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La “mansio” di Vignale (Piombino): l'archeologia di un “sito minore” in una lettura antropologica “surmoderna”

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EMPTOR ET MERCATOR

SPAZI E RAPPRESENTAZIONI

DEL COMMERCIO ROMANO

Studi e ricerche internazionali coordinate da Sara Santoro

a cura di Sara Santoro

con la collaborazione di

Sonia Antonelli, Elisabetta Andreetti e Gloria Bolzoni

Bari 2017

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1. Alla ricerca di un inquadramento: sito minore vs non luogo

Il sito archeologico oggetto di questa riflessione ha un toponimo riconosciuto, Vignale, che certifica da oltre un millennio1la vocazione produttiva di

questa porzione del territorio della Maremma co-stiera. Ha poi una ubicazione precisa: due grandi campi arativi posti nell’entroterra di Piombino, a monte e a valle della SP 39 (ex SS 1 - Aurelia), al-l’altezza del km 235,500 (Fig. 1).

Sfugge invece a una definizione unitaria la sua “natura” intrinseca: è infatti difficile riunire le mol-teplici evidenze archeologiche che si sono conser-vate in quest’area in una categoria identitaria univoca.

Il luogo fisico di Vignale è stato sede di una serie assai diversificata di attività umane nel corso di un tempo storico lungo, che può andare dal VI secolo a.C. al VI secolo d.C. per quanto riguarda lo speci-fico dei nostri campi, ma che arriva senza soluzione di continuità fino ai giorni nostri se si allarga l’ana-lisi a un bacino insediamentale appena più ampio. Tali attività hanno in parte tra loro convissuto e in parte si sono succedute, pur conservando, come si vedrà più avanti, alcuni elementi di forte continuità nella lunga durata (Fig. 2).

Da molti punti di vista, quindi, Vignale risponde benissimo a una definizione estensiva di sito ar-cheologico, inteso come «luogo fisico in cui le sto-rie degli uomini si sono depositate in forma di stratificazione e possono essere scavate»2. Tanto più

che queste storie, che – come sempre accade in ar-cheologia – attingono in larghissima misura alla sfera delle microstorie, si sono depositate in un luogo che, per sua natura, le ha poste direttamente in con-tatto con i grandi eventi della macrostoria di questa regione e, più in generale, le ha inserite in una serie di contesti spaziali e funzionali assai diversificati, che meriteranno quindi una analisi e una riflessione più attente.

Ciò che noi chiamiamo sito archeologico è evi-dentemente sempre il prodotto di una interazione tra una serie di storie umane che hanno avuto luogo nel passato in un punto dello spazio e la nostra capacità di lettura e interpretazione di quelle storie. Questa è a sua volta evidentemente prodotto della contempora-neità, ovvero di quell’insieme di condizioni oggettive e soggettive che rendono lettura e interpretazione due variabili storicamente determinate: solo oggi, alla luce delle conoscenze collettive e delle esperienze indivi-duali siamo in grado di vedere e di comprendere cose che in passato non saremmo stati in grado di vedere

1Farinelli 2007, rep. 33.4-5-6. 2Manacorda 2007, p. 7.

in a “surmodern” anthropological reading

Vignale is an ancient and late antique settlement located along the coast in Central Tuscany. Since 2003, the site is the focus of a “global archaeology” project, intended to investigate the longue durée of the territory from the pre-Roman times until the present day (http:// http://www.uominiecoseavignale.it/). The archaeological investigation revealed the remains of an ancient settlement continuously inhabited between the 3rdcentury BC, at least, and the 6th-7thcentury AD.  After a quite obscure phase

in pre-Roman times, a farm was built probably in the mid of 2ndcentury BC, in connection with a roughly paved road (glarea

strata), in turn may be connected to the Roman road network in the region (Via Aurelia/Aemilia Scauri). In the second half

of the 1st century BC a large  villa maritima was built just aside the farm. In the subsequent centuries

the villa/mansio underwent a series of minor transformation and probably between the 6thand 7thcentury the structures of

the villa were abandoned and a large cemetery took its place among the ruins. The present paper focuses both on the history of the settlement and on its possible interpretation as instance of what is called “non-place” in the contemporary anthropological theory.

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e comprendere e che in futuro non saremo probabil-mente più interessati a vedere e comprendere3.

Il Vignale di cui parliamo oggi è quindi il pro-dotto della interazione, nella nostra contemporaneità, di due storie:

– quella celata nella sua stratificazione archeologica che cerchiamo di leggere a dispetto delle pesantis-sime perturbazioni causate dagli interventi agricoli succedutisi senza soluzione di continuità per se-coli;

– quella delle diverse ottiche in cui nel corso di ormai

quasi due secoli i moderni si sono approcciati a quella stratificazione.

1.1. Il sito nella sua dimensione storica e

antro-pologica

Vignale inteso come luogo fisico di una serie di storie umane del passato è al tempo stesso partico-larmente ricco e particopartico-larmente sfuggente. Nel

3Schnapp, Shanks, Tiews 2004.

Fig. 2. - La geografia storica del microterritorio nella lunga durata (base GoogleMaps - 20/07/2007): a) “corridoio ferroviario-auto-stradale tirrenico”; b) SP 523 (ex SS1-Aurelia); c) area della villa-mansio; d) area del complesso di fornaci; e) sede Unicoop Tirreno; f) fattoria “Tenuta di Vignale”; g) area del castello medievale. Il paese moderno di Riotorto è ubicato immediatamente a Nord, oltre il margine di questa immagine.

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corso di una lunga fase di valutazione archeologica che si è sviluppata ormai in un arco di quasi un de-cennio e che non possiamo ancora dire pienamente conclusa4, sono infatti tornate alla luce le tracce di

molte “cose” diverse. Come si vedrà in qualche mag-gior dettaglio più avanti, Vignale è stato nel corso del tempo sede di attività produttive diverse (ceramica, piscicoltura, agricoltura specializzata), luogo di ubi-cazione di una serie di edifici diversi (una “fattoria”, una villa, una grande mansio con un importante com-plesso termale, un problematico nucleo insediativo altomedievale), centro di una serie di funzioni pro-prie di quel contesto microterritoriale nel lungo pe-riodo (luogo di passaggio e di sosta, punto di contatto tra entroterra e laguna costiera, area liminare tra abi-tato e disabiabi-tato).

Insomma, Vignale è stato molte cose nel tempo e, almeno in alcuni periodi, è stato anche molte cose in-sieme e di questa sua natura intrinseca dovrà quindi necessariamente tenere conto ogni tentativo di lettura archeologica di questo insieme.

1.2. Il sito nella sua dimensione archeologica Vignale è stato molte cose nel tempo anche dal punto di vista della sua conoscenza archeologica, nel senso che negli ormai quasi duecento anni di attività archeologiche diverse su quel sito si sono succeduti approcci assai differenti. Questi hanno da un lato contribuito ad arricchirne la complessità e dall’altro impongono chiaramente la necessità di una rifles-sione critica attenta.

Il sito di Vignale entra nella percezione dei mo-derni nel 1830, quando in occasione dell’apertura della nuova Via Regia Grossetana (l’antesignana della moderna SS1- Aurelia), vennero individuate, parzialmente riportate alla luce e perfino “valoriz-zate”, le strutture di quello che fu allora interpretato come un grande complesso termale5.

Questa storia sarebbe di per sé poco più di un aneddoto se non fosse che quelle terme sono state e sono tutt’ora uno dei grandi punti critici dell’intera vicenda. Delle terme viste, cartografate (Fig. 3) e protette da tettoie nella prima metà del XIX secolo,

si perse presto ogni traccia (a tutt’oggi non siamo stati in grado di ritrovarne i resti nel terreno), ma esse sono sempre rimaste nella memoria collettiva degli eruditi e della popolazione locale come l’im-magine fondamentale del nostro sito, almeno fino alle indagini più recenti.

Dopo un oblio durato oltre un secolo, Vignale riemerge come sito archeologico negli anni Ses-santa, quando ulteriori e pesanti lavori agricoli devastano le strutture sepolte, riportando alla luce grandi pezzi di muri, lacerti di mosaico e una quan-tità di reperti mobili. Da allora in poi, il sito assume una fisionomia nuova e in qualche misura definita, quella della “villa romana”, irrimediabilmente distrutta dalle arature e di cui rimangono essenzial-mente la ceramica e le monete che vengono in superficie ad ogni nuova lavorazione dei campi. Reperti sparsi, dunque, che sono stati per almeno tre generazioni il terreno di battaglia tra raccoglitori clandestini e associazionismo culturale locale impe-gnato nella difesa della memoria collettiva legata a quei luoghi.

In questo contesto rientrano in qualche misura anche le prime ricognizioni archeologiche sistema-tiche sul sito, che – perduta la memoria della

“Fab-4Zanini 2010. 5Patera, Shepherd, Dallai, Zanini 2003, pp. 281-284. Fig. 3. - La “Fabbrica de’ bagni di Vignale” in uno schizzo pla-nimetrico in scala del 1831 (da Patera, Shepherd, Dallai, Zanini 2003, p. 283).

