• Non ci sono risultati.

L’orizzonte precostituito. Sereni di fronte all’ermetismo

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L’orizzonte precostituito. Sereni di fronte all’ermetismo"

Copied!
26
0
0

Testo completo

(1)

a cura di

Anna Dolfi

FIRENZE UNIVERSITY

PRESS

L’ermetismo e Firenze

Luzi, Bigongiari, Parronchi,

Bodini, Sereni

VOLUME 2

(2)
(3)

MODERNA/COMPARATA COLLANA DIRETTA DA Anna Dolfi – Università di Firenze

COMITATO SCIENTIFICO Marco Ariani – Università di Roma III

Enza Biagini – Università di Firenze Giuditta Rosowsky – Université de Paris VIII Evanghelia Stead – Université de Versailles Saint-Quentin

(4)

Firenze University Press

2016

L’Ermetismo e Firenze

Atti del convegno internazionale di studi

Firenze 27-31 ottobre 2014

Luzi, Bigongiari, Parronchi, Bodini, Sereni

Volume II

a cura di

Anna Dolfi

(5)

L’Ermetismo e Firenze : atti del convegno internazionale di studi Firenze, 27-31 ottobre 2014 : Luzi, Bigongiari, Parronchi, Bodini, Sereni : volume 2 / a cura di Anna Dolfi. – Firenze : Firenze University Press, 2016.

(Moderna/Comparata ; 12)

http://digital.casalini.it/9788866559795 ISBN 978-88-6655-978-8 (print)

Progetto grafico di Alberto Pizarro Fernández, Pagina Maestra snc

Volume risultato di una ricerca svolta nell’ambito delle attività del Dipartimento di Lingue, Letterature e Studi Interculturali pubblicato con un contributo dell’Università degli Studi di Firenze.

Certificazione scientifica delle Opere

Tutti i volumi pubblicati sono soggetti ad un processo di referaggio esterno di cui sono responsabili il Consiglio editoriale della FUP e i Consigli scientifici delle singole collane. Le opere pubblicate nel catalogo della FUP sono valutate e approvate dal Consiglio editoriale della casa editrice. Per una descrizione più analitica del processo di referaggio si rimanda ai documenti ufficiali pubblicati sul catalogo on-line della casa editrice (www.fupress.com).

Consiglio editoriale Firenze University Press

G. Nigro (Coordinatore), M.T. Bartoli, M. Boddi, R. Casalbuoni, C. Ciappei, R. Del Punta, A. Dolfi, V. Fargion, S. Ferrone, M. Garzaniti, P. Guarnieri, A. Mariani, M. Marini, A. Novelli, M.C. Torricelli, M. Verga, A. Zorzi.

© The Author(s).

This is an open access work distributed under the terms of the Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0). If you remix, transform, or build upon the material, you must distribute your contributions under the same license as the original.

Published by Firenze University Press Università degli Studi di Firenze Firenze University Press

via Cittadella 7 – 50144 Firenze (Italy) www.fupress.com

(6)

INDIRIZZO DI SALUTO di Cristina Giachi 17

NELL’OCCASIONE DEL CENTENARIO. UNA PREMESSA di Anna Dolfi 19

VOLUME I

CRITICI, TRADUTTORI, MAESTRI, MODELLI

UN’AVVENTURA GENERAZIONALE

GLI ANNI DELL’ERMETISMO. UNA LETTURA POLITICA 33

Stefano Passigli

LA VICENDA DEL TERMINE «ERMETISMO» 39

Massimo Fanfani

SOMIGLIANZA NON METAFORICA E GRAMMATICA DELL’INCLUSIONE MOLTEPLICE:

SULL’ANALOGIA «CONTIGUA» DELL’ERMETISMO FIORENTINO 49

Carlo Alberto Augieri

L’ERMETISMO E LE POETICHE DELL’OSCURITÀ 73

Alberto Casadei

I SIMBOLI DI UNA GENERAZIONE 83

Roberto Deidier

ERMETISMO E SURREALISMO

INFLUSSI E CONVERGENZE TEMATICHE

Tommaso Tarani

1. Limiti del surrealismo 95

2. Fenomeni disseminati 101

3. Il fantasma, il vetro, lo specchio 111

ORDINE E IMMAGINE: FRA LA FIGURATIVITÀ ERMETICA

E SURREALISTA 125

(7)

8 INDICE

IL MITO DELLA DONNA CTONIA (PROSERPINA/EURIDICE) NELLA TRIADE FIORENTINA

Francesca Nencioni

1. Inseguendo la donna ermetica: verso l’identità tra «alia» ed «eadem» 133

2. Per una semantica trasversale 136

3. Trascorrenze poetiche: «Si sparpagliano ombre, sono donne /

già all’antica finestra le fanciulle» 143

4. Epifanie muliebri nella prosa: trascorrenze orizzontali e verticali 148

LA CRITICA MILITANTE E LA TRADUZIONE

RECENSIRE I CONTEMPORANEI NEGLI ANNI DELL’ERMETISMO 167

Alberto Cadioli

«FIRENZE VUOL DIRE…»

CARLO BO, POESIA, ERMETISMO, CRITICA FRA LE DUE GUERRE 183

Marino Biondi

CARLO BO E IL PIACERE DELLA LETTURA TRA LUZI E LANDOLFI

Giuseppe Panella

1. Le virtù della lettura e il suo mistero ancora insondato 207 2. Due «auttori» di Carlo Bo: Mario Luzi e Tommaso Landolfi 214

IL GIOVANE BO TRA SAINTE-BEUVE E RIVIÈRE 231

Andrea Schellino

UNA LETTERA DA GRENOBLE A ENZA BIAGINI 239

Michel David

LE TRADUZIONI ALL’EPOCA DEGLI ERMETICI 241

Mario Domenichelli

ORESTE MACRÍ. DUE TRADUZIONI INEDITE/RARE

DAL «SIGLO DE ORO» 253

Laura Dolfi

1. «El condenado por desconfiado» 257

2. «El licenciado Vidriera» di Cervantes 273

MAESTRI E MODELLI

PROLEGOMENI ALL’ERMETISMO

TRAVERSO, BO, BIGONGIARI E LUZI LETTORI DI HÖLDERLIN 297

Alberto Comparini

1. Alle soglie dell’ermetismo: Hölderlin e il pensiero ermetico 298 2. Luzi, Hölderlin e lo spirito della poesia moderna: lettura di

(8)

