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"Badanti e mercato duale del lavoro - Assistenti familiari straniere: tra trasformazioni sociali, lavoro e nuovo welfare invisibile"

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Academic year: 2021

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Indice

Parte I: WELFARE STATE, TRASFORMAZIONI SOCIALI E ASSISTENTI FAMILIARI

Introduzione ………4

Capitolo 1: Politiche sociali e welfare state: ……….9

1.1: Il Welfare state ………..13

1.2: Una breve analisi storica………..15

1.3: L' assistenza sociale in Italia ………...20

1.4: Le tipologie di welfare state: modelli e regimi ………..25

1.4.1: I modelli ………..26

1.4.1.1: La classificazione di Titmuss………26

1.4.1.2: La classificazione di Ferrera ………...28

1.4.2: I tre regimi ………..29

1.4.3: Il welfare state dell'Europa meridionale ………..31

1.5: Uno sguardo al welfare state italiano ……….33

Capitolo 2: Cambiamenti sociali, welfare invisibile e migrazioni ……….39

2.1: Anziani e non autosufficienza ……….. 39

2.1.1: Le dimensioni del fenomeno in Italia e in Europa ………...41

2.1.2: La spesa per l'assistenza in Italia ………..51

2.1.3: Le dimensioni del fenomeno e l' impatto sulle finanze pubbliche in Toscana 2.1.4: Le assistenti familiari tra welfare formale e informale ………..62

2.2: Le trasformazioni della famiglia ………. 71

2.2.1: Divorzi e fragilità familiare ………71

2.2.2: Modelli di famiglia, mondo del lavoro e nuovo ruolo della donna ……….72

2.2.3: Un vuoto da riempire ………. 79

Capitolo 3: Migrazioni, la teoria del mercato duale del lavoro e le assistenti familiari: 3.1: Migranti: chi sono e perché emigrano ………83

3.1.1: La teoria del mercato duale del lavoro e le assistenti familiari …………...85

3.2: Le assistenti familiari straniere: quante sono e perché vengono ………..90

3.2.1: La presenza in Toscana ……….. 95

3.2.2: Una doppia discriminazione: donne e immigrate ………98

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Parte II: L'INDAGINE: ASSISTENTI FAMILIARI E MERCATO DUALE DEL LAVORO

Capitolo 4: Metodologia e ipotesi di ricerca ………102

4.1: L'intervista e le ipotesi di ricerca………..103

Capitolo 5: L' analisi delle interviste ...109

5.1: Un mercato per donne. Straniere. ………..111

5.2: (Ir)regolarità ………119

5.3: Le condizioni lavorative ……….121

5.3.1: Coabitazione e stress ……….121

5.3.2: Il doppio lavoro ……….124

5.3.3: La perdita del lavoro ……….128

5.4: Riconoscimento sociale, economico e prospettive future ………..130

5.4.1: Come si sentono considerate e il rapporto con la famiglia………..130

5.4.2: Il riconoscimento economico ……….132

5.4.3: Le prospettive future e la formazione ………..136

5.5: Conclusioni………139

Bibliografia ……… 149

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Gli stili di vita del Primo mondo sono resi possibili da un trasferimento su scala globale delle funzioni associate al ruolo tradizionale della moglie – vale a dire cura dei figli, gestione della casa e sessualità di coppia – dai paesi poveri a quelli ricchi. In termini generici e forse semplicistici, nella prima fase

dell’imperialismo i paesi del Nord del mondo hanno attinto alle risorse naturali e ai prodotti agricoli, per esempio gomma, metalli e zucchero, delle terre che conquistavano e colonizzavano. Oggi, ancora dipendenti dai paesi del Terzo Mondo per la manodopera agricola e industriale, i paesi ricchi cercano di attingere anche a qualcosa di più difficile da misurare e quantificare, qualcosa che può sembrare assai prossimo all’amore.

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Nella nostra società il problema dell'assistenza agli anziani non autosufficienti sembra divenire sempre più rilevante e sembra intrecciarsi sempre più con flussi migratori capaci di cogliere e dare una risposta a questo fenomeno. La cura dell'anziano, sia della persona che della casa, prima svolta dalle donne della famiglia, sembra cioè adesso essere portata avanti dal donne immigrate, spesso venute nel nostro Paese coscienti dell'esistenza di una possibilità di lavoro proprio nel settore dell'assistenza. Negli ultimi anni è quindi entrata a far parte del nostro vocabolario comune, la parola “badante”. In realtà l'uso di tale termine sembra essere piuttosto controverso poiché riduttivo e con una connotazione negativa. In effetti con esso si indica di solito una donna, spesso dell'Est, che si occupa dell'anziano non più autosufficiente, focalizzando l'attenzione soprattutto sul lato sanitario e non valorizzandone quindi l'effettivo ruolo svolto, composto anche da tutte quelle cure e attenzioni che venivano prima fornite solamente dalla famiglia. In effetti ciò che quest'accezione tralascia è il fatto che queste donne siano in realtà un sostegno e una compagnia, che va al di là della semplice prestazione di cura della persona. Trovare comunque altri termini in grado di comprendere in toto la complessità delle attività, delle mansioni e del ruolo svolto non è operazione semplice: espressioni come “colf” o “collaboratrice familiare” sono infatti troppo legate alla cura della casa piuttosto che a quella della persona; con “assistente domiciliare” invece il richiamo è sbilanciato maggiormente verso le professionalità inserite nella rete di servizi pubblici (Gori, 2002). Anche l'espressione “assistente familiare” parrebbe sollevare qualche obiezione, data la mancanza di riferimento alla natura privata e a pagamento che questa attività ha (Gori, 2002). Nonostante questo, poiché in realtà non si è trovato un termine in grado di superare tutti gli ostacoli ed obiezioni, si utilizzerà nel testo, senza ovviamente nessuna accezione negativa, indifferentemente “badante” e “assistente familiare”, con la convinzione che il primo sia di immediata comprensione, mentre il secondo abbia un richiamo alla famiglia e all'idea quindi che colei che vi lavora sia anche inserita all'interno di dinamiche familiari e non di semplice assistenza1. Al di là della terminologia da utilizzare, la presenza sempre crescente di queste lavoratrici pone degli interrogativi che riguardano il perché della loro necessità e quali siano le caratteristiche del loro lavoro. Per riuscire a rispondere a queste domande partirò quindi proprio cercando di capire quali siano le trasformazioni che hanno generato questa situazione, come i motivi del progressivo aumento della richiesta di assistenza e perché la risposta a questa esigenza venga data dalle donne immigrate e non più da donne italiane, che hanno invece sempre meno tempo e possibilità di svolgere

1 Sulla questione lessicale anche: Ambrosini M., (2006) “Professione: assistente familiare” , articolo web su Lavoce.info del 24.07.2006;

