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La mutazione BRAFV600E nella tricoleucemia: due metodiche molecolari a confronto

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Biologia

Tesi di Laurea Magistrale in Biologia Applicata alla Biomedicina

“La mutazione BRAFV600E nella tricoleucemia: due

metodiche molecolari a confronto”

Relatori: Candidato:

Prof. Mario Petrini Matteo Paolicchi

Dott.ssa Sara Galimberti

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2

Ai miei genitori

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3

INDICE

RIASSUNTO

5

ABSTRACT

7

1. INTRODUZIONE

9

1.1 La leucemia a cellule capellute 9

1.2 La leucemia a cellule capellute in forma variante 12

1.3 Il linfoma splenico della zona marginale 13

1.4 Biologia molecolare della tricoleucemia 14

1.4.1 La via di trasduzione RAS-RAF e il suo ruolo nella cancerogenesi

14

1.4.2 Il gene BRAF

17

1.4.3 Mutazioni di BRAF e oncogenesi

19

1.5 Metodologie per studiare la mutazione BRAFV600E 19

1.5.1 Sequenziamento

20

1.5.2 Una speciale applicazione della Real Time PCR: la ARMS PCR

20

1.5.3 Digital Droplet PCR

21

2. OBIETTIVO DELLA TESI

24

3. PAZIENTI E METODI

25

3.1 Popolazione di studio 25

3.1.1 Pazienti affetti da leucemia a cellule capellute classica e variante

25

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4

3.1.3 Terapia

27

3.2 Isolamento con Lymphoprep 29

3.3 Estrazione del DNA 29

3.4 Lettura spettrofotometrica 30

3.5 ARMS PCR 31

3.6 Digital Droplet PCR 36

4. RISULTATI

43

4.1 Diagnostica differenziale 43

4.1.1 Riarrangiamento IgH 43

4.1.2 Ricerca della mutazione di BRAF mediante Real Time PCR

44

4.1.3 Ricerca della mutazione di BRAF mediante Droplet Digital PCR

45

4.1.4 Sensibilità di qPCR verso ddPCR

46

4.2 Monitoraggio molecolare della malattia minima residua 49

4.2.1 Riarrangiamento IgH

49

4.2.2 Mutazione BRAF

50

5. DISCUSSIONE

56

6. BIBLIOGRAFIA

59

(5)

5

RIASSUNTO

La leucemia a cellule capellute (o "tricoleucemia", o HCL dall'inglese "hairy cell leukemia") è una rara patologia linfoproliferativa cronica a cellule B, caratterizzata dall'espansione clonale di linfociti B maturi attivati e da un decorso indolente.

Coinvolge prevalentemente il midollo osseo e la milza dove si reperta un'infiltrazione significativa da parte di cellule neoplastiche, i tricoleucociti; a livello midollare sovente si riscontra una progressiva fibrosi che rende ragione della citopenia periferica bi- o tri-lineare, nonché della difficile aspirazione di sangue midollare dalla cresta iliaca. L’HCL deve il suo nome alla presenza di caratteristiche estroflessioni citoplasmatiche (dette appunto "capelli", in greco "tricòs"), osservabili all'esame morfologico di uno striscio di sangue midollare o periferico dei linfociti B patologici.

Di recente è stata associata alla patogenesi della malattia una mutazione del gene

B-RAF: le mutazioni di questo gene, che codifica per una serina treonina chinasi, sono

per lo più attivanti e sono mutazioni puntiformi somatiche; questo porta ad un’eccessiva proliferazione a livello cellulare e ad un aumento della resistenza alla apoptosi. Circa il 90 % delle mutazioni di BRAF includono la sostituzione di acido glutammico (E) con la valina (V) in posizione 600 della catena proteica (V600E), con la conseguente attivazione costitutiva di BRAF.

Il nostro studio ha coinvolto 38 pazienti affetti da linfoma non Hodgkin indolente, di cui 19 con diagnosi di HCL in forma classica, 1 in forma variante e 18 con diagnosi di linfoma splenico della zona marginale.

L'analisi della mutazione BRAFV600E è stata condotta su sangue midollare mediante Real Time PCR (qPCR) e Droplet Digital PCR (dd-PCR).

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Lo scopo del nostro studio è stato il confronto delle due differenti tecniche molecolari e la valutazione della loro sensibilità e specificità: si è voluto infatti individuare quale delle due metodiche rappresentasse lo strumento più valido sia per la diagnosi differenziale di HCL sia per il monitoraggio dei pazienti sottoposti a trattamento chemio-immunoterapico.

Il nostro studio ha dimostrato che:

1) la sensibilità della dd-PCR è circa mezzo logaritmo superiore a quella della qPCR (5x10-5);

2) la specificità della dd-PCR è sovrapponibile a quella della qPCR (nessun paziente affetto da linfoma marginale splenico o HCL variante è risultato mutato su BRAF);

3) la sua elevata sensibilità consente di utilizzare la dd-PCR nel monitoraggio della malattia minima residua;

4) la fattibilità ed i costi della dd-PCR sono paragonabili a quelli della qPCR.

In conclusione, il nostro studio supporta l’introduzione della dd-PCR nello scenario delle tecniche molecolari utili alla diagnosi e follow-up dei linfomi B indolenti.

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ABSTRACT

Hairy cell leukemia (HCL) is a rare B-cell chronic lymphoproliferative disease, characterized by the clonal expansion of mature B-lymphocytes and by indolent course. It mainly involves the bone marrow and spleen, where a significant infiltration of neoplastic cells, the “hairy cells”, could be found, in addition to a progressive bone marrow fibrosis that accounts for the peripheral multi-lineage cytopenia and the difficult aspiration of bone marrow from the ileus.

The HCL derives its name from the presence of cytoplasmic protrusions (hair) from the membrane of neoplastic lymphocytes, very characteristic of this disease.

Recently, a mutation of the BRAF gene has been linked to the pathogenesis of the disease: mutations in this gene, coding for a serine threonine kinase, are mostly activating and somatic point mutations; this leads to excessive proliferation at the cellular level and to an increased resistance to apoptosis. About 90% of the BRAF mutations include the substitution of glutamic acid (E) with valine (V) in position 600 of the protein chain (V600E), resulting in the constitutive activation of BRAF.

Our study enrolled 38 patients with indolent non-Hodgkin’s lymphoma, including 19 with “classic” HCL, one with the HCL variant form, and 18 with splenic marginal zone lymphoma.

The BRAF V600E mutation analyses were performed on bone marrow samples by Real Time PCR (qPCR) and Droplet Digital PCR (ddPCR).

The aim of our study was to compare these two different molecular techniques and assess their sensitivity and specificity in order to identify which one would be the most valid method both for the differential diagnosis of HCL and for disease monitoring after drug treatment.

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Our data demonstrated that:

1) the ddPCR sensivity is half a log higher than that offered by the qPCR (5x10-5); 2) the ddPCR specificity is comparable to that from qPCR (no cases affected by

marginal lymphoma or variant HCL resulted BRAF-mutated);

3) its high sensitivity would allow employing ddPCR as a suitable tool for minimal residual disease monitoring;

4) the faisibility and costs from ddPCR are super imposable to those coming from qPCR.

In conclusion, our study supports the adoption of ddPCR as a routinary molecular technique in the scenario of indolent B lymphomas.

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1. INTRODUZIONE

1.1 La leucemia a cellule capellute

La leucemia a cellule capellute o tricoleucemia, conosciuta con l’acronimo HCL (dall’inglese “hairy cell leukemia”) è una rara patologia linfoproliferativa cronica a cellule B caratterizzata dall’espansione clonale di linfociti B maturi attivati e da un decorso indolente. Si può osservare marcata splenomegalia, progressiva pancitopenia e raramente presenza di cellule tumorali circolanti, di solito senza linfoadenopatia.

La Classificazione adottata a livello mondiale delle patologie linfoproliferative “WHO” del 2008 la inserisce all’interno dei linfomi a cellule B periferiche mature. Coinvolge prevalentemente il midollo osseo e la milza dove si individua un’infiltrazione di cellule neoplastiche, i tricoleucociti; la malattia deve il suo nome alla presenza di caratteristiche estroflessioni citoplasmatiche (dette appunto “capelli”, in greco “tricòs”), osservabili all’esame morfologico di uno striscio di sangue midollare o periferico sui linfociti B patologici (figura 1). Le cellule capellute sono solitamente più grandi dei normali linfociti, hanno un citoplasma abbondante, granulato e tenuemente basofilo (Foucar et al.2008).

