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Analisi tramite simulazione del sistema kanban in una supply chain multiprodotto

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Academic year: 2021

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(1)

POLITECNICO DI MILANO

Facoltà di ingegneria industriale e dell’informazione

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale

ANALISI TRAMITE SIMULAZIONE DEL SISTEMA KANBAN

IN UNA SUPPLY CHAIN MULTIPRODOTTO

Relatore: Prof. Alberto Portioli Staudacher

Tesi di Laurea di:

Monti Luca Matr. n. 820664 Pedraglio Paolo Matr. n. 820618

(2)

Indice

1. Introduzione ... 13

2. Abstract ... 14

3. Analisi della letteratura e background teorico ... 15

3.1 Supply chain management ... 15

3.1.1 Il modello GSCF ... 18 3.1.2 Il modello SCOR ... 26 3.2 Visibility………... 30 3.2.1 Soluzioni organizzative... 32 3.2.2Tecnologie abilitanti...34 3.2.3 Effetto bullwhip………..…….36 3.2.4 Approfondimenti e modelli ……….……..37 3.3 lean management ………..…….41

3.3.1 Le origini del lean managment ………..…….42

3.3.2 I prencipi lean ………..……...47

3.4 Il sistema kanban ………60

3.4.1 Le varianti del sistema kanban ……….62

3.4.2 Numero e dimensionamento dei kanban ………..…....68

3.4.3 Approcci alternativi di PPC ………...…71

3.5 Lean supplì chain ………75

3.5.1 LSCM frame work ………..…75

3.5.2 Strategie di supplì chain ………...78

4. La simulazione ………...….82

4.1 Modellazione di una SC tramite il software Arena ………91

5. Tesi e domande di ricerca ………93

(3)

7. Modello di ricerca ………95

7.1 Il modello multi prodotto ………95

7.2 Varianti del modello ………..97

7.2.1 il lotto economico (EOQ) ……….97

7.2.2 Il modello visibilità ………99

7.2.3 il modello kanban ………..100

7.3 Il modello monoprodotto di riferimento ………103

7.4 descrizione dell’esperimento ………..106

8.Descrizione dei risultati ……….110

8.1 Il modello multi prodotto ………..110

8.1.1 I livelli di inventory ………..110

8.1.2 I trasporti ………119

8.1.3 Costo totale ……….………128

8.2 Confronto tra i modelli multi prodotto e monoprodotto ……….136

8.2.1 Il modello EOQ ……….137

8.2.2 Il modello visibilità………138

8.2.3 Il modello kanban ……….140

8.2.4 Approfondomento sulla logica di visibilità ……….148

8.2.5 Approfondimento sulla definizione del tempo di set up …….150

9. Conclusioni ………..158

10. Sviluppi futuri ………170

11. Bibliografia ……….171

(4)

Indice delle Figure

Figura 1: Integrare e gestire i processi di business lungo la supplì chain…..…19

Figura 2: I quattro livelli del modello SCOR………... 28

Figura 3: Livello due del modello SCOR……….... ……29

Figura 4: La “lean house”………...53

Figura 5: Rappresentazione di un sistema kanban a due cartellini………. 61

Figura 6: Framework concettuale………..77

Figura 7: Struttura della supply chain………95

Grafico 1: Modello utilizzato………...191

Figura 9: Particolare, distributor……….192

Figura 10: Particolare secondary manufacturer………..193

Figura 11: Particolare, blocchi di gestione, Tabelliere………..194

Indice dei Grafici

Grafico 1: Distribuzione normale di un generico prodotto nel caso di CV=0.8. 106 Grafico 2: Andamento delle scorte al variare del livello di servizio……….110

Grafico 3: Beneficio della logica lean rispetto a EOQ in termini assoluti……..111

Grafico 4: Benefici della logica lean rispetto a EOQ in termini percentuali…111 Grafico 5: Benefici della logica lean rispetto a VIS in termini assoluti……...112

Grafico 6: Benefici della logica lean rispetto a VIS in termini assoluti………112

Grafico 7: Benefici della logica lean rispetto a VIS in termini assoluti……….112

Grafico 8: Andamento delle scorte nella politica lean per i diversi CV al variare del LS………...113

Grafico 9: Andamento delle scorte nella politica EOQ per i diversi CV al variare del LS………...114

(5)

Grafico 10: Livelli di inventory al variare del coefficiente di variazione per bassi

LS………..115

Grafico 11: Livelli di inventory al variare del coefficiente di variazione per alti

LS………..115

Grafico 12: Beneficio della logica lean rispetto a eoq in termini assoluti al variare

di CV per bassi LS………..116

Grafico 13: Beneficio della logica lean rispetto a eoq in termini percentuali al

variare di CV per bassi LS……….116

Grafico 14: Beneficio della logica lean rispetto a eoq in termini assoluti al variare

di CV per alti LS ………….………..117

Grafico 15: Beneficio della logica lean rispetto a eoq in termini percentuali al

variare di CV per alti LS ………….……….117

Grafico 16: Numero di trasporti totali al variare del livello di servizio………..119 Grafico 17: Numero di trasporti totali tra SM e distributor al variare del livello di

servizio………..119

Grafico 18: Numero di trasporti totali tra PM e Sm al variare del livello di

servizio………....120

Grafico 19: Numero di trasporti totali FTL al variare del LS……….………....120

Grafico 20: Numero di trasporti totali LTL al variare del LS……….………....121

Grafico 21: Beneficio in termine di numero di trasporti di EOQ agg rispetto a lean

al variare dell’LS……….………....123

Grafico 22: Beneficio di EOQ con trasporto aggregato rispetto a lean al variare del

cv per bassi LS……….………...126

Grafico 23: Beneficio di EOQ con trasporto aggregato rispetto a lean al variare del

cv per alti LS………..………….………....126

Grafico 24: Andamento del costo totale all’aumentare del livello di

servizio……….……….………....128

Grafico 25: Beneficio di lean rispetto a EOQagg al variare dl livello di servizio129 Grafico 26: Beneficio percentuale di lean rispetto a EOQ agg al variare di

p(politica di costo dei trasporti in funzione del costo unitario dei pezzi………131

Grafico 27: Curve di break even del beneficio tra lean e EOQ agg al variare del

(6)

Grafico 28: Beneficio percentuale di lean rispetto a EOQ agg al variare di

p(politica di costo logistico in funzione del numero di

trasporti…….…..……….…132

Grafico 29: Beneficio assoluto in termini di costo della lean rispetto a EOQ agg al

variare del cv per bassi LS(politica di costo dei trasporti in funzione del costo unitario dei pezzi ……….…133

Grafico 30: Beneficio assoluto in termini di costo della lean rispetto a EOQ agg al

variare del cv per alti LS(politica di costo dei trasporti in funzione del costo unitario dei pezzi ……….……….…133

Grafico 31: Beneficio assoluto in termini di costo della lean rispetto a EOQ agg al

variare del cv per bassi LS(politica di costo logistico in funzione del numero di trasporti……….…134

Grafico 32: Beneficio assoluto in termini di costo della lean rispetto a EOQ agg al

variare del cv per alti LS(politica di costo logistico in funzione del numero di trasporti……….…134

Grafico 33: Andamento delle scorte di EOQ all’aumentare di LS nel caso mono e

multi……….…136

Grafico 34: Andamento delle scorte di VIS all’aumentare di LS nel caso mono e

multi……….…137

Grafico 35: Andamento delle scorte di VIS e EOQ all’aumentare di LS nel caso

mono e multi……….…138

Grafico 36:Andamento del beneficio percentuale della riduzione del lotto per mono

e multi……….…139

Grafico 37:Andamento delle scorte per le diverse politiche nel caso

multi-prodotto….……….…142

Grafico 38:Andamento delle scorte per lean medio nel caso multi-prodotto per tutti

i CV….……….…143

Grafico 39:Andamento delle scorte per lean medio nel caso mono-prodotto per

tutti i CV….………,,……….…143

Grafico 40:Andamento delle scorte per lean medio e EOQ nel caso

mono-prodotto per tutti i CV….……….…144

Grafico 41a):Andamento delle scorte per lean medio e EOQ nel caso

(7)