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brica de’ Bagni” vista centocinquant’anni prima – si sono basate solo sull’esame dei reperti affioranti. E ciò ha condotto a individuare l’ubicazione del sito solo nella porzione a valle della strada (quella a monte non era ricognibile perché coperta da un vi-gneto) e a definirne l’articolazione planimetrica se-condo lo schema classico della villa tirrenica, con

pars dominica, pars rustica, magazzini e fornaci.

Una lettura questa confermata solo in misura molto limitata dalle indagini in corso.

Solo in anni più recenti – complice il casuale e fortunato riemergere della planimetria redatta nel 1831 dall’archivio di Stato di Firenze in cui era ri-masta conservata e nascosta – la lettura interpreta-tiva della fase “principale” del sito si è finalmente precisata. Le strutture cartografate erano inequivo-cabilmente a monte della strada e la loro natura (terme) e la loro posizione immediatamente a ridosso di un probabile asse viario antico (Aurelia/Aemilia

Scauri) hanno aperto le porte alla ipotesi di

identifi-cazione con una mansio6.

Alla opportunità di verificare quest’ultima ipote-si è infine legato l’avvio della nostra indagine attua-le, che è partita dieci anni or sono in una logica di ar-cheologia “innocente”, incentrata in buona misura su un progetto di ricerca lineare: lo scavo e la docu-mentazione dell’evidenza archeologica di una tipo-logia strutturale e funzionale, quella delle mansiones, ancora molto poco nota e meritevole quindi di uno stu-dio anche semplicemente descrittivo7.

Le prime campagne di scavo hanno fatto rapi-damente intuire come la situazione fosse assai più complessa di quella inizialmente attesa e hanno quindi imposto un processo di valutazione del sito assai più articolato, che si è protratto per molto tempo e che ha restituito di Vignale una immagine fatta di molte evidenze diverse, tra loro in rapporto cronologico e funzionale spesso complesso. Uno stimolo a cercare una chiave interpretativa unitaria o, almeno, un quadro unitario di riferimento in cui inserire i tasselli che stanno progressivamente ve-nendo alla luce.

1.3. Un insediamento minore?

Un primo possibile frame in cui provare a inserire Vignale è quello dei cosiddetti “insediamenti mi-nori”, ovvero di quei nuclei di popolamento di un territorio che sembrano in prima battuta non rien-trare immediatamente in una delle categorie concet-tuali – anch’esse peraltro storicamente determinate e quindi ampiamente soggette a variabilità – in cui siamo soliti incasellare i siti archeologici di cui ci occupiamo.

Essendo evidentemente la categoria di “insedia-mento minore” tutt’altro che definita e potenzial-mente assai dilatabile in molte direzioni, la riflessione sulla possibile pertinenza di Vignale a questo insieme è al tempo stesso utile per sviluppare ulteriormente la valutazione archeologica del nostro sito e per provare a definire meglio la stessa catego-ria concettuale.

Se poniamo la definizione di “minorità” di un in-sediamento sotto il profilo quantitativo/qualitativo delle testimonianze archeologiche conservate nel terreno, sia pure con i gradi di difficile leggibilità di cui si è accennato, Vignale non sembra a prima vi-sta qualificarsi come tale. Non è minore dal punto di vista della dimensione spaziale e della durata cro-nologica dell’insediamento umano concentrato in una area circoscritta. Non è minore dal punto di vi-sta della molteplicità delle forme di uso del territo-rio. Non è minore dal punto di vista della qualità delle forme del costruito. Non è minore, infine, dal punto di vista della complessità delle relazioni socio-economiche che le diverse strutture che ha ospitato nelle varie fasi della sua vita hanno intrattenuto con contesti territoriali, funzionali e amministrativi di-versi (Fig. 4).

Non è infatti certamente possibile qualificare come “minore” un sito in cui gli uomini hanno:

– vissuto per oltre un millennio;

– occupato stabilmente – sia pure con un evidente fe-nomeno di slittamento orizzontale dei punti di volta in volta focali dell’insediamento – una superficie inse-diativa di almeno 3 ha.;

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– sfruttato stabilmente e in maniera sistematica e orga-nizzata nel lungo periodo le risorse naturali del mi-croterritorio circostante;

– costruito edifici di grandi dimensioni e ben qualifi-cati anche sotto il profilo dell’apparato decorativo; – intessuto una rete di relazioni economiche a breve,

medio e lungo raggio che sono ben documentate dai reperti mobili sopravvissuti alla sistematica attività di depredazione protrattasi per molti decenni.

Ciò detto, sembra altrettanto evidente che Vignale nel suo insieme non possa per contro quali-ficarsi come un insediamento “maggiore” tout court perchè:

– il nucleo di popolazione che lo abitò fu sempre rela-tivamente piccolo;

– la superficie insediativa è relativamente ampia, ma deriva da un meccanismo di “addizione” di strutture nuove a preesistenze che vengono mantenute in uso senza che appaia evidente un progetto unitario; – le relazioni funzionali ed economiche in cui è stato di

volta in volta inserito non sembrano averlo mai – o quasi mai – visto come uno snodo fondamentale o co-munque di primaria importanza.

In altri termini, verrebbe fatto di dire che Vignale è sostanzialmente un insediamento minore perché solo a rari tratti è riuscito a qualificarsi come un

cen-tral place della rete insediativa di cui ha fatto di volta

in volta parte.

L’inconciliabilità tra queste due percezioni, en-trambe dotate di una loro credibilità sostanziale, spinge quindi a prendere in considerazione una ca-tegoria interpretativa differente: una possibile chiave di lettura che può riempire di significato concreto il concetto un po’ indefinito di centro minore e al tempo stesso può rendere ragione di almeno alcune delle specificità del nostro insediamento.

1.4. Un nonluogo tra antichità e alto medioevo? L’idea di provare a inquadrare l’insediamento tico e tardoantico di Vignale in una categoria non an-cora consolidata nella letteratura critica relativa alle

mansiones, ma molto stimolante agli occhi del

no-stro gruppo di lavoro, è nata dalla presa d’atto di una delle caratteristiche più evidenti del sito attuale: Vi-gnale è un luogo difficile da definire.

A Vignale si può arrivare in treno (c’è una stazione con quel nome, lungo una linea frequentatissima come la Tirrenica, anche se solo pochissimi treni vi si fer-mano ogni giorno) o in automobile (c’è uno svinco-lo della superstrada SS 1 - Aurelia, la cui denomina-zione è condivisa con il paese attuale di Riotorto), ma Vignale di fatto non esiste. Esiste nell’area prossima al sito la sede della Direzione Nazionale di Unicoop Tirreno, con i grandi magazzini di stoccaggio dei pro-dotti destinati alla redistribuzione, ed esiste, a qual-che centinaio di metri di distanza, a mezza collina, la grande fattoria sette-ottocentesca che fungeva da cen-tro direzionale della immensa tenuta agricola che por-ta quel nome.

Alla presenza della prima si deve evidentemente la denominazione dello svincolo stradale e alla pre-senza della seconda si deve l’esistenza della piccola stazione ferroviaria rurale costruita ben prima delle profonde trasformazioni sociali, economiche ed in-sediamentali subite dal territorio a partire dal se-condo dopoguerra.

Vignale attuale è dunque decisamente un non-luogo, che si è venuto strutturando come tale in

Fig. 4. - La complessità morfologica di un sito “minore” (base foto zenitale da aquilone di Paolo Nannini: http://www.flickr.com/photos/opaxir, ottobre 2012): a) fattoria “etrusco-romana”?; b) strada glareata; c) villa; d) mansio; e) cortile basolato; f-g) aree sepolcrali.

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epoca recente attraverso una dinamica di rapporto tra vie di comunicazione e microterritorio. La presenza di una fattoria centro di una grande azienda latifon-distica è stata all’origine della stazione ferroviaria, ma la stazione ferroviaria è stata probabilmente al-l’origine dell’impianto, diversi decenni più tardi, della sede di Unicoop, e la sede di Unicoop è stata a sua volta all’origine dello svincolo, che ha a sua volta funzionato come elemento “facilitante” per la nascita di una serie di altre imprese in quella porzione di territorio.

Da questa osservazione è nata l’idea di provare ad applicare questa chiave di lettura a dinamiche di lunghissimo periodo, a partire ovviamente dalle ri-flessioni sviluppate dall’antropologia contempora-nea a proposito dei nonluoghi come punti nodali della “surmodernità”.

Tra i nonluoghi della surmodernità rientrano infatti esplicitamente “le installazioni necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni … i grandi centri commerciali o, ancora, i campi pro-fughi dove sono parcheggiati i rifugiati del pianeta”8

ed appare dunque potenzialmente stimolante provare ad approfondire la riflessione sul nostro sito a par-tire da una domanda di fondo: le tracce archeologiche che noi leggiamo in un sito concepito e utilizzato – almeno in alcuni momenti della sua storia – come luogo di passaggio e di breve sosta debbono essere lette secondo un modello descrittivo standardizzato, o hanno invece bisogno di una let-tura interpretativa che tenga conto di questa caratteristica di fondo?