Frequentemente i pazienti giungono alla diagnosi per il riscontro di anemia, leucopenia e/o piastrinopenia in occasione di un esame di routine. In altri casi i sintomi di esordio sono conseguenza della splenomegalia o della citopenia dovuta alla massiccia infiltrazione midollare da parte delle cellule leucemiche. A causa della frequente pancitopenia i pazienti possono manifestare i sintomi dell’anemia e della neutropenia con febbri ricorrenti e scarsamente responsive alla terapia antibiotica. Al contrario di altre sindromi linfoproliferative croniche, un interessamento linfonodale è raro, e se presente, è di modesta entità. Eccezionalmente si possono

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riscontrare localizzazioni al di fuori del sistema emopolinfopoietico come l’osso (Ematologia di Mandelli, a cura di Giuseppe Avvisati et al 2013, Piccin).

Il primo riferimento a una patologia ematologica assimilabile alla HCL risale al 1923, quando il tedesco Ewald per la prima volta descrisse una forma leucemica caratterizzata dalla presenza in circolo di cellule simili reticoloendoteliali, accompagnata da iperplasia del tessuto reticolare negli organi emopoietici. Altri casi isolati sovrapponibili alla patologia descritta da Ewald e da lui definita col termine di “leukamische reticuloendotheliose”o “reticoloendoteliosi leucemica ”furono identificati nel corso degli anni fino al 1958, quando Bertha A. Bouroncle, un medico americano del dipartimento di ematologia dell'università dell'Ohio, pubblicò per la prima volta sulla rivista scientifica “Blood”, una dettagliata descrizione della malattia, supportando la sua definizione come entità clinica a se stante, con criteri diagnostici morfologici e laboratoristici su sangue periferico e midollare ben definiti (Bouroncle et al. 1958).

I primi ad usare il termine “HCL” furono Schrek e Donnelly nel 1966 i quali, durante gli esami morfologici di leucociti di pazienti leucemici e non, osservarono nel sangue di due pazienti particolari cellule “capellute”; entrambi presentavano spenomegalia, anemia di grado moderato e trombocitopenia. I due ricercatori evidenziarono quindi l'irregolare morfologia cellulare e le numerose propaggini citoplasmatiche presenti sulle cellule neoplastiche (Schrek et al. 1966).

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Figura 1. Cellule capellute: caratteristica corona di proiezioni citoplasmatiche

osservabili all’esame morfologico di uno striscio di sangue

Figura 2. Cellule capellute osservabili mediante microscopia elettronica la

quale mette ancora una volta in evidenza l’irregolare morfologia cellulare

Nella HCL, i tricoleucociti (linfociti B maligni) si accumulano nel midollo osseo, interferendo con la normale produzione di leucociti, eritrociti e piastrine. Di conseguenza, i pazienti possono sviluppare infezioni correlate al basso numero di globuli bianchi, anemia e l’affaticamento a causa della mancanza di globuli rossi, o facile sanguinamento a causa di un basso numero di piastrine (Matutes et al. 2001). Le cellule leucemiche possono riunirsi nella milza determinando un’accentuata splenomegalia.

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La leucemia a cellule capellute costituisce il 2% circa di tutti i casi di leucemia dell’adulto, con una frequenza dalle 6 alle 10 volte minore rispetto alla leucemia linfatica cronica, con un’incidenza globale di circa 2000 nuovi casi all'anno (600-800 nei soli U.S.A).

Non vi sono correlazioni causali dimostrate con la pertinenza geografica: tuttavia si nota una distribuzione particolare, con una bassa incidenza in Giappone e nel Sud Est asiatico. Si osserva maggiormente nella razza bianca e tra gli Ashkenazi Jewish, a fronte di una scarsa diffusione tra gli individui di origine africana (Wintrobe et al. 2004).

Prevale nel sesso maschile, con un rapporto maschi-femmine che si attesta attorno a 4-5:1. Il range di età maggiormente interessato dalla patologia è tra i 50 e i 70 anni, con un picco tra 50 e 55 (Hairy cell leukemia 2007).

Ad oggi non vi è un parere univoco in merito ai reali fattori di rischio di sviluppare tale patologia. Sono stati maggiormente presi in considerazione (Clavel et al. 1995): - esposizione lavorativa a sostanze tossiche (prevalentemente in ambito agricolo, che rispetto ad altri implica un maggiore contatto con prodotti chimici nocivi);

- esposizione a radiazioni X o a trattamento radioterapico antineoplastico; - esposizione al fumo di sigaretta.

1.2 La leucemia a cellule capellute in forma variante

La leucemia a cellule capellute in forma variante (HCLv) è una rara forma di tricoleucemia che costituisce lo 0.4% di tutti i tumori maligni linfoidi. Rispetto alla forma classica, l’HCLv è una malattia più aggressiva, con sopravvivenza media significativamente più breve e scarsa risposta agli analoghi delle purine (Robak et al. 1999).

Le cellule neoplastiche hanno proiezioni citoplasmatiche ma sono caratterizzate da un nucleolo più prominente e da citoplasma abbondante. Si tratta di una patologia

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osservata tipicamente in pazienti più anziani dove si assiste a un maggior numero di cellule capellute presenti in circolo; vi è comunque sovrapposizione nello spettro delle caratteristiche cliniche con l’HCL in forma classica. L’immunofenotipo ricalca quello della HCL tradizionale, eccetto che per la negatività per CD25 (Sharpe et al. 2006; Matutes et al. 2003).

Figura 3. Caratteristiche citologiche della leucemia a cellule capellute in forma

variante, osservabili all’esame morfologico di uno striscio di sangue

1.3 Il linfoma splenico della zona marginale

Il Linfoma splenico della zona marginale (SMZL) è un linfoma derivato dalle cellule B che sostituisce la normale architettura della polpa bianca della milza. Le cellule neoplastiche si presentano di dimensioni variabili: sia piccoli linfociti (maturi), sia grandi blasti trasformati. Esse invadono la zona mantellare dei follicoli linfatici della milza, erodono la zona marginale (del follicolo), ed infine invadono la polpa rossa della milza. Le cellule tumorali che raggiungono il sangue periferico sono delle “cellule capellute” o “linfociti villosi” a causa del loro aspetto caratteristico (Mollejo et al. 1995).

Il coinvolgimento della milza è requisito per la diagnosi di SMZL, difatti la splenomegalia è riscontrata in quasi tutti i pazienti, di norma senza linfadenopatia.

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Oltre al quasi uniforme coinvolgimento splenico, anche il midollo osseo è frequentemente positivo, al contrario localizzazioni nei linfonodi e in tessuti extra nodali sono rare. Oltre alla polpa bianca e alla polpa rossa, il tumore può infiltrare i linfonodi ilari della milza, che si presentano con una architettura cancellata senza preservazione della zona marginale (Elaine Sarkin Jaffe et al. 2001).

1.4 Biologia molecolare della tricoleucemia

1.4.1 La via di trasduzione RAS-RAF e il suo ruolo nella cancerogenesi

La via di trasduzione delle MAPKinasi gioca un ruolo chiave nella regolazione dell'espressione genica, della crescita e sopravvivenza cellulare; la relazione di questa via con la cancerogenesi è da tempo oggetto di studio in quanto è frequentemente alterata in molti tumori.

La cascata RAS-RAF-MAPchinasi è un’importante sequenza di eventi molecolari attivati da un segnale extracellulare capace di generare risposta adeguata da parte della cellula che riconosce tale segnale. Dunque la via di trasduzione Ras-RAF-MAPKasi è in grado di rilevare un segnale extracellulare e trasmetterlo sotto forma di segnale intracellulare al fine di produrre una risposta cellulare specifica. Il segnale extracellulare può essere rappresentato da fattori di crescita di varia natura che vengono riconosciuti da opportuni recettori di membrana appartenenti alla famiglia dei recettori tirosina-kinasi per i fattori di crescita (GFR, Growth Factor Receptor), tra i quali il recettore per il fattore di crescita epiteliale EGFR (Epidermal Growth FactorReceptor). Tali molecole, interagendo con il dominio extracellulare del recettore, inducono la dimerizzazione dello stesso, la cui porzione intracellulare, essendo dotata di attività tirosinchinasica intrinseca, è in grado di auto fosforilare residui di tirosina (J. H. J. M van Krieken et al. 2008). Questi residui, una volta fosforilati, costituiscono un punto di attacco per il gruppo SH2 delle proteine

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adattatrici Grb2 e Sos, le quali reclutano i fattori GEF (Guanine nucleotide Exchange Factor) in grado di attivare la proteina Ras. La proteina Ras, nella sua forma attiva, può fosforilare le proteine della famiglia RAF, effettori importanti della cascata, che, a loro volta, fosforilano tutta una serie di proteine chinasi, le MAPchinasi, capaci di traslocare nel nucleo e promuovere la trascrizione di geni che consentiranno alla cellula di rispondere al segnale iniziale.

