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Povertà e politica del diritto: alcune riflessioni a margine di un volume di Elisabetta Grande

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Academic year: 2021

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Povertà e politica del diritto: alcune riflessioni a margine di un volume di E. Grande.

di Elisa Ruozzi

1. La povertà come problema giuridico - 2. Globalizzazione e povertà - 3. Le scelte degli Stati di fronte alla povertà: le responsabilità del diritto - 4. Diritto ad un alloggio dignitoso e responsabilità dello Stato.

1. La povertà come problema giuridico

La povertà è un problema (anche) giuridico? A questo interrogativo è dedicato il recente volume di Elisabetta Grande dal titolo Guai ai poveri. La faccia triste dell’America (Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2017). Come risulta chiaramente fin dalle prime pagine, l’originalità del lavoro risiede nella scelta di trattare un tema sovente analizzato secondo un approccio socio-economico adottando invece il punto di vista della scienza giuridica e, più precisamente, di considerare se la povertà possa essere il risultato anche di precise scelte di politica del diritto da parte degli Stati. L’Autrice costruisce la risposta – positiva – alla domanda con preciso riferimento all’ordinamento statunitense, prendendo tuttavia in esame una serie di fenomeni, fra cui quello della globalizzazione economica, la cui portata investe l’intera comunità degli Stati, ciò che consente di estendere perlomeno alcune delle conclusioni raggiunte ad ambiti diversi da quello specificamente oggetto dell’indagine. Il legame esistente fra la povertà e determinate scelte degli Stati Uniti in campo giuridico viene illustrato dimostrando come, in diversi ambiti del diritto, legislazione e giurisprudenza siano in grado di aggravare o addirittura determinare situazioni di indigenza, e di contribuire ad incrinare i legami di solidarietà sociale tramite una rappresentazione del “povero” come individuo non solo colpevole della propria condizione, ma altresì pericoloso. Particolare attenzione viene dedicata, all’interno dell’opera, al tema degli homeless, considerati uno dei risultati più evidenti – tanto da costituire, per alcuni settori della società, un problema anche di natura estetica – del processo di progressivo impoverimento di un ampio strato della popolazione.

Nonostante l’analisi che viene condotta sia di stampo giuridico, il fenomeno della povertà negli Stati Uniti viene altresì inquadrato dal punto di vista quantitativo. Fra i dati che vengono forniti spicca, in particolare, il numero di persone che, in questo Stato, non riesce a far fronte ai bisogni più elementari (all’incirca 105 milioni, corrispondente ad un

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terzo della popolazione) oppure la percentuale di lavoratori che percepisce un salario orario che a malapena garantisce la sopravvivenza (all’incirca la metà dei lavoratori statunitensi). In questo contesto, l’Autrice pone altresì l’accento sui problemi metodologici legati alla stima del fenomeno della povertà, i quali assumono particolare rilevanza per quanto concerne il numero delle persone senza casa. Leggendo poi i dati in questione alla luce di alcuni aspetti qualitativi – come ad esempio il fatto che le condizioni dei dormitori pubblici siano talvolta incompatibili con i più elementari requisiti in termini di igiene e sicurezza – il fenomeno assume dimensioni ancora più preoccupanti.

2. Globalizzazione e povertà

Se, da un lato, la povertà è strettamente collegata alle scelte dello Stato in termini di politica del diritto, dall’altra alcune di queste scelte sono a loro volta riconducibili al più ampio scenario della globalizzazione economica e dei suoi riflessi. L’esistenza di effetti negativi della globalizzazione – accanto a quelli, positivi, derivanti in primis dall’accresciuto accesso ai mercati, dovuto all’eliminazione di barriere alla circolazione delle merci e dei servizi – trova supporto in autorevoli voci della dottrina.1 La necessità di

limitare tali effetti tramite la regolamentazione di taluni aspetti della globalizzazione, inclusa l’attività delle società multinazionali, viene spesso sottolineata in relazione ai paesi in via sviluppo i quali, essendo principalmente importatori di capitali ed esportatori di materie prime, si trovano in una posizione di debolezza rispetto agli Stati industrializzati. Non si può tuttavia ignorare, pur evitando di cadere in retoriche ispirate ad un anacronistico protezionismo, l’impatto del fenomeno anche all’interno degli Stati che, almeno in un primo momento, ne sono stati i sostenitori. E’ questo il caso, ad esempio, della possibilità che la creazione di zone di integrazione regionale fra Stati aventi livelli di sviluppo socio-economico differente, e la conseguente esigenza di armonizzare almeno in parte le loro legislazioni, dia vita alla cosiddetta “corsa verso il basso”,2 consistente nell’adozione di norme permissive in materia ambientale e di lavoro. 1 Sugli effetti negativi di alcune azioni e politiche intraprese dalle organizzazioni internazionali economiche e, in particolare, dal Fondo Monetario Internazionale, si veda S. J. STIGLITZ, Globalization and its

Discontents, New York/Londra, 2002.