In altre parole, la stessa traccia archeologica – un coccio, un muro, una superficie d’uso – letta in un insediamento dalla funzionalità complessa e tutta da studiare come una mansio ha lo stesso valore se-mantico di una traccia analoga letta, per esempio, in una delle tante villae che popolavano il paesaggio di questo tratto dell’Etruria costiera?

E ancora, la funzione di mansio può aver avuto un ruolo differenziale nella nascita, nello sviluppo, nella vita e nella fine di un insediamento umano in questo territorio?

E infine, la relazione topografica e funzionale così stretta con gli assi di comunicazione che si con-centrano in questo microterritorio – la strada, ma anche la laguna che consentiva nell’Antichità un ac-cesso diretto e agevole alle installazioni portuali della costa – possono a loro volta aver determinato una differenziazione significativa nei contesti eco-nomico-commerciali di riferimento per la vita del nostro insediamento?

1.5. Qualche idea preliminare

L’applicazione a un contesto archeologico di una chiave di lettura direttamente derivata dall’antropo-logia contemporanea richiede ovviamente una valu-tazione preliminare di legittimità complessiva, sia in riferimento all’oggetto della conoscenza sia in rife-rimento alla concreta praticabilità metodologica del-l’operazione.

Per quanto riguarda il primo punto, l’oggetto della conoscenza, l’unica riflessione che al momento può essere svolta è che le mansiones furono al mo-mento della strutturazione del cursus publicus da parte di Augusto un elemento concreto di “moder-nità”, e forse anche di “surmodernità”. Nel senso che furono uno degli strumenti operativi per ri-disegnare un mondo, quello dell’impero euromediterraneo di Roma, caratterizzato da una inedita “densità” di eventi che dovevano essere oggetto di comunica-zioni incrociate tra centro e periferia, da un inedito continuo passaggio di scala tra la dimensione locale e quella “planetaria”, intesa ovviamente in termini di mondo conosciuto, e da una altrettanto inedita ne-cessità di mobilità delle persone, delle cose e delle informazioni. In buona sostanza i tre elementi che sono alla base della definizione stessa di

surmoder-nité da parte del suo teorizzatore9.

Appare dunque lecito riflettere su questo feno-meno storico anche da questo punto di vista: alla scala del microterritorio, l’installazione di una

man-sio prima – a Vignale, come vedremo, la nascita

della funzione di luogo di sosta assistita sembra na-scere ben prima dell’età augustea – e soprattutto il suo successivo inserimento nella rete del cursus

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blicus costituiscono decisamente un elemento di

no-vità/modernità decisivo e irreversibile. Una mansio costituisce di fatto un contatto diretto tra il micro-territorio in cui si insedia e una rete socio-economica assai vasta e questo contatto, una volta instaurato, diviene una caratteristica intrinseca di questo micro-territorio, in grado a sua volta di fungere da elemento morfogenetico attivo nella costruzione e nell’evolu-zione del paesaggio antropico circostante.

Più complesso, ma in fondo anche assai più sti-molante, appare invece sviluppare la riflessione sot-to il profilo mesot-todologico, ovvero valutare quali dei caratteri individuati come propri dei nonluoghi del-la surmodernità contemporanea possano avere qual-che possibilità di essere eventualmente riconosciuti per via archeologica in un sito antico e, se sì, in qua-le modo.

Allo stato, la riflessione all’interno del nostro gruppo di ricerca si è concentrata essenzialmente su tre aspetti, ritenuti passibili di avere una qualche leg-gibilità archeologica.

Il primo aspetto riguarda i reperti mobili e la di-namica di formazione della loro deposizione ar-cheologica. I nonluoghi della contemporaneità non sono mai stati studiati dal punto di vista delle tracce materiali che producono, ma si tratterebbe di un espe-rimento assai interessante per valutare il rapporto tra attività umane e tracce archeologiche in luoghi che hanno una dinamica di frequentazione così diversa da quella degli insediamenti più tradizionali.

I reperti di Vignale non avranno avuto certamente dinamiche di formazione analoghe (in una mansio ro-mana non si beveva in bicchieri usa e getta …), ma in prima battuta appare plausibile che una frequen-tazione “specializzata” da parte degli ospiti possa aver lasciato qualche traccia nel “rumore di fondo” generato dalla frequentazione stabile da parte del gruppo umano che invece visse nelle varie strutture del sito la propria vita quotidiana. La riflessione in questo senso è davvero solo agli inizi, ma, per esem-pio, indicatori assai sensibili delle attività microeco-nomiche quali le monete possono essere

tentativa-mente letti in questo senso ed offrire qualche accenno di risposta, come vedremo più avanti.

Il secondo aspetto riguarda ancora una volta i re-perti mobili, ma questa volta in una dimensione non antropologica (cioè non dal punto di vista dei loro utilizzatori) quanto piuttosto economica, cioè dal punto di vista dei bacini di approvvigionamento e di distribuzione.

A Vignale, come in tutti i siti antichi e tardoanti-chi dell’Etruria tirrenica, arrivavano merci da bacini di approvvigionamento diversi e da Vignale, come da tutti i siti produttivi della regione, partivano merci e derrate verso mercati diversi. Ora la questione è provare a leggere una eventuale particolarità di que-sti due bacini di approvvigionamento e distribuzione di Vignale alla luce della funzione di mansio asso-ciata al sito.

L’idea surmoderna dei nonluoghi intesi come “fi-lamenti urbani”10, ovvero di pezzi di città che si

estendono a “colonizzare” gli spazi liberi tra una città e l’altra, e la cui vita economica dipende in buona misura proprio da questa funzione di connes-sione tra centri urbani, appare davvero molto stimo-lante se applicata alla lettura del nostro contesto. Potrebbe, per esempio, costituire uno degli elementi differenziali più importanti nel garantire una più lunga sopravvivenza a questo tipo di siti rispetto al sistema delle villae, la cui natura di centri di produ-zione in qualche misura indipendenti dalla diretta connessione con i singoli mercati li rese vulnerabili al cambiamento su larga scala determinato dal mu-tare dell’organizzazione produttiva a scala mediter-ranea.

Il terzo aspetto, ancora davvero tutto da esplo-rare11, riguarda una possibile lettura della forma

fisica e dell’estensione topografica del sito antico di Vignale in termini di “sovrabbondanza spaziale”, ovvero di sovradimensionamento delle strutture e degli spazi (le terme viste nel 1830, gli ambienti di servizio della mansio da noi indagati, l’estensione complessiva del sito) plausibilmente legato proprio

10Augé 2009, p. 12

11Devo questa idea ad una discussione con Roberto Chia-riello, che sta svolgendo una tesi di laurea su questo

argo-mento, e mi limito quindi ad enunciare semplicemente la que-stione, lasciando a lui il compito di approfondire la rifles-sione.

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alla sua natura e alle funzioni che ad essa erano asso-ciate.

Come si vede, si tratta solo di primi abbozzi di una riflessione che è solo agli inizi, ma che ci sem-bra in qualche modo utile sviluppare per provare a cogliere al meglio le opportunità conoscitive che un sito complesso come Vignale ha, un po’ inaspettata-mente, rivelato e che ci sembra meritino di essere valutate.

(E.Z.) 2. Le forme di un insediamento minore nella lunga durata

Vignale, come appena ricordato, è un sito che possiamo definire complesso per la densità delle forme che nel corso del tempo l’attività dell’uomo ha impresso nel paesaggio naturale. È quest’ultimo probabilmente ad avere determinato almeno l’inizio della sua storia; la presenza della laguna con le ri-sorse legate alla pesca e all’itticoltura, i terreni fer-tili del bacino del Cornia adatti alla coltivazione dell’olivo e della vite e le risorse boschive dell’en-troterra hanno costituito fin da epoca antichissima le condizioni essenziali per lo stanziamento dell’uomo in questa parte della Toscana costiera, una sorta di scenario sullo sfondo del quale si sono di volta in volta esibiti gli attori principali e le comparse della sua storia (Fig. 5).

