• Non ci sono risultati.

L'analisi delle interviste cercherà di seguire i punti individuati nelle ipotesi di ricerca, pur essendo coscienti della difficoltà di riuscire mantenere tale rigidità. In effetti le caratteristiche prima individuate del mercato duale del lavoro sono spesso strettamente collegate e in ognuna di loro è facile trovare richiami all'altra. Sarà quindi piuttosto complicato mantenere la suddivisione analitica prima presentata.

Prima di entrare nel vivo dell'analisi fornirò un breve profilo delle donne intervistate. Come già detto, queste sono sei: una italiana e cinque straniere. La prima, Luana, di circa 70 anni assiste un'anziana completamente non autosufficiente; ha la licenza elementare, è sposata, con due figli oramai fuori casa, e il marito risulta anch'esso non completamente autonomo in seguito ad una malattia sopraggiunta 4 anni fa. Nelle ore in cui quindi non viene assistita l'anziana, la signora si occupa del marito. In effetti questo è uno dei due casi in cui non c'è coabitazione, ma una presenza notturna (dalle 8 alle 12) e qualche ora pomeridiana (15 – 16:30 ). La seconda signora, Manuela, ha 52 anni ha conseguito il diploma in un istituto tecnico, non è sposata ma ha una figlia di 22 anni rimasta in Romania, suo paese di origine. E' presente in Italia da circa 4 anni e coabita con la signora che assiste, che è però quasi completamente autosufficiente: l'assistenza si “limita” cioè nell'accompagnamento e nella compagnia in quanto la signora, in seguito ad un ictus soffre di brevi amnesie. Nell'appartamento è presente anche la figlia della signora che però lavora e ha preferito quindi assumere qualcuno per non lasciare sola la signora, dati i suoi comportamenti spesso imprevedibili. Magda ha invece 36 anni, è in Italia da 10, è divorziata con due figli che abitano in Polonia, suo Paese di origine; è diplomata in un istituto professionale. Sia l'incontro con Manuela che con Magda è avvenuto presso gli uffici dello sportello per badanti della Misericordia, mentre erano lì per cercare lavoro76. Il contatto è stato quindi diretto ed entrambe si sono rivelate subito disponibili e interessate all'intervista. Magda mi ha poi consigliato Inaya: una ragazza di 28 anni, proveniente dall'Azerbaijian che vive in Italia dal 2002. Qui si è sposata e ha due figli. Inaya ha l'equivalente della nostra licenza media e assiste la signora che le affitta la casa; non coabita ma lavora nel pomeriggio e due ore di notte. Luiza è invece una donna di 38 anni proveniente dall'Ucraina e laureata in psicologia; è divorziata e ha un bambino di 11 anni che vive con lei e l'anziana assistita, è in Italia dal 2006. Luiza è stata contatta preventivamente dallo Sportello Migranti del Comune e dopo aver accettato, è stata

76 Manuela ha infatti bisogno di una sostituzione per maggio, mentre Magda era in cerca di un nuovo impiego poiché qualche giorno prima le era morta la signora assistita.

contattata da me. Proprio Luiza mi ha fornito poi il nome di Alice, che ha 42 anni è ucraina e ha, come Manuela, un diploma di istituto tecnico; è nubile ed è Italia da circa 4 anni. Anche lei convive con la signora assistita che è comunque in grado di muoversi in modo autonomo: gli aiuti cioè, come nel caso di Luiza, consistono nell'accompagnamento in caso di uscita e nella cura della persona e della casa.

