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Gli Stati Uniti in Vietnam. Origini e conseguenze della politica americana nel sud-est asiatico

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INDICE

Introduzione p. 3

I. La questione Vietnam nell'ottica del “contenimento”

- Nuove prospettive di politica estera: la politica del “contenimento” 7

- L’interessamento statunitense per il Vietnam (1954-61) 19

- La visione kennediana del “contenimento” 32

II. Gli Stati Uniti entrano in guerra

- L’escalation di Johnson 45

- Il coinvolgimento: l’operazione “Rolling Thunder” (1963-65) 55

- L'offensiva di pace 67

- Il dibattito sulla ripresa dei bombardamenti e la crisi buddhista 74

- La crisi del consenso e l’inizio dei negoziati (1965-68) 94

III. L’uscita dal Vietnam

- Nixon, Kissinger e la “distensione” 105

- Una pace con onore. Il difficile processo di pacificazione (1969-1973) 121

- Il ritiro degli Stati Uniti e la caduta di Saigon (1973-1975) 135

Conclusioni 145

Bibliografia 157

1969–1976, Volume VII, Vietnam, July 1970–January 1972

1969–1976, Volume VII, Vietnam, July 1970–January 1972

1969–1976, Volume VII, Vietnam, July 1970–January 1972

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Sigle e abbreviazioni

CIA Central Intelligence Agency (servizi segreti statunitensi)

CECA Comunità Europea dell'Acciaio e del Carbone

CED Comunità Europea di Difesa

CINCPAC Commander in Chief of Pacific Command

(Comandante in capo delle forze americane nel Pacifico)

CORDS Civil Operations and Revolutionary Development Support

(Sostegno delle operazioni civili e dello sviluppo)

EPR Esercito Popolare di Liberazione

FLN Fronte di Liberazione Nazionale

FRUS Foreign Relations of the United States

JCS Joint Chiefs of Staff (Stato Maggiore Congiunto)

MAAG Military Assistance Advisory Group (Gruppo dei consiglieri militari)

MACV Military Assistance Command Vietnam

(Comando dei consiglieri americani in Vietnam)

NATO North Atlantic Treaty Organisation

(Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord)

PAVN Popular Army of Vietnam North

(Esercito popolare del Vietnam del Nord)

POL Petroleum, Oil, Lubricants (depositi di benzina, nafta e lubrificanti)

PPS Policy Planning Staff

RDV Repubblica Democratica del Vietnam

RPC Repubblica Popolare Cinese

SEATO South-East Asia Treaty Organization

(Organizzazione del Trattato dell'Asia sud-orientale)

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Introduzione

La guerra del Vietnam rappresenta uno dei conflitti più controversi e dibattuti della Guerra Fredda. Portò nelle case della gente comune, che non si era mai preoccupata molto di politica estera, i sacrifici che il ruolo globale degli Stati Uniti esigeva. La divisione tra sostenitori ed oppositori al conflitto fu violenta, e gli storici sono ancora tutt'oggi in difficoltà nel districarsi da faziosità e parzialità derivanti dalle diverse scelte politiche.

Le origini delle guerre nel sud-est asiatico e la conseguente condotta furono sostanzialmente di natura locale e solo in parte internazionale. Sicuramente non riguardavano questioni prettamente americane, sebbene la politica estera di Washington ne abbia fatto un problema di ordine nazionale, estremamente preoccupante e pericoloso.

L'Indocina, colonizzata dai francesi nel diciannovesimo secolo, vide il boicottaggio del potere coloniale da parte dei movimenti indipendentisti fino alla sconfitta della Francia in Europa all'inizio della Seconda Guerra Mondiale. Durante la guerra, i comunisti vietnamiti dettero vita ad un movimento popolare e ben organizzato, il Vietminh, e nell'agosto del 1945 il suo leader Ho Chi Minh proclamò l'indipendenza del Vietnam dalla Francia. A dispetto delle affermazioni anticolonialiste del presidente Roosevelt durante il conflitto mondiale, gli americani appoggiarono i tentativi francesi di riacquistare il controllo dell'Indocina. Ma il Vietminh, sostenuto dopo il 1949 dalla Cina comunista, riuscì ad infliggere serie sconfitte alle forze francesi, e nel 1954 costrinse il governo francese, riluttante a continuare una guerra impopolare, a firmare un cessate il fuoco. Il Vietnam fu diviso in due, in previsione di una futura riunificazione attraverso elezioni nazionali. Dietro la forte pressione di Cina ed Unione Sovietica, Ho Chi Minh accettò la maggior parte delle condizioni della Francia durante la Conferenza di Ginevra. Gli Stati Uniti, scettici riguardo gli Accordi di Ginevra, iniziarono a supportare la costruzione di uno stato indipendente non comunista nel Vietnam del Sud. Quando questo regime, sotto Ngo Dinh Diem, nel 1956 rifiutò di tenere elezioni nazionali, il Vietnam del Nord dette vita ad una campagna di operazione sovversive nel sud1.

La guerra del Vietnam condizionò, dunque, la politica mondiale negli anni Sessanta e Settanta e fu uno degli episodi che minacciarono maggiormente l’equilibrio politico tra i due 1

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blocchi. Nonostante si trattasse di un conflitto locale, anche se lungo e sanguinoso, che si svolse prevalentemente in territorio sudvietnamita, la guerra tra la potenza americana e il piccolo Vietnam del Nord fu un drammatico banco di prova per gli equilibri del mondo bipolare e per l’opinione pubblica statunitense e occidentale: per gli Stati Uniti la guerra faceva parte di un conflitto globale contro il comunismo, mentre per i vietnamiti lo scontro con gli americani rappresentava l’ultima fase di una lunga lotta per l’indipendenza.

Questo lavoro si pone l’obiettivo di ricostruire la guerra del Vietnam nelle sue linee principali, dal coinvolgimento dell’amministrazione Kennedy fino alla caduta di Saigon nel 1975, analizzando, allo stesso tempo, la politica estera statunitense che portò gli Stati Uniti a immergersi e poi a sprofondare nel “pantano indocinese”. Tra gli interrogativi fondamentali a cui cercherò di dare una risposta c'è il perché gli Stati Uniti si siano assunti un così imponente impegno militare e perché non siano riusciti a conseguire i propri obbiettivi. Si cercherà di rappresentare il conflitto nel contesto della guerra fredda come uno spartiacque importante della strategia della politica estera statunitense, tra due opposte visioni, quella del “contenimento” e quella della “distensione”, che hanno condizionato le scelte americane in ambito internazionale, modellandone discorso e rappresentazioni. La guerra del Vietnam viene, perciò, osservata prima come conseguenza della teoria del “contenimento”, ovvero della strategia di politica estera adottata da Washington dopo la Seconda Guerra Mondiale fino alla fine degli anni Sessanta, e poi come simbolo della politica distensiva adottata da Nixon e Kissinger nei primi anni Settanta.

Il primo capitolo esamina la teoria del “contenimento” elaborata da Kennan alla fine degli anni Cinquanta, inteso come paradigma teorico che indirizza le iniziative di politica estera degli Stati Uniti per oltre un ventennio. Si cercherà di dimostrare come l’intervento diretto in Vietnam degli statunitensi sia riconducibile al prevalere della teoria e della visione del mondo statunitense denominata, appunto, containment, la quale, allontanatasi pian piano dalla sua formula originale, venne declinata in modo diverso dalle varie amministrazioni statunitensi (Truman, Eisenhower, Kennedy, Johnson) che si succedettero nei primi vent’anni della guerra fredda, divenendo una vera e propria strategia di politica estera: essa, infatti, non si limitò più ad impedire qualsiasi ulteriore estensione del perimetro sotto il controllo dell’Unione Sovietica e del comunismo internazionale, ma i suoi obiettivi diventarono più ambiziosi e globali. Verrà spiegato che l’intervento in Vietnam fu dettato

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proprio dalla volontà di arginare il cosiddetto “effetto domino” dei paesi che si spostavano politicamente verso il comunismo sovietico, piuttosto che verso il capitalismo europeo e americano: lo scopo primario degli Stati Uniti doveva essere quello di impedire la diffusione del comunismo negli Stati non comunisti e di "contenere" questo all'interno dei suoi confini. Verranno pertanto messi in evidenza gli eventi storici che portarono, già dalla metà degli anni Cinquanta, l’amministrazione Eisenhower a convincersi che se il Vietnam del Nord, guidato dal leader comunista Ho Chi Min, avesse allargato la propria influenza sul Vietnam del Sud, governato dal dispotico e corrotto regime di Ngo Dinh Diem, sarebbe stato impossibile evitare un “effetto domino” in tutto il sud-est asiatico. Inoltre, verrà descritta la nuova proposta strategica di Kennedy, la quale rilanciava la teoria del “contenimento”, reinterpretandola, sulla scia del Nsc-68 del 1950, in una prospettiva più ambiziosa e universale, analizzando gli sviluppi pratici di questa in Vietnam.