LA «FUNZIONE» D’ANNUNZIO NELLA GRAMMATICA DEGLI ERMETICI 323

Manuele Marinoni

CAMPANA E IL «SENSO DEI COLORI»: STORIA DI UNA RICEZIONE 341

Tommaso Meozzi

«RES SUNT NOMINA». QUASIMODO ATTRAVERSO IL LABORATORIO

CRITICO DI MACRÍ 351

Davide Luglio

MACRÍ, LA DIMORA VITALE, L’EREDITÀ, GLI AMICI

UN ITINERARIO ENTRE CRÍTICA Y MILITANCIA 363

Laura Dolfi

L’ERMETISMO DI MACRÍ, TEORICO DELLE GENERAZIONI E ISPANISTA 377

Nives Trentini

«REGESTARE» LA CORRISPONDENZA A ORESTE MACRÍ

UN’ESPERIENZA D’ARCHIVIO 387

Marta Scintu

UNA TESTIMONIANZA INEDITA DAL FONDO MACRÍ LE LETTERE A SIMEONE DALLA «ROCCAFORTE LECCESE

DELL’ERMETISMO» 395

Dario Collini

Appendice – Acrostici per una generazione 407

SULLA CORRISPONDENZA TRA ORESTE MACRÍ E ALFONSO GATTO 409

Emanuela Carlucci

MARGHERITA DALMATI, AMICA DI UNA GENERAZIONE 417

Sara Moran

Appendice – Lettere inedite

1. Dalla corrispondenza con Mario Luzi 431

2. Dalla corrispondenza con Leone Traverso 438

3. Dalla corrispondenza con Oreste Macrí 444

LUZI E MACRÍ: UNA TESTIMONIANZA 451

Fabrizio Dall’Aglio

IL MAESTRO ORESTE MACRÍ 461

Martha Canfield

(9)

10 INDICE

VOLUME II

LUZI, BIGONGIARI, PARRONCHI, BODINI, SERENI

MARIO LUZI. LA POESIA, IL TEATRO

MARIO LUZI E LA PAROLA 21

Franco Musarra

1. Quali modelli? 26

2. La parola e la memoria 32

3. Sulle strategie espressive 34

4. Parole nucleari 37

5. Ossimori 39

6. Ripetizioni 41

7. Per concludere 45

LUZI E FIRENZE, «LA CITTÀ DAGLI ARDENTI DESIDERI» 49

Alfredo Luzi

DUE “MOTTETTI” DI LUZI 61

Silvio Ramat

TEMPO E PAESAGGIO DAL «FONDO DELLE CAMPAGNE» 71

Anna Dolfi

MARIO LUZI, LA VOCE E IL FONDAMENTO 77

Mario Baudino

SENZA FINE DIVENGO CIÒ CHE SONO

Margherita Pieracci Harwell

1. Il saggio 83

2. Cristina Campo come tramite 86

IL TEMPO NELLA POESIA DI LUZI 105

Giuseppe Nava

LUZI E LA CRISI DEL GENERE LIRICO DA «ONORE DEL VERO» A

«NEL MAGMA» 109

Romano Luperini

LA PAROLA È EPIFANIA DEL SILENZIO. LA POESIA MISTAGOGICA 119

Luigi Ferri

Appendice – Nel silenzio parla il linguaggio del mondo.

(10)

IL TEATRO DI MARIO LUZI. GLI ANNI NOVANTA

(DAL «PURGATORIO» ALLA «PASSIONE») 127

Giulia Tellini

Appendice – Alla ricerca di «Points de repère». Intervista a

Federico Tiezzi 133

LUZI LETTORE, SAGGISTA, TRADUTTORE

PRIMI APPUNTI DI LUZI SU TEILHARD DE CHARDIN

NOTE IN MARGINE A UN ARTICOLO RITROVATO 143

Giuseppe Langella

«CONQUISTE ALTISSIME» ED «ABISSI SPAVENTOSI»

LA MODERNITÀ SECONDO LUZI 151

Antonio Saccone

GLI SCRITTI PER GLI ARTISTI

(E UNA LETTERA SULL’UMILTÀ DEL VIVERE) 167

Marcello Ciccuto

Appendice – Mario Luzi, testimonianze 172

«FRANCAMENTE»: LUZI TRADUTTORE DAL FRANCESE 175

Michela Landi

SGUARDI INCROCIATI: MARIO LUZI E YVES BONNEFOY 195

Laura Toppan

UN TRAGICO CRISTIANO 205

Marco Menicacci

L’INCONTRO CON LA POESIA TEDESCA. UN COLLOQUIO 219

Mattia Di Taranto

IL FRUTTO NATO DA AMORE. UN CONFRONTO CON HÖLDERLIN 225

Alberto Ricci

LUZI. QUESTIONI BIBLIOGRAFICHE:

LA COLLABORAZIONE A «LA FIERA LETTERARIA» 243

Stefano Verdino

UN RICORDO DI MARIO LUZI 253

Martha Canfield

MARIO LUZI, «IL FILO DELLA VITA» 257

(11)

12

PIERO BIGONGIARI

IL CRITICO, IL POETA, LO STORICO D’ARTE

QUALCHE NOTA PER CAPITOLI

Adelia Noferi

1. Le ragioni della scrittura 277

2. L’«itinerarium mentis in Deum» 279

3. La scacchiera della mente 282

4. Lorenzo de’ Medici e «la pura verità formosa e bianca» 284

5. Le favole e la Favola 285

6. Il «sesto senso umano» 286

7. L’impeto e la distensione 288

8. Pascoli tra simbolo ed immagine 289

avvertenza conclusiva di Anna Dolfi 290

IL «LEOPARDI» DI BIGONGIARI TRA DE ROBERTIS E CONTINI 293

Paolo Leoncini

SUL SIMBOLISMO

IL PRIMO CORSO DI BIGONGIARI AL MAGISTERO DI FIRENZE 315

Paolo Orvieto

Appendice – Lettura e commento di «Bassa marea» 330 BIGONGIARI TEORICO

LA POESIA COME FUNZIONE SIMBOLICA DEL LINGUAGGIO 335

Federico Fastelli

BIGONGIARI E L’AMBIGUITÀ DEL SEGNO LINGUISTICO

Martina Romanelli

1. Tra «forme della narratività» e nuove premesse ontologiche

1.1 Per una diversa idea del «medium»: il pretesto schopenhaueriano 347 1.2 Segno significato e segno significante: la risposta a

Schopenhauer in «Se l’amore muore» 351

2. Oltre Schopenhauer, fino a Derrida: la traccia e la «caoticità

preverbale» 2.1

Il segno scritto come enigma e dinamicità: la «poesia come azione» 356 2.2 Le credenziali del segno: «La poesia come funzione

simbolica del linguaggio» 359

«UT POESIS PICTURA»: LA PAROLA E L’IMMAGINE 365

Teresa Spignoli

LA «GIOVENTÙ POETICA DI OPPOSIZIONE» SULLE PAGINE

DI «CAMPO DI MARTE» E DI «CORRENTE» 383

Elena Guerrieri

(12)