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questo ruolo da sempre rivestito. Al loro posto pare infatti sempre più consolidata la presenza di donne immigrate, spesso non regolari sia dal punto di vista della cittadinanza che dal punto di vista lavorativo. Una delle cause di tale necessità è dovuta al cambiamento strutturale che la popolazione italiana pare infatti subire, evidenziando una maggiore presenza di anziani, che sempre più abitano soli. Tale situazione potrebbe quindi generare, e lo sta già facendo, un' elevata richiesta di assistenza, basata però sempre meno sulle case di riposo (oggi le Rsa, residenze sanitarie assistenziali) e che cerca invece di divenire sempre più domiciliare. Tra i cambiamenti che hanno innalzato questa esigenza non possiamo però trascurare quelli che riguardano colei che fino a poco tempo fa rivestiva il ruolo di assistente: la donna. Il suo ingresso nel mondo del lavoro, dovuto a fattori quali ad esempio la ricerca di una maggiore indipendenza, una mancata ridistribuzione dei ruoli nella coppia e una sempre maggiore fragilità familiare che ha reso necessario un salario proprio, hanno fatto sì che la donna avesse meno tempo da dedicare alla cura del genitore o del parente bisognoso di assistenza. Se però da un lato si denota una mancanza di tempo, dovuta anche ai ritmi più frenetici della nostra società, dall'altro sono poi le caratteristiche del mondo del lavoro del badantato a scoraggiarne le donne italiane intraprenderne la via. L'assistenza all'anziano cioè non viene considerata come possibile lavoro: non solo quindi questa non viene svolta come attività di cura, ma anche come fonte di reddito, viene lasciata alle donne straniere. C'è allora da chiedersi se questo mercato non presenti delle caratteristiche tali da essere rifiutato dalle donne italiane, e accettato dalle altre. In effetti anche loro hanno famiglia e non solo a questa viene sottratto tempo, ma la partenza per un altro Paese lascia un vuoto totale, che non viene coperto nemmeno per qualche ora al giorno, come potrebbe invece accadere per una donna italiana. Una di queste caratteristiche potrebbe essere la mancanza di prospettive e certezze: negli ultimi anni ad esempio, le donne hanno investito sempre più nella formazione, ricercando quindi un livello di professionalità più alto, in grado di far mettere a frutto gli anni di studio e garantire una certa stabilità economica e lavorativa. Questa professione invece, poiché legata alla vita di una persona oramai con una bassa aspettativa di vita, può finire in modo brusco e senza preavviso così da lasciare senza lavoro anche da un giorno all'altro. Un altro motivo di rifiuto potrebbe essere poi dovuto alla larga presenza di sommerso che contraddistingue questo settore lavorativo: le italiane potrebbero invece aspirare ad una posizione regolarizzata, che al contrario potrebbe essere accettata dalle immigrate soprattutto non regolari, disposte magari sia a lavorare al nero, sia ad essere sottopagate, in cambio magari di vitto e alloggio. Non deve poi essere trascurato il prestigio sociale legato a questa professione, che risulta essere piuttosto basso anche e proprio a causa della forte presenza

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di immigrati. “Fare la badante” sembra essere cioè una cosa da straniere, per chi si accontenta. E questo potrebbe spingere le donne italiane, anche quelle meno formate, a cercare altri lavori.

Il badantato presenta quindi delle caratteristiche ben precise, come una forte presenza di lavoro sommerso, basse retribuzioni, scarsa qualificazione e prestigio sociale. Inoltre, data la sempre minore disponibilità di tempo e dati i motivi appena descritti del rifiuto delle donne italiane a svolgere questa attività, esso sembra anche essere un mercato in grado di attirare manodopera dall'estero che, in quanto di passaggio, sembra disposta a “sopportare” gli evidenti svantaggi che l'essere badante comporta. Queste caratteristiche sembrano allora richiamare i tratti di un mercato del lavoro duale che prevede appunto la presenza, all'interno delle società più ricche, di un mercato lavorativo all'interno del quale si contrappongono opposti riconoscimenti sociali e modalità di lavoro: da una parte cioè un mercato garantito, regolarizzato con tempi e luoghi di lavoro salubri, l'altro invece costellato di irregolarità contrattuali, orari pesanti, precarietà e di retribuzioni basse. Un'altra caratteristica importante di questa teoria è poi la rilevanza che viene data a fattori macrosociali di tipo pull, cioè attrattivi, per spiegare la causa della migrazione: il fatto cioè che esista un mercato del lavoro riservato praticamente a donne straniere, fa sì che queste decidano di partire e di muoversi verso l'Italia. Viene a questo proposito ribaltata l'idea che la causa della partenza sia determinata dalle condizioni di povertà presente nel proprio paese di origine. Tale condizione è a mio avviso riscontrabile nel caso delle assistenti familiari in quanto la necessità della loro presenza ha creato un vero e proprio mercato in grado di attirare donne disposte a venire in Italia per accudire i nostri anziani. L'affluenza e la necessità è tale che abbiamo assistito negli ultimi anni a diverse sanatorie specifiche per le collaboratrici domestiche2 che hanno fatto sì che essere badanti sia divenuto uno dei principali mezzi di regolarizzazione. Il fatto che le sanatorie avvengano quasi esclusivamente per questo tipo di professione, può essere letto indice della effettiva necessità di assistenti familiari e potrebbe effettivamente influire sul peso della presenza straniera all'interno di questo settore. In realtà nonostante proprio quest'ultima sia preponderante, recentemente, a causa della crisi economica, pare che anche le donne italiane si stiano avvicinando a questo tipo di professione. Molto probabilmente però c'è da pensare che questo resti solo un periodo transitorio, legato al momento di recessione e che una volta passato, il mercato delle assistenti familiari, se manterrà le caratteristiche sopra elencate, resti ad appannaggio delle donne straniere. Date quindi tutte queste circostanze, si aprono allora nuovi scenari, problematiche e livelli di lettura del fenomeno. Attraverso

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questo scritto si cercherà di capire se la crescente presenza di badanti straniere e le loro condizioni lavorative possano essere lette attraverso la teoria del mercato duale del lavoro: si cercherà cioè di capire, dopo aver analizzato attentamente le cause che hanno portato a questa presenza, se le badanti siano all'interno di un mercato in grado di attirare straniere, caratterizzato da irregolarità e scarso riconoscimento economico e sociale.

Per riuscire a compiere quest'analisi partirò col fornire alcuni riferimenti teorici che siano in grado di spiegare quale possa essere stato il percorso storico e il contesto che hanno portato le badanti straniere ad occuparsi dei nostri anziani. Nel primo capitolo quindi effettuerò un'analisi storica di sistemi di politiche sociali, analizzandone gli sviluppi, i concetti chiave e i soggetti coinvolti. Illustrerò i vari modelli di welfare, con un occhio di riguardo per quello italiano, cercando di evidenziare quali sono state le distorsioni che hanno favorito la presenza di un mercato dell'assistenza privata e perché questo sia ad appannaggio delle donne straniere. Mi concentrerò quindi sulle politiche di assistenza sociale, con particolare attenzione a tutte quelle che riguardano la presa in carico e la cura della persona non autosufficiente. Analizzerò allora le dimensioni del fenomeno, sia a livello nazionale che regionale cercando di capire anche quali e quante risorse vengono impiegate per affrontarlo e cosa ci differenzia dagli altri paesi europei. Tutta questa analisi non può però essere scissa dalle trasformazioni che interessano la nostra società e in particolare quelle che attraversano la famiglia e la struttura demografica del Paese: il progressivo invecchiamento della popolazione e il nuovo ruolo della donna non possono essere cioè tralasciate. Per analizzare entrambe farò riferimento, nel secondo capitolo, alle varie pubblicazioni dell'Istat e della regione Toscana che inquadrano i fenomeni sia a livello nazionale che locale. E' infatti indubbio che l' emancipazione della donna e il suo progressivo ingresso nel mondo del lavoro, abbiano influito sul tempo da dedicare alla cura della persona anziana non autosufficiente. Compierò a questo punto un'analisi sulla presenza delle assistenti familiari sia a livello nazionale che regionale, tracciandone un profilo sia personale, cercando di capire chi e quante sono, che lavorativo, evidenziandone le caratteristiche. Proprie quest'analisi permetterà, nel capitolo 3, di capire quali sono i tratti del mercato duale del lavoro e se questi sono presenti nel badantato. Per riuscire appunto a dimostrarne l'esistenza e quindi a confermare o smentire la mia tesi affiancherò all'analisi teorica fin qui esposta anche una parte di indagine empirica. Tale ricerca prevede interviste in profondità a 6 assistenti familiari, di cui una italiana, presenti nel Comune di Viareggio. Nelle interviste ci si è soffermati particolarmente sugli aspetti lavorativi, indagando quanto, dove e come lavorano. Cercherò poi di capire se effettivamente la possibilità di essere assunte come badanti possa essere un fattore attrattivo per venire in

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Italia, se questo particolare mercato sia effettivamente dequalificato e sottopagato, quali sono le caratteristiche del proprio lavoro e quali privazioni o vantaggi questo presenta. Le interviste alle donne, contattate attraverso diversi canali, sono state suddivise per aree, che serviranno ad indagare le caratteristiche del mercato duale del lavoro. In realtà, sia al momento dell'intervista che al momento dell'analisi, queste aree, come prevedibile, si sono solo rivelate una pura divisone analitica: lungo tutta l'intervista i riferimenti, soprattutto quelli relativi alle condizioni di vita e al sentimento di privazione della libertà, sono continuamente presenti e si richiamano l'un con l'altro. Le aree hanno comunque riguardato il percorso migratorio, quello lavorativo, la percezione del riconoscimento sociale ed economico e le prospettive future, importanti per capire quale sia l'effettiva percezione e soddisfazione dell'essere badante.