Grafico 41b):Andamento delle scorte per lean 0.2 nel caso mono e multi-prodotto

per tutti i CV….………..…146

Grafico 42:Andamento delle scorte di EOQ e VIS multi (con regola di visibility del

monoprodotto)..………..…148

Grafico 43:Andamento delle scorte nella casistica A con cv 04…………..…152 Grafico 44:Andamento delle scorte nella casistica B con cv 04…………..…152 Grafico 45:Andamento delle scorte nella casistica A per ogni cv…………..…153 Grafico 46:Andamento delle scorte nella casistica B per ogni cv…………..…153 Grafico 47:Andamento della media delle curve lean multiprodotto per i cv 08 06

04……….…………..…165

Grafico 48:Andamento della media delle curve lean monoprodotto per i cv 08 06

04……….…………..…165

Grafico 49:Andamento delle curve EOQ multiprodotto per i cv 08 06

04……….…………..…166

Grafico 50:Andamento delle curve EOQ monoprodotto per i cv 08 06

04……….…………..…166

Grafico 51:Incrementi percentuali delle sciorte, rispetto al livello base

92%...……….…………..…167

Grafico 52:Incrementi percentuali delle sciorte delle politiche lean 1 e 02, rispetto

al livello base 92%...………..…168

Grafico 53:Andamento delle scorte al variare dell’LS nel caso

cv06...……….…182

Grafico 54:Andamento delle scorte al variare dell’LS nel caso

cv04………....……….…183

Grafico 55:Beneficio assoluto di lean rispetto a EOQ al variare dell’LS in caso di

cv 06……….…183

Grafico 56:Beneficio percentuale di lean rispetto a EOQ al variare dell’LS in caso

di cv 06……….…184

Grafico 57: Beneficio assoluto di lean rispetto a EOQ al variare dell’LS in caso di

cv 04…..……….…184

Grafico 58: Beneficio percentuale di lean rispetto a EOQ al variare dell’LS in caso

di cv 04……….…185

Grafico 59:Andamento dei trasporti all’aumentare dell’LS in caso di cv

(8)

Grafico 60:Andamento dei trasporti tra PM e SM all’aumentare dell’LS in caso di

cv 06………,……….…186

Grafico 61:Andamento dei trasporti tra SM e D all’aumentare dell’LS in caso di cv

06………,……….…186

Grafico 62:Andamento dei trasporti FTL all’aumentare dell’LS in caso di cv

06………,……….…187

Grafico 63:Andamento dei trasporti LTL all’aumentare dell’LS in caso di cv

06………,……….…187

Grafico 64:Trasporti beneficio lean agg vs lean…,……….…188 Grafico 65:Benefici delle politiche lean multi rispetto a EOQ passando da cv 08 a

cv 04………,……….…188

Grafico 66:Benefici delle politiche lean mono rispetto a EOQ passando da cv 08 a

cv 04………,……….…189

Indice delle tabelle

Tabella 1: Classificazione dei sistemi kanban……….…64 Tabella 2: Pilastri del LSCM frame work e relativi elementi……….…77 Tabella 3: Pilastri del LSCM frame work e relativi elementi……….…77 Tabella 4: Beneficio percentuale della riduzione dei lotti in termini di

scorte…………..………..……….…111

Tabella 5: Valore di saturazione dei veicoli trasportati in LTL tra PM e SM al

variare di livello di servizio(EOQ, VIS)……….…..……….…122

Tabella 6: Valore di saturazione dei veicoli trasportati in LTL tra SM e D al variare

di livello di servizio(LEAN)……….…..……….…123

Tabella 7: Valore di saturazione dei veicoli trasportati in LTL tra SM e D al variare

di livello di servizio(EOQ, VIS)………..……….…..……….…123

Tabella 8: Valore di saturazione dei veicoli trasportati in LTL tra PM e SMal variare

di livello di servizio(LEAN)….………..……….…..……….…123

Tabella 9: Valore del rapporto p al variare del costo logistico……….…131 Tabella 10: Valore dei trasporti tra SM e D al variare del LS con cv 08…..…136 Tabella 11: beneficio in termini assoluti di lean rispetto a EOQ al variare di cv e

(9)

Tabella 12: beneficio in termini percentuali di lean rispetto a EOQ al variare di cv e

LS………...…142

Tabella 13: Differenza di scorte tra EOQ e VIS (con regola di visibilità del

monoprodotto)………...…149

Tabella 14: Confronti tra casistiche A e B………...…155 Tabella 15: Confronti tra casistiche A e B riguardanti la riduzione del lotto in

lean………...…156

Tabella 16: Confronti tra casistiche A e B in termini percentuali (EOQ)..…...…157 Tabella 17: Confronti tra casistiche A e B in termini percentuali (VIS)..…...…157 Tabella 18: Differenza tra scorte EOQ e lean al variare di LS………...…...…158 Tabella 19: Differenza tra trasporti EOQ e lean al variare di LS………...…...…159 Tabella 20: Differenza tra trasporti EOQ e lean al variare di LS………...…...…159 Tabella 21:Guadagno di scorte assoluto della politica lean rispetto a EOQ...…161 Tabella 22:Guadagno di scorte percentuale della politica lean rispetto a EOQ…161 Tabella 23:Guadagno di scorte assoluto della politica lean rispetto a VIS…162 Tabella 24:Guadagno di scorte percentuale della politica lean rispetto a VIS…162 Tabella 25:Guadagno di scorte assoluto della politica lean rispetto a EOQ…163 Tabella 26:Guadagno di scorte percentuale della politica lean rispetto a EOQ…163 Tabella 27:Guadagno di scorte assoluto della politica lean rispetto a VIS…164 Tabella 28:Guadagno di scorte percentuale della politica lean rispetto a VIS…164 Tabella 29:Guadagno di scorte assoluto della politica lean rispetto a EOQ al

diminuire del lotto………..…164

Tabella 30:Guadagno di scorte percentuale della politica lean rispetto a EOQ al

diminuire del lotto………..…165

Tabella 31:Incrementi percentuali delle scorte delle politiche lean1 e lean medio

rispetto al livello base 92%.………..…168

Tabella 32:Incrementi percentuali delle scorte delle politiche lean1 e lean2 rispetto

al livello base 92%.……….…169

Tabella 33:Livelli di inventory per le varianti del modello in caso di cv 08

……….…182

Tabella 34:Livelli di inventory per le varianti del modello in caso di cv 06

……….…182

Tabella 35:Livelli di inventory per le varianti del modello in caso di cv 04

(10)

Tabella 36:Dati monoprodotto cv 08………..……….…190 Tabella 37:Dati monoprodotto cv 06………..……….…191

(11)
(12)

1.

Introduzione

L’attuale arena di business in cui le imprese si trovano oggi a competere è caratterizzata da forte turbolenza, instabilità della domanda e della fornitura, decremento del ciclo di vita dei prodotti, globalizzazione spinta. In tale contesto riuscire a soddisfare pienamente i propri clienti e al contempo ridurre i costi è fondamentale per competere con successo sul mercato..

L’approccio lean, nato negli anni ’50 del secolo scorso, con i suoi principi, i suoi strumenti e la sua filosofia, è ancora adesso in grado di migliorare drasticamente le performance delle odierne imprese e delle loro filiere produttive, garantendo proprio quel vantaggio competitivo tanto ricercato.