In particolare vengono fosforilati fattori di trascrizione che determinano la produzione di nuovi mRNA che codificano per proteine che coordinano un'ampia varietà di risposte cellulari coinvolte nella regolazione del ciclo cellulare, nella proliferazione e differenziazione cellulare, nella sopravvivenza, nell’apoptosi ed in molti altri processi cellulari e fisiologici (Harary PM et al. 2007; McCurbery JA et al. 2006).

Figura 4. La cascata Map-Kinasi. Sequenza degli eventi che conducono alla risposta

intracellulare in seguito alla presenza del fattore attivante.

Le neoplasie sono malattie caratterizzate da una crescita cellulare incontrollata che può dipendere da difetti presenti nei geni che codificano per la sintesi di proteine

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coinvolte nelle vie di trasduzione del segnale implicate nella regolazione del ciclo cellulare (McCormick et al. 1999).

E' stato osservato che alterazioni della via di trasduzione del segnale Ras/RAF/MAPKinasi hanno un ruolo chiave nella regolazione dei diversi processi biologici che determinano lo stato di salute o di malattia dell'organismo. In particolare l'overespressione e/o l'attivazione incontrollata dei componenti di tale via contribuisce frequentemente alle fasi di iniziazione, progressione e metastatizzazione tipiche delle patologie tumorali, guidando i meccanismi di resistenza all'apoptosi, la proliferazione cellulare, l'angiogenesi, la migrazione cellulare e l'invasione tissutale (Rajagopalan et al. 2002).

In particolare, i componenti che fanno parte di tale cascata di trasduzione del segnale maggiormente coinvolti nella tumorigenesi sono i geni della famiglia Ras e quelli della famiglia Raf, tra cui BRAF. Infatti, la presenza di mutazioni in tali geni determina un incremento dei livelli di trascrizione di oncogeni quali MYC, FOS, e

JUN, responsabili di una crescita cellulare incontrollata (Davies et al. 2002).

Gli effettori delle proteine RAS meglio caratterizzati sono rappresentati dalle serina/treonina RAF chinasi, componenti essenziali della via di trasduzione del segnale Ras-RAF-MAPKasi.

Nelle cellule di mammifero il gene RAF mappa sul cromosoma 7 in posizione 7q34. In seguito ad un complesso fenomeno di splicing alternativo si originano tre diverse molecole di mRNA maturo, la cui traduzione condurrà a tre isoforme alternative di RAF ossia A-RAF, B-RAF e C-RAF. Ognuna di esse ha un ruolo nella via Ras-Raf, ma solo B-RAF è il principale attivatore di MEK. In caso di mutazioni a carico dei geni che codificano per i componenti di questa via di trasduzione, si avranno proteine costitutivamente attivate e quindi un aumento della proliferazione cellulare e della resistenza all'apoptosi. Studi preclinici dimostrano che le mutazioni di RAF

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permettono a RAF stesso di trasmettere il segnale indipendentemente dallo stimolo a monte, causando così un'iperattivazione della via del segnale tramite MEK ed ERK. Questo porta ad un'eccessiva proliferazione e sopravvivenza cellulare, indipendentemente dai fattori di crescita (Wan PT et al. 2004).

1.4.2 Il gene BRAF

BRAF è un gene umano che codifica per una proteina detta BRAF, che è una

serina-treonina chinasi di 766 amminoacidi (Sithanandam et al. 1992).

Nel 2002 è stato dimostrato una correlazione tra l'alterazione strutturale della proteina ed il cancro (Davies et al. 2002).

La proteina BRAF nella forma inattiva è localizzata nel citoplasma; dopo attivazione è reclutata a livello della membrana plasmatica.

La proteina BRAF è costituita da 3 domini, caratteristici della famiglia delle proteine RAF (Pontieri et al. “Patologia generale” – tomo 1 – IV edizione):

- regione CR1, localizzata nella porzione amino-terminale della proteina, costituita da 131 amminoacidi e comprendente due domini, entrambi coinvolti nel legame con Ras: il dominio RBD (Ras Binding Domain) e il dominio CRD (Cysteine-Rich Domain) ricco in cisteina. In particolare tale regione consente l’interazione di RAF con la proteina RAS attiva (RAS-GTP).

- regione CR2: costituita da 16 amminoacidi, ricca di residui di serina e treonina. Come CR1 risiede nella pozione amino-terminale ed ha un ruolo regolatorio nell’attivazione di RAF.

- regione CR3: localizzata nella parte carbossiterminale della proteina RAF, rappresentata da 293 amminoacidi e contente il dominio chinasico a livello del quale avvengono le reazioni di fosforilazione necessarie per l’attivazione della proteina stessa.

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L’attivazione della proteina BRAF avviene per opera di processi di fosforilazione multipli. In questa proteina, infatti, sono stati identificati due principali siti di fosforilazione, la treonina in posizione 599 e la serina in posizione 602, i quali sono localizzati in prossimità del segmento di attivazione del dominio chinasico ed hanno un ruolo critico nell’attivazione della proteine stessa (Eftychia et al. 2006). Tali siti di fosforilazione sono essenziali per garantire il corretto funzionamento della proteina; una loro alterazione può compromettere l’intera regolazione della via di trasduzione e promuovere quindi processi cellulari che determinano l’insorgere del tumore. E’ stato osservato che la sostituzione dei residui aminoacidici in posizione 599 e 602 con residui di alanina determina l’inibizione dell’attivazione delle proteine RAF dalla proteina RAS, mentre la sostituzione degli stessi con residui di acido glutammico rende tale proteina costitutivamente attiva (Zhang et al. 2000).

Confrontando le tre diverse isoforme delle proteine appartenenti alla famiglia RAF chinasi è stato osservato che BRAF necessita, per essere attivata, di un livello minore di fosforilazione in quanto tale proteina ha un attività chinasica di base maggiore rispetto alle altre. Questa caratteristica potrebbe essere una spiegazione della frequenza di mutazione di BRAF riscontrata in diversi tipi di tumori umani. In seguito all’attivazione delle proteine RAF, in particolare dell’isoforma BRAF, si osserva un meccanismo di fosforilazioni a cascata delle proteine MEK1 e MEK2, le quali a loro volta fosforilano ed attivano ERK1 ed ERK2. Queste due proteine promuovono, la trascrizione genica, attivando, mediante meccanismi di fosforilazione, un ampio numero di fattori di trascrizione e di chinasi, quali Elk-1, c-Ets1, c-Ets2, MNK1 e MNK2. Tali proteine ERK hanno, infatti, un ruolo critico nelle risposte cellulari mediate da RAS (Bret et al. 2005).

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Figura 5. Struttura generale della proteina B-RAF dove sono mostrati i principali

domini proteici (CR1, CR2, CR3) 1.4.3 Mutazioni di BRAF e oncogenesi

Le mutazioni di questo gene sono per lo più attivanti e sono mutazioni puntiformi somatiche; questo porta ad un’eccessiva proliferazione a livello cellulare e ad un aumento della resistenza all’apoptosi. Circa il 90% delle mutazioni di BRAF includono la sostituzione di acido glutammico (E) con la valina (V) in posizione 600 della catena proteica (V600E), con la conseguente attivazione costitutiva di BRAF.

Studi di cristallografia a raggi X (Lyons et al. 2001) hanno mostrato che la mutazione V600E elimina l’interazione idrofobica tra l’ansa di attivazione ed il sito di legame per l’ATP che normalmente mantiene la chinasi chiusa e dunque inattiva. In questo modo, la mutazione V600E conferisce a BRAF un’attività chinasica basale molto alta convertendola in una oncoproteina.

1.5 Metodologie per studiare la mutazione BRAFV600E

Negli ultimi anni, l’applicazione delle più innovative tecniche di biologia molecolare ha permesso di individuare la mutazione BRAFV600E in tutti i pazienti HCL, indicando così un’attivazione costitutiva del pathway RAF-MEK-ERK.

