3. Ricordo di Stefania Maria
25 giugno 1938
Stefania Maria nasce a Nettuno il 25 giugno 1938 nella residenza che fu di Ercole Visca in via Sacchi 70, nel borgo medioevale, da Anna Visca e Umberto Lazzardi residenti a Roma.
Nettuno – Casa natìa di Stefania Maria
1938 1940 1956 1959
Stefania Maria frequentò la scuola elementare “Ermenegildo Pistelli” di Roma, la scuola media di Stato “Col di Lana” di Roma ed il Liceo Ginna-sio “Dante Alighieri” di Roma, sempre con ottimi risultati. All’università scelse prima la facoltà di Fisica per optare subito dopo per la facoltà di Matematica.
10 gennaio 1960
Da Bari, dove la mia famiglia risiedeva dal 1939, mi trasferisco a Roma con tutta la famiglia in cerca di un’occupazione. Nell’attesa di qualche risposta mi recai all’Istituto di Matematica “Guido Castelnuovo” per ascoltare qualche lezione dei grandi maestri della matematica. Incomin-ciai il 10 febbraio a frequentare una lezione del prof. Attilio Frajese sulla “Storia della matematica”. Cercai l’aula, entrai e mi sedetti in un banco a due posti, nonostante l’aula fosse quasi piena, accanto a me non si sedette nessuno. La lezione stava per iniziare, entra una ragazza, si guarda attorno e si siede accanto a me. Prende dalla borsa un quaderno e incomincia a prendere molto meticolosamente appunti su quanto, pa-catamente, il prof. Frajese esponeva. Io mi meravigliai per come riuscis-se a trascrivere quanto veniva esposto.
Due giorni dopo, il 12 febbraio, c’era una lezione di “Matematica ele-mentare da un punto di vista superiore”, entrò una giovane professo-ressa al posto del titolare, prof. Giulio Platone. Anche in quella occasio-ne il posto accanto a me era rimasto libero, e si ripetette la scena della volta precedente. Entra la ragazza della volta precedente che riconobbi in quanto indossava lo stesso vestito di colore azzurro, cerca un posto libero e, senza guardarmi, si siede accanto a me. La professoressa an-nuncia che il prof. Platone non era potuto venire e comincia a leggere un brano di Piaget tratto dal libro, da poco in libreria, “A che serve la matematica“. Ma la lettura era abbastanza veloce e la ragazza al mio fianco faceva un‘enorme fatica a tenerle dietro, si voltò dalla mia parte senza guardarmi per vedere se io scrivessi qualcosa, ma io ascoltavo senza prendere appunti e notai in lei un senso di impotenza per non po-ter prendere correttamente appunti. Allora le toccai il braccio e dissi a bassa voce: ”Signorina, non si preoccupi di prendere appunti, io ho quel libro e glielo porto la prossima volta così lei potrà copiare con calma quanto sta leggendo la professoressa”.
Si voltò verso di me, mi guardò a lungo, con aria sorpresa e arrossendo disse sottovoce: ”La ringrazio molto, le sarò sempre grata” e smise di scrivere. Ci incontrammo quasi tutti i giorni in quanto assistevo alle le-zioni che lei frequentava e poi l’accompagnavo alla fermata dell’auto col quale tornava a casa. Il 21 marzo, primo giorno di primavera. le feci tro-vare un mazzolino di violette sul banco e lei arrossendo e guardandomi a lungo sorpresa mi chiese se poteva tenerli. Qualche giorno dopo le
porsi un foglietto con quattro esercizi di matematica, in apparenza complessi, e le dissi: “Li sai risolvere?”. Guardò con curiosità il foglio, s’illuminò e sullo stesso foglio scrisse: “Anch’io”. La soluzione dei miei esercizi formiva nell’ordine “t’amo”.
Qualche giorno dopo mi presentai a casa sua, nel quartiere Prati, per conoscere i genitori.
