FedOA – Federico II University Press Antichità, Medioevo e Umanesimo
In presenza dell’autore
L’autorappresentazione come evoluzione
della storiografia professionale
tra basso Medioevo e Umanesimo
a cura di
Fulvio Delle Donne
Antichità, Medioevo e Umanesimo
1
Giancarlo Abbamonte (Univ. Napoli Federico II), Stefano Ugo Baldas-sarri (ISI Florence), Claudio Buongiovanni (Univ. della Campania L. Van-vitelli), Guido Cappelli (Univ. Napoli Orientale), Carmen Codoñer (Univ. Salamanca), Aldo Corcella (Univ. Basilicata), Edoardo D’Angelo (Univ. Suor Orsola Benincasa, Napoli), Fulvio Delle Donne (Univ. Basilicata), Arturo De Vivo (Univ. Napoli Federico II), Rosalba Dimundo (Univ. Bari), Paulo Jorge Farmhouse Simoes Alberto (Univ. Lisboa), Paolo Gar-bini (Univ. Roma Sapienza), Giuseppe Germano (Univ. Napoli Federico II), Massimo Gioseffi (Univ. Milano), Andrew Laird (Brown Universi-ty), Mario Lamagna (Univ. di Napoli Federico II), Marek Thue Kretsch-mer (Norwegian Univ. Science and Technology), Marc Laureys (Univ. Bonn), Rosa Maria Lucifora (Univ. Basilicata), Andrea Luzzi (Univ. Roma Sapienza), Giulio Massimilla (Univ. Napoli Federico II), Brian Max-son (East Tennessee State University), Marianne Pade (Accademia di Da-nimarca), Raffaele Perrelli (Univ. Calabria), Giovanni Polara (Univ. Napoli Federico II), Antonella Prenner (Univ. Napoli Federico II), Chiara Ren-da (Univ. Napoli Federico II), Alessandra Romeo (Univ. Calabria), Maria Chiara Scappaticcio (Univ. Napoli Federico II), Claudia Schindler (Univ. Hamburg), Francesca Sivo (Univ. Foggia), Marisa Squillante (Univ. Napoli
Federico II), Anne-Marie Turcan-Verkerk (CNRS IRHT, Paris)
I contributi originali pubblicati nei volumi di questa collana sono sottoposti a doppia lettura anonima di esperti (double blind peer review)
In presenza dell’autore
L’autorappresentazione come evoluzione
della storiografia professionale
tra basso Medioevo e Umanesimo
a cura di
Fulvio Delle Donne
In presenza dell’autore : l’autorappresentazione come evoluzione della storiografia professionale tra basso Medioevo e Umanesi-mo / a cura di Fulvio Delle Donne. – Napoli : FedOAPress, 2018. – 170 p. ; 21 cm
(Testi. Antichità, Medioevo e Umanesimo ; 1)
Accesso alla versione elettronica: http://www.fedoabooks.unina.it DOI: 10.6093/978-88-6887-047-8
ISBN: 978-88-6887-047-8
© 2018 FedOAPress - Federico II University Press Università degli Studi di Napoli Federico II
Centro di Ateneo per le Biblioteche “Roberto Pettorino” Piazza Bellini 59-60
80138 Napoli, Italy
http://www.fedoapress.unina.it/ Published in Italy
Prima edizione: dicembre 2018
Gli E-Book di FedOAPress sono pubblicati con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Volume pubblicato nell’ambito delle attività del PRIN A.L.I.M. (Archivio digitale della Latinità Italiana del Medioevo) Prassi e teoria dell’archiviazione informatica e del trattamento filologico-ecdotico
Fulvio Delle Donne,
Premessa. Autorialità e professionalizzazione
storiografica
Paolo Garbini,
Lo stile della storia in Goffredo Malaterra
Angela Brescia,
Di propria mano: annotazioni autografe nel De
re-bus Siculis carmen
di Pietro da Eboli
Marino Zabbia,
La specificità del lavoro di storico secondo Galvano
Fiamma
Sara Crea,
La presenza dell’Actor e il metodo di lavoro di Francesco
Pipino: lo scontro tra Federico I e le città italiane
Mariarosa Libonati,
Lo storiografo e l’oratore: l’allocutio di Chaula
ad Alfonso il Magnanimo
Fulvio Delle Donne,
La cognizione del primato. Biondo Flavio e la
nuova concezione della storia
Martina Pavoni,
«Scribere sum iussus historiam». Antonio Bonfini,
storiografo dei re d’Ungheria
Indice dei nomi
7
13
35
55
79
109
121
145
161
La presenza dell’Actor e il metodo di lavoro di Francesco Pipino:
lo scontro tra Federico I e le città italiane
Francesco Pipino, frate domenicano bolognese vissuto tra la
seconda metà del XIII e la prima del XIV secolo, è autore di un
Chronicon in lingua latina in trentuno libri: abbracciando un arco
cro-nologico che va dal 754 fino al 1314, ma con aggiunte di notizie che
arrivano fino al 1322
1, ciascuno di essi è dedicato al periodo di regno
di un imperatore, eccetto il XXV, destinato alla storia delle crociate.
L’opera è tràdita da un unico manoscritto, parzialmente autografo,
conservato presso la Biblioteca Estense di Modena
2; l’unica
edizio-1 Per le notizie biografiche su Francesco Pipino si vedano: G. Fantuz-zi, Notizie degli scrittori bolognesi, VII, Bologna 1789, pp. 45-48; L. Manzoni, Frate Francesco Pipino da Bologna dei PP. Predicatori, geografo, storico e viaggiatore, «Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna», 13 (1894-1895), pp. 257-334; G. Zaccagnini, Francesco Pipino traduttore del ‘Milione’, cronista e viaggiatore in Oriente nel secolo XIV, «Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per l’Emilia e la Romagna», 1 (1935-1936), pp. 61-95; T. Kaeppeli, Scriptores Ordinis Praedicatorum Medii Aevi, I, Roma 1970, pp. 392-395; L. Paolini, Pipino, Francesco, in Repertorio della cronachistica emiliano-romagnola, cur. A. Vasina, Roma 1991, pp. 131-134; A.I. Pini, Pipino Francesco, in Lexikon des Mittelalters, VI, München-Zürich 1993, col. 2166; F. Delle Donne, Pipino, Francesco, in Encyclopedia of the Me-dieval Chronicle, Leiden 2010, pp. 1219-1220; M. Zabbia, Pipino, Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, 84, Roma 2015, ad vocem.
2 Si tratta del manoscritto α.X.1.5 conservato presso la Biblioteca Estense di Modena (da adesso denominato P).
ne finora esistente è quella curata da Ludovico Antonio Muratori
per i
Rerum Italicarum Scriptores, ma è parziale e altera profondamente
il testo
3.
Per la costruzione del racconto storico di un periodo di tempo
così ampio, Pipino utilizza molteplici e variegate fonti, ma non si
dimostra un passivo ricettore e trasmettitore di notizie: al
contra-rio, nel corso del racconto emerge l’intervento dello scrivente
ri-spetto alla materia trattata. Il cronista infatti vaglia attentamente i
testi a sua disposizione, scegliendo di volta in volta quali utilizzare
per raccontare uno specifico argomento o episodio all’interno della
sua cronaca. Interviene, del resto, spesso, attraverso l’apposizione di
note marginali, con le quali integra notizie ricavate da fonti diverse
o invita il lettore a porre attenzione a un passaggio testuale
partico-larmente rilevante. Particopartico-larmente significativa, poi, è l’inserzione
di passi introdotti dal termine
actor, nei quali fornisce informazioni
originali, non ricavate o non trattate dalle fonti abitualmente
utiliz-zate, confronta e compara descrizioni diverse dello stesso evento,
oppure, ancora, segnala il passaggio dall’uso abituale di fonti
narra-tive a quello più insolito delle fonti documentarie.
Un argomento ampiamente trattato all’interno della cronaca è
lo scontro tra Federico I e le città dell’Italia Settentrionale, che
oc-cupa i primi 50 capitoli del libro XXII
4, dei quali solo l’ultimo è
edito da Muratori. Per raccontare questo importante momento della
storia, Pipino utilizza principalmente, ma non esclusivamente, due
cronache cittadine: l’
Historia Federici I di Ottone Morena e dei suoi
continuatori
5e i
Gesta Federici I in Lombardia o Narratio de Longobardie
3 L’edizione del Chronicon di Francesco Pipino si trova in Rerum Italica-rum Scriptore (RIS), cur. L.A. Muratori, IX, Mediolani 1726, coll. 587-752; il XXV libro è invece edito sotto il titolo di Historia de acquisitione Terrae Sanctae in RIS, VII, coll. 663-848, ma attribuita a Bernardo Tesoriere.4 P, cc. 77v-85v.
