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UniTo e distinto: il ruolo dell’Università di Torino nel progetto di Torino Città Universitaria

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UniTo e distinto: il ruolo dell’Università di Torino nel progetto di

Torino Città Universitaria

Egidio Dansero

Università degli Studi di Torino, Dipartimento Culture Politica Società

Professore ordinario di Geografia economico-politica, docente di Politiche del territorio e sostenibilità, referente del progetto “Cle e/è territorio”.

1. Essere in una Città Universitaria

Questa riflessione si affianca ed integra il contributo della Città di Torino sul progetto “Torino Città Universitaria”, presentando in modo più approfondito alcune attività che intensificano in qualità e quantità la relazione tra l’Università degli Studi di Torino (UniTo), la città e il territorio metropolitano.

Torino Città Universitaria è allo stesso tempo un progetto, strutturato con tavoli di lavoro, azioni, obiettivi, risultati attesi e in parte conseguiti, ed una visione strategica che lega la Città, i due Atenei torinesi e altre realtà dell’alta formazione presenti a Torino. Pensarsi come “Città Universitaria” e agire per andare al di là di mere operazioni di marketing urbano rientra in un più ampio insieme di riflessioni e politiche urbane che caratterizzano da oltre un quindicennio una Torino post-fordista che ha cambiato profondamente la sua identità e la sua immagine interna ed esterna, passando dall’uno (la one company town, la città dell’auto) al molteplice. Ovvero una città che, pur mantenendo una forte caratterizzazione industriale e tecnologica, si scopre e si propone riconoscendo e valorizzando molteplici ambiti di specializzazione nel vasto campo culturale (dallo sport grazie anche al volano delle Olimpiadi invernali, al patrimonio museale consolidato a quello dell’arte contemporanea, alla produzione culturale, nel cinema, nell’editoria, nella musica, nell’enogastronomia e gli eventi collegati, nella spiritualità e impegno religioso e civile…) (Belligni, Ravazzi, 2013; Vanolo, 2010).

Torino Città Universitaria va dunque collocata in questo rinnovamento urbano che caratterizza la Torino pre e post-olimpica, pur all’interno di una crisi economica e finanziaria che anche qui colpisce duramente e che si fa sentire anche sul sistema universitario.

UniTo agisce dunque di concerto con il Comune e gli altri attori che condividono la visione strategica della Città Universitaria a partire dalle sue specificità e potenzialità, quale grande ateneo italiano, con una storia consolidata (oltre 600 anni), grandi nomi che hanno occupato e occupano posizioni di prestigio in Italia e nel mondo, una pluralità di specializzazioni di eccellenza internazionale, una fitta rete di accordi di cooperazione interuniversitaria e strette relazioni con il Politecnico (per lo più complementare nelle specializzazioni formative e di ricerca), con i polo torinesi delle Nazioni Unite e della Commissione Europea e con gli altri centri formativi e di ricerca di eccellenza pubblici e privati presenti a Torino.

L’essere un Ateneo in una città universitaria si misura sia con una politica di infrastrutturazione materiale e immateriale del territorio cittadino volta ad agevolare e migliorare l’esperienza formativa dello studente (come descritta nell’articolo del Comune di Torino) sia con l’accompagnare tale infrastrutturazione con una trama di relazioni di collaborazione e apprendimento con gli altri attori del territorio, dal sistema della pubblica amministrazione al tessuto economico, al vivace ed articolato mondo del no profit e del terzo settore torinese. Non è soltanto dunque l’offrire un’accoglienza adeguata e qualificata a chi cerca “alta formazione” (obiettivo tutt’altro che scontato) ma è anche il saper connettere (in modo esplicito e riflessivo) tale “esperienza studente” alle trame relazionali con i “mondi localei e tramite questi con le reti sovralocali dell’economia, della politica, della cultura (Balducci, 2013; Chatterton, 2010; De Carli, 2013).

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Il pensarsi Ateneo in un territorio che si immagina e propone come Città Universitaria vuol dire dunque riflettere e rileggere le azioni e relazioni che caratterizzano UniTo nella formazione, nella ricerca, nella “terza missione” e in particolare nel porsi in modo esplicito come “attore territoriale”.