Ad un certo punto di questa storia, un fattore al-logeno come la costruzione della via Aurelia ha in-nescato un meccanismo di trasformazione che ha strutturato la rete degli insediamenti, trasformando quelli che erano piccoli nuclei rurali in elementi di un sistema di organizzazione del territorio. È acca-duto così anche per Vignale la cui felice posizione rispetto alle risorse naturali è stata enfatizzata dal trovarsi in uno dei pochi punti di contatto tra la via-bilità di terra scandita dal tracciato dell’Aurelia e

quella di mare che nella laguna di Falesia aveva un accesso diretto alle strutture portuali del mare aperto e allo stesso tempo una sorta di avamposto verso le isole dell’arcipelago toscano. Su questo scenario la storia di Vignale si è articolata per oltre un millennio in uno spazio che al momento non è precisamente circoscrivibile, ma che stimiamo intorno ai tre ettari. In questa dimensione spazio-temporale, che appare evidentemente fuori scala per un insediamento “mi-nore”, le più antiche tracce di una frequentazione sta-bile sono attestate per il momento solo da reperti spo-radici databili a partire dal VII-VI secolo a.C.12che

lasciano intravedere una fase preromana di cui non ab-biamo al momento evidenze più significative. I pro-babili resti di un insediamento etrusco rimangono in-fatti per noi inaccessibili, dal momento che le strut-ture più antiche finora individuate sono quasi total-mente coperte da quelle di epoca successiva, mentre i livelli ad esse associabili nell’area circostante sono stati cancellati dalla stratificazione dal costante riu-tilizzo dei medesimi spazi fino ad epoca tardoantica. Sebbene del tutto plausibile dal punto di vista stratigrafico, rimane quindi ancora da certificare l’at-tribuzione all’epoca etrusca di quella che ci appare oggi la traccia archeologica più antica leggibile sul sito (Fig. 6): una struttura semicircolare, costruita con blocchi di concotto che sembrano provenire dallo smontaggio di una fornace, e delimitata da un muro in opera semi-poligonale. Tali evidenze, certamente anteriori rispetto alle strutture di epoca medio re-pubblicana, cominciano a raccontare la lunga storia produttiva di Vignale con una delle costanti di que-sto territorio: la produzione di ceramica o laterizi fa-vorita dalla piena disponibilità di bacini argillosi, acqua e legname da combustione.

L’immagine del sito antico di Vignale comincia a definirsi meglio con le evidenze di un complesso edi-lizio, probabilmente da associare alla tipologia delle c.d. “fattorie etrusco-romane”13: di essa vediamo la

successione di tre ambienti allineati lungo quello

12Si tratta di materiali recuperati dall’Associazione Archeo-logica Piombinese negli anni precedenti l’inizio delle indagini archeologiche ed in particolare: una fibula in bronzo ed un’ansa di kyathos in bucchero (VII-VI secolo a.C.); un frammento per-tinente un cratere di produzione attica a figure rosse (V secolo a.C); alcuni frammenti di boccali di produzione corsa (IV

se-colo a.C.); cfr. Patera, Shepherd, Dallai, Zanini 2003, pp. 290-291.

13Per una prima sintesi tipologica cfr. Volpe 1990, pp. 110-114; uno degli esempi tipologicamente più vicini a quello di Vi-gnale sembra costituito dalla fattoria di Giardino Vecchio, presso Capalbio (Celuzza 1985).

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che appare come il primo tracciato di una strada

gla-reata che corre in direzione Est-Ovest e connessi con

un sistema di raccolta delle acque meteoriche che vengono canalizzate a bordo strada; gli ambienti erano probabilmente collegati ad un cortile con un semplice portico sul versante Nord (Fig. 4, a). Di essi rimangono i muri perimetrali, conservati poco sopra i livelli di fondazione, che potevano svilupparsi con un elevato in pisé e resti di preparazioni per i piani pavimentali; il riuso degli spazi come parti di servi-zio della successiva staservi-zione di posta non ha per-messo di associare alcun contesto a tali strutture, la cui cronologia è suggerita solo dalla presenza esclu-siva in quest’area e nei livelli più profondi del terreno arativo delle uniche monete databili tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C. finora rinvenute nello scavo. La connessione con la strada lascia supporre che anche in questa prima fase la fattoria potesse svolgere una qualche funzione di servizio per i viag-giatori che si spostavano lungo il tragitto costiero che già in questi anni poteva essere servito da un asse stradale romano.

La presenza di questa strada, che, almeno nel

tratto fin qui messo in luce, corre in direzione Est-Ovest e non in direzione Nord-Sud, come invece ci si sarebbe attesi, apre la questione della viabilità di terra in questa porzione di territorio, questione che però sembra ancora lontana dal comporsi in una visione unitaria. In essa si intrec-ciano infatti aspetti di ca-rattere cronologico e topo-grafico che non è qui possibile analizzare nel det-taglio, ma che possono es-sere riassunti in tre interro-gativi: quale Via Aurelia (la

Vetus, la Nova, o la Aemilia Scauri) abbia interessato

questo tratto costiero del-l’Etruria tirrenica; in quale epoca ciò sia avvenuto e dove sia posizionata la strada rispetto alla attuale SP 39, che ribatte il tracciato della Via Aurelia ottocen-tesca, la quale era a sua volta creduta ripercorrere so-stanzialmente il tracciato della strada antica.

Uno studio condotto su alcune fotografie aeree14

sembra identificare il tracciato antico in una anoma-lia parallela alla strada provinciale, ma spostata verso monte di qualche decina di metri rispetto ad essa. Si tratterebbe quindi di un tracciato Nord-Sud che al momento non trova però alcuna conferma ar-cheologica, visto che l’unico percorso stradale finora individuato si posiziona sull’asse Est-Ovest e che le diverse trincee scavate nell’ambito del processo di valutazione archeologica avrebbero dovuto verifi-care la consistenza dell’anomalia nota dalle fotogra-fie aeree; la stessa evidenza negativa è emersa anche dall’imponente scasso operato per l’ampliamento delle strutture della Direzione Nazionale di Unicoop Tirreno a Nord dell’area di scavo.

L’altra ipotesi, costruita sempre intorno ad un

14Cosci, Ferretti 2000. Fig. 5. - L’area di Vignale nel Catasto piombinese del 1821 (Quadro di unione): sono ben rico-noscibili i relitti del paesaggio naturale antico (la laguna, la macchia sulle colline) e quelli della stratificazione antropica antica e post-antica (la rete viaria, i toponimi).

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tracciato Nord-Sud, è quella che l’Aurelia antica si trovi al di sotto della attuale strada provinciale. Anche questa possibilità appare però poco verosi-mile: in primo luogo per la mancanza di qualsiasi in-dicazione di una strada nella pianta degli scavi condotti nel campo di Vignale nel 1831 e soprattutto per la sovrapposizione tra uno degli ambienti del complesso termale rinvenuto all’epoca (cfr. infra) e la strada moderna; la stessa sovrapposizione si ri-scontra anche con le strutture della stazione di posta venute alla luce nel corso del nostro scavo, ad indi-care quindi una evidente incompatibilità tra due ele-menti – la strada e la mansio – che dovrebbero invece avere tra loro un rapporto funzionale.

Un posizionamento a valle del tracciato moderno appare ugualmente complicato, soprattutto per la di-stanza troppo ravvicinata con l’arenile della laguna di Falesia15, che avrebbe esposto la strada a frequenti

impaludamenti, e anche per la presenza di un com-plesso di fornaci (cfr. infra) che doveva occupare una parte consistente dell’area più prossima alla costa.

Rimane la possibilità che l’Aurelia potesse atte-starsi alla base delle colline a Est del sito, forse sfrut-tando qualche tratto di viabilità preesistente. Sotto que-sto profilo, l’esistenza a Vignale della strada

glarea-ta di cui si è detto potrebbe costituire una occasione

per riflettere sulla effettiva articolazione della viabi-lità in questo punto della costa. È certamente possi-bile che la strada rinvenuta possa essere identificata come un diverticolo afferente alla viabilità principa-le, ma nulla toglie che la sua struttura e le sue di-mensioni possano benissimo connotarla anche come un asse primario. La sua stabilità nel paesaggio di lun-go periodo appare del resto testimoniata da una pla-nimetria ottocentesca (Fig. 5, alla didascalia “Via che da Carlappiano va a Vignale”) che riporta un asse di collegamento tra l’area lagunare e l’entroterra per-fettamente allineato con il tratto da noi individuato16.

Anche se la questione delle Aurelie rimane quindi al momento aperta, l’elemento della viabilità appare in ogni caso certamente una delle cause scatenanti della “esplosione insediativa” di Vignale nel corso dell’epoca tardo repubblicana e proto imperiale.

Nel corso del I secolo a.C., infatti, l’insediamento si trasforma in maniera significativa sia sotto il pro-filo dimensionale che morfologico con la costru-zione di una grande villa, le cui strutture, fin qui indagate solo attraverso alcuni sondaggi limitati, sembrano estendersi verso Nord per almeno 70 metri dalla strada glareata. Del complesso, si riconoscono un peristilio colonnato (Fig. 4, e), alcuni spazi di ser-vizio affacciati sul suo lato orientale e ambienti re-sidenziali sul lato settentrionale, caratterizzati da pavimentazioni musive a tessere bianche e nere di piccolo modulo e da rivestimenti parietali policromi. Gli ambienti della fattoria vengono inglobati come spazi di servizio, come dimostra un nuovo sistema di smaltimento delle acque dei tetti collegato al col-lettore posto a lato della strada; un sesterzio di

15Per la ricostruzione dell’antica linea di costa cfr. Bardi 2002; Camilli 2005; Isola 2006.

16Nel prosieguo della ricerca, sarà interessante valutare anche l’ipotesi che il tracciato cartografato possa essere l’ultima

trac-cia di un asse di centuriazione del territorio. A sostegno di que-sta ipotesi sembrano essere l’orientamento piuttosto preciso sul-l’asse Est-Ovest e la connessione con un primo edificio di sosta (la nostra “fattoria”), come accade in alcuni casi identificati in area emiliana (Ortalli 1996).