5 La cronaca è stata scritta da Ottone Morena per il periodo che va dal 1153 al 1160/1161, poi dal figlio Acerbo e infine da un continuatore anonimo che la conclude fino alla data del 4 aprile 1168. L’edizione della
obpressione et subiectione
6. Si tratta di due narrazioni contemporanee
agli eventi narrati, ma che descrivono lo scontro da due
prospet-tive diverse: l’
Historia racconta il periodo delle guerre dal punto di
vista della città di Lodi, fino a un certo punto alleata del sovrano, e
soprattutto di Federico I, vero protagonista della cronaca,
ripercor-rendo la sua affermazione in Lombardia contro i nemici e l’aiuto
fornito alle città alleate; i
Gesta Federici, fondamento della memoria
comunale di Milano, ripercorrono invece la storia, in un testo scarno
e meno dettagliato di quello offerto da Ottone Morena, dal punto di
vista della città, principale avversaria dell’imperatore
7.
cronaca a cui si fa qui riferimento è quella a cura di F. Güterbock, in MGH, SS rer. Ger., n.s., VII, Berlino 1930. Per gli studi sulla figura di Federico I in Ottone Morena si rinvia a: O. Engels, Federico Barbarossa nel giudizio dei suoi contemporanei, in Federico Barbarossa nel dibattito storiografico in Italia e in Germania, cur. R. Manselli, J. Riedmann, Bologna 1982, pp. 45-81; L. Capo, Federico Barbarossa nelle cronache italiane contemporanee, in Federico I Barbarossa e l’Italia nell’ottocentesimo anniversario della sua morte. Atti del convegno, Roma 24-26 maggio 1990, cur. I. Lori Sanfilippo, Roma 1990, pp. 303-345.
6Gesta Federici I imperatoris in Lombardia auctore cive Mediolanensi, ed. O. Holder-Egger, in MGH, Ss rer. Ger., XXVII, Hannover 1892, pp. 6-64, e nell’edizione più recente Narratio de Longobardie obpressione et subiectione, ed. F.J. Schmale, in Italische Quellen über die Taten Kaiser Friedrichs I. in Italien und der Brief über den Kreuzzug Kaiser Friedrichs I, Darmstadt 1986, pp. 240-295.
7 La differenza degli intenti e della prospettiva del racconto offerto dai due testi emerge chiaramente fin dal prologo delle due cronache. Ottone Morena così infatti si rivolge ai suoi lettori: «Quicunque res a sanctissi-mo domino nostro imperatore Frederico, religiosissisanctissi-mo ac prudentissisanctissi-mo seu dulcissimo viro, divina favente misericordia in Longobardia prospere gestas ac sapienter audire desideras, quasque civitates et que loca sua po-tentia ceperit atque destruxerit, quasque etiam civitates et loca destructa sua sanctissima benignitate ac pietate in suo honore reformaverit, queque etiam et quanta bella et quo tempore in Italia peregerit, quomodo etiam hostes imperii sue dicioni subiugaverit suosque amicos et maxime Lauden-ses sublevaverit ipsosque multimodis honoribus atque divitiis repleverit, quantasque calamitates et tormenta Laudensibus a Mediolanensibus fere
Di fronte alle due cronache a sua disposizione, il cronista segue
per quinquaginta annos illata ipsi Laudenses sustinuerint: hunc libellum a me Ottone iudice, qui dicor Morena, ac misso domini Lotharii tercii imperatoris et secundi Conradi regis scriptum perlege», «Chiunque tu sia, che desideri ascoltare le cose felicemente e sapientemente compiute in Lombardia dal santissimo nostro signore, l’imperatore Federico, uomo molto religioso ed espertissimo e molto amabile, col favore della divina misericordia, e quali città e quali luoghi con la sua potenza avesse conqui-stato e avesse distrutto, e anche quali città e luoghi diruti, con la sua santis-sima bontà e pietà, in suo onore avesse ripristinato allo stato precedente, e inoltre quali anche e quanto grandi guerre e in quale tempo avesse mosso in Italia, e ancora in che modo anche avesse sottomesso al suo potere i nemici dell’impero e avesse sostenuto i suoi amici e soprattutto i Lodi-giani, e questi avesse colmato in molti modi con onori e ricchezze, quan-to grandi sciagure e quan-tormenti, arrecati dai Milanesi ai Lodigiani quasi per cinquant’anni, quei Lodigiani avessero sopportato, leggi questo libretto, scritto da me giudice Ottone, che sono detto Morena, e messo del signor Lotario III imperatore e del re Corrado II» (cfr. Otto Morena, Historia cit., pp. 1-2). Nei Gesta Federici invece l’intento del cronista è completamente di-verso, come egli stesso afferma: «Licet impar operi et non sufficere posse videar, pro facultate tamen ingenii ea que vidi et veraciter audivi ad utilita-tem posterorum scribere utilita-temptabo; maxima enim succedentium versatur utilitas, cum ex precedentibus didicerint futura cavere. Siquidem diligens lector, si ea que scripta invenerit attente prospexerit, ne quando in similem incidat iacturam, vitare curabit. Misere itaque Longobardie, que sevitiam et immanitatem Romanorum primum, Wandalorum, Gothorum, Winilo-rum, FrancoWinilo-rum, UngaroWinilo-rum, Theothonicorum experta est, opressionem et insolitam subiectionem, maxime Mediolanensium obsessionem, prodi-tionem atque destrucprodi-tionem breviter narrare studebo», «Sebbenesembri impari a questa opera e inidoneo a realizzarla, tuttavia secondo le capa-cità del mio ingegno tenterò di scrivere le cose che ho visto e realmente ascoltato per l’utilità dei posteri; è massima infatti l’utilità delle cose che accadono, quando dalle cose precedenti si sia imparato a guardarsi dalle cose future. Il lettore diligente, se leggerà attentamente quanto è scritto, per evitare di incorrere in un simile danno, si prenderà certamente cura di evitarlo. E così cercherò di raccontare brevemente l’oppressione e
l’inso-principalmente l’
Historia di Ottone Morena e utilizza i Gesta Federici
solo per integrare notizie non presenti nella sua fonte principale,
per proporre confronti tra versioni diverse e per l’ultima parte del
racconto
8. Questa scelta condiziona la narrazione della storia
all’in-terno del
Chronicon, perché Pipino abbraccia di fatto il punto di
vi-sta di Ottone Morena e quindi della città di Lodi e dell’imperatore,
prospettiva che emerge chiaramente nel corso del racconto offerto
dal
Chronicon. A conferma di ciò, è opportuno qui riportare alcuni
esempi che chiariscano la diversa prospettiva storica offerta dalle
due cronache e l’atteggiamento di Pipino nel suo rapporto con le
fonti.
La storia dello scontro tra Federico I e le città italiane riportata
nel
Chronicon è tratta infatti fin dall’inizio dal racconto di Ottone
Morena e si apre con la richiesta di aiuto degli ambasciatori di Lodi,
i quali, recatisi alla corte dell’imperatore, elencano le continue
ves-sazioni subite da parte di Milano, che stavano ormai portando alla
rovina della loro città, chiedendo quindi un intervento del sovrano
in Italia, a cui fa seguito la prima discesa dell’imperatore. L’arrivo di
Federico I è dunque motivato fin dall’inizio dal desiderio di aiutare
le città italiane, vessate dalle angherie e dai soprusi di Milano, e di
riaffermare la giustizia in Lombardia. Queste motivazioni sono
chia-ramente riportate da Ottone Morena, che, aprendo il suo racconto,
così giustificava l’intervento di Federico I:
lita sottomissione della misera Lombardia, che sopportò la crudeltà e la ferocia prima dei Romani, dei Vandali, dei Goti, dei Vinili, dei Franchi, degli Ungari, dei Tedeschi, soprattutto l’assedio, il tradimento e anche la distruzione dei Milanesi» (cfr. Gesta Federici cit., pp. 14-16).
8 La forte dipendenza di Pipino dalla cronaca di Ottone Morena per la ricostruzione della storia di Federico I era già stata evidenziata da Muratori nella prefazione alla sua edizione del Chronicon: «Res vero Friderici I Au-gusti fuse persequitur, sed omnia testatur se accepisse ab Ottone Laudensi, videlicet ab Ottonis Morenae Historia» (cfr. Franciscus Pipinus, Chronicon cit., p. 585).
Iamque a primo inicio benignitatis ac pietatis, quam sanctissimus do-minus imperator Fredericus circa Laudenses primum exhibuit, inci-piens, causam et occasionem, quare predictus imperator in amorem Laudensium ac odium Mediolanensium primum exarserit, oblivioni tradere non putavi9.