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Parte I: WELFARE, TRASFORMAZIONI SOCIALI E ASSISTENTI

FAMILIARI

Capitolo 1: Politiche sociali e welfare state:

Per riuscire ad avere un quadro concettuale completo fornirò di seguito alcune informazioni e definizioni di politiche sociali, evidenziando quali sono i soggetti coinvolti e le parole chiave che le caratterizzano. Tali definizioni sembrano essere utili al fine di avere un quadro d'insieme che ci permette di muoversi con maggiore sicurezza in un ambito in continua evoluzione e sottoposto a nuove sfide come appunto quello delle politiche sociali. Questa parte servirà cioè a delineare i vari settori in cui esse operano, con particolare attenzione a quello assistenziale. Nel corso degli ultimi anni questo ha infatti visto aumentare il suo bacino di utenza e diversificare le modalità di intervento, anche a causa dell'affermarsi di un diverso approccio alla persona assistita: dalla logica del ricovero o dell'ospedalizzazione si è cominciato a passare infatti a quella dell'assistenza domiciliare, con lo scopo di creare meno stress possibile all'utente, stando quindi più attenti alle sue esigenze. Si è cioè cercato di dare risposte più personalizzate, volte al mantenimento delle abitudini di vita dell'anziano, che vedessero nelle cure direttamente nella sua casa un nuovo modo di assistere. Per riuscire a compiere questo cambiamento le politiche sociali hanno dovuto cercare nuove modalità di intervento, che nel caso dell'assistenza alle persone non autosufficienti, e in particolare all'anziano, significa ricercare persone qualificate che siano in grado di fornire cure continuative direttamente nell'abitazione. Questa necessità è stata sanata in parte dalle donne immigrate, disposte a svolgere un lavoro particolarmente impegnativo, che vede spesso il ricorso alla coabitazione. Scartata infatti la possibilità di un ricovero nelle cosiddette case di riposo e nell'eventualità in cui l'anziano non possa essere accolto, per scelta o costrizione, nella casa dei figli, alla famiglia non resta che ricercare un aiuto esterno, che spesso però lo Stato non riesce a fornire, e che viene trovato proprio nelle cosiddette badanti. Tale scelta, come illustrerò più avanti, è stata favorita anche da un tipo welfare presente nel nostro paese che predilige, più di altre nazioni europee, il trasferimento monetario. Le famiglie cioè hanno a disposizione somme di denaro non vincolate che vengono spesso spese per pagare, almeno in parte, quell'aiuto esterno privato che lo Stato non riesce invece a garantire. Questa scelta, seppur comporti un costo economico non indifferente anche se ammortizzato da vari assegni di

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accompagnamento, viene a mio parere sempre più intrapresa anche a causa di un sistema di welfare che risente dell'importanza della famiglia ed è basato sulla visione della donna come colei che doveva occuparsi dell'assistenza all'anziano. Il suo eventuale ricovero in strutture lontane da casa, dai parenti e dalle reti amicali più strette rappresenta infatti non solo una grosso stress per l'anziano ma può essere vissuto da parte del figlio o del nipote, a mio parere più che in altri paesi, come un “abbandono”del parente. La scelta di introdurre in casa una donna che si occupi del genitore o dello zio potrebbe quindi essere vista sia come la riproduzione di un sistema di assistenza familiare, sia come un modo di ridurre il distaccamento dell'anziano dal suo ambiente familiare. Il fatto che i legami all'interno della famiglia siano particolarmente importanti non è però solo una questione di tradizione o di maggiore affettività: il nostro sistema di welfare infatti è costruito su una concezione di famiglia che funge da ammortizzatore sociale. E' la famiglia cioè a farsi carico di alcune protezioni che infatti non sono state particolarmente sviluppate dalla programmazione pubblica.

Per riuscire a capire come il nostro sistema di politiche sociali è stato costruito e come si è poi sviluppato, partirò col dare alcune concettualizzazioni in grado di far comprendere appieno ciò di cui si occupano e perché. Utilizzando un'espressione di Ferrera, possiamo quindi dire che per politiche sociali si intendono tutte quelle “azioni volte a risolvere problemi e a raggiungere obiettivi che hanno a che fare con il benessere dei cittadini” (Ferrera, 2006 p. 11). Esse hanno differenti scopi, che spaziano dalla ricerca di una “più equa distribuzione di risorse e opportunità, alla promozione di benessere e qualità della vita” (Naldini, 2006). Si preferisce utilizzare il termine al plurale perché esse riguardano diversi settori: quello previdenziale, che è composto da quello pensionistico, che si occupa dei rischi della vecchiaia e quello lavorativo, che riguarda il rischio di perdita del posto di lavoro e della promozione della formazione; possiamo poi individuare quello sanitario, per la prevenzione e la cura di malattie e infine quello assistenziale, che riguarda tutta quelle serie di rischi e bisogni dei cittadini che possono perdere, o hanno già perso, l' autosufficienza; queste sono cioè le politiche che si occupano di tutte quelle persone, come minori, anziani, portatori di handicap, cittadini in difficoltà economiche, che vengono considerate “deboli”. In generale quindi possiamo definire le politiche sociali come “corsi di azioni volti a definire le norme, gli standard e le regole in merito alla distribuzione di alcune risorse e opportunità considerate particolarmente rilevanti per le condizioni di vita e dunque meritevoli di essere garantite dall' autorità dello Stato” (Ferrera, 2006 p.12). In queste definizioni acquistano particolare importanza i concetti di rischio e bisogno. Il rischio è l' esposizione a determinate eventualità che possono accadere (come ad esempio

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malattie o un infortunio sul lavoro) e che, quando si verificano producono effetti negativi, generando dunque bisogni. Questi ultimi sono quindi sintomo di carenza, di necessità o di mancanza di determinate risorse materiali o non materiali, necessarie per raggiungere un maggior livello di benessere (Gallino, 2006). Nel caso specifico di questo scritto questi due termini si ritrovano particolarmente intrecciati: il bisogno infatti di assistenza per qualcuno rischia di tradursi in segregazione per altri, quali appunto le donne immigrate. In generale comunque, in questo contesto, va ad inserirsi lo Stato: quest'ultimo si fa promotore di iniziative in virtù del concetto di “cittadinanza sociale” che viene definita da Marshall3 (1950) come “lo status conferito a coloro che sono pieni membri di una comunità. Tutti coloro che posseggono questo status sono uguali in rapporto ai diritti e ai doveri dei quali lo status è dotato”. La cittadinanza ha quindi due dimensioni: quella dell'appartenenza ad una comunità, e più in generale ad uno Stato, e quella dell'essere detentori di diritti e doveri. Secondo l' autore la cittadinanza sociale, che si afferma nel XX secolo, comprenderebbe quindi quell'insieme di diritti che vanno dal benessere minimo, alla sicurezza economica, alla possibilità di partecipare alla vita sociale. Lo Stato quindi si impegna, verso coloro che hanno effettivamente lo status di cittadini, a garantire eguaglianza di risorse e di accesso ai servizi. La cittadinanza allora non è quindi solo un status giuridico e politico, ma ha un carattere multidimensionale, connesso ai diversi sistemi di diritti che genera. Essa quindi, se è vero che è naturalmente legata all'idea di nazionalità, è anche vero che comprende sotto di sé una serie di diritti e doveri che possono anche essere acquisiti da coloro che non sono originari di una determinato Paese, ma che si impegnano nella costruzione di un'identità comune e di sistemi di solidarietà. Questo concetto è quindi molto importante perché nella pratica definisce una categoria ben precisa di detentori del diritto di assistenza, escludendone di fatto però altri. La cittadinanza sociale è quindi legata al possesso di diritti civili: si è quindi protetti da rischi e bisogni se si viene riconosciuti appartenenti ad una comunità secondo criteri definiti dalla legge, se si è quindi cittadini di uno Stato. Di fatti proprio in virtù di questo concetto sono oggetto di politiche sociali sia gli anziani bisognosi di assistenza, attraverso iniziative volte a formare il personale e ad avvicinare domanda e offerta, sia a loro volta tutte le badanti che, facenti parte della comunità a tutti gli effetti, meritano di vedere migliorare la loro situazione lavorativa e personale, fornendo un servizio che non sarebbe in grado di dare in modo sufficiente né la comunità né lo Stato stesso. Quest'ultimo, pur avendo evidentemente un ruolo particolarmente importante, non è però l' unico attore all'interno delle politiche

3 Le considerazioni di Marshall sono state riprese da Tognetto Bordgona, (2002), M. “Lineamenti di politica sociale”, FrancoAngeli, Milano e Procacci G. “Le nuove sfide della cittadinanza in un mondo di immigrazione”, in Rassegna Italiana di Sociologia, n.3 anno 2009.