2. L’Università di Torino quale attore territoriale

Rimandando dunque al contributo della Città di Torino per una sistematica presentazione delle azioni di Torino Città Universitaria sottolineiamo in questa sede alcune delle azioni messe in campo da parte di UniTo, in forme diverse, che più si ricollegano in questa visione performativa di ateneo quale attore territoriale.

Tale ruolo può essere progettato, e considerato retrospettivamente, a diverse scale, oltre a quelle internazionali e nazionali (dove si misura soprattutto la competitività degli atenei) in particolare a quella regionale (con la politica di decentramento negli anni Novanta e di riconcentrazione selettiva più recentemente), metropolitana, comunale, di quartiere e micro-locale. Possiamo altresì considerare tale ruolo attraverso politiche formali (nel senso di esplicite e in qualche modo formalizzate) e informali (non esplicitate e formalizzate ma deducibili dal comportamento degli attori), dall’alto (il Rettorato, gli organi di governo di Ateneo) e dal basso (gli organi di governo accademico locale, progetti e gruppi di ricerca, la popolazione universitaria, studentesca e non, e la cittadinanza più o meno organizzata).

Un punto di partenza obbligato in questa breve e non esaustiva presentazione di attività è il Rapporto di sostenibilità di Ateneo (uscito nella prima edizione annuale nel 2014)1, quale strumento di comunicazione interno ed esterno che consente di rendere note e “misurare” le relazioni e le azioni rispetto ad obiettivi di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Questi possono altresì essere considerati come una sorta di patto che lega l’Ateneo verso la popolazione universitaria (studenti, docenti, personale amministrativo e tecnico) e verso la Città.

Tra le politiche formali intraprese dal Rettorato, ma con l’obiettivo esplicito di stimolare la partecipazione e la progettualità dal basso, vi è stata nel corso del 2014 la prima edizione di Hackunito. Si è trattato in un evento nel format “hackathon” realizzato nell’ambito del Piano Strategico di Ateneo come occasione per un diretto coinvolgimento della comunità universitaria e delle comunità dei territori per assicurare innovazione organizzativa e sociale. Obiettivo principale di #hackUniTO è stato di attivare energie e sviluppare l’engagement degli stakeholders del territorio per migliorare la qualità di vita partendo dalla comunità locale e stimolando altre realtà con cui avviare percorsi di collaborazione. Coinvolgendo quasi 1500 persone dell’Università e del territorio, sono state elaborate 198 proposte progettuali, prendendone in carico 78 per la realizzazione, mentre la piattaforma Hackaton resta aperta per consentire alla Comunità di interagire in maniera diretta e continuativa con le attività di innovazione dell’Ateneo (http://www.hackunito.it) (UniTo, Rapporto di sostenibilità, pag. 42). Un’altra attività in questa direzione, all’incrocio tra sostenibilità economica e sociale, è quella volta a favorire la creazione di una nuova imprenditoria giovanile, con 2i3T (Società per la gestione dell’Incubatoredi Imprese e per il Trasferimento Tecnologico dell’Università degli Studi di Torino). L’incubatore si occupadella valorizzazione in chiave economica dei risultati della ricerca svolta in ambito accademico promuovendo e sostenendo la creazione di nuove imprese ad alto contenuto di conoscenza.

L’incubatore ha avviato le proprie attività nella seconda metà del 2007 e da allora ha individuato oltre 900 competenze nell’ambito dei differenti settori di ricerca. Il risultato è costituito dall’avviamento di 38 nuove start up science based che sfruttano i risultati della 1 http://www.unito.it/sites/default/files/rapporto_sostenibilita_2013_2014.pdf

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ricerca svolta in ambito accademico (34 erano le start up attive a fine 2014)2.

Oltre allo stesso Rapporto di sostenibilità vi sono poi una serie di iniziative che attualizzano il rapporto università-territorio (inteso come intreccio tra ambiente naturale, socio-economico e costruito). Segnaliamo in particolare il piano di risparmio energetico e il progetto di acquisti pubblici ecologici, peraltro strettamente correlati, entrambi volti ad una maggiore sostenibilità nella gestione degli acquisti e dei consumi energetici, di attrezzature e materiali di consumo e ad una più esplicita responsabilizzazione e coinvolgimento di UniTo in processi di green public procurement dalle importanti ricadute sull’economia e la società, soprattutto locale.