Nei
Gesta Federici invece la discesa dell’imperatore in Italia è
ri-costruita in modo diverso e motivata soprattutto dal desiderio del
sovrano di soggiogare la Lombardia, come esplicitamente riportato
dall’anonimo cronista:
Anno Dominice incarnationis MCLIIII mense Octubris intravit rex Fredericus, homo industrius, sagacissimus, fortissimus, Longobardiam cum magno exercitu. Et tunc Mediolanenses cum Papiensibus erant in guerra, que cepta erat in mense Iulii ante. Venit ergo conscilio accepto, ut Longobardos miro modo subiugaret. Et cum sibi videretur neces-sarium alteram partem eligere, utilius duxit parti Papiensium adherere, ne, si Mediolanensium partem amplexus esset, altera parte Longobar-die subiugata, Mediolanenses, qui fortiores erant, rebelles existerent10.
9 Otto Morena, Historia cit., p. 2: «E già cominciando dai primi prin-cipi di bontà e pietà, che il santissimo signor imperatore Federico mostrò in primo luogo ai Lodigiani, non ritenni di consegnare all’oblio la causa e l’occasione per cui il predetto imperatore arse in primo luogo di amore per i Lodigiani e di odio per i Milanesi». Questa considerazione del cronista non è riportata da Pipino, che però, per l’inizio del racconto della lotta tra Federico I e le città italiane, che occupa i primi tre capitoli del libro XXII del Chronicon (cc. 77v-78v), segue fedelmente la storia riportata da Ottone Morena.
10 Gesta Federici cit., p. 16: «Nell’anno dell’incarnazione del Signore 1154, nel mese di ottobre, il re Federico, uomo diligente, acutissimo, for-tissimo, entrò in Lombardia con un grande esercito. In quel momento i Milanesi e i Pavesi erano tra loro in guerra, iniziata nel precedente mese di luglio. Preso dunque consiglio, venne per soggiogare in modo straordina-rio i Lombardi. E poiché considerava per sé necessastraordina-rio scegliere una delle due parti, stimò più utile aderire alla parte dei Pavesi, per evitare che, se
La storia continua poi con la descrizione dei patti di Roncaglia
del 1154, a seguito dei quali Federico chiese ai Milanesi di essere
condotto presso il ponte del Ticino, ma i suoi avversari
per loca tamen
devia et solitaria ipsum exercitum conduxerunt. Da ciò l’imperatore:
suspicatus est Mediolanenses cum eo dolose agere iussitque eis ut om-nes habitatores castri Rosate egredi facerent castrum ipsum. Quod licet Mediolanenses egre ferre tamen peractum est. Nam universi, qui in castro ipso erant, a maiore usque ad minimum sexus utriusque, cum dolore et luctu maximo sunt egressi, Teutonici vero castrum intrantes, predata omni suppellectili, magno illud incendio dissiparunt11.
Anche in questo caso la stessa storia nei
Gesta Federici è
racconta-ta in modo diverso, poiché fin da subito l’atteggiamento del sovrano
è descritto come subdolo e ambiguo:
Ficte ergo, ut ex subsequentibus apparuit, apud Ronchalias et inter eos pacem teneri precepit et captivos ab utraque parte sibi reddi iussit. Et cum venisset apud Landrianum, redditos sibi captivos Papiensium dimisit, Mediolanensium vero ligatos ad equorum caudas trahens per lutum duxit; quorum alii fuga, alii peccunia redempti liberati sunt12. avesse abbracciato la parte dei Milanesi, dopo aver sottomesso l’altra parte della Lombardia, i Milanesi, che erano i più forti, rimanessero ribelli».
11 P, c. 78r.: «sospettò che i Milanesi con lui agissero con inganno e ordinò loro di far uscire dalla fortezza di Rosate tutti gli abitanti di quel castello. Sebbene i Milanesi sopportassero ciò malvolentieri, fu tuttavia fatto. Infatti tutti quelli che erano in quella fortezza, dal maggiore fino al più piccolo di entrambi i sessi, uscirono con dolore e grandissimo pianto; i Tedeschi invece, entrarono nel castello e, saccheggiata ogni suppellettile, lo distrussero con un grande incendio».
12 Gesta Federici cit., p. 16: «Pertanto per finta, come apparve dalle cose seguenti, presso Roncaglia, ordinò che tra loro fosse conservata la pace, e comandò che da entrambe le parti gli fossero consegnati i prigionieri. E quando giunse presso Landriano, liberò i prigionieri dei Pavesi che gli erano stati consegnati; quelli dei Milanesi, invece, legati alle code dei ca-valli, li trascinò nel fango; di essi alcuni fuggirono, altri furono liberati
Un ultimo esempio può aiutare ulteriormente a comprendere la
prospettiva del racconto offerta da Pipino e condizionata dalla scelta
della fonte principale seguita. Uno dei primi grandi scontri nella
lot-ta tra l’imperatore e le città ilot-taliane fu l’assedio di Tortona, allealot-ta di
Milano e avversa ai Pavesi, fedeli al sovrano. Lo scontro si tenne nel
1155 e si concluse con la resa della città e la sua distruzione. In
Ot-tone Morena e in Pipino la decisione dell’imperatore di intervenire a
Tortona fu provocata dalla richiesta di aiuto da parte dei Pavesi, che
lamentarono al sovrano le continue offese subite dalla città,
chie-dendone l’immediato intervento. Federico, come ben descritto da
Pipino, a più riprese cercò di riportare la città all’ordine e
all’obbe-dienza, ma a seguito dei continui rifiuti di Tortona di accettare le
ri-chieste dell’imperatore, si decise ad attaccare la città, provocandone
appunto la resa, attraverso patti che così Pipino, seguendo Ottone
Morena, riporta:
Tandem Hugone vicecomite et aliis quampluribus ex Mediolanensi-bus, qui ad auxilium Terdonensium venerant, nec non et ex Terdonen-sibus ipsis machinis et petrariis telisque interfectis, vivis etiam maxime aque penuria constrictis, burgo quoque civitatis ab Henrico Saxonie vi capto et incendio profligato, cum se non posse manus regis effugere patenter iidem obssessi adverterent, hoc pacto deditionem fecerunt, quod videlicet cum coniugibus et liberis ac rebus eorum indempnes abirent et civitatem regi relinquerent. Quod cum factum esset, gens con un riscatto in denaro». È interessante qui notare che Pipino integra in questo capitolo il racconto con alcune notizie tratte proprio dai Gesta Fe-derici attraverso un’annotazione marginale, ascrivibile alla stessa mano del cronista, con cui raccontava la diversità del trattamento subito dai prigio-nieri di Pavia e da quelli di Milano: «Legitur in cronicis Mediolanensibus quod pace inter Mediolanenses et Papienses apud Roncalias pronumptiata [pronumptia P1: corr.] a rege et sibi partis utriusque assignatis captivis, cum
esset apud Landrianum, Papienses captivos abire permisit illesos. Mediola-nenses vero ad equorum caudas iussit per cenum traduci, quorum alii fuga, alii pecunia evaserunt» (P, c. 78r). Nonostante ciò però Pipino non riporta le precedenti considerazioni del cronista sull’atteggiamento del sovrano.
regia civitatem ingressa, predatis reliquiis suppellectilium, que defferre non potuerant, ruina et incendio totam civitatem evertit13.
Nei
Gesta Federici invece il cronista, che non riporta le
motivazio-ni che spinsero il sovrano a intervemotivazio-nire a Tortona, si concentra sul
non rispetto dei patti da parte di Federico dopo la resa della città:
Deficiente autem aqua et vino, reddiderunt se octavo decimo die men-sis Aprilis, interveniente abbate Bruno de Caravalle de Bagnolo, cui promiserat, quod civitatem in suo statu stare permitteret. Data autem fiducia civibus et extraneis exeundi cum hiis que portare poterant, alii egressi sunt, alii remanserunt in maiori ecclesia. Rex vero cum exercitu suo intravit in eam et eam usque ad solum destruxit, quoniam peccu-nia accepta a Papiensibus, ut id, si facere posset, ad effectum perdu-ceret, pacto tenebatur. Prefatus vero abbas nimio dolore atque tristitia tentus infra triduum mortuus esse fertur14.
13 P, c. 78v: «Infine, essendo stati uccisi dalle macchine, dalle catapulte e dai dardi il visconte Ugo e molti altri Milanesi che erano giunti in aiuto dei Tortonesi, e altri ancora tra i Tortonesi stessi, mentre anche i vivi erano stremati per la penuria dell’acqua, essendo stato catturato anche il borgo della città con la forza e devastato con un incendio da Enrico di Sassonia, poiché gli stessi assediati chiaramente si accorsero di non poter sfuggire al re, si sottomisero a questo patto, che cioè si potessero allontanare indenni con i coniugi e i figli e le loro cose, lasciando la città al re. Quando ciò fu fatto, la gente del re, essendo entrata in città, saccheggiate le suppellettili lasciate, che non avevano potuto portare, distrusse tutta la città con rovina e con incendio».