Il secondo capitolo prende in esame le decisioni di Johnson in relazione al “contenimento” del comunismo in Vietnam, che portarono al definitivo coinvolgimento militare americano, alla progressiva escalation, e ai bombardamenti sempre più intensi sul Vietnam del Nord. Verrà illustrato la svolta impressa all’azione statunitense in Vietnam dal nuovo presidente americano, che era in linea con le scelte compiute dagli Stati Uniti nei vent’anni precedenti, ma che, alla fine, portò alla crisi del consenso verso la strategia di politica estera americana adottata fino ad allora. Verrà trattata, inoltre, la vasta offensiva di pace lanciata da Johnson in concomitanza con la sospensione dei bombardamenti sul Vietnam del Nord. Dopo aver individuato le motivazioni che giustificarono l’iniziativa e le posizioni negoziali di Stati Uniti e Repubblica Democratica del Vietnam, verrà accennato l’importante dibattito interno sull’opportunità di riprendere gli attacchi aerei. Saranno presi in esame la reazione e l’atteggiamento assunto dall’amministrazione di fronte a due importanti crisi: una di carattere interno, la decisione da parte della Commissione Affari Esteri del Senato di tenere delle udienze teletrasmesse sul Vietnam; l’altra, la cosiddetta crisi buddhista, relativa ai rapporti con il governo di Saigon. L’ultima parte del capitolo è dedicata alle conseguenze del gravoso commitment americano, al dibattito interno che ne seguì e alla reazione dei movimenti di opposizione alla guerra. Questi fattori provocheranno l’inizio della

de-escalation, l’avvio dei negoziati di pace e, più in generale, il cambiamento di politica estera

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Nel terzo capitolo viene dato ampio spazio al cambiamento di rotta costituito dal nuovo discorso di politica estera elaborato da Nixon e Kissinger, dopo la vittoria alle elezioni del 1968, e alla sua incidenza sulla guerra del Vietnam. Si intenderà dimostrare come il progressivo disimpegno dalla guerra del Vietnam e le trattative per la pace rappresentavano i principali obiettivi della nuova politica della “distensione”, che imponeva nuovi rapporti con l’Unione Sovietica e la Cina. Verrà esposta la strategia utilizzata da Nixon e Kissinger per porre fine all’impegno americano in Vietnam, caratterizzata da un allargamento ulteriore del conflitto, dalla progressiva “vietnamizzazione” e dai negoziati segreti con i nordvietnamiti, ribadendo, tuttavia, che, nonostante il riconoscimento della difficoltà di una vittoria, la guerra fredda e il mantenimento della credibilità rendevano assai difficile il disimpegno. La parte finale del capitolo tratta del definitivo ritiro americano dal Vietnam del Sud, in seguito agli accordi di Parigi del 1973, e la conseguente caduta di Saigon in mano ai comunisti nordvietnamiti, la cui perdita per gli americani risultò assai meno importante ai fini della loro sicurezza nazionale di quanto si fosse creduto all’inizio.

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CAPITOLO PRIMO

La questione Vietnam nell'ottica del “contenimento”

Nuove prospettive di politica estera: la politica del contenimento

Il 24 gennaio 1946, dopo tre anni di servizio, terminava il mandato dell'ambasciatore americano a Mosca William Averell Harriman. Il 3 aprile dello stesso anno sarebbe subentrato il pluridecorato generale Walter Bedell Smith. Nei giorni che trascorsero tra l'avvicendarsi dei due diplomatici a capo dell'Ambasciata statunitense in Unione Sovietica si trovava l'incaricato d'affari George Frost Kennnan, ormai vicino allo scadere della sua missione ad aprile2.

Il Dipartimento del Tesoro aveva chiesto al Dipartimento di Stato un chiarimento del comportamento sovietico riguardo all'esitazione che dimostrava nel supportare il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Kennan rispose il 22 febbraio 1946 con un lungo telegramma di 8.000 parole indirizzato al Segretario di Stato James Francis Byrnes3.

In quel documento descrisse la situazione dell'Unione Sovietica e le sue relazioni internazionali, delineando quella che sarebbe dovuta essere la strategia statunitense nei confronti dell'ex alleato sovietico4.

Durante il primo ventennio della guerra fredda, gli Stati Uniti promossero una politica estera sostanzialmente unitaria e coerente, il cui obbiettivo fondamentale era quello di costituire un “ordine internazionale liberale” a egemonia statunitense, cercando di limitare l'influenza esercitata da Mosca e, più in generale, la diffusione dl comunismo. Tale obbiettivo fu perseguito con coerenza, e , nonostante qualche sconfitta sia pratica che simbolica, non venne mai messo in discussione5.

Venuto infatti meno il disegno di Roosevelt di integrare l'Unione Sovietica in un ordine internazionale ad egemonia statunitense, auspicando la sua graduale liberalizzazione, tale ipotesi fu ben presto soppiantata dalla volontà di escludere Mosca, per impedire che questa 2 United States Department of State Foreign Relations of the United States (d'ora in poi FRUS), 1946. Eastern Europe, The Soviet Union. Washington, D.C., United States Government Printing Office, 1946 Consultabile sul sito

http://uwdc.library.wisc.edu/collections/FRUS.

3 T. Weiner, B. Crossete, George F. Kennan dies at 101; leading strategist of Cold War, The New York Times, 18 maggio 2005.

4 John Lewis Gaddis, George F. Kennan: An American Life, Penguin, 2011, p.201.

5 R. Latham, The Liberal Moment. Modernity, Security, and the Making of Postwar International Liberal Order, New York, Columbia Univerity Press, 1997, p.4.

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si attivasse per proiettare il modello sovietico, alternativo a quello liberale statunitense. Ma, data la natura della sfida, la sola esclusione non era sufficiente: l'influenza dell'Unione Sovietica doveva essere anche limitata e bloccata, fermando rapidamente la diffusione dell'universalismo socialista sovietico. Si reclamava così un intervento degli Stati Uniti nel sistema internazionale con lo scopo di difendere la sicurezza e la libertà degli stessi, ritenendo che la natura dell'avversario costituisse una minaccia e che solo la sua trasformazione in senso liberale potesse porre termine allo scontro6.

A dar voce a questo mutamento di politica nei confronti dell'Urss fu appunto George F. Kennan, che come già anticipato, nel Long telegram del 1946, e successivamente in un articolo7 sulla rivista “Foreign Affairs” del luglio 1947, rigettò l'idea che fosse possibile il

dialogo e la collaborazione con Mosca, a causa della natura interna della stessa. Secondo Kennan, l'Unione Sovietica era intrinsecamente espansionista, caratterizzata dalla volontà di esportare la causa del socialismo, e dalla necessità di conservare uno stato di ostilità permanente con il mondo esterno, ‹‹dipingendolo come cattivo, ostile e minaccioso››8

funzionale al regime per mantenere il controllo autoritario della popolazione.

L'Unione Sovietica di Stalin era però una potenza debole, debilitata dalla guerra, cauta ed opportunista, e, proseguiva lo stesso Kennan,

Il potere sovietico, a differenza della Germania hitleriana, non e[ra] né schematico, né avventurista. Non lavora[va] con piani prefissati. Non prende[va] rischi non necessari. Sorda alla logica della ragione, ma assai sensibile alla logica della forza. Per questo motivo, esso po[teva] facilmente ritirarsi, e di solito lo fa[ceva], quando incontra[va] una forte resistenza in qualunque punto. Perciò, se l'avversario [aveva] forza sufficiente e rende[va] chiara la propria prontezza a usarla, solo di rado [doveva] poi usarla davvero9.

Nei confronti di un simile avversario, lo storico e diplomatico Kennan sostenne che fosse necessario istituire una sorta di perimetro, capace di bloccarne l'espansione e, gradualmente, di stimolarne la disgregazione. La metafora utilizzata da Kennan per sintetizzare questa 6 G. F. Kennan, Realities of American Foreign Policy, New York, Norton, 1966, p.98.

7 L'articolo fu pubblicato col titolo “The sources of Soviet Conduct” e firmato con lo pseudonimo di “X”, ma la sua paternità fu subito attribuita a Kennan, permettendogli, per un breve periodo, di esercitare un'influenza nell'amministrazione statunitense. Cfr. G.F.Kennan Memories: 1925-1950, New York, Pantheon Books, 1967. 8 J.L. Gaddis, Strategies of Containment. A critical Appraisal national security policy during the Cold War, New

York-Oxford, Oxford University Press, 2005, p.20.

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strategia fu quella del “contenimento” (containment): l'Unione Sovietica doveva essere contenuta in attesa che le sue tante contraddizioni interne scoppiassero, provocando la sua inevitabile trasformazione. ‹‹Il tratto principale di qualsiasi politica statunitense verso l'Unione Sovietica››, affermava Kennan, ‹‹deve essere quello di un contenimento durevole, paziente, anche se fermo e vigile, delle tendenze espansionistiche russe››10. Per il

diplomatico, proprio perché intrinsecamente aggressivi e irrazionali, i comportamenti e le richieste sovietiche divenivano illegittimi, a prescindere dal loro metodo e contenuto, e di conseguenza nessuna interazione con Mosca era ritenuta possibile fino a quando essa non avesse cessato di esistere, oppure avesse mutato la sua struttura11.