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sociali: per riuscire a rendere più completa la gamma di servizi offerti e una maggiore possibilità di accesso alle risorse, si fa ricorso a ad altre sfere come quella del mercato, della famiglia e delle cosiddette associazioni intermedie; con quest'ultima espressione ci si riferisce a gruppi organizzati quali le associazioni di categoria e, soprattutto, al “terzo settore”4, cioè a tutte quelle associazioni di volontariato che non hanno fini di lucro. Il mix derivante dall'interazione di questi soggetti viene chiamato il “diamante del welfare” (Ferrera, 2006, pag. 14) (fig. 1). Esso mostra la relazione tra mercato, famiglia, terzo settore e Stato, che mantiene comunque un ruolo predominante e regolatore: è infatti quest'ultimo che decide il peso che ogni settore deve avere all'interno delle politiche sociali. Proprio l' importanza che ha assunto questo tipo di strategia nell'approccio alle politiche sociali ha fatto parlare di welfare mix.

Stato Mercato Famiglia BENESSERE Associazioni intermedie Fig. 1: Diamante del welfare mix

Dallo schema risulta chiaro come scopo dell'azione dei vari soggetti sia, o quanto meno dovrebbe esserlo, il benessere dei cittadini e non semplicemente la loro cura e assistenza. Ecco perché si comincia a parlare, dalla seconda metà del XIX secolo non più solo di politiche sociali ma, appunto, di welfare state, come spiegherò meglio nel prossimo paragrafo. Nel caso dell'assistenza agli anziani questo diamante ha subito delle modifiche: difatti se la famiglia vede diminuito il suo ruolo, anche lo Stato ha subito dei cambiamenti. In effetti ciò che ha contribuito a diminuire il ricovero in strutture, obiettivo fondamentale

4 Con l' espressione “terzo settore” ci si riferisce a tutte quelle associazioni senza fini di lucro collocate tra mercato e Stato, che hanno una natura privata e producono beni e servizi per la collettività nei campi dell' educazione, della sanità, dei servizi sociali e delle tutela dell' ambiente). In questa categoria rientrano soggetti quali le Organizzazioni di volontariato, le Cooperative sociali, le Associazioni di promozione sociale, le Onlus, Organizzazioni di Self-help e gli Enti di patronato. Il loro ruolo diviene particolarmente importante con la legge 328/2000 in quanto vengono inserite all' interno dei servizi sociali, sia come enti erogatori di servizi, sia come soggetti partecipanti alla programmazione dei servizi sociali stessi.

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per il raggiungimento del benessere dell'anziano, non è stato tanto il suo intervento nell'aumentare il personale a disposizione per fornire cure domiciliari, quanto il rivolgersi da parte della famiglia ad aiuti esterni privati rintracciabili sul mercato. L'intervento statale è stato allora, soprattutto negli ultimi anni, rivolto alla formazione e alla regolarizzazione di personale molto spesso già presente all'interno di questo ambito lavorativo, piuttosto che direttamente all'assunzione di nuove figure all'interno del sistema sanitario o dei servizi sociali. Testimonianza di questo trend possono essere considerate iniziative quali l'Albo delle Badanti e corsi di formazione per assistenti familiari, che hanno l'intento non solo di qualificare le lavoratrici, ma anche di far emergere quelle sezioni di lavoro nero che spesso caratterizzano questo settore.

1.1: Il Welfare state:

A partire dalla seconda metà del XIX secolo si è cominciato a parlare di welfare state, concetto che si sovrappone in parte a quello di politiche sociali. Per riuscire a definirlo in maniera appropriata, bisogna inserire il concetto all'interno di un processo di modernizzazione che ha caratterizzato gli stati europei e che ha portato a diversi cambiamenti nella loro struttura demografica, sociale e politica dalla seconda metà del 1800. Partendo dal punto di vista demografico si è assistito infatti ad un invecchiamento della popolazione, affiancato da un sempre più diffuso ingresso della donna all'interno del mondo del lavoro. Di conseguenza anche la famiglia si è trasformata: da “estesa” si è infatti passati a quella nucleare, caratterizzata da una drastica diminuzione del numero dei figli e una sostanziale fuoriuscita delle generazioni più anziane dalla casa della nuova famiglia. I sistemi politici e finanziari sono poi diventati sempre più complessi e l' urbanizzazione e l' industrializzazione si sono estese come mai prima. Tutto ciò ha reso necessario un approccio più dinamico al problema delle politiche sociali e alle richieste di protezione, sempre più pressanti, da parte del cittadino. Questo processo è stato avviato in Inghilterra, durante la seconda guerra mondiale, dalla commissione presieduta da Lord Beveridge, e dalla quale prende il nome, che si riproponeva di formulare un piano per contenere fenomeni come povertà, scolarizzazione e malattie. Proprio perché i campi di intervento sono ampi, e ancor più lo sono le possibili iniziative a da intraprendere, definire cosa sia effettivamente il welfare state non è cosa semplice: esso infatti indica sia gli interventi della politica sociale, sia un modello di società che si basa su tali politiche (Tognetti Bordogna, 2002, pag. 35). Posso allora riportare alcune definizioni ampiamente accettate tra gli studiosi, come quella di H. Wilensky (1965) che lo descrive come “la

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protezione da parte dello Stato di standard minimi di reddito, alimentazione, salute e sicurezza fisica, istruzione e abitazione, garantita ad ogni cittadino come diritto politico e non come carità”. Un' altra definizione accettata è quella di J. Logue (1980) secondo il quale il welfare state “fornisce sicurezza economica alla stragrande maggioranza della popolazione attraverso un vasto settore pubblico ed un notevole senso di solidarietà sociale”. La definizione che comunque riesce a descrivere nel migliore dei modi il concetto di welfare è quella che, in generale, ne può rendere l' aspetto di sua continua evoluzione, (A.J. Heidenheimer, 1981), vero e proprio carattere distintivo del termine, e che possa quindi tenere di conto che il welfare è soggetto a cambiamenti derivanti dai diversi momenti storici e politici. In questo modo esso si può legare al processo che lo ha generato, a quello cioè di modernizzazione: il welfare state è infatti “la risposta alla sempre più crescente domanda di uguaglianza socio- economica” (Tognetti Bordogna, 2002) che ha “costretto” lo Stato ad assumere un ruolo di maggiore rilievo nella protezione del cittadino. Questo aspetto è ben colto dalla definizione data da J. Alber nel 1988 che lo descrive come un “insieme di risposte di policy al processo di modernizzazione; interventi politici nel funzionamento dell'economia e nella distribuzione societaria delle chances di vita che mirano a promuovere la sicurezza e l' uguaglianza dei cittadini, al fine di accrescere l' integrazione sociale di società industriali fortemente mobilitate”. Cercare allora di fornire un'assistenza qualificata va proprio in questo senso: non solo è un vantaggio per coloro che ne usufruiscono, ma anche per coloro che svolgono questa mansione un modo per valorizzare un lavoro sempre più indispensabile nella nostra società, rendendolo non più una semplice attività da lasciare alle donne straniere, ma una vera e propria professione, riconosciuta e degna di essere giustamente pagata. Attraverso queste iniziative si cerca quindi quindi di tenere gli anziani integrati nella propria rete sociale e di non rendere un settore sempre più rilevante del mercato del lavoro come subalterno e denigrato rispetto ad altri.