Un’altra iniziativa particolarmente interessante da segnalare è quella della “Città della Conciliazione”, che lega l’Università di Torino con il Comune di Grugliasco (comune della prima cintura che ospita il campus con la Scuola di Agraria e Veterinaria) (UniTo, Rapporto di sostenibilità, pag. 67). Si tratta di una struttura nata da un progetto del Comitato Pari Opportunità dell’Università degli Studi di Torino, che nel 2001 aveva riscontrato la necessità da parte dei dipendenti universitari del Polo di Grugliasco di servizi per l’infanzia. Il progetto è stato co-finanziato dalla Regione Piemonte, dall’Università di Torino e dalla Provincia di Torino, e dal 2010 la gestione è affidata alla Società La Serre del Comune di Grugliasco. La Città della Conciliazione è strutturata in tre aree: spazi per l’infanzia, spazi per il benessere e la famiglia e spazi per la ristorazione.

Tale esempio rivela come, in un Ateneo che è caratterizzato da oltre 120 sedi, la maggior parte delle quali dislocate nel territorio comunale di Torino, le scale locale (di quartiere) e microlocale rappresentino una molteplicità di spazi di azione, criticità e potenzialità nel rendere attuale e concreto il rapporto città-università.

Un così alto numero di sedi presenta indubbiamente una grande complessità e varietà di problematiche nella gestione, manutenzione e riqualificazione del patrimonio edilizio, dei flussi di mobilità attivati da ciascuna sede (nello spazio e nel tempo), nella gestione logistica e degli acquisti. La politica delle sedi universitarie (e delle residenze connesse) è uno degli strumenti di raccordo più forti tra politiche comunali e scelte dell’Ateneo, c rappresenta il banco di prova e l’opportunità per costruire capacità di governance condivisa e operativa collegando i molteplici ambiti di competenza della pubblica amministrazione. Buona parte del patrimonio edilizio dell’Università di Torino si trova in immobili storici e in posizioni centrali di pregio, ma richiede altresì operazioni importanti di ristrutturazione straordinaria, così come scelte di rilocalizzazione strategica funzionali alle esigenze didattiche e di ricerca che possono avere effetti rilevanti su parti significative della città e dell’economia locale.

Sono da tempo in discussione alcuni progetti di nuovi insediamenti universitari (la SUISM all’ex Manifattura Tabacchi, potenziale volano per la riqualificazione della zona Nord della città), la Città della salute (con la completa trasformazione del distretto ospedaliero universitario nella zona Sud della città), il potenziamento del polo di Grugliasco con lo spostamento di Farmacia e Chimica. Più recentemente, la necessità di chiudere la sede di Palazzo Nuovo (punto di riferimento per i Dipartimenti e Scuole dell’area umanistica) per il 2 Dal Rapporto di sostenibilità (pag. 93) apprendiamo che il 44% delle imprese avviate si colloca nel settore della salute, un 18% nell’ambito energia ed ambiente,un altro 18% nel settore agro-alimentare ed ilrestante 20% è distribuito nei settori digitale (12%) e innovazione sociale (6%).Nel biennio 2012-13 sono stati sviluppati circa 40 business plan da cui sono nate 12 nuove imprese, di cui 5 nel 2013. Le attività svolte dall’incubatore hanno consentito nel 2013 di creare 142 posti di lavoro ad alta intensità di conoscenza, il deposito e lo sfruttamentodi 18 brevetti e di avviare 9 partnership societarie (imprese che fanno parte delle compagini sociale delle start up).

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completamento di indispensabili lavori di bonifica dall’amianto, ha da un lato intensificato la collaborazione con la Città e altri attori del sistema formativo per far fronte all’emergenza, dall’altro ha evidenziato il peso di un polo universitario sull’economia locale, accentuando gli effetti della crisi nella parte centrale della città interessata dalla chiusura temporanea.