Diversi autori hanno descritto alcune tecniche molecolari disponibili per identificare la mutazione BRAFV600E: il sequenziamento secondo Sanger, la Real Time PCR e la Digital Droplet PCR.

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1.5.1 Sequenziamento

Il sequenziamento degli acidi nucleici è una delle tecniche più usate non solo per caratterizzare nuovi geni ma anche per identificare mutazioni in geni di interesse. Il metodo di Sanger è un metodo tradizionalmente affidabile e viene considerato una delle tecniche standard per il rilevamento di mutazione (Morandi et al. 2012). Questa tecnica richiede diversi steps che espongono i campioni a un rischio di contaminazione, determinando così una bassa sensibilità analitica (10-20%) (Morandi et al. 2012; Lee et. al 2010). Una nuova tecnica include il pirosequenziamento (metodo che si basa sul dosaggio del pirofosfato liberato in seguito all'attacco di un dNTP al filamento polimerizzato) che è risultato essere superiore al sequenziamento diretto nell’individuare le mutazioni di BRAF quando poche copie mutanti erano presenti (Jo et al. 2009). Tuttavia, il pirosequenziamento richiede costose attrezzature rendendolo così impraticabile per la maggior parte dei laboratori.

1.5.2 Una speciale applicazione della Real Time PCR: la ARMS PCR

La ARMS PCR (acronimo di Amplification Refractory Mutation System) ovvero “Sistema di mutazione refrattaria dell’amplificazione” è una metodologia descritta per la prima volta da Newton et al (1989) come tecnica generale per l'analisi di qualsiasi mutazione puntiforme o piccola delezione.

Essa appartiene ad un'altra categoria di metodi di rilevazione della mutazione con il vantaggio di aumentare la sensibilità, la specificità e di quantificare con precisione le mutazioni di BRAFV600E. È stato recentemente osservato che il metodo ARMS PCR fornisce un nuovo strumento per la rapida individuazione della mutazione BRAFV600E; i risultati indicano che tale metodica è più sensibile del sequenziamento automatico suggerendo quindi una buona opportunità per la diagnosi precoce di mutazioni puntiformi (Huang et al. 2013). Tale evidenza è stata confermata anche da

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altri autori i quali hanno rilevato mediante ARMS la mutazione BRAFV600E confrontando l’efficacia di tale tecnica con altre metodiche di PCR quantitativa suggerendo che la metodologia ARMS è il metodo più sensibile, con un livello di rilevamento dell’allele mutato del 2% (Marcin et al. 2013).

1.5.3 Droplet Digital PCR

Droplet Digital PCR (ddPCR) rappresenta una metodica di biologia molecolare altamente precisa e sensibile per la quantificazione di acidi nucleici. Essa combina cinetiche di reazioni di PCR classica con strategie di rilevamento basate sulla fluorescenza comunemente usate in Real Time PCR quantitativa.

Il termine “digital PCR” fu usato per la prima volta da Vogelstein e Kinzler nel 1999 per descrivere un esperimento di mutazione rara a livello dell’oncogene RAS in cui reazioni PCR ripetute sono state sondate con fari molecolari e analizzati per i segnali fluorescenti rosso/verde per quantificare molecole wild type e mutate (Vogelstein et al. 1999).

Rispetto alla Real Time PCR, la ddPCR fornisce una lettura digitale più sensibile, in cui la reazione di PCR è partizionata in migliaia di reazioni individuali. Questo partizionamento del campione riduce efficacemente il segnale di fondo e aumenta il segnale dei target meno abbondanti. Questo sistema fornisce quindi una quantificazione assoluta delle molecole di DNA target mutato molto rare in presenza di un grande sfondo di DNA wild type.

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Figura 6. Partizione del campione

Di recente la ddPCR ha avuto un ruolo nella diagnostica delle neoplasie ematologiche. Brambati e altri hanno eseguito infatti uno studio su 17 pazienti affetti da Leucemia mieloide acuta che presentavano alla diagnosi almeno una mutazione del gene DNMT3A o IDH1/2 individuata con il metodo di sequenziamento di Sanger: gli stessi campioni sono risultati mutati anche mediante analisi condotta con ddPCR, mentre nessuno dei casi wild-type è risultato positivo con tale metodica. Inoltre tutti i campioni mantengono la mutazione anche dopo la recidiva di un trapianto, mentre nessuno dei pazienti liberi da leucemia a lungo termine è stato trovato mutato in seguito, sottolineando così l'importanza della diagnosi molecolare anche durante il follow-up (Brambati et al. 2014).

Inoltre, un altro gruppo italiano ha utilizzato sia la ddPCR che la RT-PCR nella studio della Malattia Minima Residua (MRD) in 35 casi di Linfoma mantellare e Mieloma Multiplo. I due metodi hanno mostrato la stessa alta sensibilità (1x10-5), ma contemporaneamente hanno evidenziato una discordanza: infatti 17 campioni negativi mediante qPCR, sono risultati positivi con l’utilizzo della ddPCR, mentre 16 pazienti positivi mediante qPCR sono risultati essere negativi con l’uso della ddPCR (Drandi et al. 2013).

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Nello scenario delle malattie mieloproliferative, Jennings e altri hanno utilizzato la ddPCR per quantificare il trascritto di fusione BCR/ABL1, paragonandola sempre alla qPCR; la ddPCR ha dimostrato diversi vantaggi rispetto alla qPCR, compresa la semplicità delle prestazioni e una maggiore sensibilità, con un limite più basso di rilevamento (0.001 %) e quantificazione (0.0001 %) (Jennings et al. 2014).

Ad oggi, in letteratura non si riscontra alcuno studio che si propone di valutare la sensibilità e la specificità della ddPCR applicata alla individuazione della mutazione BRAFV600E in pazienti HCL.

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2. OBIETTIVO DELLA TESI

Scopo di questo lavoro di tesi è stata la comparazione di due metodiche molecolari, la Real Time PCR e la Digital Droplet PCR, impiegate nell’analisi della mutazione BRAFV600E in campioni di sangue midollare di pazienti affetti da Leucemia a cellule capellute (HCL) e linfoma marginale (MZL), al fine di valutare la loro sensibilità e/o specificità.

Infine, ci siamo proposti di valutare se tali metodiche potessero essere utilizzabili e fornire indicazioni utili nel monitoraggio della malattia minima residua (MRD) nei pazienti con HCL sottosposti a trattamento immuno-chemioterapico.

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3. PAZIENTI E METODI

PAZIENTI

3.1 Popolazione di studio

Abbiamo condotto uno studio retrospettivo su 38 pazienti, di cui 19 affetti da leucemia a cellule capellute “classic type” (HCL), 1 affetto da leucemia a cellule capellute “variante” (HCLv) e 18 individui affetti da linfoma splenico della zona marginale (SMZL).

3.1.1 Pazienti affetti da leucemia a cellule capellute classica e variante

Sono stati inclusi nello studio pazienti giunti all’osservazione presso la U.O. Ematologia dell’Università di Pisa a partire dal 2005, in modo da poter disporre di DNA già estratto o di almeno un campione criopreservato da cui estrarre il DNA genomico. Tali campioni sono stati testati per la mutazione di BRAF tramite metodiche di Real Time PCR (qPCR) e Droplet Digital PCR (ddPCR).

Su un totale di 19 pazienti, 13 sono stati valutati alla diagnosi: degli altri, con diagnosi antecedente al 2005, è stato valutato il momento di recidiva della malattia. Per tutti i pazienti arruolati nello studio la diagnosi è stata posta dopo valutazione mediante imaging (ecografie, TC), esami emato-chimici, prelievo midollare (mieloaspirato e biopsia ossea), tipizzazione immunofenotipica (ricerca di clonalità B mediante CD20, CD19, catene k e lambda e ricerca del clone HCL mediante pannello CD11c/CD25/CD103), test molecolari (ricerca della clonalità B mediante riarrangiamento del gene per la catena pesante delle immunoglobuline IgH).

Le caratteristiche cliniche relative ai pazienti affetti da HCL sono riportate in tabella 1.