Utilizzare l' espressione di welfare state significa quindi oltrepassare il semplice concetto di politiche sociali: con quest'ultime infatti si identificano una serie di azioni volte alla protezione del cittadino da eventuali situazioni di rischio e bisogno; con il passaggio al welfare state si intende invece un nuovo assetto societario basato su un intervento statale, che si avvarrà poi anche di altri soggetti, che sia in grado di stare al passo con i cambiamenti derivanti dal processo di modernizzazione e pronto a cogliere le nuove sfide che ne derivano. Esso è quindi legato all'allargamento della sfera dei diritti sociali e delle sempre maggiori richieste di protezione che caratterizzano la nostra società. Un esempio può proprio essere quello dell'assistenza all'anziano: il problema della sua cura non viene

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più risolto solo attraverso le Rsa (residenze sanitarie abitative), ma si cerca invece di fornire cure simili nel modo meno traumatico possibile, seguendo l'idea di domiciliarità, facendo quindi restare l'anziano all'interno del proprio ambiente familiare. Non si cerca cioè più solo la soluzione più semplice, ma si è il più attenti anche al suo contenuto e alle sue modalità di attuazione. Questo nuovo modo di garantire il benessere del cittadino, oltrepassa in un certo senso il semplice concetto di politiche sociali: mentre infatti si potrebbe dire che senza la loro esistenza non ci sarebbe nemmeno welfare, non si può affermare il contrario. Effettivamente non tutti gli Stati che attuano delle politiche sociali hanno raggiunto anche un sistema di welfare state, ecco perché il termine politiche sociali non è sinonimo di stato sociale5.

1.2: Una breve analisi storica:

Per capire come si è arrivati al welfare state di oggi e le sfide che questo ha trovato lungo il suo cammino è necessario ripercorrerne i momenti più importanti. Sin da subito il problema dell'assistenza ha avuto un ruolo particolarmente importante anche se è stata concepita in modi e per categorie differenti. Sicuramente infatti il concetto di persona bisognosa è stato riferito nel tempo a diverse tipologie di persone tra cui, in primis, come testimoniato dall'emanazione dalle Poor Laws, proprio i poveri. Esso ha poi subito anche diverse trasformazioni, perdendo nel tempo il suo legame ad esempio con il concetto di repressione. La persona bisognosa è stata quindi sempre più vista come cittadino titolare del diritto di un'assistenza che lo Stato deve fornirgli, nelle modalità ad essa più congeniali. Lo stesso passaggio dalla logica del ricovero a quella domiciliare è una testimonianza di come la persona bisognosa di cure venga considerata sempre più al centro delle politiche assistenziali, ponendo un'attenzione sempre maggiore alle sue esigenze.

Ritornando più strettamente all'evoluzione storica del welfare state, questa viene solitamente suddivisa in cinque fasi: a) instaurazione; b)consolidamento; c) espansione; d) crisi; e) riforma.

a) Il periodo di instaurazione può essere suddiviso in due periodi: il primo coincide con l'

assistenza ai poveri, l' altro con la cosiddetta “rottura liberale” del XIX secolo. Per quanto riguarda l' assistenti ai poveri, esse si sviluppano in tutti gli Stati europei e soprattutto, come già accennato nell' Inghilterra del XVII secolo, dove vengono emanate le Poor Laws.

5 Il termine welfare state non ha una vera e propria traduzione italiana. Esso viene quindi tradotto con l' espressione di “stato sociale”.

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Con queste leggi si imponeva alle comunità locali di occuparsi dei più disagiati, lasciando quindi un sistema basato sulla volontarietà dell'atto caritatevole per passare ad uno che costringesse la comunità ad occuparsi delle persone meno abbienti. Lo Stato poi si impegnava a trovare un alloggio, a patto che si accettasse il ricovero nelle workhouses, dove soprattutto con la riforma delle leggi del 1834 la persona che vi entrava perdeva parte dei diritti civili e veniva sottoposta ad un regime quasi carcerario. Lo scopo di queste leggi comunque non era tanto quello di aiutare la persona indigente, quanto quello di tenerla sotto controllo. Ne è testimonianza il fatto che venisse loro imposto di non cambiare domicilio. Tale costrizione era dovuta all'idea che le persone povere fossero portatrici di malattie e quindi potenziali veicoli di trasmissione. Queste leggi avevano poi anche un altro scopo: quello repressivo e di regolazione sociale. Effettivamente attraverso queste “punizioni” si cercava di evitare che altre persone “scegliessero” la via della povertà: gli indigenti erano infatti considerati responsabili della loro situazione. In generale queste iniziative erano basate su interventi occasionali e rivolte a persone considerate “immeritevoli” (Naldini, 2006): lo scopo non era solo quello caritatevole, ma era anche quello di tenere sotto controllo vagabondi e mendicanti, ritenuti responsabili della diffusione di malattie. A tale scopo venivano rinchiusi in ospedali e istituti dove poter essere tenuti sotto controllo. Quello che accade è quindi una stigmatizzazione delle categorie indigenti, che vengono considerate colpevoli della loro situazione e un vero e proprio peso per la società che se ne occupa in modo repressivo e paternalistico (Tognetti Bordogna, 2002) solo per motivi caritatevoli e sanitari, piuttosto che solidaristici. Esse venivano infatti applicate solo se il povero si comportava in un certo modo, solo a condizione che tenesse un certo comportamento (Titmuss, 1963).

Con il secondo momento, quello cioè relativo alla “rottura liberale” del XIX secolo, si abbandonano le vecchie forme di assistenza, arrivando all'inizio del moderno stato sociale (Naldini, 2006). Tutto questo avviene attraverso la nascita dell'associazionismo privato e l' introduzione dell'assicurazione obbligatoria. Questa ribaltava i principi che avevano sinora guidato le forme di assistenza ai poveri: queste erano infatti per lo più occasionali, su base locale e stigmatizzanti, tanto da comportare per la maggior parte delle volte la perdita di ogni altri diritto per il “beneficiario”. L' assicurazione invece, come già detto, si ripropone di fornire prestazioni standardizzate e su base nazionale. Il primo paese ad introdurre questo tipo di istituzione fu la Germania autoritaria di Bismark, nel 1883, che rese obbligatoria l' assicurazione contro le malattie. Questa iniziativa aveva come scopo ben preciso quello di contenere le rivendicazioni della classe operaia (Naldini, 2006). Negli anni successivi vennero introdotte anche le assicurazioni contro gli infortuni (1884) e

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quelle contro vecchiaia e invalidità (1889). Quasi tutti i paesi europei seguirono l' esempio tedesco, compresa l' Italia che introdusse la prima assicurazione contro gli infortuni nel 1898 (Ferrera, 2006). Questo tipo di assicurazione fu la prima perché era quella che portava una rottura minore con i principi liberali della responsabilità individuale. In effetti, le assicurazioni contro malattie e soprattutto contro disoccupazione6 furono le ultime ad essere introdotte proprio perché erano le più difficile da accettare da parte dei conservatori. In secondo luogo, con la fine del XIX secolo, ad una forte crescita industriale, si affiancò anche un' impennata degli infortuni sul lavoro, che cominciarono ad essere quindi un fenomeno sempre più visibile e non più trascurabile.

b) Il periodo di consolidamento va dalla Prima alla Seconda Guerra mondiale. In questi

anni vennero rafforzate le misure precedentemente prese, allargando le fasce di popolazione beneficiaria delle assicurazioni e i rischi coperti. Vennero inoltre creati nuove forme di protezione come l' assegno familiare, istituito dal Belgio nel 1930 e arrivato in Italia nel 1936-1937. Questo aumento del numero degli individui oggetto delle assicurazioni, fa parlare del passaggio da “assicurazione dei lavoratori” a “assicurazione sociale” (Ferrera, 2006): si comincia cioè a pensare alla protezione del cittadino, anche quello svincolato dal mondo del lavoro.