Questo elaborato ha innanzitutto lo scopo di valutare se l’applicazione della politica lean, implementata attraverso il sistema kanban, in una supply chain multi-prodotto porti benefici rispetto alla logica di produzione basata sul lotto economico e alla politica basata sulla condivisione di informazioni (visibility). A tale scopo è stato costruito e simulato, tramite il software di simulazione Arena, un modello che rispecchiasse una supply chain multi-prodotto gestita sotto queste tre diverse logiche produttive.

Vengono inoltre valutati gli impatti, sulle performance della filiera, dell’aumento della variabilità della domanda e della politica di riduzione di lotto nel sistema kanban.

L’elaborato dimostrerà che attraverso l’introduzione del sistema kanban si può garantire un risparmio finanziario lungo tutta la supply chain.

I risultati ottenuti dalla simulazione verranno poi confrontati con quelli relativi a una supply chain mono-prodotto operante sotto le medesime logiche. Tale analisi dimostrerà che la politica lean in una filiera multiprodotto, confrontata con un contesto mono-prodotto, ottiene risparmi maggiori, rispetto a una logica basata sul lotto economico o sulla visibility.

(13)

2. Abstract

Nowadays the firms are competing in a very turbolent landscape characterized by unsteady demand and supply, product lifecycle decrease and hard globalization. In such a business background the focus of a firm must be about the total customer satisfation and the cost reduction in order to compete succesfully in the market.

Lean approach, born in 50's, with its principles, tools and philosophy could help actual firms to improve not only their own business performances, but also the supply chain's performances, aiming to reach this competitive advantages.

This thesis aims to assess the benefits of the lean approach, implemented through the kanban system, towards the economic order quantity (EOQ) and the information sharing (visibility) policies, in a multi-product supply chain.

In order to reach this goal, we builded and simulated, through Arena software, a model that represent a multi-product supply chain managed by these three different production and control policies.

In addiction we investigated the effects, on the supply chain performance, of the final demand variability enhancement and the reduction of the batch size in the kanban system. This study proved that the introduction of lean approach could lower the costs throughout the supply chain.

The simulation results are compared with the ones concerning a mono-product model dealing with the same three production and control policies. This analysis proved that kanban system in a multi-product environment, compared with a mono-product context, could reach better performances towards a EOQ or visibility policy.

(14)

3. Analisi della letteratura e background teorico

3.1 Supply chain management

Una supply chain (SC) è costituita da un network di imprese che producono materie prime, le trasformano in beni intermedi e poi in prodotti finiti che vengono consegnati al cliente finale attraverso un sistema di distribuzione.

Negli anni ’50 e ’60 il paradigma produttivo dominante era quello della produzione di massa, caratterizzato da basse varietà e flessibilità, da un processo di sviluppo prodotto molto lento e affidato esclusivamente a tecnologie e capacità interne all’impresa, dall’utilizzo di scorte per sopperire alle operazioni “collo di bottiglia” e quindi per garantire un flusso produttivo bilanciato: in questo contesto la condivisione di informazioni, tecnologie e competenze con fornitori e clienti era considerata poco utile e troppo rischiosa e quindi poca importanza veniva data alla costruzione di relazioni di lungo termine con i propri partner.

Negli anni ’80 l’intensa competizione globale ha portato le grandi imprese a concentrarsi maggiormente su fattori quali flessibilità, qualità, varietà, costo e affidabilità. Molte organizzazioni hanno cominciato a utilizzare l’approccio just in time che, avendo come obiettivi principali la riduzione delle scorte, la disponibilità e la tempestività, ha forzato le imprese stesse a impegnarsi per costruire relazioni buyer-supplier cooperative, strategiche e di lungo periodo.

Essenzialmente il rapporto cliente-fornitore negli ultimi decenni è cambiato drasticamente. Il modello di impresa fortemente integrata verticalmente, che presidia tutte le attività necessarie alla realizzazione e vendita dei propri prodotti, si rivela di successo in contesti competitivi stabili che permettono alle imprese di sfruttare le economie di scala per giustificare gli investimenti elevati caratterizzanti questo tipo di configurazione. L’attuale ambiente competitivo è però molto diverso: l’instabilità dei mercati e il conseguente aumento della variabilità della domanda non permettono più di pianificare investimenti in capacità produttiva che si ripaghino con una saturazione garantita nel lungo periodo (Spina,2012); la riduzione del ciclo di vita dei prodotti

(15)

scoraggia le imprese ad effettuare investimenti elevati; l’aumento della varietà e della gamma dei prodotti, se gestita tradizionalmente, porterebbe alla proliferazione di grandi stabilimenti mono-prodotto destinati alla sottoutilizzazione; la globalizzazione induce le imprese a ricercare fattori produttivi a basso costo, delocalizzando la produzione o rivolgendosi a fornitori in grado di offrire prezzi competitivi; la complessità tecnologica e la conseguente difficoltà di presidio di tutte le competenze necessarie impedisce alle imprese di effettuare tutte le attività in-house; le imprese hanno compreso che una maggiore efficienza delle relazioni e delle pratiche operative tra membri della supply chain dia un ritorno maggiore rispetto a miglioramenti interni.

Questi cambiamenti hanno decretato la fine del modello integrato tipico della produzione di massa e hanno fatto emergere l’importanza della gestione delle relazioni con i propri partner: è nato così il concetto di supply chain management (SCM). Il termine è stato coniato da un gruppo di consulenti nei primi anni del 1980 e ora è diventato un gergo comune nel mondo del business.

È pratica comune sostenere che il SCM non è nato da nulla nel 1980,ma rappresenta un ulteriore step nel processo evolutivo che è iniziato negli anni ’60 e ’70 con il concetto di distribuzione fisica. L’obiettivo era cercare di integrare certi aspetti della logistica esterna che fino a quel momento erano stati trattati separatamente. Infatti fino a poco tempo fa ricercatori e accademici consideravano il SCM non troppo differente rispetto al logistics management, mentre adesso lo stesso Council of Logistics definisce la logistica come “quella parte del processo di supply chain che pianifica, implementa e controlla l’efficiente e l’efficace flusso e stoccaggio di beni, servizi e relative informazioni dal punto di origine al punto di consumo”.

Esistono moltissime definizioni di supply chain management. Scott e Westbrook (Scott,Westbrook,1991) e New e Payne (New, Payne ,1995) descrivono il SCM come la catena che collega ogni elemento del processo di produzione e fornitura dalle materie prime al cliente finale, comprendendo diversi confini organizzativi. Baatz (Baatz,1995) espande il conceto includendo il recycling e il re-use. Il SCM si focalizza su come le imprese utilizzano processi, tecnologie e capacità dei fornitori per accrescere il vantaggio competitivo (Farley,1997).

(16)

In accordo con Christopher (Christopher, 2011), con il termine supply chain management si indica la gestione delle relazioni a valle e a monte con i clienti ed i fornitori al fine di distribuire un valore al cliente superiore al costo dell'intera catena di supporto.

L’Institute for Supply Management lo definisce come il disegno e la gestione dei processi a valore aggiunto e senza interruzioni attraverso i confini organizzativi per incontrare i reali bisogni del cliente finale.

Per il Supply Chain Council significa gestire la fornitura e la domanda, le fonti di materie prime e i prodotti, la produzione e l’assemblaggio, l’immagazzinamento e le scorte, gli ordini, la distribuzione e la consegna al cliente.

Secondo il Global Supply Chain Forum, il SCM è l’integrazione dei processi di business chiave dal cliente finale attraverso tutti i fornitori che forniscono prodotti, servizi e informazioni che aggiungono valore al cliente e agli altri stakeholders.

Correa (Correa,2014) lo definisce più compiutamente come la gestione integrata dei processi di business associati al flusso di beni fisici, asset finanziari e informazioni dal produttore dei primi input all’acquisto del consumatore finale ; ottimizzando la creazione di valore per tutti i clienti -intermediari e finale- e per gli altri rilevanti e legittimi stakeholders della catena (shareholders, impiegati, managers, comunità e governo).