Nel frattempo avevo risposto ad una inserzione fatta da un’officina di costruzioni meccaniche e mi recai per la prima prova del colloquio. Do-po aver sostenuto la prova ci incontrammo e lei mi chiese com’era an-data ed io risposi: ”Sarebbe anan-data bene se il titolare non avesse prete-so che i calcoli li eseguissi con il regolo calcolatore, anziché a mano”. Io mi ero sempre rifiutato di utilizzare il regolo calcolatore, sia perchè lo consideravo uno strumento troppo approssimato e soprattutto perché non avevo avuto la possibilità di comprarmene uno. Lei mi disse con tut-ta tranquillità: ”Guarda che è molto facile, domani porto il mio e ti spie-go come si fanno tutte le operazioni”.
Imparai subito, lo trovai talmemte interessante che gettai le basi per co-struirne uno che risolvesse direttamente il teorema di Pitagora, ovvia-mente non con scale logaritmiche, ma con altre scale. Regolo che bre-vettai l’anno seguente e di cui posseggo l’unica copia da me fatta co-struire. Oggi fa parte della “Collezione privata Salmeri” unitamente ad oltre settanta esemplari di strumenti di calcolo di varie epoche.
Tornai il giorno dopo dal titolare dello stabilimento, per la seconda pro-va, e gli dissi:”Ho imparato ad usarlo! Mi metta alla prova”. Fui assunto e cominciai la mia attività nel campo delle costruzioni in acciaio.
10 giugno 1962
Ci sposammo nella Cappella dell’Università.
La prima abitazione la trovammo nei pressi del posto di lavoro sulla via Tiburtina. Il viaggio di nozze lo programmai in Sicilia, che è la terra dove sono nato e dove sono nati i miei genitori, i miei nonni ed i miei bisnon-ni. Stefania si innamorò di quella terra che non conosceva.
27 giugno 1963
In questo giorno divenni padre di un maschietto. L’evento lo vivemmo tutti con molta apprensione in quanto alla visita di controllo dal gineco-logo ci fu detto che a causa delle condizioni del suo cuore era molto pe-ricoloso portare avanti la gravidanza e si consigliava interrompere la gravidanza. A questa proposta la risposta di Stefania fu: “Non mi impor-ta della mia viimpor-ta, ma il bambino dovrà vivere!”. Il parto fu molto difficol-toso ma tutto andò bene ed il bambino lo chiamammo Marcello. Dopo due anni decidemmo di avere un secondo figlio, ma inaspettatatmente la Società nella quale lavoravo, a causa del fallimento di una società per la quale avevamo fatto importanti lavori, fallì. Trovare un altro posto non era facile, ma mi misi alacremente in cerca con il pensiero costante al figlio di due anni e mezzo ed un altro in arrivo. Affrontammo quel pe-riodo, per fortuna breve, con molto coraggio ed inaspettatamente fui chiamato in una società di progettazione che nasceva proprio in quei giorni ed era presieduta dal famoso prof. Enrico Medi. La tipologia del lavoro era abbastanza diversa ma, con il supporto morale di Stefania, mi adattai immediatamente.
23 giugno 1966
In ricordo di Papa Giovanni XXIII, il secondo figlio lo chiamammo Gio-vanni e come secondo nome, in omaggio al prof. Enrico Medi, sce-gliemmo Enrico.
La famiglia era cresciuta e bisognava organizzarsi. Il mio lavoro mi tene-va fuori casa la maggior parte del tempo. Uscivo da casa alle 7 del mat-tino e a volte rientravo verso le 9 di sera e spesso era necessario recarsi al lavoro il sabato. Il peso della casa era tutto sulle spalle di Stefania. Imparò da sola a cucire e tutti i vestiti, i cappottini, le tute uscirono con sorprendente precisione, dalle sue mani, volle imparare persino a risuo-lare le scarpe. Seguì i figli nei loro studi con grande competenza: Istituto Tecnico per Marcello e Liceo Classico per Giovanni. Il mio contributo nell’educazione dei figli e nei loro studi era ridotto al minimo a causa degli impegni di lavoro che mi portavano molto spesso fuori casa.