«QUELLA PATRIA CHE SI CONFONDE ALL’ORIZZONTE»:

ERRANZA, DESIDERIO E SCRITTURA NELL’ULTIMO BIGONGIARI 393

Gilberto Isella

I VIAGGI FUORI DI CASA 411

Theodore Ell

ERBARIO E BESTIARIO IN «ANTIMATERIA» 431

Diego Salvadori

UN «ERMETICO» ADDIO: BIGONGIARI SALUTA MONTALE 441

Martha Canfield

ALESSANDRO PARRONCHI DECLINAZIONI DI UN’IMMAGINE

PARRONCHI, QUASI UN RITRATTO 451

Marco Marchi

UN CAPITOLO DI TRANSIZIONE. LASCITI CREPUSCOLARI IN «UN’ATTESA» 461

Leonardo Manigrasso

TEMI E METRI IN «PIETÀ DELL’ATMOSFERA» 477

Francesco Vasarri

INFLUENZE MICHELANGIOLESCHE IN «REPLAY» 491

Simona Mariucci

RILKE, PARRONCHI E LA POETICA DELL’IMMAGINE 503

Barbara Di Noi

DI PARRONCHI LE ORSE LE MUSE 517

Marzio Pieri

«LA CITTÀ COME AVREBBE DOVUTO ESSERE» 547

Franzisca Marcetti

NOTA DI LETTURA SU UNA BIBLIOGRAFIA 565

Attilio Mauro Caproni

VITTORIO BODINI ICONE DEL MODERNO

LA «TERZA VIA» DI VITTORIO BODINI 571

(13)

14 INDICE

DAL SEME DELLA POESIA

CRITICA E POETICA TRA BAROCCO E NOVECENTO 583

Mario Sechi

«SPETTRI SUBLIMI DELL’ESTATE»: L’ESPERIENZA DEI VERSI VERSILIESI 591

Riccardo Donati

FRAMMENTI E LACERTI DI UN “A(EM)PLAZADO”

Oleksandra Rekut-Liberatore

1. Attorno a un a(em)plazado 603

2. L’avvertimento di morte nella poesia bodiniana 605 3. Bodini prosatore e il tumore di San Giuseppe 606 «ALBE A SONAGLI SCABBIE ORE MALATE»

BODINI E LA CIVILTÀ INDUSTRIALE

Andrea Gialloreto

1. La poesia e la civiltà industriale 611

2. Il miele del dopoguerra 617

I PROGETTI DI UN GIOVANE ISPANISTA 627

Laura Dolfi

DA «VEDETTA MEDITERRANEA» A «LIBERA VOCE»

IL PROBLEMA DELLA FORMA E IL SEGNO INCOMUNICANTE 639

Francesca Bartolini

DIALOGO FUORITEMPO CON VITTORIO BODINI

(ALLA PRESENZA DI ORESTE MACRÍ) 655

Antonio Prete

VITTORIO SERENI UN AMICO DI GENERAZIONE

VITTORIO SERENI

ERMETISMO, DINTORNI, PROCESSI GENETICI, PROCESSI INVENTIVI 663

Clelia Martignoni

L’ERMETISMO SPERIMENTALE DI «FRONTIERA»

Luigi Tassoni

1. La possibilità aperta dell’ermetismo 671

2. Il soggetto come lo spazio 675

3. La ricontestualizzazione 677

4. L’intersezione, la doppiezza 679

5. Nel cerchio dell’evento 682

6. Al di qua della frontiera 684

(14)

8. La morte come fine del tempo 689

9. Alla fine del racconto per frammenti 690

«SIAMO TUTTI SOSPESI A UN TACITO EVENTO». IL PRIMO SERENI 693

Lorenzo Peri

L’ORIZZONTE PRECOSTITUITO. SERENI DI FRONTE ALL’ERMETISMO 707

Niccolò Scaffai

SERENI E GLI AMICI ERMETICI 717

Francesca D’Alessandro

PAROLE DI SERENI 727

Marina Paino

SULLE «FURIE» DEL CARTEGGIO TRA VITTORIO SERENI E GIANCARLO VIGORELLI

Matteo M. Vecchio

1. «Furie», amicizie, angoli di città 739

2. Segno d’un vortice appena nato 741

3. Qualcosa che rimaneva nel cielo. «Gianni» Manzi 744

(15)
(16)

Niccolò Scaffai

1. Cina, 1980. Vittorio Sereni, insieme a Mario Luzi, Alberto Arbasino, Luigi Malerba e al giornalista e scrittore Aldo De Jaco, fa parte di una delegazione in-viata nella Repubblica Popolare dal Sindacato nazionale degli scrittori italiani. Luzi, che su quel viaggio pubblicherà quattro articoli su «La Nazione», raccon-ta così lo sbarco a Canton:

Arrivo (ore 22) anzi tempo da Hong-Kong dove non abbiamo trovato stanza. A Canton eravamo attesi per il giorno seguente e abbiamo messo in imbarazzo i nostri ospiti cerimoniosi, sì, ma anche cordiali. Nel percorso in taxi dall’ae-roporto siamo stati identificati nel buio dall’interprete come poeti ermetici… «Non c’è scampo» abbiamo detto con Sereni1.

«Non c’è scampo»: una frase che i due poeti si scambiano certo con ironia bo-naria, ma anche un po’ ingenerosa, a distanza di così tanto tempo dall’esperienza ermetica. Parto comunque da quest’aneddoto perché mi sembra emblematico: può infatti illustrare la prospettiva sull’ermetismo che il Sereni maturo elaborò nel corso degli anni, mentre la sua stessa adesione al clima ermetico tramonta-va, oscurata dall’affermazione di altre istanze e di altri modelli. Aumentava il di-stacco dal clima, appunto, ma non dalle persone, non dai poeti che dell’Erme-tismo fiorentino furono protagonisti e a cui Sereni rimase legato da una lunga fedeltà nel tempo, e in certi casi fino alla fine, come testimoniano i carteggi tra gli altri con Parronchi e con Betocchi, preziosi per capire la posizione dell’auto-re nella stagione degli esordi e oltdell’auto-re.

Anche nel vivo della temperie ermetica, la prospettiva generale di Sereni fu spesso, com’è noto, critica o distintiva: «E prima di tutto: io non sono né vo-glio essere un alfiere o un chierico della “poesia ermetica”, questi tutt’al più sono estri dei vent’anni, dell’età in cui si è più esposti alle tentazioni e alle mode»2,

1 Il brano si legge all’inizio del Taccuino di viaggio in Cina, ora incluso in Mario Luzi, Prose, a cura di Stefano Verdino, Torino, Aragno, 2014, p. 250.