In tutte queste definizioni emerge il concetto di integrazione e coordinamento dei processi lungo la catena: lo scopo del SCM è di consegnare il giusto prodotto e al giusto momento e nel giusto luogo, migliorando il livello si servizio per il cliente finale riducendo al contempo i costi della catena.

Molti autori asseriscono che la competizione nel mercato odierno non è più tra impresa ed impresa ma tra supply chain e supply chain , anche quando le supply chain concorrenti condividono alcuni elementi (ad esempio un fornitore).

Qualsiasi prodotto o servizio consegnato a un cliente, esterno o interno all’organizzazione, è sempre il risultato di un processo di business. Con processo di

(17)

business si intende un insieme di attività che lavorano in maniera coordinata per creare e aggiungere valore al cliente.

La gestione della supply chain richiede un approccio per processi che aiuti a focalizzarsi sui reali bisogni del cliente piuttosto che su interessi funzionali o locali.

I due framework principali che si basano sui processi coinvolti nella supply chain sono il modello GSCF e il modello SCOR.

3.1.1 Il modello GSCF

Il modello GSCF o modello Ohio State University è un framework sviluppato da Douglas Lambert e dal Global Supply Chain Forum (GSCF), un gruppo costituito da imprese non concorrenti e da ricercatori accademici che si incontra periodicamente per discutere di tematiche relative al SCM.

Il concetto si supply chain management da loro proposto è sintetizzato in Figura 1, la quale rappresenta una struttura di supply chain semplificata, il flusso materiale e informativo e i processi chiave di business che penetrano e attraversano trasversalmente i silos funzionali a livello intra- e inter-organizzativo.

(18)

Figura 1: Integrare e gestire i processi di business lungo la supply chain (Lambert,1998)

Il framework consiste di tre elementi:

1. La struttura del network.

Tutte le imprese fanno parte di una supply chain. Quanto di questa supply chain necessita di essere gestita dipende da molti fattori tra cui la complessità del prodotto, il numero di supplier disponibili e la disponibilità di materie prime. Dimensioni da considerare sono la lunghezza della supply chain e il numero di organizzazioni per ciascun livello.

Per molte imprese la supply chain non appare tanto come una catena ma più come un albero sradicato, dove la radici e i rami sono il network di clienti e fornitori: il punto è capire quanti di questi rami e radici devono essere gestiti. Non tutti i collegamenti devono essere fortemente integrati e coordinati: la relazione più appropriata dipende dalle circostanze. È necessario comprendere la configurazione della supply chain, in

(19)

particolare identificando i membri della supply chain, la dimensione strutturale del network e i diversi tipi di collegamenti lungo la catena.

Riguardo al primo elemento, includere tutti i tipi di membri può generare eccessive complessità e risultare controproducente: il suggerimento è di identificare quali sono i membri critici per il successo della catena, a cui allocare maggiori risorse e attenzione. I membri della SC includono tutte le organizzazioni con le quali l’impresa focale interagisce attraverso i suoi clienti e fornitori. Tuttavia, per rendere un network molto complesso più gestibile, è opportuno distinguere tra attori primari e di supporto. Si definiscono membri principali di una catena di approvvigionamento tutte quelle aziende autonome o unità di business

strategiche che svolgono attività a valore aggiunto (operativa e/o manageriale) nei loro processi aziendali al fine di produrre un output specifico per un particolare cliente o mercato. Al contrario, i membri di supporto sono aziende che semplicemente forniscono risorse, conoscenze, utilities o beni per i membri principali della catena di approvvigionamento.

Non è sempre facile distinguere tra membri primari e secondari, in quanto un’impresa può svolgere un ruolo primario per un processo e uno secondario per un altro. Comunque questa definizione permette di definire il punto di origine e il punto di consumo della catena: il punto di origine è quello per cui non esiste nessun precedente fornitore primario

mentre il punto di consumo è quello oltre il quale non viene più aggiunto valore e il prodotto/servizio viene consumato.

Per quanto riguarda le dimensioni strutturali del network, bisogna considerare la struttura orizzontale, quella verticale e la posizione dell’impresa focale all’interno della catena. La struttura orizzontale si riferisce al numero di livelli mentre la struttura verticale al numero di clienti/fornitori per ogni livello. La posizione dell’impresa focale può essere vicina al cliente finale o alle primarie fonti di sourcing. Ovviamente ogni società ha una prospettiva diversa e vede se stessa come impresa focale, perciò è necessario comprendere realmente il proprio ruolo anche in funzione delle diverse

(20)

catene in cui è presente. Una modifica nel numero di clienti/fornitori può modificare la struttura del network, ad esempio passare da una strategia multiple-sourcing a una single-sourcing può restringere la catena e delegare in outsourcing alcune attività può incrementarne la lunghezza e ampiezza e cambiare la posizione dell’impresa focale.

2. I processi di business.

Per costruire supply chain di successo è necessario passare dalla gestione di funzioni individuali all’integrazione di attività tramite alcuni processi chiave:

Processo di customer relationship management.

Il primo passo verso una SCM integrata è quello di individuare i clienti o gruppi di clienti chiave, cioè ritenuti particolarmente importanti dall’impresa per i raggiungimento dei propri obiettivi di business. Gli accordi che specificano i livelli di prestazione per i prodotti e i servizi sono stabiliti con questi gruppi di clienti chiave. Il team di customer service lavora con i clienti per cercare di identificare e eliminare le fonti di variabilità della domanda. La valutazione delle performances vengono effettuate per analizzare i livelli di servizio fornite ai clienti e la redditività dei clienti;

Processo di customer dervice management.

Il customer service identifica la fonte di informazioni sui clienti. Essa diventa il punto di contatto per l'amministrazione degli accordi di prodotto/servizio. L'assistenza clienti fornisce al cliente informazioni in tempo reale sul processo di spedizione e sulla disponibilità del prodotto tramite interfacce con i processi di

produzione e distribuzione. Infine, il servizio clienti del gruppo deve essere in grado di assistere il cliente con le

applicazioni del prodotto;

Processo di gestione della domanda.

Le scorte lungo la filiera possono essere considerate” essenziali” o in alternativa variability-driven. Gli stock essenziali includono work-in-process nelle fabbriche e i prodotti in transito da stabilimento ad un altro della supply chain. La variabilità

(21)

degli stock è presente a causa della varianza nei processi di fornitura, produzione e nella domanda. La domanda dei

clienti è di gran lunga la principale fonte di variabilità e deriva dall'irregolarità nell'emissione degli ordini da parte dei clienti. Tenuto conto di questa variabilità nell'emissione ordini dei clienti, la gestione della domanda diventa un elemento chiave per un SCM efficace. Il processo di gestione della domanda deve bilanciare le esigenze del cliente con le capacità di approvvigionamento dell'impresa. Una parte della gestione

della domanda comporta il tentativo di prevedere le quantità e il timing con cui i clienti acquisteranno. Un buon sistema di gestione della domanda utilizza punti di vendita e dati provenienti dai clienti chiave per ridurre l'incertezza e fornire flussi efficienti in tutta la catena di fornitura. Vi è anche la possibilità, in applicazioni avanzate, che la domanda dei clienti e la produzione siano sincronizzati per ottimizzare la gestione del magazzino a livello globale;

Processo di evasione dell’ordine del cliente.

La chiave per un efficace SCM consiste nell'adempiere ai bisogni dei clienti. Una corretta esecuzione del processo di evasione degli ordini richiede una efficace integrazione tra i piani aziendali di produzione, di distribuzione e di trasporto. E' necessario stipulare alleanze con i membri chiave della catena di approvvigionamento e i carrier per soddisfare le esigenze dei clienti e ridurre il costo totale di consegna al cliente. L'obiettivo è di sviluppare un processo senza interuzioni dal fornitore all'impresa e poi da lì ai diversi segmenti della sua clientela;

Processo di gestione del flusso produttivo.