5.1: Un mercato per donne. Straniere.:

Tra le principali caratteristiche del mercato duale del lavoro vi è la presenza di fattori pull nel paese di arrivo, in grado di giustificare la partenza e quindi la decisione della migrazione. Un fattore di grande attrazione è certamente la presenza di un mercato lavorativo che permetta alla migrante di sapere che potrà avere un impiego una volta giunta a destinazione. A questo proposito pare quindi fondamentale riuscire a capire se le assistenti erano a conoscenza di tale mercato e come sono venute a saperne. Dalle interviste pare chiaro che Manuela, Alice e Luiza ne fossero effettivamente informate, attraverso il passaparola:

“Sono venuta qui perché una mia amica, che era qua da due anni, sapeva che stavo vivendo una situazione difficile in Romania. Avevo bisogno di soldi e lei aveva sentito di un posto di lavoro come badante. Sapevo che venendo qui avrei fatto questo lavoro...”77

L'esperienza di Alice è molto simile:

“Sono venuta qua per lavoro... sapevo che avrei fatto questo questo perché qua c'era già una mia amica che lo faceva... mi ha chiamata e mi ha detto che potevo venire perché aveva sentito di una signora che aveva bisogno, così mi ha spiegato cosa avrei fatto...”

Anche Luiza è arrivata in Italia tramite passaparola, ma il veicolo non è stato in questo caso un'amica, ma la madre: questa ha infatti chiamato la figlia per darle una mano nell'assistenza alle due anziane sorelle da lei badate:

“Questo lavoro lo ha cominciato la mia mamma, che poi ci (lei e il figlio) ha chiamato come ospiti, per far passare l'estate qua al bimbo... poi ha proposto alla

77 Manuela

signora se potevo restare qui... e così è stato...”

Leggermente differente è invece l'esperienza sia di Magda che di Inaya: entrambe sono sì venute in Italia perché sapevano che avrebbero trovato lavoro, ma non come badanti; hanno infatti avuto diverse esperienze lavorative prima di cominciare quella di assistente familiare:

“Ho deciso di venire in Italia perché da noi non c'era lavoro e quando c'era si guadagnava poco quindi ho deciso di partire... Io poi subito dopo la scuola mi sono sposata e ho avuto due figli... praticamente non ho lavorato molto laggiù, ho lavorato molto di più qua...”78

“Sono venuta in Italia perché nel mio Paese non avevo futuro... là non c'è lavoro, qui sì... sapevo che avrei potuto fare qualcosa, sicuramente più del mio Paese... e poi non mi trovavo bene con la mia famiglia...79

In realtà quindi entrambe sono state spinte alla partenza dalla ricerca di un lavoro, sicure che qua lo avrebbero trovato molto più facilmente del loro paese di origine, ma non sapevano che avrebbero fatto le badanti. C'è stato cioè un passaparola che ha confermato la possibilità lavorativa, ma non è stato specifico sul badantato:

“Sono venuta perché i miei fratelli erano già qua... mi chiamarono dicendomi di venire, che qualcosa avremmo trovato... ma quando sono arrivata non lavoravo come badante... all'inizio lavoravo in un'azienda agricola, poi in pizzeria, poi in una fabbrica di lenzuola... Poi come colf e baby sitter in una famiglia di Napoli, sai io sono arrivata lì...”

Il lavoro qua a Viareggio è sopraggiunto dopo parecchi anni ed è stato trovato tramite canali istituzionali:

“Dopo l'esperienza di Napoli sono tornata in Polonia e mi sono divorziata... Poi sono tornata in Italia, a Genova e lì ho cominciato a guardare due anziani... che poi però sono morti... Alla fine un'amica di mia madre mi ha detto di venire qua... io sono

78 Magda

andata al Centro per l'Impiego e lì ho trovato come badante...”

Anche Inaya non ha fatto subito la badante, e anzi, si è ritrovata a fare questo lavoro quasi per caso:

“Io lavoravo soprattutto nei ristoranti, come cameriera... Poi però la signora che mi affitta l'appartamento aveva bisogno di qualcuno, così ho cominciato a fare la badante... Ma quando sono venuta, sapevo che certi lavori voi italiane non li volete fare... Noi abbiamo meno pretese, mentre molte italiane vogliono esser pagate molto e non vogliono fare nulla...80”

Alla badante italiana chiedo allora se sa come trovano lavoro quelle straniere e, almeno per sentito dire, sembra confermare l'esistenza di un passaparola, che non si innesca solamente quando una famiglia ricerca un aiuto, ma anche quando una delle badante ha bisogno di una sostituzione: in questo caso si preferisce a maggior ragione far “tenere il posto” a una persona fidata, che lo renderà al ritorno:

“Le straniere magari vengono qui, ci stanno tre mesi, poi tre mesi magari vanno a casa... tipo anche quella che sta di là81 è andata via sei mesi perché le è nata la figliola... nel frattempo il posto glielo tiene una sua amica: tanto fanno così... si chiamano l'una con l'altra, fanno tra di loro...”