2 Antonia Pozzi-Vittorio Sereni, La giovinezza che non trova scampo: poesie e lettere degli anni

(17)

708 NICCOLÒ SCAFFAI

scriveva al padre di Antonia Pozzi, nel marzo del ’41; e pochi mesi dopo (23 lu-glio ’41) ribadiva in una lettera ad Anceschi: «non sono vicino a un Sinisgalli, come non lo sono a un Luzi»3. Si tratta di brani di lettere private, in cui Sereni

non si preoccupa di sfumare la sua posizione; ma proprio la perentorietà e la precocità di queste puntualizzazioni convincono di quanto fosse ineludibile, per Sereni, la questione ermetica. Nel senso che l’ermetismo, da esperienza perso-nale di attraversamento creativo (sia pure compiuto assimilando gli stilemi ge-nericamente modernisti dell’ermetismo «debole», come suggerisce Mengaldo4),

diventa presto in Sereni un paradigma rispetto a cui giudicare e collocare gli al-tri poeti, valutandoli più o meno positivamente in base alla maggiore o minore distanza dall’«orizzonte precostituito» di una linea o scuola. Un giudizio idio-sincratico, che occorre ricondurre alla poetica e perfino all’esperienza esistenzia-le di Sereni; non per avallare quel giudizio, ma per interpretarlo e storicizzarlo. Questo anche per discutere implicitamente gli effetti che l’ipoteca antiermetica ha avuto nel campo letterario italiano del secondo Novecento; per Sereni, più o meno intenzionalmente, passarono infatti linee di tendenza che hanno contato nelle scelte editoriali e nelle fortune critiche: scelte e fortune che hanno privile-giato più l’oggettivismo lombardo che l’ermetismo fiorentino. Riportare questi fattori alla dimensione del gusto o delle ragioni individuali, piuttosto che alla dimensione dei valori assoluti, potrebbe rendere un buon servizio, credo, allo studio dell’Ermetismo.

Cercherò qui di mettere in luce proprio la funzione polemica che il termine «ermetismo» (più ancora che l’Ermetismo – con la «e» maiuscola – inteso come insieme di esperienze poetiche concrete e stilisticamente definite) assume nel-la prosa critica sereniana. Procederò interpretando Sereni, per quanto possibi-le, iuxta propria principia, facendo ricorso cioè alla lettura e al confronto mirato dei suoi saggi e scritti critici – il Sereni pubblico, insomma – che mostrano ne-gli anni il ritorno costante su alcuni temi forti. Per questa via, vorrei anche ar-rivare a illustrare come i concetti che Sereni mette a fuoco, intorno al termine idiosincratico di «ermetismo», contribuiscano a spiegare certe ragioni dei suoi testi maturi o tardi. Perché è vero che la coscienza teorica di un poeta e la pra-tica formale delle sue opere spesso non coincidono (infatti, nel caso di Sereni, la volontà di differenziarsi dal cosiddetto ermetismo sembra aver preceduto la capacità di emanciparsene stilisticamente: si pensi che un tratto ermetizzante spicca in una poesia non solo molto successiva ma anche concettualmente

an-3 Vittorio Sereni, Carteggio con Luciano Anceschi. 1935-1983, a cura di Beatrice Carletti. Prefazione di Niva Lorenzini, Milano, Feltrinelli, 2013, p. 112.

4 Pier Vincenzo Mengaldo, II linguaggio della poesia ermetica, in La tradizione del Novecento, terza serie, Torino, Einaudi, 1991, p. 148. Il saggio di Mengaldo, tuttora fondamentale, è da leg-gere ora anche alla luce delle osservazioni integrative e correttive di Anna Dolfi, Per una

gramma-tica e semangramma-tica dell’immaginario, in «Rivista di letteratura italiana» [numero monografico a cura

di Paola Baioni e Giorgio Baroni: «L’amore aiuta a vivere, a durare». Bigongiari, Luzi e Parronchi

(18)

tiermetica come I versi: mi riferisco al sintagma «dentro un nero di anni», v. 6); ma è vero anche che la prospettiva critica assunta da un autore aiuta a colloca-re i nudi fenomeni in un quadro di senso più completo e rispondente all’indi-vidualità di ciascuno.

Fra le espressioni più caratteristiche dell’ethos sereniano vi è infatti la con-traddittoria relazione tra il desiderio di appartenenza e il riconoscimento di una differenza: tanto sul piano storico e politico (l’appuntamento mancato con la Resistenza, i conti difficili con le inevitabili rimozioni del dopoguerra), quan-to su quello letterario. Del resquan-to, idiosincrasie letterarie e debiti squan-torici posso-no trovare in Sereni una paradossale conciliazione, come accade in una lettura radiofonica dedicata a René Char, tenuta in Ticino nel 1976 alla Radio Monte Ceneri, nell’ambito del ciclo Poesie come persone. Nella lettura, si spiega come la curiosità verso l’opera di Char, intensamente frequentata dal Sereni tradut-tore e poeta, dipendesse tanto da una ragione storica: il desiderio compensativo di conoscere un poeta che aveva fatto quella Resistenza negata a Sereni; quan-to da ragioni letterarie:

Gli anni Cinquanta erano stati per me anni di inattività o piuttosto di aridità. Il brodetto postermetico mi aveva saziato. Dall’altra parte avevo visto non senza malessere crescere e declinare presto insane velleità di poesia engagée alimentata dalla moda neorealista, fruttifera in parte nel cinema e già molto meno nella narrativa. Mi ero buttato in tentativi di traduzione da William Carlos Williams e ora mi imbattevo in René Char. Ho scoperto più tardi che Williams amava la poesia di Char e che c’era stato un breve scambio di corrispondenza tra i due5.