c) Il periodo che va dalla fine della Seconda Guerra mondiale agli anni Settanta ha visto un

importante sviluppo della protezione offerta dalla Stato ed è detto per questo anche il Trentennio Glorioso. La copertura offerta in questo periodo arriva al massimo consentito, cercando di raggiungere la totalità dei cittadini. Aumentarono inoltre le prestazioni finanziarie elargite, tanto che la spesa pubblica aumenterà molto, così come vennero affinate le tecniche di calcolo e ridistribuzione dei contributi. Vennero inoltre sviluppati nuovi sistemi sanitari e nuovi calcoli pensionistici che prevedono l' utilizzo immediato dei contributi della generazione attiva per il pagamento di quella inattiva. (Ferrera, 2006). In questo periodo inoltre si sviluppano due diverse tipologie di welfare state: quello

universalistico, che si basa su schemi onnicomprensivi e quello occupazionale, basato

invece sulla centralità del lavoro. Entrambi comunque verranno analizzati più avanti.

d) La fine del Trentennio Glorioso è decretata dalla discrasia che si viene a creare tra il

sistema di welfare vigente e nuovi problemi legati alla trasformazione di vari aspetti della

6 Il primo paese ad introdurre l' assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione fu in questo caso la Gran Bretagna nel 1911, seguita poi da Italia (1919) e Austria (1920).

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società: le soluzioni trovate prima non sono cioè più in grado di essere adeguate ai nuovi scenari che si sono creati. Questo periodo di crisi comincia quindi con la metà degli anni Settanta fino agli anni Novanta. In particolare le premesse che vengono meno sono diverse (Ferrera, 2006) :

1) Negli anni Settanta finisce una fase di espansione economica importante che aveva garantito forti entrate fiscali e di conseguenza generose prestazioni economiche. Gli stati ora si ritrovano in un momento di crescita e sviluppo lento con deficit di bilanci e debiti pubblici che vedono quindi le amministrazioni alle prese con il contenimento dei costi. In questo senso comincia anche un processo di decentramento, che ha il doppio obiettivo di contenere i costi e di cercare di essere più vicini alle esigenze dei cittadini. Per questo la programmazione dei servizi sociali è viene affidata in maniera maggiore alle comunità locali, alleggerendo quindi il ruolo dello Stato centrale (Ferrera, 2006).

2) Comincia il declino del paradigma fordista: si passa cioè da un sistema industriale a uno post- industriale, incentrato sui servizi, e con nuove forme contrattuali che prevedono la flessibilità.

3) Cambia inoltre la struttura di genere del mondo del lavoro, all'interno del quale entrano sempre più numerose le donne: ciò ha inevitabili ripercussioni all'interno della struttura familiare che non ha più nella figura femminile un punto di riferimento fisso e pronto ad occuparsi di figli e casa. La donna si ritrova quindi ad avere nuove sfide nella conciliazione della vita familiare e lavorativa.

4) Un altro cambiamento importante investe la struttura demografica: se fino ad allora questa era equilibrata, si comincia con gli anni Ottanta ad avere uno sbilanciamento verso le generazioni più anziane, dovuto ad un declino della fertilità. Questo invecchiamento della popolazione ha evidentemente avuto come conseguenza la difficoltà sempre maggiore nella copertura dei pagamenti pensionistici e della spesa sanitaria.

5) Si assiste ad un aumento delle aspettative di copertura da parte dello Stato: il cittadino comincia a volere maggiore protezione e questo costringe le amministrazioni ad alzare gli standard di prestazione. Questo comporta ovviamente un aumento dei costi.

6) Viene meno la centralità e la solidità dello Stato, che viene inserito all'interno di circuiti internazionali: esso non è più l' unico responsabile, ideatore e governatore delle politiche poiché deve accordarsi, per alcuni aspetti, con direttive sovranazionali.

Con gli anni Novanta, anche se con modalità e tempi differenti da Paese a Paese, si è assistito all'introduzione di diverse riforme che hanno cambiato, anche radicalmente, i vecchi sistemi di welfare. Se infatti fino agli anni '80 il suo ruolo era stato quello di

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offrire determinati servizi ai cittadini, con l'avvento dei '90 la situazione cambia. Questo processo distributivo infatti aveva sì ben chiare le categorie beneficiarie, ma non altrettanta trasparenza caratterizzava l' ammontare delle risorse utilizzate. Inizialmente, anche a causa della crescita economica che metteva a disposizione un gran numero di soldi, il problema venne sottovalutato. Se cioè si allargava la protezione, ad esempio un' assicurazione, ad una nuova categoria, i problemi di reperimento di risorse erano relativi perché l' aumento delle entrate fiscali, poteva permettere anche un' aumento della spesa. Con gli anni Novanta, come già detto, la situazione delle finanze pubbliche è però cambiata e ha costretto a rivedere l' uso piuttosto disinvolto delle entrate. Lo Stato è costretto quindi a compiere un' opera di ridistribuzione delle risorse, secondo una logica di sottrazione.

e) L' obiettivo principale, in ottica di riforma, diviene a questo punto quello del

contenimento della spesa. Si parla infatti ricalibratura del welfare state. Si cerca allora di abbassare i costi soprattutto all' interno di quei settori più colpiti dai cambiamenti prima citati, cioè quello pensionistico e quello sanitario (Ferrera, 2006). Per quanto riguarda il primo, venne alzata l' età pensionabile e il loro calcolo venne più strettamente legato ai contributi realmente versati, quindi di fatto abbassate. Per quanto riguarda il sistema sanitario si richiese al cittadino un contributo finanziario, affiancato ad una politica di contenimento delle spese e a un miglioramento di efficienza ed efficacia delle prestazioni erogate.

Per quanto riguarda il mondo del lavoro, si è assistito all'introduzione di nuovi ammortizzatori per lavoratori flessibili e immigrati. Inoltre le conseguenze portate dalla presenza sempre maggiore delle donne nel lavoro, e la conseguente instabilità matrimoniale e familiare, hanno fatto emergere nuovi problemi come quello della povertà delle famiglie monogenitoriali e dell' assistenza ai figli con entrambi i genitori lavoratori (Ferrera, 2006). Questa nuova logica sottrattiva ha ovviamente creato forti tensioni sociali a causa delle proteste per mantenere le protezioni già acquisite e ha fatto sì che le questioni relative ad eventuali tagli entrassero a far parte di programmi degli scontri politici tra partiti: accade cioè che le modalità di ridistribuzione fossero l' ago della bilancia e quindi banco di prova per la riuscita della maggioranza eletta. Ciò fa sì che la riforma stessa del welfare vada a rilento e sia condizionata dall'approvazione della piazza, non permettendo così ai governi di effettuare una vera e propria riforma, ma sostanzialmente di andare avanti adattando le istituzioni presenti ai problemi che si presentavano.

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popolazione “protetta” dallo Stato, creando così una “massa media” (Ferrera, 2006) di soggetti beneficiari delle prestazioni. Questo percorso è iniziato dalle Poor Laws del 1600 e dalle prime forme di assicurazione. Con la Seconda Guerra Mondiale poi si comincia a pensare diversamente ai servizi: cominceranno ad avere un ruolo di completamento, andando a coprire quei rischi e bisogni che le assicurazioni obbligatorie non sono riuscite a garantire, si creeranno così ad esempio schemi di reddito minimo7. Si è quindi compiuto un altro passo in avanti: se con le assicurazioni si è passati da un sistema repressivo ad uno paternalistico-assistenziale, adesso si arriva ad uno basato sul sostegno degli individui e delle famiglie: nascono cioè i servizi sociali, che vedranno confermata la loro importanza anche dal punto di vista economico, con un aumento della spesa a loro destinata.