Il processo di produzione, nelle aziende make-to-stock, tradizionalmente

prevedeva una politica di gestione della produzione basata sulla previsione della domanda. Gli articoli erano quindi prodotti con una logica push. Spesso la produzione

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operava con un mix sbagliato di prodotti, con conseguente eccedenza di scorte non necessarie e conseguenti eccessivi costi di mantenimento. Con il SCM, il prodotto viene tirato sulla base delle esigenze del cliente. Iprocessi di manufacturing devono essere flessibili per rispondere ai cambiamenti del mercato. Questa flessibilità deve garantire dei bassi tempi di changeover al fine di raggiungere una politica di mass customization.

Gli ordini vengono elaborati su una base di lotti minimi. Le priorità di produzione sono guidate dalle date di consegna richieste. In alcuni casi la pianificazione della produzione può essere gestita dall'azienda insieme ai clienti con l'obiettivo di sviluppare strategie adatte per ogni segmento di clienti. I cambiamenti nel processo manifatturiero

portano all'accorciamento dei tempi di ciclo, questo permette di essere più reattivi nei confronti dei clienti;

Processo di procurement.

I piani strategici sono sviluppati con i fornitori con l'obiettivo di supportare il processo di gestione del flusso produttivo e lo sviluppo di nuovi prodotti. I fornitori sono classificati sulla base di varie dimensioni, come ad esempio il loro contributo e criticità per l'organizzazione. Le alleanze strategiche a lungo termine possono essere sviluppate con una quota parte ridotta e selezionata di fornitori chiave. Il risultato desiderato è un rapporto win-win, in cui entrambe le parti traggano vantaggio da questa relazione. In questo modo si passa dalla logica tradizionale del sistema bid-and-buy, al coinvolgimento di un fornitore chiave già nelle prime fasi del ciclo di progettazione. Ciò può portare ad una drastica riduzione nei tempi di ciclo di sviluppo di un nuovo prodotto. La funzione acquisti hanno sviluppato tools sempre più rapidi ed efficienti per lo scambio rapido dei dati (EDI e tecnologie Internet based). Questi strumenti di comunicazione rapidi forniscono un mezzo per ridurre i tempi e i costi di transazione del processo di acquisto. In questo modo i buyer

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possono concentrare i loro sforzi su attività a maggiore valore aggiunto, come la gestione dei fornitori anziché sulla gestione del ciclo dell'ordine;

Processo di sviluppo prodotto e commercializzazione.

I nuovi prodotti sono la linfa vitale di una società, per questo motivo il processo di sviluppo del prodotto assume un'importanza vitale all'interno delle aziende. Clienti e fornitori devono essere integrati nel processo di sviluppo del prodotto al fine di ridurre il time to market. Ai nostri giorni si assiste ad una riduzione sempre più spinta del ciclo di vita dei prodotti. Per questo motivo si rende necessario l'accorciamento dei tempi di sviluppo e

lancio in produzione dei nuovi articoli, al fine di rimanere competitivi. I manager

responsabili del processo di sviluppo nuovo prodotto e della

commercializzazione devono coordinarsi con il customer relationship management per identificare i bisogni del cliente,

selezionare i materiali e i fornitori in collaborazione con il procurement e sviluppare tecnologie di produzione adatte alla particolare combinazione prodotto-mercato al fine di produrre e integrare il flusso produttivo della SC nel miglior modo possibile;

Processo di gestione dei resi.

Gestire i resi e la reverse logistics come un processo di business offre la possibilità di ottenere un vantaggio competitivo sostenibile. Un’efficace gestione dei processi di reso consente inoltre l'identificazione di opportunità di miglioramento della produttività e di progetti innovativi.

3. Le componenti del management.

I livelli di integrazione e gestione di un collegamento sono in funzione del numero e del livello delle componenti associate al collegamento stesso. Sono state identificate nove componenti del management che impattano maggiormente sul successo di una supply chain:

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La pianificazione e il controllo delle operations sono la chiave per muovere

un’organizzazione o una supply chain in una determinata direzione;

La struttura di lavoro indica come l’impresa svolge i suoi compiti e le sue attività

per raggiungere i propri obiettivi;

La struttura organizzativa può fare riferimento sia all'impresa, sia alla filiera. Lo

sviluppo di team cross-funzionali caratterizza una supply chain con un alto grado di integrazione;

La struttura del flusso di prodotto fa riferimento alla struttura del network che

comprende sourcing, manufacturing e distributing lungo la SC. Essendo un minimo livello di scorte indispensabile lungo una filiera, è spesso conveniente che la maggior parte dello stock sia presente nei nodi più amonte, considerando il fatto che è meno costoso mantenere a scorta WIP e semilavorati piuttosto che prodotti finiti;

La struttura del flusso informativo è una delle componenti chiave. Questo

perché il tipo di informazioni e la frequenza con le quali esse passano all'interno dei canali di comunicazione e raggiungono i nodi della SC ha un impatto molto rilevante sull'efficienza e quindi sul successo della catena di fornitura;

I metodi di management comprendono la filosofia aziendale e le tecniche di

management. E' molto difficile integrare una struttura di tipo top-down con una organizzazione di tipo bottom-up. Il livello di coinvolgimento nella gestione quotidiana delle operazioni può differire considerando i diversi membri;

La struttura di potere e di leadership lungo la filiera influenzerà la sua forma.

Un'azienda leader all'interno della SC sceglierà la direzione da seguire per l'intero canale. L'esercizio del potere, o la sua assenza, può nfluenzare il livello di commitment degli altri membri del canale;

L'anticipazione della condivisione di rischi e benefici lungo tutta la catena

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La cultura aziendale è un aspetto molto importante. La compatibilità tra le

diverse culture aziendali tra i membri del canale non può essere sottovalutato. Gestire e allineare le diverse culture e atteggiamenti individuali richiede tempo, ma è necessario per fare in modo che il canale operi come una catena.

3.1.2 Il modello SCOR

Il modello SCOR (Supply Chain Operation Reference Model) è stato concepito e mantenuto aggiornato da un’associazione no-profit chiamata Supply Chain Council (SCC), fondata nel 1996 attraverso una collaborazione tra 69 imprese. La missione del SCC è di disseminare, migliorare e perpetrare l’uso del modello SCOR attraverso ricerche, istruzione e conferenze.

Le imprese utilizzano il modello per determinare quali processi della propria supply chain migliorare e quanto migliorarli, per consolidare iniziative legate alla supply chain, per creare un metodo standard di valutazione delle performance e per implementare processi standard e sisitemi informativi comuni tra i membri della catena (Correa,2014). Il modello SCOR ha innanzitutto lo scopo di descrivere e analizzare i flussi logistici, i flussi informativi e le relazioni di mercato che intercorrono tra un’azienda e i suoi clienti e fornitori (Sianesi,2011).

Esso incorpora elementi di BPR (Business Process Reengineering), strumenti di misura delle prestazioni e di benchmarking, affinché, una volta definita la situazione as is, si possa ragionare su quella to be.

Il modello ha una struttura gerarchica che si articola in 4 livelli (Figura 2): passando dal livello 1 ai successivi si approfondisce il livello di dettaglio, arrivando a descrivere puntualmente le attività di business; al livello più alto lo SCOR propone cinque macro-processi gestionali, utilizzati come building block allo scopo di descrivere supply chain con diferente livello di complessità:

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Plan.

Il processo di plan ha come obiettivo il bilanciamento della domanda con le risorse disponibili, perciò sviluppa le linee d’azione volte all’acquisizione delle risorse necessarie e allo svolgimento delle attività di approvvigionamento, produzione, distribuzione;

Source.