2 Sulla cosiddetta “corsa verso il basso” si veda, fra gli altri, M. TREBILCOCK, R. HOWSE, A. ELIASON, The

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Tornando all’oggetto dell’analisi, la tesi che viene sostenuta è che gli Stati Uniti abbiano contribuito all’impoverimento della popolazione e all’aumento delle disuguaglianze all’interno della società in primo luogo attraverso le proprie scelte di politica estera, orientate alla liberalizzazione dei mercati. Furono infatti gli Stati Uniti, nella fase di creazione di un nuovo ordine economico basato sul neoliberismo internazionale, ad ostacolare l’idea, riflessa all’interno di quella che avrebbe dovuto essere la Carta istitutiva dell’ITO (International Trade Organization),3 di improntare tale ordine alla

preminenza della persona umana, pregiudicando la nascita di un consenso a livello internazionale su questi temi e spingendo invece la comunità internazionale verso un modello fondato sul mero perseguimento del vantaggio economico. L’orientamento in questione ha trovato conferma (perlomeno fino all’elezione dell’ultimo Presidente) nella politica estera più recente, incentrata sulla stipulazione di accordi bilaterali o multilaterali in materia di commercio ed investimenti, anche al fine di contrastare l’indebolimento, negli ultimi quindici anni, della cornice commerciale multilaterale costituita dall’Organizzazione Mondiale del Commercio.

Tramite queste scelte, gli Stati Uniti hanno contribuito a porre le basi di fenomeni quali la delocalizzazione, la disoccupazione e la perdita di potere contrattuale da parte dei lavoratori. Dalle storie personali di alcuni “poveri” descritte dall’Autrice emerge infatti chiaramente come la terziarizzazione dell’economia – almeno in parte conseguenza della delocalizzazione delle produzioni manifatturiere nei paesi in via di sviluppo – sia spesso associata a forme di precarizzazione del lavoratore e all’indebolimento dei sindacati. Questi fattori costituiscono altrettanti tasselli della nascita della categoria dei working poor, i quali incarnano il paradosso di una società in cui si può essere poveri pur lavorando, in quanto il salario non permette di raggiungere un tenore di vita dignitoso. A questi effetti collaterali della globalizzazione economica l’ordinamento statunitense non ha opposto alcuna resistenza ma, al contrario li ha assecondati tramite scelte di politica del diritto ispirate non alla redistribuzione delle risorse, bensì alla loro concentrazione nelle mani di pochi.

3 Fra gli obiettivi prioritari di tale documento, contenuto nell’Atto Finale della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e l’occupazione tenutasi all’Avana dal 21 novembre 1947 al 24 marzo 1948, rientrava infatti, ad esempio, il mantenimento dell’occupazione a livello nazionale. Sul fallimento dell’ITO e sulla successiva creazione dell’OMC vedi G. VENTURINI, La struttura istituzionale dell’OMC, in G. VENTURINI,

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3. Le scelte degli Stati di fronte alla povertà: le responsabilità del diritto

Nonostante la lotta alla povertà costituisca il primo dei Millennium Development Goals e dei Sustainable Development Goals adottati in seno alle Nazioni Unite nel 2000 e nel 2015 rispettivamente, difficilmente essa si traduce in un diritto umano tutelato internazionalmente da parte degli strumenti pattizi. Costituisce una positiva eccezione in questo senso la Carta Sociale Europea4 adottata in seno al Consiglio d’Europa, il cui

articolo 30 sancisce il diritto alla protezione contro la povertà e l’esclusione sociale. E’ solo indirettamente, poi, che la povertà viene in rilievo - nel contesto delle disposizioni relative al diritto ad un salario equo e ad un tenore di vita dignitoso - nel quadro del Patto Internazionale del 1966 sui diritti economici, sociali e culturali.5

Si tratta, in entrambi i casi, di disposizioni che stabiliscono obblighi positivi in capo allo Stato, i quali consistono, come è noto, nel dovere di predisporre una cornice legislativa ed amministrativa finalizzata a garantire l’osservanza dei diritti umani tutelati internazionalmente.6 La rilevanza degli obblighi positivi7 risulta particolarmente evidente

nell’ambito dei diritti di tipo economico, sociale e culturale in quanto - a differenza di quanto avviene per i diritti civili e politici, la cui realizzazione può essere ottenuta tramite l’astensione delle autorità da interferenze nella sfera soggettiva dell’individuo – essi possono essere perseguiti solo attraverso la creazione di determinate condizioni da parte dello Stato. E’ anche alla luce di questi elementi che la tesi sostenuta dall’Autrice - in base alla quale, soprattutto a partire dall’era reaganiana, la povertà sarebbe il risultato di precise scelte di politica del diritto operate dagli Stati Uniti – assume particolare interesse.