Fig. 6. - Planimetria schematica delle sovrapposizioni delle prin-cipali fasi di vita dell’insediamento nel suo nucleo principale.

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Agrippa del 27 a.C. rinvenuto al di sotto di una delle canalizzazioni costituisce il terminus post quem per la realizzazione del complesso. Ad una cronologia di seconda metà del I secolo a.C. rimanda anche l’impiego dell’opera reticolata nelle strutture della

villa17e la presenza di molte anse di anfore Dressel

1 riutilizzate come inerti nel conglomerato interno dei muri. Quest’ultimo elemento lascia supporre che già in questa fase funzionasse l’impianto per la pro-duzione dei laterizi e anfore che è stato solo parzial-mente indagato a Sud-Ovest della villa e le cui principali fasi di funzionamento sembrano inqua-drarsi circa un secolo più tardi (cfr. infra).

L’impiego dell’opera reticolata, d’altro canto, ap-pare piuttosto raro nell’Etruria costiera a Nord di Ro-selle, fatta eccezione per le ville delle grandi famiglie di rango che avevano possedimenti nelle isole dell’arcipelago toscano e in particolare al-l’Elba, dove le strutture indagate si datano proprio nel corso del I secolo a.C.18. Una delle spiegazioni

possibili per questa “anomalia” è che la proprietà di Vignale facesse capo a qualche famiglia eminente nel panorama urbano che poteva avere interessi eco-nomici nell’Etruria costiera19.

L’impiego dell’opera reticolata potrebbe essere anche legato ad una motivazione più funzionale, ov-vero alla possibilità che la villa, fin dal suo nascere, avesse assolto alle funzioni di ospitalità collegate al servizio del cursus publicus che Augusto aveva isti-tuito proprio nel periodo in questione20. L’opera

re-ticolata la connoterebbe come una delle prime stazioni di posta del cursus in corrispondenza di un nodo nevralgico tra le vie di terra (rete della Via Au-relia) e quelle di mare (laguna di Falesia, approdo di Piombino, imbarco per isola d’Elba)21.

La villa non sembra essere interessata da modifi-che strutturali significative fino alla metà del I se-colo d.C. . Sebbene non possa escludersi del tutto l’ipotesi che sia la fattoria che la villa avessero

as-solto alle funzioni di ospitalità per i viaggiatori che si spostavano lungo la Via Aurelia, è infatti solo in questa epoca che vediamo consolidarsi l’immagine della mansio. Una serie di interventi ben riconosci-bili raccordano infatti gli ambienti della villa con quelli della fattoria attorno al peristilio che viene adesso ristrutturato, al fine di trasformarlo nel cortile della mansio, cui si accede direttamente dalla strada. Anche lo spazio esterno dell’edificio sembra inte-ressato da alcune modifiche come attesta la presenza di un probabile abbeveratoio per gli animali posto in prossimità dell’ingresso e di cui rimane visibile la sola impronta negativa. Dal cortile si snodano i per-corsi che conducono i viaggiatori verso gli spazi di servizio posti a Est (ex-fattoria) e verso gli ambienti residenziali a Nord (ex-villa).

Questo è anche il momento in cui si percepisce la immediata disponibilità di una ingente quantità di la-terizi che vengono infatti impiegati in maniera esclu-siva per tutte le ristrutturazioni; quasi tutti i muri per-tinenti a questa fase sono infatti costruiti con la tecnica delle tegole fratte, che è impiegata anche nelle strutture delle fornaci che sorgevano in prossi-mità della laguna, quindi oggi oltre la strada provin-ciale, a circa 150 metri a Sud della stazione di posta.

La cronologia del funzionamento della stazione di posta appare quindi strettamente collegata a quella delle vicine fornaci. A tale proposito, la presenza tra i materiali edilizi di molte tegole bollate M FVLVI

ANT (Fig. 7) e il rinvenimento di una moneta di

Au-gusto nell’impasto di uno dei pavimenti in coccio-pesto sembrano indicare nell’ambito della prima metà del I secolo d.C. sia il momento di massima at-tività produttiva dei forni che la ristrutturazione della

mansio. Proprio rispetto alla stazione di posta, un

in-tervento significativo nei primi quaranta o cinquanta anni del I secolo d.C. si concilierebbe particolar-mente bene con l’istituzione del cursus vehicularis da parte di Tiberio22.

17Il problema della datazione dell’opus reticulatum in am-bito urbano è discusso da un punto di vista mensiocronologico in Medri 2001.

18Pancrazzi, Ducci 1996, Casaburo 1997 (Elba); Ducci 2003 (Gorgona).

19Per un quadro delle famiglie di rango presenti nella zona cfr. Gliozzo, Manacorda, Shepherd 2004.

20SUET, Aug. 49,3; PLUT. Caes. Aug. 8.

21In generale sulle tematiche storico-archeologiche connesse con il sistema delle stazioni di posta nel mondo romano cfr. Corsi 2000.

22Cfr. epigrafe da Burdur, in Turchia discussa in Di Paola 1999, pp. 20-31.

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L’età tiberiana è anche il periodo in cui la tradi-zione degli studi colloca l’operato di Marco Fulvio Antioco23, al momento l’unico officinator che

sap-piamo essere attivo nell’impianto produttivo di Vi-gnale24che era organizzato intorno ad almeno due

fornaci rettangolari attive in successione che produ-cevano laterizi, anfore Dressel 1 e 2/4 e ceramica co-mune (Fig. 8).

Le strutture, per il momento solo messe in luce nel-le loro linee essenziali in attesa di uno scavo pro-grammato, sono conservate al livello delle camere di combustione e non rimane dunque nulla di quanto do-veva svilupparsi al di sopra del piano forato. Anco-ra nebuloso appare anche il contesto ambientale in cui i forni funzionavano, dal momento che un solo son-daggio condotto sull’area aperta circostante ha rive-lato, in una serie di evidenze relative alla preparazione dei materiali da cuocere, un alto potenziale informa-tivo di questa parte dell’insediamento che meriterà quindi di essere indagata in estensione e con una ot-tica molto aperta sul paesaggio e le sue risorse (ba-cini di approvvigionamento del legname da ardere e dell’argilla).

Qualche ulteriore suggestione viene dai materiali sporadici recuperati nel campo: la presenza di ami in bronzo e di pesi fittili per le reti da pesca suggerisce la percezione di un paesaggio molto più “acquatico” di quanto oggi non appaia e delinea l’immagine della laguna come di un elemento strutturale “forte” del paesaggio stesso: sia sotto il profilo della produ-zione di derrate alimentari, sia nella sua funprodu-zione di potenziale veicolo per i prodotti delle fornaci verso il mare aperto.

Alla felice posizione nel punto di incontro tra le vie di mare e di terra, alle risorse dell’entroterra (le-gname, argilla, suoli adatti alle coltivazioni) e della laguna (itticoltura, pesca, via di comunicazione) la

villa-mansio deve la sua lunga vita. La sua continuità

di utilizzo è infatti testimoniata dalla presenza di di-verse monete che coprono tutto l’arco cronologico compreso tra il II secolo e la fine del IV-inizi V se-colo. Si susseguono in questo lungo periodo una serie di interventi sugli edifici del complesso che

in-teressano soprattutto il cortile porticato e gli am-bienti a Nord di esso. Nell’area settentrionale infatti alcuni ambienti di grandi dimensioni vengono fra-zionati in spazi più piccoli e nuovamente decorati con intonaci dipinti. Ma è il cortile porticato lo spa-zio in cui si interviene maggiormente: in una epoca che per il momento non è possibile definire meglio, viene costruito un piccolo balneum nell’angolo sud-orientale vicino all’ingresso, forse ad ulteriore ser-vizio dei viaggiatori; si tratta di due soli ambienti tra loro collegati, di cui quello occidentale utilizzato probabilmente come prefurnio. Interventi cospicui riguardano anche la pavimentazione del cortile cen-trale e, in sequenza, il restauro di almeno una parte del tetto.

Non sappiamo come fosse allestita la pavimenta-zione del cortile durante la sua prima fase; certa-mente ad un certo punto della sua storia il piano ori-ginario viene sostituito da una pavimentazione in grandi basoli di pietra. Un sondaggio condotto in corrispondenza di una lacuna del basolato non ha evidenziato alcuna preparazione relativa al primo allestimento, ma ha restituito un frammento di fon-do di una forma aperta di sigillata tarfon-doitalica con un bollo di L. Rasinius Pisanus la cui cronologia ap-pare invero piuttosto ampia, ma comunque colloca-bile nella piena età imperiale25. Correlata a questa

23Pallecchi 2002, pp. 179-180 con bibliografia e Patera, She-pherd, Dallai, Zanini 2003, p. 291.

24Giorgi, Patera, Zanini 2009 con bibliografia precedente. 25Medri 1992, pp. 122-123, indica, sulla base dei contesti Fig. 7. - Tegola bollata con il nome di M. Fulvius Antiochus. Questo bollo è attestato in almeno venti esemplari sul sito.