3. Cantiere aperto: il nuovo Campus Luigi Einaudi come laboratorio per ripensare il rapporto Università-territorio

L’occasione di una riflessione più sistematica sul rapporto Università e città è rappresentata dal dibattito attorno alla più recente nuova grande sede universitaria di UniTo, vale a dire il Campus Luigi Einaudi, inaugurato nel settembre 2012.

Pensato inizialmente per ospitare le due Facoltà di Giurisprudenza e di Scienze Politiche (dove avevano lavorato sia Luigi Einaudi sia Norberto Bobbio), dopo la recente riforma delle strutture universitarie definita dalla Legge Gelmini, il Campus Luigi Einaudi ospita attualmente tre dipartimenti, raggruppati nella Scuola di Scienze Giuridiche, Politiche ed Economico-Sociali e l’imponente Polo universitario Norberto Bobbio per un totale di oltre 10.000 persone tra studenti, docenti e personale, e fa parte di un più ampio progetto di decongestionamento dell'Università, fondato sull'idea di creare diversi poli di specializzazione didattica, diffusi in città e nella cintura.

In particolare, l'area di insediamento del Campus Luigi Einaudi (CLE) è al centro di quartieri caratterizzati da una storia e da vocazioni piuttosto differenti tra loro e rappresenta, in tal senso, un intervento chiave per l'integrazione di tali aree, tra zona Nord e lungo la Dora, sede storica dell’industrializzazione torinese via via svuotata dai processi di deindustrializzazione, rilocalizzazione e valorizzazione immobiliare, e la zona Vanchiglia, immediatamente a ridosso della zona centrale.

Il CLE si presenta come un’architettura dal notevole impatto visivo, inserita dalla CNN tra le 10 opere di edilizia universitaria più spettacolari al mondo, esito di un progetto architettonico condiviso tra diversi affermati studi torinesi, nazionali e internazionali con la prestigiosa firma della Norman Foster associati. Un edificio che rappresenta dal punto di vista architettonico un inedito tentativo, almeno per Torino, di coniugare internazionalità dell’opera e dello stesso mondo universitario, con le specificità dei contesti locali (Riccato, Virano, 2015).

Il nuovo campus è entrato prepotentemente tra le architetture iconiche che caratterizzano la nuova immagine della città, costituendo un’opera dal forte impatto visivo nel paesaggio urbano e nei processi di trasformazione economica, sociale e immobiliare delle parti della città circostanti l’edificio.

Un’area un tempo destinata alla produzione industriale ed energetica (uno dei primi impianti Italgas a Torino e in Italia), a lungo rimasta sottoutilizzata e caratterizzata dall’attraversamento veloce lungo la Dora, ha conosciuto una radicale trasformazione con i primi insediamenti universitari nel 2000, la costruzione del Villaggio Media per le Olimpiadi di Torino 2006 (un’eredità programmata e trasformata poi in residenza universitaria) e infine con il nuovo campus. Da zona ai margini del centro storico, terra di mezzo tra i dinamismi della zona centrale e le centralità delle borgate storiche di barriera, l’area attorno al campus per la concomitanza di vari processi si sta trasformando in una località centrale, sia per i tempi del lavoro sia per quelli di una sempre più effervescente vita notturna.

Un’opera dal così forte impatto visivo e materiale non poteva certo passare inosservata e accanto alle retoriche che hanno accompagnato l’inaugurazione e la progressiva entrata in funzione del nuovo campus non sono state poche le lamentele e le preoccupazioni da parte dei

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nuovi abitanti (una popolazione universitaria complessiva di oltre 10000 persone) e degli abitanti dei quartieri rivieraschi (Dansero, 2015). Lo spaesamento di fronte ad una struttura tutta curve così grande e dirompente rispetto agli schemi spaziali tipicamente torinesi della pianta ortogonale derivante dal castrum romano era ed è un interessante rivelatore della discontinuità e dell’innovazione territoriale che il campus ha portato nell’immaginario, nelle rappresentazioni e nelle pratiche spaziali.