Il processo di source include tutti i processi volti all’acquisizione dei beni e dei servizi necessari per soddisfare la domanda: identificazione e selezione dei fornitori, negoziazione, approvvigionamento, ricezione dei materiali

Make.

Il processo di make contempla la trasformazione di materiali e componenti in prodotti finiti; comprende anche le attività di controllo avanzamento, immagazzinamento, controllo qualità, packaging;

Deliver.

Il processo di deliver riguarda la consegna di prodotti finiti in modo d soddisfare la domanda; tipicamente include la gestione ordini, dei trasporti e della distribuzione;

Return.

Il processo di return descrive le attività legate ai flussi di resi commerciali o dovuti a

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Figura 2: I 4 livelli del modello SCOR (Correa,2014)

Al secondo livello (Figura 3), ciascuno dei cinque macro-processi può essere ulteriormente descritto attraverso tre categorie:

 Processi di tipo planning (decisionali): sono processi di pianificazione delle attività

che mirano ad allineare tutte le risorse disponibili con la domanda attesa. In questo ambito si prendono decisioni relative agli obiettivi di prestazione, alle informazioni da gestire, agli obiettivi di scorte e magazzini, agli investimenti eventuali e alla gestione del rischio lungo la catena;

 Processi di tipo execution: sono processi operativi che includono attività di

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 Processi di tipo enable: sono processi che abilitano quelli di planning ed execution; hanno lo scopo di preparare, mantenere o gestire informazioni e relazioni su cui i primi due processi si appoggiano.

I processi di livello 1 vengono quindi approfonditi in dettaglio attraverso queste categorie; ad esempio il processo di plan può essere decomposto in 5 categorie: plan supply chain, plan source, plan make, plan deliver e plan return. Per ognuno dei processi citati sono definite metriche e best practice specifiche.

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I due modelli presentati sono utili come approccio iniziale per definire i processi principali della supply chain di un’impresa interessata nello studiare e migliorare i propri processi. Tuttavia questi framework rappresentano solo un punto di inizio: ogni impresa ha le sue peculiarità e potrebbe considerare importanti alcuni processi non considerati in questi

modelli così come potrebbe trovare superflui alcuni elementi che qui sono dettagliati profondamente.

In ogni caso è importante che l’impresa definisca i macro-processi in accordo con gli altri membri della supply chain, e sia consapevole del tempo necesario per raggiungere il consenso.

3.2 Visibility

Negli ultimi anni quasi tutte le imprese hanno assistito all’aumento della pressione competitiva, al decremento del ciclo di vita dei prodotti ,alla crescente variabilità e instabilità della domanda, a una sempre più spinta globalizzazione e a un ambiente di business in continuo mutamento. Questi fattori hanno portato le imprese a focalizzarsi sulle proprie core competencies, ricorrendo all’outsourcing per molte attività.

in questo scenario competitivo, la profittabilità dell’impresa focale (quella identificata dal cliente come responsabile dello specifico prodotto/servizio e della coordinazione dei flussi materiali e informativi), dipende fortemente dalla sua abilità nel gestire complesse relazioni con i propri partner (Caridi et al.,2010).

Il concetto di visibility è quindi diventato nell’ultimo periodo una questione chiave nella ricerca, in quanto influenza le performance dell’intera filiera. Avere accesso a informazioni accurate e tempestive è una sfida continua, nella quale un ruolo chiave è giocato dalle tecnologie ICT (Information and Comunication Technologies) come i recenti RFID (Radio Frequency Identification), gli ERP (Enterprise Resource Planning) e gli EDI (Electronic Data Interchange), che garantiscono un incremento di visibilità lungo la catena.

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Enslow (Enslow,2006) ha riportato che la mancanza di SC visibility è la principale preoccupazione del 79% di 150 grandi compagnie che sono state intervistate.

Molti autori hanno riportato i vantaggi derivanti da un incremento di visibility nella SC: un miglioramento nel tempo di risposta (Armistead and Mapes,1993; Berry et al.,1994; Patterson et al.,2004), un miglioramento nelle capacità di pianificazione e approvvigionamento (Karkkainen,2003; Mentzer et al.,2004), un miglioramento nel processo decisionale (Kent and Mentzer,2003), un miglioramento nella qualità dei prodotti (Armistead and Mapes,1993).

È stato anche più volte dimostrato che la condivisione di informazioni nella SC riduca drasticamente l’effetto bullwhip.

Per supply chain visibility si intende in generale la capacità dell’impresa focale di accedere a informazioni e di condividerle con i propri partner. In letteratura esistono però svariate definizioni di SC visibility.

Per Schoenthaler (Schoenthaler, 2003), visibility significa che le informazioni importanti sono prontamente disponibili a chi ne ha bisogno, dentro e fuori l’organizzazione, per monitorare, controllare e cambiare la SC strategy e le operations. Barratt and Oke (Barratt and Oke,2007) vedono la visibility come il grado con cui gli attori all’interno della SC hanno accesso/condividono informazioni che considerano utili alle proprie operations e che pensano saranno di reciproco beneficio. Per McCrea (McCrea,2005) è l’abilità di individuare eccezioni nell’esecuzione dei processi relativi alla SC e di intraprendere azioni basandosi sulle informazioni recepite. Tohamy (Tohamy,2003) considera la visibility come la capacità di catturare e analizzare dati relativi alla SC che informino i decision-makers, mitighino il rischio e migliorino i processi.

Hickey (Hickey,2005) considera la visibility da una prospettiva logistica, definendola come la visione trasparente di tempo, luogo,stato e contenuto. Cristopher e Lee (Cristopher , Lee,2003) vedono la visibility dal punto di vista dell’inventory management, mentre Hsiao-Lan e Wang (Hsiao-Lan , Wang,2007) da quello del planning and control management.

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L’analisi più completa sulle definizioni esistenti in letteratura è stata probabilmente compiuta da Goh et al.(Goh, De Souza, Zhang, Tan,2009), i quali hanno riscontrato che nessuna definizione esistente fosse completa. Gli autori, convinti che questa proliferazione di significati, ognuno basato su una diversa prospettiva, portasse a confusione, hanno deciso di proporre una propria definizione, che racchiudesse tutte le precedenti e si basasse sul compito per loro più importante del SCM, ossia il decision making.

“SCV è la capacità di un membro della SC di avere accesso/fornire tempestivamente le informazioni richieste riguardanti le entità coinvolte nella SC da/a i SC partner per un miglior supporto decisionale” (Goh, De Souza, Zhang, Tan,2009).

Questa definizione copre tutte le caratteristiche chiave della SCV, specifica la sua funzione ( i.e. decision making), chi ne usufruisce e sottoline l’importanza della tempestività.

3.2.1 Soluzioni organizzative

Dal momento in cui è stata compreso l’effetto benefico della visibility tra i partner della supply chain in termini di miglioramento delle performance, sono nate numerose soluzioni organizzative basate sulla condivisione di informazioni. La tendenza è quella di eliminare le barriere esistenti tra i diversi nodi della catena in favore di processi orizzontali e integrati.

La prima forte iniziativa pensata per garantire l’integrazione nella SC è datata 1992, quando 14 associazioni di categoria crearono un gruppo chiamato “Efficient Consumer Response Movement”, con lo scopo di guidare una trasformazione nelle pratiche del SCM, sottolineando l’importanza e il bisogno di creare relazioni di fiducia tra manufacturer e retailer, basate sulla condivisione di informazioni strategiche per ottimizzare i risultati dell’intera catena.

Per sono state create diverse tecniche nel mondo industriale:

Vendor managed inventory (VMI): con il VMI le scorte del cliente vengono gestite

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produzione del cliente, se non addirittura sulla domanda a valle e sulle attività promozionali, e in base a queste informazioni provvede autonomamente a riapprovvigionare la merce (Spina,2012).