Fu l'articolo di “Foreign Affairs” ad introdurre il termine “contenimento” nel mondo, e da allora in poi esso avrebbe riassunto la strategia postbellica degli Stati Uniti, definita appunto “strategia del contenimento”: come, infatti, sottolineò alcuni anni più tardi Henry Kissinger: ‹‹nessun altro diplomatico è giunto vicino quanto George Kennan a definire la dottrina diplomatica della sua era››12.

La “strategia dl contenimento” fu subito oggetto di alcune critiche: da una parte, c'era chi, come Walter Lippmann13, denunciava la non interazione con Mosca, ritenendo l'invito a

tracciare una linea, oltre la quale non si sarebbe mai consentito all'Unione Sovietica di spingersi, come la fine della diplomazia e della politica; dall'altra parte, c'era chi chiedeva un atteggiamento più deciso e risoluto, che mirasse in particolare a “liberare” l'Europa centro-orientale caduta sotto il dominio del comunismo. Ad essere accusata fu la presunta passività della dottrina del “contenimento”, in virtù della quale gli Stati Uniti si limitavano a difendere lo status quo minacciato dall'espansionismo sovietico14.

In realtà, il “contenimento rappresentava un modo niente affatto statico di confrontarsi con la sfida del comunismo. Infatti, esso riconosceva le insormontabili costrizioni geopolitiche e militari a cui gli Stati Uniti dovevano sottostare e scaturiva proprio dalla valutazione che questi elementi (vedi sfera di influenza in Europa centro-orientale), considerati vitali e non 10 Cfr. “X”, The Souces of Soviet Conduct, “Foreign Affairs”, July 1947. Consultabile in

http://www.foreignaffairs.com/articles/23331/x/the-sources-of-soviet-conduct

11 J.L. Gaddis, La Guerra Fredda, Milano, Mondadori, 2007, pp.35-37.

12 La citazione di Henry Kissinger, tratta da H. Kissinger, White house years, London Weidenfeld & Nicolson, 1979, pag.135, si trova in M. Del Pero, Henry Kissinger e l'ascesa dei neoconservatori, Roma-Bari, Laterza, 2006, p.5. 13 Il giornalista americano Walter Lippman fu colui che parlò per la prima volta di “guerra fredda” in un saggio del

1947, riferendosi ad un conflitto fra est e ovest, iniziato alla fine della seconda guerra mondiale, che implicava non una vera guerra, calda, bensì una durissima rivalità politica, economica, ideologica e sociale, nell'ambito di una pace estremamente armata. A.Testi, Il secolo degli Stati Uniti, Bologna, Il Mulino, 2008, p.175.

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negoziabili da Mosca, avrebbero provocato un conflitto se fossero risultati in pericolo. Ma entro questi limiti, la strategia del “contenimento” appariva una risposta dinamica e ed intransigente15.

Kennan aveva posto dei paletti alla politica estera statunitense, riconoscendo i limiti reali della diplomazia americana: consapevole che se le capacità militari erano finite, anche gli interessi americani lo dovevano essere e bisognava perciò fare distinzioni tra ciò che era vitale e ciò che era periferico. L'interesse primario degli Stati Uniti avrebbe pertanto dovuto essere quello di attivarsi per non far cadere i maggiori centri di potere nel mondo sotto il controllo comunista16. Per adempiere a questo compito, Kennan sosteneva l'impiego di

mezzi psicologici, con lo scopo di produrre nelle menti degli avversari, ma anche negli alleati e nel popolo americano, l'atteggiamento che avrebbe facilitato l'emergere di un ordine internazionale più favorevole agli interessi degli Stati Uniti17. Tali mezzi erano tre:

1) ripristino dell'equilibrio di potere attraverso l'incoraggiamento della fiducia in sé stessi nelle nazioni minacciate dall'espansionismo sovietico; 2) riduzione, mediante lo sfruttamento delle tensioni tra Mosca e i movimenti comunisti internazionali, dell'abilità di sviluppare influenza al di là dei suoi confini; 3) modifica del concetto sovietico delle relazioni internazionali, con l'obbiettivo di determinare una soluzione negoziata, caratterizzata da notevoli differenze18.

Tuttavia, l'analisi di Kennan risultava vaga e ricca di contraddizioni: egli insisteva sul fatto che se la competizione avesse avuto luogo, si sarebbe dovuto farla sul campo e con gli strumenti migliori che erano in grado di contrapporre le forze americane alle debolezze sovietiche. Kennan aveva individuato dunque nella fragilità interna dell'Unione Sovietica, nella povertà della sua propaganda e nelle difficoltà economiche dei regimi europei una serie di punti deboli su cui esercitare una pressione dinamica, attraverso una “guerra” di propaganda e di finanziamento ai paesi europei: in questa ottica, era sopratutto agli aiuti economici e ai metodi politici a cui egli pensava per produrre questi effetti psicologici19.

Le regole del “contenimento” di Kennan, ovvero fermezza, assenza di dialogo, costruzione 15 M. Del Pero, Henry Kissinger, op. cit., pp.7-8.

16 Kennan aveva individuato solo cinque centri di potere industriale e militare nel mondo importanti per gli Usa dal punto di vista della politica di sicurezza. Questi erano, ovviamente, gli Stati Uniti, ma anche la Gran Bretagna, l'Europa centrale, la Germania, l'Unione Sovietica e il Giappone. Cfr. G.F.Kennan Memories, op. cit., p.359.

17 J.L.Gaddis, Strategies of Containment, op. cit. pp. 32-33. 18 Ivi, pp. 35-36.

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di alleanze, sostegno economico e politico agli Stati minacciati dal comunismo, furono accolte con entusiasmo dal presidente Truman e dai suoi principali consiglieri, tanto che per circa due anni egli fu consulente ascoltato e guida del Policy Planning Staff20 del

Dipartimento di Stato, divenendo strenuo fautore del Piano Marshall di finanziamento alla ricostruzione postbellica, nei confronti non solo dei paesi europei “alleati”, ma anche dell'Urss e dei suoi satelliti. Il Piano Marshall rappresentava un modello liberal e moderatamente progressista dello sviluppo, sufficientemente capace di estendere l'influenza statunitense e produrre egemonia: grazie ad esso, gli Stati Uniti divennero il punto di riferimento dei processi di sviluppo e modernizzazione, in Europa e non solo, termine di paragone con cui confrontarsi e l'esempio da emulare21.

Tuttavia, a monte agì in maniera sempre più pressante un elemento fondamentale della guerra fredda, destinato a condizionare tutte le scelte statunitensi: il problema della credibilità e la dimensione sopratutto simbolica della competizione bipolare. Il “contenimento”, per essere efficace, doveva risultare credibile, e questa credibilità vi sarebbe stata solo se il suo perimetro fosse stato percepito come intangibile e non fossero esistiti dubbi sulla indisponibilità di Washington a tollerare violazioni dei suoi limiti. Impegnandosi in Europa, gli Stati Uniti tranquillizzavano gli alleati e fornivano, allo stesso tempo, un messaggio forte sia alla controparte sovietica, sia a quelle parti del mondo non ancora conformate al bipolarismo, dove la competizione si sarebbe ben presto trasferita, sia all'opinione pubblica mondiale, che avrebbe costituito il vero giudice della sfida. Dunque, la strategia del “contenimento” si allontanò pian piano dalla sua formula originale, e, declinata in modo diverso dalle varie amministrazioni statunitensi (lo stesso Truman, Eisenhower, Kennedy, Johnson) che si succedettero nei primi vent'anni della guerra fredda, non si limitò più ad impedire qualsiasi ulteriore estensione del perimetro sotto il controllo dell'Urss e del comunismo internazionale, ma i suoi obbiettivi diventarono più ambiziosi e, per così dire, globali. Non si trattò più di costituire, come aveva affermato Kennan, semplicemente ‹‹una serie di punti politici e geografici costantemente cangianti in corrispondenza dei cambiamenti e delle manovre della politica sovietica››22, bensì di proiettare l'influenza e

20 Il Policy Planning Staff è stato creato nel 1947 da G. Kennan su richiesta del Segretario di Stato George C. Marshall con l'obbiettivo di elaborare analisi indipendenti e raccomandazioni per il Segretario di Stato, fornendo inoltre strategie di lungo termine riguardo i processi globali che toccano gli interessi ed i valori americani. Cfr.

http://www.state.gov/s/p/

21 M. Del Pero, Libertà e Impero. Gli Stati Uniti e il mondo 1776-2006, Roma-Bari, Laterza, 2008, p.290. 22 La citazione di Kennan si trova all'inizio dell'articolo The Sources of Soviet Conduct, op. cit.