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Pz HCL (n.tot = 19)

pz

% pz

Età Range (aa) 35-78

Mediana (aa) 58,16 Sesso Maschi Femmine 17 2 89.47% 10.53% Splenomegalia Assente Lieve Discreta importante 0 7 4 8 0.00% 36.80% 21.05% 42.10% Linfoadenopatie periferiche 2 10.50%

Biopsia osteo-midollare Presenza di infiltrazione 19 100% Range (%min-%max): 30-90% Infiltrazione media: 64.21% Citopenie Anemia Neutropenia piastrinopenia 3 9 14 15.80% 47.40% 73.70%

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3.1.2 Pazienti affetti da linfoma splenico della zona marginale

Tutti i pazienti con linfoma marginale splenico (SMZL) da noi considerati avevano una diagnosi compresa tra il Settembre 2005 e il Settembre 2013.

Le caratteristiche cliniche dei pazienti affetti da SMZL sono riportate in tabella 2.

pz SMZL (n.tot = 18) pz

% pz Età Range (aa) 56-78

Mediana (aa) 66,78 Sesso Maschi Femmine 13 5 72.20% 27.80% Splenomegalia Assente Lieve Discreta importante 1 1 8 8 5.60% 5.60% 44.40% 44.40% Linfoadenopatie periferiche 0 0.00% Biopsia osteo-midollare Presenza di infiltrazione 66.70% Range (%min-%max): 30-65% Infiltrazione media: 50.00% Citopenie Anemia Neutropenia piastrinopenia 8 3 10 44.40% 16.70% 55.60%

Tabella 2. Caratteristiche cliniche relative ai pazienti con SMZL

3.1.3 Terapia

Per quanto concerne l'approccio terapeutico, i pazienti in esame sono stati avviati a trattamenti immuno-chemioterapici di tipo diverso in relazione all'anamnesi, all’età, al performance status, all’entità della malattia.

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10 pazienti sono stati avviati a terapia con 2CdA (Cladribrina o 2-desossiCloroAdenosina) associata ad Anticorpo monoclonale anti-CD20 (Rituximab)

4 pazienti sono stati avviati a terapia con solo Anticorpo monoclonale anti-CD20

3 pazienti sono stati avviati a terapia con Interferone

2 pazienti sono stati avviati a terapia con Ciclofosfamide associata ad Anticorpo monoclonale anti-CD20

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METODI

3.2 Isolamento con Lymphoprep

Le cellule mononucleate provenienti da 5-10 ml di sangue midollare anticoagulato con EDTA sono state isolate mediante centrifugazione in gradiente di densità (Lymphoprep, figura 7). Il sangue, dopo essere diluito con soluzione fisiologica con un rapporto pari a 1:4, è stato stratificato su Lymphoprep mediante centrifugazione a 1900 giri per 25 minuti. Si è così ottenuta una fase superiore, contenente plasma e lipidi, ed un’interfaccia tra plasma e Lymphoprep in cui si ha una nubecola di cellule costituita da monociti e linfociti. Tali cellule sono state quindi recuperate e lavate 2 volte in soluzione fisiologica, centrifugando a 1900 giri per 5 minuti. Il pellet ottenuto è stato conservato a -80°C fino al momento dell’analisi.

Figura 7. Isolamento di cellule mononucleate

3.3 Estrazione del DNA

Il DNA è stato estratto da cellule isolate utilizzando il kit di estrazione “DNA Blood Mini Kit” (Qiagen). Tale metodica si basa sulla proprietà del DNA di legarsi a

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supporti inerti. Questi supporti o filtri sono contenuti in colonne e permettono il legame del DNA e l’eliminazione dell’RNA e delle proteine per mezzo di una serie di lavaggi con tamponi appropriati. Il DNA legato al filtro può successivamente essere eluito tramite acqua o tampone contenente Tris-HCl in Buffer AE.

Il protocollo prevede:

- Aggiunta di 25 μl di Proteinasi K e 200 μl di Buffer AL (tampone di lisi) a 200μl di cellule mononucleate risospese in soluzione fisiologica

- incubazione a 56°C per 10 minuti

- dopo l’aggiunta di 200 μl etanolo 100% si trasferisce su una colonna QIAamp Mini spin column e si centrifuga a 8000 rpm per un minuto

- segue il lavaggio con 1 ml di Buffer AW1 e centrifugazione a 8000 rpm per un minuto

- secondo lavaggio con Buffer AW2 e una centrifugazione a 14000 rpm per 3 minuti

- eluizione con 80 µl di Buffer AE (tampone di eluizione): dopo incubazione a temperatura ambiente per 2-3 minuti si centrifuga a 8000 rpm per 1 minuto.

3.4 Lettura spettrofotometrica

Lo spettrofotometro utilizzato per la determinazione della concentrazione e la valutazione della qualità del campione di DNA ottenuto è il NanoDrop2000 (Thermo Scientific). Questo misura l’assorbanza a 260 nm-280 nm di lunghezza d’onda e calcolando i relativi rapporti delle assorbanze fornisce indicazioni sul grado di purezza del campione analizzato.

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Il NanoDrop (figura 8) sfrutta una nuova tecnologia, basata sulla tensione superficiale che piccoli volumi di liquidi esercitano quando si trovano collocati tra due superfici vicine. In tal modo una goccia (1 μl) di campione posizionata sull’apposita piastra di lettura crea una colonna di liquido a diretto contatto con due fibre ottiche, e può essere analizzata in modo semplice e veloce.

Figura 8. Strumento spettrofotometrico NanoDrop 2000

3.5 ARMS PCR

Per identificare la mutazione BRAFV600E abbiamo utilizzato un particolare tipo di Real Time PCR che prevede la combinazione della ARMS PCR, acronimo di Amplification Refractory Mutation System ovvero “Sistema di mutazione refrattaria dell’amplificazione” con la rilevazione mediante idrolisi del probe .

La tecnica consiste nell'amplificazione del DNA mediante PCR utilizzando oligonucleotidi complementari alla sequenza normale e mutata. Essa si basa sulla capacità della Taq polimerasi di discriminare il corretto appaiamento dei primers al 3’; per aumentare la specificità, nel saggio da noi utilizzato, i primers specifici presentano un mismatch addizionale a livello del nucleotide precedente la base mutata (figura 9).

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Figura 9. Mismatch addizionale

Tale metodica prevede l’esecuzione di due PCR in parallelo, una con un primer specifico per l’allele normale (verde) e l’altra per quello mutato (rosso); il secondo primer e il probe sono uguali per entrambe.

Questo porterà ad avere nel “tubo 1” un’amplificazione del DNA non mutato mentre nel “tubo 2” solo amplificazione del DNA mutato. Se il DNA si amplifica solo nel tubo 1, l'individuo non avrà la mutazione mentre se l'amplificazione avviene anche nel tubo 2, l'individuo avrà la mutazione (figura 10).

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L’esecuzione della PCR è stata effettuata utilizzando il protocollo Real Time PCR “qBiomarker Somatic Mutation PCR Assay” (Qiagen) su strumento 7900 Applied Biosystems.

a) Sono state preparate due mix, una per individuare l’allele mutato e una per l’allele wild-type, in quantità sufficiente per i campioni di DNA da testare, per il controllo positivo, per il controllo negativo e per il campione sano di riferimento (tabella 3; tabella 4).

Come controllo positivo è stato impiegato un campione in cui era stata precedentemente accertata la mutazione BRAFV600E: il segnale presente nel controllo positivo costituisce la conferma che le reazioni di PCR sono avvenute correttamente. Il controllo negativo, in cui è assente il DNA, non deve invece generare amplificati.

Come campione wild-type è stato invece scelto un campione in cui è stato verificata l’assenza della mutazione BRAFV600E.

Volume (µl) “qBiomarker Probe” Mastermix 12.5 µl

qBiomarker Somatic Mutation PCR Assay mutate (5’-6FAM)

contenente primer specifico per l’allele mutato, probe e primer comune

1 µl

H2O 6.5 µl

(DNA [15 ng/µl]) (5 µl)

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Volume (µl) “qBiomarker Probe” Mastermix 12.5 µl

qBiomarker Somatic Mutation PCR Assay wt (5’-6FAM)

contenente primer specifico per l’allele wt, probe e primer comune

1 µl

H2O 6.5 µl

(DNA [15 ng/µl]) (5 µl)

Tabella 4. Mix necessaria per individuare l’allele wild type

b) Allestimento della piastra:

20 l di ognuna delle due mix vengono aliquotati separatamente in doppio. Quindi il DNA di ciascun campione da analizzare viene aggiunto a ciascuno dei 4 pozzetti allestiti.

c) La piastra PCR viene sigillata e caricata sullo strumento di RealTime d) I parametri di PCR utilizzati sono riportati in tabella:

Tempo Temperatura Numero di cicli Fase iniziale di attivazione 10 min 95°C 1 Denaturazione 15 sec 95°C 40 Appaiamento e allungamento 60 sec 60°C

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Al termine dell’amplificazione, per analizzare i dati ottenuti è stato utilizzato il metodo comparativo del Ct (ΔΔCt).