La prospettiva di questo scritto ha considerato l’opera nel suo farsi architettura, sede di lavoro e studio, motore di trasformazioni urbane nelle loro diverse dimensioni materiali e immateriali. Il CLE è stato insomma considerato nel suo passaggio da spazio immaginato, progettato, costruito, ad un luogo vissuto, oggetto di pratiche di riappropriazione dal basso e dall’alto e soggetto anch’esso in divenire, esito e matrice di processi di identificazione e di cittadinanza dentro e fuori l’Università: “studio al CLE…, lavoro al CLE…, vivo attorno al CLE…, il CLE ha cambiato il quartiere…”.

In questa sede è interessante sottolineare l’intreccio tra azioni e politiche formali e informali, dall’alto e dal basso, che hanno caratterizzato i primi due anni di vita del CLE nel suo rapporto con il territorio.

Una prima iniziativa è costituita dal Progetto Cittadinanze, un progetto di ricerca e di dialogo tra i diversi saperi e sguardi disciplinari presenti al CLE (http://campuscittadinanze.eu/) e rappresenta il primo tentativo sistematico di creare un ponte tra le ex Facoltà, Dipartimenti, gruppi di ricerca e singoli ricercatori presenti al CLE e con la città attorno ad un tema trasversale di grande valenza politica e civile, oltre che scientifica. In questo senso svolge un ruolo fondamentale nella costruzione del campus come luogo in cui il sapere accademico si apre al confronto con la città, si fa interrogare e si nutre di tale relazione, rappresentando altresì il banco di prova per un confronto tra saperi e prospettive disciplinari ed orientamenti alla ricerca e al suo rapporto con l’azione e la politica.

All’interno del progetto Cittadinanze si è costituito il sotto-progetto “CLE e/è territorio”. Si tratta di un progetto e di un Osservatorio di Ricerca-FormAzione3 che, collegandosi ad altri progetti ed attività di varia natura e scala (come i già citati Hackunito e Torino Città Universitaria) ha inteso e intende stimolare, raccogliere e collegare le tante sollecitazioni innescate dal divenire del nuovo Campus e il suo “farsi territorio”, dalle esperienze individuali a quelle dell’organizzazione universitaria stessa e delle istituzioni e realtà associative che in qualche modo si connettono al CLE.

Possiamo affermare che “CLE è territorio” in quanto composto di spazi aperti e chiusi, oggetto di pratiche materiali e immateriali dell’abitare quello che è in ultima analisi un luogo di lavoro e studio, un “luogo temporaneo” per gli studenti ma in una fase davvero importante nella loro formazione di giovani uomini e donne e nel loro inserimento sociale.

Cambiando di scala ci si focalizzati sulla relazione “CLE e territorio”, in quanto la trasformazione da spazio a luogo, ovvero la territorializzazione della grande opera, coinvolge le modalità con cui essa, in quanto simultaneamente tensione architettonica, spazio funzionale e ambiente vissuto, si rapporta con il contesto urbano contiguo, crea discontinuità nello spazio e nel tempo, potendo creare altresì nuove connessioni tra parti della città, e proponendosi come nuova polarità che agisce in modo potente sulle trasformazioni fisiche, sociali ed immobiliari nello spazio di prossimità (Calafiore, 2014; Dansero, 2014).

3 Il progetto è stato pensato sia sul piano della ricerca, incrociando i diversi sguardi disciplinari di studiosi della città e del territorio che lavorano al CLE nell’osservare e monitorare le trasformazioni della città attorno al campus; sia sul piano della formazione, usando la relazione CLE e territorio come laboratorio per esercitazioni, tesi di laurea, e momenti formativi aperti a tutta la cittadinanza; sia infine su quello dell’azione, promuovendo, intercettando, collegando proposte, idee, pratiche di cittadinanza attiva in un’ottica progettuale alle diverse scale e stimolando l’azione istituzionale nel dialogo tra l’Ateneo, la Città, la Circoscrizione e gli altri attori territoriali.

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L’ipotesi di fondo che ha sorretto e sorregge questa riflessione è che “il cantiere sia ancora aperto”: il luogo è in divenire – non tanto per l’apertura anticipata rispetto alla completa fine dei lavori (avvenuta oltre un anno dopo l’inaugurazione)– sia se si guarda agli ambienti aperti e chiusi interni al CLE, sia soprattutto al suo rapporto materiale e immateriale con il tessuto urbano. Molti infatti sono gli elementi nel rapporto con il contesto che al momento dell’inaugurazione erano e sono tuttora da definire, criticità e potenzialità che concorrono a plasmare quello che potremmo definire il valore aggiunto territoriale4 del CLE in una duplice direzione: il valore che il campus aggiunge al territorio, trasformandolo, e il valore che il territorio può aggiungere al campus, incorporandolo.