14 Gesta Federici cit., p. 17: «Mancando poi l’acqua e il vino, si consegna-rono nel diciottesimo giorno del mese di aprile, per intervento dell’abate Bruno di Chiaravalle da Bagnolo, cui aveva promesso che avrebbe per-messo che la città rimanesse nel suo stato. Data però garanzia ai cittadini e agli estranei di andar via con le cose che potevano portare, alcuni uscirono, altri rimasero nella chiesa maggiore. Ma il re vi entrò con il suo esercito e la rase al suolo, poiché, ricevuto il denaro dai Pavesi, era vincolato da un patto a farlo, qualora potesse farlo. In verità il predetto abate si dice che morì nello spazio di tre giorni per il troppo dolore e la troppa tristezza».
Quindi, mentre in Ottone Morena e in Pipino l’intervento di
Federico I risulta causato dalla disobbedienza della città di Tortona e
dai suoi attacchi agli abitanti di Pavia, nei
Gesta Federici le motivazioni
che spingono il sovrano a intervenire a Tortona non sono descritte,
e il racconto si concentra sul comportamento dell’imperatore, che
tradisce la fiducia dei cittadini che a lui si erano consegnati,
provo-cando anche la morte dell’abate Bruno di Chiaravalle, che si era reso
intermediario per la stipulazione delle condizioni di pace.
Da questi pochi esempi emerge dunque quanto la scelta di
Pipi-no di seguire principalmente l’
Historia di Ottone Morena condizioni
l’andamento di tutta la narrazione e come la storia di Federico I sia
in realtà in Pipino il racconto del processo di affermazione degli
ideali di giustizia nell’Italia settentrionale. L’imperatore infatti
attac-ca i suoi nemici per accogliere le richieste di aiuto che arrivavano
dalle città italiane, vessate dalla potenza di Milano; è un sovrano
che interviene sempre per difendere i più deboli, le città amiche, e
ostacolare la prepotenza e la violenza di Milano e dei suoi alleati, in
un percorso di riaffermazione dei principi di ordine e giustizia di cui
Federico è massimo rappresentante
15.
Nel corso della cronaca Pipino attribuisce all’imperatore grandi
qualità personali: egli è infatti
clementissimus (cap. 19, 56),
christianis-simus (cap. 29, 56), misericors (cap. 6), obliviosus iniurie, iusticie et legum
amator, eleemosynarum munificus (cap. 56), tanto che dalla sua morte
inextimabile dampnum Christianis accessit (cap. 56). Il sovrano non è solo
personificazione dell’ideale di giustizia, ma è anche contraddistinto
dalla virtù della
clementia, che mostra in più punti ai suoi stessi
av-versari: agli abitanti di Spoleto, che,
vesano spiritu ducti, avevano
at-taccato a sorpresa l’imperatore, egli,
motus tamen misericordia, ut erat
animo, dopo aver sconfitto la città, perdonò le offese subite e, fatto
15 Nel corso della cronaca continue sono le richieste di aiuto che per-vengono all’imperatore da parte di alcune città del Nord Italia: l’intervento di Federico è infatti sollecitato in diverse occasioni da Pavia, Cremona, Ca-stiglione Olona, Trezzo, che trovano nel sovrano un fedele alleato, pronto a vendicare le offese subite.
un patto, permise loro di rientrare in patria
16; di fronte alle minacce
degli abitanti di Crema verso i suoi ambasciatori,
licet id ferret
gravis-sime, conniventibus tamen oculis, pertransivit
17; rispetto alle provocazioni
di Milano,
licet corde foret gravissime saucius, adhuc tamen sub dissimulatione
transivit
18; dopo l’assedio di Crema,
ut erat natura clementissimus,
fat-ta la pace con i citfat-tadini, concesse loro in dono la vifat-ta
, qua privari
meruerunt
19, rispetto ai quali mirabilem clemenciam induit et inimitabilem
quidem
20.
La descrizione delle città avverse al sovrano è invece
caratteriz-zata dal ricorso a termini e aggettivi negativi, e soprattutto gli alleati
di Milano sono descritti come deboli e corrotti: gli abitanti di
Spo-leto
21, di Brescia
22, di Verona
23avevano attaccato l’imperatore non
per perseguire ideali di giustizia e di libertà, ma dietro pagamento
di grandi somme di denaro da parte di Milano, che comprava il
so-stegno delle città contro il sovrano
24. L’
avaritia e la violentia sono le
16 P, c. 78v. 17 P, c. 80r. 18 P, c. 80r. 19 P, c. 80v. 20 P, c. 80v. 21 P, c. 78v. 22 P. c. 79v. 23 P, c. 78v.
24 L’accusa di avaritia che Pipino, seguendo Ottone Morena, muove agli avversari di Federico I, nei Gesta Federici I è invece rivolta al sovrano stesso, reo di comprare l’appoggio dei suoi alleati per muoverli contro Milano. L’imperatore infatti attraverso elargizioni di denaro si garantiva il sostegno degli abitanti della Martesana e di Seprio: «Imperator vero, dato exercitui comeato, secessit Bolzanum cum familia sua et ibi stetit octo dies; et postea ascendit Modoetiam et ibi moratus est plus octo diebus, et ibi fecit concordiam cum Martensibus et Sepriensibus data eis maxima pecunia»; «Certamente l’imperatore, dato il congedo all’esercito, si ritirò a Bolzano con la sua famiglia e lì stette per otto giorni, e dopo salì a
caratteristiche distintive degli avversari di Federico I, e in particolar
modo di Milano, a cui è riservato il trattamento peggiore. La città
è descritta in modo specularmente opposto all’immagine data del
sovrano: è aggressiva, violenta, e non mostra alcuna pietà verso i
ne-mici e i vinti. È ciò che Pipino descrive bene a proposito dell’assedio
di Lodi da parte di Milano, che portò all’esilio dei Lodigiani e alla
devastazione della loro città, indugiando a lungo sulla triste
proces-sione degli abitanti costretti a lasciare la loro patria:
Erat autem miserandum pariter et miserabile lugubrem fugiencium videre catervam, partum quoque ipsorum audire lamenta, inter quos pendentes ad matrum ubera et incunabulis gremioque delati, vestibus quoque parentum adherentes, vagitus emittebant ac producebant la-crimas pietatis. Multi quoque propter noctis tenebras pedes offende-bant ad lapides, nonnulli etiam terre scrobes sive foveas incideoffende-bant. Cumque ad locum memoratum venissent, in maxima degentes miseria tantum loci angustia, tantum etiam victus penuria, infra tandem dies paucissimos tanta in eos morbi pestis invaluit, ut ipsum ecclesie loci cimiterium defunctorum non sufficeret supulture, unde multi ex eis Cremonam profecti sunt. Mediolanenses autem post discessum ipso-rum Laudensium civitatem et suburbia agrosque eoipso-rum multis direp-tionibus, incendiis ac depopullationibus infestarunt25.
Monza e lì si fermò più di otto giorni, e allora stipulò un accordo con gli abitanti della Martesana e di Seprio, dato a loro moltissimo denaro» (cfr. Gesta Federici cit., p. 34), e si fa corrompere dagli abitanti di Cremona per attaccare Crema: «Et cum esset aput Occimianum, precepit, ut castellum Creme destueretur, recepturus propterea quindecim milia marchas argenti a Cremonensibus»; «E poiché si trovava presso Occimiano, ordinò che il castello di Crema fosse distrutto, per ricevere per questo quindicimila marche d’argento dai Cremonesi» (cfr. Gesta Federici cit., p. 35).
25 P, c. 79r: «Era poi nello stesso tempo da commiserare e degno di compassione vedere la luttuosa moltitudine di quelli che fuggivano, ascol-tare anche i lamenti della prole degli stessi, tra i quali quelli che erano attac-cati ai seni delle madri e portati nelle culle e nel grembo, anche quelli che aderivano ai vestiti dei genitori emettevano vagiti e producevano lacrime
La violenza e la brutalità dei cittadini di Milano e dei suoi alleati
non era però indirizzata solo ai nemici, come Pipino mostra
ripor-tando il celebre episodio dell’assedio di Crema del 1160, conclusosi
con la resa della città, durante il quale gli abitanti di Crema e di
Mi-lano, per resistere alla forza dell’imperatore, arrivarono a uccidere i
loro parenti e amici tenuti in ostaggio da Federico I,
obsessi sanguinis
sui obliti et suorum affinium caritatis immemores, tanto che alla fine fu lo
stesso sovrano a dover intervenire perché
cum autem imperator
effe-ratam et incredibilem eorum seviciam advertisset, obsides, qui supervixerant,
deponi iussit et castellum retro duci et oportune etiam reparari, mostrando
un sentimento di pietà verso gli ostaggi che neppure i loro parenti
avevano avuto
26.
di pietà. Molti anche urtavano i piedi nelle pietre per le tenebre della notte, alcuni cadevano anche nelle buche della terra o nelle fosse. Ed essendo giunti al luogo ricordato, vivendo in massima miseria tanto per l’angustia del luogo, tanto per la penuria di cibo, alla fine entro pochissimi giorni crebbe tra quelli un’epidemia tanto grande, che il cimitero della chiesa del luogo non bastava alla sepoltura dei defunti, per cui molti tra quelli andarono a Cremona. Ma i Milanesi dopo la partenza di quei Lodigiani danneggiarono la città e i sobborghi e i campi di quelli con molti saccheg-gi, incendi e devastazioni».