Prima Marcello e anni dopo Giovanni lasciarono la casa per formare nuove famiglie ed allora l’impegno di Stefania si rivolse verso le chiese povere del mondo.
Cominciò a preparare paramenti sacri che oggi vengono utilizzati in mol-te chiese del mondo: Congo, Camerun, Senegal, Sudan, Nigeria, Tunisia, Giordania, India, Brasile, Argentina ed anche Francia.
Stefania si impegnava in ogni attività sempre con grande entusiasmo, amore e altruismo, ma non sempre riceveva adeguato riscontro e ciò la faceva soffrire molto.
18 aprile 2011
In questo giorno faccio nascere Euclide: Giornale di matematica per i giovani. Stefania vide l’iniziativa della nascita di questo giornale come un segno del destino e mi diceva:” Così possiamo aiutare i ragazzi a cre-scere, ad interessarsi maggiormente alla matematica che è alla base del-la nostra civiltà e possiamo fare per loro ciò che avremmo fatto con tan-to amore verso i nostri nipoti che purtroppo non abbiamo avutan-to la gioia di avere”.
Io la tenevo al corrente delle mie idee e le raccontavo i rapporti che in-stauravo con gli insegnanti; a volte, con molto tatto, si metteva in con-tatto con loro per dare consigli dettati da esperienza di madre o com-plimentarsi con loro per alcune lodevoli iniziative. Mi ricordava le sca-denze e voleva sempre leggere quanto scrivevo e, sempre con molta di-screzione, mi proponeva di modificare alcune frasi, aggiungere o toglie-re una virgola, modificatoglie-re parole ripetute.
3 gennaio 2015
La nostra vita si allieta, quando ormai avevamo perso ogni speranza, con la nascita di due nipotini: Giorgio e Nicolò. Fu questa l’ultima gioia di Stefania, ormai provata nel fisico da un misterioso male che le tolse la forza nelle gambe e nessuno riuscì a individuarne la ragione. Le frequen-ti analisi che venivano fatte davano risultafrequen-ti che i medici non si spiega-vano e consideraspiega-vano errori di laboratorio. Il 12 febbraio decisi di rico-verarla nuovamente in Clinica a causa di risultati di analisi disastrosi sot-to ogni punsot-to di vista.
14 febbraio 2015, San Valentino, festa degli innamorati.
“Come lo festeggiamo quest’anno? Sei di nuovo in Clinica per ulteriori accertamenti e quindi non possiamo recarci in nessun luogo per festeg-giare. Sarà per il prossimo anno!”
Sono le sei e trenta del mattino, mi arriva una telefonata dalla Clinica… te ne sei andata. Ma non avevamo detto che i viaggi, ormai che
abbia-mo una certa età, li avremabbia-mo sempre fatti insieme? Ognuno “aggrappa-to” all’altro, come una volta ci scrisse nostro nipote parlando di sé e del-la moglie, colpiti entrambi così giovani da un invalidante e misteriosa malattia. Perché te ne sei andata da sola? Tu hai sempre mantenuto la tua parola anche a costo di sacrifici, perché per te mantenere la parola era un sacrosanto dovere. Oggi tutti gli amici, non sapevo di averne tan-ti, mi chiedono cosa farò ora che sono solo. Non sanno che tu sei sem-pre con me, mi consigli, mi guidi nelle mie decisioni e quando sarò in dubbio, ti chiederò: “Faccio bene così? Cosa avresti fatto tu?”. E con quell’enorme saggezza che ti ha sempre contraddistinto mi indicherai la scelta giusta, mi consiglierai, mi correggerrai tutto quello che scrivo sen-za mai volere apparire, come sempre, e stando in disparte con grande discrezione, forse troppa. Questo è stato forse il tuo unico difetto, stare sempre nell’ombra. Cara Stefania, continua a starmi sempre vicino e consigliarmi in tutte le mie scelte, ne ho tanto bisogno, e quando sarà la mia ora ti raggiungerò, ti abbraccerò e ti dirò: “Finalmente insieme per sempre!”