Il percorso su “CLE e/è territorio” si è dipanato - ed è tuttora in essere - su più scale: temporali (il breve periodo, ovvero l’emergenza; il medio e lungo termine), spaziali (dal micro-locale interno al CLE e sue parti, alla scala di quartiere a quella urbana-metropolitana) ed organizzative (quelle istituzionali dei Dipartimenti-Scuola-Rettorato, fino al rapporto con le istituzioni comunali ed alla comparazione con altri Campus e Università in Italia e all’estero5). Si è partiti coinvolgendo in una comune riflessione il nuovo Magnifico Rettore (peraltro sostenitore sin dall’avvio dell’iniziativa) e l’Urban Center Metropolitano6 (a sua volta già di supporto nel progetto Torino Città Universitaria), riflessione che si è poi via via trasformata in un gruppo di lavoro e in un tavolo istituzionale in cui sono stati coinvolti i Direttori della Scuola e dei tre Dipartimenti, vari docenti interessati, rappresentanti della Circoscrizione 7 (Presidente e vice-Presidente), Assessori comunali e tecnici da loro delegati (Urbanistica, Trasporti, Ambiente e Smart City, Politiche Educative, Verde urbano).

Il quadro emergente delle criticità e potenzialità è stato differenziato per urgenze e scala di competenza e di complessità, individuando alcune criticità e potenzialità principali riguardoall’inserimento nel contesto del nuovo campus, lungo tre assi:

- l’asse della Dora, che appare decisamente sotto-utilizzato rispetto alle sue potenzialità sia fruitive, sia di connessione con il parco della Colletta e l’asse del Po. Questi elementi appaiono particolarmente interessanti considerando una futura trasformazione coinvolgente direttamente il sistema universitario e la Città. Essa riguarda la conferma della decisione di riqualificazione e utilizzo come nuovo campus universitario dell’ex Manifattura Tabacchi, che può essere raggiunta dall’area del CLE anche attraverso il sistema delle piste ciclabili lungo Dora e Po, da potenziare, pensando ad un’area del loisir e di attività sportive nell’area Colletta, a servizio della cittadinanza e dei giovani dei due Campus (il CLE e la futura exManifattura Tabacchi);

- il collegamento verso la zona centrale lungo l’asse di via Verdi, tra il Rettorato e Palazzo Nuovo. Le ipotesi che il Dossier dell’Urban Center prefigura sono di un asse di Via Sant’Ottavio come “strada del gusto”, in parte già pedonalizzato e/o in alternativa 4 Sul concetto di valore aggiunto territoriale e di territorializzazione complessa si rinvia a Dematteis G. (2001),

Introduzione. Tema, articolazione e risultati della ricerca, in G. Dematteis, F. Governa, (a cura di) Contesti locali e grandi infrastrutture. Politiche e progetti in Italia e in Europa, FrancoAngeli, Milano.

5 I temi del rapporto Università-città e del rapporto Università-ambiente sono al centro di varie iniziative di ricerca e di azioni di policy presso diversi atenei italiani e internazionali. In particolare il fenomeno del “campus greening” nasce negli Stati Uniti durante gli anni ’90 e si è recentemente concretizzato su scala internazionale con la costituzione di diverse reti di università, tra le quali le più rilevanti sono l’International Sustainable Campus Network (ISCN) e il Global Universities Partnership on Environment and Sustainability (GUPES http://www.gupes.org/)) . Tali networks raccolgono informazioni e pubblicano guidelines utili a quelle università che vogliano attivare processi di “greening”. La pubblicazione più recente ed autorevole è il Greening Universities Toolkit dell’Unep (http://www.unep.org/training/docs/Greening_University_Toolkit.pdf) che, applicando il concetto di sostenibilità alle università, delinea un percorso per fasi. Da segnalare anche i (discutibili) tentativi di benchmarking per comparare i progressi verso l’obiettivo della sostenibilità (tra i più noti si segnala l’UI Green Metrics, http://greenmetric.ui.ac).