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evidenza appare anche la trac-cia di un rifacimento, sempre in basoli di grandi dimensioni, di un tratto della strada glareata, lasciando intravedere quindi la possibilità di ricondurre en-trambi gli interventi nell’ambi-to di una più generale operazio-ne di riassetto della mansio. Se è vero che la pratica di basolare le strade in area extra urbana sembra divenire comune solo a partire dal II secolo26,

potrem-mo leggere gli interventi rico-nosciuti a Vignale in un più am-pio quadro di ridefinizione qua-le potrebbe essere quello conse-guente alla riforma del cursus

publicus promossa da

Adria-no27.

In questo contesto si inseri-rebbe anche la costruzione del complesso termale individuato nel corso degli scavi del 1830-31. Come si è accennato, queste terme sono note solo da una pla-nimetria redatta all’epoca che non è purtroppo possibile geo-referenziare, ma che restituisce

l’articolazione di un edificio di grandi dimensioni. Ad una epoca forse successiva può invece essere ricondotto un riassetto delle coperture del portico, certificato dalla costruzione di pilastrini in mattoni a tamponamento degli intercolumni dell’angolo nord-orientale; a questo stesso intervento potrebbe essere del tutto ipoteticamente associabile una moneta di Magna Urbica (283-285 d.C.) rinvenuta tra le tegole crollate di una porzione del tetto e che potrebbe quindi datare una risistemazione dello stesso alla fine del III secolo d.C. (Fig. 9).

Al momento del crollo delle coperture del por-tico, alcuni spazi della mansio appaiono già sensi-bilmente trasformati; una serie piuttosto numerosa di monete di piccolissimo conio, rinvenute sotto i crolli e databili tra la fine del IV e l’inizio del V secolo, appaiono infatti associate a tracce di attività artigianali forse collegate al recupero degli elementi di piombo delle tubature idriche evidentemente almeno in parte dismesse nella parte prospiciente la strada.

Nell’angolo nord-occidentale del portico

ven-stratigrafici di Ostia, la prevalente documentazione in età domi-zianea e traianea, con una possibile cessazione a partire dal-l’epoca adrianea. Per una ipotesi di rialzamento anche sensibile della data iniziale di attività di questa bottega cfr. Rossetti Tella 1996, pp. 401-411.

26Pastorelli 2007.

27La riforma di Adriano intese scaricare i municipi nei cui territori ricadevano le stazioni del cursus publicus dalle respon-sabilità gestionali che erano affidate a dei praefecti vehiculorum la cui attività è attestata epigraficamente a partire dal II secolo d.C. (cfr. Black 1995, pp. 4-16).

Fig. 8. - Il complesso delle fornaci in una foto zenitale da aquilone di Paolo Nannini (http://www.flickr.com/photos/opaxir).

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gono inoltre allestite le prime sepolture – tre quelle finora individuate – tagliando la pa-vimentazione e recuperando i basoli per delimitare le fosse, all’interno delle quali gli inumati sono disposti senza corredo con i crani orientati a Nord-Ovest (Fig. 10).

Questi elementi, che ap-paiono evidentemente come sintomi di un generale qua-dro di destrutturazione, con-trastano con quanto si regi-stra nell’area della ex villa dove, all’interno di alcuni scarichi, sono stati rinvenuti alcuni reperti ceramici di im-portazione che aprono una prospettiva del tutto inattesa e nuova sulla vita ultima di Vi-gnale. Si tratta in particolare di due lucerne sostanzial-mente integre e di almeno un grande piatto da mensa di si-gillata africana che testimo-niano come ancora nella prima metà del V secolo arri-vassero prodotti di importa-zione sulla tavola del proprie-tario della villa-mansio, che era quindi all’epoca ancora almeno in parte funzionante: non quindi una villa più o meno diruta sul limitare della laguna, ma, stando anche alla quantità delle monete con-frontata con quella di coevi contesti prettamente residen-ziali, un luogo di sosta con caratteristiche che potremmo definire “di rango”. L’imma-gine non è molto lontana da quella evocata dai versi di Rutilio Namaziano proprio in

Fig. 9. - Il crollo delle strutture del cortile porticato della mansio al momento dello scavo. In primo piano i resti del piccolo balneum allestito nell’angolo dell’ambulacro in età medioim-periale.

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corrispondenza del suo scalo a Falesia28, la cui

lo-calizzazione plausibile non è lontanissima da Vi-gnale, quando il poeta viene accompagnato nel-l’entroterra per una escursione che lo porta proprio nei pressi di una villa gestita da un inospitale

con-ductor.

La presenza delle sepolture in uno degli angoli del cortile già prima del collasso delle coperture rimane comunque una evidenza problematica in un quadro generale di vitalità e continuità di funzioni che po-trebbe interessare tuttavia soltanto una parte dell’in-sediamento. La posizione delle tombe infatti, molto prossima all’area ancora abitata e costruita, potrebbe connotarle come sepolture privilegiate, forse dettate da un nuovo punto focale dell’insediamento che an-cora non conosciamo. Così come accade in altre sta-zioni di posta29, anche a Vignale potrebbe essere

in-fatti sorto nel frattempo un edificio religioso all’interno o nelle immediate vicinanze della

villa-mansio. Unica traccia in tal senso è, in un’epoca

molto successiva, l’associazione nelle fonti scritte del toponimo Viniale con la pieve altomedievale di S. Vito in Cornino che non è ancora stata localizzata in maniera convincente30.

Dal punto di vista strettamente archeologico pos-siamo soltanto rilevare, in una fase evidentemente successiva alla sua ultima vita, la trasformazione in area cimiteriale degli spazi della villa-mansio: una vasta necropoli occupa infatti gran parte dell’area settentrionale dell’insediamento con diverse decine di tombe che tagliano i pavimenti di cocciopesto della villa e che si dispongono lungo il muro peri-metrale di quello che appare essere un ampio spazio aperto31. Gli inumati sono disposti in semplici fosse

terragne, senza alcun materiale di corredo ed orien-tati Est-Ovest; una cronologia della loro deposizione, seppure indicativa, appare al momento suggerita sol-tanto da alcuni elementi di ornamento personale,

ge-nericamente databili al VI-VII secolo, recuperati nel tempo tra i materiali di superficie32.

Da questo momento in poi Vignale sembra scom-parire; probabilmente l’insediamento si sposta sulle colline circostanti dove però il primo castello è atte-stato solo nel 1077. La menzione del toponimo

Vi-niale è però ben più antica (980) e collega per la

prima volta questo territorio con i possedimenti della

curtis di S. Vito in Cornino che è nota fin dal 906

come centro di riferimento dei vescovi lucchesi per l’amministrazione dei propri patrimoni nella zona. 3. Le tracce archeologiche di un nonluogo

Come già anticipato nella prima parte di questa riflessione, per molti – forse troppi – aspetti risulta difficile comprimere Vignale dentro la categoria degli insediamenti minori; c’è troppa abbondanza di tempo, di spazio e di “cose” per un insediamento mi-nore, ma mancano d’altro canto le caratteristiche che possano qualificare il sito come nodo centrale di una rete e quindi di fatto come insediamento “maggiore”. Finisce che la cosa più semplice è definire ciò che Vignale non è; non è solo una fattoria, non è solo una

villa o solo un impianto di fornaci, non è solo una mansio né tanto meno solo una necropoli.

Anche oggi Vignale non è; non è un paese, ma non è neppure soltanto una azienda agricola, né solo la sede di Unicoop Tirreno; è una stazione ferrovia-ria dove però non è quasi possibile salire o scendere da un treno; è uno svincolo stradale che porta con il percorso più breve all’imbarco per l’isola d’Elba e ad una serie di siti produttivi (le acciaierie, la Dire-zione di Unicoop Tirreno). Molti elementi che ven-gono dalla sua storia passata sono anche quelli della storia di oggi; un rapporto stretto con la viabilità, la presenza di merci in arrivo e in partenza, un avam-posto verso le isole dell’arcipelago toscano, un luogo

28RUT. NAM. red., 371-386.

29Il caso topograficamente più vicino è quello di Torretta Vecchia-Collesalvetti, in cui la Pieve di S. Lorenzo in Piazza sorge in epoca altomedievale nelle vicinanze della villa-mansio, lungo il tracciato che collegava la via Emilia al Portus Pisanus (una sintesi in Palermo 2008).

30Farinelli 2007, pp. 80-81.

31Le sepolture – in numero di circa 40 – sono state indivi-duate all’interno di una lunga trincea durante la fase di valuta-zione del potenziale archeologico ed immediatamente ricoperte in attesa di poter avviare una indagine in estensione o almeno mirata su un campione significativo del totale.

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di passaggio; per dirla con M. Augè un nonluogo, cioè uno spazio non identitario per la circolazione accelerata dei beni e delle persone che vi si incro-ciano senza incontrarsi.

Vignale corrisponde all’identikit del nonluogo certamente oggi, ma forse ha cominciato ad essere un nonluogo in passato, almeno da quando ha fun-zionato la villa-mansio.