Il fornitore si prende quindi carico di una decisione tradizionalmente presa dal cliente, con gli obiettivi di aumentare la disponibilità della merce e ridurre il buffer di scorte di ambo le parti.

Waller (Waller,1999) ha identificato, tramite simulazione, che tramite VMI i fornitori possono migliorare il servizio e contemporaneamente ridurre i costi.

L’introduzione del VMI permette al supplier di livellare la domanda e di avere più tempo per reagire, portando benefici nella pianificazione della produzione e nella gestione delle scorte.

Nonostante i riconosciuti vantaggi, il VMI ha inizialmente avuto problemi ad imporsi a causa di mancanza di fiducia nella controparte e quindi di volontà di condividere informazioni; per questo motivo Kaipia (Kaipia,Holmstrom,Tanskanen,2002) ha costruito un modello che misurasse quantitativamente i benefici dell’implementazione del VMI: attraverso indicatori come il response time, il reorder point e il mean absolute deviation of demand applicati a casi reali, ha dimostrato l’efficacia del VMI rispetto alla soluzione tradizionale, soprattutto nel caso di bassi volumi e alta varietà di prodotti.

Quando il movimento ECR è stato lanciato, si pensava che il VMI (nato precedentemente) sarebbe diventato uno standard comune nel mondo industriale; tuttavia molte imprese sono migrate verso altre tecniche di collaborazione, in quanto il VMI aveva la debolezza di non provvedere un adeguato livello di visibility della supply chain totale;

Continuous replenisment (CR): il CR fa un passo avanti rispetto al VMI. Per la prima

volta i dati relativi ai punti vendita (POS) sono usati per generare previsioni di vendita: la politica di gestione delle scorte è quindi basata sulle previsioni create dalle domande storiche, e non più solamente sulla variazione dei livelli di scorte nel magazzino del cliente.

il cliente condivide informazioni su giacenze, vendite e promozioni; il supplier rifornisce frequentemente (anche quotidianamente) in modo da mantenere le scorte all’interno di

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un range stabilito. Il prerequisito fondamentale è la possibilità di consegnare rapidamente e a costi contenuti. In questo modo vengono ridotte le scorte aumentando la disponibilità dei prodotti;

Collaborative planning, forecasting and replenishment (CPFR): la caratteristica

distintiva del CPFR è che le decisioni non sono delegate al fornitore ma prese

congiuntamente con il cliente. Le due parti condividono le informazioni e formulano entrambe previsioni di domanda. Alla base del CPFR c’è la volontà di colmare i gap lasciati dalle precedenti metodologie; ora vengono affrontate in maniera nuova e completa le questioni relative all’influenza delle promozioni e dei cambiamenti del pattern di domanda nella creazione di previsioni, alla pratica di mantenere alti i livelli di scorta per una migliore disponibilità on the shelf, e alla mancanza di coordinamento tra il processi di acquisto e la pianificazione logistica.

Alcuni dei benefici del CPFR sono: cicli di ordine più prevedibili, riduzione costi,riduzione danneggiamenti,consegne più piccole e frequenti, informazioni accurate e tempestive,miglioramento del servizio al cliente finale, produzione dilazionata, riduzione stock-out, alto turnover delle scorte e riduzione over-stock (Barratt,Oliveira,2001).

3.2.2 Tecnologie abilitanti

Le tecnologie per l’informazione e la comunicazione (ICT) sono una risorsa fondamentale per aiutare le impresa a collaborare e a raggiungere alti livelli di visibility. Oltre agli strumenti tradizionali come telefono e fax, ai sistemi propriatari sviluppati internamente e agli EDI (Electronic Data Interchange), cioè tecnologie di scambio asincrono dei dati in formato elettronico, esistono altre soluzioni di recente sviluppo che sono e saranno importanti per migliorare la SC visibility: tecnologie di localizzazione e comunicazione (XML, ebXML, Bluetooth, WiFi, WiMax, Wibro, Zigbee, Ultra-Wide Band, RuBee, infrared), gli RFID (Radio Frequency Identification), la digitalizzazione delle infrastruture pubbliche nell’era dell’IOT (Internet of Thinghs) e i sensori MEMS-based. Il focus di queste ultime tecnologie è sulla cosiddetta “product visibility”, cioè la capacità di tenere traccia del prodotto lungo tutto il suo ciclo di vita, dalla sua concezione, fabbricazione, distribuzione all’utilizzo presso il cliente. Si usa il termine tracking per

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definire l’ablità di seguire il prodotto downstream verso il cliente finale, mentre tracing per indicare la capacità di ripercorrere il cammino e la storia del prodotto upstream verso i fornitori: tracking e tracing sono attività complementari con lo scopo di accrescere la sicurezza e la certificazione del prodotto, ottimizzare la pianificazione dei sistemi di produzione e distribuzione, individuare le fonti di problemi di qualità e gestire efficientemente la logistica inversa (Musa et al.,2013).

La prima tecnologia nata per tenere traccia dei prodotti è il codice a barre che, applicato su un prodotto, riporta dati e informazioni in base alla lunghezza delle barre e alla spaziatura tra esse. È molto utile soprattutto per la gestione del magazzino e per raccogliere informazioni sulle vendite. I lati negativi sono relativi al fatto che, una volta stampati, i dati non possono essere più cambiati e al fatto che i dati possono essere letti solo in prossimità del codice tramite uno scanner.

Gli RFID superano questi limiti e apportano numerosi vantaggi, motivi per cui sono negli ultimi anni hanno acquisito notevole popolarità tra gli studiosi e professionisti.

Si tratta di tecnologie per l’identificazione automatica di informazioni, basata sulla capacità di memorizzazione di dati da parte di particolari etichette (tag o trasponder) poste sul prodotto, che rispondono all’interrogazione a distanza da parte di appositi strumenti (reader). Questa comunicazione avviene tramite radiofrequenza, per cui il reader è in grado di leggere e modificare le informazioni contenute nel tag. Quest’ultimo è costituito essenzialmente da un microchip che contiene i dati e da un’antenna, mentre solo alcuni sono dotati di batteria interna.

Il Lettore emette un campo elettromagnetico/elettrico che tramite il processo della induzione genera nell'antenna del tag una corrente che alimenta il chip. Il chip così attivato trasmette i dati in esso contenuti tramite l'antenna al reader.

Rispetto al codice a barre, i chip degli RFID non necessitano di essere visibili per essere decifrati e le informazioni possono essere aggiornate continuamente.

I benefici attuali e le potenzialità degli RFID sono notevoli e spaziano in ogni campo, ovviamente anche in quello del SCM, grazie allo loro capacità di tracciare i prodoti e migliorare la visibilità della catena, con tutti i vantaggi che ne conseguono.

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3.2.3 Effetto bullwhip

L’applicazione di tecniche volte a migliorare la visibility e la condivisione di informazioni lunga la SC porta a ridurre il famoso effetto bullwhip, cioè l’amplificazione della variabilità della domanda che si riscontra risalendo la filiera da valle a monte, fenomeno che fu notato per la prima volta da Forrester nel 1958.

Per lungo tempo l’effetto bullwhip fu accettato come una normale ed inevitabile conseguenza del sistema order-to-deliver, ma in realtà è dovuto a determinate politiche di gestione della supply chain.

Le cause del bullwhip sono essenzialmente quattro:

“Filtri” lungo la filiera

Ogni stadio della SC costituisce un filtro che osserva i propri dati di domanda, elabora previsioni ed emette ordini in funzione di specifiche politiche. Tutto ciò perturba l’informazione originaria e genera dati di domanda allo stadio a monte che non dipendono esclusivamente dalla domanda a valle. Ad esempio un aumento nella domanda finale potrebbe indurre il retailer ad emettere un ordine a monte superiore in funzione della volontà di aggiustare le proprie scorte di sicurezza; se ogni attore si comportasse in questo modo, i fornitori più a monte riceverebbero una domanda decisamente maggiore rispetto a quella reale, che calerebbe profondamente al di sotto di quella originale nel periodo successivo nel caso in cui la domanda finale si stabilizzasse.