Nella maggior parte dei casi pare quindi chiaro che non solo le donne fossero consapevoli di venire a svolgere questo lavoro ma ne avevano praticamente la certezza. Manuela, Luiza e Alice risultano infatti essere partite con cognizione di causa, avendo la sicurezza di avere un impiego già pronto all'arrivo, travato da amiche o parenti già presenti nel territorio italiano. Magda e Inaya, pur avendo trovato lavoro attraverso canali differenti, sapevano comunque che avrebbero trovato un impiego una volta giunte in Italia grazie all'appoggio di una rete amicale o parentale.

La scelta di cercare un lavoro all'estero è stata sicuramente determinata anche dalla condizione difficile vissuta nel proprio paese:

80 A questo punto Inaya mi racconta di aver accompagnato Magda qualche giorno prima a fare un giro degli stabilimenti balneari per cercarvi lavoro, dicendo che molto proprietari erano contenti di loro perché pretendevano meglio delle italiane.

“Ho deciso di partire perché volevo fuggire da una situazione di povertà: sono stata operaia per 18 anni in una fabbrica di materiale edile, ma nel '92 questa chiuse; fu venduta a stranieri per pochi soldi e ne venne cambiata la destinazione: cominciarono a produrre cose diverse, quindi volevano persone giovani, con altre qualifiche... noi non andavamo più bene... ho preso una sorta di disoccupazione per due anni, poi più nulla... quindi ho deciso di partire... a parte mia figlia, non ho nulla che mi leghi laggiù...”82

Il caso di Luiza è ancora più emblematico: la partenza non è infatti dovuta ad una condizione di disoccupazione o di assoluta povertà, ma è riconducibile alla possibilità di guadagnare di più in Italia, rispetto a quanto le fosse possibile, oltretutto attraverso un lavoro qualificato, in Ucraina:

“Lo sanno tutti che in Ucraina, Russia e in questi Paesi qua c'è povertà... Io nel mio Paese facevo l'insegnante, ma la mia paga era proprio poca... 130 euro! E l'impegno era tanto... Il mio bimbo poverino giocava sempre da solo, io preparavo lezioni per giorno dopo... anche il sabato e la domenica... L'impegno era veramente tanto... ti chiedevano sempre cose, di fare questo e fare quello, però pagavano poco... Quindi ho deciso di venire qua, perché pagano di più... e anche per il futuro, vorrei mettere soldi da parte...”

Anche Alice ripropone una situazione simile: non è in una condizione di povertà assoluta, ma vorrebbe costruirsi casa e le paghe in Ucraina non bastano:

“Nel mio paese ero operaia e lavoravo in una fabbrica di televisioni... poi la fabbrica ha chiuso e ho trovato poco... ma in ogni caso prendevo pochi soldi, per vivere e basta va anche bene... ma io voglio costruirmi una casa, quindi sono partita..per fare cose grosse così, come appunto costruire una casa... devi guadagnare di più e lì non ci riuscivo...”

Si può quindi dire che la mancanza di prospettive e di guadagni, in grado di far metter in atto i propri progetti, sembrano essere la causa che fa prendere in considerazione la partenza, ma la sua effettiva attuazione avviene nel momento in cui si presenta l'occasione