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l'egemonia statunitense in teatri dove essa non era arrivata e che erano ancora estranei alla competizione bipolare. Contenere l'Urss e il comunismo su scala globale rappresentò una strategia finalizzata ad estendere e rendere duratura nel tempo la natura asimmetrica dell'equilibrio di potenza dell'immediato secondo dopoguerra, rendendola sempre più favorevole agli Stati Uniti, e mettendo di conseguenza l'Unione sovietica in una condizione di immodificabile subalternità. Vanificando qualsiasi tentativo espansionistico sovietico, considerato un elemento significativo di quel regime, si sarebbe indebolita l'Urss fino al punto di farne esplodere le contraddizioni e i limiti23.

Il primo esempio di questo ampliamento di prospettive fu il discorso del presidente Truman il 12 marzo del 1947 al Congresso riguardo agli aiuti alla Grecia e alla Turchia, dove le aspre crisi interne sembravano poter portare i comunisti al potere: ‹‹si trattò di una professione di retorica universalistica concernente obbiettivi particolari la quale offese profondamente il giudizio di Kennan sulla particolare relazione tra fini e mezzi››24,

portandolo a denunciare, di lì in poi, il fraintendimento delle tesi da lui esposte nel 1946-47 e le conseguenti cattive applicazioni del suo “contenimento”. Non era, infatti, nelle intenzioni di Kennan fare dell'articolo di “X” una previsione onnicomprensiva della politica futura statunitense25. Per il resto della sua vita, egli continuò a ripetere che il “contenimento”

non implicava come conseguenza automatica la resistenza all'espansionismo sovietico ovunque esso si manifestasse, senza fare distinzioni tra interessi primari e secondari. Bensì, Kennan sosteneva che si dovevano stabilire gerarchie di interessi e utilizzare la percezione di questi come livello contro cui valutare le minacce, e non viceversa. Quella di Kennan era, perciò, una concezione particolaristica piuttosto che universalistica degli interessi della sicurezza americana. Tuttavia, la necessità di affermare e ribadire costantemente la credibilità dell'impegno anticomunista negli Stati Uniti, sia di fronte agli alleati sia di fronte ai nemici, avrebbe contribuito alla indiscriminata globalizzazione degli impegni statunitensi, con la conseguente incapacità di distinguere tra teatri vitali e non per la sicurezza americana: del resto, solo una minaccia globale poteva scuotere gli americani dalle loro tendenze isolazioniste che rimanevano latenti26.

Dunque, con quel discorso, che sarebbe diventato noto come “Dottrina Truman”, venivano 23 M. Del Pero, Henry Kissinger cit., p. 8.

24 J.L.Gaddis, Strategies of Containment, op. cit. p.51.

25 W.Lippmann, The Cold War, a Study in U.S Foreign Policy, Harper, New York, 1947, p.25 26 B. Bongiovanni, Storia della guerra fredda, Bari, Laterza, 2005, pp.82-86.

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decontestualizzate le specifiche situazioni di Grecia e Turchia, considerati adesso pezzetti di un quadro internazionale più complesso. Truman, sostenne, infatti, che i ‹‹semi del totalitarismo si nutr[ivano] della miseria e del bisogno. Raggiung[evano] piena maturazione quando [moriva] la speranza [...] di una vita migliore››. Gli Usa dovevano ‹‹mantenere viva quella speranza››, sostenendo ‹‹i popoli liberi›› impegnati a contrastare ‹‹i tentativi di loro assoggettamento da parte di minoranze armate o attraverso pressioni esterne››, e perciò ‹‹se esit[avamo] nella nostra leadership››, concluse Truman, ‹‹mett[evamo] in pericolo la pace mondiale›› e, con essa, ‹‹il bene della nostra nazione››27.

Anche se si trattava di situazioni diverse, esse, osservate nell'ottica della guerra fredda, furono interpretate come parte di un più generale disegno espansionistico del Cremlino: ovunque non venisse contrastato in tempo, si pensava che la piaga del comunismo si sarebbe diffusa con rapidità all'interno di qualsiasi paese vulnerabile.

Non si trattava solo di Grecia e Turchia, ma il pericolo sostenne il Segretario di Stato Acheson, era che ‹‹ tre quarti del territorio mondiale cadessero sotto il controllo dei comunisti›› e, di conseguenza, accettare uno ‹‹sfondamento sovietico›› significava permettere ‹‹la penetrazione dell'Urss in almeno tre continenti››28.

La portata della minaccia era chiaramente sopravvalutata, strumentalizzata con lo scopo di convincere il paese e i suoi rappresentanti ad agire: tale prospettiva universalistica era in grado di catalizzare il necessario consenso interno indispensabile ad una politica estera attiva, interventista e immensamente costosa come era quella del “contenimento”29.

La strategia del “contenimento si rivelò infatti estremamente costosa e impegnativa. Sia perché la costruzione di un perimetro difensivo globale attorno al blocco comunista comportò altissimi investimenti che servivano per sostenere militarmente ed economicamente i propri alleati e per creare una rete di alleanze regionali che portarono ad una spesa in termini di forti pressioni e ricatti politici; sia perché alla mobilitazione doveva corrispondere uno sforzo ulteriore per la preservazione e il rafforzamento della coesione interna. Il conseguente consolidamento militare fu dunque perseguito attraverso una crescita esponenziale degli investimenti in tale ambito, l'accettazione di un deficit di bilancio

27 Le citazioni sono tratte dal discorso di Truman, consultabile all'indirizzo http://avalon.law.yale.edu/20th_century/

28 Melvin Leffler, A Preponderance of Power. National Security, the Truman Administration, and the Cold War, Stanford, Stanford University press, 1992, p.145.

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permanente e l'estensione dei compiti e delle strutture del potere federale30. Con la parziale

eccezione di Eisenhower, tutte le altre amministrazioni abbracciarono l'idea che le alte spese militari costituissero uno strumento a disposizione per promuovere e rendere permanente la crescita economica, indispensabile per esportare e universalizzare il modello americano. In questo modo, come afferma Mario del Pero, ‹‹sviluppo e sicurezza, crescita economica e anticomunismo, deficit e crescenti investimenti costituivano gli elementi correlati ed interdipendenti della strategia del contenimento››31.

A consacrare ulteriormente questa politica del deficit spending in nome della sicurezza nazionale, che arrivò al suo culmine con Kennedy e Johnson, fu il lungo documento top secret NSC-68, Obbiettivi e programmi statunitensi per la sicurezza nazionale (United

States Objectives and Programs for National Security), redatto il 7 aprile 1950 da esperti del

Dipartimento di Stato e di quello della Difesa, coordinati da Paul Nitze, successore di Kennan alla guida del Policy Planning Staff32.

Alla fine del 1949 il contesto internazionale era stato scosso da due importanti eventi: l'esplosione della prima bomba atomica sovietica e la vittoria comunista di Mao Zedong in Cina. Il memorandum nacque proprio da questa situazione. Era, perciò, chiaramente ispirato alle logiche della guerra fredda e delineava in modo netto quale dovesse essere il perimetro globale del “contenimento”.

Come per Kennan, anche per gli autori dell'NSC-68 le caratteristiche interne e la natura totalitaria del regime sovietico ne caratterizzavano le azioni sulla scena internazionale. Gli Stati Uniti costituivano quindi, una minaccia intollerabile per Mosca, poiché: ‹‹l'esistenza e la persistenza dell'idea di libertà costituisce una minaccia permanente e continua alle fondamenta di una società schiavista››33. Ma, diversamente da Kennan, tale comportamento

aggressivo non doveva più essere affrontato con debolezza e cautela, ma con forza, spregiudicatezza e propensione al rischio34.

Per gli autori dell'NSC-68 era necessario preservare ed espandere un'indiscussa “preponderanza di potenza”, per usare un termine coniato dallo storico Melvin Leffler35. Era

30 Furono create nuove strutture, come il Dipartimento della Difesa, la Cia e il Consiglio di Sicurezza Nazionale. Sulla formazione del National Security State, Melvin Leffler, A Preponderance of Power, op. cit.

31 M. Del Pero, Henry Kissinger , op. cit., pp. 14-15.

32 Cfr. http://history.state.gov/milestones/1945-1952/NSC68.

33 NSC-68, United States Objectives and Programs for National Security, 7 aprile 1950, consultabile al sito http://www.fas.org/irp/offdocs/nsc-hst/nsc-68.htm

34 F. Romero, Storia della guerra fredda. L'ultimo conflitto per l'Europa, Einaudi, 2009, pp. 79-81. 35 Cfr. Melvin Leffler, A Preponderance of Power, op. cit.