1.3: L' assistenza sociale in Italia:

Sembra interessante, per il fine di questo scritto, fornire adesso anche una panoramica storica che si concentri maggiormente sull'evoluzione dell'assistenza sociale in Italia. Questo accenno sembra infatti utile per avere un quadro generale di quelle che sono state le linee guida delle politiche che si sono occupate delle persone con difficoltà, dato infatti che oggetto di questa tesi sono anche le politiche che sono state poste in essere per aiutare la situazione di persone non autosufficienti. Questa panoramica può esser utile al fine di comprendere come le politiche assistenziali abbiamo cambiato nel tempo il modo di approcciarsi alla persona bisognosa, in modo particolare per quanto riguarda appunto la sua assistenza. Per indagare infatti come le istituzioni cerchino di avvicinarsi a quelle che sono le esigenze sia degli assistiti che delle assistenti, è importante infatti capire che è cambiato il concetto stesso di entrambi: avere bisogno di cure è infatti visto come una necessità da tradurre in diritto a mantenere uno stile di vita il più dignitoso possibile, mentre invece essere una badante è oramai una professione indispensabile alla nostra società e non più un'attività compiuta da un familiare per un vincolo intergenerazionale e quindi necessita di politiche adatte alla sua valorizzazione. In questo senso l'intervento statale in campo assistenziale ha oggi a che fare con nuove sfide, frutto proprio di questo differente modo di pensare, che è passato dal vedere la persona bisognosa di cure da quasi un “peso” di cui occuparsi in modo caritatevole, come ad esempio emerge da iniziative come le IPAB, a cittadino titolare di diritti e dignità. Credo che il passaggio dal ricovero

7 Il primo paese ad inserire questo tipo di intervento fu il Regno Unito nel 1948, seguirono poi Germania (1961), Danimarca (1974), Belgio (1974) e Irlanda (1975). Italia e Grecia, tra i paesi dell' UE 15 sono gli unici stati ad essere sprovvisti di un reddito minimo garantito. Questo esiste infatti solo per categorie svantaggiate come gli anziani e i poveri.

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nelle vecchie case di riposo alla possibilità di ricevere cure domiciliari da persone specializzate e formate possa essere specchio di questo cambiamento.

Le prime forme di assistenza ai poveri risalgono al periodo dell'unificazione e vengono riconosciute nelle Opere Pie8. Questi erano servizi gestiti dalle istituzioni religiose,

finanziate sostanzialmente da donazioni private, che superavano in entità e quantità gli investimenti statali nel settore (Tognetti Bordogna, 2002). Questo ente verrà riformato con la legge Crispi del 1890 e trasformato nelle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e

Beneficenza, IPAB. Lo scopo rimane comunque quello di prestare assistenza ai poveri e di

occuparsi della loro educazione e avviamento al lavoro, ma ciò che si rafforza è il ruolo dello Stato, che comincia a farsi protagonista dei servizi alla persona. Questo modo però di affrontare i bisogni della popolazione divenne sempre meno adeguato con il crescere dell'industrializzazione e con il processo di modernizzazione. Fu quindi seguita la strada che sembrava rispondere meglio a queste esigenze, cioè quella inaugurata dalla Germania di Bismarck delle assicurazioni sociali. Con l' inizio del '900 vengono introdotti i primi provvedimenti di natura previdenziale come l' assicurazione sociale obbligatoria contro gli infortuni nel 1898 e contro la vecchiaia, nel 1919. Alla fine della Prima Guerra mondiale si dovette poi affrontare il problema enorme dei reduci di guerra; questo spinse i governi ad allargare la fascia di tipologia dei rischi protetti, con un conseguente aumento delle categorie coinvolte.

Durante il ventennio fascista sorgono numerosi enti assistenziali volti a garantire la riuscita della politica fascista che faceva perno sulla protezione della famiglia e sulla garanzia della procreazione. Tutti gli enti creati erano caratterizzati da una forte centralità dello Stato, creando così un sistema verticista, macchinoso e burocratizzato (Tognetti Bordogna, 2002).

Dopo la fine della Seconda Guerra mondiale punto di riferimento dei servizi sociali divenne la Costituzione, in particolare con l' articolo 38 che sancisce che “ogni cittadino

inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale” e che spetta allo Stato realizzare la tutela dei soggetti protetti

nonché di predisporre ed organizzare un compiuto sistema di sicurezza sociale, sancendo anche che altri settori, oltre a quello pubblico, potranno occuparsi dell'assistenza. Si dimostrò inoltre una volontà di decentrare alcuni enti, dando quindi più spazio alle Regioni. Allo stesso tempo si cercò di aumentare la garanzia di assistenza alle persone, sia

8 Camillo Benso conte di Cavour vara nel 1862 un decreto legge per cercare di dare uniformità a questo istituto. Introdurrà qui i concetti di carità legale e assistenza legale e definirà le Opere Pie tutti quegli istituti ed enti di carità e beneficenza che avessero il fine di soccorrere le classi indigenti e di avviarle a qualche mestiere.

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come lavoratori che come cittadini, cercando di garantire diritti come quello alla salute e all' uguaglianza di diritti e cittadinanza. Questi principi rimasero comunque inattuati in quanto non c'è effettivamente stata una riforma organica, ma si è assistito solamente ad una serie di provvedimenti che hanno però lasciato sostanzialmente inalterato l' impianto-mutualistico, senza che il settore assistenziale acquisisse un ruolo particolarmente più importante o che le Regioni e Comuni fossero più che semplici esecutrici di direttivi centrali (Ferrera, 2006). Negli anni '50 quindi si continuò una politica che non era in grado di tenere debitamente di conto delle necessità locali e che continuava a basarsi su normative risalenti al periodo fascista, cioè fortemente settoriali.

Nel corso degli anni Sessanta ci si ripropose di riorganizzare i servizi in modo da essere più vicini alle esigenze territoriali, coinvolgendo quindi maggiormente Regioni e Comuni. Per fare questo era necessario una ristrutturazione del settore, basandola su progetti specifici per la soddisfazione di particolari bisogni. Dal punto di vista pratico però la riforma vera e propria non arriva (Tognetti Bordogna, 2002); tra gli interventi importanti si ricorda comunque la legge Mariotti del 1968, con la quale veniva sancita la separazione tra le attività sanitarie e quelle assistenziali, ancora unite dalla legge Crispi. I motivi della mancata riforma sono da ritrovare anche nell'assetto politico presente in Italia in quegli anni (Ferrera, 2006): ad esempio la DC evitò che a lungo venissero tolte dall'ala della Chiesa gli interventi nel settore socio-assistenziale. Le Opere Pie infatti, pur essendo statali, erano per la metà controllate dalle associazioni religiose.

Un primo punto di svolta arrivò negli anni Settanta, con l' attuazione del decentramento amministrativo previsto dall' art. 117 della Costituzione. Con la legge n.382/75, e soprattutto con il suo decreto attuativo DPR 616 del 1977, si introduce il disegno organico di decentramento attraverso il quale vengono identificate le Regioni come riferimento di programmazione e di coordinamento, mentre nei Comuni la sede dove viene gestito unitariamente il servizio sociale. In realtà però tutto ciò viene fatto senza che una legge quadro ne definisca principi guida o standard generali, che arriveranno infatti solo con la legge 328 del 2000; questo fece sì che lo sviluppo dei servizi fu disomogeneo nelle varie regioni, fornendo prestazioni differenziate sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.

Gli anni Ottanta furono caratterizzati sostanzialmente da una serie di interventi volti al contenimento della spesa pubblica e all'attuazione delle leggi approvate negli anni'70 (Tognetti Bordogna, 2002). A questo proposito molte Regioni, a causa delle carenze a livello statale, emanano una serie di leggi di riordino, per favorire la programmazione attraverso la costruzione di una rete organica di servizi.