26 P, cc. 80r-80v. L’assedio di Crema è invece così descritto nei Gesta Federici: «Ab illa die cepit confidenter morari apud Cremam, et fecit fie-ri testudinem mirabilem, qua implebatur fossatum; insuper fecit turrem ligneam altiorem et fortiorem et latiorem, quam unquam aliquis vidisset; et fecit venire obsides, quos habebat Cremone, et captivos, quos habebat Pa-pie, et de melioribus et nobilioribus circa viginti in die suspendebat extra turrim funibus ligatis humeris; et in quodam ligno sedebant, ut lapidibus, qui iaciebantur ab onagris, qui erant in Crema, obruerentur, aut eorum timore vel amore castellum redderetur. Et cum per aliquot dies ictus lapi-dum sustinuissent, turri appropinquante castello et dimissis de captivis et de obsidibus in nocte in turri, timuerunt ne altera die caperentur. Tota ergo nocte onagris suis laboraverunt et lapidaverunt et occiderunt ex illis qui erant in turri septem, hos videlicet: Caput de malio de Pusterla, Pagnierum de Lampugnano, filium Azonis Cicerani, filium Buze de Sancto Blatore,
Nella costruzione del racconto della storia Pipino non si limita
però a seguire solo l’
Historia di Ottone Morena, ma procede spesso
anche a confronti e comparazioni tra le differenti versioni degli
stes-si episodi offerte dalle sue fonti. In alcuni castes-si il cronista esplicita il
passaggio da una fonte all’altra attraverso l’utilizzo del termine
actor,
o segnalando al suo lettore il ricorso ai
cronica Mediolanensia,
espres-sione con cui Pipino fa riferimento ai
Gesta Federici. Per diversi eventi
quindi il cronista offre al suo lettore entrambe le visioni della storia:
è il caso dei trattati di Roncaglia
27, del conclave del 1159
28, della
bat-Presbiterum de Carusco, Turricum de Bonate, Anricum de Landriano. Et isti marturiati sunt ea morte, qua aliquos perisse nusquam legimus». «Da quel giorno temerariamente iniziò a dimorare presso Crema e fece costru-ire una testuggine mirabile, con cui era riempito il fossato; inoltre fece una torre di legno più alta e più forte e più ampia, quanto mai nessuno aveva visto, e fece venire gli ostaggi, che aveva a Cremona, e i prigionieri, che aveva a Pavia, e circa venti tra i migliori e più nobili impiccò durante il giorno fuori dalla torre con funi legate alle spalle; e sedevano in una specie di legno, affinché quelli che erano a Crema fossero distrutti dalle pietre che erano lanciate dagli onagri oppure fosse restituito il castello per timore di questi o per affetto. E sebbene avessero sostenuto per alcuni giorni i col-pi delle col-pietre, avvicinandosi la torre al castello ed essendo anche lasciati alcuni tra gli ostaggi e i prigionieri di notte nella torre, temettero di essere catturati il giorno successivo. Per tutta la notte dunque con i loro onagri si affaticarono e lapidarono e uccisero sette tra quelli che erano nella torre, cioè questi: Codemalio di Pusterla, Pagniero di Lampugnano, il figlio di Azzo Cicerano, il figlio di Buzzo di Santo Blatore, Presbitero di Calusco, Torrico di Bonate, Anrico di Landriano. E questi furono torturati in quella morte, in un modo che in nessun luogo leggiamo che alcuni morissero» (cfr. Gesta Federici cit., pp. 37-38). I nomi degli uccisi durante l’assedio sono riportati anche da Ottone Morena (cfr. Otto Morena, Historia cit., p. 80), ma omessi da Pipino, che si limita a dire che nove tra i prigionieri del so-vrano furono uccisi da quelli di Milano e di Crema.27 P, c. 79v. 28 P, cc. 81v-81r.
taglia di Carcano
29, dell’assedio e della resa di Milano
30, della quarta
discesa in Italia di Federico
31, per cui consulta e utilizza entrambe
le cronache cittadine a sua disposizione. In alcuni capitoli Pipino,
seguendo i
Gesta Federici, non risparmia di sottolineare atteggiamenti
e comportamenti ambigui da parte del sovrano, non attestati in
Ot-tone Morena. È quanto emerge, ad esempio, a proposito della pace
stipulata tra Milano e l’imperatore nel 1158, sancita, secondo Ottone
Morena, dopo la resa dei Milanesi, che non riuscivano più a tollerare
le incursioni del sovrano. Seguendo dunque l’
Historia Pipino così
riporta nella sua cronaca:
Tandem cum ipsi Mediolanenses incursiones et direptiones huiusmodi ferre non possent, cum imperatore pepigerunt datisque CCC obsidi-bus, mandatis eius parere iurarunt, ut scribit Otto Laudensis32.
Il cronista aggiunge però immediatamente dopo:
Sed in cronicis Mediolanensibus precipitur quod, dum imperatoris exercitus apud portam Romanam civitatem expugnarent et pontem maximum supra fossas misissent nissi urbem intrare, Mediolanenses, ponte combusto, quamplures ex hostibus occiderunt. Cumque impe-rator adverteret se nullatenus posse armis Mediolanensium pertina-ciam debellare, accitis viris religiosis, de componenda pace cum Me-diolanensibus tractari mandavit33.
29 P, c. 82r. 30 P, cc. 82r-83r. 31 P, c. 83r.
32 P, c. 79v: «Alla fine poiché quei Milanesi non potevano sopportare assalti e devastazioni di questo tipo, con l’imperatore conclusero un patto e, dati 300 ostaggi, giurarono di obbedire ai suoi comandi, come scrive Ottone di Lodi».
33 P, c. 79v: «Ma nelle cronache Milanesi si mostra che, mentre gli eserciti dell’imperatore espugnavano la città presso la porta Romana e lan-ciavano un grandissimo ponte sopra le fosse nel tentativo di entrare nella città, i Milanesi, bruciato il ponte, uccisero molti tra i nemici. E poiché
Pipino riporta qui quindi entrambe le versioni, quella della resa
della città, tratta da Ottone Morena, e quella della resa
dell’impera-tore, ricavata dai
Gesta Federici, offrendo al suo lettore una duplice
prospettiva.
Pipino, traendo notizie dai
Gesta Federici, riporta però in alcuni
casi anche giudizi critici verso Federico I: nel caso della seconda
distruzione della città di Tortona, Pipino dopo aver seguito Ottone
Morena, trae un significativo passo anche dai
Gesta Federici:
Post hec concessit imperator Papiensibus, ad hoc instantibus, ut, iux-ta eorum libitum, Terdonam everterent, quod et fecerunt: dicebant enim Papienses quod ipsa civitas Terdone rehedificata fuerat in impe-ratoris contemptum per Mediolanenses, tempore quo erant rebelles imperio. Fertur autem Papienses ex hoc imperatori magna optulisse pecuniam34.
Pipino quindi offre qui una diversa versione della storia,
secon-do cui la decisione di distruggere Tortona, da poco riedificata con
l’aiuto di Milano, non fosse scaturita solo dal disprezzo mostrato
verso l’imperatore da parte dei suoi avversari, ma anche dalla
corru-zione del sovrano attraverso grandi somme di denaro.