La tesi in oggetto viene efficacemente sostenuta prendendo in esame, in primo luogo, le politiche di welfare che, sulla base della teoria della less eligibility (in base alla quale il

4 Carta Sociale Europea (Riveduta), Strasburgo, 3 maggio 1996; entrata in vigore 1 luglio 1999. In merito all’articolo 30 si veda M. MIKKOLA, Social Human Rights of Europe, Porvoo, 2010, pp.592 ss.

5 International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, New York, 16 dicembre 1966, entrata in vigore 3 gennaio 1976, artt.7,11. Sul punto si rinvia a: B. SAUL, D. KINLEY, J. MOWBRAY, The

International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights: Commentary, Cases and Materials,

Oxford, 2014, pp.392, 926 ss.

6 Corte europea dei diritti umani, Öneryildiz c. Turchia, ricorso n. 48939/99, 30 novembre 2004, par.89. 7 In merito alla teoria degli obblighi positivi si veda per tutti F. SUDRE, Les “obligations positives” dans la

jurisprudence européenne des droits de l’homme, in Revue trimestrielle des droits de l’homme, 1995,

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welfare deve pagare meno del lavoro) e di una logica di colpevolizzazione del povero ben radicata all’interno della società americana, sono state soggette, a partire dagli anni Ottanta, ad un progressivo indebolimento. Alla spirale di povertà in cui si sono trovate molte famiglie hanno altresì contribuito la riduzione dei sussidi pubblici e l’adozione di misure volte ad eliminare quasi completamente la progressività fiscale, tramite un aumento delle tasse pagate dalle fasce più deboli della popolazione e la riduzione delle aliquote sui redditi più alti percepiti da persone fisiche e dalle corporations.

In questo contesto, il ruolo svolto dalla logica individualista – assecondata, a sua volta, dal diritto – è stato cruciale nell’accentuare la tendenza alla frammentazione sociale e quindi nell’aggravare le situazioni di indigenza.8 Lo stesso dicasi di norme a diverso

livello (scolastico, giuslavoristico) che tendono a creare concorrenza fra individui e isolamento, anche tramite la criminalizzazione di comportamenti in realtà innocui.

Risultato e manifestazione più evidente delle tendenze sopra delineate è l’aumento degli individui appartenenti alla categoria degli homeless, entrata a far parte in maniera strutturale della società statunitense e, contrariamente a quanto avveniva nel passato, composta in gran parte da famiglie.

Alla luce di questi elementi, risulta particolarmente evidente come l’aggravarsi del divario economico all’interno della società statunitense sia stato frutto dell’effetto congiunto di fattori esogeni (gli effetti della globalizzazione) i quali non hanno trovato alcun contraltare nelle scelte dello Stato sul piano interno ed anzi sono state da queste ultime rafforzate. Così facendo, gli Stati Uniti sono quindi venuti meno all’osservanza degli obblighi positivi che, sulla base degli strumenti di tutela internazionale dei diritti umani, impongono loro di adottare le misure necessarie a garantire un tenore di vita dignitoso, all’interno del quale l’accesso ad un alloggio adeguato occupa una posizione di rilievo.

4. Diritto ad un alloggio dignitoso e responsabilità dello Stato

La rilevanza dell’accesso ad un alloggio adeguato viene sancita, in primo luogo, dall’articolo 31 della Carta Sociale Europea, specificamente dedicato al diritto all’abitazione, compresa la riduzione e la progressiva eliminazione dello status di “senza

8 Sul nesso fra individualismo e povertà, anche in una prospettiva di genere, si veda U. BECK, La société du

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tetto”.9 Analogamente, l’articolo 11 del Patto Internazionale sui diritti economici, sociali

e culturali del 1966 include, all’interno della definizione di un adeguato standard di vita, la disponibilità di un adequate housing. Nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, invece, il diritto all’assistenza abitativa viene associato a quello all’assistenza sociale, in quanto strumenti finalizzati al perseguimento dei più ampi obiettivi della lotta alla povertà e all’esclusione sociale.10