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sopratutto fondamentale, per ragioni simboliche, affermare la credibilità dell'impegno statunitense a contenere l'espansione di Mosca e la diffusione del comunismo. Gli Stati Uniti dovevano proiettare un'immagine di forza e fermezza, sia verso l'Unione Sovietica, per evitare che agisse, sia verso gli alleati, per mantenerli vigili sullo sforzo comune, sia verso i paesi terzi, perché facessero la scelta di campo corretta, sia verso l'opinione pubblica mondiale, da conquistare nella sfida ideologica contro il comunismo. Comunque, quello che contava non era la realtà della distribuzione del potere, ma le percezioni che se ne avevano. Ingigantita a dismisura la forza del nemico, il documento considerava qualsiasi sconfitta, anche in aree considerate strategicamente marginali, intollerabile per le ripercussioni globali, che essa poteva avere in termini di credibilità. ‹‹Una sconfitta in qualsiasi luogo è una sconfitta ovunque››36, affermava il documento in uno dei suoi passaggi, sottolineando la

necessità dell'incremento militare per ribadire il commitment statunitense e per dotare gli Stati Uniti di mezzi, articolati e versatili, con cui fronteggiare crisi differenti37.

Dunque, l'NSC-68 delineava una strategia del “contenimento” globale e simmetrica, in virtù della quale gli Stati Uniti dovevano rispondere automaticamente ad ogni iniziativa della controparte, producendo in tal modo una crescita ed espansione degli interessi, alterando a dismisura l'equilibrio tra gli obbiettivi americani e i mezzi di cui potevano teoricamente disporre. La visione globale che tale documento offriva espandeva la mappa del “contenimento” e aiutava a superare lo shock determinato dal rafforzamento militare sovietico e dall'allargamento dell'area governata dal comunismo, che ora includeva anche la Cina38.

Tale cambiamento di interessi si manifestò subito in Corea, allorché la Corea del Nord, appoggiata da Stalin e poi anche dalla Cina di Mao, invase quella del Sud.

L'intervento statunitense servì prima di tutto a ribadire la credibilità del “contenimento”, evitando il possibile sconforto degli alleati e dimostrando a Mosca che Stati Uniti non erano disposti a tollerare iniziative analoghe, sopratutto in Europa. Truman collocò gli avvenimenti in una prospettiva storica ed internazionale. Nelle sue Memorie scrisse:

Nel corso della mia generazione, non era la prima volta in cui i forti avevano attaccato i deboli. Richiamai alla mente alcuni esempi precedenti: la Manciuria, l'Etiopia, l'Austria,. Ricordai come ogni 36 NSC-68, United States Objectives and Programs for National Security, op. cit.

37 J.L Harper, La Guerra Fredda, Bologna, Il Mulino, 2013, p.118. 38 J.L.Gaddis, Strategies of Containment, op. cit. pp.104-109.

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volta che le democrazie avevano mancato di agire ciò aveva incoraggiato gli aggressori a proseguire nella loro azione. Il comunismo stava agendo in Corea esattamente come Hitler, Mussolini e i giapponesi avevano agito dieci, quindici, vent'anni prima [...]. Non rispondere a questa sfida avrebbe significato una terza guerra mondiale, proprio come incidenti simili avevano provocato la seconda39.

Doveva impedire il ripetersi della politica di appeasement degli anni trenta. ‹‹Questa è la Grecia dell'Estremo Oriente, disse il presidente al suo staff››40. La difesa della Corea del Sud

dall'attacco di Kim Il Sung, che aspirava a unificare il paese sotto il proprio governo, divenne quindi vitale per la sicurezza nazionale americana. Inoltre Truman veniva biasimato per la “perdita della Cina”, dunque non poté esitare e si apprestò a definire maggiormente i confini del “contenimento” in Estremo Oriente: la linea di discrimine del perimetro difensivo includeva ora il Giappone, Taiwan e l'Indocina, dove il dominio francese era sempre più minacciato dai movimenti indipendentisti comunisti41.

Le elezioni del 1952 videro vincitore il candidato repubblicano Dwight D. Eisenhower, il quale, teoricamente ripudiò la strategia del “contenimento” alla quale contrappose lo slogan del roll-back. Seguendo i dettami del suo Segretario di Stato, John Foster Dulles, egli pensava che il comunismo e l'Unione Sovietica non andassero solo fermati, ma spinti e fatti rotolare indietro, arrivando alla liberazione dell'Europa centro-orientale42.

Ma il roll-back si dimostrò solo la declinazione di un “contenimento” particolare che si fondava sull'anticomunismo e sulla necessità di riduzione delle spese e della competizione con Mosca, sul pareggio di bilancio e sul potenziamento delle armi nucleari, con l'obbiettivo ultimo di vincere la guerra fredda, ripudiando così il costoso “contenimento” simmetrico dell'NSC-68. Questa nuova proposta, denominata New Look, puntava l'attenzione sulle armi nucleari, sulla richiesta di un maggior contributo degli alleati, sullo sviluppo di politiche di aiuto economico e di sostegno alla modernizzazione e sulla disponibilità a ricorrere a mezzi non convenzionali come le operazioni clandestine promosse dalle strutture di intelligence43.

Il New Look si basava sull'importanza delle armi nucleari e sulla disponibilità a ricorrervi

anche in risposta ad una azione convenzionale della controparte: era una strategia altamente 39 H.S. Truman, Memorie, Mondadori, 1956, p.351.

40 E.R. May, Lessons of the Past: the Use and Misuse of History in American Foreign Policy , Oxford University Press, 1973, p.71.

41 J. Smith, La guerra fredda. 1945-1991, Bologna, Il Mulino, 2000, p.78.

42 E. Di Nolfo, Dagli imperi militari agli imperi tecnologici. La politica internazionale nel XX secolo, Roma Laterza, 2002, pp.237-239.

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asimmetrica in termini di proporzione tra natura della minaccia e potenziale risposta, veniva riconosciuta la reale scarsità delle risorse e quindi l'obbiettivo era applicare la propria forza alla forza del nemico. La symmetrical response giustificava, in teoria, lo scoppio di una guerra nucleare in risposta ad una azione dell'avversario condotta in teatri periferici e con strumenti militari convenzionali. Alla spregiudicatezza dell'Unione Sovietica e del blocco comunista di cui era leader, si doveva rispondere perciò con una strategia di “rappresaglia massiccia”, come fu allora definita, che, al contrario di un approccio simmetrico che cedeva l'iniziativa alla controparte, avrebbe lasciato l'avversario nell'incertezza riguardo al tipo di risposta che gli Stati Uniti avrebbero scelto e lo costringeva a considerare anche l'ipotesi estrema di un attacco atomico44.

Inoltre, Dulles riprese l'idea di Kennan di reagire ai mutamenti dell'avversario mediante azioni calcolate finalizzate ad applicare la propria forza contro le debolezze della controparte. Secondo uno dei maggiori maggiori esperti di politica estera americana, lo storico J.L.Gaddis, il “contenimento” proposto da Kennan e la massive retaliaton di Dulles erano, infatti entrambe strategie asimmetriche che proponevano un confronto in settori in cui gli americani erano significativamente superiori ai sovietici, ovvero il sostegno economico, con il Piano Marshall e la deterrenza atomica con la “rappresaglia massiccia”: l'effetto, si pensava, era di riguadagnare nell'iniziativa riducendo i costi. Quindi, le alleanze regionali (NATO, SEATO), la guerra psicologica, le azioni segrete e i negoziati facevano tutti parte della strategia del “contenimento” a basso costo di Dulles, considerati come la risposta dell'amministrazione alla percepita minaccia “sovietica-comunista”45.

In teoria, dunque, la nuova strategia americana frenava l'Unione Sovietica, aumentava l'efficacia deterrente dell'arsenale statunitense, permetteva di limitare i costi del “contenimento”, rafforzava la credibilità dell'impegno contro il comunismo, sopratutto verso gli alleati, ai quali il New Look affidava un ruolo importante nel completare lo sforzo statunitense a livello locale per contenerlo. Tuttavia, in realtà, si trattava di una visione basata sulla disponibilità a fare uso delle armi nucleari: una premessa quasi impossibile da dimostrare, che finiva per indebolire l'attendibilità dell'onere statunitense invece che consolidarlo. Si dimostrò, perciò, puramente un escamotage elettorale, poiché impraticabile, tanto che anche Eisenhower si mosse seguendo i dettami del “contenimento” di Mosca nella 44 S.F.Wells, The Origins of Massive Retaliaton, in Political Science Quarterly, numero 1, primavera 1981, pp.31-52. 45 J.L.Gaddis, Strategies of Containment, op. cit. pp.148-161.

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consapevolezza che mettere in discussione la sfera d'influenza sovietica avrebbe sicuramente comportato una guerra46.

La paura dell'espansione comunista che stava avendo influenza su molti movimenti nazionalisti del Terzo Mondo e le ripercussioni simboliche che tale minaccia emanava, spinsero, di conseguenza, Eisenhower prima a continuare la Guerra di Corea, la cui importanza era dettata dal ‹‹prestigio di cui i comunisti avrebbero beneficiato se fossero riusciti a distruggere una nazione›› come la Corea del Sud, ‹‹creata e mantenuta››47 dagli

Stati Uniti, e poi ad avviare quel commitment americano in Indocina, che sarebbe divenuto sempre più gravoso negli anni Sessanta.