Un ulteriore esempio dell’utilizzo di entrambe le fonti per la
ri-costruzione di un singolo episodio è relativo al racconto della
rottu-ra della pace trottu-ra l’imperottu-ratore e Milano dopo i patti di Roncaglia del
1158
35: in questo caso infatti, mentre Ottone Morena riferisce che
l’imperatore capì che non poteva in nessun modo vincere la tenacia dei Milanesi con le armi, fatti venire uomini religiosi, ordinò che si trattasse con i Milanesi per ricomporre la pace».34 P, c. 84r: «Dopo queste cose, l’imperatore concesse agli abitanti di Pavia, incalzanti per questo, che, secondo il loro volere, distruggessero Tortona, e ciò fecero: i Pavesi dicevano infatti che la stessa città di Tortona fosse stata riedificata in disprezzo dell’imperatore attraverso i Milanesi, al tempo in cui erano ribelli all’impero. Ma si dice che i Pavesi avessero offer-to per quesoffer-to all’imperaoffer-tore una grande somma di denaro».
gli abitanti di Milano si fossero ribellati, nonostante
imperator nihil
mali adhuc Mediolanensibus post pacem cum ipsis factam intulerat
36, Pipino,
seguendo i
Gesta Federici, addebita la fine della pace con l’imperatore
alla sua decisione di inviare i podestà tedeschi nelle città lombarde,
provvedimento che contrastava con le decisioni di Roncaglia. È utile
a questo punto analizzare il capitolo di Pipino e confrontarlo con
le sue fonti: in ordine, i
Gesta Federici prima e Ottone Morena poi,
per evidenziare le modalità di costruzione del racconto storico nel
Chronicon:
Sequenti anno, qui fuit anunciationis inefabilis MCLVIIII, cum esset imperator apud Occimianum, legatos Cremam direxit, iubens quatinus Cremenses muros castri prosternerent et fossata replerent. Quo pre-cepto turbati Cremenses, dum conviciis et cominationibus insultassent legatis, ipsi vix se fuga latibulis abdiderunt. Qui cum ad imperatorem reversi que acta fuerant nunciassent, imperator licet id ferret gravissime, conniventibus tamen oculis, pertransivit. Eodem etiam tempore, cum imperator Papie primum, demum Placencie atque Cremone, nec non Laude, potestates de eisdem civitatibus constituisset, misit apud Medio-lanum legatos suos Raynaldum canzellarium et Ottonem comitem pa-latinum, ut de civibus Mediolani, sicut in aliis civitatibus factum fuerat, potestatem crearent. Omnes enim Lombardie civitates tunc temporis per consules de eisdem civitatibus sumptos regebantur. Quidam tamen hoc loco referrunt quod voluit imperator ut aliquem ex Teutonicis Me-diolanenses in potestatem acciperent, quod quidem conventionibus mu-tuis repugnabat. Hoc audito Mediolanenses furore maximo concitati, sonitum et strepitum super legatos fecerunt et comminatis eis necem, quibus teritus comesnocte, collega relicto, discessit. Summo autem di-luculo, mirabilis nobilium multitudo in brolio Sancti Ambrosii ad can-zellari presenciam accessit et facta pollicitatione de parendo mandatis imperatoris, ipse tamen eis ficticia verba dedit. Ab illo etiam die ex hac enormi iniuria contra Mediolanenses factus est canzellarius animosus et ad delendum Mediolanum summo nissu adhibuit opera. Imperator
vero his cognitis, turbationis etiam vulnus contexit in pectore et demum profectus Bononiam, pascalia ibi solempnia celebravit37.
Et cum esset aput Occimianum, precepit, ut castellum Creme destuere-tur, recepturus propterea quindecim milia marchas argenti a Cremonen-sibus. Quo audito Mediolanenses valde turbati sunt. Dum hec fierent, predicti Chunradus et Rodegerius et qui cum illis erant ceperunt posses-siones Mediolanensium, quas habebant in partibus Addue, perturbare
37 P, c. 80r: «Nell’anno seguente, che fu il 1158 dell’annunciazione ineffabile, l’imperatore, trovandosi presso Occimiano, diresse gli amba-sciatori a Crema, ordinando che i Cremaschi abbattessero le mura della fortezza e riempissero i fossati. Mentre i Cremaschi, essendo turbati da questo ordine, assalivano gli ambasciatori con offese e minacce, questi stessi a stento si nascosero con la fuga nei nascondigli. Quando questi, tornati presso l’imperatore, annunciarono le cose che erano state fatte, l’imperatore, sebbene sopportasse difficilmente ciò, tuttavia, facendo finta di non vedere, passò oltre. In quello stesso tempo anche, poiché l’impe-ratore in primo luogo a Pavia, poi a Piacenza e Cremona e anche a Lodi aveva costituito i podestà tra gli stessi cittadini, inviò presso Milano i suoi ambasciatori, il cancelliere Rainaldo e il conte palatino Ottone, affinché eleggessero il podestà tra i cittadini di Milano, come era stato fatto in altre città. In quel tempo infatti tutte le città della Lombardia erano governate da consoli scelti tra gli stessi cittadini. Alcuni tuttavia a questo proposito riferiscono che l’imperatore ordinò che i Milanesi accogliessero in podestà qualcuno tra i Tedeschi, cosa che certamente si opponeva ai patti reciproci. Ascoltando questo, i Milanesi, presi da grandissima rabbia, fecero rumore e clamore contro gli ambasciatori e, essendo quelli minacciati di morte, il conte, spaventato da queste cose, nella notte se ne andò, lasciato il collega. Ma ad alba inoltrata una mirabile moltitudine di nobili andò nel bosco di Sant’Ambrogio alla presenza del cancelliere, fatta la promessa di rispettare gli ordini dell’imperatore, ma questo tuttavia rivolse loro parole false. E dunque da quel giorno quel cancelliere divenne violento contro i Milanesi per questa enorme offesa e si diede da fare con grande sforzo per distrug-gere Milano. L’imperatore certamente, sapute queste cose, occultò la ferita del turbamento nel petto e alla fine, essendo avanzato verso Bologna, lì celebrò le solennità della Pasqua».
atque depopulari et fodrum tollere et alias impressiones in personis et rebus rusticorum et civium facere usque ad plebem de Segrate. Interea mense Ianuario misit imperator Rainaldum cancellarium et Ottonem comitem pallatinum Mediolanum, dicentes, ut potestatem acciperent; quod facere non debebant, secundum quod in privilegio concordie, quam cum eis fecerat, continebatur. Quod audientes cives, furore ac-censi clamaverunt super eos; et ipsi valde timuerunt, et in nocte comes recessit. Summo mane mirabilis multitudo militum fuit in broleto mo-nachorum Sancti Ambrosii ante predictum cancellarium, pollicentes et volentes iurare stare precepto domini imperatoris; qui illis bona verba dedit, sed ficte loquebatur. Huius autem tumultus occasionem presti-terunt Martinus Mala-opera, Azo Bultraffus et Castellinus de Ermenul-fis. Ab illa autem die predictus cancellerius animosius summoque nixu operam dedit Mediolanum delere38.
38 Gesta Federici cit., pp. 35-36: «E poiché si trovava presso Occimiano, ordinò che il castello di Crema fosse distrutto, per ricevere per questo quindicimila marche d’argento dai Cremonesi. Ascoltato ciò, i Milanesi furono molto turbati. Mentre accadevano queste cose, i predetti Corrado e Rodogerio e quelli che erano con questi iniziarono a sconvolgere e sac-cheggiare i possedimenti dei Milanesi, che avevano nelle parti dell’Adda, e a togliere l’annona e a fare altri assalti contro le persone e le cose dei contadini e dei cittadini fino alla plebe di Segrate. Intanto nel mese di gen-naio l’imperatore inviò il cancelliere Rainaldo e il conte palatino Ottone a Milano per ordinare che accettassero il podestà; ciò non dovevano fare, se-condo quello che era contenuto nella legge di pace, che aveva stipulato con loro. I cittadini ascoltando ciò, accesi dalla rabbia, gridarono contro quelli e gli stessi ebbero molta paura e nella notte il conte se ne andò. A mattina inoltrata si trovò una mirabile moltitudine di soldati nel bosco dei monaci di Sant’Ambrogio davanti al predetto cancelliere, promettendo e volendo giurare di sottostare all’ordine del signor imperatore; quello rivolse loro parole benevole, ma parlava con finzione. Martino Malaopera, Azzo Bul-traffo e Castellino Ermenufo diedero il motivo di questo tumulto. Ma da quel giorno il predetto cancelliere più animosamente e con sommo sforzo cercò di distruggere Milano».
Hoc eodemque mense imperator suos legatos ad Cremam direxit et Cremensibus, quatenus muros et fossata castri Creme de inde usque ad sanctam Mariam que dicitur Cirialis destruerent, mandavit. Ipsi vero Cremenses hoc audientes et hoc in maximum dedecus accipientes su-per illos legatos fortiter irruerunt ac interficere voluerunt. Sed ipsi fu-gientes atque se abscondentes vix evadere potuerunt; ac valde tristes ad imperatorem redeuntes, que ipsis acciderant, renuntiaverunt. Imperator namque, ut hoc audivit, quamvis mestus inde foret, in pace tamen sus-tinuit. Eo etiam tempore imperator, cum Papie primum, deinde Placen-tie atque Cremone seu etiam Laude suas potestates de ipsismet civibus predictarum civitatum constituisset, Raynaldum cancellarium suum et Ottonem fallizumgravum Mediolanum dirigens; iussitque eis, quatenus ipsi in Mediolano de ipsismet civibus, sicut in predictis aliis civitatibus iam fecerant, suas potestates crearent, quia tunc temporis omnes etiam Longobardie civitates a consulibus ad ipsismet civitatum civibus creatis regebantur. Mediolanenses itaque eos videntes et quid agere vellent co-gnoscentes maximo rumore statim inter eos habito super eos irruerunt, et quosdam equos ipsis auferentes a ipsos interficere minantes: ianuis palacii, supra quod fuerant, clausis vix evaserunt. Sequenti vero nocte predictus Otto falzigravus privatim de Mediolano exiens de ipsa civitate fugit. Cancellarius vero, quamvis usque ad diem stetisset, tamen et ipse nihil proficiens de Mediolano recessit. Itaque cum et utrique ad impera-torem redissent et quid eis acciderat renuntiantes, imperator, quasi vili-penderet ac pro nihilo haberet, tacuit39.