E’ proprio dalla giurisprudenza del Comitato dei diritti sociali, incaricato di verificare l’osservanza della Carta Sociale Europea, che proviene un interessante esempio di attuazione del diritto in questione, invocato nel quadro di un reclamo collettivo nei confronti della Slovenia. Quest’ultima è stata infatti ritenuta responsabile della violazione del diritto all’abitazione, in ragione di una legge che esentava le entità pubbliche, divenute temporaneamente11 proprietarie di un immobile a seguito di confisca,

nazionalizzazione o espropriazione, dal dovere di offrire in vendita detto immobile ai precedenti titolari del diritto di occupazione. Tale modifica legislativa era stata peraltro accompagnata da misure quali l’aumento delle soglie massime dell’equo canone, l’introduzione di nuove circostanze suscettibili di dar luogo allo sfratto, e di condizioni più rigorose per il trasferimento del contratto di affitto a seguito del decesso dell’inquilino.12 Alla luce di questi elementi, il Comitato ha concluso che l’insufficienza

di misure atte a garantire l’acquisto dell’immobile da parte degli occupanti, unita all’evoluzione del quadro normativo relativo al diritto di occupazione e all’aumento degli affitti, abbiano esposto un numero significativo di famiglie ad una situazione di

9 In base all’articolo 31 della Carta Sociale Europea, le Parti si impegnano ad adottare misure destinate a favorire l’accesso ad un’abitazione di livello sufficiente (par.1); a prevenire e ridurre lo status di “senza tetto” in vista di eliminarlo gradualmente (par.2); a rendere il costo dell’abitazione accessibile alle persone che non dispongono di risorse sufficienti (par.3). Cfr. M. MIKKOLA, Social Human Rights of Europe, cit.,

pp.338 ss.

10 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, articolo 34 par.3 (GU C 326 del 26.10.2012). Sul punto si rinvia a R. MASTROIANNI e al., Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Milano, 2017,

pp.651 ss.

11Secondo la legge di denazionalizzazione del 1991, nel caso in cui l’immobile in questione dovesse essere restituito allo Stato - che ne era originariamente il proprietario - sull’entità pubblica che gestiva il bene vigeva l’obbligo di offrirlo in vendita agli occupanti, a titolo di compensazione per la perdita del diritto di occupazione. Tale obbligo non si applicava però nei casi in cui l’immobile fosse appartenuto in precedenza ad un privato, e in cui il comune ne diveniva proprietario per un periodo di tempo limitato prima della restituzione definitiva (Fédération Européenne des Associations nationales travaillant avec les Sans-abri

(FEANTSA) c. Slovenie, Réclamation n° 53/2008, par.41-42).

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precarietà, impedendo loro di godere in maniera effettiva del diritto ad un’abitazione sancito dalla Carta Sociale Europea.13

Il caso in questione, lungi dall’essere esaustivo degli strumenti offerti dal diritto internazionale al fine di realizzare il diritto ad un’abitazione dignitosa, è esemplificativo di quanto esposto dall’Autrice nel volume in parola. Le politiche abitative adottate dagli Stati Uniti ricevono ampia attenzione all’interno dell’opera, non solo in relazione alla condizione di homeless, ma altresì in senso più generale, in quanto la mancanza di accesso ad un’abitazione costituisce un elemento paradigmatico della situazione di vulnerabilità di numerose famiglie. Viene infatti sottolineato come, in questo Stato, le politiche abitative – che da un lato hanno da sempre incoraggiato l’acquisto della casa di proprietà - dall’altro abbiano penalizzato la posizione degli affittuari, tramite il progressivo smantellamento dei controlli sul livello degli affitti e l’apparente soluzione del problema tramite partnership pubblico-private, ispirate ad una logica di profitto e spesso tradottesi in processi di gentrificazione dei quartieri.14 Così facendo, lo Stato è

venuto meno ai propri obblighi positivi, la cui osservanza avrebbe richiesto l’adozione di una legislazione volta alla tutela dei settori più vulnerabili della società e quindi più esposti all’emergenza abitativa. L’evidente legame esistente fra le scelte di politica del diritto e la mancata realizzazione del diritto ad un alloggio dignitoso conferisce quindi ulteriore spessore alla tesi sostenuta dall’Autrice nel corso della trattazione, rendendo l’idea di una responsabilità dello Stato rispetto alle condizioni di vita dei propri cittadini ancora più convincente e meritevole di ulteriore riflessione nell’ambito delle diverse aree del diritto.

13 Ivi, par.70.

14 Sulla gentrificazione come fenomeno associato alla mancanza di alloggi per i più poveri si veda la Lettera Enciclica Laudato Si’ (Lettera Enciclica Laudato Si’ del Santo Padre Francesco sulla cura della

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