Fu la politica del “contenimento”, dunque a risucchiare il governo americano nelle controversie del Sud-est asiatico, in Vietnam e in tutta l'Indocina. Più esattamente, fu quella particolare versione della politica del “contenimento” che prese il nome di “teoria del domino”. Secondo questa visione, la conquista comunista di uno Stato avrebbe provocato la caduta a catena, come tessere di domino, degli Stati adiacenti, in un processo continuo di aggressione ed espansione che doveva essere bloccato, con fermezza, al suo primo manifestarsi. Per far ciò, era consentito quasi tutto, perché si credeva che fosse in gioco la credibilità degli Stati Uniti: cedere in un luogo avrebbe infatti incoraggiato il nemico ad attaccare anche altrove48.

Tale teoria venne enunciata per la prima volta dal presidente Eisenhower, in una conferenza stampa dell'aprile 1954, e fu quindi originariamente applicata all'Indocina. ‹‹Abbiamo una fila di tessere del domino messe in piedi, colpiamo la prima e ben presto cadrà anche l'ultima. Siamo all'inizio di una disintegrazione che può produrre effetti radicali››49, affermò

Eisenhower riferendosi alla guerra d'Indocina, dove la resistenza dei francesi in Vietnam stava crollando e si temeva che anche il Laos, oltre al Vietnam, potesse cadere in mano ai comunisti. Eisenhower vide perciò la possibilità che questo processo avviasse una sequenza di eventi geo-politici negativi e ciò, a suo avviso, avrebbe avuto terribili conseguenze per gli Stati Uniti.

Così, tra la metà del 1954 e la fine del 1960 gli Stati Uniti accrebbero gli sforzi per limitare 46 Csaba Bekes, Cold War, Détente and the 1956 Hungarian Revolution, Working Paper, 2002, International Center for

Advanced Studies, New York University, consultabile in http://www.coldwar.hu/html/en/publications/detente.pdf

47 La citazione di Eisenhower, tratta da F.Ninkovich, The Wilsonian Century. U.S. Foreign Policy since 1900, Chicago, Chicago University Press, 1998, p.178.

48 A. Testi, Il Secolo degli Stati Uniti, Bologna, Il Mulino, 2008, p.201.

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l'influenza comunista in Vietnam. Il loro obbiettivo era dare vita ad uno Stato non comunista autosufficiente e separato nel sud. Rigettando l'ipotesi di un impegno diretto nella guerra a fianco dei francesi, l'amministrazione Eisenhower aumentò sempre di più gli aiuti al governo sudvietnamita, diede impulso allo sviluppo economico, fece pressioni per riforme sociali e politiche e inviò consulenti per specifici progetti, nel quadro di quello che definirono “costruzione della nazione”50.

Credendo pertanto che il comunismo internazionale fosse una forza più forte del nazionalismo terzomondista, e lavorando attivamente per sovvertire i movimenti filo-comunisti in Vietnam e altrove, l'amministrazione Eisenhower fece il suo errore più grave. La politica conservatrice che aveva fornito una “versione a basso costo” del “contenimento”, non sembrava disporre degli strumenti necessari a dare una risposta immediata alle trasformazioni sul piano internazionale. La sua strategia mancò di dinamismo e non sembrava in grado di offrire un modello di sviluppo ai paesi di nuova indipendenza e a quelle regioni che rimanevano ancora ai margini del sistema capitalistico contemporaneo. Il New Look era risultato privo del coraggio politico e dei mezzi necessari per competere con l'Unione Sovietica nei teatri emergenti della guerra fredda: si trattò di un rifiuto della missione storica degli Stati Uniti, della loro capacità di produrre egemonia, che i suoi successori democratici non avrebbero più permesso51.

L'interessamento statunitense per il Vietnam (1954-61)

L'interesse americano per il Vietnam crebbe con l'intensificarsi della guerra fredda. Gli imperativi della competizione bipolare avevano indotto gli statunitensi a sostenere la Francia, disattendendo la promessa di concedere l'indipendenza al Vietnam una volta terminato il secondo conflitto mondiale. Come detto, infatti, già tra il 1946-47 gli Stati Uniti ritenevano l'Unione Sovietica una minaccia globale per la sicurezza nazionale, a cui si dovevano opporre con la “politica del contenimento”, che appunto mirava a limitare l'espansione comunista nel mondo. Tale politica, dunque, fu inizialmente applicata alla sola Europa, e poi adottata anche in altre parti, e perciò anche in Vietnam, quando il delinearsi di 50 M.K.Hall, La Guerra del Vietnam, Bologna, Il Mulino, 2003, p.18

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un conflitto e di una componente comunista fece ricadere le problematiche del paese asiatico nel quadro della guerra fredda52. Il Dipartimento di Stato era completamente

incapace di uscire da queste logiche. In un telegramma del 7 luglio 1948, indirizzato al Console Generale a Saigon Abbott, il Segretario di Stato Marshall scriveva:‹‹ Il Dipartimento non ha prove del rapporto diretto tra Ho Chi Minh e Mosca, ma presume che esistano [...], non possiamo correre il rischio di credere che non prenda ordini da Mosca››53.

Con la fine della Seconda Guerra Mondiale in Indocina erano tornati i francesi, che sin dal 1945 dovettero fronteggiare il Fronte per l'indipendenza del Vietnam (Viet Nam Doc Lap

Dong Minh, comunemente noto come Vietminh), fondato nel 1941 e guidato dal leader del

partito comunista indocinese Ho Chi Minh, che assunse un ruolo di primo piano nell'elaborazione di un vasto programma nazionalista contro l'occupazione straniera54.

L'obbiettivo di Ho Chi Minh era quello di formare un ampio fronte di patrioti di tutte le età e di tutte le classi: contadini, operai, commercianti e soldati, per combattere prima i giapponesi e poi i francesi che si erano riappropriati dell'Indocina con una struttura coloniale ormai screditata e sull'orlo del collasso55.

Nell'agosto del 1945, dopo la fine dell'occupazione giapponese e prima che le forze francesi avessero ristabilito il loro controllo, il leader del Vietminh dichiarò l'indipendenza del Vietnam leggendo la sua Dichiarazione di fronte alla casa del governatore francese ad Hanoi: ‹‹Tutti gli uomini sono creati uguali. Sono stati dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili tra i quali la vita, la libertà e la ricerca della felicità. Questa affermazione immortale fu fatta nella Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America nel 1776. In un certo senso, significa che tutte le persone sulla terra nascono uguali, e hanno tutte il diritto a vivere, ad essere felici e libere››56. Ho Chi Minh aveva deliberatamente tratto questo

52 G.R.Hess, The United States' Emergence as a Southeast Asian Power, 1940-1950, New York Columbia University Press, 1987, p.317.

53 FRUS, 1948. The Far East and Australia. Washington, D.C., United States Government Printing Office. Consultabile sul sito http://digicoll.library.wisc.edu/cgi-bin/FRUS/FRUS

54 Pentagon Papers, Part I, Vietnam and U.S., 1940-1950. Ho Chi Mihn: Asian Tito?, pp.104-105. I Pentagon Papers, chiamati ufficialmente United States – Vietnam Relations, 1945-1967: A Study Prepared by the Deparment of

Defense, raccolgono circa 7.000 pagine relative al ruolo svolto dagli Stati Uniti in Indocina dalla fine della Seconda

Guerra Mondiale. Nel 1967 il Segretario alla Difesa Robert S. McNamara commissionò al Dipartimento della Difesa un archivio sull’impegno americano in Vietnam fino al maggio del 1968. I documenti segretati, furono scoperti e poi rivelati dal ricercatore del Massachusetts Institute of Technology’s Center for International Studies Daniel Ellsberg, che successivamente li trasmise al New York Times, che a sua volta li pubblicò in prima pagina il 13 giugno 1971. 55 R.D. Schulzinger, A Time for War: The United Sates and Vietnam, 1941-1975, New York, Oxford University Press,

1997, p.125.

56 Questo è l'inizio della Dichiarazione d'Indipendenza vietnamita di Ho Chi Mihn del 1945, conultabile in J.M. Hanhimäki e O. Arne Westad, The Cold War. A History in Documents and Eyewitness Accounts, New York, Oxford University Press, 2003, pp.210-211.

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passo dalla Dichiarazione d'Indipendenza americana, credeva di poter persuadere gli Stati Uniti a sostenere la sua causa.

Proclamata il Laos la sua indipendenza, anche se i francesi continuavano a considerarlo come un loro protettorato, la Francia controllava solo il Vietnam meridionale e la Cambogia, ma il governo di Parigi non intendeva accettare passivamente l'indipendenza del Vietnam. Nei negoziati di Hanoi del 6 marzo con i Vietminh, i francesi si limitarono a concedere una relativa autonomia, nell'ambito della costituzione dell'Unione Francese57, e chiesero di

indire un referendum in Concincina, Annam e Tonchino, le tre regioni confinanti con il Vietnam rispettivamente a sud centro e nord.