E’ il metodo più utilizzato e permette di confrontare i campioni da analizzare rispetto un calibratore, cioè un campione di un soggetto sano oppure del paziente all’inizio della terapia.

Esso prevede il confronto diretto tra Ct del gene target (nel nostro caso allele mutato) e del gene di riferimento (allele wt) presupponendo un’amplificazione con un’efficienza simile e prossima al 100% .

In particolare, si calcola:

ΔCt campione = Ct allele mutato – Ct allele wt ΔCt controllo sano = Ct allele mutato – Ct allele wt

ΔΔCt = ΔCt campione - ΔCt controllo sano

Secondo il protocollo, il valore calcolato di ΔΔCt ci consente di identificare la presenza o assenza di mutazione BRAF V600E (vedi tabella 6)

ΔΔCt < 3 Campione negativo

3 < ΔΔCt < 4 Campione borderline

ΔΔCt > 4 Campione positivo

Tabella 6. Riferimento per identificare o meno la positività del campione

Tuttavia, se un solo valore di Ct risulta essere maggiore di 37, il campione viene considerato negativo.

Per i test volti allo studio della malattia minima residua (MRD) il valore di burden mutazionale ai vari timepoints del follow-up è stato paragonato a quello misurato

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alla diagnosi e posto in relazione con parametri clinici (risposta completa, parziale, malattia stabile o in progressione).

Per ciascun punto è stato calcolato il ΔCt e quindi il ΔΔCt rispetto al campione alla diagnosi. E’ stato quindi calcolato il 2-ΔΔCt (espressione classica del 2001 del modello comparativo del Ct secondo Livak e Schmittgen), ottenendo così la variazione della malattia rispetto alla diagnosi.

3.6 Digital Droplet PCR

L’analisi della mutazione BRAF è stata effettuata anche mediante Droplet Digital PCR (ddPCR). Tale sistema permette un’analisi estremamente sensibile e precisa degli acidi nucleici permettendo la rilevazione di alleli mutati anche molto rari. Inoltre questo sistema consente una quantificazione assoluta delle molecole di DNA target mutato.

Il sistema da noi utilizzato è stato il “Droplet Digital PCRTM QX100TM” (Bio-Rad), costituito da due componenti: il Droplet Generator ed il Droplet Reader.

Il Droplet Generator (generatore di gocce) ha la funzione di ripartire il campione in 20.000 goccioline delle dimensioni di nanolitri. La ripartizione ha la funzione di ridurre la competizione tra il DNA mutato e il DNA wild-type, aumentando la specificità e la sensibilità dell’analisi. In questo modo l’abbondanza relativa del DNA target mutato rispetto al wild-type viene aumentata.

Il primo step consiste nella preparazione della MIX (tabella 7) che presenta una coppia di primers e due probes, uno specifico per l’allele mutato (marcato 5’-6-FAM) e uno specifico per l’allele wt (marcato 5’-Hex) (figura 11).

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ddPCR supermix 2x 10 µl

20x PrimePCR ddPCR Mutation Assay

BRAFV600E (5’-6-FAM)

contenente primers e probe specifico per l’allele mutato marcato 5’-6-FAM

1 µl

20x PrimePCR ddPCR Mutation Assay BRAFWT (5’Hex)

contenente primers e probe specifico per l’allele wt marcato 5’-Hex

1 µl

(DNA [20ng/ µl] 8 µl

Tabella 7. Mix da inserire nel Droplet Generator

Figura 11. Principio base della dd-PCR

La MIX così ottenuta viene caricata nell’apposita cartuccia al fine di generare le gocce.

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Figura 12.

Preparazione dei campioni da inserire nella piastra del Droplet Generator

La cartuccia (DG8™ Cartridge) possiede 3 file di otto pozzetti: nei pozzetti centrali vengono messi 20 µl della miscela di reazione, in quelli in alto 70 µl di un olio (QX 100TM DROPLET GENERATOR OIL) che permetterà la formazione delle gocce, quindi nei pozzetti in basso, che rimangono vuoti, andranno le gocce che si formeranno (figura 13).

Figura 13. Schematizzazione della piastra da inserire nel Droplet Generator

Una volta inseriti tutti i reagenti, la cartuccia viene coperta con l’apposito tappetino, per essere inserita nel Droplet Generator (figura 14).

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Figura 14. Meccanismo di formazione delle gocce

Il QX100 Droplet Generator usa i microfluidi per combinare i campioni oleosi e acquosi generando 20000 gocce della grandezza di nanolitri. Il campione e l'olio vengono fatti defluire e convogliati verso una giunzione dove vengono generate gocce le quali vengono fatte defluire verso un collettore di uscita dove si concentrano velocemente e data la differenza di densità tra l'olio e le fasi acquose, formano un piano fitto sopra l'olio in eccesso (figura 15).

Figura 15. Particolare del meccanismo di formazione delle gocce

40 µl di gocce di ciascun campione vengono trasferite dai pozzetti della cartuccia del Droplet Generator all’interno dei pozzetti di una piastra da PCR (piastra da 96 pozzetti), il tutto procedendo con estrema calma e cautela in modo da evitare la

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rottura delle gocce mentre queste attraversano i puntali. La piastra da PCR viene quindi chiusa con un film (Pierceable Foil Heat Seal).

Figura 16. Meccanismo di amplificazione del DNA contenuto nelle gocce mediante

PCR

I campioni sono stati amplificati mediante PCR secondo il protocollo riportato in tabella (tabella 8).

Tempo Temperatura Numero di cicli Fase iniziale di attivazione 10 min 90°C 1 Denaturazione 30 sec 94°C 40 Appaiamento e allungamento 60 sec 55°C 10 min 98°C 1

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Dopo l’amplificazione la piastra viene collocata all’interno del QX100 Dropled Reader il quale è in grado di leggere ciascun pozzetto della piastra indipendentemente. Le singole gocce di ciascun campione vengono fatte scorrere in fila una dietro l’altra a livello di un rilevatore di fluorescenza. Esso legge le gocce in serie e in base alla fluorescenza segna quelle che contengono il DNA mutato e quelle che contengono DNA wt permettendo così il rilevamento e la quantificazione di alleli mutati e wt all’interno di ogni singolo campione (figura 17).

Figura 17. Meccanismo di lettura della fluorescenza da parte del Droplet Reader

Il lettore è connesso ad un computer che possiede il software “QuantaSoft” (BioRad) il quale fornisce un set completo di strumenti per l’impostazione e la denominazione dei campioni, per l’esecuzione e il controllo dello strumento e per l’analisi dei risultati. Grazie a questo software possiamo trasformare il segnale da analogico a digitale e rilevare, sulla base delle diverse fluorescenze lette per ciascun campione, le gocce prive di DNA, quelle che contengono l’allele wt e quelle che portano l’allele mutato (figura 18).

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Figura 18. Diagramma dei risultati

Viene determinata sia la concentrazione assoluta (espresso in copie/µl) per l’allele mutato e l’allele wt, sia la percentuale della frazione assoluta (copie mutato/copie totali [wt + Mutato]).

Nella ddPCR, il campione contenente il genoma è emulsionato in un numero specifico di gocce (“droplets”), all'interno di ognuna delle quali avviene una singola reazione di PCR. L'equazione di Poisson, servendosi per ogni Droplet della frazione di reazioni positive sul totale (p), permette di determinare un numero preciso di molecole di DNA target per goccia (lambda):

Lambda = - ln ( 1 - p )

Il valore finale di DNA target presente è dato dai valori di mutato in ogni singola reazione, dal volume di ogni droplet e dal numero totale dei DNA analizzati; sulla base dei quali parametri si riesce a calcolare la concentrazione assoluta del DNA target (Hindson et al. 2011).

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4. RISULTATI

Come sopra riportato, lo studio ha arruolato 38 pazienti, di cui 19 affetti da leucemia a cellule capellute di tipo classico (HCL), 1 affetto da una forma variante (HCLv) e 18 affetti da linfoma marginale splenico (SMZL).

4.1 Diagnostica differenziale

La prima fase del nostro lavoro è stata incentrata sul confronto dell'assetto molecolare alla diagnosi nei pazienti con diagnosi di HCL rispetto a quelli con HCLv e con SMZL, prendendo in esame sia il riarrangiamento IgH, sia la mutazione di BRAF V600E, valutata mediante Real Time PCR (qPCR).