2. Potremmo definire allora l’atteggiamento di Sereni come un’ansia d’inap-partenenza, che lo mantiene distante da un orizzonte a cui non vuole o non può congiungersi, ma che gli impone di guardare costantemente verso quel punto di fuga. Già più di una volta ho usato la metafora dell’orizzonte poetico, che è dello stesso Sereni; proviene infatti da uno scritto su Dino Campana pubblica-to sul «Corriere della Sera» nel 1982 (poi incluso in Sentieri di gloria):

Sicché, oltre che malevola, mi sembra davvero stonata la seguente battuta del Papini tardo: «Agli ermetici italiani piaceva di avere un precursore che non fosse, come gli altri, francese o inglese… L’Italia, ch’ebbe grandi poeti ma è povera di poètes maudits, fu soddisfatta di averne uno indigeno, a portata di mano…». / Le cose non stavano affatto così. Per quanto potevo riscontrare in me stesso la poesia di Campana agiva in quegli anni come potente antidoto al rischio di irrigidimento in una cifra che andava fissandosi su un malinteso principio di essenzialità – per usare un termine allora in voga, specie dalle nostre parti –, di presunta riduzione all’osso, secondo l’imperativo di una tecnica e di un gusto

5 Vittorio Sereni, René Char: il termine sparso, in Poesie e prose, a cura di Giulia Raboni, con uno scritto di Pier Vincenzo Mengaldo, Milano, Mondadori, 2013, p. 1041.

(19)

710 NICCOLÒ SCAFFAI

che si volevano intransigenti ed erano soltanto esosi e restrittivi. Fu un lampeg-giamento inatteso e reiterato in un qualche punto di un orizzonte precostituito, presto avvertito soffocante da un’immaginazione avviata, per contrasto, a fare propri certi versi di Saba (che pure, a quanto risulta, non riconosceva in Cam-pana un poeta): «Vagabondaggio, evasione, poesia / cari prodigi sul tardi…»6.

Il brano è centrale nella prospettiva sereniana sull’ermetismo. La poesia di Campana avrebbe agito come un antidoto contro l’irrigidimento, contro il cri-stallizzarsi in cifra fissa del principio di «essenzialità» (concetto vicino a quello, pure usato da Sereni, di «assolutezza», che il poeta riprende probabilmente da Flora7); inoltre, segnalandosi come un fenomeno eccezionale contro un

orizzon-te «precostituito» e «soffocanorizzon-te», Campana avrebbe indicato a Sereni un altro decisivo modello: quello di Saba, poeta estraneo a ogni assimilazione di scuola, e che anzi aveva fatto della propria stessa estraneità un tema e un principio di poetica. «La sua poesia – affermava Sereni (in una conversazione radiofonica del 1947: Saba e l’ispirazione) – ha potuto coesistere al dannunzianesimo, al crepu-scolarismo, al frammentismo, al rondismo e all’ermetismo senza essere nessu-na di queste cose: evolvendosi per forza propria e giungendo giovane e viva fino a noi»8. Per Sereni, Saba è stato, quasi al pari di Montale e più ancora forse di

Ungaretti, l’autore di riferimento. Questi tre modelli, pur così diversi tra loro, potevano del resto trovare una conciliazione nel sistema di valori critici serenia-ni. Occorre, per capirlo, insistere sul concetto di «essenzialità», evocato dallo stesso poeta nel brano su Campana. L’essenzialità di Saba «nasce dal raggiunto equilibrio tra cuore e immaginazione»9; in Ungaretti, dal canto suo, prevale «il

tema dell’innocenza, o meglio della sete d’innocenza; e insieme il suo corrispet-tivo sul piano formale, o meglio della ricerca formale: la cosiddetta essenzialità ungarettiana10. D’altra parte, dichiara Sereni nel medesimo brano, quella stessa

«nozione appena acquisita dell’essenzialità ungarettiana» sarebbe stata saggiata poco dopo «sulla scabrosità degli Ossi di seppia».

3. I tre «padri» del Sereni poeta sono quindi, ciascuno a suo modo, caratteriz-zati dal valore dell’essenzialità, che permette al Sereni critico di associarli nella ri-lettura quasi postuma che egli stesso dà della propria esperienza e della propria

for-6 V. Sereni, Poesie e prose cit., pp. 985-986 (corsivo mio).

7 Francesco Flora, La poesia ermetica, Bari, Laterza, 1936: «negli ultimi anni, magari attraver-so la concentratissima serie di versi che s’è detta poesia essenziale, si tentò di riportare la parola ad una specie di autonomia assoluta»; «La poesia essenziale tentò di riportar la parola ad una specie di autonomia assoluta» (cito dall’edizione del 1947, pp. 65 e 180).

8 V. Sereni, Poesie e prose cit., p. 969.

9 Così Sereni nel testo di una lettura radiofonica del 1976: Umberto Saba: le vite che quasi

non parlano, ora in V. Sereni, Poesie e prose cit., p. 979.

10 Ungaretti, quella prima volta (1981), poi in Sentieri di gloria; si legge ora in V. Sereni,

(20)

mazione, osservata contro l’orizzonte della grande lirica del primo Novecento. Ma il rischio – lo si è letto nel brano su Campana – è che quell’essenzialità, fuori dal magistero delle «tre corone» novecentesche, si irrigidisca in cifra, nutra il falso va-lore della «riduzione all’osso» (nell’espressione c’è forse un tratto di ironia verso gli epigoni dei veri Ossi, quelli montaliani), riduzione dietro cui si maschera la sem-plice ed esosa restrizione. L’essenzialità, per non scadere in maniera, ha bisogno di mescolarsi con le «scorie» dell’esperienza; Sereni aveva usato questa parola e questo concetto in un saggio del 1961 (ora in Letture preliminari), importante per capire la poetica degli Strumenti umani e poi di Stella variabile. Il saggio è intitolato La mu-sica del deserto ed è dedicato a uno degli autori stranieri da Sereni più amati e tra-dotti, quel William Carlos Williams ricordato anche nel brano letto prima su Char:

[Williams] ha portato all’interno della poesia stessa ogni possibile operazione pre-liminare, ogni dato spaziale e temporale di origine e ne ha fatto oggetto di un con-tinuo contrappunto, di una antitesi continua e addirittura di un concon-tinuo scam-bio delle parti. Ha riferito in versi certe cose (di contorno?) da lui viste e udite e insieme se stesso alle prese con le cose viste e udite. Alla fine ogni elemento risulta perfettamente allineato, meglio, convivente col suo vicino e, tra le cose considera-te, non sembra possibile distinguere essenzialità e scorie perché tutto è essenzialità e tutto scorie fuori dell’elemento principe che le fa convivere; o, almeno, nulla sarebbe di tutto ciò senza anche le scorie – o si tratterebbe di tutt’altra poesia. Essenzialità e scorie, come a dire: parole e cose, binomi i cui elementi non possono essere scissi nell’idea di poesia maturata da Sereni a contatto specialmen-te con la poetica montaliana, come illustra la mirabile recensione alle Occasioni scritta nel 1940 (In margine alle «Occasioni», anche questa poi in Letture prelimi-nari). Esercitandosi sui «fatti della vita» (l’esperienza, cui Sereni non rinuncia mai come oggetto privilegiato dei suoi versi), la poesia montaliana si mostra «arrende-vole […] alla possibilità d’esistere» degli oggetti; non si autorizzano perciò «una retorica e un gusto montaliani attraverso una riduzione operata nel suo mondo»:

Ma la verità è che, al di fuori di Montale e a sua insaputa, si erano venuti for-mando una retorica e un gusto montaliani attraverso una riduzione operata nel suo mondo da parecchi lettori e imitatori, attenti al lato apparentemente voluttuoso di quella poesia. Si era arrivati cioè a una frammentazione di versi e di immagini, a una scelta di oggetti da riutilizzare, di paesaggi favorevoli alle suggestioni di una più recente lirica per così dire edonistica, negli sfondi, nelle situazioni, nell’ispirazione stessa. Un tale criterio di selezione scaturiva da un gusto impressionistico del tutto periferico, fine a se stesso, lontano da quello assolutamente necessario e conseguente di Montale, «unico» scrive Sergio Solmi «dei nostri maggiori lirici d’oggi che abbia fruttato a pieno l’esperienza dell’im-pressionismo lirico moderno»11.

(21)

712 NICCOLÒ SCAFFAI

4. Dalla schiera anonima degli imitatori, si staccano i coetanei a cui Sereni dà il credito maggiore: Luzi e Bertolucci in primis. Di Bertolucci, a proposito della sua prima raccolta (Sirio, 1929), Sereni scrisse:

Bertolucci esordiva dunque quasi alla macchia in un periodo in cui il gusto che venne poi detto ermetico era ben lungi dall’aver assunto agli occhi dei lettori e poeti in erba – e tanto più del pubblico – una precisa fisionomia. Dà l’impres-sione di non aver dovuto fare i conti con alcun fatto costituito, di aver potuto evitare di colpo la parte più mortificante del primo tirocinio.

Chi scrive lesse per la prima volta Bertolucci nel 1936 e fu colpito dal trovarlo tanto libero, tanto poco preoccupato della parola essenziale, della carica evocati-va, dell’analogia, del «canto» (erano allora i termini che correvano confusamente tra i giovani)…12.

Quel «fatto costituito» – espressione molto vicina all’altra, «orizzonte preco-stituito», di cui già si è detto – è proprio ciò che provoca nel poeta l’ansia d’inap-partenenza rispetto al «gusto ermetico», con il quale aveva dovuto fare i conti il giovane Sereni e che torna a definirsi sotto l’emblema dell’essenzialità. Proprio a Bertolucci, in una lettera dell’ottobre 1941, spiegava infatti lo sforzo, il «bi-sogno di vincere un ostacolo sordo e anonimo»13 che caratterizzava il suo essere

poeta, diversamente da Gatto e dal Luzi di Un brindisi.

Più complessa e articolata anche nel tempo è appunto la prospettiva sere-niana sulla poesia di Mario Luzi. Quel Luzi che – dapprima come esponente dell’ermetismo più «ardito» (Mengaldo), poi come modello e compagno sul-la strada oltre il lirismo – rappresenta per Sereni sul-la più importante figura di ri-specchiamento: «la sua poesia, nel succedersi delle sue fasi – ha scritto Sereni – è un motivo di riscontro ricorrente a scadenze più o meno lunghe: se non altro per forza di confronto aiuta a fare il punto su se stessi, specie se coetanei, e in un certo senso lo impone»14. Il discorso sereniano intorno a Luzi si svolge

prin-cipalmente attraverso tre prose critiche, pubblicate l’una a distanza di quattor-dici anni dall’altra: la prima si intitola Poeti nuovi (1941, in «Tempo»); la secon-da Persuasiva maturità (1955, su «La fiera letteraria»); la terza, secon-da cui è tratta la citazione poco sopra, è intitolata Aiuta un po’ tutti a fare il punto su se stessi (sul «Corriere della Sera» del 20 maggio 1979; il titolo, evidentemente redaziona-le, è però anche il più eloquente). Se già il Luzi della Barca (1935) e di Avvento notturno (1940) appare a Sereni chiaramente irriducibile al «maligno e spesso poco intelligente gioco dei raffronti diretti», permangono tuttavia in certe sue

12 La capanna indiana (1951), in Letture preliminari; il brano citato si legge ora in V. Sereni,

Poesie e prose cit., pp. 835-836.

13 Lettera del 25 ottobre 1941, in Attilio Bertolucci, Vittorio Sereni, Una lunga amicizia.

Lettere 1938-1982, a cura di Gabriella Palli Baroni. Prefazione di Giovanni Raboni, Milano,

Garzanti, 1994, p. 43.

(22)

poesie e situazioni il «materiale archeologico» e un’«intenzionale arcaicità» les-sicale15. Sereni, cioè, avverte anche attraverso Luzi il problematico dualismo di

letteratura ed esperienza che riguarda tutta la sua riflessione teorica e critica, e che sostanzierà le riflessioni metapoetiche espresse in molti dei suoi testi mag-giori, da I versi negli Strumenti umani fino a Un posto di vacanza. La percezione di questo dualismo può esser fatta risalire all’insegnamento di Antonio Banfi; in particolare all’istanza etica e al «senso di una responsabilità pratica»16 che

op-pongono la coscienza critica e l’azione da un lato, alla trasfigurazione poetica e alla retorica dall’altro.

Nell’ambito delle prose critiche, il tema si trasmette dagli scritti giovanili, come il primo articolo su Luzi, fino ai saggi ultimi e maggiori: tra tutti, quello in-titolato Il lavoro del poeta, concepito come conferenza alla Fondazione «Corrente» nel 1980. Lì i termini del dualismo sono da un lato la «volontà di espressione», dall’altro l’«elemento formale»:

Per tornare al lavoro del poeta, intendendo per lavoro la fase di gestazione e in parte di manipolazione che ho cercato di sottoporre al vostro interesse, vorrei soffermarvi un momento su certe parole di Valéry che vedo opportunamente ci-tate da Maria Corti nel suo libro sui Principi della comunicazione letteraria. Dice Valéry: / «E a volte è una volontà di espressione ad aprire la partita, un bisogno di tradurre ciò che si sente; ma a volte, al contrario, è un elemento formale, un abbozzo di espressione a cercare a sé la propria causa, a cercarsi un senso nello spazio dell’anima… Osservate bene questa possibile dualità di esordio: talvol-ta qualcosa cerca di esprimersi, talvol-talaltra un qualche mezzo di espressione vuole qualcosa da servire». / Oserei dire che in questa dualità sono riducibili, rientrano comodi i vari comportamenti, voglio dire i vari modi di apprestarsi al lavoro poetico. / È il caso di privilegiare, magari in sede di valutazione, uno dei due termini di quella dualità? A me non pare. Tanto più che essi non di rado si con-trappongono o anche convivono o anche si alternano lungo il corso complessivo di una singola esperienza: di questo o di quel poeta17.