Inoltre la presenza di tempi di emissione ed elaborazione ordini amplifica il fenomeno.

Politiche di lottizzazione

Lotti minimi di riordino, di produzione e di trasporto necessari per ridurre costi di emissioni ordini, per facilitare il processo di approvvigionamento, per ridurre tempi di set-up e per ottimizzare le consegne, generano inevitabili perturbazioni nella domanda.

Fluttuazione dei prezzi

Azioni commerciali e di marketing, modifiche del listino prezzi e attività promozionali sono metodi per aumentare la domanda nel breve periodo, con la inevitabile conseguenza di deprimerla nei periodi successivi innescando l’effetto bullwhip.

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Allocazione della capacità

Un’ultima causa è l’allocazione di capacità produttiva da parte degli stadi a monte della catena. Un’impresa, di fronte alla possibilità che il fornitore non abbia sufficiente capacità per soddisfare tutte le richieste dei clienti, può decidere di “gonfiare” il proprio ordine nella speranza di ricevere quantomeno la quantità di merce necessaria per soddisfare la propria domanda evitando di andare in stock-out.

Oltre alla necessaria riduzione dei lead times, la soluzione per evitare la perturbazione della domanda e le inefficienze ad essa connessa è quella di aumentare la visibilità, condividendo le informazioni, permettendo a tutti i partner di vedere i reali dati di domanda e di scorte in ogni stadio, monitorando lo stato di avanzamento degli ordini e dei materiali, pianificando congiuntamente le azioni.

In letteratura esistono svariati studi che dimostrano analiticamente come la condivisione di informazioni possa ridurre il bullwhip effect. Lee (Lee et al.,2000) ha studiato l’impatto benefico della condivisione di informazioni in una supply chain a due livelli; Cachon e Fisher (Cachon, Fisher, 2000) hanno dimostrato lo stesso tramite un modello che comprendeva più retailer; Aviv (Aviv,2001) ha quantificato il beneficio dell’applicazione di tecniche CPFR nella riduzione dell’effetto bullwhip; Ouyang (Ouyang,2006) ha identificato analiticamente la riduzione dell’amplificazione della domanda in caso di condivisione di informazioni in una supply chain multi-stadio.

3.2.4 Approfondimenti e modelli

In letteratura sono stati proposti svariati modelli e framework più o meno quantitativi con l’obiettivo di estendere o analizzare più profondamente il concetto di visibility. In questa sezione sono stati analizzati gli articoli risulatati maggiormente citati in letteratura.

Barratt e Oke (Barratt,Oke,2007) sottolineano che in tutti gli studi esistenti sulla tematica manca il collegamento tra la condivisione di informazioni e la visibility: gli autori che solo una “distinctive visibility” porti a un vantaggio competitivo sostenibile, e

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per ottenere tale grado di visibilità è necessario che l’informazione condivisa sia tempestiva, utile, basasta sulla fiducia,accurata e utilizzabile prontamente.

Lo scopo principale del suo studio è fornire un modo di valutare, basandosi sulla resource-based-theory, se una risorsa che aumenti la condivisione di informazioni lungo la catena, abbia i requisiti per creare vantaggio sostenibile, ciòè che sia: valuable (nel senso che migliori l’effficienza o l’efficacia); rare (in modo da svantaggiare i concorrenti che non la possiedono); imperfectly imitable; imperfectly mobile (in modo da evitare competizione nell’ottenerla); non substituable.

Solo se una risorsa ha queste caratteristiche, ossia è VRINN (usando l’acronimo dei citati requisiti) può creare un tale livello di visibilità che crei vantaggio sostenibile.

Caridi et al. (Caridi,Crippa,Perego,Sianesi,Tumino,2010) studiano l’impatto della configurazione della SC sulla livello necessario di visibility per l’impresa focale. In particolare vengono considerati due dimensioni: la virtuality (il grado con cui un’impresa si basa sulla SC per fornire il proprio prodotto/servizio) e la complexity (dipendente dal numero di nodi e livelli della SC). Viene costruito un modello analitico per misurare quantitativamente il grado di questi due fattori e il livello di visibility attuale (in funzione di quattro flussi informativi ritenuti più importanti nell’influenzare le performance dell’impresa) per evidenziare la relazione che intercorre tra essi. Il modello proposto è utile per le imprese che vogliono valuatare il proprio livello di visibility in funzione della configurazione della SC e identificare le aree in cui apportare miglioramenti.

Riprendendo il lavoro precedente, Caridi et al. (Caridi, Perego,Moretto,Tumino,2014) sviluppano un modello di value assesment, con lo scopo di valuatare l’impatto di un aumento di visibility sulle performance dell’impresa focale.

Vengono identific ati, sulla scia del lavoro precedente, quattro tipi di flussi informativi, sui quali un impresa può essere maggiormente interessata nel guadagnarer visibilità: transactions (informazioni comunicate quando avviene un evento); status information (informazioni descriventi lo stato di risorse/processi); master data (informazionin relative a caratteristiche dei prodotti); operational plans (informazioni realtive ai piani futuri dell’impresa). Da queste quattro tipologie sono stati elencati dieci principali flussi informativi, mentra dalla letteratura sono stati identificati i kpi (key performance

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indicator) che vengono maggiormenti influenzati da un aumento di visibility nei suddetti flussi. A questo punto tramite la creazioni di mappe causali e seguendo il modello proposto consistente in un’analisi a nove step, ogni impresa può valutare qualitativamente il beneficio ottenibile da un investimento in visibility.

Zhang et al. (Zhang,Goh,Meng,2011) esplorano il concetto di visibility dalla prospettiva della gestione delle scorte. L’inventory visibility è un aspetto importante della SCV, in quanto fornisce alle imprese informazioni sulle scorte a magazzino e in transito in modo da rendere la supply chain più efficace ed efficiente.

Gli autori credono che che per ottenerre un alto livello di visibility sia necessario quantificare oggettivamente l’inventory visibility (IV), cioè la capacità di accedere/fornire informazioni tempestive riguardo le scorte coinvolte nella SC; per questo propongono un modello matematico per individuare l’IV per ogni nodo della catena e per la SC in totale. Il modello può essere utilizzato per una migliore comprensione della tematica, per favorire la collaborazione e per supportare il processo decisionale dal punto di vista tattico e strategico.

Williams et al. (Williams,Roh,Tokar,Swink,2013) si focalizzano sull’impatto che la visibility può avere sulle capacità di reattività e flessibilità dell’impresa, virtù fondamentali nell’attuale ambiente competitivo in costante mutamento. Gli autori dimostrano attraverso una un’ampia nalisi di dati su 206 imprese che la condivisone di informazioni e la visibilità che ne risulta non sono da sole sufficienti per migliorare la responsiveness dell’impresa: l’anello di giunzione è l’integrazione interna, cioè la capacità dell’impresa di strutturare procedure, pratiche e comportamenti in un processo collaborativo e sincronizzato che superi le barriere all’interno dell’organizzazione e faccia fluire l’informazione in modo cross-funzionale, in modo da miglioare il processo decisionale.

Lee e Christopher. (Lee,Cheistopher,2004) studiano i benefici della visibility sulla gestione del rischio in una supply chain. Essi affermano che nell’attuale contesto di business, volatile e instabile, le supply chain sono esposte maggiormante a rischi di “disruption” dai punti di vista finanziario (obsolescenza, stock-out, markdowns), di caos

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