Fra il 1946 e il 1951 i negoziati si susseguirono agli scontri armati, fino a che l'indipendenza, anche se limitata, dei tre Stati (Indocina, Laos, Cambogia) venne riconosciuta nell'ambito dell'Unione Francese: ciononostante, Ho Chi Minh non aveva abbandonato la lotta per spezzare anche questo vincolo. Del resto, come ebbe modo di affermare lo stesso leader del Fronte Comunista, ‹‹L'intero popolo vietnamita è determinato a mobilitare tutta la sua forza fisica e mentale, a sacrificare le proprie vite le proprie proprietà per salvaguardare la propria indipendenza e libertà››58.

Gli Stati Uniti offrirono la propria mediazione, ritenendo però che il Vietminh, dominato dai comunisti, non fosse un'alternativa conveniente al colonialismo francese. Tuttavia, fino a quel momento, il ruolo dell'amministrazione Truman nelle vicende indocinesi fu piuttosto marginale, poiché l'attenzione maggiore del governo americano era rivolta alla Cina, dove i comunisti di Mao stavano sconfiggendo i nazionalisti di Chiang kai- Shek nella fase finale di una guerra esclusivamente cinese. Gli statunitensi quindi riconoscevano la posizione della Francia in Indocina, e reputavano tale questione un problema che francesi e Vietminh avrebbero dovuto risolvere da soli.

Intanto, la Francia, preoccupata per i costi ingenti e della durata della guerra, cercò una 57 L'Unione francese (“Union Française”) fu l'entità politica creata dalla Costituzione francese del 1946. L'obbiettivo della Quarta Repubblica era quello di sostituire l'antico sistema coloniale, l'impero coloniale francese doveva evolversi e doveva essere abolito lo stato di “indigeno”. Modellata sul Commonwealth britannico, essa includeva la Francia, i dipartimenti d'oltremare, i territori, i protettorati delle Nazioni Unite, le colonie, e gli stati associati, ma questa realtà durò fino al 1958, quando venne rimpiazzata dalla Comunità francese della Quinta Repubblica di Charles de Gaulle. Gli Stati associati dell'Indocina francese abbandonarono l'Unione nel 1954, mentre il Marocco francese e la Tunisia ottennero l'indipendenza nel 1956. Cfr. Ch.-R. Ageron, La décolonisation française, Paris, A. Colin, 1991.

58 Conclusione della Dichiarazione d'Indipendenza vietnamita di Ho Chi Mihn del 1945, consultabile in J.M. Hanhimäki e O. Arne Westad, The Cold War. op. cit., pp.212-213.

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soluzione alternativa, riportando Bao Dai59 a capo di un governo nazionalista che

permetteva ai francesi di mantenere il controllo almeno delle città principali, dato che il

Vietminh aveva il predominio nel Vietnam rurale a nord nel centro, e la sua influenza

continuava ad aumentare.

Così, l'8 marzo 1949, Bao Dai sottoscrisse gli accordi dell'Eliseo con i quali si riconosceva l'unificazione vietnamita e si concedeva un'indipendenza limitata nel quadro dell'Unione Francese: in questo modo, accettò quella che era la posizione della Francia, attirandosi le critiche del Vietminh e degli altri nazionalisti.

La nascita della Repubblica Popolare Cinese nel 1949 e la Guerra di Corea scoppiata nel giugno del 1950 furono due avvenimenti che, da una parte riaccesero le speranze del leader vietnamita, che riprese a combattere con crescente successo, dall'altra produssero il cambio di rotta della politica americana fino ad allora perseguita in Indocina. Il console ad Hanoi William Gibson riferì in un telegramma del 2 aprile 1949 indirizzato al Segretario di Stato che la radio del Vietmihn trasmetteva un messaggio in cui si faceva riferimento a forze di liberazione cinesi (cioè truppe sotto il comando di Mao Tse-tung) che agivano sul confine sino-vietnamita in sostegno alle forze di resistenza vietnamite. Secondo il console, questa era la prima conferma di una cooperazione militare tra cinesi e Vietminh60.

Quasi da un giorno all’altro gli Stati Uniti cambiarono il loro atteggiamento nei confronti della guerra francese in Indocina in senso contrario a Ho Chi Minh. Se in un primo tempo, infatti, il governo statunitense preferiva teoricamente che l’Indocina fosse uno Stato nazionalista indipendente, senza alcuna contaminazione comunista, strettamente collegato all’Occidente e soprattutto alla Francia, da allora in poi, le risorse degli Stati Uniti sarebbero state utilizzate per preservare l’Indocina e il sud-est asiatico dall’ulteriore avanzata dei comunisti61.

Così, in relazione alla “ teoria del domino”, secondo la quale se l’Indocina fosse caduta nelle mani dei comunisti, lo stesso sarebbe accaduto ad altri paesi del sud-est asiatico, 59 Bao Dai (Hué 1913 – Parigi 1997) fu imperatore dell'Annam, poi del Vietnam. Educato in Francia, salì al trono dell'Annam nel 1926, con il colpo di mano del del 9 marzo 1945, quando le forze di occupazioni giapponesi estromisero i collaborazionisti francesi, proclamando una fittizia indipendenza del Vietnam, Bao dai venne posto a capo dello stato. Nell'agosto del 1945 la nascita della Repubblica democratica del Vietnam proclamata dal Vietminh comunista ne represse il ruolo e lo costrinse a rifugiarsi, nel 1946, a Hong-Kong. Cfr. Philip Shenon, Bao Dai, 83, of

Vietnam; Emperor and Bon Vivant, New York Times, 2 agosto 1997.

60 FRUS, 1949. The Far East and Australia. Washington, D.C., United States Government Printing Office. Consultabile sul sito http://digicoll.library.wisc.edu/cgi-bin/FRUS/FRUS-idx?type=turn&entity=FRUS.

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l’amministrazione Truman aumentò notevolmente le spese militari a sostegno dei francesi per aiutarli a conservare il dominio dell’area62. Conseguentemente a questa linea politica ci

furono la Guerra di Corea del 1950-1953, la formazione del Southeast Asia Treaty

Organisation del 1954 e il progressivo impegno nel sud-est asiatico.

A partire dal 1950 - e per altri tre anni - gli Stati Uniti intensificarono il loro impegno accanto ai francesi in Vietnam: questo fatto, oltre a suscitare sempre più pressioni per un coinvolgimento militare, rafforzò anche il convincimento dei politici americani che la guerra tra Francia e Vietminh facesse parte di un tentativo comunista di impadronirsi dell’intera regione. Dunque, la possibilità che i comunisti andassero al potere in Vietnam ebbe per gli Stati Uniti maggior peso delle riserve sull’opportunità di sostenere il colonialismo francese63.

Il riconoscimento del regime di Ho Chi Minh e della Repubblica Democratica del Vietnam (RDV) da parte dell’Unione Sovietica e della Cina contribuì a irrigidire la posizione degli Stati Uniti, i quali furono ancora più decisi della Francia a perseverare in Indocina.

A questo punto, il governo americano smise di fare pressione sui francesi per l’indipendenza vietnamita e nel febbraio 1950 riconobbe formalmente il governo di Bao Dai come unica alternativa a Ho Chi Minh, poiché ormai l’Europa occidentale considerava la RDV un satellite del monolitico impero sovietico. Come disse Dean Rusk:‹‹l’appoggio sovietico avrebbe do[vuto] eliminare qualsiasi illusione sulla natura “nazionalista” degli obiettivi di Ho Chi Minh e rivelare l’autentica ispirazione della politica, cioè quella di un mortale nemico dell’Indocina››64.

Durante il 1950, i combattimenti in Vietnam si fecero più accesi registrando parecchie vittorie importanti del Vietminh nel Vietnam settentrionale: ma l’anno successivo le condizioni francesi migliorarono grazie all’arrivo degli aiuti americani e del comandante Jean de Lattre de Tassigny65. I Vietminh, da parte loro, iniziarono a ricevere aiuti e

addestramento dalla Cina, anche se le truppe cinesi in Vietnam non avevano intenzione di 62 Bollettino del Dipartimento di Stato del 22 maggio 1950 in FRUS, 1950. The Far East and Australia. Washington,

D.C., United States Government Printing Office.

63 Cfr. Pentagon Paper, Part IV, Aid for France in Indochina, 1950-1954. 64 D. Rusk, As I saw It, 1990, W.W. Norton Company, p. 345.