39 Otto Morena, Historia cit., pp. 65-66: «In questo stesso mese l’imperatore diresse i suoi ambasciatori a Crema e ai Cremaschi ordinò che distruggessero le mura e i fossati della fortezza di Crema, da lì fino a Santa Maria che è detta Ceriale. Gli stessi Cremaschi in verità, ascoltando ciò e accogliendolo con grandissima vergogna, si scagliarono con violenza contro quegli ambasciatori e li vollero uccidere. Ma questi stessi, fuggendo e nascondendosi, a stento poterono salvarsi e, tornando molto tristi all’im-peratore, annunciarono le cose che erano loro accadute. E in verità l’impe-ratore, appena sentì ciò, sebbene fosse afflitto da questo, tuttavia sopportò in pace. In quel tempo dunque l’imperatore, inviando a Milano Rainaldo, il suo cancelliere, e il conte Ottone, affinché costituisse in primo luogo a Pavia, poi a Piacenza e Cremona e anche a Lodi i loro podestà, scelti tra gli
Come emerge dal confronto tra le tre cronache, il capitolo di
Pipino è costruito attraverso il ricorso continuo alle due fonti, da
cui trae notizie che si alternano e integrano nella sua scrittura della
storia. Il racconto si apre infatti con informazioni tratte da Ottone
Morena, ma fin da subito il cronista dimostra di seguire anche i
Gesta
Federici, da cui trae la notizia della sosta di Federico I a Occimiano,
vicino all’odierna Alessandria, da cui sarebbe partito l’ordine del
so-vrano di distruggere Crema, riferimento non presente nella
crona-ca di Lodi. Pipino però omette la notizia secondo cui la decisione
dell’imperatore sarebbe stata motivata anche dalla ricezione di una
cospicua somma di denaro da parte dei Cremonesi suoi alleati, che
avevano interesse a distruggere la vicina e rivale Crema, così come
poco dopo tace sulle devastazioni e i saccheggi operati dai
funzio-nari imperiali ai danni dei cittadini e dei contadini milanesi, ben
do-cumentati dall’anonimo cronista dei
Gesta. Il racconto del Chronicon
procede infatti seguendo Ottone Morena, fino a quando si narrano
le modalità di elezione dei podestà nelle città italiane. A questo
pun-to Pipino integra il racconpun-to dell’
Historia Federici I con notizie tratte
dai
Gesta Federici, in cui si afferma che la rivolta dei Milanesi contro
gli ufficiali imperiali fu scaturita in realtà dall’ordine di eleggere i
po-stessi cittadini delle predette città, ordinò anche a quelli che questi in Mi-lano tra gli stessi cittadini, come già avevano fatto nelle predette altre città, eleggessero i loro podestà, perché in quel tempo, infatti, tutte le città della Lombardia erano governate dai consoli eletti dagli stessi cittadini delle cit-tà. E così i Milanesi, vedendo quelli e venendo a sapere ciò che volevano fare, subito scoppiando tra loro massimo clamore, si erano precipitati con-tro di loro, rubando loro alcuni cavalli e minacciandoli di ucciderli: chiuse le porte del palazzo, in cui si trovavano, a stento si salvarono. In verità nella notte seguente il predetto conte Ottone, privatamente uscendo da Milano, fuggì da quella stessa città. Sebbene il cancelliere invece fosse rimasto fino al giorno, tuttavia anche questo se ne andò a Milano, non ottenendo nulla. E così quando entrambi tornarono dall’imperatore per annunciare cosa era loro capitato, l’imperatore tacque, come se tenesse in disprezzo e poco conto quella cosa».
destà tra i Tedeschi e non tra i cittadini delle singole città, così come
deciso nei patti di pace con l’imperatore, riportando anche subito
dopo l’atteggiamento di particolare ostilità che il cancelliere
impe-riale mostrò verso la città di Milano. A conclusione poi del capitolo,
il cronista torna nuovamente a Ottone Morena per riportare lo
sta-to d’animo dell’imperasta-tore alle notizie di quelle rivolte: Federico I,
venuto a conoscenza dei fatti, preferì però non intervenire contro
i Milanesi, in virtù di quella
clementia che, come detto, era suo tratto
distintivo.
Dai pochi esempi riportati è dunque possibile affermare che
Pi-pino, sebbene scelga fin da subito la principale fonte da cui trarre il
suo racconto, consulti continuamente anche l’altra cronaca a sua
di-sposizione, integrando la narrazione con notizie diverse e offrendo
in alcuni casi al suo lettore diverse possibilità di interpretazione dei
singoli avvenimenti. Nonostante ciò, però, è allo stesso tempo utile
rilevare che Pipino non riporta quei passi della cronaca di Milano
che restituivano una descrizione assolutamente negativa del
sovra-no: è il caso, ad esempio, del già descritto racconto del primo assedio
di Tortona, in cui il cronista non riporta la notizia del tradimento dei
patti da parte di Federico I, né racconta i soprusi subiti da Milano
da parte degli ufficiali imperiali, su cui a lungo si soffermano i
Gesta
Federici
40. Pipino inoltre, che a lungo nella sua cronaca aveva
descrit-to la triste sorte delle città lombarde avverse a Milano, insistendo,
con tratti spesso patetici, nel racconto delle devastazioni, delle
raz-zie, dei tristi cortei degli esiliati per opera della città milanese, nulla
invece riporta dei lutti e delle distruzioni subite da Milano da parte
dell’imperatore e dei suoi alleati. Nel racconto dell’assedio di Milano
del 1161, ad esempio, il cronista, sebbene integri diverse notizie dai
40 Il racconto dei Gesta Federici degli ultimi anni dello scontro è carat-terizzato dall’elenco di tutte le vessazioni subite dalle città italiane da parte dei vari funzionari imperiali, che non solo esigevano tasse altissime dalla popolazione, ma esibivano anche comportamenti disumani verso i cittadi-ni, tanto da rendere ormai impossibile la vita nelle diverse città settentrio-nali (cfr. Gesta Federici cit., pp. 55-57).
Gesta Federici, omette il passaggio dell’abbandono della città da parte
degli abitanti, drammaticamente descritto dalla cronaca milanese:
Et qui esset, qui posset lacrimas retinere, qui videret planctum et luctum atque merorem marium et mulierum et maxime infirmorum et feminarum de partu et puerorum egredientium et proprios lares relinquentium?41
e allo stesso modo salta la triste considerazione sulla fuga dei
Mila-nesi dopo l’assedio di Trezzo sull’Adda:
Reversi sunt itaque cum tristitia et timore maximo. Sed tunc non esset oculus, qui potuisset lacrimas continere, qui vidisset infirmos, claudos, debiles, feminas de partu cum parvulis suis et alios multos mares et feminas cum mobilibus suis fugere42.
Pipino omette inoltre i passi dei
Gesta Federici in cui è evidenziata
la crudeltà e la spietatezza del sovrano verso i suoi avversari: a titolo
esemplificativo si può ricordare un episodio avvenuto durante
l’as-sedio di Milano del 1161, in cui il cronista, seguendo i
Gesta Federici,
afferma che Federico I, nell’intento di far arrendere la città, aveva
privato Milano di viveri, tanto che
manus enim cuicumque deferenti
muti-labatur et victualibus predabatur
43. Il racconto dei
Gesta Federici, qui
fon-te di Pipino, è però maggiormenfon-te drammatico e volto a sottolineare
la crudeltà del sovrano:
41 Gesta Federici cit., p. 53: «E come potrebbe trattenere le lacrime, chi vedesse il pianto e il lutto e anche la tristezza di uomini e donne e soprat-tutto degli ammalati e delle donne prossime al parto e dei fanciulli che uscivano e lasciavano le proprie case?».
42 Gesta Federici cit., p. 20: «E così tornarono con tristezza e grandissi-ma paura. Ma allora non c’era occhio che potesse trattenere le lacrime nel vedere gli ammalati, gli zoppi, i deboli, le donne prossime al parto con i loro bambini e molti altri uomini e donne fuggire con le loro cose».
Et ut de captivis, quos habebat, sex oculos eruerent, precepit, videli-cet duobus de capitaneis de Malxate, Arnolfo et Ubertino, Walderico Curto, Iordano filio Arialdi Crivelli, Lanzacurte de Rancate. Suzone de Mizano autem nares precidit et unum oculum dimisit, ut alios Me-diolanum duceret. Interea qui portabant a Placentia vel ab aliqua parte mercatum Mediolanum, si capiebantur, manus dextre amputabantur; et una die XXV amputate fuerunt44.