4.1.1 Riarrangiamento IgH

Come primo test molecolare abbiamo ricercato in tutti i nostri pazienti la clonalità B linfocitaria mediante lo studio del riarrangiamento IgH.

Per quanto concerne la coorte dei pazienti affetti da SMZL ed il paziente con HCLv, in tutti siamo stati in grado di identificare un clone B con identico riarrangiamento IgH. Per quanto invece concerne i pazienti affetti da HCL, in un caso il materiale non era stato sufficiente per effettuare il test; nei campioni rimanenti, il riarrangiamento IgH è risultato clonale in 17 dei 18 casi testati (94%). Il paziente nel quale non abbiamo riscontrato clonalità B (paziente #10), tuttavia, nonostante la diagnosi di HCL effettuata su sangue periferico, non presentava infiltrazione patologica midollare né all'analisi morfologica, nè all’immunofenotipizzazione (da notare che il paziente era stato già trattato in precedenza con anticorpo anti-CD20 che avrebbe potuto mascherare l’antigene).

Escludendo quindi questo paziente, il test per il riarrangiamento IgH confermava una infiltrazione B linfocitaria clonale nel 100% dei pazienti (tabella 10).

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4.1.2 Ricerca della mutazione di BRAF mediante Real Time PCR

Come già descritto nel capitolo 3, per ogni campione alla fine della reazione di Real time PCR è stata calcolata la differenza tra il Ct del mutato e il Ct del wild-type (wt) (∆Ct); è stato quindi calcolato il ∆∆Ct rispetto al controllo sano. Per valori minori di 3 i campioni sono stati considerati negativi; se compresi tra 3 e 4 borderline, se maggiori di 4 positivi (tabella 9).

Ct BRAFmut Ct BRAF wt ∆Ct ∆∆Ct Risultato Sano 40.00* 24.33 15.675 0.000 1 29.99 23.37 6.625 -9.050 + 6 38.13 24.93 13.200 -2.475 -8 28.56 23.90 4.660 -11.015 + 10 38.65 24.68 13.965 -1.710 -16 29.13 25.02 4.105 -11.570 + 18 38.89 25.26 13.630 -2.045

-Tabella 9. Il metodo del ∆∆Ct per individuare la positività o meno del campione

*Il controllo sano non presenta amplificazione per l’allele mutato; il valore di Ct viene quindi convenzionalmente attribuito 40 in quanto la PCR presenta 40 cicli di amplificazione

Nella totalità dei pazienti affetti da SMZL, nonché nel paziente con HCLv, la ricerca della mutazione BRAF V600E con qPCR risultava negativa; anche il paziente HCLv risultava wild-type per tale mutazione.

Nei pazienti con HCL, la mutazione BRAF V600E analizzata mediante qPCR è risultata positiva in 14 su 19 pazienti, pari al 74%.

Se escludiamo il paziente con assenza di infiltrazione midollare, la mutazione risultava presente in 14 dei 18 pazienti in esame, raggiungendo una percentuale pari al 78%.

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Dei 4 pazienti non mutati, in uno abbiamo ottenuto una tipizzazione citofluorimetrica definita come “atipica”, con clone HCL CD103+ /CD11c+, ma CD25-. Nei restanti 3 pazienti, l’immunofenotipo era invece compatibile con la presenza di clone HCL.

I risultati complessivi da noi ottenuti sono riportati in tabella 10.

Ptz SMZL IgH BRAF V600E Ptz HCL IgH BRAF V600E

1 + - 1 + + 2 + - 2 + + 3 + - 3 + -4 + - 4 + + 5 + - 5 + + 6 + - 6 + -7 + - 7 + + 8 + - 8 + + 9 + - 9 + + 10 + - 10 - -11 + - 11 + + 12 + - 12 + + 13 + - 13 + + 14 + - 14 nv + 15 + - 15 + + 16 + - 16 + + 17 + - 17 + -18 + - 18 +

-Ptz HCLv IgH BRAF V600E 19 + +

1 + -

Tabella 10. Dati relativi all'analisi del riarrangiamento IgH e alla mutazione di BRAF

con Real Time PCR

4.1.3 Ricerca della mutazione di BRAF mediante Droplet Digital PCR

La mutazione BRAF V600E è stata ricercata mediante Droplet Digital PCR in tutti i pazienti affetti da HCL ed in 10 dei pazienti affetti da SMZL; per ogni campione è stata quindi determinata la frazione percentuale dell'allele mutato (mutation burden).

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Nessuno dei pazienti affetti da SMZL è risultato BRAF mutato in ddPCR; tutti i pazienti affetti da HCL risultati positivi in Real-time PCR sono stati confermati come positivi anche mediante questa metodica.

D’altro canto, nessuno dei casi wild-type in qPCR risultava mutato dopo in ddPCR, dimostrando pertanto una concordanza tra le due metodiche pari al 100% (tabella 11).

Ptz HCL BRAF V600E Real Time PCR

BRAF V600E Droplet-Digital PCR Frazione percentuale 1 + 4.82 2 + 1.73 3 - 0 4 + 2.52 5 + 2.36 6 - 0 7 + 4.79 8 + 5.06 9 + 24.1 10 - 0 11 + 4.81 12 + 2 13 + 4.39 14 + 0.47 15 + 2.03 16 + Nv 17 - 0 18 - 0 19 + 0.08

Tabella 11. Dati relativi all'analisi della mutazione di BRAF con Real Time PCR e con

Digital Droplet PCR

4.1.4 Sensibilità di qPCR verso ddPCR

Abbiamo quindi condotto dei test per la valutazione della sensibilità delle due metodiche utilizzate per la ricerca della mutazione di BRAF.

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Il DNA di un paziente portatore della mutazione di BRAF al 4.7% è stato diluito in DNA proveniente da un pool di donatori sani in misura logaritmica, fino a 1x10-5. I campioni così ottenuti sono stati analizzati sia mediante qPCR che mediante ddPCR.

Figura 19. Analisi della sensibilità in ddPCR: eventi positivi ottenuti per l'allele

mutato e per l'allele wt

Figura 20. Analisi della sensibilità in ddPCR: concentrazioni dell'allele mutato e

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48 qPCR DROPLET PCR Diluizione Ct RISULTATO basale 1x100 -10.96 + 4.65% dil 1:10 1x10-1 -7.99 + 0.48% dil 1:100 1x10-2 -4.9 + 0.057% dil 1:200 5x10-3 -4.05 + 0.025% dil 1:1000 1x10-3 -1.69 - 0.0051% dil 1:5000 5x10-4 -1.13 - 0.00%

Tabella 12. Determinazione dei livelli di sensibilità ottenuti mediante qPCR e ddPCR

Come mostrato nelle figure, la real-time PCR ha consentito di individuare la mutazione fino alla diluizione 5x10-3; considerato che il campione di partenza mostrava un mutation burden pari al 4.65%, la diluizione di 5x10-3 è in realtà stimabile equivalente ad un valore di 1x10-4.

Mediante droplet PCR la mutazione è stata invece identificata fino alla diluizione di 1x10-3, che, come sopra, equivale ad un valore di 5x10-5 (tabella 12).

La Droplet PCR ha pertanto presentato una sensibilità di circa mezzo logaritmo maggiore rispetto alla real-time PCR (figura 21).

Figura 21. Confronto delle sensibilità tra i due metodi

10-1 100 10-2 10-3 5x10-3 5x10-4 10-4 5x10-5 10-5

Grado di diluizione in scala logaritmica 1 0.1 0,01 0,001 0 Mutazione individuabile Droplet-digital PCR Real-time PCR

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49

4.2 Monitoraggio molecolare della malattia minima residua

La seconda parte del nostro studio si è incentrata sullo studio della malattia minima residua mediante analisi del riarrangiamento IgH e della mutazione BRAF e sulla comparazione di qPCR e ddPCR anche in questo contesto.

4.2.1 Riarrangiamento IgH

Innanzitutto, abbiamo analizzato in corrispondenza di diversi timepoints il riarrangiamento IgH, test che consente valutazioni esclusivamente qualitative: i pazienti con presenza di riarrangiamento IgH alla diagnosi erano, come già detto, il 100%; di questi, il 77% risultava ancora IgH clonale a 3 mesi dal termine del trattamento (6 cicli a cadenza mensile); soltanto il 30%, invece, mostrava persistenza del riarrangiamento IgH dopo 6 mesi dalla fine della terapia (figura 22).

