

Master di II livello Variabile 60 CFU \

Dottorato di ricerca 3 anni Dottore di ricerca

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33

Capitolo 3

L’apprendimento in ambito professionale o tirocinio

Nella formazione delle professioni sanitarie, anni di esperienza hanno reso evidente che l’aspetto professionalizzante inserito nel percorso formativo (apprendimento in ambito professionale) finalizza e migliora anche gli apprendimenti intellettivi, in quanto, se ben guidato e inserito in tempi e modi opportuni, fornisce consapevolezza e senso a tutto il percorso di apprendimento.

Molto spesso si tende a pensare che compiti complessi possono essere ricondotti ad un insieme o sommatoria di passi semplici, tayloristici, per usare un termine noto al mondo organizzativo, che è possibile seguire senza sforzi di comprensione ed elaborazione. Nella realtà ci si accorge che ciò non è sempre possibile, in quanto quel compito semplice deve essere effettuato “con quelle risorse”, e non altre, con quell’operatore, per quel paziente/utente.

L’apprendimento in ambito professionale si riceve dalla comunità professionale. Lo studente è molto spesso membro legittimo di quella comunità, perché chi impara ha accesso legittimo alle riunioni formali e informali, alle conversazioni telefoniche ecc., raccogliendo così un know-how di valore inestimabile, composto non solo da informazioni, ma anche da modi di fare, da esperienze, da tecniche e a volte anche da errori e dissonanze rispetto alla formazione teorica che si ha avuto. Tali dissonanze e anche gli errori vanno rivisti e valutati con l’aiuto di tutor esperti. Apprendere e leggere l’errore, le sue motivazioni, è un modo per aiutare gli studenti ad assumere le responsabilità proprie della professione, per la quale si stanno preparando.

Nell’ambito dell’apprendimento dalla comunità professionale, al tutor clinico vengono affidate essenzialmente queste tipologie di attività:

• Attività di gestione

• Attività di previsione delle situazioni contingenti • Attività di insegnamento attivo

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34 • Attività personali e professionali

• Attività collegate alla valutazione • Attività di supporto emotivo

• Attività di supporto alle “contraddizioni del sistema”

Le attività di gestione garantiscono l’esecuzione regolare del programma clinico assistenziale del giorno e del programma educativo derivante dal contratto formativo stilato con lo studente e con la sede formativa.

Nell’ambiente professionale sono presenti spesso molte distrazioni, molte variabili che mettono alla prova l’attenzione dello studente. Lo studente, il tutor e il paziente si trovano ad affrontare anche situazioni imbarazzanti difficili che richiedono risposte immediate e personali da parte degli studenti.

Affinchè l’ambiente professionale, così ricco di situazioni e stimoli sempre nuovi, sia formativo occorre che il tutor clinico sappia incanalare con prontezza l’apprendimento degli studenti in risultati raggiungibili e realistici.

L’apprendimento clinico non è frutto della ripetitività e dell’abitudine, ma soprattutto dell’osservazione e della riflessione. Quest’ultima aiuta a colmare la distanza tra teoria e pratica, può aiutare ad affrontare le ambiguità e le incomprensioni. Consente, inoltre, di osservare criticamente il proprio comportamento e quindi di riflettere insieme agli altri componenti del gruppo professionale per sviluppare il senso critico e la consapevolezza di sé.

Le attività di previsione delle situazioni contingenti sono quelle che, prevedendo le difficoltà e gli ostacoli o considerando i problemi organizzativi che possono incidere sull’andamento della giornata, implicano una selezione delle situazioni che portano valore aggiunto all’esperienza dello studente, perché significative per l’apprendimento. Le attività di insegnamento attivo hanno due o tre protagonisti, considerando sempre il paziente come un protagonista di questo circuito formativo, in cui non si apprendono soltanto le tecniche. In tal caso i tutor clinici forniscono un supporto informativo con consigli, ragguagli teorici durante l’effettuazione di una pratica o la risoluzione di un problema clinico o nei casi di incertezza e un supporto strumentale per le risorse necessarie all’apprendimento.

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35 Le attività personali e professionali includono gli incontri di staff, la partecipazione alle riunioni relative al programma terapeutico per i pazienti, alle riunioni organizzative. Le attività di supporto emotivo con modalità di partecipazione e ascolto, accrescono l’autostima e il senso di benessere, aiutano ad affrontare i problemi e a gestire l’incertezza, le emozioni, le angosce e le paure che determinate situazioni provocano nello studente.

Le attività di supporto alle contraddizioni del sistema servono a leggere l’organizzazione nella sua complessità, a capire la differenza tra il mondo della teoria e quello della clinica.

3.1 I campi dell’apprendimento clinico

Il più importante obiettivo nel preparare gli infermieri professionali per i servizi sanitari è un apprendimento clinico efficace. In passato le limitazioni delle scuole site negli ospedale e le richieste di prestazioni lavorative durante il periodo di apprendimento degli studenti avevano impedito la completa realizzazione di questo obiettivo.

Il passaggio della formazione infermieristica nelle istituzioni universitarie ha fornito nuove opportunità per la pianificazione dei programmi clinici e ha lanciato nuove sfide agli insegnanti e ai ricercatori.

La professionalità dell’operatore sanitario si articola in un insieme di competenze intellettive, relazionali e tecniche che l’operatore agisce in maniera integrata.

Ad esempio, interpretare i risultati di un esame strumentale o di laboratorio, pianificare interventi assistenziali o riabilitativi, riconoscere problemi di tipo organizzativo sono alcune competenze proprie del campo del processo intellettivo.

La capacità di accogliere una persona con problemi di salute, raccogliere le informazioni necessarie per pianificare gli interventi diagnostici e/o assistenziali, tranquillizzarla, illustrare le modalità di gestione e controllo dei propri problemi rappresentano alcuni esempi di competenze proprie del campo della comunicazione interpersonale.

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