di lavoro, ecco perché i fattori pull sono fondamentali. E' vero infatti che le difficili condizioni vissute nel proprio paese di origine hanno fortemente contribuito alla decisione di migrare, ma questa è stata determinata, in ultima istanza e nella maggior parte dei casi, dalla certezza di avere un lavoro qui in Italia. La chiamata dell'amica o della madre sembra quindi essere decisiva: molte donne sanno cosa verranno a fare e realizzano l'effettiva partenza proprio in virtù della certezza di questo impiego. Anche Magda e Inaya non avevano la certezza di avere un posto come badanti, sapevano che avrebbero trovato più facilmente lavoro rispetto al loro paese, ma soprattutto avrebbero avuto una paga maggiore. Rispetto all'ipotesi formulate quindi si può dire che in effetti quasi tutte le donne sapevano della presenza di un mercato di lavoro per badanti e chi comunque non era a conoscenza della sua specificità, sapeva, attraverso le notizie di parenti e amici, che le possibilità di trovare un impiego erano qua molto più alte, poiché alcuni lavori vengono rifiutati dagli italiani. In tutto questo quindi, pur sottolineando l'importanza dei fattori pull, non devono essere trascurate le situazioni di difficoltà presenti nel paese di origine, anche se queste risultano essere di povertà relativa, piuttosto che di completa assenza di risorse. Questo però non è un particolare di poco conto: è proprio infatti la possibilità di guadagnare più facilmente rispetto al proprio paese che fa prendere in considerazione l'idea di partire. L'idea, a parte per Inaya, è quella di “sopportare” anni di sacrifici per poi tornare “a casa” e godersene i frutti, cosa che non potrebbe accadere restando a lavorare una vita, in condizioni magari non migliori, nel paese di origine.

Per quanto riguarda la badante italiana, le sue esperienze lavorative sono molteplici. Da sempre però si è occupata dell'assistenza, sia a bambini che ad anziani:

“Io in realtà volevo fare l'infermiera... poi però non ho potuto studiare e quindi non se n'è fatto di nulla... Però a me accudire le persone, che siano bimbi o anziani, m'è sempre piaciuto... sicché ho cominciato così... la prima anziana l' ho guardata più di 20 anni fa... Ora dalla signora di ora ci sono da 14 anni... a me questo lavoro piace... mi piace prendermi cura delle persone... secondo me ci vuole passione per farlo... non è un lavoro come un altro...”

Come anticipato prima, questa signora non è una donna che, in momento di crisi, ha deciso di diventare badante. Per Luana, anche se inizialmente tra i suoi progetti c'era quello di diventare infermiera, l'assistenza all'anziano è quasi una passione. Non è cioè stato un semplice ripiego, in mancanza di altro: tra le varie altre esperienze lavorative, questa è stata quella che le è piaciuta di più e che si avvicinava maggiormente a quella da

infermiera.

Passando invece alla presenza straniera c'è un dato che pare interessante prendere in considerazione: il ruolo del passaparola. Quando le famiglie cercano un'assistente familiare si fidano delle badanti straniere già conosciute. La ricerca quindi resta in questo ambito: si accetta, per necessità o per sopraggiunta fiducia, che queste non siano italiane, alimentando, e stabilizzando, la loro presenza all'interno di questo mercato. Questa forte presenza aveva già trovato conferma nei capitoli precedenti: prendendo in considerazione i dati relativi alla ricerca Irs83 si stima che su 740 000 collaboratrici domestiche, circa 700 000 siano straniere. Anche a livello regionale si può notare come il numero di donne straniere sia elevato: il 60% di tutte le collaboratrici risulta esserlo84, percentuale che scende al 51,7 se rivolgiamo lo sguardo alla sola Provincia di Lucca. Il dato, pur essendo fortemente ridimensionato rispetto alle stime Irs è comunque significativo perché si riferisce solo a coloro che risultano essere regolarmente assunte. E' quindi chiaro che la presenza straniera è fortemente radicata e non ne esiste un'unica spiegazione (cfr. par. 5.4): la richiesta di donne immigrate per svolgere questo lavoro non deriva solo dal rifiuto delle italiane, ma anche dal loro, più o meno forzato, assenso alle paghe e a impiegare praticamente tutto l'arco della giornata al servizio dell'anziano da assistere. Tutte le badanti infatti concordano nel dire che le italiane, le poche che scelgono questo impiego, non vogliono coabitare, ma solo accudire qualche ora durante il giorno:

“Ho sentito di donne italiane che cercano lavoro, ma solo per la mattina o per il pomeriggio...”85