Pipino nella scrittura della storia di Federico I non si limita a
uti-lizzare solo le due cronache cittadine a sua disposizione, ma ricorre
anche ad altre diverse fonti. Nel capitolo 38, dedicato alla nomina
del giudice di Arborea Barisone a re di Sardegna, avvenuta il 10
agosto 1164, Pipino unisce e integra notizie tratte da fonti diverse.
Per consentire una migliore analisi delle modalità di costruzione del
racconto storico nel
Chronicon, si offre anche in questo caso una
comparazione tra il testo di Pipino e quello delle sue fonti:
1. Eadem estate Barsenus Sardini, iudex de civitate Eborea, maximis diviciis opulentus, provehi ad maiorem dignitatem aspirans, ab eodem imperatore imploravit ut eum regio solio sublimaret. Tandem prin-cipum quorumdam allectorum pecunia maximo interventu, licet pro posse dissuadentibus et resistentibus multis, maxime Pisanis, faventi-bus tamen Ianuensifaventi-bus, die tercia Augusti, in basilica Sancti Sirri Papie, imperator eum regem Sardinie ordinavit et ab eo iuramentum fideli-tatis accepit.
2. Hic etiam, ut scribit Iacobus de Varagine in cronicis suis, commu-ni Ianue fidelitatem quoque prestitit, in cuius signum centum libras
44 Gesta Federici cit., pp. 49-50: «E ordinò che tra i prigionieri, che aveva in mano sua, strappassero sei occhi, cioè due ai capitani di Malnate, Arnol-fo e Ubertino, a Vanderico Curto, a Giordano, figlio di Arialdo Crivelli, a Lanzacurto di Rancata; ma a Suzzone di Misano tagliò il naso e lasciò un occhio, perché conducesse a Milano gli altri. Tra queste cose, quelli che portavano da Piacenza o da un’altra parte mercanzie a Milano, se erano catturati, erano loro amputate le mani destre, e in un giorno ne furono amputate 25».
communi et unam archiepiscopo Ianue puri argenti annuatim dare promisit.
3. Eodem quoque tempore luna passa est eclipsim, cum esset XII, et rubro colore apparuit45.
1. Ea vero tempestate quidam iudex de Sardinia de civitate Herborea maxime opulentus ad maiorem dignitatem provehi desiderans, ut regio solio decoraretur, ab imperatore cepit implorare. Tandem principum ac non modice pecunie interventu die Lune, que fuit tercia dies men-sis Augusti, in ecclesia sancti Syri de Papia ipsum imperator instituit regem Sardinie; ibique etiam imperatori fidelitatem iuravit, Pisanis pro posse resistentibus et imperatorem, ne illum regem constitueret, ma-xime rogantibus46.
45 P, cc. 83v-84r: «Nella stessa estate Barisone di Sardegna, giudice del-la città di Arborea, dotato di grandissime ricchezze, aspirando ad avanzare a una maggiore carica, implorò l’imperatore che lo elevasse al soglio regio. Alla fine con il grandissimo intervento e con il denaro di alcuni principi aggregati, sebbene molti si opponessero e dissuadessero dalla proposta, soprattutto i Pisani, essendo favorevoli tuttavia i Genovesi, nel terzo gior-no di agosto nella basilica di San Siro di Pavia, l’imperatore ordinò quello re di Sardegna e da lui ricevette il giuramento di fedeltà. Questo anche, come scrive Iacopo da Varagine nelle sue cronache, prestò fedeltà al co-mune di Genova, in segno della quale promise di dare ogni anno cento libre di puro argento al comune e una all’arcivescovo di Genova. In quel tempo la luna subì un’eclissi, essendo nel dodicesimo stato, e apparve di colore rosso».
46 Otto Morena, Historia cit., p. 176: «A quel tempo un certo giudice di Sardegna della città di Arborea, molto ricco, desiderando avanzare a una maggiore carica, iniziò a implorare l’imperatore che lo onorasse con il soglio regio. E con l’intervento di non poco denaro dei principi, nel giorno di lunedì, che fu il terzo giorno del mese di agosto, nella chiesa di San Siro a Pavia l’imperatore lo istituì re di Sardegna e lì anche giurò all’imperato-re fedeltà, mentall’imperato-re i Pisani si opponevano alla richiesta e chiedevano con energia all’imperatore che non lo nominasse re».
2. Anno quoque Domini MCLXIIII Fredericus imperator Barisonum, iudicem Arboree, ad peticionem Ianuensium regem tocius insule Sar-diniee fecit et ipsum, Pisanis contradicentibus, in regem apud Papiam coronavit, qui communi Ianue fidelitatem iuravit et in signum fideli-tatis omni anno communi Janue libras centum et archiepiscopo unam libram puri argenti dare promisit47.
3. Eodem etiam mense, sexto die mensis luna passa est eclipsim, cum esset duodecima, et visa est rubea48.
Pipino integra qui le notizie tratte da tre diverse fonti: Ottone
Morena per l’inizio del capitolo con il racconto della nomina del re
da parte di Federico I, Iacopo da Varagine per la seconda parte, in
cui si descrivono i rapporti tra il re e la città di Genova, e infine i
Gesta Federici, da cui il cronista trae la notizia dell’eclissi di luna.
Pipino non si limita dunque a utilizzare solo le due cronache
cittadine a sua disposizione, ma si serve anche di altre e diverse fonti
per costruire il suo racconto. Non si tratta, tra l’altro, solo di
te-sti narrativi e cronachite-stici: nel capitolo 40, dedicato all’elezione di
papa Pasquale III, sostenuto dal sovrano, il cronista riporta infatti
l’epistola di Federico I datata il I giugno 1165, in cui l’imperatore
comunicava ai principi la consacrazione di Pasquale III a
pontefi-ce
49. Nel capitolo 49 invece il cronista fa riferimento a documenti
47 Iacobus de Varagine, Chronica civitatis Ianuensis, ed. G. Monleone, Roma 1941, pp. 348-349: «Nell’anno di Dio 1164 l’imperatore Federico istituì re di tutta l’isola di Sardegna Barisone, giudice di Arborea, su richie-sta dei Genovesi e con l’opposizione dei Pisani, e lo incoronò in re a Pavia, il quale giurò fedeltà al comune di Genova e in segno di fedeltà per ogni anno promise di dare al comune di Genova centro libre di puro argento e all’arcivescovo una libra».
48Gesta Federici I cit., pp. 57-58: «Nello stesso mese, nel sesto giorno del mese, la luna subì un’eclissi, essendo nel dodicesimo stato, e fu vista rossa».
49 La lettera si può leggere in Constitutiones et acta pubblica imperatorum et regum, I, ed. L. Weiland, in MGH, Leges, Hannover 1893, pp. 314-321.
pubblici conservati presso gli archivi della città di Alessandria, in cui
si attestava l’unione della diocesi di Alessandria con quella di Aqui
50.
Nonostante ciò, però, per la ricostruzione della storia dello
scontro tra Federico I e le città italiane Pipino si fonda, come detto,
sulla consultazione della cronaca di Ottone Morena e sui
Gesta
Fe-derici, con un sistematico utilizzo della Historia Federici I e un ricorso
solo sporadico alla cronaca di Milano. Si potrebbe supporre che egli
abbia compiuto una scelta non volontaria, bensì casuale, sulla fonte
principale da seguire, che cioè, avendo a disposizione due cronache
cittadine e contemporanee ai fatti, ne abbia scelta una, la più lunga
e dettagliata, da cui far dipendere principalmente il racconto,
utiliz-zando l’altra per integrare notizie non presenti nella sua fonte. La
volontarietà della scelta del cronista sembrerebbe però essere
con-fermata, oltre che dalle omissioni rispetto al testo dei
Gesta Federici
di quei passi particolarmente sfavorevoli all’imperatore, come si è
cercato di dimostrare sopra, anche da un’annotazione a margine del
testo del
Chronicon, attribuibile allo stesso Pipino, in cui il cronista
scrive
Nota humanitatem imperatoris (cap. 20), in relazione a un passo
in cui così descrive l’atteggiamento di Federico I verso gli sconfitti
Cremaschi che sono costretti a lasciare la loro città:
Nec pretermittendum est quod imperator christianissimus, et animi ferocitate deposita et ostili abiecto odio, dum Cremenses per angu-stum aditum opidum exirent, mirabilem clemenciam induit et inimita-bilem quidem: nam, assistens ipsis egredientibus, inter ceteros quen-dam languidum propriis sustentans humeris foras eduxit51.
50 P, c. 85r.
51 P, c. 80v: «Né si deve tralasciare che il cristianissimo imperatore, deposta la ferocia dell’animo e cacciato via l’odio ostile, mentre i Crema-schi oltrepassavano la città attraverso un angusto passaggio, indossò una clemenza ammirevole e certamente inimitabile: infatti stando accanto a quelli che uscivano, portò fuori qualcuno debole tra questi, sostenendolo sulle proprie spalle».