Dal punto di vista metodologico si possono co-gliere le eventuali tracce di un nonluogo? In altre parole: i nonluoghi sono visibili archeologica-mente? Non è stato finora mai applicato un metodo archeologico alla conoscenza dei nonluoghi; per il momento nessuno ha mai analizzato quali tracce la-scino ad esempio gli utenti di una stazione di ser-vizio moderna e quali informazioni possano essere desunte da queste tracce come proprie del nonluogo rispetto al rumore di fondo. Ne deriva che non co-nosciamo la fenomenologia dei nonluoghi; per ana-lizzarla servirebbe una categoria di pensiero oltre la surmodernità. Dobbiamo quindi lavorare con ciò che abbiamo: ma le nostre comuni coordinate di ri-ferimento (cronologia e tipologia) e i nostri fossili guida (strutture, reperti mobili) vanno ancora bene per ricostruire e raccontare una storia di nonluo-ghi?

Il fatto che i nonluoghi raramente esistano in forma pura e che siano quasi sempre interconnessi, attraverso molteplici sfumature, ai luoghi non facilita il compito di chi tenta di rilevare alcune differenze tra due sfere che sono separate da una barriera molto fluida. Di conseguenza oltre a trovarci nel campo aperto delle ipotesi, disponiamo di un sistema di segni più che polisemantico: le tracce dei luoghi e dei nonluoghi possono essere le stesse, ma hanno si-gnificati e implicazioni diverse.

Partiamo dal rapporto osmotico tra luoghi e nonluoghi; i secondi esistono se esistono i primi. Questa considerazione proiettata nel contesto di Vi-gnale ci porta a riconoscere la pre-esistenza di un luogo, la fattoria e poi la villa rispetto al nonluogo della mansio. Quest’ultima non esiste in forma pura, ma ha un rapporto stretto con ciò che preesi-ste, ovvero con il luogo, quell’insediamento stabile che costituisce una sorta di sfondo rispetto al

non-luogo e che infatti perdura dopo la fine della

man-sio/nonluogo.

Sulla base di queste considerazioni possiamo così schematizzare la sequenza insediativa di Vignale nell’ottica antropologica della surmodernità:

Adesso si tratta di capire se abbiamo degli argo-menti validi per supportare la nostra idea. Ci sono degli indicatori archeologici che possono riflettere l’alternanza che stiamo ipotizzando o che possono comunque aiutarci a distinguere luoghi e nonluo-ghi a partire dalle tracce che riconosciamo sul terreno?

Come si è accennato nella prima parte di questo contributo, un primo ambito potenziale di indagine riguarda i reperti mobili da un punto di vista antro-pologico, ovvero in quanto portatori di un signifi-cato che rimanda ai loro utilizzatori. In questa ottica non è semplice delineare i caratteri di un uso episo-dico di determinati oggetti che sia riconducibile in maniera esclusiva ai viaggiatori che si fermavano nella mansio rispetto ad una occupazione stabile del

vicus circostante. Il conductor e la sua famiglia, così

come gli altri abitanti delle immediate vicinanze, avranno avuto a disposizione una serie di oggetti per la vita domestica e quotidiana non distinguibili da quelli dati in uso ai viaggiatori che occasionalmente si trovavano a Vignale.

Qualche risultato migliore si ottiene forse analiz-zando i rinvenimenti monetali che costituiscono uno degli indicatori principali delle attività microecono-miche di un sito. Sebbene quello di Vignale sia un campione numismatico piuttosto critico per diverse ragioni, la serie monetale non conosce soluzione di continuità dal I secolo a.C. per tutta l’epoca impe-riale e merita quindi una prima riflessione.

Le criticità sono molteplici: le monete che sono giunte fino a noi costituiscono solo una minima parte di quanto è circolato sul sito nel corso della sua lunga storia, perché la porzione dell’insediamento che finora abbiamo indagato è ancora quantitativa-mente e qualitativaquantitativa-mente debole dal punto di vista

fattoria → villa = luogo

villa/mansio = nonluogo insediamento tardoantico/necropoli → pieve → castello = luogo

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statistico (meno del 5% della superficie totale e una rappresentatività non omogenea delle diverse com-ponenti del sito) e perché alcuni decenni di attività clandestine hanno profondamente alterato il cam-pione sia in termini di numeri, sia in termini di rap-presentatività, dal momento che i metal detector hanno verosimilmente strappato dalla stratificazione essenzialmente monete di buona epoca imperiale, caratterizzate da tondelli di maggiori dimensioni e quindi più “visibili” agli strumenti.

Fatte salve queste criticità, che è tuttavia bene te-nere a mente nello sviluppo della nostra riflessione, quello di Vignale appare tuttavia un contesto numi-smatico significativo perché racconta la storia di una continuità interessante.

La serie si apre con due monete tardo-repubbli-cane databili tra la fine del III e la metà del II secolo a.C. e si chiude con una moneta di Teodosio II, quindi nella prima metà del V secolo. Fino a tutto il I secolo d.C. le monete attestate non sono molte; in questo set gli esemplari di epoca augustea e giulio-claudia sanciscono la fase di impianto della mansio e sono quindi particolarmente utili, in un contesto stratigrafico complesso come quello di Vignale, per stabilire la cronologia delle strutture, ma non resti-tuiscono una “immagine economica” della vita del-l’insediamento, né rispetto alla microeconomia della vita nella mansio, né rispetto alla macroeconomia della villa. La bassa frequenza di attestazioni deli-nea un quadro di macrosistema di cui Vignale costi-tuisce solo un piccolo ingranaggio, quello della rete viaria romana e/o della gestione delle risorse del ter-ritorio attraverso le ville che rende i piccoli centri quasi invisibili sotto il profilo numismatico.

Vignale tocca il suo “minimo numismatico” tra la fine del I ed il II secolo d.C., quando il sistema delle ville dell’Etruria tirrenica comincia a scric-chiolare. Il sito però non muore, probabilmente per-ché la presenza della stazione di posta, che continua a funzionare, costituisce un fattore di stabilità che però non vive più in quanto elemento di un ingra-naggio più grande, ma torna ad attingere al substrato delle risorse microecologiche del territorio. Vignale sembra adesso uscire dalla sua immagine di non-luogo legato a una sfera macroeconomica per tor-nare ad essere un luogo, probabilmente un vicus con

tutta la sua rete di relazioni, anche e ancora con i viaggiatori, che si coglie proprio nella serie delle monete: un picco di attestazioni tra il III e la fine del IV-inizi V secolo racconta il riemergere di una mi-croeconomia vitale, presumibilmente legata alle ca-ratteristiche del luogo piuttosto che alle funzioni del nonluogo.

Il ruolo giocato dalla mansio nel processo di ri-definizione del rapporto del sito con il proprio terri-torio si configura come uno degli elementi di maggiore interesse. Le mansiones, una volta co-struite, si consolidano come elementi stabili di un territorio rappresentando un elemento durevole nel paesaggio. La loro lunga durata è dovuta al fatto che rispondono in modo mutevole ad esigenze tenden-zialmente durevoli, che sono in primo luogo l’esi-genza di ospitalità per tutti coloro che si muovono lungo il sistema stradale. Sono nonluoghi dinamici, che si adattano a un mondo che cambia intorno a loro, rinegoziando ogni volta il loro rapporto con questo mondo.

Nel caso di Vignale il rapporto tra la funzione di

mansio e il microterritorio si modifica all’alternanza

luoghi/nonluoghi/luoghi:

– una mansio “privata” di epoca tardo-repubblicana, in realtà una fattoria in cui la funzione di ospitalità si configura come una sorta di reddito accessorio ri-spetto all’attività principale dello sfruttamento agri-colo del microterritorio;

– una mansio “pubblica” di epoca protoaugustea in cui la funzione di mansio inserita nel sistema codificato del cursus publicus prevale sulle attività del micro-territorio;

– una mansio “appaltata” di epoca imperiale in cui la funzione di mansio si inserisce in una rete di attività microeconomiche legate alle risorse e alle vocazioni produttive del microterritorio (le fornaci, la laguna, il commercio locale).

Il secondo aspetto caratteristico dei nonluoghi che abbiamo individuato come potenzialmente leg-gibile dal punto di vista archeologico riguarda an-cora i reperti mobili, ma sotto un profilo economico. La funzione di mansio influenza le caratteristiche della circolazione delle merci di un sito e i suoi ba-cini di approvvigionamento e distribuzione? Ovvero:

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33CIL XIV, 2443 su un dolio proveniente dall’Esquilino e

CIL XIV, 1161 su un laterizio rinvenuto presso la Farnesina.

34Patera, Shepherd, Dallai, Zanini 2003, p. 293. 35Sulla tipologia delle ville marittime cfr. Lafon 2001.

i reperti di un insediamento possono indiziarci alla individuazione un nonluogo?