6L’Urban Center Metropolitano (UCM) era già coinvolto nel progetto Torino Città Universitaria predisponendo indagini di supporto.

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dell’asse di via Montebello, anch’esso in parte già pedonalizzato, legato all’arte pubblica, connettendo l’asse di via Verdi, il Museo del Cinema al nuovo Campus e alle installazioni di arte pubblica che sono inserite attorno e dentro il Campus (De Bartolomeis, 2014).

- l’asse di Corso Verona/Corso Farini, che dovrebbe mettere in comunicazione la futura fermata della linea metropolitana 2 di Regio Parco con il CLE. Più problematico ma ancor più interessante, rispetto al ruolo dell’Università, il completamento di corso Farini tra il nuovo campus e la residenza Edisu. È in corso di valutazione la riqualificazione di questo tratto, con il possibile prolungamento della linea 55 fino alla Dora, attraverso un accordo tra Comune e Università, proprietaria del segmento tra Corso Farini e la Dora7.

4. Il valore aggiunto territoriale delle sedi universitarie: attori, progetti e reti

Su tutti e tre questi fronti si misura la possibilità di tradurre in trasformazione fisica, matrice e scenario di ulteriori trasformazioni ed interazioni sociali, la relazione tra il CLE e il territorio. Il confronto e il dibattito sono aperti ed il progetto Torino Città Universitaria da un lato fornisce un contesto di più ampio respiro rispetto alla problematica ristretta, per quanto complessa, della territorializzazione del CLE, dall’altro trova in questo ambito una possibilità di operatività esemplare, considerando altresì le dinamiche, le prospettive e progettualità che investono il contesto urbano attorno al campus, nonché i processi spontanei di riqualificazione commerciale e immobiliare dell’area intorno al CLE, che la espongono a rischi da non sottovalutare di gentrification8 (Semi, 2004; Smith, 2005).

Per quanto il CLE sia indubbiamente l’edificio più recente e come tale meno necessitante di attenzione da parte dell’amministrazione universitaria (e della stessa Città) a fronte delle più problematiche situazioni e prospettive di altre sedi (Palazzo Nuovo, Città della Salute, completamento Polo di Grugliasco, Manifattura Tabacchi…), esso appare come un caso paradigmatico, un laboratorio, al di là delle retoriche, per meglio comprendere e progettare più in generale la territorializzazione complessa9 delle grandi opere architettoniche e infrastrutturali e in particolare il rapporto Città-Università, assumendo consapevolezza, da parte della stessa Università di Torino, del suo ruolo quale attore di trasformazione territoriale sul piano materiale e immateriale.

L’esperienza avviata attorno al CLE presenta una potenzialità di replicabilità con l’idea progettuale “Km tondo” attraverso la quale il Rettorato intende mappare da un lato e stimolare dall’altro progettualità che si realizzano alla scala locale e micro-locale attorno e con il coinvolgimento delle sedi locali di UniTo, in un dialogo con le Circoscrizioni, le associazioni e i vari attori economici, sociali e culturali presenti ed attivi sul territorio, cercando di cogliere come l’Università in un radicamento territoriale fine, diffuso e pervasivo concorre a produrre territorio e a realizzare contemporaneamente dall’alto e dal basso il progetto Torino Città Universitaria.

Bibliografia di riferimento

7 Su quest’asse si sono concentrate le attenzioni dei progetti presentati nel processo di Bilancio Deliberativo sperimentato nella Circoscrizione VII (http://torino.bipart.it).

8 Si tenga anche conto che l’area è di fatto contigua rispetto alla più grande trasformazione urbanistica a Torino delineata dalla cosiddetta “Variante 200”.

9 Sul concetto di territorializzazione delle grandi opere si rinvia, oltre al già citato articolo di Dematteis (2001), a Dansero E., M. Maggiolini (2014). “La sfida della territorializzazione della TAV in Valle di Susa: progetto, territorio e politiche”. CRIOS, vol. 7, p. 69-79, ISSN: 2279-8986.

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