Una felice equivalenza dei due termini è proprio ciò che caratterizza la po-esia del Luzi maturo, come risulta dal secondo scritto dedicatogli da Sereni (Persuasiva maturità):

Dal libretto giovanile – La barca – a queste Primizie quanta strada! E insieme che esperienza di poeti, che assiduità, che penetrazione. L’esercizio letterario e la vicenda interiore, che nel lungo e intenso tirocinio potevano apparire spaiate per qualche tratto, col sospetto non infrequente di una sovrapposizione della

15 Poeti nuovi, in V. Sereni, Poesie e prose cit., p. 1079.

16 Antonio Banfi, Poesia, in «Corrente», 15 giugno 1939 (citato in Francesca D’Alessandro,

L’opera poetica di Vittorio Sereni, Milano, Vita e Pensiero, 2010, p. 21).

(23)

714 NICCOLÒ SCAFFAI

prima sulla seconda, oggi si presentano intrecciate e fuse. A un punto tale che sempre anche là dove pare di cogliere una eco, una non del tutto assorbita fre-quentazione di un testo, qualcosa avverte che c’è dell’altro e che il rilievo ha un senso solo in funzione d’un fatto più radicale, traducibile in dati di storia dell’anima18.

5. Per Sereni, il «brodetto postermetico» implica il rischio di attuare la scisso-ne tra letteratura ed esperienza. Ma del resto non è l’unico gusto poetico esposto a questa critica; persino le correnti sorte come reazione all’ermetismo, quando si fissano in moda, separano pericolosamente l’invenzione dall’esperienza. «Debbo dunque chiarire – ha scritto Sereni nella prosa Ciechi e sordi (1962, Gli imme-diati dintorni) – che se rifiuto c’è»,

esso riguarda l’irrigidimento in un’abitudine, il cliché in cui si sta freddando il fervore intellettuale che intorno al ’50 ha «reagito all’ermetismo», la moda che sembra ormai aver preso il sopravvento e che finisce coll’essere sorda e cieca, col perdere il fiuto e il gusto diretto, non mediato, dell’esperienza e dei semplici o complessi dati che essa offre. Se invito c’è, esso riguarda appunto il rispet-to dell’esperienza e del rapporrispet-to di questa con l’invenzione: quel particolare rapporto per cui ogni cosa scritta, ogni poesia, ogni racconto, ogni romanzo e addirittura capitolo di romanzo, ogni film entra nella rete delle relazioni come individuum, con una faccia sua propria; e pone problemi particolari, di volta in volta, a chi li produce, tali che ne deve comunque tener conto chi li esamina19.

Quel che si intravede nella prospettiva critica di Sereni è dunque una sor-ta di teoria ciclica delle poetiche novecentesche, peraltro coerente con la strut-tura fondamentalmente evolutiva del pensiero modernista sull’arte e sullo stile. L’adesione a una corrente, sia questa pure l’ermetismo, è riscattabile agli occhi di Sereni solo se l’atteggiamento nei confronti del gruppo, della scuola, non appa-re banalmente epigonico, ma cosciente e allusivo. È il caso del giovane Luciano Erba, di cui Sereni recensisce Linea K. (1951, su «Milano-Sera»: Questi anni visti da due poeti): «Sarebbe facile – scrive Sereni – sbarazzarsene come d’un “erme-tico” della quarta o della quinta generazione. Niente di più ingiusto, in realtà»,

se non per chi sia avvezzo a dividere il mondo in due fette e con esso la poesia. Non che gli oggetti, le immagini, i miti ormai familiari al pubblico della poesia di questi anni non si ritrovino nelle poesie di Erba: ma si ritrovano sfigurati e stremati, nell’esatto punto della loro crisi. Costituiscono la magra pastura di una giovinezza cui non mancavano sangue, umori e appetiti e che sembra essere ve-nuta troppo tardi (la sua occasione temporale è ancora quella degli anni ’43-45 e immediatamente successivi) a chiedere la sua parte: tra pareti fredde, case in

ro-18 Ivi, pp. 1082-1083. 19 Ivi, p. 629.

(24)

vina, binari divelti […]. / Laddove altri hanno identificato il proprio cammino lungo le linee d’un linguaggio già dato, adattandovisi secondo il temperamento, Erba ha reagito, con le risorse della malizia e dell’impertinenza, nel cuore di un ossequio simulato; ha operato una piccola ribellione rispetto al corpo costituito e vulgato della poesia odierna. Il che gli ha consentito di rendere evidente e di puntualizzare nei versi la coincidenza tra il mutare dei tempi e la crisi del germe poetico caduto dall’opera dei «maggiori» nel suo come in altri giovani spiriti: pareti fredde, case in rovina, binari divelti, hanno trovato in lui una poesia sgretolata, smozzicata quel tanto che basta a renderla concretamente espressiva, intonata a ciò che canta o meglio riferisce ammiccando20.

6. I termini e i concetti dello scritto Ciechi e sordi sono molto vicini a quel-li poi sviluppati nel saggio Il lavoro del poeta. Saggio su cui occorre tornare, per metterne in luce ancora un passaggio, da leggere in filigrana rispetto alla pro-spettiva di Sereni di fronte all’ermetismo. Commentando i versi ungarettiani di Commiato («Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nel-la mia vita / come un abisso»), Sereni ne fa l’emblema delle due azioni comple-mentari che caratterizzano, appunto, il lavoro del poeta: il cercare e il trovare, a loro volta corrispondenti grosso modo al momento volontario e a quello spon-taneo della creazione poetica. Scrive Sereni:

I pochi versi che ho citato formano una linea di cresta, si pongono come un cri-nale tra due versanti di sperpero – precedente e successivo – della parola, hanno costituito una sorta di abito mentale, ma anche di condizionamento e di remora espressiva, per almeno due generazioni: a guardar bene, quando Quasimodo scriveva «avara pena tarda il tuo dono / in questa mia ora / di sospirati abban-doni» non rincarava forse la dose fornendo al tempo stesso la versione vulgata della confessione ungarettiana? […] Essa contempla l’insinuarsi nel testo della coscienza dell’atto poetico come fenomeno ed evento e dei modi di questo. […] Ma quando la coscienza del fenomeno e dei suoi modi fa corpo e testo e addirittura la riflessione sul farsi del testo si pone come oggetto del testo stesso, eccoci allora davanti a un sintomo ricorrente e tipico del nostro tempo, a volte in modi inquietanti per non dire prevaricanti21.