“Non tutte le donne italiane vogliono fare questo, preferiscono altri lavori... io prima che morisse l'altra signora facevo anche altre cose quasi da infermiera... pulivo la signora... in tutto... non è molto bello... le italiane non vogliono fare questo tutti i giorni... Poi non vogliono stare tutto il giorno in casa senza uscire... E poi per la paga... forse a loro non basta... per noi può anche andare bene...”86

La stessa Luiza non vede una sola causa del diniego delle donne italiane: queste infatti potrebbero avere diversi motivi per non diventare badanti, che vanno dal rifiuto di qualche mansione, come la pulizia dell'anziano, dalla volontà di mantenere una propria libertà, fino

83 Irs (2008), “Badanti: la nuova generazione: caratteristiche e tendenze del lavoro privato di cura”; 84 Cesvot, (2006), “Nello sguardo dell'altra. Raccontarsi il lavoro di cura” ;

85 Alice; 86 Luiza;

alla retribuzione, che sarebbe troppo bassa.

Anche Alice spiega perché le italiane non vogliono fare le badanti a tempo pieno come loro:

“Le italiane possono fare le badanti... Io ho sentito di donne italiane che lo fanno e che stanno cercando, soprattutto ora che c'è crisi... ma non vogliono coabitare... è troppo difficile per loro... troppo pesante... anche per la famiglia... però loro possono decidere se abitare o no... noi no... siamo venute qua per lavorare... cose devo fare? Accetto quello che c'è...”

Manuela aggiunge poi un particolare al profilo della “badante italiana”:

“Le badanti italiane sono poche.. e sono soprattutto del sud... perché qui si guadagna meglio... le ho sentite soprattutto da un anno a questa parte, perché c'è crisi... Finora però non lo volevano fare perché è una vergogna... Quelle che vengono dal sud possono anche coabitare, ma di solito no... preferiscono fare solo qualche ora... non vogliono perdere tutta la libertà”

Le italiane cioè che cominciano a fare le badanti sono, per la sua esperienza, provenienti soprattutto dal sud e sono aumentate in questo periodo di crisi. Nonostante questo sostiene che non vogliono coabitare: non vogliono perdere la loro libertà. Manuela infatti vede le donne del sud come migranti, quasi come lei, ma in realtà molte di loro potrebbero essere venute assieme alla famiglia e quindi sarebbero interessate a un lavoro che non impegna totalmente la giornata.

Anche la badante italiana sembra confermare quanto detto dalle assistenti straniere riguardo ai perché dei rifiuti delle donne italiane:

“Le italiane hanno famiglia, hanno nipoti... vogliono avere più tempo..”

Alla luce quindi di quanto detto dalle intervistate la non-concorrenza tra italiane e straniere risulta essere doppia: non solo le italiane non sarebbero interessate al lavoro di badanti, ma anche qualora lo fossero, sono interessate a impieghi a ore, mentre le straniere accettano la coabitazione. In questo modo possono aumentare la parte di retribuzione destinata al risparmio o da mandare nel proprio Paese in quanto vengono abbattuti i costi di vitto e alloggio. La contropartita è la perdita della libertà, che risulterebbe essere più problematica

per le donne italiane che devono occuparsi anche della propria famiglia. E' significativo infatti che tra le intervistate le uniche che non coabitano sono proprio la donna italiana che deve difatti occuparsi anche del marito non completamente autosufficiente e Inaya, che ha marito e due figli qua in Italia. Non viene trascurato in quanto detto finora la recente tendenza delle italiane ad accettare l'impiego di badanti a causa della crisi: questo fenomeno non sembra essere in profondo contrasto con la presenza di lavoratrici straniere, proprio per il differente orario di lavoro cercato. In realtà il problema della concorrenza emerge quando la donna straniera, in una prospettiva di migrazione a lungo termine o addirittura di definitiva permanenza in Italia, comincia a cercare un lavoro che non prevede la coabitazione, come nel caso di Monica87. Questo fenomeno è in linea con quanto affermato dalla teoria del mercato duale del lavoro, che prevede l'assenza di concorrenza tra lavoratori stranieri e autoctoni fintanto che il progetto migratorio è a breve o medio

Documenti correlati