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Durante gli anni Novanta si è cercato di ridefinire e riorganizzare l' ambito dell'assistenza sociale. Un ruolo importante è stato rivestito dalla commissione Onofri, nominata nel 1997 dal governo Prodi. Nel rapporto conclusivo venivano messi in luce i punti critici dell'assistenza italiana, come l' elevata frammentazione istituzionale, le forti differenze territoriali, l' assenza di una rete di sicurezza sociale e la tendenza all'utilizzo dei trasferimenti monetari a discapito dell'offerta di servizi (Ferrera, 2002). Le proposte che venivano fatte a questo punto riguardavano la ricerca di un'unificazione degli istituti di redistribuzione monetaria attraverso l' istituzione di un reddito minimo garantito, una maggiore attenzione ai servizi sociali, una riformulazione dei criteri per l' erogazione delle prestazioni in denaro; ci si avviò così alla formulazione di servizi che si potessero rivolgere a tutti i cittadini attraverso il cosiddetto “universalismo selettivo”, cercando così di superare la logica categoriale. La risposta a queste richieste fu l' istituzione di assegni di maternità e dell'assegno per le famiglie con più di tre figli minori a carico. Venne poi introdotto in via sperimentale, solo per il biennio 1999-2000 e solo in alcuni comuni, il reddito minimo di inserimento (RMI), con la legge 237/1998, che prevede la percezione di un reddito minimo non categoriale (Ferrera, 2002).

La vera e tanto attesa riforma arriverà nel 2000 con la legge 328/2000, la legge quadro per

la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Questo provvedimento

è definito “aperto”, in quanto si propone di fornire delle linee guida e lascia l'effettiva applicazione ai successivi provvedimenti attuativi. Esso apporta delle importanti novità, come politiche per la promozione della famiglia, la messa a punto di un sistema di monitoraggio e l' integrazione del Terzo settore anche a livello di programmazione. Proprio il Terzo settore, per quanto riguarda più da vicino l'argomento qui affrontato, è infatti coinvolto nella discussione e messa in atto di politiche volte ad affrontare il problema dell'assistenza e della condizione lavorativa delle donne, immigrate e non, che ne fanno parte. La ricchezza di informazioni e contatti che esso porta con sé è utile ai fini conoscitivi per riuscire ad intraprendere iniziative che vogliano essere incisive e che lo stato non sarebbe invece, in alcuni casi, in grado di procurarsi. L'aggancio infatti di badanti spesso al nero e la raccolta di informazioni riguardo alle problematiche da loro poste sia a livello lavorativo che personale sono infatti operazioni svolte proprio da associazioni operanti nel Terzo Settore. Per quanto riguarda invece la programmazioni in generale, essa viene ripensata per distretti, cioè l' unione di più comuni, per essere più vicina alle esigenze del cittadino e verrà effettuata attraverso i Piani di Zona. A livello centrale quindi rimarrà solo la definizione dei principi e degli obiettivi generali (Ferrera, 2006), attraverso il Piano sociale nazionale. Le Regioni in tutto questo acquistano una grande importanza,

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soprattutto in seguito alla modifica del Titolo V della Costituzione che toglie dall'esclusiva competenza statale la materia dei servizi sociali: esse infatti avranno come unico vincolo nazionale la garanzia dei livelli essenziali9; per il resto potranno decidere obiettivi e strumenti in modo autonomo. In generale il merito di questa legge è stato quello di superare la logica categoriale, per arrivare realizzare politiche universalistiche che avessero anche un carattere di prevenzione di rischi e bisogni. Allo stesso tempo proprio questa importanza in materia socio-sanitari alle Regioni ha fatto sì che le prestazioni cambiassero in maniera sensibile da Regione a Regione, soprattutto da Nord a Sud, proprio a causa delle differenti situazioni economiche delle stesse. Per quanto riguarda poi nello specifico l'assistenza agli anziani, è da segnalare la scarsa importanza che all'argomento viene rivolta: questa viene quindi di fatto lasciata ancora alla famiglia, non dando di conseguenza il giusto peso ad un fenomeno che invece avrebbe necessitato sin da subito un'attenzione maggiore.

L' evoluzione dei servizi sociali in Italia ripercorre come visto quello fatto dal welfare in generale. L' assistenza ha cioè subito cambiamenti in seguito alle trasformazioni sociali che hanno investito le basi della struttura sociale del Paese: con il passaggio da una società industriale ad un post-industriale le richieste di protezione sono aumentate sia a causa della crescita dell'insicurezza che a quella della povertà. Come già detto i motivi del cambiamento sono poi dovuti alla necessità di omogeneità derivanti dall'Unione Europea. Quest'ultima ha poi influito sulle scelte da intraprendere anche attraverso vincoli derivanti dal contenimento della spesa che hanno fatto sì che ci fosse una stretta sui budget non indifferente (Ferrera, 2002). Anche infatti la scelta di ridurre le prestazioni monetarie, privilegiando i servizi è evidentemente un modo per rispettare le direttive europee e non solo una scelta innovativa di produrre assistenza. In generale comunque si può affermare che, rispetto agli altri paesi europei, il sistema di servizi sociali italiano risulta essere lacunoso; questo perché alcuni bisogni continuano a restare senza risposta, mentre altri servizi risultano essere ancora troppo frammentati e in numero troppo alto. L'assistenza agli anziani sembra poi essere il settore che ha subito maggiormente le ripercussioni dei cambiamenti che hanno attraversato la società, quali appunto l'invecchiamento demografico e una maggiore partecipazione della donna al mondo del lavoro: si è infatti

9 Con “livelli essenziali di assistenza sanitaria” (Lea) si intendono le prestazioni e servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di un ticket. Sono stati definiti con il Decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre del 2001 e sono organizzati in tre settori: prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera. Essi sono poi stati ridefiniti attraverso il decreto del 23 aprile del 2008, attraverso il quale sono stati aggiornati gli elenchi delle malattie rare e croniche, un aumento delle malattie da curare in day hospidal anziché in ricovero ordinario.

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creata una situazione in cui a fronte di un continuo aumento della popolazione anziana, si registra una costante diminuzione delle persone pronte a prendersene cura. Anche i servizi sociali sembrano essere sottoposti a nuove richieste di prestazioni quali un maggior numero di servizi domiciliari e di centri semiresidenziali. Anche la famiglia ha poi visto assegnarsi un ruolo differente: l' aumento delle crisi matrimoniali ha fatto sì che venisse meno tutta quella serie di aiuti provenienti dalla rete primaria, creando quindi una maggiore dipendenza da quelli esterni. Questi fattori, che verranno comunque ripresi più avanti, hanno fatto sì che si creasse un mercato di assistenti familiari in grado di sopperire alla richiesta di accudire anziani non autosufficienti, mercato spesso non regolato che ha creato quindi una sorta di sfruttamento della condizione personale e lavorativa della badante, quasi sempre straniera.

Cercherò adesso di illustrare quali sono le diverse tipologie di welfare, analizzandone modelli e regimi.

1.4: Le tipologie di welfare state: modelli e regimi:

Analizzando i tipi di welfare adottati dai vari Stati possiamo notare delle evidenti differenze, derivanti dal peso che viene assegnato allo Stato: possiamo cioè individuare diversi modelli e regimi di welfare state. Questi sono molto importanti per capire l'effettivo funzionamento delle politiche sociali all'interno di uno Stato e quindi le scelte operate dallo Stato stesso nell'affrontare e risolvere i problemi dei cittadini e delle famiglie: essi definiscono cioè chi è, o non lo è, oggetto delle politiche e quali sono le discriminanti che delineano tali categorie. L'analisi dei modelli e regimi pare essere interessante anche per capire le particolarità e le anomalie che interessano il nostro Paese. Evidenziando ciò che effettivamente ci differenzia dagli altri Stati si possono comprendere meglio le motivazioni che hanno fatto sì che fosse la donna ad occuparsi dell'assistenza all'anziano e il perché ad oggi le famiglie ricorrono sempre più al badantato piuttosto delle altre possibili soluzioni. Si può inoltre ragionevolmente ipotizzare che la struttura del mercato del lavoro, che in Italia presenta una forte dimensione al nero, abbia a maggior ragione creato un badantato molto irregolare e quindi poco protetto.

E' necessario però anticipare che questo tipo di suddivisione in modelli e regimi ha anche dei limiti: il fatto stesso che risulti piuttosto difficile “inserire” all'interno delle categorie proposte i vari stati evidenzia come questo uso della modellistica sia da ritenersi con una valenza analitica, come un aiuto e un riferimento, ma non come unico mezzo di studio, per non trovarsi intrappolati in una rigidità che non aiuta nell'analisi delle politiche sociali, che

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