Attraverso Ungaretti e soprattutto attraverso Quasimodo, Sereni sembra vo-lersi tenere ancora nei paraggi dell’ermetismo, prolungandone le implicazioni di poetica fin dentro la fase estrema della propria scrittura e della propria rifles-sione, introducendone le istanze fin nel cuore di una stagione culturale ormai post-moderna. I due «versanti di sperpero» della parola possono esprimere l’uno le ragioni profonde ed implicite del testo; l’altro l’esibizione, già tutta esplicita e letterariamente cosciente, di quelle ragioni. La poesia, continua a dire Sereni,

20 Ivi, pp. 1063-1064. 21 Ivi, p. 1127.

(25)

716 NICCOLÒ SCAFFAI

sta su un crinale su cui tuttavia è difficile attestarsi e che viene ciclicamente sca-valcato, una generazione poetica dopo l’altra, proprio nel tentativo – destinato a rivelarsi presto velleitario e manierista – di attenersi a un abito ideale e di ob-bligarsi a una remora espressiva.

È quel che sarebbe accaduto agli ermetici. L’ermetismo – lo si comprende meglio, infine – vale allora per il poeta degli Strumenti umani come una cate-goria al tempo stesso assoluta e fondata su un’idea di progressione storica; uno spazio vuoto di individui, ma colmo dei concetti che motivano la scrittura poe-tica sereniana. Sarà anche per questo che la riflessione cripoe-tica di Sereni non ces-sa, nell’arco di un quarantennio, di interpellare l’ermetismo, risolvendosi – spe-cialmente negli ultimi anni – in un atteggiamento che somiglia a un esame di coscienza. Quel sintomo «inquietante» e «prevaricante» del nostro tempo, cioè la «riflessione sul farsi del testo» che è «oggetto del testo stesso», non è forse il nodo intorno a cui si sviluppano l’ultimo libro di Sereni e soprattutto la sua se-zione più ampia e impegnativa, Un posto di vacanza? Un nodo di contraddizio-ni – come è contraddittoria l’ansia d’inappartenenza che abbiamo descritto – in cui l’ambizione e il rifiuto convivono. Nel quinto movimento del poemet-to, Sereni scrive:

Pensavo, niente di peggio di una cosa

scritta che abbia lo scrivente per eroe, dico lo scrivente come tale, e i fatti suoi le cose sue di scrivente come azione.

Non c’è indizio più chiaro di prossima vergogna: uno osservante sé mentre si scrive

e poi scrivente di questo suo osservarsi.

Anche di questo, cioè dello scrivere come azione e della vergogna di farlo, parla Un posto di vacanza. La reazione di fronte al rischio di un’espressione sen-za esperiensen-za, già associato a un indistinto gusto ermetico, consiste in una mag-giore inclusività. La disponibilità di Stella variabile verso la presenza e la voce di personaggi, temi, testi e occasioni, è una scommessa sull’esperienza. Non è una forma di assuefazione al mondo o alla storia, ma la conseguenza di un dubbio, di un problema che riguarda il ruolo della scrittura e la sua legittimità conosci-tiva. Un problema che, attraverso i versi di Sereni e le sue riflessioni sull’erme-tismo, continua a interrogarci.

(26)

Tra il 1930 e il 1945 un gruppo di giovani dette vita a Firenze a una delle più felici stagioni letterarie del nostro Novecento. Molti di loro si riconobbero in una dizione comune, marcata da un immaginario condiviso, e nel silenzioso dissenso dalla reto-rica del regime, alla quale venivano contrapposti la radicalità dell’istanza etica e il legame profondo con le radici giudaico-cristiane, romanze, romantico-simboliste della civiltà euro-pea. A cento anni dalla nascita dei suoi protagonisti (Mario Luzi, Piero Bigongiari, Alessandro Parronchi, Vittorio Bodini) ancora ci si chiede cosa sia stato l’ermetismo, come sia nato, cosa l’abbia contraddistinto. Cercare come si sia modificato, perché sia stato circondato da pregiudizi e avversione (come fanno i due imprescindibili volumi che raccolgono gli atti di un memorabile convegno nel quale Anna Dolfi ha coinvolto studiosi provenienti da ogni parte del mondo), porta a trac-ciare un quadro/ritratto degli autori dell’ermetismo, dei suoi critici (Bo, Macrí), amici (il compagno di generazione Vittorio Sereni), estimatori e/o detrattori, e a delimitare i confini di un complesso capitolo della storia italiana iniziata con il fascismo e conclusa, di recente, con la caduta delle ideologie. Assieme ai suoi ‘attori’, in posizione di rilievo è Firenze, la città che fu risvegliata per qualche decennio alla grandezza del passato da una nuova passione, fatta di cultura, creatività ed intelligenza. insegna all’Università di Firenze Letteratura italiana moderna e contemporanea ed è socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Tra i migliori studiosi di Leopardi e di narrativa e poesia del Novecento (gli autori dell’ermetismo sono da sempre al centro del suo lavoro), ha progettato e curato volumi di taglio comparatistico dedicati alle «Forme della soggettività», sulle tematiche del journal intime, della scrittura epistolare, di malinconia e malattia malinconica, di nevrosi e follia, di alterità e doppio nelle letterature moderne, dedicando recenti raccolte alla saggistica degli scrittori, alla riflessione filosofica nella narrativa, al non finito, al mito proustiano, alle biblioteche reali e immaginarie, al rapporto tra letteratura e fotografia.

A

nn

a D

ol

Riferimenti

Documenti correlati

La poesia deve essere dotata di un forte senso allusivo.

The RE scoring on the PSG signals was done through Rem- Logic software (Embla Systems limited liability company) with an automatic procedure that detects REs from the nasal

permeata dalla cultura italiana anch’egli si trova indotto a migliorare le sue conoscenze linguistiche: «Per ora non ho avuto occasione, a eccezione della ricordata riunione [in

Full peak efficiency (FPE) values at different γγ lines were first experimentally determined for the Torino chondrite (a stony meteorite, fallen in 1988 in Torino; fragment A, 445 g)

Successively, we were able to embed a perovskite thin film as a cavity layer within a polymer microcavity, achieving a Q factor of 155 and employing perfluorinated protective layers

This chapter has provided an overview of the new scenarios enabled by the seamless integration between humans and intelligent technology. This synergistic interaction allows for

genitori, ed i soldati, anche i più esperti, si riscuotono di fronte alle angustie e ai pericoli, incoraggiati dal valore superiore che essi hanno

Vite da vino Peronospora, con attività collaterale verso Muffa grigia 1,8 - 2 kg/ha 28 giorni.. Pomodoro Peronospora, con attività collaterale verso