Nella teoria dei nonluoghi della surmodernità, questi sono indicati anche con l’interessante espres-sione di “filamenti urbani”. I filamenti urbani pos-sono essere definiti come pezzi di città fuori dalla città che vengono a colmare gli spazi liberi tra i di-versi centri. Il loro rapporto con la città è una rela-zione di emanarela-zione che tende a replicare, anche in luoghi lontani, le stesse funzioni con le stesse mo-dalità. Questo fenomeno si riscontra chiaramente nelle nostre stazioni di servizio che risentono del centro a loro più vicino, per esempio nei prodotti ga-stronomici che sono in vendita. Qualche riflessione interessante su questa lunghezza d’onda può essere sviluppata anche per Vignale. La sua funzione di

mansio stabilisce un filo diretto con il punto zero

della rete viaria, Roma. Le stazioni di posta possono connotarsi come pezzi di città lontani dalla città: in esse il viaggiatore trova in piccolo le funzioni urbane (ad esempio le terme) in un ambiente che si connota come familiare.

Se proviamo a pensare a Vignale come ad un fi-lamento urbano, alcune apparenti anomalie potreb-bero trovare una loro spiegazione. Quella storica-mente più nota è la presenza sia a Vignale che a Roma dei laterizi bollati da Marco Fulvio Antioco33.

Fino all’inizio delle nostre indagini, questo era uno degli argomenti più “forti” per sostenere l’interpre-tazione del sito come sl’interpre-tazione di posta: le strutture della mansio sarebbero state costruite con materiali edilizi di provenienza urbana, in un processo simile a quello di una commessa statale34. La scoperta delle

fornaci di Vignale e le analisi condotte su alcuni dei laterizi che hanno escluso una loro provenienza dal-l’area campano-laziale hanno invece posto questo elemento sotto una luce diversa, prospettando un ri-baltamento del punto di vista, ovvero la partenza di laterizi bollati da Vignale alla volta di Roma e, di conseguenza, lo spostamento della attività di Antioco da Roma a Vignale. Quale che sia stata la direzione di tale trasferimento, i laterizi di Antioco saldano in una relazione diretta un insediamento minore della

Toscana costiera e la città di Roma, una connessione che appare certamente meno anomala se pensiamo a Vignale come ad un filamento urbano.

Sempre in questa ottica può essere analizzato l’impiego a Vignale dell’opera reticolata nelle strut-ture della villa, quindi nella fase precedente quella della mansio. Come si è già avuto modo di dire, nel-l’area a Nord di Roselle, questa tecnica sembra es-sere attestata quasi esclusivamente nelle ville di maggior prestigio e in particolare nelle residenze che le famiglie patrizie di Roma si erano costruite nelle isole dell’arcipelago toscano. Pensare a Vignale come a una villa di rango di proprietà di una qualche famiglia romana è certamente possibile; anche se an-cora poco sappiamo della sua articolazione plani-metrica, le sue dimensioni e la sua posizione sulle rive della laguna di Falesia la caratterizzerebbero come una sorta di villa maritima, forse anche con funzioni di approdo35di cui avrebbero potuto

ser-virsi le famiglie patrizie nei loro trasferimenti alla volta delle isole.

Diversamente, la presenza dell’opera reticolata potrebbe trovare una sua spiegazione in una sfera to-talmente pubblica, caratterizzando un edificio, o me-glio una funzione, che esiste solo in virtù dell’esi-stenza e del funzionamento una rete strutturata, quella del cursus publicus istituito in epoca augustea. Se letta in entrambe le prospettive indicate, la pre-senza di una tecnica edilizia può quindi proiettare un sito rurale in uno scenario più ampio che travalica i confini dell’Etruria e può lasciar intravedere anche in un insediamento minore come Vignale la proiezione di una grande città, dei suoi modi di vivere, delle sue funzioni e delle sue forme di autorappresentazione. Questa sua connotazione di filamento urbano gioca probabilmente un ruolo non secondario anche nella durata complessiva della vita dell’insediamento e, forse, nella qualità delle sue relazioni economiche e commerciali.

I reperti più tardi che siamo stati per il momento in grado di identificare sono alcuni frammenti di ce-ramica da mensa di importazione africana che si da-tano solo a partire dall’inizio del V secolo d.C.

(21)

Come e perché sulla tavola del proprietario della

villa/mansio di Vignale arrivano ancora in questa

epoca stoviglie di questo tipo? Possono essere lette anch’esse come tracce di una rete di relazioni che Vignale non avrebbe mai avuto se la sua vita non si fosse legata a doppio filo con quella di un central

place come Roma? Proprio in virtù di un legame del

genere, quella di Vignale potrebbe essere stata la

villa/mansio in cui si sarebbe potuto fermare proprio

all’inizio del V secolo un viaggiatore del rango di Rutilio Namaziano. In fondo non è importante sta-bilire se questa ipotesi abbia qualche concreto fon-damento, quanto piuttosto delineare un quadro di possibilità entro cui quella sosta avrebbe potuto dav-vero avere luogo.

Un ultimo elemento su cui appuntare l’attenzione è rappresentato dall’aspetto dimensionale del sito di Vignale, perché un ulteriore elemento che caratte-rizza i nonluoghi della nostra contemporaneità è pro-prio il sovradimensionamento degli spazi connessi allo svolgimento di determinate funzioni.

Sotto questo profilo, la nostra riflessione è dav-vero solo agli inizi, anche perché non disponiamo ancora di una mappatura sufficientemente precisa degli edifici e degli spazi.

Ma già almeno due elementi, entrambi poten-zialmente interessanti, cominciano a emergere: l’estensione complessiva del sito e la sua tendenza a svilupparsi nel tempo nella dimensione orizzontale più che in quella verticale.

L’estensione complessiva sembra poter essere sti-mata in almeno tre ettari, suddivisa in due nuclei principali: quello della villa-mansio con il grande complesso termale annesso e quello del complesso delle fornaci.

La superficie occupata dalla sola villa (approssi-mativamente m 70 x 70) è sostanzialmente analoga a quella dell’intero complesso residenziale-produt-tivo di Settefinestre (con l’esclusione del granaio e del porcile), l’insieme delle strutture collegate al fun-zionamento della mansio (villa + terma + porzione dell’antica fattoria reimpiegata) dovrebbe superare largamente l’ettaro.

Siamo quindi di fronte a dimensioni molto signi-ficative e apparentemente fuori scala rispetto al con-testo socio-economico complessivo di riferimento

che possiamo ipotizzare per il nostro sito, che sem-bra quindi qualificarsi per una sorta di “abuso” dello spazio a disposizione con una sovrabbondanza di spazi rispetto alle necessità “fisiologiche” di funzio-namento della struttura residenziale, produttiva e di servizio.

La stessa immagine è suggerita anche dalla logi-ca di sviluppo “additivo” degli spazi e degli edifici: in nessun punto si coglie a Vignale una sovrapposi-zione fisica fra le strutture pertinenti alle diverse fa-si e l’intera sequenza stratigrafica deve essere rico-struita solo attraverso l’analisi dei “punti di aggan-cio” in orizzontale tra le diverse componenti.

Un ulteriore elemento su cui sarà opportuno ri-flettere è infine rappresentato dalla dinamica tempo-rale in cui questa sovrabbondanza spaziale si esplicita. Sito certamente minore in epoca pre-ro-mana e in epoca medio-repubblicana, Vignale “esplode” dal punto di vista dimensionale in coinci-denza con l’arrivo in quest’area della rete infrastrut-turale romana che ne esalta le potenzialità economiche, produttive, commerciali e di servizio.

Quando le prime vengono meno – in coincidenza con la grande crisi che nel II-III secolo determinerà la fine di molte delle ville dell’Etruria tirrenica – commercio e servizio sembrano continuare a rap-presentare un elemento vitale che assicura una con-tinuità di vita e funzionamento di una struttura così estesa che non denuncia, in questa fase, sintomi evi-denti di decadenza.

La crisi sembra arrivare, in maniera apparente-mente repentina, solo alla metà del V secolo, quando il collasso del sistema infrastrutturale e dei grandi

central places del sistema economico romano (le

città), inquadra il contesto generale in cui sembra in-serirsi benissimo anche la crisi dei nonluoghi - fila-menti urbani che di quei sistemi erano uno degli elementi costituivi e caratterizzanti.

(E.G.) Bibliografia

Abélès M.-Augé M. 1994: Non-lieux. Introduction à une

anthropologie de la surmodernité, in L’Homme, vol.

Figura

Fig. 2. - La geografia storica del microterritorio nella lunga durata (base GoogleMaps - 20/07/2007): a) “corridoio ferroviario-auto- ferroviario-auto-stradale tirrenico”; b) SP 523 (ex SS1-Aurelia); c) area della villa-mansio; d) area del complesso di for
Fig. 4. - La complessità morfologica di un sito “minore” (base foto  zenitale  da  aquilone  di  Paolo  Nannini: http://www.flickr.com/photos/opaxir, ottobre 2012): a) fattoria “etrusco-romana”?; b) strada glareata; c) villa; d) mansio; e) cortile basolato
Fig. 6. - Planimetria schematica delle sovrapposizioni delle prin- prin-cipali fasi di vita dell’insediamento nel suo nucleo principale.
Fig. 8. - Il complesso delle fornaci in una foto zenitale da aquilone di Paolo Nannini (http://www.flickr.com/photos/opaxir).
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