65 Jean-Marie de Lattre de Tassigny (Mouilleron-en-Pareds, 2 febbraio 1889 – Parigi, 11 gennaio 1952) è stato un generale francese, Maresciallo di Francia. Aderì alla “Francia libera” di De Gaulle durante la Seconda Guerra Mondiale e a nome di questa firmò la resa tedesca a Berlino. Dal 1952 fu al comando delle forze francesi in Indocina, divenendo comandante in capo dell'Indocina francese e comandante in capo in Estremo oriente. Abbattuto dalla morte del figlio morto nella guerra d'Indocina e colpito da un cancro all'anca, morì a Parigi l'11 gennaio 1952 dopo un intervento chirurgico. Cfr. S.Karnow, Storia della Guerra del Vietnam, Milano, Bur, 2006, p.87.

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intervenire, come avevano fatto in Corea. Terminata però l’aggressiva campagna militare di de Lattre de Tassigny che riuscì a fermare l’offensiva del Vietminh nel Tonchino, tra il 1952 e il 1953 la situazione militare francese peggiorò ulteriormente66.

Sperando di coinvolgere il Vietminh in una grande battaglia di tipo convenzionale e di ottenere una vittoria decisiva, il nuovo comandante militare francese, generale Henri Navarre scelse Dien Bien Phu, località nella regione nordoccidentale del Vietnam, come punto di partenza per far ripartire l’attacco contro il Vietminh67.

Tuttavia, mentre i francesi occuparono la zona per impedire infiltrazioni vietnamite nel Laos, il generale Vô Nguyen Giap, principale stratega militare del Vietminh, circondò i 13.000 soldati francesi con i suoi 50.000 uomini e sorprese il nemico riuscendo a trasportare la sua artiglieria pesante sulle impervie montagne circostanti. L’assalto ebbe inizio il 13 marzo 1954. Alla richiesta di interventi aerei da parte americana, il presidente Dwight Eisenhower, nonostante il generale consenso sull’importanza dell’Indocina per gli interessi americani, oppose come condizioni tre requisiti: ad agire doveva essere una coalizione internazionale, i francesi dovevano riconoscere l’indipendenza vietnamita, ed era necessaria l’approvazione del Congresso. Poiché tali condizioni non si verificarono, Eisenhower rifiutò l’impegno americano e le richieste di aiuto francese rimasero inascoltate68.

A quel punto la sconfitta divenne inevitabile: assediati dalle forze del Vietminh, i reparti francesi resistettero dal 13 marzo al 7 maggio 1954, quando le forze di Giap conquistarono il campo fortificato di Dien Bien Phu.

Il dibattito su un eventuale intervento americano a sostegno dei francesi nel 1954 si inserì all’interno della prima crisi nei rapporti transatlantici, che raggiunse il culmine proprio nel biennio 1953-1954. Verso la fine del 1950 era stata progettata la Comunità Europea di Difesa (CED). L’idea nasceva con lo scopo di creare una nuova forza militare in funzione antisovietica, che riuscisse a risolvere la questione del riarmo tedesco e potesse aiutare gli americani nella strategia di contenimento del comunismo.

L’obbiettivo di Washington dopo il 1948 era quello di ricreare una Germania Federale, riarmarla ed integrarla in un’Europa, capace di contenere la minaccia sovietica. La Francia 66 Ivi, pp.87-90.

67 B.B. Fall, Hell in a Very Small Place: The Siege of Dien Bien Phu, Philadelphia, Lippincott, 1967; trad. it. I Terribili

56 giorni, Milano, Rizzoli, 1969, p.54.

68 M. Billing-Yun, Decision Against War: Eisenhower and Dien Bien Phu, 1954, New York, Columbia University Press, 1988, p.121.

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si opponeva a questa prospettiva, soprattutto per quanto riguardava la questione del riarmo tedesco, interpretato da Parigi come una possibile minaccia. Gli americani si convinsero che, tramite aiuti militari in Europa e in Indocina, la Francia sarebbe divenuta la nazione guida per un’Europa integrata. Anche perché i francesi, paragonati alla Germania, avevano scarse risorse, e il loro potere militare era stremato dalla lotta nel sud-est asiatico. Il piano per la Comunità del Carbone e dell’Acciaio, che prese il nome dal Ministro degli Esteri francese Robert Schuman, pose le basi per un’integrazione europea di lunga durata, oltre che per una concreta alleanza franco-tedesca69.

Il dibattito CED verteva essenzialmente sul potenziamento tedesco, su come meglio favorirlo e al tempo stesso controllarlo. La Guerra di Corea rimescolò le carte in tavola: finché si trattava di monitorare la crescita tedesca attraverso l’integrazione economica, la Francia riusciva ad avere abbastanza voce in capitolo. Il conflitto coreano spostò invece l’attenzione sul riarmo NATO, con conseguenti pressioni anglo-americane per un pieno contributo tedesco sotto un comando atlantico unificato. Nell’ottobre del 1950 il nuovo Primo Ministro francese Renè Pleven cercò di applicare al riarmo gli stessi meccanismi della CECA. Il Piano Pleven prevedeva un’integrazione dei bilanci, dei programmi e delle forze militari nazionali in un esercito comune sottoposto ad un Ministro Europeo della Difesa, il quale a sua volta sarebbe stato responsabile di fronte ad un Consiglio dei ministri dei paesi membri. Per gli stati Uniti il riarmo tedesco e il suo coordinamento con il resto d’Europa dovevano portare ad una nuova forza militare che avrebbe ridistribuito il peso delle spese militari e avrebbe permesso a Washington di fondare il proprio apporto strategico sul deterrente nucleare. Quindi, soprattutto dopo l’insediamento di Eisenhower alla Casa Bianca, la speranza degli Stati Uniti era quella di ritirare gran parte delle proprie forze dall’Europa. Alla Francia veniva riconosciuto un ruolo fondamentale nell’Europa unita, ma con responsabilità continentali, non mondiali. Mentre il sostegno economico americano per la guerra in Indocina in parte aiutava le ambizioni francesi, Washington proponeva anche di concedere al Vietnam un’autonomia o indipendenza sotto l’imperatore Bao Dai. Anche perché lo sforzo nel sud-est asiatico sembrava distogliere anziché rinforzare il ruolo francese in Europa, soprattutto quando Parigi insisteva che le proprie forze militari nel continente europeo non dovevano essere superate o anche solo eguagliate da quelle 69 A.Boggi, Gli Anni Cinquanta: la Crisi della CED e la mancata simbiosi dell’Occidente, in M. Del Pero, F.Romero

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tedesche.

La Francia non voleva accettare la fase di ridimensionamento a livello globale che stava vivendo e pareva concepire la resistenza contro il proprio declino come prova della propria grandezza70. I francesi non guardavano al potenziale vantaggio di possedere l'Indocina, ma

‹‹al peso stesso di questo compito, che diventa[va] parte parte integrale del concetto francese di potenza, al quale la Francia non [poteva] rinunciare senza perdere il rispetto in sé stessa››71.

La ratifica della CED da parte della Francia dipendeva anche dal suo ruolo all'interno della Nato: Georges Bidault, Ministro degli Esteri francese dal gennaio 1953, insisteva sulla richiesta di tradurre lo Standing Group in un direttorio a tre per coordinare strategie su scala globale. In questo senso l'Indocina doveva essere la riprova di questo tripartitismo: la richiesta a Washington di pieno sostegno durante l'assedio di Dien Bien Phu un anno dopo, era, per il ministro francese, non un segno di debolezza ma della necessità di un tale coordinamento. Dal punto di vista americano, Dien Bien Phu confermava invece che la Francia poteva e doveva riformulare le proprie priorità, concentrandosi sull'Europa, che poteva altrimenti essere danneggiata dalle irrealistiche ambizioni di un impero che stava tramontando72.

L'amministrazione Eisenhower considerò seriamente di intervenire per sconfiggere le forze comuniste rivoluzionarie attraverso una serie di bombardamenti, oltre che all'invio di truppe di terra. Dopo diverse settimane di discussione, Washington decise il non intervento per varie ragioni. I leader del congresso avevano espresso la loro contrarietà ad intervenire senza il supporto degli alleati europei, e il governo conservatore britannico di Churchill e il Segretario agli Esteri Anthony Eden era più interessato ad una distensione con i poteri comunisti rispetto ad una guerra nel sud est asiatico. Il governo francese rifiutava di concedere la piena indipendenza agli stati indocinesi, una condizione che gli Usa ritenevano essenziale per sconfiggere i rivoluzionari comunisti. Inoltre, mentre l'ammiraglio Arthur Radford, capo degli Stati Maggiori Riunti, supportava con entusiasmo l'intervento, incluso l'uso eventuale delle armi nucleari, il Capo dello Staff dell'Esercito, Generale Matthew Ridgway, si opponeva fortemente, argomentando che persino centinaia di migliaia di truppe 70 Ivi, p.11.

71 Telegramma del Segretario di Stato all'Ambasciatore in Francia del 12 agosto 1954, FRUS, vol.V, part.1, doc. 556. 72 R.Spector, Advice and Support: The Early Years of the United States Army in Vietnam 1941-1960, New York, Free

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