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50

4.2.2 Mutazione BRAF

Di seguito sono riportati i risultati della determinazione del mutation burden di BRAF quale metodica per lo studio della MRD.

Pa

zie

n

ti

DIAGNOSI MESE +3 MESE +6

IgH qPCR ddPCR IgH qPCR ddPCR IgH qPCR ddPCR

1 + 1 4.82 + 1.97 5.80 + 0.090 1.360 2 + 1 1.73 + - 0 4 + 1 2.87 + - 0.03 - - 0 5 + 1 2.36 + - 0.004 - - 0 7 + 1 4.79 + 0.01 2.06 - - 0 8 + 1 5.06 + 0.07 0.19 - - 0 9 + 1 24.1 + - 0 11 + 1 4.81 + 0.73 3.15 - 0.09 0.65 12 + 1 2.00 - 0.02 0 - 0.05 0.05 13 + 1 4.39 - 0.01 0.039 - 0 0 14 nv 1 0.48 0 0 15 + 1 2.03 + 1.14 2.45 + 6.17 2.12 16 + 1 nv + 0.05 9.18 19 + 1 0.078 - +/- 0.001 + 9.13 1.36

Tabella 13. Dati relativi all'analisi della mutazione di BRAF con Real Time PCR e con

Droplet PCR durante il follow up dei pazienti

La mutazione BRAFV600E analizzata mediante qPCR era presente alla diagnosi in 14 pazienti (tabella 13): a 3 mesi dal trattamento si negativizzava in 5 pazienti (35.7%), mentre continuava ad essere positiva in 9 pazienti (64.3%). In corso di follow-up, 2 pazienti (22.2%) hanno presentato un aumento del livello della mutazione, 7 (66.6%) una riduzione significativa (0.01-0.07).

A 6 mesi la mutazione era ancora presente in 5 pazienti (50%): da notare che i 2 pazienti progrediti mostravano un incremento del burden mutazionale, mentre gli

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altri, con malattia responsiva, mostravano una riduzione del livello di mutazione. La mutazione BRAFV600E analizzata mediante ddPCR è stata valutata alla diagnosi in 13 pazienti: 11 pazienti (84.6%) mostravano livelli significativi di mutazione (>1%), in 2 pazienti (15.4%) abbiamo invece riscontrato un basso livello di mutazione (<1%). A 3 mesi dal trattamento solo 3 pazienti (26.5%) si negativizzavano, mentre 11 (78.5%) pazienti continuavano ad essere positivi: 5 (45.5%) a livelli significativi (>1%) e 6 (55.5%) a bassi livelli (<1%)

Nei 10 pazienti valutati a 6 mesi, la mutazione era ancora presente in 5 pazienti (50%): 3 (60%) a livelli significativi (> 1) (corrispondenti ai casi di progressione di malattia), e 2 (40%) a livelli bassi (0.05- 0.09).

Figura 23. Confronto della Real Time PCR rispetto alla Digital Droplet PCR

La ddPCR è stata quindi in grado di andare a rilevare la presenza di mutazione anche a livelli molto bassi; questi risultati sono compatibile con la maggiore sensibilità della ddPCR (figura 23).

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L’andamento clinico dei pazienti è schematizzato in tabella 14

PAZIENTE I CONTROLLO II CONTROLLO

1 StabD REC 2 CR 4 CR CR 5 CR CR 7 ParzR CR 8 CR CR 9 ParzR 11 ParzR CR 12 CR CR 13 CR CR 14 StabD 15 ParzR REC 16 ParzR 19 CR REC

Tabella 14. Andamento clinico dei pazienti. CR: remissione completa; ParzR:

remissione parziale; StabD: malattia stabile; REC: recidiva di malattia

Abbiamo avuto 9 pazienti che raggiungevano, durante la terapia, la Remissione completa (CR): in un caso si è avuta in seguito ripresa di malattia (#19). In questo paziente la recidiva era accompagnata da un significativo incremento del burden mutazionale (figura 23; tabella 15).

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Figura 23. Andamento clinico e molecolare del paziente 19

Paziente 19

basale 1 controllo 2 controllo

IgH 1 1 1

qPCR 1 0.01 9.13

ddPCR 0.078 0.0011 1.36

CR REC

Tabella 15. Andamento clinico e molecolare del paziente 19

E' interessante notare come in 5 dei pazienti che ottenevano la risposta completa (#2, #4, #5, #7, #8), il riarrangiamento IgH continuava ad essere positivo mentre la carica allelica della mutazione di BRAF risultava già significativamente ridotta. Soltanto in una fase successiva anche il riarrangiamento IgH risultava essere policlonale (figura 22; tabella 16).

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Figura 22. Andamento clinico e molecolare dei pazienti 2, 4, 5, 7

Paziente 2 Paziente 4

basale 1 controllo 2 controllo basale 1 controllo 2 controllo

IgH 1 1 IgH 1 1 0

qPCR 1 0 qPCR 1 0 0

ddPCR 1.73 0 ddPCR 2.87 0.026 0

CR CR CR

Paziente 5 Paziente 7

basale 1 controllo 2 controllo basale 1 controllo 2 controllo

IgH 1 1 0 IgH 1 1 0

qPCR 1 0 0 qPCR 1 0.01 0

ddPCR 2.36 0.004 0 ddPCR 4.79 2.06 0

CR CR ParzR CR

Tabella 16. Andamento clinico e molecolare dei pazienti 2,4,5,7

Cinque pazienti (#7, #9, #11, #15, #16) ottenevano la risposta parziale: tutti presentavano una iniziale riduzione del tumor burden; tale riduzione era ancora più evidente nei due pazienti che ottenevano la CR dopo la fase di PR (#7, #11).

Solo in uno dei due pazienti recidivati si è osservata una riduzione del “tumor burden” (#19), mentre l'altro (#15) mostrava un livello costante di mutazione (figura 23; tabella 17).

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Figura 23. Andamento clinico e molecolare dei pazienti 15 e 19

Paziente 15 Paziente 19

basale 1 controllo 2 controllo basale 1 controllo 2 controllo

IgH 1 1 1 IgH 1 1 1

qPCR 1 1.14 1.65 qPCR 1 0.01 9.13

ddPCR 2.03 2.45 2.12 ddPCR 0.078 0.0011 1.36

ParR REC CR REC

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5. DISCUSSIONE

Negli ultimi decenni sono stati compiuti notevoli progressi nella diagnosi e trattamento della hairy cell leukemia, ma fino a pochi anni or sono non erano state ancora individuate le basi genetiche della malattia; da qui l’importanza di uno studio di Tiacci e collaboratori, pubblicato nel 2001, dove veniva identificata la presenza di una mutazione eterozigote del gene BRAF, risultante nella proteina variante V600E, come caratteristica esclusiva delle cellule neoplastiche di tutti i 47 pazienti con HCL analizzati. Al contrario, nessuno dei 195 pazienti con altre patologie linfoproliferative a cellule B periferiche testati risultava portatore della mutazione V600E.

La potenziale rilevanza scientifica e ricaduta clinica di questi dati è immediatamente evidente: la presenza della mutazione BRAFV600E in tutti i pazienti con HCL esaminati, unita alla sua assenza nelle cellule di pazienti con altre forme di linfomi o leucemie a cellule B periferiche, la identifica infatti come evento genetico specifico della malattia e suggerisce fortemente un suo ruolo nella patogenesi della HCL.

Dal punto di vista pratico, l’analisi delle mutazioni di BRAF si candida dunque come un potenziale nuovo strumento diagnostico per differenziare la HCL da altri linfomi a cellule B con caratteristiche cliniche e morfologiche simili (inclusa la HCL variante ed il linfoma splenico della zona marginale), oltre che come marcatore utile per il monitoraggio dei pazienti durante il trattamento.

Con tali presupposti è pertanto evidente l’importanza di individuare quale dei test di biologia molecolare comunemente impiegati nella diagnostica e nel monitoraggio dei pazienti affetti da linfoma B possa avere il maggior potere predittivo sia al momento della diagnosi che durante il follow-up.

A tale scopo abbiamo pertanto preso in esame come primo elemento il riarrangiamento IgH, test che classicamente viene impiegato per il riconoscimento della clonalità B, e con questo abbiamo comparato il test di qPCR che più di recente è comparso nello scenario della diagnostica ematologica come metodica utile per il

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